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Klaus Regling, tedesco: l’uomo del Mes controllerà l’Italia
In principio doveva essere un boccone amaro, indigeribile e da respingere con tutte le forze. Una buona fetta degli esponenti del Movimento 5 Stelle, presto rinominati “i ribelli”, era pronta a issare barricate e muovere pericolose guerre intestine a costo di respingere il Meccanismo Europeo di Stabilità. Invece, ecco il sì alla riforma del Mes, decisa all’ultimo Eurogruppo, con il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, pronto a rassicurare gli animi degli alleati di maggioranza. Gualtieri ha provato a spiegare che il via libera alla riforma del Mes non significa automaticamente un suo utilizzo, visto che «la riforma è cosa distinta dalla scelta se usare o meno il Mes sanitario», e che «su questo esistono posizioni diverse nel Parlamento e nella stessa maggioranza, e ogni decisione dovrà essere condivisa dall’intera maggioranza e approvata dal Parlamento». Il tentativo di Gualtieri di calmare le acque è fallito miseramente, visto che la diffidenza tra le fila grilline è aumentata. Però, se non altro, ribelli a parte il M5S non dovrebbe opporsi alla riforma. Dunque: crisi di governo scongiurata. Almeno per il momento. C’è un problema non secondario da considerare con la massima attenzione. Come ha sottolineato “Libero”, la riforma del Fondo salva-Stati che il Parlamento approverà in giornata consegnerà, di fatto, l’Italia nelle mani di tale Klaus Regling. Chi è costui?Iniziamo con il dire che cosa diventerà, ovvero l’alto burocrate più potente d’Europa. Il motivo è semplice, visto che Regling è il direttore generale del Mes. Detto in altre parole, è l’uomo che ha – e avrà sempre di più – i pieni poteri nella gestione del Meccanismo Europeo di Stabilità. Questo significa che, nel caso in cui il debito pubblico italiano scricchiolasse pericolosamente, questo freddissimo burocrate tedesco sarebbe pronto a indossare i panni del commissario straordinario dell’Italia. E un’ipotesi del genere non è neppure tanto remota, considerando che il governo giallorosso, guidato da un Giuseppe Conte sempre più sotto pressione, continua a spendere in bonus e misure sostanzialmente inutili quanto gravose sui conti. Regling è sostanzialmente il direttore generale del Mes. Quest’ultimo, a sua volta, è più di uno strumento: si tratta di un’organizzazione internazionale, creata nel 2012 per assegnare risorse ai paesi dell’Eurozona che si trovano o rischiano di trovarsi in grossi guai finanziari. Va da sé che il prestito – perché di questo stiamo parlando – non è gratuito e include condizioni super-rigorose, dannose per le nazioni con l’acqua alla gola bisognose di un salvagente.Regling, economista e tedesco, ha 70 anni e guida il Mes dal primo giorno. Il suo mandato è stato rinnovato e resterà in carica fino al 2022. La sua storia è piatta e non presenta particolari stranezze. Figlio di un falegname poi eletto in Parlamento con i socialdemocratici, ama ascoltare Wagner e, in economia, crede fortemente a due pilastri: stabilità e rigore. Il signor Klaus è sempre rimasto lontano dalle luci dei riflettori, anche se adesso, con l’imminente riforma del Mes, i suoi poteri saranno talmente enormi che difficilmente riuscirà a nascondersi dietro a un dito. Tra i suoi superpoteri troviamo: la possibilità di affiancare la Banca Centrale Europea nella valutazione della richiesta di sostegno messa sul tavolo da uno Stato e quella di formulare la proposta per aggiustare la situazione di quel paese. Non solo: la riforma introduce pure la “piena indipendenza” del direttore generale e del personale del Mes da ogni potere eletto. La responsabilità, insomma, sarà da intendere solo “nei confronti del consiglio d’amministrazione”. La sua nomina, e quella dei successori, da cosa dipende? Deve essere nominato a maggioranza qualificata dell’80% del capitale del Mes. Considerando che la maggioranza delle quote spettano a Germania (26,9%) e Francia (20,2%), Berlino e Parigi avranno la possibilità di mettere un bel veto sul successore di Regling. Non l’Italia, ferma al 17,7% delle quote.(Federico Giuliani, “La riforma del Mes consegna l’Italia nelle mani del supercommissario tedesco”, dall’inserto “InsideOver” de “Il Giornale” del 9 dicembre 2020).In principio doveva essere un boccone amaro, indigeribile e da respingere con tutte le forze. Una buona fetta degli esponenti del Movimento 5 Stelle, presto rinominati “i ribelli”, era pronta a issare barricate e muovere pericolose guerre intestine a costo di respingere il Meccanismo Europeo di Stabilità. Invece, ecco il sì alla riforma del Mes, decisa all’ultimo Eurogruppo, con il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, pronto a rassicurare gli animi degli alleati di maggioranza. Gualtieri ha provato a spiegare che il via libera alla riforma del Mes non significa automaticamente un suo utilizzo, visto che «la riforma è cosa distinta dalla scelta se usare o meno il Mes sanitario», e che «su questo esistono posizioni diverse nel Parlamento e nella stessa maggioranza, e ogni decisione dovrà essere condivisa dall’intera maggioranza e approvata dal Parlamento». Il tentativo di Gualtieri di calmare le acque è fallito miseramente, visto che la diffidenza tra le fila grilline è aumentata. Però, se non altro, ribelli a parte il M5S non dovrebbe opporsi alla riforma. Dunque: crisi di governo scongiurata. Almeno per il momento. C’è un problema non secondario da considerare con la massima attenzione. Come ha sottolineato “Libero”, la riforma del Fondo salva-Stati che il Parlamento approverà in giornata consegnerà, di fatto, l’Italia nelle mani di tale Klaus Regling. Chi è costui?
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Si muore per soldi, non per il virus: guai se cediamo al Mes
Ma saranno stati almeno vaccinati, i 20.000 soldati americani che stanno sbarcando in Europa per poi “passeggiare” nelle terre del coronavirus? Ora fraternizzano con la popolazione in un paese come la Germania, da cui – si apprende – si è propagata la prima infezione nel vecchio continente. E’ dunque un vaccino, forse sperimentale, a proteggere i militari statunitensi impegnati nell’operazione “Defender Europe”, non rinviata nonostante la grave allerta sanitaria europea? Se lo domanda Manlio Dinucci, veterano cronista di guerra in forza al “Manifesto”, in collegamento web con Claudio Messora su “ByoBlu”. Quello di Messora è il canale d’informazione che più di ogni altro, in questi giorni, si sta battendo per offrire agli italiani un’osservazione attendibile della crisi in corso. Sempre su “ByoBlu”, l’economista Nino Galloni avverte: c’è il rischio concreto che venga ratificato il Mes, erede diretto del pernicioso e ormai obsoleto Fondo Salva-Stati, creato nel periodo in cui alla Bce non era ancora stato consentito di sostenere i debiti pubblici, acquistando titoli di Stato. Vi sembra il caso, proprio ora, di mettersi a parlare di Mes?Due operazioni – l’esercitazione Nato e il Mes – che non vengono rinviate, nonostante l’emergenza coronavirus. Un sospetto: c’è una oscura correlazione diretta, tra questi eventi in apparenza non connessi tra loro? E’ tutto estremamente strano, quasi surreale. Per esempio: è assolutamente inconcepibile, dice Galloni, che – al momento dell’estensione della zona rossa all’intera Lombardia – da Palazzo Chigi possa essere partita la fuga di notizie che ha determinato l’esodo di migliaia di persone verso il Sud. L’emergenza sanitaria? Mal raccontata, enfatizzata: il problema si è fatto davvero drammatico per una minuscola quota di persone (per lo più anziane, deboli, già malate) a causa della rottamazione del sistema sanitario nazionale. Anni di tagli forsennati, fino al suicidio firmato da Monti, con 30 miliardi tolti all’assistenza medica ospedaliera. I numeri del coronavirus restano limitatissimi, ribadisce Galloni, se parliamo di criticità serie: la tragedia è che ormai i nostri ospedali, ridotti ai minimi termini, faticano a gestire nel modo migliore poche centinaia di malati gravi.Strano che ora, su tutto questo, incomba anche la ratifica del Mes: perché non rimandarla, vista la situazione di emergenza nazionale? Galloni parla chiaro: a finire in rianimazione (economica) è l’Italia intera. Per salvarla, servono tanti miliardi, e subito. Se li garantisse la Bce, come si spera, si trasformerebbero comunque in debito. Invece, l’emissione tempestiva e a costo zero di una moneta parallela – non convertibile, spendibile solo in Italia – sarebbe il toccasana. Perché nessuno ne parla, nel governo Conte? Peggio: perché intanto non si chiede di annullare il summit del 16 marzo, cioè la ratifica del Mes? Il pericolo è mortale, avverte Galloni: accedendo a quel fondo (e l’Italia oggi ha un disperato bisogno di denaro pronto uso, per fronteggiare l’emergenza) si va incontro a conseguenze catastrofiche. Non potendo restituire il prestito a stretto giro, i rischi sono letali. Primo: la svendita di quel che resta delle strategiche partecipazioni statali, il 20% di quello che furono (e attenzione: garantirono il boom economico). Secondo: la svendita dei gioielli del patrimonio italiano, cioè i beni culturali che alimentano l’economia turistica. In altre parole: se firma il Mes, l’Italia sparisce. Muore.L’altro colpo mortale – dice Gioele Magaldi, leader del Movimento Roosevelt (di cui lo stesso Galloni è vicepresidente) – è rappresentato dalla decisione di mettere l’intera Italia in quarantena. «Una scelta tardiva, comunque inefficace e dunque inutile, ma sicuramente autodistruttiva». A motivare per decreto la paralisi del paese, evidentemente, è il panico: lo spettacolo dei reparti di terapia intensiva, ridotti ai minimi termini e letteralmente assediati dai pazienti con difficoltà respiratorie. Cosa andava fatto, invece? «Ovvio: alle prime avvisaglie del problema, bisognava attrezzarsi in modo adeguato». Con posti letto raddoppiati o triplicati, e personale disponibile, non ci sarebbe stato nessun allarme. Invece: l’Italia non ha agito, non ha preteso risorse immediate. «Conte si è limitato a mendicare elemosine, fuori tempo massimo». E prima ancora, l’Unione Europea – scandalosamente – non si è affatto preoccupata del problema. In compenso, si ricorda del Mes.Vediamo di capirci, insiste Magaldi: già prima del coronavirus, l’Italia delle aziende e delle famiglie era prossima al coma. Un mese di pre-emergenza l’ha messa in ginocchio. E adesso, il decreto-Conte l’ha stesa al tappeto. Virtualmemte, l’operazione-coronavirus sembra il capolavoro di un ipotetico nemico: se qualcuno avesse voluto distruggerci, non avrebbe potuto far meglio di Conte. A proposito: c’è qualcosa che è proibito sapere, riguardo all’epidemia? Nessuno ha certezze, ma moltissime fonti citano strane coincidenze. Bill Gates, Berkeley, Darpa e Pentagono: il coronavirus sembra più americano che cinese. Un’arma perfetta per sabotare il gigante asiatico, a cui Trump ha dichiarato guerra? Magaldi non ci sta, e invita a leggere oltre l’apparenza: è proprio la dirigenza cinese a trarre vantaggio dal virus, che le permette di mascherare la fine della maxi-crescita, largamente attesa (e attentamente taciuta) ben prima del disastro di Wuhan. Il guaio? Gli strateghi della globalizzazione neoliberista aprirono alla Cina le porte del mercato mondiale, senza chiederle contropartite: democrazia, sindacati, tutela dell’ambiente. Niente.La Cina è stata bravissima ad approfittarne, sbalordendo il mondo. Ma ha sbaragliato la concorrenza occidentale in modo sleale, con prodotti a basso costo. Che tutto questo sarebbe accaduto, lo sapevano fin dall’inizio gli ingegneri (occidentali) del globalismo cinesizzato. Per Usa ed Europa, dolori: crisi, disoccupazione, tagli, delocalizzazioni. Ed exploit finanziario, a beneficio dei supremi gestori. Il loro obiettivo? Creare un mostro, la super-Cina: efficientissima, regina del business, ma senza libertà né democrazia. Il sogno: trasformare lo stesso Occidente in un clone della nuova Cina. Poi, con Trump, il gioco si è rotto e sono spuntati i dazi. Infine ecco il coronavirus, che da Wuhan – via Germania – ora infesta l’Italia, spaventando il resto del mondo. E se i media italiani scivolano verso il terrorismo psicologico quotidiano, è perché la sanità – brutalmente amputata – stenta ad assistere nel modo migliore le vittime di un morbo che, statisticamente, sembra rivelarsi assai meno pericoloso di tanti altri, che però non fanno notizia.Riuscirà il coronavirus laddove tante prediche politiche, in questi anni, hanno fallito? Gli italiani capiranno che lo Stato non può essere lasciato senza soldi, cioè senza difese? Sovranità finanziaria vuol dire anche sicurezza: se invece la moneta manca, si rischia anche la pelle. Il virus è drammaticamente esplicito, in questo: l’Italia ha un disperato bisogno di miliardi a costo zero, ma il 16 marzo ad attenderla c’è il Mes, lo strozzino. Decenni fa, un incubo simile sarebbe stato impensabile. Eppure, anche se i media non lo sottolineano: da trent’anni, l’Italia è in avanzo primario. Cioè: i soldi che i cittadini versano in tasse sono più di quanto lo Stato spenda in termini di servizi. Una follia, rimasta sottotraccia, e che adesso – grazie alla crisi-coronavirus – potrebbe esplodere. Meglio tardi che mai? Sì, ma a condizione che venga archiviato il Mes: se dovessimo attingere al fondo europeo, per l’Italia sarebbe davvero la fine. Allora sì, che il coronavirus diventerebbe una catastrofe: la tomba del Belpaese, l’estinzione del benessere e della possibilità di risalire la china.Ma saranno stati almeno vaccinati, i 20.000 soldati americani che stanno sbarcando in Europa per poi “passeggiare” nelle terre del coronavirus? Ora fraternizzano con la popolazione in un paese come la Germania, da cui – si apprende – si è propagata la prima infezione nel vecchio continente. E’ dunque un vaccino, forse sperimentale, a proteggere i militari statunitensi impegnati nell’operazione “Defender Europe”, non rinviata nonostante la grave allerta sanitaria europea? Se lo domanda Manlio Dinucci, veterano cronista di guerra in forza al “Manifesto”, in collegamento web con Claudio Messora su “ByoBlu”. Quello di Messora è il canale d’informazione che più di ogni altro, in questi giorni, si sta battendo per offrire agli italiani un’osservazione attendibile della crisi in corso. Sempre su “ByoBlu”, l’economista Nino Galloni avverte: c’è il rischio concreto che venga ratificato il Mes, erede diretto del pernicioso e ormai obsoleto Fondo Salva-Stati, creato nel periodo in cui alla Bce non era ancora stato consentito di sostenere i debiti pubblici, acquistando titoli di Stato. Vi sembra il caso, proprio ora, di mettersi a parlare di Mes?
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Galloni: no al golpe del Mes, con la scusa del coronavirus
In quale tipo di situazione ci stiamo trovando? Mentre era evidente che i poteri economico-finanziari, per la prima volta nella storia, non fossero in grado di dare indicazioni su come l’economia e la finanza dovessero affrontare le crisi che stavano cominciando, si è tirato fuori prima il pretesto dell’ambiente – che è un gravissimo problema per l’umanità, ma non certo nei termini sollevati da Greta e dai suoi seguaci – e adesso c’è questo coronavirus. Come nasce, il Mes? E’ l’erede di quel Fondo Salva-Stati che fu costituito prima che la Banca Centrale Europea si attrezzasse per comperare i titoli di Stato sul mercato secondario. Quindi è diventato inutile, nel momento in cui la Bce può acquistare titoli di Stato, può immettere tutti gli euro che vuole (come fanno le altre banche centrali del pianeta) per comperare titoli di qualunque genere – anche titoli tossici: oggi circolano 54 Pil mondiali di titoli tossici di debiti, ed è questa la ragione per cui il sistema sta diventando ingovernabile. Ma non ci sono soluzioni: né da parte di quelli che ci hanno dominato finora, né da parte nostra, in fondo, che siamo qui per cercare di affrontare la situazione.Il Mes ha dei profili di incostituzionalità che sono stati perfino rilevati dai tedeschi, che non l’hanno firmato. Pertanto, a ratificarlo dovranno essere i rappresentati popolari riconosciuti (nel caso nostro, il Parlamento), e non possono essere ammessi o ipotizzati colpi di mano. La situazione del coronavirus è praticamente dominata da una gravissima emergenza: non era mai successo, per esempio, che si chiudessero le scuole. Ma perché? Perché nel recente passato abbiamo chiuso ospedali, abbiamo ridotto la spesa pubblica, non abbiamo assunto infermieri né medici, e adesso ce n’è estremo bisogno. E quindi, se questi 4.000 contagiati dovessero diventare 40.000 o 400.000, negli ospedali non avremmo i posti. Come si fa ad affrontare questo problema? Come si fa ad affrontare il problema degli Stati che non hanno moneta per fare investimenti e spese necessarie? In un modo semplicissimo, come hanno fatto tante altre realtà: immettendo moneta sovrana a circolazione nazionale. Questa è l’unica strada che abbiamo: sia per affrontare realmente l’emergenza del coronavirus, sia per tagliare la strada al Mes.(Nino Galloni, intervento nella diretta web-streaming “Mes, fermare il contagio” trasmessa su “ByoBlu” e “Pandora Tv” il 7 marzo 2020, registrata su YouTube. Economista keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt, Galloni è il portavoce del Coordinamento nazionale No-Mes, che conduce la sua campagna all’insegna dello slogan “Blocca il contagio, no alla ratifica del Mes”. Il fondo europeo, alimentato da fondi statali, obbligherebbe lo Stato a pagare forti interessi denaro anticipato al Mes dallo Stato stesso, pena una drastica “ristrutturazione” del debito che taglierebbe il welfare mettendo in ginocchio l’economia, sotto il ricatto finanziario. Sostenitore del recupero della sovranità finanziaria statale, Galloni propone l’adozione di una moneta parallela all’euro, sovrana, non convertibile, a circolazione solo nazionale, accettata esclusivamente in Italia per qualsiasi pagamento, compreso quello delle tasse. Per Galloni, l’artificiosa austerity europea è solo il frutto – solo ideologico, non certo scientifico-economico – della volontà di potenza di un’élite post-democratica, che ha “fabbricato” a tavolino la crisi: privatizzazioni, delocalizzazioni, deindustrializzazione, precarietà e disoccupazione, attacco ai salari e alle pensioni, erosione dei risparmi. Sempre secondo Galloni, il ricorso alla moneta parallela – non vietato allo stesso Trattato di Lisbona – permetterebbe all’Italia di eseguire enormi investimenti, puntando rapidamente alla piena occupazione).In quale tipo di situazione ci stiamo trovando? Mentre era evidente che i poteri economico-finanziari, per la prima volta nella storia, non fossero in grado di dare indicazioni su come l’economia e la finanza dovessero affrontare le crisi che stavano cominciando, si è tirato fuori prima il pretesto dell’ambiente – che è un gravissimo problema per l’umanità, ma non certo nei termini sollevati da Greta e dai suoi seguaci – e adesso c’è questo coronavirus. Come nasce, il Mes? E’ l’erede di quel Fondo Salva-Stati che fu costituito prima che la Banca Centrale Europea si attrezzasse per comperare i titoli di Stato sul mercato secondario. Quindi è diventato inutile, nel momento in cui la Bce può acquistare titoli di Stato, può immettere tutti gli euro che vuole (come fanno le altre banche centrali del pianeta) per comperare titoli di qualunque genere – anche titoli tossici: oggi circolano 54 Pil mondiali di titoli tossici di debiti, ed è questa la ragione per cui il sistema sta diventando ingovernabile. Ma non ci sono soluzioni: né da parte di quelli che ci hanno dominato finora, né da parte nostra, in fondo, che siamo qui per cercare di affrontare la situazione.
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Crosetto: Mes, rischio-catastrofe. Savona: ve l’avevo detto
Un documento inviato a tutti i ministri da Paolo Savona, oggi presidente Consob ma allora titolare degli Affari Ue, metteva in guardia il governo dai rischi delle modifiche del Mes. Quel documento, “Una politeia per un’Europa diversa”, aveva spaventato molto il mondo politico e finanziario dell’Unione, ma aveva centrato il punto: «La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami – metteva nero su bianco Savona, come ricorda il “Messaggero” – oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici». Traduzione: il Mes avrebbe peggiorato, e non risolto i problemi degli Stati costretti a ricorrervi. «Se c’è fretta di chiudere sul Mes, è un segnale drammatico». Guido Crosetto, ospite di “Omnibus” su “La7″, suggerisce qualcosa che tutti, fino a oggi, hanno sottovalutato o semplicemente nascosto, scrive “Libero”: il pressing dell’Unione europea sull’Italia per approvare la riforma del Fondo Salva-Stati potrebbe nascondere la preoccupazione di un imminente crac finanziario.«Temo che vogliano chiudere sul trattato – spiega il fondatore di Fratelli d’Italia, oggi ex parlamentare – perché la situazione delle banche tedesche e olandesi, a rischio crac, sia molto grave». Il riferimento è soprattutto a DeutscheBank e KommerzBank, i due colossi tedeschi a rischio collasso. «E guardate bene», avverte Crosetto: «Se saltano le banche avremo uno tsunami in confronto al quale la crisi del 2008 sarà nulla. E a pagare, come sempre, saranno i paesi più deboli, come l’Italia». Nel testo del rinnovato Mes, aggiunge “Libero”, è rimasta la valutazione della sostenibilità dei debiti e della capacità dello Stato che chiede un prestito di poterlo restituire. Ed è un punto che difficilmente sarà oggetto di negoziazione ulteriore. Al premier Giuseppe Conte e al ministro dell’economia Roberto Gualtieri, spiega il “Messaggero”, rimane la carta della modifica degli allegati, per correggere parzialmente un tiro destinato a fare malissimo all’Italia. Perché la ristrutturazione del debito (che renderebbe carta straccia i titoli di Stato, in mano soprattutto ai risparmiatori italiani) è ancora in piedi. E anzi, resta un caposaldo del Meccanismo Europeo di Stabilità.Nel frattempo, lo scandalo-Mes sta facendo franare il governo giallorosso: secondo Augusto Minzolini, autore di un report dietro le quinte pubblicato dal “Giornale”, Renzi avrebbe promesso a Salvini di staccare la spina al Conte-bis, in cambio di un eventuale accordo con la Lega per il varo di una legge elettorale proporzionale. Dal canto suo, il “Corriere della Sera” parla di imminenti diserzioni tra i 5 Stelle. E scrive: «Fonti leghiste assicurano che già quattro senatori hanno accettato il trasbordo nella Lega e altri starebbero per cedere». Voci che fanno il paio con chi, nel Movimento, parla insistentemente di scissione. Nei guai Conte, accusato di aver ceduto (in segreto) alle pressioni europee sul Mes. Lui smentisce, ovviamente. «Peccato che poi, implicitamente, riconosca come sia stato costretto a una brusca frenata sul negoziato che, diversamente – scrive “Libero” – sarebbe già andato in porto come suggerito maldestramente dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri in commissione, parlando di “trattato già firmato e inemendabile”». Conte, infatti, ora parla di “rinvio possibile” e di un ok al Mes “vincolato” alla riforma dell’unione bancaria a marzo.Un documento inviato a tutti i ministri da Paolo Savona, oggi presidente Consob ma allora titolare degli affari Ue, metteva in guardia il governo dai rischi delle modifiche del Mes. Quel documento, “Una politeia per un’Europa diversa”, aveva spaventato molto il mondo politico e finanziario dell’Unione, ma aveva centrato il punto: «La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami – metteva nero su bianco Savona, come ricorda il “Messaggero” – oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici». Traduzione: il Mes avrebbe peggiorato, e non risolto i problemi degli Stati costretti a ricorrervi. «Se c’è fretta di chiudere sul Mes, è un segnale drammatico». Guido Crosetto, ospite di “Omnibus” su “La7″, suggerisce qualcosa che tutti, fino a oggi, hanno sottovalutato o semplicemente nascosto, scrive “Libero“: il pressing dell’Unione europea sull’Italia per approvare la riforma del Fondo salva-Stati potrebbe nascondere la preoccupazione di un imminente crac finanziario.
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Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
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Galloni: il Mes è una follia, ma il tradimento risale al 1981
Alto tradimento, da parte di Giuseppe Conte, se ha firmato un accordo segreto sul Mes che espone gli italiani al rischio di dover sostenere di tasca propria l’eventuale “ristrutturazione” del debito pubblico? «Se Conte avesse stipulato un patto segreto contro il suo paese, il reato di alto tradimento dovrebbe essere accertato dai magistrati competenti». Lo afferma l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, richiamando l’allarme lanciato da Paolo Becchi. Per Galloni, «Becchi ha sollevato una questione reale, ma il problema – sottolinea – è dimostrare che questi accordi ci siano stati». In ogni caso, aggiunge, «le grandi decisioni di politica economica, come il divorzio del 1981 tra Tesoro e Bankitalia, non sono mai passate per il Parlamento». Galloni sgombra il campo da un equivoco: non è stata “l’Europa” a mettere nei guai l’Italia. E’ stata la classe dirigente italiana a smontare l’industria pubblica e svendere quella privata. «A quel punto, Francia e Germania hanno fatto dell’Italia una colonia a vantaggio dei loro interessi», ma solo dopo la decisione dell’Italia di rinunciare a valorizzare il proprio grande potenziale economico.A Galloni, il Mes sembra «una follia», letteralmente: «Dato che il credito privato è più elevato del debito pubblico, allora i privati pagheranno la differenza?». Assurdo, visto che «chi compra i titoli di debito sta dando risorse allo Stato». Quanto ex Fondo salva-Stati, ora Meccanismo Europeo di Stabilità (creato per assicurare fondi ai governi, nel caso il mercato non comprasse i bond), Galloni è netto: «Non si può decretare la depenalizzazione per un istituto come il Mes», i cui funzionari non rispondono alle leggi dei paesi membri. «Casomai, gli Stati avrebbero dovuto accordarsi sull’istituzione di un tribunale penale europeo per le questioni monetarie, finanziarie e tributarie», sostiene l’economista. «Sarebbe stato coerente con la Costituzione italiana, laddove parla di limitazioni della sovranità (ma certo non contro la logica del diritto, depenalizzando reati commessi da qualcuno che è al di sopra della legge)». Aggiunge Galloni: «Se tutta questa manfrina sul Mes serve a introdurre nel sistema la categoria del “legibus solutus”, cioè del sovra-sovrano, è chiaro che siamo tornati indietro dal punto di vista della civiltà».Il problema però non è di oggi, ricorda Galloni: innanzitutto, «i partner Ue hanno sottoscritto accordi basati su parametri che non tenevano conto del fatto che l’economia potesse andare male: si riteneva che l’Ue e l’euro, di per sé, avrebbero garantito una crescita costante, attorno al 2% annuo». Poi c’è stata la doccia fredda del 2009, eppure le premesse allarmanti non mancavano: i tassi di sviluppo negli anni ‘70 erano altissimi, ma sono calati già negli anni ‘80. Negli anni ‘90 sono ulteriormente scesi, e così negli anni duemila, fino a crollare negli ultimi anni. L’economia è in crisi, ma i parametri Ue sono ancora quelli della crescita presunta. «In base al principio “ad impossibilia nemo tenetur”, questi parametri sono annullabili». In una situazione recessiva, che senso ha limitare ancora il deficit al 3% del Pil, e il debito pubblico al 60% del prodotto interno lordo? «Non si era prevista una situazione di crisi e recessione? Male: allora l’accordo era mal fatto, quindi bisogna modificarlo».Comunque, ragiona Galloni, «riguardo al parametro debito-Pil, quelli che firmarono per l’Italia ai tempi di Maastricht non lo sapevano, che il debito italiano aveva superato il Pil già da anni? Perché sono andati a firmare che il debito pubblico doveva scendere sotto il 60%, quando già era al 115%?». Secondo l’economista, «sarebbe stato meglio dire: debito pubblico e debito privato non possono superare il 400%». In quel caso, oltretutto, noi italiani «saremmo “virtuosi” insieme alla Germania, mentre oggi tutti gli altri paesi sono oltre il 400%, se si somma il debito dello Stato a quello delle famiglie e delle imprese». In altre parole, «noi siamo le pecore nere solo per il debito dello Stato, ma si sa che grossomodo il debito pubblico corrisponde alla ricchezza privata». Vie d’uscita, a parte le polemiche sul Mes? Per Galloni, «qui bisogna mettersi intorno a un tavolo seriamente – Italia, Francia e Germania in primis – e dire: rispettiamo solo i parametri che abbiano un senso (e questi non ne hanno: lo sanno pure i sassi). E che siano parametri espressi da organi che sanno di cosa stanno parlando, e non da politici che vanno a svendere i loro paesi».(Fonte: video-intervento di Nino Galloni su YouTube registrato con Marco Moiso il 20 novembre 2019).Alto tradimento, da parte di Giuseppe Conte, se ha firmato un accordo segreto sul Mes che espone gli italiani al rischio di dover sostenere di tasca propria l’eventuale “ristrutturazione” del debito pubblico? «Se Conte avesse stipulato un patto segreto contro il suo paese, il reato di alto tradimento dovrebbe essere accertato dai magistrati competenti». Lo afferma l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, richiamando l’allarme lanciato da Paolo Becchi. Per Galloni, «Becchi ha sollevato una questione reale, ma il problema – sottolinea – è dimostrare che questi accordi ci siano stati». In ogni caso, aggiunge, «le grandi decisioni di politica economica, come il divorzio del 1981 tra Tesoro e Bankitalia, non sono mai passate per il Parlamento». Galloni sgombra il campo da un equivoco: non è stata “l’Europa” a mettere nei guai l’Italia. E’ stata la classe dirigente italiana a smontare l’industria pubblica e svendere quella privata. «A quel punto, Francia e Germania hanno fatto dell’Italia una colonia a vantaggio dei loro interessi», ma solo dopo la decisione dell’Italia di rinunciare a valorizzare il proprio grande potenziale economico.
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Mes: grazie a Conte, l’Europa farà fuori le nostre banche
Si chiama Mes, normalmente viene detto fondo salva-Stati, l’acronimo sta per Meccanismo Europeo di Stabilità. Ed è improvvisamente tornato sotto i riflettori dopo che in un seminario Bankitalia-Omfif il governatore Visco ha lanciato l’allarme. «I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default», ha detto il governatore. Proprio così: enorme rischio. Federico Ferraù, sul “Sussidiario”, ne ha parlato con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. «Ci rendiamo conto di quello che vorrebbe dire per il sistema bancario nazionale una ristrutturazione forzata del debito italiano?». Giampaolo Galli, vicedirettore dell’Osservatorio sui conti pubblici presieduto da Cottarelli, lo ha spiegato in una audizione alla Camera: «Sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di risparmiatori». Il Mes è un fondo comune di credito che ricapitalizza Stati e banche in difficoltà. Un benefattore europeo? Tutt’altro: il Mes non elargisce a costo zero. Lo fa alle sue condizioni: totale controllo sulle politiche di bilancio dello Stato richiedente. Anche a costo di impoverire tutti.Sulla riforma del Mes, ricorda Ferraù, hanno richiamato l’attenzione Alberto Bagnai e Claudio Borghi fin da quando la Lega era al governo. Allarme inascoltato, fino alle attuali parole di Visco. «Era già tutto scritto», afferma il professor Mangia. Per stare nel Mes «abbiamo pagato molto, negli anni – cifre dell’ordine di qualche decina di miliardi – e solo adesso ci si accorge di che cosa sia». Ovvero? «Il Mes è il figlio di una stagione di crisi, è stato generato da una crisi, e adesso vuole consolidarsi fino a diventare parte integrante del diritto dell’Unione. Fino ad oggi è un Trattato internazionale che ha dato origine a quello che, asetticamente, si definisce un “veicolo finanziario”». In realtà, spiega Alessandro Mangia, il Mes è un soggetto di diritto internazionale «che esercita attività bancaria avvalendosi, però, dello statuto e delle garanzie di un soggetto sovrano». Quindi può rifinanziare singoli Stati o singoli sistemi bancari, però sotto “stretta condizionalità”. «Non so se ci si rende conto delle implicazioni politiche dell’adozione di meccanismi propri del diritto commerciale e bancario a regolare i rapporti fra Stati: si è un po’ in ritardo se ci si preoccupa adesso di cosa sia il Mes».Che Bankitalia (non certo antieuropeista) abbia manifestato profonde preoccupazioni al riguardo dovrebbe dirla lunga. «Il punto è che probabilmente i buoi sono già usciti dalla stalla anni fa, e solo adesso ci si accorge che la stalla è vuota». In altre parole: «Si vuole far diventare il Mes un Fondo Monetario Europeo, che integri il ruolo della Bce sul versante dell’essere “prestatore di ultima istanza”». La Bce non può esserlo, ricorda Mangia: quelle funzioni sono state surrogate dal programma Omt (Outright monetary transactions) di Draghi, su cui c’è stato contenzioso presso la Corte di Giustizia. «E adesso, in una fase di crisi bancaria incipiente – si pensi solo all’esposizione di Deutsche Bank sul mercato dei derivati, pari a 20 volte il Pil tedesco – si ha fretta di chiudere il cerchio, creando un prestatore di ultima istanza. Intanto si riforma il Mes, poi si penserà al suo inserimento nell’intelaiatura istituzionale dell’Unione». Secondo Mangia, «Bankitalia ha capito che rischi corre con l’approvazione delle modifiche che due anni fa chiedeva Schäuble, e che sono state oggetto di una dichiarazione congiunta franco-tedesca nel giugno 2018. A stretto giro quella dichiarazione è stata ripresa – sempre in giugno – dall’Eurogruppo, che è un altro organo misterioso e non previsto dai Trattati, e da un Eurosummit cui ha partecipato il governo italiano, nella sua versione Conte-1».Del Mes ha parlato anche Salvini su Facebook: «Pare che, nei mesi scorsi, Conte o qualcuno abbia firmato di notte e di nascosto un accordo in Europa per cambiare il Mes, ossia l’autorizzazione a piallare il risparmio degli italiani. Non lo lasceremo passare. Sarebbe alto tradimento, se qualcuno – senza interpellare il Parlamento – avesse trasformato il fondo salva-Stati in un fondo ammazza-Stati». Insomma, abbiamo dormito? Avverte Mangia: «Il caso del Mes è stato totalmente sottovalutato dalla stampa, nonostante Borghi e Bagnai si siano spesi fin da allora per portarlo all’attenzione dei media». La verità è che «la gente non sa cos’è il Mes e a cosa serve». Accusano ora Bagnai e Borghi: «Abbiamo sempre denunciato il sospetto segreto con cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e l’ex ministro dell’economia Giovanni Tria, hanno condotto le trattative senza mai informare il Parlamento, pur essendone obbligati per legge. La loro reticenza ci aveva indotto persino ad interrogazioni parlamentari addirittura quando eravamo parte della stessa maggioranza».Se ci si stupisce di questo, ribatte Mangia, vuol dire che non si è letto o non si è capito l’attuale Trattato Mes e le clamorose anomalie che conteneva fin dall’inizio. «Il Mes e i suoi funzionari godono di piena e perfetta immunità da ogni giurisdizione. Non possono essere oggetto di perquisizioni, ispezioni o altro da chicchessia. I suoi documenti sono secretati. Gli organi di vertice non sono perseguibili per gli atti adottati nell’esercizio delle loro funzioni. I governatori – e cioè i ministri economici degli Stati aderenti al trattato: in poche parole Tria o chi per lui – sono tenuti (ripeto, tenuti) – al segreto professionale nel momento in cui operano all’interno del Mes, tanto durante quanto dopo l’esercizio delle loro funzioni (articolo 34). Questa è legge dello Stato, non è aria fritta». Una norma simile, dice Mangia, ha perfettamente senso dentro una banca. Cosa succede se invece la logica del segreto professionale la si colloca nel rapporto tra governo e Parlamento? «Ci sta o non ci sta che un ministro debba tacere di fronte al Parlamento? Ci si rende conto di cosa si è fatto approvando una norma del genere nel 2012? E di quanto si è alterato il meccanismo di responsabilità politica disegnato in Costituzione tra ministro e Parlamento?».Se a questo si aggiunge che l’esercizio di potere estero sfugge, per sua natura, al controllo delle Camere, tranne che in certi casi tassativamente indicati dall’articolo 80, si capisce quanto fantasiose siano certe rappresentazioni del lavoro parlamentare. Basti pensare ai trattati segreti o ai trattati adottati in forma semplificata. «Si dice che non tutti i cammelli possono passare per la cruna dell’ago. In realtà ci si dimentica di dire che certi cammelli non hanno neanche bisogno di passarci, per la cruna dell’ago». Il testo della riforma, aggiunge Mangia, è arrivato prima su Internet che in Commissione: «Diciamo che Conte e Tria sono stati tutt’altro che solerti nell’informare le Camere dell’esito di quegli incontri». Possono essere accusati di alto tradimento, come ha ipotizzato Salvini? Assolutamente no, visto in carattere più che anomalo del trattato: l’articolo 34 del Mes «è fatto per interrompere gli obblighi di comunicazione e responsabilità tra Parlamenti nazionali e ministri», spiega Mangia. «Certo, nel caso di Tria non si applica l’articolo 34 sul segreto professionale, ma quello è il principio. Che pone un enorme problema costituzionale di ministri legittimati a mentire o a tacere di fronte alle Camere».Secondo Mangia, è assolutamente «ridicolo», oggi, parlare di legittimazione democratica del Mes, come fa Giampaolo Galli: «È come parlare di legittimazione democratica di una banca, perché la legge la legittima a fare la banca. Sarebbe tutto molto divertente, non fosse che rischia di essere tragico per le sue conseguenze». E cioè? «Per le stesse ragioni messe in chiaro da Galli nel suo intervento, e che hanno fatto muovere Bankitalia». Mangia sottolinea la marginalizzazione del ruolo della Commissione Europea nel valutare l’opportunità di rilasciare finanziamenti ai singoli Stati in caso di bisogno: «La Commissione viene ritenuta ormai un organo troppo “politico” già nella burocrazia di Bruxelles, che rivendica un suo ruolo contro la Commissione», rispetto a molti obiettivi: la scelta di condizionare il rilascio di finanziamenti a una ristrutturazione preventiva del debito, ma anche l’inclusione di clausole di azione collettiva nelle emissioni di debito pubblico dal 2022 in poi, costruite per facilitare quelle operazioni di ristrutturazione del debito che sembrano essere il cuore di questa riforma.Sintetizza Mangia: «Se un bel giorno si arrivasse ad una situazione di crisi dello spread, tale da precludere l’accesso dell’Italia al finanziamento dei mercati, e si dovesse chiedere l’intervento del Mes – del quale saremmo comunque i terzi contributori – sarebbe il Mes, e non la Commissione, a valutare sulla base di meccanismi automatici l’opportunità di chiedere una ristrutturazione del debito pubblico». In altre parole «sarebbe il Mes a determinare le “condizionalità” – e cioè le politiche economiche “lacrime e sangue” da praticare – per ottenere questo finanziamento». E sarebbe sempre il Mes, alla fine, a determinare il contenuto di questa ristrutturazione. «Peccato che il debito pubblico italiano sia detenuto per il 70% da banche nazionali». E quindi? «Vuol dire che una ristrutturazione di quel debito inciderebbe in modo pesantissimo sui bilanci di banche che hanno comunque sostenuto – oggi assai più che in passato – il debito pubblico nazionale», conclude Mangia. «Ci rendiamo conto di quello che vorrebbe dire per il sistema bancario nazionale una ristrutturazione forzata del debito italiano? E perché si parli di questa riforma come di una pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani?».Si chiama Mes, normalmente viene detto fondo salva-Stati, l’acronimo sta per Meccanismo Europeo di Stabilità. Ed è improvvisamente tornato sotto i riflettori dopo che in un seminario Bankitalia-Omfif il governatore Visco ha lanciato l’allarme. «I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default», ha detto il governatore. Proprio così: enorme rischio. Federico Ferraù, sul “Sussidiario“, ne ha parlato con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. «Ci rendiamo conto di quello che vorrebbe dire per il sistema bancario nazionale una ristrutturazione forzata del debito italiano?». Giampaolo Galli, vicedirettore dell’Osservatorio sui conti pubblici presieduto da Cottarelli, lo ha spiegato in una audizione alla Camera: «Sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di risparmiatori». Il Mes è un fondo comune di credito che ricapitalizza Stati e banche in difficoltà. Un benefattore europeo? Tutt’altro: il Mes non elargisce a costo zero. Lo fa alle sue condizioni: totale controllo sulle politiche di bilancio dello Stato richiedente. Anche a costo di impoverire tutti.
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Grazie all’imbroglio del debito, vogliono portarci via tutto
Siamo nei guai, da quando «abbiamo consegnato direttamente ai mercati finanziari la possibilità di creare nuova moneta». A chi conveniva? A loro, l’élite finanziaria speculativa. Si sono fatti le leggi che volevano. E oggi l’establishment ci racconta che il deficit è una tragedia, e che i “mercati” sono i nostri unici, veri padroni. Lo ammette persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Siamo caduti in un colossale imbroglio, avverte l’ex manager Bnl Guido Grossi, intervistato da “Tiscali”. La buona notizia è che possiamo uscirne: primo passo, rimettere in debito in mani italiane, riattivando i Bot a breve scadenza su misura per i cittadini: «Bastano 200 miliardi per far svanire l’incubo dello spread. E l’Italia è ricchissima: 4.200 miliardi di risparmi, più 5.000 miliardi di patrimonio immobiliare». Si può allonatarsi anche rapidamente, dalle secche artificiose del rigore, a una condizione: che si sappia chi ci ha inguaiati, come funziona la trappola del debito “privatizzato” e a cosa serve. Ad accumulare soldi? Sbagliato: il vero obiettivo è fare incetta di beni pubblici, dopo averne fatto crollare il prezzo attraverso crisi pilotate.La storia della nostra “prigionia” è lunga è dolorosa, riassume Grossi. Pietra miliare, il Trattato di Maastricht: l’Ue non può prestare soldi agli Stati né ad altri enti pubblici diversi dalle banche. «Perché? Non c’è alcun ragionevole motivo». Non esiste ragione, spiega Grossi, per cui la politica debba rinunciare al controllo della moneta. «Noi viviamo nell’economia dello scambio, visto che nessuno è in grado di prodursi tutto quello di cui ha bisogno, e per scambiarsi le cose serve la moneta. Questa deve circolare, passare di mano in mano, e quando ce n’è poca nel sistema bisogna immetterla». E dal 1971, finito il “gold standard”, è diventato chiaro che creare moneta è qualcosa che si può fare senza costi. «L’importante è che ce ne sia la giusta quantità e che, soprattutto, vada a finire nelle tasche giuste. Ma lo Stato ha rinunciato al potere di emetterla, questo è il primo punto». Il secondo? Il sistema finanziario si è trasformato: prima, il cittadino portava i risparmi in banca, e la banca li investiva nell’economia reale e creava lavoro. Oppure il cittadino prestava quei risparmi allo Stato, sotto forma di Bot e Cct, perché era un modo per metterli al sicuro.«Lo Stato usava quei risparmi per fare spesa pubblica: in sostanza, rimetteva quei soldi nelle tasche dei cittadini che spendono e nelle casse delle imprese che investono». La moneta circolava, aggiunge Grossi, perché «c’era un controllo pubblico», sia nella sua creazione, sia nella sua circolazione. Ormai «la moneta si crea dal nulla». Dunque, «sarebbe meglio riportarla sotto il controllo pubblico». La questione è che circola molto male, la moneta, «perché il sistema finanziario è diventato privato». E non solo: «Ha smesso di fare il suo mestiere: non prende il risparmio privato per indirizzarlo sulle imprese che investono o nelle famiglie che devono comprare casa». Il grosso «finisce sui mercati finanziari». E se tutti vogliono comprare i titoli di Stato il loro prezzo sale. Peraltro, «se il mercato compra titoli e le banche centrali continuano a comprarne con le operazioni di “quantitative easing”, e comprano pure titoli di aziende private, in quelle operazioni non fanno altro che sostenere il prezzo della bolla speculativa. Ci dicono che lo fanno per far salire l’inflazione e far entrare soldi alle imprese ma questi soldi vanno direttamente sui mercati finanziari».Fino agli anni ‘90, prosegue Grossi, si finanziavano ancora investimenti e imprese. Ora invece «la gran parte viene destinata a circolare attraverso lo scambio di titoli, di derivati sempre più complessi e sempre più oscuri». Così, la finanza decide tutto: «Una grande banca d’affari può chiamare una impresa, ottenere la sua collocazione in Borsa, studiarla, preparare il report per presentarla ai mercati, finire col conoscerla meglio di quanto non riesca a fare l’impresa stessa. Può farle avere i soldi dei mercati perché conosce tutti i fondi di investimento, anzi ha i suoi fondi di investimento. Ha la sua ricerca che può distribuire a tutti gli enti istituzionali in giro per il mondo, può fabbricare i derivati sui titoli e sui prestiti, negoziarli, fare tutto per operare sui mercati finanziari». Ed è chiaro che, con tali informazioni, la banca può sapere molto prima di altri quando il prezzo può salire e quando può scendere. «Possono fare qualsiasi cosa, far arricchire chi vogliono». L’obiettivo finale? «Non è continuare ad accumulare moneta, ma comprare beni reali», spiega Grossi. «E come si fa a comprare a basso costo cose reali? Scatenando crisi economiche».La Grecia insegna: con la scusa del debito, società e banche tedesche si sono prese anche gli aeroporti. Chi ha impedito alla Grecia di difendersi? L’Unione Europea, con i suoi vincoli: proibendo allo Stato di creare moneta, e perfino di farsela prestare per fare spesa pubblica in investimenti. Ovvio che il mondo finanziario sia intimamente legato alle multinazionali. E paesi come la Germania e gli Usa, dove c’è un grosso nucleo di grandi aziende internazionalizzate, traggono enormi dei benefici da questo sistema: a monte, riescono a ottenere regole su misura per il proprio business. «Anche in Italia ce le avevamo, le grandi aziende: le partecipazioni statali». Certo, ricorda Grossi, ci hanno raccontato che erano “carrozzoni” spreca-soldi. «In realtà facevano invidia agli Usa, alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Germania». Così è arrivata la mannaia Ue: «Il Trattato di Maastricht ci ha poi imposto il vincolo assurdo del rapporto del 60% tra debito e Pil (e deficit non superiore al 3% del Pil)». E’ avvenuto «in un particolare momento, in cui noi eravamo a 100 e gli altri a 60». Obiettivo: frenare l’Italia, barando.«Così abbiamo dovuto svendere le partecipazioni statali, perché l’unico modo per entrare era vendere il patrimonio pubblico». La situazione, osserva Grossi, è precipitata con il divorzio fra Tesoro e Bankitalia, quando la banca centrale ha smesso di finanziare il governo a costo zero, “regalando” il debito (interessi) alla finanza privata. E ora siamo al pareggio di bilancio, varato da Monti: «Quando l’economia è ferma e c’è troppa disoccupazione, lo Stato ha il dovere di intervenire». C’è scritto nella Costituzione, ricorda Grossi: «Lo Stato ha il dovere di fare quanto necessario per metterci in grado di avere una esistenza libera e dignitosa, di contribuire al progresso materiale e spirituale della nazione. E ciò lo possiamo realizzare solo lavorando. Se c’è disoccupazione, crisi economica, le famiglie non spendono e le imprese non investono, allora o interviene qualcuno dall’esterno o la crisi rimane e continua ad avvitarsi su se stessa». A questo punto come fa, uno Stato, a continuare a perseguire politiche “costituzionali”, cioè keynesiane, di sviluppo e occupazione?«Tolto il potere di chiedere a Bankitalia di finanziare il deficit, aggiunto il vincolo di pareggio di bilancio, lo Stato in pratica non può più intervenire nell’economia». Attenzione: «Quando lo Stato poteva creare moneta, il debito pubblico materialmente finiva per non essere un problema». Controllando la leva monetaria, lo Stato non poteva mai ritrovarsi senza soldi. Gli stessi titoli di Stato, aggiunge Grossi, non servivano certo a incamerare denaro: al contrario, erano soldi che lo Stato lasciava ai cittadini, «per impiegare tranquillamente i loro risparmi nella maniera meno rischiosa e più sicura possibile». Se invece viene tolta la sovranità monetaria, sottolinea Grossi, allora il rischio comincia a nascere: «Lo Stato, per ripagare i titoli, è obbligato o a prendere con le tasse i soldi dalle tasche di alcuni cittadini per ripagare chi ha i titoli, o a farseli prestare. Per vendere i titoli di Stato, poi, il tesoro si serve degli operatori specialistici, che sono Goldman Sachs, Jp Morgan, Morgan Stanley e così via. Anziché rivolgersi ai suoi cittadini che non sanno dove mettere i risparmi, si rivolge alle banche private che fanno aumentare i costi dello Stato».Solo una parte del debito italiano, comunque, è in mano a stranieri: 700 miliardi, su 2.341. Ma questo non cambia la situazione, «perché la maggior parte dei titoli è controllata da questo sistema finanziario». In pratica, «gli investitori ci prestano i soldi alle loro condizioni, e noi abbiamo il rischio spread. Un rischio che arriva dai mercati: non sta scritto in nessuna norma che dobbiamo averlo. E’ stata una scelta tecnico-amministrativa che non ci è mai stata raccontata. Di questa scelta – dice Grossi – dobbiamo liberarci». Mettendo il debito pubblico in mano agli investitori internazionali stranieri e non avendo possibilità di stampare moneta, aggiunge Grossi, lo Stato è costretto a farsi prestare i soldi da altri per pagare quegli investitori. «Ho rinunciato a farmi prestare anche i soldi dai cittadini, e dunque mi sono messo un cappio al collo. Voglio finanziare cose indispensabili per il paese? Sale lo spread, le agenzie di rating abbassano la qualifica dei nostri titoli e possono determinare eventi rischiosissimi e catastrofici. Se viene abbassato il rating molti investitori possono essere spinti a vendere i nostri titoli. E se tutti vendono, si svende».Alla fine può arrivare il default, scattare il meccanismo “salva-Stati” come in Grecia. «Cioè: arrivano, ci prestano i soldi e in cambio ci impongono le tasse, ci dicono cosa privatizzare, cosa vendere, cosa tagliare e chi licenziare, ci piaccia o no. Per questo bisogna rimettere ordine nella nostra ricchezza e modificare il meccanismo uscendo dal cappio». Lo Stato, spiega Grossi, oggi paga inoltre tassi d’interesse altissimi perché si rivolge ai mercati finanziari esteri. «Negli anni ’80 avevamo tassi nominali molto alti, pagavamo anche il 10,15 o 20%. Oggi invece paghiamo dall’1 al 3%». Sembra che ci abbiamo guadagnato, e invece ci abbiamo perso: quello che conta, infatti, è il tasso nominale meno il tasso d’inflazione. «Se ho un debito di 100, se in un anno pago il 10% ma l’inflazione sta al 15%, a fine anno non ho pagato 10, ho risparmiato 5. Perché il peso del mio debito è sceso del 5%. Questo indipendentemente dal livello dei tassi nominali».I problemi sono iniziati smettendo di chiedere i soldi ai risparmiatori italiani, «che si accontentano di un tasso al di sotto dell’inflazione perché vogliono semplicemente difendere il valore del capitale». Tradotto: se io perdo l’1% cento (inflazione) ma nessuno mi tocca il capitale, non mi preoccupo. «Se invece compro un prodotto di investimento in banca e nel momento stesso in cui lo prendo già mi hanno tolto il 4 o 5% (anni addietro addirittura il 10%) allora sì che corro dei rischi e devo preoccuparmi. E quando lo Stato sceglie di farsi prestare i soldi non più dai propri cittadini, che si accontentano di un piccolo tasso di interesse in cambio della sicurezza, e comincia a rivolgersi agli investitori istituzionali che per natura fanno gli speculatori, è per forza costretto a pagare di più». A loro sta bene rischiare un po’ di capitale, a differenza del cittadino risparmiatore, ma vogliono essere pagati molto di più in cambio del rischio. «Ed ecco che i tassi reali sono diventati positivi».Oggi in Italia c’è l’inflazione all’1,50. Il Btp trentennale rende il 3,55%, quindi lo stato paga il 2% reale. «Sembra una cifra bassa ma è altissima, perché basta che passi il tempo e il debito cresce a dismisura. E’ esattamente quanto è successo, anche se ci raccontano che abbiamo sperperato i soldi». Insiste Grossi: «Lo spreco vero sono i 10 milioni di italiani che potrebbero lavorare e non facciamo lavorare», proprio perché il “cappio” di questo debito – gonfiato dalla speculazione – ci lascia in bolletta, mentre l’Ue ci impedisce di fare deficit per investire sul lavoro. Risultato: grazie alle politiche “lacrime e sangue”, ai tagli e all’austerity, in questi ultimi anni il debito pubblico (che si diceva di voler tagliare) è continuato a salire. «Sale il debito, sale la povertà, sale la disoccupazione. E’ evidente che la direzione presa era completamente sbagliata». Il timido Def “gialloverde”, con quel 2,4% di deficit, è primo segnale di una possibile inversione di tendenza, finalmente: il deficit generarerà un aumento del Pil, dei consumi, dell’occupazione.Siamo nei guai, da quando «abbiamo consegnato direttamente ai mercati finanziari la possibilità di creare nuova moneta». A chi conveniva? A loro, l’élite finanziaria speculativa. Si sono fatti le leggi che volevano. E oggi l’establishment ci racconta che il deficit è una tragedia, e che i “mercati” sono i nostri unici, veri padroni. Lo ammette persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Siamo caduti in un colossale imbroglio, avverte l’ex manager Bnl Guido Grossi, intervistato da “Tiscali”. La buona notizia è che possiamo uscirne: primo passo, rimettere in debito in mani italiane, riattivando i Bot a breve scadenza su misura per i cittadini: «Bastano 200 miliardi per far svanire l’incubo dello spread. E l’Italia è ricchissima: 4.200 miliardi di risparmi, più 5.000 miliardi di patrimonio immobiliare». Ci si può allontanare anche rapidamente, dalle secche artificiose del rigore, a una condizione: che si sappia chi ci ha inguaiati, come funziona la trappola del debito “privatizzato” e a cosa serve. Ad accumulare soldi? Sbagliato: il vero obiettivo è fare incetta di beni pubblici, dopo averne fatto crollare il prezzo attraverso crisi pilotate.
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Forte: e ora Berlino farà pagare a noi il conto della sua crisi
Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici. È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi. Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori. Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze. Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea. Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.Va in fumo il sogno di Renzi di rivedere le regole di bilancio europee con una deroga permanente al principio del pareggio per il bilancio statale, che peraltro su iniziativa di Forza Italia è stato adottato anche nella Costituzione italiana. Va in soffitta fra le cianfrusaglie l’idea dei 5 Stelle di fare gli europeisti e, insieme, di dare un reddito di cittadinanza generalizzato a chi non lavora. Cade a picco anche l’erronea interpretazione del dovere di prima accoglienza, che per il vigente diritto comunitario compete allo Stato in cui essi cercano di sbarcare. Questa prima accoglienza, secondo la tesi che ora la Germania sosterrà, modificando la politica immigratoria della Merkel, consisterà nel soccorrerli, rimandandoli nei luoghi di provenienza, intervenendo là. Si accetteranno solo immigrati regolari che domandano un lavoro di cui c’è disponibilità. Chi vuole lo ius soli, si rassegni: Berlino lo bloccherà perché comporta il passaporto europeo.Il governo Gentiloni ha varato una legge di bilancio 2018-20 che implica un “margine di flessibilità”. Contava sull’appoggio dei socialdemocratici tedeschi (che non saranno più al governo) e dei francesi che dovranno faticare a contrattare per sé margini di flessibilità con l’Europa in versione “liberale rigorista tedesca”. È vero che la creazione del ministro delle finanze europeo, secondo il progetto lanciato da Schäuble che vi aspira, comporta la revisione di regole europee, perciò tempi lunghi. Ma Juncker, presidente della Commissione Europea, nel discorso sullo stato dell’Unione lo ha modificato, così da escludere tale revisione. Questa carica sarebbe tecnica: toccherebbe al vicepresidente dell’Unione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze, dotato di maggiori competenze nell’attuazione delle regole vigenti del Fiscal Compact su bilanci e debiti degli Stati membri.Ci vorrà tempo prima che vengano formate la nuova coalizione politica e la nuova compagine governativa a Berlino, sicché la richiesta di rettifica del bilancio italiano 2018 può slittare e ricadere sul governo che verrà dopo le elezioni politiche. Draghi frattanto continuerà il Qe per tutto il 2017, anche a favore dell’Italia, contrariamente alla richiesta avanzata dalla Germania. Ma poi Draghi sarà sostituito. Senza una politica fiscale europea di investimenti, rivolta a compensare gli effetti deflattivi dello smantellamento del Qe e del rientro dai deficit dei paesi membri, rischiamo di trovarci con una riduzione della crescita del Pil. Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.(Francesco Forte, “Immigrati ed economia: la nuova Germania sarà nemica dell’Italia”, da “Il Giornale” del 26 settembre 2017).Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici. È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi. Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori. Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze. Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea. Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.
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Schulz: senza l’euro Berlino non teme la Cina, ma l’Italia
«Senza l’euro, la Germania non dovrebbe temere la Cina, ma l’Italia». Parola di Martin Schulz, intervistato da Konstantin von Hammerstein e Gordon Repinski dello “Spiegel”. Colloquio illuminante, che risale al 2012: «Oltre a dimostrare come in cinque anni non sia stato fatto nulla per risolvere i problemi della Ue», scrive “Voci dall’Estero”, che ha tradotto l’articolo e ora lo ripropone, «chiarisce il pensiero dell’odierno avversario della Merkel, sedicente socialdemocratico e possibile futuro cancelliere tedesco», laddove dice che «l’Europa è vitale per gli interessi nazionali» (quelli tedeschi, ovviamente). «Le sue parole di apparente accondiscendenza verso i paesi periferici vanno lette così: è meglio mantenere gli altri paesi nella condizione di inoffensive colonie». Per “Voci dall’Estero”, una sua affermazione è particolarmente rivelatrice: senza più la moneta unica governata a Francoforte dai poteri finanziari cui risponde la Bce, e con il ritorno a un marco rivalutato, Berlino non dovrebbe affatto guardarsi dalla la Cina, bensì da paesi come l’Italia e la Francia. Preso nota? «Tutti gli elettori italiani e francesi ne dovrebbero essere consapevoli».I giornalisti dello “Spiegel” citano il filosofo Jürgen Habermas: vista la crisi dell’euro ci sarebbero solo due strategie possibili per l’Europa, tornare alle monete nazionali o andare verso un’unione politica. «Sì», ammette Schulz, «avremmo dovuto introdurre l’unione politica assieme all’euro». Ma ormai è tardi: «Non ha senso stare a lamentarsi delle opportunità mancate, questo è il momento di agire rapidamente nel breve termine». Rifare l’Ue da cima a fondo? «Non è un’esigenza pressante, in questo momento». Ma la Germania è interessata a discutere della possibile introduzione di un’unione politica? Macché: «Questo è un drammatico errore. Come se un cambiamento strutturale potesse risolvere i problemi nel breve termine». La crisi politica è «sistemica», ammette Schulz, ma il problema – avvertito nel 2012 – è soprattutto l’agonia della Grecia nonché la speculazione sui tassi d’interesse contro Spagna, Italia e Portogallo. Carta vincente? Gli eurobond garantiti dalla Bce, ma «l’Olanda non li vuole, la Finlandia non li vuole, e la Germania assolutamente non li vuole».Perché invece Martin Schulz li vuole? «Perché abbiamo un’area valutaria ed economica comune, e questo significa che, di fatto, i singoli paesi non hanno più sovranità sulla propria moneta. Anche la Germania appartiene a quest’area. Perché, dunque, non dovremmo applicare degli strumenti di politica monetaria a livello transnazionale?». Semplice: perché il Trattato di Maastricht, ricorda lo “Spiegel”, stabilisce che nessun paese deve essere responsabile per il debito di un altro paese: è la cosiddetta clausola di “non salvataggio”. Il politico tedesco, esponente della Spd, protesta: quella clausola non dev’essere «un dogma intoccabile». Inoltre, sul tetto al decifit, «Francia e Germania hanno violato le regole». Dunque, se nel loro caso «si è potuto interpretare i trattati in modo così flessibile», perché mai allora «non lo possiamo rifare adesso con gli eurobond?». Non si scappa: o si crea un fondo di ammortamento del debito, garantito dall’insieme dei paesi Ue, o si concedono «autorizzazioni bancarie al Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm), il fondo permanente di salvataggio, in modo che possa prendere a prestito denaro dalla Bce come qualsiasi altra banca».Purtroppo, fa notare lo “Spiegel”, l’opinione pubblica tedesca non è d’accordo su una condivisione del debito. «Questa affermazione è assolutamente vera», ammette Schulz, «e mi preoccupa molto. Ciò di cui abbiamo bisogno è di spiegare alla gente quali sono le alternative». Per esempio? «Reintrodurre il marco. Sarebbe una valuta estremamente forte, che renderebbe le esportazioni tedesche molto più costose». Secondo l’ex presidente del Parlamento Europeo, «l’industria automobilistica tedesca dovrebbe temere non più la Cina, ma la Francia e l’Italia, la Peugeot, la Citroën e la Fiat». Per Schulz, senza più l’euro, «la Germania diventerebbe troppo grande per l’Europa ma troppo piccola per il mondo. A questo dovrebbero pensare quelli che chiedono un’uscita della Grecia dall’Eurozona». E per quanto riguarda l’Italia? «Per molto tempo l’Italia è stata governata da alcuni tra i politici meno professionali che si siano mai visti. Eppure non c’era molta pressione in termini di speculazione». Poi è arrivato Mario Monti, che Schulz definisce «quel tipo di leader che di solito si vede solo nei film, un distinto professore che non accetta nemmeno un cuoco nella sua residenza a Palazzo Chigi», l’uomo «di cui i mercati non si fidano».Quanto all’austerity – siamo nel 2012 – Schulz la vedeva così: «Monti sta facendo dei tagli, ma tutto quello che lui riesce a risparmiare va a coprire l’aumento dei tassi di interesse. E quando dice: “Mio Dio, gente, aiutatemi”. Noi cosa rispondiamo? Rispondiamo: “Devi fare altri tagli, l’Italia deve arrangiarsi e uscirne da sola”. Ma non funzionerà. Voglio esser chiaro su questo». Spiegazione: «L’Italia è uno degli otto paesi più industrializzati. Cosa succede se un paese del G8 e dell’Unione Europea va in bancarotta? Qualcuno pensa che la Germania non ne risentirà? L’Italia è uno dei nostri mercati più importanti. No, in questo modo non andiamo da nessuna parte. Dobbiamo dare licenza bancaria all’Esm, tagliare i tassi di interesse». E cioè: allentare il rigore. Toccherebbe alla Germania, pagare? Schulz smentisce: Italia e Germania si sobbarcano, da sole, il 38% dei costi dell’Esm. «State dando troppa attenzione alla nuova retorica nazionalista della Germania, dice Schulz, secondo cui «la grande maggioranza della popolazione è favorevole all’idea di un’unione moderna e illuminata di paesi che dimostrano solidarietà». E cita il regista Wim Wenders: ha detto che «l’idea di Europa è diventata quella di un’amministrazione, e adesso la gente pensa che l’amministrazione sia l’idea stessa di Europa. Ma questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare all’idea. Significa che dobbiamo cambiare l’amministrazione».Era cinque anni fa. Nel frattempo, non è cambiato niente. Lo stesso Schulz, tipico esponente della “sinistra” ultra-europeista, ammette di temere l’opinione pubblica, la consultazione popolare, specie di fronte a referendum che impegnino anche i tedeschi a pronunciarsi sulla crescente centralizzazione del potere a Bruxelles. «A differenza di altri paesi – premette – la Germania non ha avuto esperienza di referendum». E che dire del leader dell’Spd, Sigmar Gabriel, determinato a lasciar votare la gente sull’Unione Europea? «È un rischio», dichiara Schulz. «I referendum pongono sempre delle minacce quando si parla di politica europea, perché la politica europea è complessa. Sono sempre un’opportunità per quelle parti politiche alle quali piace semplificare le questioni. La politica europea è sempre un intreccio di razionalità e di emozioni. Il problema di noi politici europei è che affrontiamo tutto con fredda razionalità, e poi ci chiediamo perché non riusciamo a coinvolgere emotivamente le persone». Domanda diretta: «Lei non si fida della gente?». Risposta, altrettanto diretta: «Io mi fido, ma non è contrario alla democrazia essere scettici. I referendum sono uno strumento democratico, ma lo sono anche le decisioni raggiunte da una democrazia parlamentare. Sono per un’estrema cautela quando si tratta di referendum. Anche in Germania».«Senza l’euro, la Germania non dovrebbe temere la Cina, ma l’Italia». Parola di Martin Schulz, intervistato da Konstantin von Hammerstein e Gordon Repinski dello “Spiegel”. Colloquio illuminante, che risale al 2012: «Oltre a dimostrare come in cinque anni non sia stato fatto nulla per risolvere i problemi della Ue», scrive “Voci dall’Estero”, che ha tradotto l’articolo e ora lo ripropone, «chiarisce il pensiero dell’odierno avversario della Merkel, sedicente socialdemocratico e possibile futuro cancelliere tedesco», laddove dice che «l’Europa è vitale per gli interessi nazionali» (quelli tedeschi, ovviamente). «Le sue parole di apparente accondiscendenza verso i paesi periferici vanno lette così: è meglio mantenere gli altri paesi nella condizione di inoffensive colonie». Per “Voci dall’Estero”, una sua affermazione è particolarmente rivelatrice: senza più la moneta unica governata a Francoforte dai poteri finanziari cui risponde la Bce, e con il ritorno a un marco rivalutato, Berlino non dovrebbe affatto guardarsi dalla la Cina, bensì da paesi come l’Italia e la Francia. Preso nota? «Tutti gli elettori italiani e francesi ne dovrebbero essere consapevoli».
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Il Gufo: Renzi bollito da Grasso, e il referendum in freezer
Dopo Renzi, Grasso: toccherà a lui “salvare” le banche chiedendo 10-15 miliardi all’Ue, preparando poi gli italiani a subire nuovi “sacrifici necessari” per restituire il prestito al Mes, il famigerato Fondo Salva-Stati. E’ la profezia di “Gufo Boschi” all’indomani della caduta di Renzi. A parlare, su “Megachip”, è lo stesso “profeta” che già il 15 gennaio aveva azzeccato al millimetro l’esito numerico del referendum, con quasi un anno di anticipo: «Nel momento di massima espansione di consensi (elezioni europee 2014), l’area governativa ha raggiunto il 47%; l’area di opposizione, sommata trasversalmente, il 53%. Ora, i sondaggi e il senso comune dicono che l’area governativa fatica a raggiungere il 40% e l’area di opposizione è almeno al 60%. Dunque, in caso di referendum Sì/No, questa polarizzazione indica chiaramente che l’area governativa è già in netto svantaggio, sostanzialmente irrecuperabile». Lo stesso osservatore, sotto pseudonimo, oggi scommette sul presidente dell’organo che Renzi avrebbe rottamato: il Senato. E spiega: «Grasso è forte dell’asse con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, a cui è legato da una lunga e consolidata familiarità ed amicizia, addirittura temprata sul sangue del fratello di Sergio, Piersanti, ucciso a Palermo dalla mafia quando Grasso era sostituto procuratore, il primo ad occuparsi del caso».«Non ci saranno elezioni a breve termine, non prima dell’estate del 2017», si sbilancia “Gufo Boschi” su “Megachip”. «Più probabilmente questa legislatura giungerà alla sua normale conclusione nel 2018, al massimo con qualche mese di anticipo». La legge elettorale che sarà predisposta? «Sarà un proporzionale con sbarramento e premio di governabilità (non di maggioranza) per la lista più votata, o, in ogni caso, una formula elettorale simile a questa». Dal punto di vista politico, significa che «l’unica vera governabilità possibile, nel futuro Parlamento eletto, sarà determinata da una maggioranza relativa del Pd unita all’alleanza con una componente liberal-conservatrice, come l’attuale Forza Italia». Se la maggioranza relativa e il premio fossero ad appannaggio del M5S, «questa forza politica non sarebbe comunque in grado di raggiungere la maggioranza assoluta», né di esprimere un “governo di minoranza”, «che non sarebbe appoggiato da nessuna altra forza politica». Il centro-destra poi «si dividerà tra la sua componente liberal-conservatrice (Fi) e la componente populista-identitaria (Lega e Fratelli d’Italia) ed elettoralmente non potrà in ogni caso esprimere una maggioranza relativa».L’attuale crisi di governo «sarà risolta con la nomina di un esecutivo di tipo “istituzionale” o formula simile», e a Palazzo Chigi finirà «ragionevolmente» proprio Pietro Grasso, cioè «la personalità più adatta per ricompattare l’attuale maggioranza, sia dentro al Pd (non dimentichiamo che Grasso fu candidato da Bersani) rimasto lacerato dalle divisioni sul referendum e dalle rottamazioni, sia al suo esterno, essendo comunque figura rassicurante, uomo prudentissimo, navigato e buono per ogni stagione». Scelta che «potrebbe non dispiacere affatto a Forza Italia, a cui l’attuale maggioranza potrebbe addirittura allargarsi in caso di necessità». Grasso, poi, «non sarebbe disprezzato a sinistra del Pd». In più, «sarebbe ben accolto dal variegato fronte centrista al Senato», raccogliendo anche «la simpatia di diversi fuoriusciti grillini». Primo scoglio dell’ipotetico governo Grasso: «Affrontare, nel breve periodo, una dura crisi determinata dallo sconquasso nel mondo bancario che verrà innescato dal Monte dei Paschi di Siena e aggravato dalla presenza di ulteriori bubboni: le quattro banche territoriali risolte dal “salva-banche” ma non ancora in sicurezza, e le due banche venete che sono ancora zombie. Il rischio-contagio potrebbe minacciare anche ulteriori istituti come Unicredit o Carige o altri».Secondo “Gufo Bischi”, si renderà necessario un intervento statale «forte e risoluto» sulle banche: «Serviranno cioè almeno 10-15 miliardi di euro (meglio ancora se 20-25) per tappare tutti i buchi più urgenti». E con una legge di stabilità già giudicata insufficiente da Bruxelles, è chiaro che mancheranno i fondi per salvare le banche. «L’unica soluzione sarà il ricorso al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), il cosiddetto Salva-Stati (che piuttosto gli Stati li affonda)». Ipotesi che in effetti «comincia già a circolare in questi giorni sui giornali mainstream, con la tempestiva smentita dal Mef», il ministero economia e finanze. «In questi casi, come sosteneva Giulio Andreotti, la smentita equivale a dare la notizia due volte». Domanda chiave: quali garanzie chiederà l’Ue per il suo prestito? «Saranno pesanti, fatte di lacrime e sangue, ma verranno accettate come un “sacrificio necessario”, tanto più che la loro durezza sarà spalmata sul futuro, reiterando l’effetto “rana bollita”», sottoposta cioè e morte lenta, in dosi omeopatiche per attutire la percezione del dolore.E quale sarà, infine, il destino di Renzi? «Il fanfarone fiorentino resterà segretario del suo partito e assumerà per alcuni mesi un profilo più basso», profetizza “Gufo Boschi”. «Dalla primavera-estate comincerà una azione di logoramento verso il governo che lui stesso sostiene per tentare una manovra audace quanto spericolata: vincere il congresso del Pd l’anno venturo e, sfruttando una situazione socio-economica critica, rifarsi una fulminea verginità per ripresentarsi alle elezioni come la fenice del rinnovamento». Ma attenzione: se toccasse a Grasso, l’attuale presidente del Senato (sostenuto dalla maggioranza dei parlamentari, ben decisi a evitare il voto anticipatp) potrebbe giocarsela davvero. Se la situazione socio-economica fosse «almeno accettabile» (ovvero: se il governo in carica «riuscisse a far passare la “narrazione” di aver salvato l’Italia dalla bancarotta causata da altri»), allora «potrebbero essere le baronie interne al suo stesso partito a giubilare il segretario in carica decretandone la fine politica», e riducendo dunque solo a questo – la rottamazione di Renzi – il risultato del referendum che ha così intesamente mobilitato gli italiani.Dopo Renzi, Grasso: toccherà a lui “salvare” le banche chiedendo 10-15 miliardi all’Ue, preparando poi gli italiani a subire nuovi “sacrifici necessari” per restituire il prestito al Mes, il famigerato Fondo Salva-Stati. E’ la profezia di “Gufo Boschi” all’indomani della caduta di Renzi. A parlare, su “Megachip”, è lo stesso “profeta” che già il 15 gennaio aveva azzeccato al millimetro l’esito numerico del referendum, con quasi un anno di anticipo: «Nel momento di massima espansione di consensi (elezioni europee 2014), l’area governativa ha raggiunto il 47%; l’area di opposizione, sommata trasversalmente, il 53%. Ora, i sondaggi e il senso comune dicono che l’area governativa fatica a raggiungere il 40% e l’area di opposizione è almeno al 60%. Dunque, in caso di referendum Sì/No, questa polarizzazione indica chiaramente che l’area governativa è già in netto svantaggio, sostanzialmente irrecuperabile». Lo stesso osservatore, sotto pseudonimo, oggi scommette sul presidente dell’organo che Renzi avrebbe rottamato: il Senato. E spiega: «Grasso è forte dell’asse con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, a cui è legato da una lunga e consolidata familiarità ed amicizia, addirittura temprata sul sangue del fratello di Sergio, Piersanti, ucciso a Palermo dalla mafia quando Grasso era sostituto procuratore, il primo ad occuparsi del caso».
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Bofinger: Btp a rischio, il piano-Schäuble devasterà l’Italia
Euro e Germania, ultimo capitolo della catastrofe: «Se fossi un politico italiano vorrei tornare alla mia moneta il più velocemente possibile: è questo l’unico modo per evitare la bancarotta». Parola di Peter Bofinger, uno dei cinque “saggi” del supremo consiglio economico del governo tedesco, secondo cui il nuovo piano di Berlino sul taglio dei debiti “sovrani” nell’Eurozona, con la fine delle garanzie pubbliche sui titoli di Stato, innescherà l’inarrestabile crisi delle obbligazioni europee e potrebbe costringere l’Italia e la Spagna a ripristinare le loro valute. «E’ il modo più veloce per porre fine all’Eurozona», dichiara al “Telegraph” il professor Bofinger, che spiega: «Potrebbe arrivare molto velocemente un attacco speculativo». Per questo, aggiunge, l’unica via d’uscita è il ritorno alla moneta nazionale. Tutto questo, dopo che il “German Council of Econonomic Advisers” ha chiesto l’introduzione di uno specifico meccanismo da attivare per eventuali “insolvenze sovrane”, anche a costo di sovvertire i principi finanziari dell’“ordine del dopoguerra’ in Europa. Stop ai bail-out, i salvataggi statali, proprio come previsto dal Trattato di Maastricht.Il piano tedesco ha il sostegno della Bundesbank e, più di recente, del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, «che di solito riesce a imporre la sua volontà, nell’Eurozona», scrive Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Colloqui molto delicati sono attualmente in corso nelle principali capitali europee e stanno provocando dei forti brividi a Roma, Madrid e Lisbona». Secondo questo schema, riassume Pritchard, ad ogni futura crisi del “debito sovrano”, gli obbligazionisti (cioè i detentori dei titoli di Stato) dovranno subire delle perdite (“haircut”), prima che ci possa essere un salvataggio da parte dell’Esm, il Fondo Salva-Stati europeo. «Questo piano provocherà dei guai», ha dichiarato Lorenzo Codogno, già capo-economista del Tesoro italiano. Il bail-in sui debiti sovrani (salvataggio interno, anche con preliveo forzoso) corrisponde a quello entrato in vigore lo scorso gennaio nei riguardi degli obbligazionisti delle banche, che ha contribuito alla drastica svendita delle azioni bancarie dell’Eurozona.In una nota, Bofinger avverte che il piano tedesco potrebbe auto-avverarsi molto in fretta, innescando «una corsa alla vendita delle obbligazioni da parte degli investitori, per liberarsi delle loro partecipazioni ed evitare l’’haircut». Italia, Portogallo e Spagna non potrebbero difendersi perché prive dei propri strumenti monetari: «Questi paesi rischierebbero di essere colpiti da una pericolosa crisi di fiducia», conclude. Il “German Council” ritiene che il primo passo sia quello di assegnare un più alto “rischio-ponderazione” al debito pubblico detenuto dalle banche, in termini di titoli di Stato, e anche un limite a quanto ne possono acquistare, «con l’esplicito obbiettivo di costringerle a cederne per 604 miliardi di euro: dovrebbero in alternativa raccogliere 35 miliardi di capitale fresco, perché la situazione possa essere ritenuta “gestibile”», scrive Evans-Pritchard. «Si tratta di un problema nevralgico, per l’Italia, dove le banche possiedono 400 miliardi di euro di debito pubblico e hanno effettivamente utilizzato i fondi della Banca Centrale Europea per sostenere il Tesoro italiano».Per ora, Mario Draghi ha aggirato la questione: «E’ un problema con cui abbiamo a che fare: è necessario un approccio ponderato e graduale». Ma il Portogallo è già nell’occhio del ciclone, sottolinea Pritchard: Lisbona deve affrontare sia un rallentamento dell’economia che uno scontro con Bruxelles sull’austerità. Lo spread portoghese è salito a 410 punti-base rispetto a quello tedesco, spingendo gli oneri finanziari a livelli insostenibili. Il debito pubblico del Portogallo è al 132% del Pil, mentre l’indebitamento totale è al 341%, il più alto d’Europa. Il paese è caduto nella trappola del debito-deflazione e, per poterne sfuggire, avrebbe bisogno di anni e anni di forte crescita. Il paese «potrebbe perdere l’accesso al mercato finanziario», ha dichiarato Mark Dowding, della “Blue Bay”. «Abbiamo visto una situazione molto brutta, la scorsa settimana. I grandi Fondi statunitensi che avevano investito nei titoli di Stato portoghesi stanno cercando di uscire da quelle posizioni. Con i riscatti che sono in corso, si tratta di una vera e propria ‘tempesta perfetta’». Se la crisi dovesse perdurare, aggiunge Evans-Pritchard, le preoccupazioni per un nuovo salvataggio della Troika – e per le condizioni che sarebbero imposte – potrebbero rapidamente prendere piede.Il “German Council” ritiene che lo speciale status normativo del “debito sovrano” posseduto dalle banche debba essere eliminato: chi detiene bond pubblici deve “rischiare” il proprio capitale. Peccato che – con l’euro – l’emissione di titoli è l’unico strumento di finanziamento dello Stato. Proprio la finanza pubblica, la sovranità nazionale democratica, è il grande obiettivo dell’operazione-Eurozona, che punta a demolire l’interesse pubblico sabotando la capacità finanziaria dello Stato per consegnare il sistema al pieno dominio dell’élite economico-finanziaria. Il piano-Schäuble vuole che i titoli di Stato non siano più “sicuri”, garantiti dal Tesoro, ma condizionati alle coperture bancarie, come qualsiasi obbligazione privata. Sicché, «i rischi maggiori sono per le banche di Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia». L’obiettivo dichiarato, naturalmente, è un altro: ridurre il legame fra “debito sovrano” e banche attraverso una separazione parziale, per prevenire che le crisi del debito pubblico possano diffondersi e “smontare” i sistemi bancari nazionali. Ma la verità è ben diversa: il piano mira proprio a indebolire i sistemi nazionali.Per Bofinger, il vero problema è che la Germania e i paesi-creditori dell’Eurozona si rifiutano di accettare le implicazioni di una vera unione monetaria, cioè la condivisione del debito e l’unione fiscale. A suo parere, la nozione di “meccanismo d’insolvenza sovrana” è interpretata in modo sbagliato: «Perpetua la bufala che la radice della crisi sia negli abusi fiscali dei governi». In realtà, annota Evans-Pritchard, il debito pubblico è esploso nel 2008 perché i paesi in crisi hanno dovuto prendere misure d’emergenza per evitare il collasso delle loro economie, dopo il crack Lehman a Wall Street. Ma quello era solo l’ultimo capitolo. Il problema è a monte, come spiega l’economista democratico e sovranista Nino Galloni: il dramma, per l’Italia (crisi e declino, deindustrializzazione) cominciò nel lontano 1981, quando – ben prima dell’adozione dell’euro – il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi tagliarono il cordone ombelicale tra Banca d’Italia e bilancio: da quel momento, la banca centrale smise di essere il “bancomat del governo”, a costo zero, e lo Stato dovette affidarsi alla finanza privata, cui vendere titoli di Stato, a beneficio esclusivo degli “investitori” e dei loro interessi.L’euro ha reso “sistemico” il quadro, sprofondando l’Europa in una crisi senza precedenti, con disoccupazione mai vista dal dopoguerra. Ora, il nuovo piano dei tedeschi consentirebbe inoltre agli investitori privati di agire come “giudici” della solvibilità degli Stati, sottolinea Evans-Pritchard. La pensa così anche Peter Bofinger, che avverte: «Non possiamo consentire un sistema in cui i mercati diventano padroni dei governi». Il “German Council” è «alquanto sprezzante nelle sue conclusioni», annota il giornalista economico inglese. «Ha schiacciato qualsiasi discorso relativo ad un Tesoro o ad un’Autorità Fiscale condivisa: l’unico modo per sostenere l’unione monetaria è di imporre un controllo rigoroso e di rafforzare le norme esistenti». Con buona pace dell’Europa che affonda, con il suo euro, e con politici che ancora evitano di denunciare apertamente la tragedia innescata dalla moneta europea a controllo tedesco.Euro e Germania, ultimo capitolo della catastrofe: «Se fossi un politico italiano vorrei tornare alla mia moneta il più velocemente possibile: è questo l’unico modo per evitare la bancarotta». Parola di Peter Bofinger, uno dei cinque “saggi” del supremo consiglio economico del governo tedesco, secondo cui il nuovo piano di Berlino sul taglio dei debiti “sovrani” nell’Eurozona, con la fine delle garanzie pubbliche sui titoli di Stato, innescherà l’inarrestabile crisi delle obbligazioni europee e potrebbe costringere l’Italia e la Spagna a ripristinare le loro valute. «E’ il modo più veloce per porre fine all’Eurozona», dichiara al “Telegraph” il professor Bofinger, che spiega: «Potrebbe arrivare molto velocemente un attacco speculativo». Per questo, aggiunge, l’unica via d’uscita è il ritorno alla moneta nazionale. Tutto questo, dopo che il “German Council of Econonomic Advisers” ha chiesto l’introduzione di uno specifico meccanismo da attivare per eventuali “insolvenze sovrane”, anche a costo di sovvertire i principi finanziari dell’“ordine del dopoguerra’ in Europa. Stop ai bail-out, i salvataggi statali, proprio come previsto dal Trattato di Maastricht.