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Morandi, Benetton, soldi: tragedia “annunciata dalle stelle”
Il viadotto Morandi? Quei due monconi danno al paesaggio una sensazione di guerra, e fanno intuire quale ferita sociale ed economica sia stata inferta alla città di Genova, già duramente provata dal passato recente. Utilizzando il mio ambito di ricerca, l’astrologia, per esaminare la vicenda del ponte crollato – che dava sempre la sensazione, percorrendolo, di una leggera instabilità – parto dal suo ideatore, l’ingegner Riccardo Morandi, nato di lunedì all’inizio del secolo scorso sotto il segno della Vergine – elemento Terra, che in genere favorisce questo tipo di professione. I Vergine sono portati al calcolo, alla precisione, e hanno una buona dose di senso pratico (come gli altri segni di Terra). Lui però era anche abbastanza visionario, per via di quel rapporto armonico del Sole (l’Io profondo) con Nettuno (fantasia, capacità evolutiva e di trasformazione). Infatti ha ideato e portato avanti dei progetti che poggiavano su un materiale allora all’avanguardia, il calcestruzzo armato pre-compresso, di cui ottenne il brevetto nel ‘48, e che allora pareva potesse rispondere alle esigenze di un paese in via di ricostruzione e ammodernamento, a costi inferiori rispetto ai materiali classici (la Vergine tende sempre a fare economia, è una sua caratteristica).Al momento della costruzione, terminata nel 1967, nessuno – a cominciare da lui – si era posto il problema della durabilità di questo materiale nuovo, esposto agli agenti atmosferici. Ma pare che, negli anni, questo pensiero lo abbia abbastanza tormentato. Fu portato a dare suggerimenti per la manutenzione, che a quanto pare non sono stati presi troppo in considerazione. Ma l’elemento principale della mia analisi è la nascita del ponte stesso. Infatti l’indagine astrologica è possibile non solamente sulle persone, ma su qualsiasi cosa (o animale) che nasca, in un dato momento, in un determinato punto della Terra, per il noto effetto analogico: se decifro i simboli celesti presenti in quella data ora, giorno, anno e luogo, ho il quadro delle caratteristiche di quanto sta nascendo, perché “come in alto, così in basso”. Quel ponte è stato inaugurato il 4 settembre 1967, alle ore 17,30. Ed era un lunedì: giorno tradizionalmente legato alla Luna, la quale – come si sa – è legata all’elemento Acqua. La prima cosa che colpisce, nel quadro astrale, è l’accumulo di buona parte dei pianeti in un settore che ha un significato ben preciso: morte e rinascita.Si tratta dell’Ottava Casa legata allo Scorpione, segno d’Acqua, mentre questi pianeti sono nel segno della Vergine. Il Sole (che rappresenta proprio la vita) e la Luna sono congiunti. La Luna si trova infatti nella fase di “luna nuova”, fiaccata e resa invisibile dal Sole: e questo aspetto abbassa le aspettative di vita. Invece di rinforzarsi a vicenda, questi due corpi celesti si ledono. Mercurio, Urano e Plutone sono tutti nel segno della Vergine, e tutti in contatto tra loro a farsi forza. Ma Urano può procurare incidenti ed errori tecnici, e tutti sono pur sempre in un settore che parla di morte (e anche di politica, perché sicuramente un’opera del genere non poteva nascere senza l’avvallo della politica del tempo). Poi si aggiunge Venere – un poco, come dire, la salute del ponte stesso. E’ sempre in Vergine, e con una posizione dissonante con Marte in Scorpione (che non promette bene, per la durata del ponte stesso). Il clamore suscitato, non solo in Italia, da questo ponte avveniristico, è ben descritto da due pianeti nel settore della fama, della visibilità; peccato che si tratti del solito Marte e di Nettuno in Scorpione. Sono pianeti poco favorevoli a una fama duratura e priva di pericoli.Se poi vogliamo proprio entrare nell’ambito specifico della durabilità, vediamo che Saturno – simbolo dello scheletro umano e quindi anche della struttura interna di questa costruzione – è isolato, e quindi senza alcun appoggio: non depone certo a favore di una lunga vita. Notizia da prendere con beneficio di inventario: pare siano stati fatti degli studi sull’impatto della Luna, che sappiamo avere da sempre degli effetti sulla Terra e soprattutto sulle acque, presenti anche nel corpo umano. Pare che la Luna abbia un effetto sulle costruzioni in cui è presente il cemento – che, non dimentichiamolo, si forma anche con l’acqua, anche se poi viene assorbita. Il ponte Morandi è nato di lunedì, con una Luna importante ma indebolita: per questo, il cemento ne sarebbe risultato indebolito? Lascio in sospeso la risposta: sono una ricercatrice, sempre alla ricerca di conferme. Questa comunque è la situazione natale del ponte, che resta sempre sullo sfondo. Ma poi i pianeti si muovono, seguendo le loro orbite regolari, e quindi prevedibili, creando rapporti armonici o dissonanti coi pianeti natali. E come erano messi, quel tragico martedì 14 agosto, alle ore 11,36?Erano molto significativi, anche se non necessariamente leggibili con quanto è realmente successo, dato che le previsioni sono l’aspetto meno facile (e sotto certi aspetti anche meno utile) nell’analisi astrologica, perché possono anche condizionare le persone. Ma comunque la capacità di previsione esiste, e questi transiti danno più di un indizio. Anzitutto il giorno, martedì, mi ha portato subito a cercare di vedere dove si trovava Marte, quel giorno: si trovava bene in evidenza, in primo piano. Marte è un pianeta dirompente, legato agli incidenti, ma era Venere (la salute di questo ponte) ad essere insidiata da due pianeti più pericolosi, in questi casi: si tratta di Saturno e Urano, entrambi portatori di incidenti e difficoltà anche quando, come in questo caso, si trovano in posizione armonica. Ho la sensazione che la tragedia avrebbe potuto essere molto, ma molto più grave, se si pensa che poteva anche passare un treno, sotto il ponte, e che il fatto che piovesse in quella maniera abbia limitato il transito di veicoli, in un giorno tra l’altro di grande traffico. Proprio il fatto che Saturno e Urano formassero con Venere un aspetto armonico credo che abbia contribuito a limitare i danni: se non fosse stato armonico, molto probabilmente ci sarebbero stati guai peggiori.Comunque, l’Ottava Casa è anche simbolo di rinascita: è certo che il ponte rinascerà. E chi potrebbe esserne il nuovo padre? Forse Renzo Piano, che si è offerto fin da subito gratuitamente per via del suo legame con la città. Per una strana coincidenza, anche Renzo Piano è della Vergine. E non finisce qui, l’affinità con l’ingegner Morandi: anche in Renzo Piano, infatti, Nettuno (simbolo di fantasia) è unito al Sole; ma il Nettuno di Piano è in Vergine, e quindi è più prudente e tecnico del Nettuno di Morandi, che si trovava in Cancro (Acqua). Ne so qualcosa, perché ho anch’io Nettuno in Vergine (e Nettuno è un pianeta lento, e quindi generazionale). Ma le analogie con Morandi finiscono qui, perché Renzo Piano ha un tema molto più solido, strutturato e fortunato di quello di Morandi. Renzo Piano è nato a Genova da una famiglia di imprenditori edili e ben presto, dopo la laurea in architettura, ha fatto esperienza all’estero, collaborando fin da giovanissimo con uno dei massimi architetti mondiali e realizzando con lui l’originale Centre Pompidou a Parigi. In seguito ha collaborato con i maggiori architetti e ingegneri del mondo, realizzando opere famose che spaziano dai musei alla chiesa di Padre Pio a Monterotondo, fino al grattacielo più alto d’Europa, The Shard, a Londra, di straordinaria arditezza – più che un grattacielo, sembra un sogno fattosi realtà.Il suo stile non sembra appartenere a nessuna scuola corrente. Si basa su di una interazione tra aspetti tecnologici, pratici e anche poetici, che contraddistinguono le sue opere. Lui ha avuto un tringolo a stella, che è una grande potenza, tra il Sole (il suo Io profondo, la sua parte attiva) con Giove e Saturno (attivismo) in Capricorno, e Urano (lavoro e capacità pratica) in Toro. I tre segni di Terra sono uniti, e in posizione armonica, diventano un potente volano per capacità lavorativee pratiche. Ma lui ha anche degli aspetti generosi e delle punte idealistiche: con Venere in Leone (genersiotà) e Marte in Sagittario (che sempre effetti idealistici). Se si aggiunge la Luna (la sua parte femminile) nell’efficiente, ambizioso e costruttivo segno del Capricorno, ecco il quadro di una persona vincente, che è stata il grado di sviluppare al massimo le sue capacità iniziali. Certo, quando vedo una veda posizione del Sole con Giove (il pianeta che, oltre a un carattere fiducioso, dona sempre anche la quasi-certezza che la vita stessa offrirà delle opportunità di crescita e di successo) non mi meraviglia che una personi così incominci la sua vita col nascere nell’ambiente sociale giusto – meglio tra costruttori edili che nella famiglia dell’assassino della porta accanto – e faccia, nell’arco della sua vita, gli incontri giusti al momento giusto. Ben venga il suo ponte, dunque, anche se non è ancora certo che sarà lui a realizzarlo.Rispetto a questa vicenda c’è un aspetto che mi ha inquietato molto, come credo tanti italiani. Mi riferisco all’evidente mancanza di un’adeguata manutenzione del ponte stesso da parte della società che ne ha la gestione. Nel lontano 1999, la gestione della maggior parte delle autostrade italiane – detenuta dall’Iri e controllata dal ministero del Tesoro – venne data a quella che sarà poi costituita, nel 2002, come società Autostrade per l’Italia, che dal 2007 ha parte del gruppo Atlantia, il cui principale azionista è la veneta famiglia Benetton. Atlantia controlla la maggioranza dei 6.000 chilometri di autostrade italiane, costruite con investimenti pubblici (ossia con i soldi del cittadino italiano), e si è rivelata una gallina dalle uova d’oro. Nel’ultimo anno, a fronte di un fatturato di 3.600 miliardi, ha realizzato un utile di 998 milioni (il 19% in più dell’anno precedente). E quindi mi è scattata la curiosità di capire qualcosa, sul piano astrologico, di questa famiglia potentissima, sia economicamente che politicamente, che è partita da esordi difficili e poveri. Si tratta di quattro fratelli – Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo – rimasti orfani di padre nel 1945, ma pieni di iniziativa e di voglia di lavorare (come accadeva in molte famiglie, nel dopoguerra). Cominciano piano piano, con Giuliana che confeziona in casa maglioni colorati, che poi Luciano vende, mentre Gilberto tiene i conti e Carlo – un disegnatore – si occupa degli aspetti tecnici e produttivi. E da lì volano.Negozi in tutto il mondo, la prestigiosa sede in Veneto. Proprietari di mezza Patagonia, dove allevano le pecore per i loro prodotti (e dove, tra parentesi, hanno avuto un contenzioso con gli indigeni sfrattati). Poi: l’acquisizione di altri marchi, ma soprattutto la costruzione di una rete diffusa di interessi finanziari, lontanissimi dai maglioncini colorati che avevano costituito la loro prima fortuna. I fratelli più vecchi sono i gemelli Luciano e Giuliana, nati col Sole nel segno del Toro, con Urano (il pianeta del lavoro) pure in Toro, in posizione vincente per intraprendere un lavoro indipendente e creativo. E in effetti sono loro ad aprire la strada, con la prima confezione artigianale da parte di Giuliana di un maglioncino giallo, in un momento in cui non erano di moda i colori sgargianti, e l’intuizione di Luciano di commercializzare i prodotti. Segue Gilberto, il fratello di mezzo, con il Sole nel segno dei Gemelli: adattissimo a occuparsi di finanza, sotto un segno intelligente e abbastanza disinvolto – anche se, eticamente parlando, per muoversi in un ambito in cui non abbondano gli scrupoli. E anche in lui c’è una fortunata, vincente congiunzione tra Urano (pianeta del lavoro), Giove (fortuna e denaro) e Saturno (potere). L’ultimo era Carlo, nato col Sole nel segno del Capricorno congiunto a Giove (il che aiuta, a raggiungere degli obiettivi); è morto recentemente, mentre era in corso un passaggio di Saturno nel suo segno.Comunque, non a caso, i fratelli Benetton sono nati sotto tre segni di Terra (l’elemento che, più di altri, possiede tenacia e capacità lavorativa) e un segno di Aria (che suggerisce le capacità di muoversi nel volatile e difficile mondo della finanza). Che dire? Il successo e il potere raggiunto li hanno allontanati, come spesso succede, dal mondo delle persone comuni, quelli che hanno problemi con il mutuo e a raggiungere la fine del mese, inclusi gli sfollati di Genova che ora affrontano tutti i disagi del non avere più una casa – senza contare il dolore delle persone che hanno perso i loro cari. Ho passato gli ultimi trent’anni della mia vita a occuparmi di ricerca spirituale. Sono in contatto con guide spirituali, e ho una chiara visione di quella che dovrebbe essere l’impostazione corretta di una vita ben spesa – che è sempre lontana dall’egoismo, dall’avidità e dal volere sempre di più, incuranti degli altri. Il desiderio di rifarsi sugli altri per riscattarsi dalle sofferenze patite è molto umano e molto diffuso. E non è facile abbandonare questo modo di essere, perché sembra darci forza (se invece ti accosti al perdono, ti sembra una debolezza).In effetti il perdono non dovrebbe essere superficiale ma, anzi, dovrebbe essere il riconoscimento che, qui sulla Terra, siamo tutti compagni di viaggio e possiamo sbagliare; quindi non vale ergersi a giudici, perché siamo tutti passibili di fraintendimenti ed errori. Fatto nel modo giusto, il perdono è un segno di grande forza: certifica che tu hai raggiunto pace, tranquillità e forza interiore. Se uno si guarda attorno, però, vede un grande vociare… Alla mia età ho ormai una visione più distaccata, ma tutto questo comunque mi fa male: anche se con gli anni subentra una certa saggezza, questo spettacolo mi ferisce sempre. E quello che mi ferisce di più è l’egoismo, l’avidità. Mi chiedo: che bisogno c’è di accumulare fortune immense, che spesso i discendenti (meno saggi e meno preparati a lavorare) poi dissipano in poco tempo? E comunque: a che serve accumulare, procurando danni strada facendo? Perché è difficile accumulare fortune senza far danni attorno. Di solito, se lavori onestamente e senza buttarti in troppi campi, non riesci a raggiungere certe posizioni. Io me lo chiedo, perché vedo persone che sono prese da questa ansia di primeggiare sugli altri, e così perdono di vista tante cose, molto più importanti: la solidarietà, la compassione, un occhio per chi ha meno di te.(Germana Accorsi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti durante la trasmissione web-radio “Border Nights” del 25 settembre 2018).Il viadotto Morandi? Quei due monconi danno al paesaggio una sensazione di guerra, e fanno intuire quale ferita sociale ed economica sia stata inferta alla città di Genova, già duramente provata dal passato recente. Utilizzando il mio ambito di ricerca, l’astrologia, per esaminare la vicenda del ponte crollato – che dava sempre la sensazione, percorrendolo, di una leggera instabilità – parto dal suo ideatore, l’ingegner Riccardo Morandi, nato di lunedì all’inizio del secolo scorso sotto il segno della Vergine – elemento Terra, che in genere favorisce questo tipo di professione. I Vergine sono portati al calcolo, alla precisione, e hanno una buona dose di senso pratico (come gli altri segni di Terra). Lui però era anche abbastanza visionario, per via di quel rapporto armonico del Sole (l’Io profondo) con Nettuno (fantasia, capacità evolutiva e di trasformazione). Infatti ha ideato e portato avanti dei progetti che poggiavano su un materiale allora all’avanguardia, il calcestruzzo armato pre-compresso, di cui ottenne il brevetto nel ‘48, e che allora pareva potesse rispondere alle esigenze di un paese in via di ricostruzione e ammodernamento, a costi inferiori rispetto ai materiali classici (la Vergine tende sempre a fare economia, è una sua caratteristica).
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Giovagnoli: perché la Chiesa ci ha tolto gli alberi millenari
Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.Nelle catacombe della storia cristiana, con l’aiuto di archivisti, Giovagnoli ha scovato le carte dello sconosciutissimo Concilio Namnetense, vero e proprio “fantasma” persino su Google, prima che uscisse “La messa è finita”, libro-denuncia nel quale il Folletto marchigiano riesuma lo sconcertante anatema lanciato dal Vaticano contro gli alberi più vetusti, ovviamente associati a misteriosi dèmoni. Altrettanto sconcertante il trattamento che vescovi e preti medievali si impegnarono a riservare alle maestose piante: dovevano essere segate e abbattute, poi addirittura sradicate, fatte a pezzi e infine bruciate – come fossero eretici in carne e ossa, e non monumenti (viventi) del mondo vegetale. Il sommo Guido Ceronetti, scrittore atipico e coltissimo traduttore, ha spiegato cosa c’è nella testa del piromane, quando non è un semplice incendiario a pagamento, reclutato dalla mafia della speculazione edilizia. E’ vero, il maniaco del fuoco prova sempre un segreto piacere nel veder divampare le fiamme, preparandosi poi a godersi di nascosto l’altro “spettacolo”, quello dei soccorsi. Ma c’è altro, in fondo alla sua mente: e cioè il gusto (probabilmente inconsapevole) della dissacrazione, della profanazione sacrilega. Perché i boschi, da che mondo è mondo – ricorda Ceronetti – sono sempre stati la dimora dei dèi. Ovvero: il tempio naturale di una sorta di patto sacro, tra l’uomo e l’universo.Giovagnoli collega le cose in modo diretto, persino brutale: la stessa mano che ci ha privato degli alberi millenari, dice, è quella che ha incatenato il mondo occidentale per 1700 anni, inaugurando la raffinata schiavitù psicologica della fede. Come Machiavelli, lo scrittore-alchimista la considera un sopraffino “instrumentum regni”: la sottomissione spinge gli uomini a mettersi in ginocchio e a chiedere assurdamente perdono – a umanissimi burocrati della religione – per non si sa quali peccati. «Ai romani servivano le catene, ai cristiani bastò il crocifisso». Un simbolo potentissimo e onnipresente, persino sulle cime dei monti: in molte conferenze, ora disponibili su YouTube, Giovagnoli propone un impetoso parallelo tra l’emblema cristico scelto dai cattolici – l’uomo in agonia sulla croce, atrocemente torturato – e «l’altro modello cristico, il meraviglioso Uomo Vitruviano di Leonardo, con tutti i suoi “centri di potere” liberi di esprimersi: la testa non cinta dalla corona di spine, mani e piedi non trafitti da chiodi ma in contatto con terra e cielo, e poi il sesso – i genitali tranquillamente esposti, non “bannati” come quelli del Gesù cattolico, nascosti da un panno». Citando il drammaturgo Alejandro Jodorowsky e il filologo-esegeta Igor Sibaldi, Giovagnoli sintetizza: «L’eros è la nostra maggiore forza creativa, quella che ci rende capaci di ribellarci; imprigionarlo e mortificarlo significa voler produrre generazioni di servi».Nella veemente invettiva anticattolica di Giovagnoli – fiero di essersi “sbattezzato” – c’è spazio anche per le entusiasmanti frontiere scientifiche dell’epigenetica, che studia i mutamenti “alchemici” che avvengono nel corpo umano di fronte a particolari sollecitazioni emotive. «Recenti studi esaminano l’effetto deprimente del suono delle campane: a chi le ascolta, in ultima analisi, ricordano l’onnipresenza di un potere superiore, insuperabile. Sono le stesse campane, dal suono grave, che venivano suonate per ammonire i fedeli: stai attento e vedi di rigare dritto, se non vuoi fare la fine degli eretici o degli ultimi sacerdoti pagani, appesi ai loro alberi sacri e lasciati morire lentamente, con il ventre squarciato». Campane e crocifissi, libertà di pensiero: opinioni, interpretazioni. Ma gli alberi? «In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In tutte, tranne che in quella cattolica». Baobab immensi in Africa, sequoie millenarie in America, foreste incontaminate in Asia. Niente di simile, purtroppo, in Europa: tranne rarissimi casi – come quello degli olivastri sardi, vecchi anche di tremila anni – da noi i grandi alberi generalmente non superano i 2-3 secoli di vita.Niente a che vedere con le maestose querce meravigliosamente raccontate da Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” scritta al seguito delle legioni romane: sul Baltico, le querce millenarie erano così immense da formare archi grandiosi, sotto i quali potevano transitare squadroni di cavalleria. Certo, ammette Giovagnoli, la rivoluzione industriale ha dato il colpo di grazia alle foreste madri europee. Ma la “guerra” contro i grandi alberi nasce prima, ed è squisitamente culturale: qualcosa di molto più sottile e profondo delle mere istanze economiche. Notare: «Più ci si allontana geograficamente dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma, e maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni straordinarie», insieme a popoli «con tradizioni che riconoscono all’albero un potere super partes nel vissuto spirituale». Non è un caso, aggiunge, se l’Italia si è data una legge-quadro sui parchi naturali solo negli anni ‘90. C’è stata una «evidentissima reticenza politica» nel concedere al verde la propria naturale importanza, in un paese cresciuto al suono dei campanili. «Al Grande Parassita – scrive Giovagnoli, alludendo al cattolicesimo – la natura selvatica non è mai piaciuta tanto; anzi, l’ha sempre considerata un intralcio», forse anche perché «chi conosce la natura selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria».A lui è accaduto anni fa, racconta, quando era alle prese con un dramma: nessun medico sembrava in grado di curarlo. «Mi sono allora comportato da alchimista», dice a Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ho cercato volutamente lo stato di “nigredo”, la dissoluzione dell’Io, calandomi da solo nella cosa che più mi faceva paura: il bosco di notte». Scendere nel proprio buio: come Dante, che la sua resurrezione iniziatica la comincia proprio dalle tenebre dell’Inferno. «A un certo punto – racconta Michele – ho sentito un gran caldo alla pancia, e sono crollato in un pianto dirotto, fino all’alba. Tornato a casa, sono andato dal medico e ho scoperto che ero guarito». Come? Mistero: «Posso solo dire che l’albero è il nostro più grande alleato, sulla Terra». Inutile chiedere a un poeta di fare un disegno. Meglio assecondare la sua vena: «Un bosco ti sente, ti ascolta, percepisce la tua energia vibrazionale. Può anche mutare all’istante la sua composizione chimica, producendo acido acetil-salicilico. E’ qualcosa di prodigioso, che cambia la qualità dell’aria e può entrarti nella pelle, per osmosi». Alchimista autodidatta ed entusiasta, “miracolato” dai suoi alberi, Giovagnoli fa notare come sarebbe bello, se oggi avessimo a portata di mano quelle piante millenarie, oscenamente distrutte nel medievo. «Erano un pezzo della memoria vivente del mondo: avevano respirato la stessa aria di Gesù». E a proposito di aria: «Non potremmo vivere, senza gli alberi: sono loro a fabbricare l’ossigeno che ci tiene in vita».In tutte le tradizioni autenticamente esoteriche, inclusa quella ben conosciuta dal citato Leonardo, lo specchio è un simbolo principe: capovolgendo l’immagine, offre la visione integrata e complementare dell’insieme. Tradotto in “giovagnolese”: «Fateci caso: gli organi che respirano l’ossigeno prodotto dal bosco sono come alberi rovesciati: i polmoni la chioma, e sopra di loro i bronchi, le radici, ramificate in modo frattale esattamente come i rami delle piante». Serve altro, per capire come mai i grandi alberi erano sacri? «C’erano prima di noi, sono la storia della Terra. Sono stati i primi a uscire dall’acqua, creando un’atmosfera respirabile per gli esseri umani». Di più: «E’ come se gli alberi entrassero in noi, a partire dalla nascita: quella che respiriamo è la loro aria, il loro ossigeno». Gli alberi, poi, non conoscono frontiere: «Pensate a quando vanno in amore, in primavera: il polline di un noce greco può volare sul mare, per andare a “corteggiare” un noce cresciuto in Puglia». Aprite gli occhi, ripete Giovagnoli: «Non c’è una croce a congiungerci con l’universo: c’è un albero. Per questo, chi ha diffuso croci ha voluto abbattere gli alberi. E il più delle volte, le chiese sono state erette proprio là dove prima sorgevano alberi millenari». Teologia: la visione trascendente “sfratta” la divinità dal mondo: Dio c’è, ma è altrove. Non è immanente, nella natura. «Tutto falso», assicura il Folletto. «Non ci credete? Provate. Il bosco vi aspetta. Ed è pronto ad aiutarvi, come ha fatto con me».(Il libro: Michele Giovagnoli, “La messa è finita. Come liberarsi dal più subdolo dei parassiti. Gli acutissimi strumenti di dominio in dotazione al clero”, Uno Editori, 174 pagine, euro 12,90. Giovagnoli ha inoltre scritto “Alchimia selvatica. La via del riveglio attraverso le arti magiche del bosco”, Macro Edizioni, mentre con Uno Editori ha appena pubblicato “Imparare a parlare con gli alberi. Manuale pratico per comunicare, evolvere e guarire con il bosco”).Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.
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Delitti rituali, la magia esiste: lo svela Stephen King in “It”
“It” è considerato il libro capolavoro di Stephen King. Un romanzo lunghissimo (circa 1300 pagine) che, come tutti i libri di questo scrittore, non è solo un libro del terrore (oserei dire che non lo è affatto) ma ci introduce nella quotidianità della provincia americana, facendocela assaporare come se la vivessimo noi stessi in prima persona. Nella dedica iniziale che Stephen King fa alla moglie e ai figli, c’è una frase che è la chiave di interpretazione di tutto il suo straordinario libro: ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste. Il romanzo è infatti la storia di sette ragazzi che combattono contro le forze del male nella cittadina di Derry; ma la storia è, in realtà, l’occasione per raccontare la realtà in cui viviamo, e per mostrare – a chi riesce a vederlo – il funzionamento di due aspetti molto importanti di questa realtà: il meccanismo operativo della magia, e il modo di agire delle forze esoteriche sulla realtà di tutti i giorni. Chi ha letto questo romanzo, ha trovato in esso tutte le cose di cui abbiamo parlato e ampiamente trattato nel nostro sito in questi dieci anni: gli omicidi rituali, la pervicace volontà di chi indaga di non accertare la verità; il capro espiatorio, assolutamente improbabile, che viene accusato di una serie di delitti per tacitare l’opinione pubblica; la magia e il suo funzionamento; la lotta tra il bene e il male e le sue dinamiche.Iniziamo dagli omicidi rituali. La cittadina di Derry è sconvolta da una serie di omicidi, tutti diversi l’uno dall’altro per tipologia, efferatezza e modalità. Tuttavia, a un certo punto della storia, viene trovato un colpevole unico, che non ha le caratteristiche compatibili per quel tipo di delitti così eterogeneo. Eppure, dal momento che le forze dell’ordine e l’opinione pubblica non vedono l’ora di trovare un capro espiatorio, la versione di Henry Bowers che, tra l’altro si è autoaccusato dei delitti, viene accettata per vera senza neanche una verifica (pag. 709). Il meccanismo descritto dal romanzo è quello che abbiamo raccontato e sottolineato nelle vicende delle Bestie di Satana (che si autoaccusano di efferati delitti, con una versione dei fatti strampalata e incompatibile con lo stato di tempo e luogo della vicenda) e del Mostro di Firenze, ma anche nel caso Manson (anche qui si autoaccusano del delitto alcune ragazze strafatte di droga, con un Qi intellettivo molto basso e forti problemi psichici). Il romanzo è soprattutto una rappresentazione di come funziona la lotta tra bene e male. Il male è rappresentato come una forza insidiosa e silenziosa, che si insinua non in uno o più individui specifici, ma in una collettività.Il male, in pratica, sta nell’atteggiamento della gente, nel non voler vedere la realtà, nel tapparsi gli occhi davanti a verità scomode per il proprio quieto vivere. Per dirla con le parole di Fausto Carotenuto, i poteri oscuri non sono altro che la somma di tutti i nostri sentimenti negativi. Il male può essere sconfitto dall’amore, dall’amicizia (che, come dice qualcuno, è l’amore senza le sue ali) e dal coraggio di andare avanti sconfiggendo le proprie paure (nel romanzo, l’unico dei ragazzi che si lascia sopraffare dalla paura, infatti, si suicida; ucciso quindi non dal mostro che terrorizza la città, ma da lui stesso). «La gente di Derry aveva vissuto da sempre con Pennywise in tutte le sue molteplici manifestazioni; e forse, in qualche modo, era addirittura arrivata a comprenderlo, ad aver bisogno di lui, ad averlo in simpatia. Ad amarlo. Può darsi… sì, persino quello può darsi» (pag. 533). Più in generale, il mostro che terrorizza la città assume diverse forme, una per ogni paura dei vari protagonisti; il male, cioè, assume di volta in volta proprio la forma più temuta dalla vittima. Da questo punto di vista il romanzo racconta il funzionamento della cosiddetta legge di attrazione e del potere che ha la nostra volontà di materializzare proprio ciò che temiamo di più e ciò che desideriamo.«Credi di vedermi?», dice un giorno It ad uno dei protagonisti: «Tu in realtà vedi solo quello che ti concede la tua mente» (pag. 1217). E difatti, poche pagine prima, Bill pensa tra sé: «It è solo la forma che ha preso a prestito dalle nostre menti. Sono quanto di più vicino le nostre menti sappiano accettare sulla vera essenza di It» (pag. 1212). Il mostro, che alla fine viene sconfitto, esiste davvero. Ma la morale che se ne trae è che quel mostro viene alimentato dalle paure e dagli atteggiamenti degli abitanti del luogo; in poche parole, si potrebbe dire che il mostro, il male, siamo noi stessi. «It e il tempo erano in qualche modo intercambiabili; It aveva tutte le loro facce insieme con le mille con cui aveva terrorizzato e ucciso… e l’idea che It poteva essere loro era la più devastante» (pag. 564). «Stai cercando di dire che questo essere non è malvagio? Che è semplicemente parte dell’ordine naturale delle cose?», chiede Eddie a Mike. E questo mostro – ecco una parte fondamentale nel messaggio del libro – viene sconfitto solo per mezzo della volontà e dell’immaginazione dei ragazzi. Eddie usa come arma il suo inalatore per l’asma; un apparecchio già innocuo di per sé contro un mostro del genere, ma reso ancora più innocuo dal fatto che lo stesso farmacista che lo aveva venduto sapeva che era solo un placebo, pieno in sostanza di acqua fresca e nient’altro.Ciò che rende potente l’arma utilizzata è solo la forza di volontà sprigionata dal protagonista nel momento della battaglia finale. Ad esempio: «I proiettili d’argento avevano funzionato perché in sette avevano fuso insieme la loro convinzione sull’efficacia di quello strumento». Non a caso il gruppo che sconfigge il mostro è costituito da bambini, e poi verrà sconfitto di nuovo molti anni dopo, ad opera dello stesso gruppo ormai formato da adulti, che rinnovano la loro volontà di fanciulli; il chiaro messaggio dietro tutto questo è che gli adulti non sono in grado, in genere, di vedere la realtà senza preconcetti e di utilizzare l’immaginazione e la volontà. Per utilizzarla occorre tornare bambini, e forgiare una realtà diversa da quella che gli apparati del potere costituito hanno costruito per noi, come una sorta di ragnatela che ci avviluppa (non a caso It appare come un gigantesco ragno, che tesse una specie di tela invisibile su una città, che è preda del mostro senza rendersene conto).A un certo punto del libro compaiono anche le forze del bene, rappresentate da una tartaruga che esiste fin dall’inizio del tempi. La tartaruga non è stata scelta a caso da King, essendo fondamentale nella tradizione di molte religioni: in quella buddista è il simbolo del divino, in particolare dello scorrere lento del tempo, e si narra che il Buddha fosse una tartaruga, in una delle sue incarnazioni precedenti. Nella mitologia induista è uno degli Avatar di Visnù; nella mitologia cinese è l’animale che sorregge il mondo; e per i nativi americani è la madre primordiale. Ma quando Bill, uno dei protagonisti, le chiede aiuto contro il mostro, supplicandola, ella risponde: «Devi aiutarti da te, figliolo… ci sono i tuoi amici» (pag. 1220). Per quanto riguarda la magia, il libro non ne parla espressamente. Quindi non compaiono maghi, streghe, vampiri, o entità varie, e di per sé pare non parla affatto della magia pura. In realtà tutto il libro è il racconto di come operano le forze della natura sull’uomo (e la magia, come diceva Paracelso e come qualunque esoterista sa, altro non è che la conoscenza delle leggi della natura); ed è quindi il racconto di come immaginazione e volontà (le due componenti fondamentali della magia) possono modificare la realtà e plasmarla a piacimento.Nel libro c’è addirittura la magia sessuale; uno dei fatti narrati nel romanzo, incomprensibili per chi non conosce la magia, ma che rappresenta un punto cruciale di tutto il racconto, è quando i ragazzi promettono solennemente, dopo aver sconfitto il mostro, che quando questo ritornerà loro si ritroveranno di nuovo tutti insieme a combatterlo, e suggellano questo patto con un rapporto sessuale con la protagonista femminile del romanzo, Beverly Marsch. Il rapporto sessuale, infatti, ha degli effetti magici, nel senso che (come abbiamo scritto nel nostro articolo “Sesso, magia sessuale, tantra e civiltà moderna”) lega le anime delle persone che si congiungono, rafforzandone la volontà, e creando un legame invisibile ma duraturo, che può essere indirizzato verso finalità specifiche, scelte da coloro che hanno il rapporto sessuale. Questo rapporto multiplo crea un legame tra tutti, una specie di promessa, che li porterà nuovamente a riunirsi per adempiere a quel patto. «Conosco un sistema – rispose Beverly nell’oscurità – So come ridiventare tutti uniti. Perché se non saremo uniti, non usciremo vivi di qui. E’ una cosa che ci unirà per sempre e che serve a dimostrare che vi amo tutti e siete tutti miei amici» (pag. 1246). Cos’è quindi che fa vincere i ragazzi contro il mostro? E’ «la loro forza unita, resa invincibile dalla forza di quell’Altro, ed era la forza del ricordo e del desiderio, e soprattutto era la forza dell’amore e di un’infanzia dimenticata» (pag. 1264).Nel romanzo compare anche un’altra idea di fondo: quella che la nostra vita sia guidata da forze invisibili, di cui a stento percepiamo l’esistenza. Forze che solo pochi percepiscono, e che impongono di domandarsi quanto effettivamente l’uomo sia dotato del cosiddetto libero arbitrio: «C’è qualcosa che ci sta chiamando, qualcosa che ci sceglie uno ad uno. Niente di tutto questo è casuale». Questo pensa Bill, uno dei protagonisti (pag. 421). E questa idea, da fa sfondo invisibile a tutto il racconto. Il libro “It” di Stephen King, quindi, considerato da tutti il suo capolavoro, è un romanzo, ma anche un libro sulla magia, sulla magia sessuale, sull’amore, sull’amicizia, sul potere, sul funzionamento della realtà e sul funzionamento delle energie dell’universo, e dunque sulla vita. Per questo è un libro magico che ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo, la maggior parte dei quali all’oscuro del reale significato del romanzo; ma attratti da esso da qualcosa… di magico, appunto. Non un romanzo del terrore, quindi, ma un libro sulla magia e sulla realtà in cui viviamo.(Paolo Franceschetti, “Stephen King, delitti rituali e magia”, dal blog “Petali di Loto” del 9 aprile 2018. Il libro: Stephen King, “It”, Sperling & Kupfer, 1344 pagine, euro 12,90).“It” è considerato il libro capolavoro di Stephen King. Un romanzo lunghissimo (circa 1300 pagine) che, come tutti i libri di questo scrittore, non è solo un libro del terrore (oserei dire che non lo è affatto) ma ci introduce nella quotidianità della provincia americana, facendocela assaporare come se la vivessimo noi stessi in prima persona. Nella dedica iniziale che Stephen King fa alla moglie e ai figli, c’è una frase che è la chiave di interpretazione di tutto il suo straordinario libro: ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste. Il romanzo è infatti la storia di sette ragazzi che combattono contro le forze del male nella cittadina di Derry; ma la storia è, in realtà, l’occasione per raccontare la realtà in cui viviamo, e per mostrare – a chi riesce a vederlo – il funzionamento di due aspetti molto importanti di questa realtà: il meccanismo operativo della magia, e il modo di agire delle forze esoteriche sulla realtà di tutti i giorni. Chi ha letto questo romanzo, ha trovato in esso tutte le cose di cui abbiamo parlato e ampiamente trattato nel nostro sito in questi dieci anni: gli omicidi rituali, la pervicace volontà di chi indaga di non accertare la verità; il capro espiatorio, assolutamente improbabile, che viene accusato di una serie di delitti per tacitare l’opinione pubblica; la magia e il suo funzionamento; la lotta tra il bene e il male e le sue dinamiche.
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Non c’è posto per tutti, il sistema è progettato per escludere
Un famoso sociologo americano fece il ragionamento della nave da crociera. Dice: mettiamo che sia una grande nave, con a bordo 100 crocieristi. Ma chi ha fabbricato la nave l’ha progettata in modo che ci fossero solo 50 sedie sdraio. A quel punto, è assolutamente automatico che 50 crocieristi prendono il sole seduti e 50 no. E’ irrilevante, il modo in cui si crea la divisione tra le due classi: se sia la forza, se sia l’autorità, se sia l’autorevolezza, se siano i soldi pagati. Si creano due classi, cioè una prima gerarchia: 50 hanno la sedia sdraio e 50 non ce l’hanno. Il problema è che, i 50 che non ce l’hanno, la prima cosa che pensano è: come fottere la sedia sdraio a chi ce l’ha. E allora succede che questa gerarchia, chi le sedie le ha, decide di dividerla: e 20 li convince, con una serie di concessioni (magari cedendo loro le sdraio per un determinato giorno alla settimana) a diventare custodi delle sedie sdraio di quelli che ce l’hanno. Quindi si creano tre classi: quelli che hanno la sedia sdraio, quelli che custodiscono la sdraio per quelli che ce l’hanno, e quelli che la sedia continuano a non averla. Nel frattempo, qualche sedia sdraio si rompe, quindi variano anche le dimensioni quantitative tra quelli che hanno la sedia sdraio e quelli che non ce l’hanno.Apparentemente, quelli che ce l’hanno diventano la maggioranza, rispetto a quelli che non ce l’hanno, ma invece poi diventano minoranza: le sedie si rompono, il numero di quelli che non ce l’hanno rimane invariato e il numero di quelli che ce l”hanno diminuisce – anzi, qualcuno viene degradato a non averla. Questo avviene soprattutto per la famosa crisi delle sedie sdraio: se c’è la crisi, quelli che hanno la sdraio diminuiscono e quelli che non ce l’hanno aumentano. I custodi delle sedie sdraio a loro volta si dividono, tra quelli che decidono di usare lo spirito e quelli che decidono di usare la spada. Nascono i sacerdoti e i cavalieri, per difendere i possessori di sedie straio: la classe sacerdotale e la classe militare hanno stessa funzione (custodire le sedie sdraio) ma usano strumenti diversi, la religione o la guerra. A questo punto, nella classe di quelli che non hanno la sedia sdraio, invitabilmente, qualcuno – magari degradato perché prima la sedia l’aveva, magari perché ha strumenti intellettuali in più – decide di racimolare materiale presente sulla nave per costruire delle nuove sedie sdraio.Ma quelli che la sedia sdraio ce l’hanno si sono ormai abituati ad avere un certo spazio attorno a sé, a godersi in esclusiva i servizi del bar. E allora cosa fanno? Attivano i custodi delle sedie sdraio – in particolare i militari – per impedire che si costruiscano nuove sedie sdraio. A questo punto il sistema, che prima aveva delle aparture, fabbrica solo delle chiusure, perché quelli che hanno la sedia sdraio decidono di non rinunciare a niente di quello che hanno, in termini di spazio, di servizi, di agevolazioni. Non vogliono cedere nulla, nonostante il fatto che altri potrebbero avere una sedia sdraio senza rubargli la loro. Ecco, questo della crociera è lo schema della società dei consumi: è uno schema che mostra, nitidamente, il degrado della società dei consumi – la sua degenerazione, perché teoricamente la società dei consumi potrebbe anche funzionare un po’ meglio, ma è inesorabilmente destinata a questo tipo di degenerazione. Vie d’uscita? Una sola: non fare le crociere.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 28 gennaio 2018).Vengo anch’io? No, tu no. Ma perché? «Perché no», è la non-risposta più famosa della canzone italiana, resa immortale dal grande Enzo Jannacci. Il concetto? Ferocemente chiarissimo: qualcuno non vuole che, a bordo, ci sia posto per tutti. Il posto ci sarebbe, beninteso, ma il sistema non lo prevede: chi si è accaparrato le migliori poltrone non le molla. E anzi, arruola guardiani per farsele difendere. «E’ lo schema del degrado inevitabile della società dei consumi», spiega Gianfranco Carpeoro, citando un caso di scuola della sociologia made in Usa: la parabola della nave da crociera. «Mettiamo che sia una grande nave: i crocieristi a bordo sono 100, ma chi ha fabbricato la nave l’ha progettata in modo che ci fossero solo 50 sedie sdraio». A quel punto, è assolutamente automatico che 50 crocieristi prendano il sole seduti e 50 no. «E’ irrilevante, il modo in cui si crea la divisione tra le due classi: se sia la forza, se sia l’autorità, se sia l’autorevolezza, se siano i soldi pagati. Si creano due classi, cioè una prima gerarchia: 50 hanno la sedia sdraio e 50 non ce l’hanno». Ovviamente, chi è rimasto senza sedia, la prima cosa a cui pensa è: come rubarla a chi la sdraio ce l’ha. E allora scatta la manipolazione: in cambio di qualche concessione (l’uso temporaneo della loro sdraio) i 50 possessori convincono 20 non-possessori a diventare custodi di quelle benedette sedie sdraio.
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Carpeoro: il potere dell’eggregora, energia esponenziale
Se qualcuno ci racconta che abbiamo le ali, forse è il caso di credergli. A patto che non dica di essere lui, a farcele spuntare. Mai sentito parlare di eggregore? Eccome, quasi sempre a sproposito. Sono energie sovrumane, ma non soprannaturali: «Si innescano durante le manifestazioni cerimoniali, quando molte persone pensano la stessa cosa, nel medesimo istante – non solo in un rito religioso, va bene anche un concerto di Vasco Rossi». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo, autore del saggio “Summa Symbolica”, a colloquio con Fabio Frabetti di “Border Nights” in diretta streaming su YouTube alla vigilia di Natale. A proposito: «Non sparate sul Natale, solo perché è diventato un festival del consumismo. Quello del Natale è un simbolismo affascinante: la nascita è la memoria ancestrale di come iniziamo a vivere». Francesco Saba Sardi, grande intellettuale triestino, fu scomunicato dopo aver scritto il libro “Il Natale ha 5.000 anni”? «Volendo, sono anche di più: Gesù è un simbolo universale, non un individuo figlio di Dio. E’ un archetipo, per il quale la divinità è in ognuno di noi». Le ali, appunto: sono roba nostra, fin dall’inizio, anche se poi qualcuno va dal “mago” a chiedere consigli, «come faceva Gianni Agnelli con Gustavo Rol».«Spero che nessuno mi denunci», premette Carpeoro, nel raccontare un risvolto finora inedito della vita dell’Avvocato: «Filmava i suoi incontri d’affari e poi mostrava a Rol le pellicole, chiedendogli di pronunciarsi sulla credibilità dell’interlocutore». Potere e chiaroveggenza, magia e divinazione? Su questo, Carpeoro ha più volte espresso il suo parere, che è nettissimo: la magia è illusionismo, puro strumento del potere. L’effetto magico? Non è mai il “mago” a innescarlo, ma il “cliente”, che però non ne è consapevole. Le religioni? Vittime, anch’esse, di una «deriva magica del pensiero». Inclusa la celebrazione del Natale, che può avere un effetto di grandissima suggestione: «La nascita di un bambino è per noi un momento di grande commozione, la stessa morte non commuove quanto una nascita». Ma attenzione: «Lasciamo perdere i dati folkloristici legati ai dogmi del Cristianesimo. Se esiste un Dio, per mostrarsi a noi ha dovuto necessariamente intervenire al momento della nostra nascita. E’ un evento immanente, irripetuto, incredibile, importante». L’effetto che ha su di noi? «E’ inconsapevole, ma solo per colpa nostra: siamo noi che vogliamo che sia inconsapevole. Anche il Natale fa parte di quelle aree di consapevolezza che, col tempo, ci siamo precluse».Per questo, è possibile che molte persone diano una interpretazione “magica” dell’effetto – teoricamente anche molto potente – delle cosiddette eggregore, le forme-pensiero suscitate da comunità di persone. Nessuna magia, assicura Carpeoro: quell’effetto esiste, ma dipende da precise leggi energetiche. Spiegazione: «Ognuno di noi è espressione anche di energie, che porta dentro. Per uno strano meccanismo – potrei dire coincidenza, Jung direbbe sincronicità, altri direbbero qualcos’altro – quando diventano assolutamente complementari l’una all’altra e viaggiano tutte in un’unica direzione, si sommano in un’unica energia: che nella maggior parte dei casi è addirittura superiore, come forza, all’addizione delle singole unità». Nel campo delle eggregore, aggiunge Carpeoro, «uno più uno non fa due – può fare tre, cinque, dieci». Il che non è “magico”, è “soltanto” sovrumano: sta al di sopra dell’ordinarietà. «Se tu una cosa la interpreti in senso magico avrai un tipo di conseguenza, se invece la interpreti in senso simbolico e laico, ne trai altre conseguenze». Generalmente, precisa Carpeoro, «di fronte a cose che abbiano un senso magico, la gente non deve sforzarsi di capire». Ovvero: «Quando una cosa ha un effetto magico – che poi si nasconda sotto una religione, una fascinazione – la gente non si preoccupa di capire, tant’è vero che uno dei principi della magia è la ripetizione astratta delle formule».Tutt’altro pianeta, invece, la dimensione – libera, seria, autonoma – del pensiero simbolico: «Quando tu alle cose dai un’interpretazione in senso simbolico, ti poni nella logica del capire il perché. Puoi anche non metterne in discussione l’effetto, ma sai che questo effetto risponde a delle leggi, a dei meccanismi che teoricamente noi siamo in grado di capire. Meccanismi che hanno una logica e, per la loro caratura, una caratteristica quasi scientifica». Secondo Carpeoro, nel caso delle eggregore «possono verificarsi effetti notevoli quando tutte le menti delle persone sono dirette verso un unico obiettivo». Uno dei casi più eclatanti di eggregora? «E’ quello delle manifestazioni cerimoniali. Chiamali concerti, eventi religiosi, Via Crucis del Papa, preghiere collettive. Chiamatele come volete: sono manifestazioni cerimoniali. E nelle manifestazioni cerimoniali – anche quelle della massoneria, tipo la Catena d’Unione – nel momento in cui tutte le menti riescono a essere rivolte verso un unico obiettivo, allora si crea quella forza, che non è più dovuta alla forza della somma delle singole menti, ma è una forza superiore. La sua durata? Dipende dall’obiettivo e dalle circostanze. E’ positivo partecipare a questo tipo di raduni? Non sempre».Generalmente, aggiunge Carpeoro, l’obiettivo non dev’essere mai individuale, né riguardare uno dei partecipanti: «Sarebbe un ostacolo, perché colui che è oggetto pensa diversamente dagli altri. I partecipanti devono essere in una posizione di tale complementarità che mi sembra impossibile che uno abbia un pensiero diverso e si individualizzi». Gli ultras allo stadio fanno un tipo di cerimoniale? «Può succedere, sì. Anche la diffusione di certe notizie può avere l’effetto di far concentrare le stesse persone, simultaneamente, su un unico obiettivo». La televisione invece «non può creare eggregore, ma solo sovrastrutture, mentre l’eggregora è un’energia. E la televisione può creare dicerie, dogmi, luoghi comuni e pregiudizi, ma non può creare energie». Ammette Carpeoro: «Un paio di volte queste eggregore hanno consentito la mia purificazione, rispetto a stati di agitazione o di torpidità momentanea che mi avevano coinvolto. Uno degli effetti positivi di un’eggregora può essere il fatto che ne esci completamente purificato da determinate cose». Ma anche qui, attenzione: «Non è l’eggregora a toglierti la negatività. L’hai eliminata tu stesso. Bisogna smetterla di spostare tutto fuori: è tutto dentro. Ogni cosa si verifica sempre al nostro interno. La stessa negatività fa parte di noi, è una nostra componente».Prima ancora di essere individui, cosa siamo? «Siamo parte di qualcosa di più grande. Oppure “non siamo”; ma, anche “non essendo”, siamo parte di qualcosa di più grande. Quindi, l’eggregora cosa fa? Restituisce un’integrazione». Nell’eliminare la tua individualità, continua Carpeoro, puoi avere conseguenze positive o negative. «Quando tu, reintegrandoti in una comunità particolare, in un organismo più grande, elimini l’individualità con conseguenze positive, vuol dire che poi, quando ne esci, tutta una serie di problemi legati all’ego li hai in qualche modo eliminati, rimossi». Domanda: è da respingere con forza la credenza in base alla quale altre persone ci possano inculcare delle negatività? «Dipende sempre da te», risponde Carpeoro: «Se io sono un soggetto pensante, non ci riesce». Chi pensa, in sostanza, non è manipolabile. «E’ che noi, in certi casi, non pensiamo. Pensare significa: avere l’aspirazione di capire tutto quello che ti succede. In realtà, il 90% delle cose che ci succedono e che ci troviamo a fare, il 90% delle nostre scelte, le facciamo non pensando. E questo è frutto del pensiero magico, che è un non-pensiero».Sicché noi possiamo “creare” la realtà, se circoscriviamo l’ego? «Noi siamo realtà», sottolinea Carpeoro: «Possiamo essere consapevoli della realtà che siamo». Poi, appunto, ci sono anche le eggregore. Una rockstar come Vasco? Ne ha create di enormi, secondo il suo pubblico anche molto positive: «Sicuramente, tramite le parole e alcune sue canzoni, ha mosso delle energie in un’unica direzione». Può farlo anche una messa cattolica? «Se il celebrante è bravo, sì». In altre parole: ci sono straordinarie concentrazioni di energia, che possono raggiungerci. Esistono dimensioni invisibili, ma non per questo non naturali o non fisiche. E ci sono leggi che tuttora ci sfuggono: «Una cosa che mi capita quasi quotidianamente – racconta Carpeoro – è che, se penso intensamente a qualcuno, un amico che non sento da tempo, nel giro di pochi secondi mi telefona. Mi succede quasi ogni giorno, con una frequenza che a volte mi disorienta». Ipotesi: «Secondo me sono messaggi che noi mandiamo e che automaticamente il destinatario è in grado di recepire, e quindi poi chiama. Il fatto che questo non avvenga nella consapevolezza non significa che non sia possibile», conclude Carpeoro. «La cosa in sé non mi meraviglia: me ne meraviglia la frequenza».Se qualcuno ci racconta che abbiamo le ali, forse è il caso di credergli. A patto che non dica di essere lui, a farcele spuntare. Mai sentito parlare di eggregore? Eccome, quasi sempre a sproposito. Sono energie sovrumane, ma non soprannaturali: «Si innescano durante le manifestazioni cerimoniali, quando molte persone pensano la stessa cosa, nel medesimo istante – non solo in un rito religioso, va bene anche un concerto di Vasco Rossi». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo, autore del saggio “Summa Symbolica”, a colloquio con Fabio Frabetti di “Border Nights” in diretta streaming su YouTube alla vigilia di Natale. A proposito: «Non sparate sul Natale, solo perché è diventato un festival del consumismo. Quello del Natale è un simbolismo affascinante: la nascita è la memoria ancestrale di come iniziamo a vivere». Francesco Saba Sardi, grande intellettuale triestino, fu scomunicato dopo aver scritto il libro “Il Natale ha 5.000 anni”? «Volendo, sono anche di più: Gesù è un simbolo universale, non un individuo figlio di Dio. E’ un archetipo, per il quale la divinità è in ognuno di noi». Le ali, appunto: sono roba nostra, fin dall’inizio, anche se poi qualcuno va dal “mago” a chiedere consigli, «come faceva Gianni Agnelli con Gustavo Rol».
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L’astrofisica è cieca, vede solo il 5% di ciò che ci circonda
La notizia che la sonda Kepler della Nasa ha scoperto una Terra simile a 1.400 anni luce di distanza ha eccitato molti, contenti di non essere soli nell’universo e convinti che la vita emerga solo in pianeti abitabili, cioè vicini a una stella gialla come il nostro sole. La Nasa li sta scoprendo e non sono pochi, per ora 2.326, riportano esperti e media, “dimenticando” di chiedersi cos’è la vita. Incredibile ma vero, nessuno lo sa. Dopo lunghe discussioni i biologi hanno raggiungo il seguente accordo: la vita è tutto ciò che si riproduce e mantiene il suo ordine. Una tale definizione include cristalli, pianeti, stelle e sistemi solari, oltre tutti gli organismi sulla superficie terrestre; dimostra che le origini della vita non risalgono a un passato remoto, ma si rinnovano in ogni concepimento. Il nostro sistema solare nasce con l’esplosione di una supernova, 4-5 miliardi di anni fa. L’universo osservato nasce con un Big Bang circa 14 miliardi di anni fa, ma è appena il 5% della massa totale e potrebbe essere la riproduzione di universi simili, “oscuri” ma calcolati, sempre sognati e illustrati dagli artisti. L’universo è un organismo intelligente, dicono saggi e poeti sin dall’antichità.Cercando pianeti abitabili, la Nasa fa credere che l’universo osservato (5%) sia un meccanismo su cui questo ente misterioso, la vita, alligna solo se ci sono certe condizioni. Pochi sanno dell’immane energia oscura che pullula dal “vuoto” ed è niente di meno il 70% della massa, secondo dati ufficiali. Non solo; si “dimentica” anche che il “vuoto” permea tutto, persino gli atomi dei nostri corpi, ed è legato al restante 25% che è materia oscura. Così grazie alla pubblicità, quasi tutti “ignorano” che le sonde spaziali non osservano la realtà, ma solo le “ombre”, direbbe Platone, i suoi effetti sul 5%. La notizia strepitosa è che il 95% oscuro è indipendente dalle tre forze universali che consideriamo naturali (gravità, elettromagnetismo e nucleare forte). Allora il 95% è sovrannaturale?! Sì, e può essere organizzato in infiniti mondi intelligenti e avere effetti sul 5% “naturale”. Di fronte a una cecità scientifica così grande, riconosciuta peraltro all’unanimità, di fronte a misteri insoluti quali il concepimento e la morte, a che ci serve sapere che ci sono 2.326 pianeti abitatili a distanza di migliaia di anni luce? A coltivare il grande inganno: l’isolamento della Terra e la solitudine dell’umanità – che nasce, soffre e muore senza sapere perché, è costretta a lottare ogni giorno per un pugno di dollari, euro o yen.Milioni di esperienze di pre-morte, memorie di vite passate, auto-guarigioni ed eventi repentini che chiese e accademie non spiegano, sono indizi che le due porzioni – naturale (5%) e sovrannaturale (95%) – sono legate tra loro. «Un’unica Forza, l’Amore, rende vivi infiniti mondi intelligenti», affermava Giordano Bruno, e potremmo confermare oggi, riconoscendo che l’unica “forza” può coincidere con quella che i fisici chiamano “debole”. Le neuroscienze hanno riconosciuto l’opera attiva dell’energia oscura nei cervelli umani. L’energia oscura sfida anche il principio copernicano in base al quale l’astronomia calcola le distanze. Ebbene, questo principio è falsificato da varie osservazioni, tra cui quelle compiute in microonde. Elaborando i dati in queste frequenze, astrofisici francesi hanno dimostrato che il “vuoto” può avere una struttura geometrica che si comporta come una sala di specchi. «Siamo in una realtà umbratile», scriveva Giordano Bruno, bruciato nel 1600 come eretico. «Siamo dentro un videogame», affermano oggi molti astronomi seri, sfidando il principio copernicano ovvero il credo, mai provato, che ciò che ci appare “vuoto” sia davvero tale; può essere pieno non solo di strutture speculari, ma anche di universi intelligenti nascosti “dietro” le stesse strutture.Allora gli infiniti mondi intelligenti non sono distanti come crede, o meglio, fa credere la Nasa: sono universi distinti, qui presenti, invisibili perché composti di generi di materia che non riflettono la luce elettromagnetica, universi nascosti dalla nostra stessa credulità nelle “certezze” accademiche. Se l’unica “forza” che li unisce tutti è l’Amore, possiamo capire che sì, siamo dentro un videogame, ma abbiamo anche la sensibilità necessaria per uscirne, superare l’illusione e comprendere che siamo partecipi di un “universo organico” eterno, e che finora abbiamo osservato le “ombre” cioè solo le immagini di un video. Possiamo ascoltare l’audio che è Musica e Canto, dice Bruno, forse il Coro della grande Opera che si sta svelando e ci può liberare dagli inganni. “Lasciate le ombre e abbracciate il vero, non scambiate il presente con il futuro. Tu sei il vaso entro cui il Fiume trabocca, mentre le ombre desiderano solo ciò che divorano” (Parte di una poesia di Giordano Bruno, riportata nel libro “L’eresia di Giordano Bruno e l’eternità del genere umano”).(Giuliana Conforto, “Illusioni astronomiche”, dal blog della Conforto, autrice del saggio su Giordano Bruno edito da Noesis, 126 pagine, 15 euro).La notizia che la sonda Kepler della Nasa ha scoperto una Terra simile a 1.400 anni luce di distanza ha eccitato molti, contenti di non essere soli nell’universo e convinti che la vita emerga solo in pianeti abitabili, cioè vicini a una stella gialla come il nostro sole. La Nasa li sta scoprendo e non sono pochi, per ora 2.326, riportano esperti e media, “dimenticando” di chiedersi cos’è la vita. Incredibile ma vero, nessuno lo sa. Dopo lunghe discussioni i biologi hanno raggiungo il seguente accordo: la vita è tutto ciò che si riproduce e mantiene il suo ordine. Una tale definizione include cristalli, pianeti, stelle e sistemi solari, oltre tutti gli organismi sulla superficie terrestre; dimostra che le origini della vita non risalgono a un passato remoto, ma si rinnovano in ogni concepimento. Il nostro sistema solare nasce con l’esplosione di una supernova, 4-5 miliardi di anni fa. L’universo osservato nasce con un Big Bang circa 14 miliardi di anni fa, ma è appena il 5% della massa totale e potrebbe essere la riproduzione di universi simili, “oscuri” ma calcolati, sempre sognati e illustrati dagli artisti. L’universo è un organismo intelligente, dicono saggi e poeti sin dall’antichità.
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La materia è pensiero: Giordano Bruno anticipò la scienza
«Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia», scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. «La Forza è la Vita Cosmica». Giordano Bruno? «Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo». Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600 «anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza». Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, «perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio». Infatti, «la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di “aver mutato intento”, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo». Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che «indicano la via per edificare un nuovo mondo, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine». Forse «venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite», come direbbe Nietzsche.Giordano Bruno potrebbe davvero considerarsi un nobile antesignano di questa specie chiamata “indaco”, giunta a edificare un nuovo mondo, «un mondo di luce per esseri di luce che vedono e sentono con gli stessi occhi e la stessa mente sia gli universi visibili che quelli invisibili», scrive la Racci, in una riflessione ripresa dal blog “Visione Alchemica”. «Un grande pensatore, arso vivo per il vizio di pensare; un filosofo di una modernità quasi inquietante, ma soprattutto un uomo fuori del comune, uno spirito folletto, fantasioso, originale». Quello che trasmetteva «non era solo un’immagine della vita, ma un’emozione del mondo». Giordano Bruno «era un grande: in lui albergava la conoscenza dei mondi paralleli, della metempsicosi, delle energie sottili». Straordinario, per quei tempi. La sua profondità «non è quella che connota il pensiero tecnico-scientifico da secoli imperante in Occidente». Va ricercata nell’inconscio della scienza stessa, «che è a un tempo ciò da cui la scienza scaturisce e ciò che la scienza rimuove». Innegabili sono i miglioramenti che la scienza ha apportato alla vita dell’uomo occidentale. «Ma sotto l’aspetto della felicità, della ricerca di una pace interiore, di una quiete dell’anima in piena armonia con la natura e più ampiamente con il Tutto, risulta più difficile parlare di progresso».Per la professoressa Racci, sembra quasi che la scienza abbia sdradicato l’uomo dal suo habitat naturale, la fusione con la natura, «facendolo sentire meno alienato di fronte a un computer che al cospetto di un tramonto». Allo stesso modo, la religione, «per quanto antiscientifica possa sembrare», ha sovente «cercato il connubio con la ragione, con l’evidenza e la chiarezza del “lumen” naturale, perdendo in realtà la sua vera “quidditas”, la sua dimensione sacrale». Per questo Giordano Bruno fu messo al rogo: «La sua “nova filosofia” non era né scientifica, né strettamente religiosa, in quanto si fondava sulla “magia naturale”, sulla “prisca Aegiptorum sapientia”», l’amtica sapienza egizia. «Bruno è infatti il vero sensitivo immerso nella “fusis”, convinto che si possano abbattere le barriere tra l’umano e il divino». E attenzione: «Niente è più positivo dello sfondamento dei limiti, dello spostare le pietre di confine per arrivare alla comprensione che l’uomo, la Natura e Dio sono la stessa cosa. Nell’universo tutto è Vita, tutto è animato da uno stesso spirito vivificatore». Letteralmente: «Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose», in perfetta armonia.E’ un’innegabile forma di animismo: per Bruno, tra le piante, gli animali, gli uomini non c’è differenza se non di grado. La differenza è nel “Dorso della Forma”, sono fenomeni di un’unica sostanza universale. Pensare che il mondo sia là solo per l’uomo è un grave errore: «Il filosofo esce così dalla cultura occidentale cristiana e modula il suo sentire sul registro affine a quello buddista». Con l’ammirazione dovuta a chi sacrifica la vita per le proprie idee, «Bruno andrebbe inserito in una sfera iniziatica, riferendosi non tanto alla sua laicità, bensì alla sua sacralità, al suo vedere la presenza divina in ogni cosa, alla sua ansia di ricerca che trascende il raziocinio nel suo identificarsi nella natura, che è per lui un vero e proprio “indiamento”», cioè un’unione estatica tra l’umano e il divino. Si tratta di varcare il limite dell’homo sapiens per avviarsi «verso altra natura, altri corsi, altri mondi».La materia dunque non è inerte, ma viva, animata (pampsichismo) e costituisce uno dei centri archimedei del pensiero di Bruno: infatti, continua Manuela Racci, il filosofo perviene a una concezione della materia universale come fonte dell’infinito prodursi di tutta la realtà: come la gestante che riscuote da sé la sua prole, la materia contiene in sé tutte le forme, è «cosa divina e ottima parente, genitrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza»; è «fonte de l’attualità» di ogni cosa. Per Bruno la materia è Vita, materia infinita, e tra l’anima dell’uomo e quella delle bestie non c’è alcuna differenza sostanziale. «Potremmo dire che la “magia naturale” di Bruno si colloca in quella sotterranea corrente che prende il nome di “pensiero per immagini” che, pur perdente in Occidente, costituisce la fonte segreta del sapere, fonte a cui si accede non per via logico-architettonica ma per pratica amorosa». La concezione che Bruno ha della forza dell’Amore ribadisce la pregnanza e l’attualità di tale concetto in campo metafisico e metempirico: la forza «che move il sole e l’altre stelle», di cui parla Dante, è «l’unica che muove infiniti mondi e li rende vivi». E quella “magia naturale” che solo il vero saggio da sempre sente.«L’amore, dice il filosofo, sa “comprendere” ciò che la ragione non sa “spiegare”, là dove la scienza può spiegare tutto, senza nulla comprendere». L’astrofisica Giuliana Conforto, in uno studio irrinunciabile sulla futura scienza di Giordano Bruno, evidenzia come il pianeta si stia trasformando e come il filosofo nolano sia uno dei grandi saggi che l’abbiano previsto. «Quella di Bruno è scienza del futuro, coscienza delle infinite potenzialità dell’essere umano e soprattutto della sua immortalità. Egli annuncia la nascita dell’uomo nuovo, libero da tabù e paure, capace di ricevere e di riflettere nelle sue opere l’intero messaggio vitale, oggi noto come Dna, quindi di creare un nuovo mondo di pace e vera giustizia». In altre parole, «Bruno rivela il grande segreto, la magia della natura: la comunione naturale di ogni corpo con il messaggio genetico, che fu poi il motivo vero della sua condanna perché vanifica il ruolo della Chiesa come intermediaria tra l’uomo e Dio: Bruno rivela il ruolo centrale di protagonista dell’uomo nel progetto cosmico, prevede i tempi attuali e l’evento che ristabilirà l’antico volto: il risveglio dell’uomo alla coscienza dell’infinita e vera realtà, l’Amore».Quella forza cosmica prende il nome, in Bruno, di “eroico furore”: «L’uomo nuovo è il furioso, l’ebbro di Dio e arso d’amore che, con uno sforzo eroico (da eros) e appassionato, giunge a una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo, generando una sorta di copula d’amore tra lui e la Natura. Solo il fuoco dell’esperienza dell’Amore è in grado di aprire la strada alla visione di Dio, del Tutto, dell’unità». Scorrendo in particolare i suoi sette scritti magici, tra cui esemplare risulta essere la “Lampas triginta statuarum”, testo di eccezionale bellezza poetica e immaginativa, il lettore non può non cogliere questo moderno senso del divino nell’uomo come appartenenza al Tutto, scintilla perfetta di un Tutto unico e animato. Per Manuela Racci, è una affascinante concezione della metempsicosi di ascendenza orfico-pitagorica: la morte non è altro che una dissoluzione di legami, ma nessun spirito o nessun corpo celeste perisce; è solo un continuo mutare di complessione e combinazioni. Affiora un «senso etico di giustizia cosmica», che spinge le anime «a comunicarsi a corpi sempre diversi, in una sorprendente affinità con il Karma delle religioni orientali, nella commossa intuizione che l’anima possa istituire innumerevoli legami tra piani dell’universo».Prima ancora dello stesso movimento romantico, Giordano Bruno ha quindi riportato l’attenzione sull’intima connessione del Tutto rispetto all’analitica scansione delle parti, in cui il pensiero logico-razionale per natura trattiene se stesso, smarrendo i vincoli che legano tra loro tutte le cose. Dunque, «non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra, non è concesso all’uomo quel primato che lo prevede possessore e dominatore del mondo, ma semplice cooperatore dell’operante natura». All’enfatizzazione del soggetto, Bruno contrappone un percorso opposto: non il primato dell’uomo, ma «il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura». La sua “magia”? «Non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia». Ed è la proposta filosofica di Bruno, «antitetica sia alla matematica sia alla religione». Alla legge dell’uomo occidentale sul Tutto, la “magia” bruniana si volge alla legge del Tutto: siamo parte della natura, non i suoi dominatori. E la nostra possibilità di felicità risiede nella complementarità attraverso cui possiamo combaciare con altri esseri, al tempo stesso naturali e divini.Tra le idee straordinarie che Bruno ha consegnato alla modernità, aggiunge la Racci, è impossibile non citare le due opere in chiave ermetica che si presentano come veri trattati di arte della memoria, la mnemotecnica (“De umbris idearum” e “Cantus circaeus”). Ne sviluppa un’analisi sottile Gabriele La Porta, nel suo libro “Giordano Bruno. Vita e avventure di un pericoloso maestro del pensiero”: le immagini descritte dal filosofo non avrebbero solo il compito di potenziare e raffinare la memoria visiva, ma rivestirebbero anche un significato propriamente “magico”. «Infatti la loro contemplazione e la loro rammemorazione porterebbero in contatto con energie cosmiche primordiali, con la vera “quidditas” delle cose, con le realtà supreme e archetipe, infondendo nell’animo pace, quiete, serenità». Secondo La Porta, Bruno si propone di suscitare una sorta di rivoluzione spirituale: «Seguendo le vie di un sapere esoterico, che ha tutti i caratteri di un’illuminazione, l’uomo si libera dai pregiudizi, dalle passioni negative, dagli egoismi, per diventare saggio, cioè in grado di percorrere la via della Forza, quella Forza che è trasparenza, libertà, verità».Una vera e propria scienza futura, che i saggi come Bruno già conoscevano: «Una coscienza che comprende interamente il messaggio della Vita e soprattutto il ruolo cosmico, immortale dell’essere umano». Come non ricordare poi la sua vulcanica intuizione cosmologica? Giordano Bruno, aggiunge la Racci, fu il primo a dedurre che la vita intelligente è distribuita un po’ dappertutto nell’universo, «ponendo così le basi alla giustificazione dei trasferimenti di essa da pianeti in estinzione ma ad alto livello di tecnologia a pianeti non abitati ma tali da consentire la vita». A ragione, Bruno viene visto come il primo ufologo: «Oggi le sue osservazioni sono considerate il punto di partenza per la ricerca di altre forme di vita nell’universo». Superando la rivoluzione copernicana, Bruno immaginava un universo infinito, popolato da un’infinità di stelle che, abbattute le muraglie del cielo fisso e finito, corrono per ogni dove. «Stelle come il nostro sole, ciascuna circondata da pianeti, su taluni dei quali prosperano altre intelligenze, creature viventi senzienti e razionali».«Apri la porta attraverso la quale possiamo osservare il firmamento senza limiti», era il suo motto. «Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza de l’imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli, non in una terra, un mondo, ma in duecentomila, dico in infiniti». Un universo dunque senza limiti, dai caratteri divini: infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme. Per Manuela Racci si potrebbe chiudere questa riflessione, meramente propedeutica alla necessità di far risorgere le intuizioni bruniane, con un’asserzione efficace del geniale filosofo che più volte sostiene di essere la reincarnazione di Ermes, il messaggero degli dei, sceso per aprire gli occhi agli uomini. «L’umanità ha bisogno di persone che testimonino la possibilità della fratellanza, in nome della conoscenza e della ricerca». Obiettivo: «Gettare i semi per piante che fruttifereranno nel futuro». Non è possibile dire quando, «ma è importante lasciare un segno, dire parole, formulare pensieri, viver in una dimensione di segno opposto a quella dell’attuale imbecillità. E soprattutto, non scoraggiarsi».«Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia», scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. «La Forza è la Vita Cosmica». Giordano Bruno? «Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo». Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600 «anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza». Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, «perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio». Infatti, «la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di “aver mutato intento”, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo». Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che «indicano la via per edificare un nuovo mondo, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine». Forse «venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite», come direbbe Nietzsche.
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Zurlini: quelli che cercano i super-poteri nella New Age
Il fenomeno della New Age ci ha portati nel mondo dei chakra, della kundalini, della meditazione, della respirazione forzata, delle iniziazioni a pagamento ed ha alimentato, con l’esaltazione della “tecnica” da imparare in seminari di un giorno in grandi auditorium, il desiderio di “saltare i gradini” per acquisire i poteri sulla materia. Ha presentato ai curiosi e ai ricercatori, la “Via Veloce del Potere” e dell’Energia da manipolare a piacimento, partendo da una base egoistica. In altre parole, ha presentato la possibilità di acquisire Potere personale, senza gli altri due punti del triangolo basilare della Vita Universale: l’Amore e l’Intelligenza. Praticare tecniche fisiche o mentali per accelerare la realizzazione dei propri desideri, permette un grande afflusso di energia sul Plesso Solare, il Centro Sacrale, il Cuore e la Gola. Questo prova congestioni, problemi fisici e psichici. Anche se molti partono da “buone intenzioni”, quest’ultime non bastano. L’energia è neutra e non guarda le intenzioni di partenza, ma espande quello che trova! Le fasi alchemiche di trasformazione di sé richiedono pazienza e anni di lungo e lento lavoro, quelli che vogliono tutto e subito rischiano di bruciare tutto e rovinare la “cottura”…All’inizio non ci si accorge di questi “errori spirituali”, poi pian piano si avverte di essere sotto l’effetto di forze fisiche, emotive e mentali che hanno aumentato gli impulsi sessuali, hanno aumentato l’irascibilità, la separatività, la critica continua verso chi pratica forme diverse di ricerca spirituale, l’egoismo, l’insensibilità verso gli eventi negativi (esempio: “questo evento negativo accaduto a queste persone non mi tocca per niente, perché è il loro karma negativo che li sta punendo”), oppure l’indifferenza verso i bisogni degli altri, nonostante i mantra, gli esercizi di risveglio e le tecniche utilizzate per attrarre a sé il partner e la macchina nuova, si rimane ancora fondamentalmente egoisti, separativi e con il “cuore chiuso”. Ci sono persone che dopo dieci anni di meditazioni sono diventate peggio di prima, poiché non avendo seguito un solo percorso, hanno mescolato (senza uso del discernimento e la saggezza di una Guida dal cuore puro) fra di loro diverse energie creando ingorghi e blocchi energetici. Questo non aiuta l’umanità a prendere fiducia e iniziare un cammino di risveglio su scala più ampia, ma permette all’opinione pubblica di aumentare la separazione e il giudizio, creando maggiore conflitto tra materialità e spiritualità.I grandi problemi dei Movimenti Spirituali, delle Scuole Esoteriche, delle Chiese e della moltitudine di insegnanti e guide spirituali, sono sempre stati la coerenza e l’esempio. Il fatto, cioè, della contraddizione tra il parlato e il vissuto. Perché questo? Perché noi stiamo vivendo in un periodo storico in cui lo “spirituale” sta emergendo sempre più potentemente come reazione al materialismo dilagante. Molti quindi si dedicano allo spirituale e all’esoterismo, entrano in scuole e movimenti vari. Perché lo fanno? Alcuni perché sono in crisi esistenziale e pensano di risolverla col Divino e con le tecniche spirituali. Quindi per sollievo. Altri perché hanno paura del mondo e dunque si ritirano in luoghi appartati, comunitari, eco-villaggi, ecc. Altri ancora perché hanno bisogno di lavorare e di affermarsi e trovano nello “spirituale” un terreno molto fertile. Si guadagna bene e possono dispensare consigli di vita e promesse miracolose di illuminazione a tutti gli inconsapevoli. Così fanno del male a se stessi e anche agli altri, rovinando la credibilità di Scuole, Movimenti, Insegnanti e Guide.Sono pochi purtroppo quelli che nello Spirituale riconoscono se stessi come strumenti di servizio verso l’umanità e la Natura. Proprio questa è stata la crisi delle Religioni, delle Scuole e dei Movimenti Spirituali: la mancanza di credibilità. Perché, a parole, tutti dicono frasi molto belle e meravigliose ma poi nei fatti si comportano all’opposto perché non sono pronti al servizio, nel quale si deve dimenticare se stessi per cercare di aiutare gli altri ad evolvere. Molti hanno ancora bisogno di affermare se stessi e di compiere la loro esperienza nell’ego e nella personalità. Anche se l’Anima fa sentire la sua voce e chiama il suo discepolo, egli è ancora perso nel successo e nell’auto realizzazione attraverso lo spirituale. Bisogna porre attenzione a quel mondo dell’energia che è stato presentato in modo estremo e parossistico, tipicamente infantile e adolescenziale (es. l’apertura dei chakra a tutte le ore, le attivazioni di codici numerici a pagamento, “pulizia del karma” con una passata della mano, magliette che trasformano l’aura, canalizzazioni di ogni tipo con angeli, santi, morti, ecc.).Il Sentiero Spirituale è un’esperienza di Magia e Alchimia, di Osservazione lenta e paziente nella conoscenza di se stessi, di lavoro profondo sul dolore del proprio sistema familiare, di manipolazione di energia psichica e spirituale fatta in modo totalmente consapevole e ordinato. E soprattutto non è un processo veloce (dove basta la lettura di un paio di libri) per imparare l’arte. Il primo passo, basilare e fondamentale è la “purificazione” dei corpi. Solo questo protegge l’individuo dalla forza che sta muovendo. Nelle antiche Scuole non si permetteva mai di meditare quando l’Aspirante aveva una bassa vitalità, emozioni ancora negative o pensieri di critica e separazione perché, come abbiamo detto prima, la meditazione rafforza quello che trova! Prima occorre purificare i veicoli con vari esercizi fisici, emotivi e mentali, bisogna radicare una visione elevata nel cuore e nella mente dell’aspirante, insegnandogli ad alimentarsi senza intossicarsi. A relazionarsi con gli altri senza intossicarsi. A lavorare quotidianamente senza farsi depredare dal lavoro stesso. Ci sono persone che mangiano al ristorante (carne e formaggi) fino alle metà pomeriggio, e con il corpo pieno di cibo (e tossine), di sera, fanno la loro meditazione e la loro pratica spirituale! Questa è follia pura.Studiare e leggere, meditare, volere educare se stessi e l’ego a sviluppare la comprensione amorevole, la consapevolezza di sé, il perdono e la gioia, tenendo però il tutto solo sul piano mentale, senza azione, crea una congestione energetica. Se sul piano dell’azione, quello quotidiano e ordinario, con la propria famiglia, datori di lavoro, colleghi, amici e partner, si esprimono solo le forze della personalità, quelle ordinarie e conformi alla norma della massa, questo fa sbagliare strada e ritarda notevolmente il progresso sul Sentiero Evolutivo. In ultimo, ma non per complicare le cose, ma solo per esigenza di totale chiarezza: il Sentiero Spirituale non è mai repressivo, chiuso, forzato, bensì spontaneo, fatto di entusiasmo e gioia. Se c’è tristezza, eccessivo rigore, incapacità a sorridere di sé, freddezza, critica verso tutti gli altri movimenti spirituali e insegnanti, separatività e mancanza di collaborazione col “diverso da sé”, allora è bene riflettere: si sta sbagliando qualcosa! Che il fuoco del discernimento di questo scritto possa essere utile ai cercatori della verità sugli errori da evitare e la strada da percorrere al meglio.(Andrea Zurlini, “Le trappole sul sentiero spirituale”, dal blog di Zurlini del 18 dicembre 2016).Il fenomeno della New Age ci ha portati nel mondo dei chakra, della kundalini, della meditazione, della respirazione forzata, delle iniziazioni a pagamento ed ha alimentato, con l’esaltazione della “tecnica” da imparare in seminari di un giorno in grandi auditorium, il desiderio di “saltare i gradini” per acquisire i poteri sulla materia. Ha presentato ai curiosi e ai ricercatori, la “Via Veloce del Potere” e dell’Energia da manipolare a piacimento, partendo da una base egoistica. In altre parole, ha presentato la possibilità di acquisire Potere personale, senza gli altri due punti del triangolo basilare della Vita Universale: l’Amore e l’Intelligenza. Praticare tecniche fisiche o mentali per accelerare la realizzazione dei propri desideri, permette un grande afflusso di energia sul Plesso Solare, il Centro Sacrale, il Cuore e la Gola. Questo prova congestioni, problemi fisici e psichici. Anche se molti partono da “buone intenzioni”, quest’ultime non bastano. L’energia è neutra e non guarda le intenzioni di partenza, ma espande quello che trova! Le fasi alchemiche di trasformazione di sé richiedono pazienza e anni di lungo e lento lavoro, quelli che vogliono tutto e subito rischiano di bruciare tutto e rovinare la “cottura”…
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Sciiti e sunniti, colpa loro. Noi occidentali? Innocenti, ovvio
“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”. Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”. «Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso». Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington. «Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».Superiorità occidentale? Sì, ma a mano armata: «L’Occidente – ammette ancora Huntington – non ha conquistato il mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione, ma attraverso la sua superiorità nell’uso della violenza organizzata, il potere militare». E attenzione: «Gli occidentali lo dimenticano spesso, i non occidentali mai». Lo sottolinea Paolo Barnard nel suo saggio “Perché ci odiano”, in cui intervista anche l’allora “numero tre” di Al-Qaeda: il mondo islamico ha ormai incorporato un rancore smisurato e più che giustificato verso l’Occidente, dopo aver subito – senza interruzione – un genocidio dopo l’altro, lo stupro di interi paesi e la razzia delle risorse (petrolifere, e non solo) grazie alla complicità di élite locali, i “raìs” che rinnegarono le istanze della decolonizzazione, restando al potere – dittature e monarchie – col granitico supporto occidentale. Una stagione di piombo, dopo la fine delle speranze accese dai leader terzomondisti arabi e africani sistematicamente uccisi o fatti uccidere dagli occidentali, perché scomodi: da Patrice Lumumba in Congo, liquidato dal Belgio per insediare Mobutu, fino a Thomas Sankara, in Burkina Faso (l’uomo che voleva azzerare il debito per i paesi poveri), assassinato col solito sistema, sicari locali armati da mandanti occidentali, francesi e americani.Il maggiore leader della storia egiziana moderna, Nasser, trascinò il mondo sull’orlo della guerra nel fatidico 1956: nazionalizzò il Canale di Suez per protesta contro la Banca Mondiale che rifiutava di finanziare una grande diga sul Nilo; per rovesciarlo manu militari, inglesi e francesi sbarcarono in forze a Port Said, ma furono fermati dall’Urss che intimò loro il ritiro immediato, pena l’impiego delle armi atomiche. Proprio il crollo dell’Unione Sovietica ruppe equilibri decennali, congelando al potere i vecchi autocrati, ancora sul trono o travolti solo ora dalle “primavere arabe”. Sempre in Egitto, il “faraone” Mubarak era stato il vicepresidente di Anwar Sadat, l’uomo della storica pace separata con Israele. Pagò con la vita, Sadat, e la sua fine mise sotto i riflettori, per la prima volta, la “jihad islamica”: Sadat fu ucciso nel 1981 da un killer jihadista. Meno di dieci anni dopo, l’Algeria schierò i carri armati nelle strade per annullare i risultati delle elezioni, che avevano clamorosamente incoronato il Fis, Fronte Islamico di Salvezza. Ma l’unico grande paese in cui l’Islam andò letteralmente al potere fu l’Iran, con la travolgente rivoluzione di Khomeini del 1979, guidata dal carismatico ayatollah (sciita) esiliato dal feroce regime dello “scià” Reza Pahlavi, a cui l’Occidente aveva imposto di eliminare il premier Mohammad Mossadeq, che aveva osato nazionalizzare il petrolio iraniano, saldamente in mano agli inglesi dal lontano 1908.Con Khomeini, l’identità religiosa si è trasformata anche in arma politica di autodifesa, da parte di paesi storicamente brutalizzati e rapinati dall’Occidente, che non ha mai neppure provato a sanare la devastante piaga della Palestina, martoriata fino al genocidio delle bombe al fosforo bianco sganciate anche sui bambini, dopo che a Gaza si è imposta (democraticamente, per via elettorale) la fazione sciita di Hamas. Appena più a nord, altri sciiti, quelli del partito armato di Hezbollah insediato in Libano, sono ora impegnati accanto ai russi nel sostegno militare del regime di Assad, esponente della componente sciita (alawyta) della Siria. Mentre nell’altro paese raso al suolo dalle bombe, l’Iraq, a maggioranza sciita, sono stati gli americani a emarginare, con la fine di Saddam, la componente sunnita, da cui si racconta sia partita l’ultima ondata jihadista che sta insanguinando il Medio Oriente e terrorizzando la Francia. Religione o potere? Secondo un eminente studioso come Francesco Saba Sardi, biografo di Picasso e traduttore di Simenon, Pessoa, Borges e Garcia Marquez, religione e potere compaiono insieme, nella storia della civiltà, insieme al terzo elemento: la guerra. Accade nel passaggio cruciale tra il paleolitico, abitato da cacciatori e raccoglitori, al neolitico, in cui l’uomo scopre l’agricoltura e quindi il bisogno di conquistare e difendere la terra. Nel saggio “Dominio”, Saba Sardi sostiene che proprio la religione nacque per conferire autorità al primo capo politico e militare della storia dell’umanità, il re-sacerdote.Se la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei, potrebbe essere classificato (come il Papa-re) nella categoria dei re-sacerdoti, è pur vero però che i “nemici” dei paesi islamici non professano, di fatto, alcuna religione: il biglietto da visita dell’Occidente “cristiano” non è il crocifisso, ma una valigia di dollari e una flotta di droni che sganciano missili. Tre milioni di vittime, fra i musulmani, solo negli ultimi anni. E’ sempre l’Occidente – l’ha ricordato un comico, Maurizio Crozza, citando Hillary Clinton – ad aver “fabbricato”, in Afghanistan, il fondamentalismo islamico da cui poi nacquero i Talebani e il loro profeta, l’ex uomo Cia più famoso del mondo, Osama Bin Laden. Eppure, di fronte ai fallimenti catastrofici in Medio Oriente e alla recente paura quotidiana per gli attentati, un’Europa smemorata e incerta, guidata dall’evanescente Obama, resta tra le nebbie di una politica reticente e disonesta: preferisce tacere sul ruolo di Usa, Francia e Turchia nella progettazione a tavolino della “guerra civile” in Siria, per parlare piuttosto di scontro inter-islamico tra sciiti e sunniti, come se si trattasse di una lite di famiglia tra parenti lontani, stravaganti e fanatici, fingendo di non sapere come mai, molti di loro, ce l’hanno tanto con noi.Posto che nessuno potrebbe mai farsi saltare in aria senza essere imbottito di anfetamine o debitamente manipolato con tecniche psicologiche potentissime, come quelle messe a punto nel programma Mk-Ultra della Cia, non occorre un Premio Nobel per riconoscere le ragioni di un risentimento vastissimo, motivato da decenni di mostruose sofferenze inflitte. «La differenza tra noi e voi è semplice: noi non abbiamo paura di morire», dice un jihadista. Può succedere, sostiene Marco Travaglio, se scopri di non avere più niente da perdere, perché qualcuno ti ha condotto alla disperazione, privandoti di tutto. «Aiutiamoli a casa loro», dicono – senza ridere – leader come Salvini, come se non sapessero in che modo li stiamo già “aiutando”, a casa loro, da decenni. Enrico Mattei, che alla parola “aiuto” dava un significato diverso (non rapina, ma scambio equo) fu fatto esplodere in aria, sul suo aereo. Ma era tanto tempo fa. Troppo, per ricordare. Meglio allora i pettegolezzi sulla lite di famiglia tra i sunniti, cioè gli eredi di Abu Bakr, amico e suocero di Maometto, e gli sciiti, seguaci dell’imam Alì, cugino e genero del Profeta. La divisione religiosa risale al VII secolo dopo Cristo, ma è “esplosa” soltanto adesso, da quando i paesi islamici del Vicino Oriente si sono accorti, definitivamente, della natura dell’“aiuto a casa loro” fornito dal potere occidentale.Il nostro è un potere non certo religioso, ma finanziario e militare, come ricorda Huntington, peraltro co-autore dello storico saggio “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale e utilizzato come Vangelo dall’oligarchia mondialista, quella che ha messo fine alla sovranità nazionale anche archiviando la sinistra dei diritti, quella che – per inciso – sosteneva le cause del terzo mondo, inclusa quella palestinese, che sta a cuore tanto ai sunniti quanto agli sciiti. Ma attenzione: buttarla in politica non risolve sempre tutto. Lo sostiene un osservatore speciale come Fausto Carotenuto, già analista di primo piano dei servizi segreti, ora animatore del network “Coscienze in rete”: conta anche, e moltissimo, la dimensione “invisibile”, quella dei pensieri. Angoscia, paura e rabbia, oppure speranza e fiducia: il “potere” della preghiera. I musulmani sono un miliardo e mezzo, nel mondo, e pregano Allah cinque volte al giorno, tutti i giorni, a ore fisse. «Ogni fedele – dice Paolo Franceschetti – sa che, mentre sta pregando, lo sta facendo insieme a tutti gli altri, in ogni parte del mondo. Questo dona una grande forza interiore, demolisce la solitudine».Per il massone Gianfranco Carpeoro, l’errore fatale dei cattolici fu quello di attaccare gli arabi con le Crociate. San Francesco d’Assisi viaggiò fino a Damietta, sul Nilo, per fare la pace coi musulmani. Che, all’imperatore esoterista Federico II, regalarono una scorta d’onore: la guarda armata del capo del Sacro Romano Impero era composta da guerrieri musulmani. Emblematico, sotto questo aspetto, il ruolo-ponte dei Sufi, confraternita iniziatica di origini antichissime, pre-islamiche, capace di sviluppare una particolarissima forma di sincretismo, oltre che una sorta di diplomazia di pace. «Sapendo che tutto è Dio, cerco Dio per trovare il tutto», sintetizzava Gabriele Mandel, eminente studioso e leader dei “dervisci” italiani, per tutta la vita impegnato nel dialogo interreligioso. Dagli islamici abbiamo molto da imparare, aggiunge Franceschetti: «Per loro la carità è un obbligo, vivono una straordinaria solidarietà quotidiana. Da sempre, nei paesi islamici, il fisco è progressivo: i ricchi pagano più tasse. E la finanzia islamica non è speculativa come la nostra, l’etica la impone il Corano: se non riesci più a a pagare il muto, la banca si riprende la casa ma si ferma lì, non ti perseguita con gli interessi. Non a caso, da noi non si vedono banche islamiche». Discorsi che portano lontano, certo. Molto più lontano dei missili sulla Siria, e di quelli sparati ogni giorno dal circo mediatico con le sue mediocri comparse senza memoria.“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”. Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”. «Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso». Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington. «Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».