Archivio del Tag ‘forze speciali’
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Guerra, menzogna, false flag: siamo nell’incubo di Orwell
Alcuni critici sostenevano che dopo l’anno 1984 la rilevanza di George Orwell sarebbe andata diminuendo. Nel 1987 Harold Bloom scriveva che il più grande romanzo di Orwell sul totalitarismo, “1984”, rischiava di diventare un libro storico, un po’ come “La Capanna dello Zio Tom”. Anche il critico letterario Irving Howe, un grande sostenitore di Orwell, pensava che “1984” avrebbe presentato per le future generazioni «un interesse più che altro storico». Eppure, invece di affievolirsi, la popolarità di Orwell sta crescendo in tutto il mondo. Il fatto che il contesto storico di “1984” sia ormai trascorso sembra avere “liberato” il romanzo, rendendo chiaro che il suo messaggio si riferisce a un problema universale dell’umanità moderna. Negli anni recenti le sue parole hanno suscitato un notevole interesse presso la nuova generazione post-Guerra Fredda. «Sono sicuro che George Orwell non pensava: ‘Devo scrivere una storia istruttiva per un ragazzo iracheno’, mentre scriveva “1984”», ha sottolineato lo scrittore iracheno Hassan Abdulrazzak nel 2014. «Ma questo libro mi ha spiegato cosa fosse l’Iraq di Saddam meglio di chiunque altro, prima o dopo».L’anno successivo, “1984” entrava nella classifica dei 10 libri più venduti in Russia. Nel 2014, 1984 è diventato un simbolo delle proteste anti-governative in Thailandia, ad un punto tale che, secondo i resoconti, nei voli della Philippine Airlines i passeggeri venivano avvertiti che portare una copia del libro a bordo avrebbe potuto causare problemi con i funzionari di frontiera e le altre autorità. Dal 1984 sono state pubblicate almeno 13 traduzioni in cinese del romanzo. Sia “1984” che “La Fattoria degli Animali” sono stati tradotti anche in tibetano. Per spiegare la rilevanza di Orwell in Cina, uno dei suoi traduttori, Dong Leshan, ha scritto che «il ventesimo secolo finirà presto, ma il terrore politico vive ancora, e questo è il motivo per il quale “1984” rimane valido ancora oggi». Le prime meditazioni di Orwell sugli abusi del potere politico hanno trovato ascolto perfino nei contesti più inaspettati. Mentre era imprigionato in Egitto, il radicale islamico Maajid Nawaz si rese conto che “La Fattoria degli Animali” esprimeva i suoi stessi dubbi: «Ho iniziato a unire i puntini e ho pensato ‘Mio Dio, se questa gente con cui mi trovo adesso dovesse mai arrivare al potere, si tratterebbe dell’equivalente islamico della Fattoria degli Animali’».In Zimbabwe, un giornale di opposizione ha fatto circolare una versione a puntate della “Fattoria degli Animali” – dopo che la sede del giornale era stata distrutta da una mina anticarro – con delle illustrazioni del maiale Napoleon coi grandi occhiali tipici del “presidente a vita” dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Un artista cubano nel 2014 è stato incarcerato senza processo per aver progettato di mettere in scena una versione della “Fattoria degli Animali”. Per essere proprio sicuro che le autorità avessero capito, aveva scritto i nomi “Fidel” e “Raul” sopra due maiali. Ma “1984” sta trovando nuova rilevanza soprattutto tra i lettori occidentali, per tre motivi interconnessi. Per gli americani di oggi, “1984”, con il suo stato di guerra permanente sullo sfondo, è un sinistro avvertimento. Nel libro, proprio come nella vita quotidiana degli Stati Uniti di oggi, il conflitto è fuori dalla scena, viene udito solo occasionalmente per l’esplosione di qualche missile lontano. «Winston non riusciva a ricordare precisamente un momento nel quale il paese non fosse stato in guerra», scriveva Orwell in “1984” (lo stesso si può dire di tutti gli adolescenti americani di oggi).In un’epoca nella quale le guerre americane sono combattute con missili di precisione lanciati dai droni, nelle quali sono coinvolte solo poche unità speciali in operazioni di terra, in luoghi remoti del Medio Oriente, con qualche sporadico attacco in città come Londra, Parigi, Madrid e New York, questi passaggi del romanzo suonano di una preveggenza inquietante: «È uno stato di guerra dagli obiettivi limitati, tra combattenti che non sono in grado di distruggersi a vicenda, e non hanno cause materiali per le quali combattere… Coinvolge un piccolo numero di persone, per lo più specialisti altamente addestrati, e causa relativamente pochi morti. I combattimenti, quando hanno luogo, avvengono in remoti luoghi di frontiera la cui ubicazione è pressoché ignota all’uomo comune… Nei centri abitati la guerra non significa altro che… la caduta occasionale di un razzo che causa qualche decina di vittime».La seconda ragione che spiega la rinnovata attualità di Orwell è la crescita dell’intelligence dopo l’11 Settembre. Viviamo con uno Stato intrusivo, invadente, sia in Occidente che in Oriente. All’inizio degli anni 2000 il governo americano uccideva regolarmente persone in paesi con i quali non era ufficialmente in guerra usando mezzi aerei controllati da remoto. Questa tattica è conosciuta come “attacco all’impronta” [signature strike], e colpisce uomini in età da servizio militare che mostrano comportamenti minacciosi che possono essere associati al terrorismo, come ad esempio parlare al telefono con terroristi noti o partecipare con loro a una riunione. Molte centinaia di queste uccisioni hanno avuto luogo in Pakistan, Yemen e Somalia. Una raccolta di metadati, che mettono insieme migliaia di miliardi di bit di informazioni esaminati dall’intelligence, permette ai governi di elaborare silenziosamente dei dossier sul comportamento di milioni di individui. Certo, il governo americano ha agito in questo modo letale e intrusivo dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Orwell avrebbe probabilmente denunciato senza mezzi termini sia quegli attacchi che la reazione di panico del governo Usa. La luce che lo guidava era la libertà di coscienza, libertà sia dal controllo del governo che dagli estremismi, fossero essi religiosi o ideologici.Come egli stesso ha detto: «Se la libertà significa qualcosa, è il diritto di dire alle persone ciò che esse non vogliono ascoltare». Da questo punto di vista è significativo che la più grande minaccia alla libertà percepita da Winston, il protagonista di “1984”, non provenisse da altri paesi, ma dal suo stesso governo. Il terzo e forse più scioccante motivo è che l’uso della tortura descritto in “1984” prefigura i modi in cui essa viene utilizzata dagli stati di oggi nella loro interminabile “guerra al terrore”. Dopo l’11 Settembre e per la prima volta nella storia americana la tortura è diventata una politica ufficiale (prima di allora veniva usata occasionalmente, ma sempre contro la legge, e talvolta come tale veniva punita). Per capire meglio l’anno 2017 tornate ai tre più celebri libri di Orwell. Il primo è Omaggio alla Catalogna, nel quale mostra come la sinistra possa mentire esattamente come fa la destra, e diventa scettico verso qualsiasi esercizio del potere. Secondo, “La Fattoria degli Animali”, che lui definisce una favola, una versione per adulti di una storia di disincanto. E infine “1984”, nel quale Orwell aggiorna il racconto dell’orrore. Il suo mostro non è Frankestein, ma lo Stato moderno.(Thomas E. Ricks, “Stiamo (ancora) vivendo in un mondo orwelliano”, estratto dell’ultimo libro di Ricks pubblicato da “Foreign Policy il 24 luglio 2017, tradotto e ripreso da Henry Tougha per “Voci dall’Estero”).Alcuni critici sostenevano che dopo l’anno 1984 la rilevanza di George Orwell sarebbe andata diminuendo. Nel 1987 Harold Bloom scriveva che il più grande romanzo di Orwell sul totalitarismo, “1984”, rischiava di diventare un libro storico, un po’ come “La Capanna dello Zio Tom”. Anche il critico letterario Irving Howe, un grande sostenitore di Orwell, pensava che “1984” avrebbe presentato per le future generazioni «un interesse più che altro storico». Eppure, invece di affievolirsi, la popolarità di Orwell sta crescendo in tutto il mondo. Il fatto che il contesto storico di “1984” sia ormai trascorso sembra avere “liberato” il romanzo, rendendo chiaro che il suo messaggio si riferisce a un problema universale dell’umanità moderna. Negli anni recenti le sue parole hanno suscitato un notevole interesse presso la nuova generazione post-Guerra Fredda. «Sono sicuro che George Orwell non pensava: ‘Devo scrivere una storia istruttiva per un ragazzo iracheno’, mentre scriveva “1984”», ha sottolineato lo scrittore iracheno Hassan Abdulrazzak nel 2014. «Ma questo libro mi ha spiegato cosa fosse l’Iraq di Saddam meglio di chiunque altro, prima o dopo».
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Potere e denaro, dal caso Moro all’Isis fino al Russiagate
Andreotti e Cossiga: sarebbero stati soprattutto loro a impedire che Aldo Moro venisse liberato dai Gis dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, insieme ai Nocs della polizia. Reparti speciali che, si dice, avevano individuato la prigione romana dello statista democristiano. E’ la tesi, più volte esposta (anche in libri di successo) da un magistrato di lungo corso come Ferdinando Imposimato, già pm e poi presidente onorario della Cassazione. La sua versione, suffragata da testimoni-chiave delle forze dell’ordine: il blitz decisivo fu impedito da Andreotti e Cossiga. Movente: ambivano entrambi alla carica alla quale sarebbe stato destinato Moro, il Quirinale. Gli americani? C’entrano, ma fino a un certo punto: perché poi, al dunque, “ritirarono” il loro uomo, Steve Pieczneick, in un primo momento inviato a Roma per controllare (e depistare) le indagini. Regia dell’operazione Moro: affidata alla Gladio, costola dell’intelligence Nato, in Italia gestita da uomini della P2 come il generale Giuseppe Santovito, allora a capo del Sismi. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Gianfranco Carpeoro aggiunge un nome, quello del politologo statunitense Michael Leeden, tuttora attivissimo: sarebbe stato il vero burattinaio di Gelli. Per Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni”, la P2 era il terminale italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, potentissima superloggia internazionale di stampo antidemocratico.
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Smith: verso la legge marziale in Inghilterra, usando l’Isis
«Temo che il Regno Unito finirà sotto legge marziale entro un anno: a meno che la gente non faccia qualcosa adesso, cadranno in un regime totalitario». Lo sostiene un analista indipendente come Brandon Smith, secondo cui «a lungo termine, aiuteranno solo quei globalisti che il movimento Brexit in particolare ha cercato di combattere: lo faranno calpestando l’immagine del nazionalismo e della sovranità usando la filosofia della sicurezza fornita dal governo», in modo da rendere il globalismo «piacevole e tollerabile». Questo, secondo Smith, il possibile esito degli attentati targati Isis che stanno martellando la Gran Bretagna, tutti messi a segno grazie ad anomale distrazioni delle forze di sicurezza e – dopo l’iniziale emozione – archiviati in fretta. «La ripetizione di tali attacchi sta assuefacendo il pubblico, quello europeo in particolare: non è raro ora che gli attacchi vengano dimenticati in una settimana». La grande paura tra gli europei “liberali”, scrive Smith, è un ritorno al fervore nazionalista, che loro credono abbia generato l’ascesa del Terzo Reich: ignorano «il coinvolgimento dell’élite “corporate” e bancaria nel finanziamento e nella fornitura di tecnologia vitale ai nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale».Questa manipolazione sui veri retroscena del nazismo ha reso l’Europa vulnerabile, permettendo ai globalisti di portare a forza milioni di immigrati musulmani in Ue, attraverso politiche di frontiera aperta, senza adeguate procedure di verifica. E nessuno ha fiatato, temendo di essere tacciato di “fascismo”, scrive Smith in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «La più grande minaccia non è solo il condizionamento della popolazione ad accettare l’invasione culturale, bensì ciò che inevitabilmente accadrà tra poco: l’apatia di una nazione sulla scia della prossima legge marziale». In risposta agli attentati-kamikaze dell’Isis, Theresa May ha dichiarato di “averne abbastanza”, e ha chiesto una revisione della strategia antiterroristica: la polizia di Londra è stata invitata ad adattarsi alle nuove condizioni, pattugliando le strade fortemente armata e usando elicotteri di sorveglianza con l’aiuto di unità speciali. «Dovremmo fare ancor di più per limitare la libertà e i movimenti dei sospetti terroristi». Noto teorema: meno libertà, più sicurezza. E cioè: esattamente quello che vorrebbe l’Isis, se fosse un soggetto autonomo, anziché una semplice pedina della strategia della tensione.Lo spiegamento di oltre 5.000 soldati britannici in posizioni strategiche, aggiunge Smith, fa parte di un piano del 2015 chiamato “Operation Temperer”: prevede la diffusione di truppe in risposta a “forti minacce terroristiche”. «In sostanza, è un programma di legge marziale che agisce in modo incrementale, piuttosto che apertamente. Una volta implementata, “Temperer” sarà difficile da invertire. Come i capi militari britannici hanno avvisato quando l’operazione è stata esposta pubblicamente, le truppe non verrebbero messe a riposo fino a che la minaccia terroristica non verrà “ridotta”, lasciando la definizione del “livello di minaccia” aperta ad un’interpretazione piuttosto ampia». L’operazione “Temperer” è oggi in pieno svolgimento, dato che i servizi di polizia richiedono aiuto militare. E’ già legge marziale? «Non proprio, ma ci va molto vicino», dice Smith. «Questo è il modo in cui la tirannia viene comunemente implementata; non tutta in una volta, ma un mattoncino alla volta». La May ha introdotto queste misure dopo l’attentato di Manchester, senza però riuscire a impedire l’ultimo attacco a Londra. Elezioni ed equivoco Brexit: al posto dello slancio sovranista subentra un esperimento ultraliberista, reazionario e securitario?«E’ tutto parte del piano», scrive Smith, secondo cui «stiamo forse assistendo alla più grande “psy-op” di quarta generazione nella storia». Ovvero: «I globalisti hanno deliberatamente modificato le condizioni: le nazioni, quelle europee in particolare, o verranno travolte da un’ideologia straniera, senza essere protette dai propri governi, o dovranno rispondere con difficili contromisure. Vale a dire, gli europei dovranno fare una falsa scelta tra il multiculturalismo o vivere sotto legge marziale». La Brexit e Trump sono stati “concessi”. Ma, «nonostante le illusioni di alcuni nel movimento libertario, il “Deep State” è perfettamente posizionato per approfittare di entrambi gli eventi. Non si sono opposti affatto. Perché? Perché vogliono distruggere il nazionalismo, pensano a lungo termine. E il Regno Unito sembra essere in prima fila». Gli attacchi terroristici stanno aumentando, la soluzione che presenteranno sarà «ancor più esercito, non meno», fino alla legge marziale permanente: «Il governo potrebbe non definirla apertamente così, ma è quello che sarà». Avverte Smith: «Guardate le scelte concesse al popolo britannico: accettare il multiculturalismo senza domande o avere una Stato di polizia sacrificando la libertà personale».«Temo che il Regno Unito finirà sotto legge marziale entro un anno: a meno che la gente non faccia qualcosa adesso, cadranno in un regime totalitario». Lo sostiene un analista indipendente come Brandon Smith, secondo cui «a lungo termine, aiuteranno solo quei globalisti che il movimento Brexit in particolare ha cercato di combattere: lo faranno calpestando l’immagine del nazionalismo e della sovranità usando la filosofia della sicurezza fornita dal governo», in modo da rendere il globalismo «piacevole e tollerabile». Questo, secondo Smith, il possibile esito degli attentati targati Isis che stanno martellando la Gran Bretagna, tutti messi a segno grazie ad anomale distrazioni delle forze di sicurezza e – dopo l’iniziale emozione – archiviati in fretta. «La ripetizione di tali attacchi sta assuefacendo il pubblico, quello europeo in particolare: non è raro ora che gli attacchi vengano dimenticati in una settimana». La grande paura tra gli europei “liberali”, scrive Smith, è un ritorno al fervore nazionalista, che loro credono abbia generato l’ascesa del Terzo Reich: ignorano «il coinvolgimento dell’élite “corporate” e bancaria nel finanziamento e nella fornitura di tecnologia vitale ai nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale».
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Dinaro africano: perché Hillary fece assassinare Gheddafi
Le mail appena rivelate mostrano che la Nato intervenne in Libia perché Gheddafi voleva creare una propria moneta, agganciata all’oro, per competere con l’euro e il dollaro. Lo afferma Brad Hoff su “Foreign Policy”. A capodanno sono state pubblicate oltre 3.000 nuove e-mail della Clinton quando era al Dipartimento di Stato. «La “Cnn” ovviamente si è concentrata sulle più futili», mentre gli analisti si sono soffermati «sulle conferme esplosive ivi contenute: ammissioni di crimini di guerra, infiltrati in Libia sin dall’inizio delle rivolte, la presenza di Al-Qaeda nell’opposizione appoggiata dagli Usa, paesi occidentali che si combattono per il petrolio libico e la preoccupazione per le riserve d’oro e d’argento di Gheddafi che minacciavano l’euro». Il 27 marzo scorso, una nota di Sidney Blumenthal, storico consigliere dei Clinton e raccoglitore di intelligence per Hillary, contiene evidenti testimonianze di crimini di guerra compiuti dai ribelli sostenuti dalla Nato. Citando come fonte un comandante dei ribelli, Blumenthal riferisce confidenzialmente che «sotto l’attacco delle forze aeree e navali degli alleati», le truppe libiche «hanno cominciato sempre più ad unirsi ai ribelli». Commento della fonte: «In confidenza, un comandante ribelle ha detto che le sue truppe continuano a uccidere tutti i mercenari stranieri catturati nei combattimenti».Mentre l’illegalità degli omicidi degli “squadroni della morte” di Hillary è facilmente riconoscibile, dietro al riferimento ai “mercenari stranieri” potrebbe esserci una sinistra realtà, non immediatamente evidente alla maggior parte della gente, scrive Hoff in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Gheddafi era noto per avvalersi di aziende europee e internazionali per lavori di sicurezza e infrastrutture, e guarda caso nessuna di queste è stata presa di mira dai ribelli. Ci sono invece molte testimonianze che dimostrano che civili libici e lavoratori sub-sahariani, popolazione favorita da Gheddafi nelle sue politiche per l’Unione Africana, sono stati obiettivi della “pulizia razziale” dei ribelli, che vedevano i neri libici come troppo legati al regime. Questi ultimi sono stati comunemente etichettati dai ribelli come “mercenari stranieri” per la loro fedeltà assoluta al leader, sono stati soggetti a torture ed esecuzioni e hanno subìto una pulizia etnica. Ne è un esempio Tawergha, città popolata interamente da 30.000 libici “scuri”, scomparsi nell’agosto 2011 dopo la sua presa da parte delle brigate Nrc Misratan, sostenute dalla Nato».Questi attacchi erano ben noti fin dal 2012 e spesso filmati, come conferma il report del “Telegraph”: «Dopo la cattura di Gheddafi ad agosto, centinaia di lavoratori migranti provenienti dagli Stati vicini sono stati imprigionati da combattenti alleati alle nuove e provvisorie autorità. Accusano gli africani neri di essere mercenari del defunto leader». In più, «sembra che la Clinton venisse personalmente informata dei crimini dei suoi amati combattenti anti-Gheddafi ben prima che questi avvenissero». La mail di Blumenthal, aggiunge Hoff, conferma anche il sospetto che le forze speciali di addestramento avessero collegamenti con Al-Qaeda. Sempre Blumenthal ammette che unità speciali britanniche, francesi ed egiziane stavano formando militanti libici lungo il confine egiziano-libico e nelle periferie di Bengasi. «Questa è la prova definitiva che forze speciali erano sul territorio subito dopo l’inizio delle proteste scoppiate a metà febbraio 2011 a Bengasi». Dal 27 marzo di quella che si era presunto fosse una semplice “rivolta popolare”, operativi esterni stavano già «sovrintendendo al trasferimento di armi e forniture ai ribelli», tra cui «una fornitura apparentemente infinita di fucili Ak-47 e relative munizioni».Solo alcuni paragrafi dopo questa ammissione, aggiunge Hoff, si invoca invece cautela sulle milizie che queste forze speciali occidentali stavano formando. C’era infatti la preoccupazione che «gruppi radicali terroristici come il Gruppo dei combattenti islamici libici e Al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim) infiltrassero l’Ntc e il suo comando militare». Anche se la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza Onu proposto dalla Francia diceva che la “no-fly zone” sulla Libia era per proteggere civili, una mail di aprile 2011 inviata ad Hillary con l’argomento “il cliente francese e l’oro di Gheddafi” svela altri fini. Indica infatti che Sarkozy «era in prima fila nell’intervento in Libia, per cinque ordini di motivi: ottenere il petrolio libico, consolidare l’influenza nella regione, aumentare la propria reputazione a livello nazionale, affermare il potere militare francese e togliere l’ascendente di Gheddafi sull’“Africa francofona”». La cosa più sorprendente, aggiunge Hoff, è la lunga sezione che descrive l’enorme minaccia posta dalle riserve d’oro e argento del leader, stimate in 143 tonnellate ciascuna, al franco francese (Cfa), che circola come prima moneta africana. Altro che “responsabilità alla protezione”, a tutela dei civili. La spiegazione “riservata” è la seguente: «Questo oro è stato accumulato prima della ribellione attuale ed era destinato a creare una moneta pan-africana basata sul dinaro».Il piano, continua l’email riservata, era di «dare agli africani francofoni un’alternativa al franco». Secondo gli esperti, questa quantità d’oro e d’argento valeva più di 7 miliardi di dollari. «L’intelligence francese ha scoperto questo progetto poco dopo l’inizio dell’attuale ribellione e questo è il motivo della decisione di Sarkozy». Da notare che il salvataggio dei civili non viene neanche menzionato, chiosa Hoff. «Invece, la grande paura era che la Libia potesse dare indipendenza al Nord Africa col dinaro. L’intelligence francese “ha scoperto” l’alternativa libica all’euro: non poteva essere concesso». All’inizio del conflitto libico, la Clinton accusò formalmente Gheddafi e il suo esercito di usare lo stupro di massa (con l’aiuto del Viagra) come strumento di guerra. «Sebbene numerose organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty, dimostrarono subito la falsità di queste affermazioni, le accuse vennero pompate da politici e media occidentali: visto che infangava il leader libico, la cosa venne presa per buona dai network».Altra fiaba: il regime “sposta cadaveri” là dove cadono le bombe Nato. E’ lo stesso Blumenthal ad ammettere che sono semplici “rumors”, cui ha dato eco Robert Gates, allora segretario alla difesa, mentre la «narrativa degli stupri» è stata rilanciata da Susan Rice, ambasciatrice Usa all’Onu, nell’accusare pubblicamente la Libia davanti al Consiglio di Sicurezza. «Queste mail confermano che il Dipartimento di Stato non solo sapeva della natura spuria di ciò che Blumenthal chiama “voci” che avevano come fonte esclusiva il lato dei ribelli, ma anche che non ha fatto nulla per impedire che tali false notizie arrivassero ai piani alti, che ne hanno poi dato “credibilità”», conclude Hoff. «Sembra inoltre che la storia del Viagra probabilmente sia stata inventata di sana pianta da Blumenthal stesso». Interamente falso, dunque, il castello di accuse: Gheddafi, semplicemente, doveva cadere. Rappresentava una sfida all’impero euro-atlantico dell’euro e del dollaro, nonché un argine allo jihadismo, che è funzionale alla Nato: andava eliminato, per poter costruire la leggenda successiva, quella dell’Isis.Le mail appena rivelate mostrano che la Nato intervenne in Libia perché Gheddafi voleva creare una propria moneta, agganciata all’oro, per competere con l’euro e il dollaro. Lo afferma Brad Hoff su “Foreign Policy”. A capodanno sono state pubblicate oltre 3.000 nuove e-mail della Clinton quando era al Dipartimento di Stato. «La “Cnn” ovviamente si è concentrata sulle più futili», mentre gli analisti si sono soffermati «sulle conferme esplosive ivi contenute: ammissioni di crimini di guerra, infiltrati in Libia sin dall’inizio delle rivolte, la presenza di Al-Qaeda nell’opposizione appoggiata dagli Usa, paesi occidentali che si combattono per il petrolio libico e la preoccupazione per le riserve d’oro e d’argento di Gheddafi che minacciavano l’euro». Il 27 marzo scorso, una nota di Sidney Blumenthal, storico consigliere dei Clinton e raccoglitore di intelligence per Hillary, contiene evidenti testimonianze di crimini di guerra compiuti dai ribelli sostenuti dalla Nato. Citando come fonte un comandante dei ribelli, Blumenthal riferisce confidenzialmente che «sotto l’attacco delle forze aeree e navali degli alleati», le truppe libiche «hanno cominciato sempre più ad unirsi ai ribelli». Commento della fonte: «In confidenza, un comandante ribelle ha detto che le sue truppe continuano a uccidere tutti i mercenari stranieri catturati nei combattimenti».
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Manchester Satanic e terroristi Nato, nessuno è innocente
Ora viene fuori che il papà dell’attentatore di Manchester, il signor Ramadan Abidi, era un uomo reclutato dai servizi britannici, coinvolto in un vasto piano dell’esercito libico per assassinare Gheddafi, salvato – dopo che la sua copertura era stata svelata – dai servizi che l’avevano fatto esfiltrare con la famiglia. Il “Lybia Herald” lo indica come «un federalista della Cirenaica, che lottava per l’autonomia della regione, ma non noto per affiliazione religiosa». E’ stato nella Libia orientale che fu innescata la insurrezione tribale che portò alla caduta ed uccisione di Gheddafi, nel marzo 2011. Arrivarono carichi di armi dal Qatar. Truppe speciali britanniche erano sul terreno ad aiutare i rivoltosi: la “Bbc” riportò allora che sei elementi Sas erano stati catturati dalle truppe fedeli a Gheddafi; negli stessi giorni, sei “corpi speciali olandesi” (sic) furono catturati nella Libia occidentale mentre, dissero, aiutavano l’esfiltrazione di loro connazionali. Dunque, membri della Nato stavano assistendo (comandando, guidando) il Gruppo Islamico Libico Combattente, il cui capo sul fronte orientale era Abdelhakim Belhadj, noto esponente di Al-Qaeda.Ora, secondo l’“Independent”, Salman Abedi, il figlio stragista di Manchester, si trovava nella Libia Orientale nel 2011, quando gli aerei britannici bombardavano le truppe del governo libico per portare al potere i Takfiri. Era giovanissimo. Secondo i suoi compagni di scuola, cambiò allora: «Prima era un ragazzo di compagnia, beveva, fumava erba – ma quando tornò dalla Libia nel 2011 era un’altra persona. Diventò religioso. Per qualche tempo è stata innalzata una bandiera nera con scritte in arabo sul tetto della casa degli Abedi a Elsmore Road». Spero che i lettori non abbiano dimenticato come, sotto gli auspici di Hillary Clinton allora segretaria di Stato, carichi e carichi di armamenti saccheggiati dai forniti arsenali di Gheddafi furono spediti in Siria, per armare i Takfiri mercenari arruolati per abbattere il legittimo governo. Una sporchissima faccenda in cui trovò la morte l’ambasciatore Usa Chris Stevens, sacrificato con la sua scorta di Marines per non far saltare fuori la storia. Potevano essere salvati, un commando era pronto a decollare dalla Sicilia, fu dato l’ordine di “stand-down”. Insomma la strage “islamica” di Manchester è un effetto collaterale delle sovversioni britanniche in Libia e in Oriente in obbedienza ai neocon americani. A meno che non sia un’operazione voluta dagli stessi servizi britannici – l’attentatore era ben noto agli agenti – per distrarre l’opinione pubblica da qualcos’altro (Brexit? Elezioni?).Personalmente penso che valga più la prima ipotesi. Ma, come si dice: mai sprecare un disturbato mentale utilizzabile come islamista kamikaze. Quanto alla pop-star Ariana Grande, idolo delle giovanissime: nel 2014, in una intervista a “Billboard”, ha rivelato di essere divenuta “kabbalista” (complimenti) secondo «gli insegnamenti del rabbino Philip Berg», un agente d’assicurazione di New York, fondatore di una organizzazione magica chiamata Centro della Kabbala. Ariana Grande non è la sola celebrità ad aderirivi: Naomi Campbell, Madonna, Leonardo Di Caprio, Britney Spears, Demi Moore e (poteva mancare?) Paris Hilton si dice ne facciano parte. La giovanissima Ariana Grande ne deve essere particolarmente addentro, perché in una intervista ha parlato di come talora venga “abitata” da presenze inequivocabili: «Appena ho chiuso gli occhi ho sentito questa vampata davvero forte vicino alla mia testa… quando ho chiuso gli occhi ho iniziato di nuovo con i sussurri per molto tempo… ho iniziato a vedere questa immagine veramente inquietante, come con forme rosse».Sul web naturalmente si sono affollati complottisti che hanno intuito “messaggi” kabbalisti, per esempio, nell’età dell’attentatore e nella data della strage (22 è il numero delle lettere ebraiche su cui si basa la magia della Kabbala); altri hanno indicato simboli kabbalistici nei videoclip della piccola. La cosa ci stupirebbe poco e poco ci interessa. Oltretutto un produttore cinematografico che ha passato la vita ad Hollywood, Jon Robberson, ha appena accusato l’industria cinematografica hollywoodiana di essere «un nido di pedo-criminalità di natura luciferina». Il che, naturalmente, ci stupirà ancor meno. Stupirebbe di più il fatto che nessun giudice in Usa voglia riprendere in mano la faccenda della strana morte di Seth Rich, un addetto del comitato elettorale democratico che aveva rivelato a Wikileaks migliaia di mail compromettenti sul funzionamento interno del partito: fra cui i trucchi e i giochi sporchi con cui quel partito favoriva la Clinton e sabotava l’altro candidato, Bernie Sanders. «Seth Conrad Rich, 27 anni, fu assassinato per strada l’8 luglio in Washington Dc, da una o diverse persone che non gli rubarono nulla di quello che indossava, lasciando anche la sua ventiquattrore, il suo orologio o il cellulare». Julian Assange accusò Hillary come mandante dell’omicidio (Hillary: «Ma non c’è un drone, qualcosa, per ammazzarlo?»). Il fatto è che si stanno accumulando prove, indizi e testimonianze che puntano ai colpevoli nel Partito Democratico. Ma i giudici e i politici Usa sono tutti concentrati a cercare prove sul delitto originale di Trump, quello di essere un agente di Putin.(Maurizio Blondet, “Manchester Satanic, nessuno è innocente”, dal blog di Blondet del 25 maggio 2017).Ora viene fuori che il papà dell’attentatore di Manchester, il signor Ramadan Abidi, era un uomo reclutato dai servizi britannici, coinvolto in un vasto piano dell’esercito libico per assassinare Gheddafi, salvato – dopo che la sua copertura era stata svelata – dai servizi che l’avevano fatto esfiltrare con la famiglia. Il “Lybia Herald” lo indica come «un federalista della Cirenaica, che lottava per l’autonomia della regione, ma non noto per affiliazione religiosa». E’ stato nella Libia orientale che fu innescata la insurrezione tribale che portò alla caduta ed uccisione di Gheddafi, nel marzo 2011. Arrivarono carichi di armi dal Qatar. Truppe speciali britanniche erano sul terreno ad aiutare i rivoltosi: la “Bbc” riportò allora che sei elementi Sas erano stati catturati dalle truppe fedeli a Gheddafi; negli stessi giorni, sei “corpi speciali olandesi” (sic) furono catturati nella Libia occidentale mentre, dissero, aiutavano l’esfiltrazione di loro connazionali. Dunque, membri della Nato stavano assistendo (comandando, guidando) il Gruppo Islamico Libico Combattente, il cui capo sul fronte orientale era Abdelhakim Belhadj, noto esponente di Al-Qaeda.
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Dietro i sorrisi di Obama, un’eredità di menzogne e di morte
Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama. Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.Ciò ha impedito che lo Stato siriano fosse smantellato come quello libico e ha permesso alle forze governative di liberare vaste aree controllate per anni da Isis, Al Nusra e altri movimenti terroristici funzionali alla strategia Usa-Nato. Riforniti di armi, pagate con miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie, attraverso una rete internazionale della Cia (documentata dal “New York Times” nel marzo 2013) che le faceva arrivare in Siria attraverso la Turchia, avamposto Nato nella regione. Ora però, di fronte all’evidente fallimento dell’operazione, costata centinaia di migliaia di morti, Ankara se ne tira fuori aprendo un negoziato con l’intento di ricavarne il massimo vantaggio possibile. A tal fine ricuce i rapporti con Mosca, che erano giunti al punto di rottura, e prende le distanze da Washington. Uno smacco per il presidente Obama. Questi, però, prima di passare il bastone di comando al neoeletto Trump, spara le ultime cartucce.Nascosta nelle pieghe dell’autorizzazione della spesa militare 2017, firmata dal presidente, c’è la legge per «contrastare la disinformazione e propaganda straniere», attribuite in particolare a Russia e Cina, la quale conferisce ulteriori poteri alla tentacolare comunità di intelligence, formata da 17 agenzie federali. Grazie anche a uno stanziamento di 19 miliardi di dollari per la “cybersicurezza”, esse possono mettere a tacere qualsiasi fonte di «false notizie», a insindacabile giudizio di un apposito “Centro” coadiuvato da analisti, giornalisti e altri «esperti» reclutati all’estero. Diviene realtà l’orwelliano Ministero della Verità che, preannuncia il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, dovrebbe essere istituito anche dalla Ue.Escono potenziate dall’amministrazione Obama anche le forze speciali, che hanno esteso le loro operazioni coperte da 75 paesi nel 2010 a 135 nel 2015. Nei suoi atti conclusivi l’amministrazione Obama ha ribadito il 15 dicembre il proprio appoggio a Kiev, di cui arma e addestra le forze, compresi i battaglioni neonazisti, per combattere i russi di Ucraina. E il 20 dicembre, in funzione anti-russa, il Pentagono ha deciso la fornitura alla Polonia di missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari. Del democratico Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, resta ai posteri il suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».(Manlio Dinucci, “L’eredità del democratico Barack Obama”, da “Il Manifesto” del 3 gennaio 2017).Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati Uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama. Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.
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Italia in guerra in Libia? Ora aspettiamoci i nostri Bataclan
Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.Naturalmente, Al-Sarraj s’è affrettato ad assicurare che il suo governo respinge qualsiasi intervento straniero senza la sua autorizzazione. «Il fantoccio di Tripoli – scrive Fini sul “Fatto Quotidiano”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – sa benissimo che una guerra aperta e dichiarata alla Libia compatterebbe tutti i libici di qualsiasi fazione», grazie all’orgoglio nazionale. «E questo andrebbe a tutto vantaggio dell’Isis, che è il gruppo più forte, meglio armato, più determinato, che in breve tempo ingloberebbe anche le altre milizie». Ma ciò che dice al-Sarraj «è una barzelletta a cui è difficile credere, sia perché ciò che nega è già avvenuto, sia perché è alle dirette dipendenze del governo americano a cui è legata la sua sopravvivenza». Sicché, «gli Usa faranno quello che vorranno», e inoltre «sul terreno sono già presenti truppe speciali americane, inglesi e francesi». Dopo aver raso al suolo il regime di Gheddafi – contro gli interessi dell’Italia – trasformando la Libia in un inferno terroristico, adesso la ri-bombardano, continua Fini. «Non c’è niente da fare, passano gli anni e i decenni ma noi non riusciamo a liberarci della pelosa tutela dell’‘amico amerikano’».Nel 1999, ricorda il giornalista, partecipammo all’aggressione alla Serbia (gli aerei americani partivano da Aviano), guerra anche questa a cui l’Onu s’era dichiarata contraria. E anche con la Serbia noi italiani avevamo solidi rapporti di amicizia che risalivano addirittura ai primi del ‘900, quando a Belgrado si pubblicava un quotidiano intitolato “Piemonte”: «I serbi infatti vedevano nell’Italia che si era da poco unita un esempio per conquistare la propria indipendenza sotto le forme di una monarchia costituzionale». Non era obbligatorio aderire alla guerra anti-serba, aggiunge Fini, «tant’è che la piccola Grecia, che fa parte anch’essa della Nato, si rifiutò di parteciparvi». Adesso è il turno della Libia, secondo round. E noi «saremo costretti a fornire la nostra base di Sigonella dove sono presenti una dozzina di droni e di caccia americani. Bel colpo». Finora il governo Renzi, seguendo la linea di Angela Merkel, si era tenuto prudentemente ai margini del caos mediorientale, «e per questo l’Isis non aveva colpito né noi né i tedeschi (gli attentati terroristici in Germania sono stati fatti da psicopatici, sulle cui azioni poi l’Isis ha messo il cappello)». Adesso, invece, «dovremo attenderci anche in Italia attacchi dell’Isis che più viene colpita in Medio Oriente e più, logicamente, porta la guerra in Europa. Vedremo come reagiranno le mamme italiane quando avremo anche noi i nostri Bataclan».Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.
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11 Settembre: l’uomo che condannò Moro accusa Israele
Accusa i neocon con nomi e cognomi: Paul Wolfowitz allora viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel governo Bush jr. e di aver organizzato, “su istigazione di Israele”, il mega-attentato dell’11 Settembre 2001. E non è un complottista marginale: è stato un alto funzionario del Dipartimento di Stato, da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra psicologica, attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro) per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign Relations, quindi dell’élite dell’establisment. Né lo si può accusare di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia di sua “mamma yiddish”, Teodora. E’ Steve Pieczenik. Una vecchia conoscenza anche per l’Italia, come vedremo. Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito “InfoWars”.La video-intervista, di 47 minuti, è stata diffusa, probabilmente non a caso, nel pieno della campagna americana per incolpare la monarchia saudita del mega-attentato dell’11 Settembre, con la minaccia di pubblicare le 28 pagine del rapporto della Commissione Senatoriale sul 9/11, secretate da Bush jr. proprio perché mostrerebbero il coinvolgimento dei sauditi ai più alti livelli. Steve Pieczenik corregge: sì, c’è stata la cooperazione di “agenti sauditi”, ma il mandante principale è Israele, insiste nell’intervista. Egli si dichiara disposto a testimoniare sotto giuramento davanti a un tribunale federale e rivelare lì le sue fonti, fra cui (dice) “un generale”. L’importanza del testimone non può essere sottovalutata. Il dottor Pieczenik (è psichiatra) fu in Italia nel marzo del 1978 e per tutti i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro da parte delle Br; speditovi dall’allora segretario di Stato Cyrus Vance, si inserì nel Comitato di Crisi allestito da Cossiga, allora ministro dell’interno (a fianco del criminologo Franco Ferracuti, l’esperto in difesa e sicurezza Stefano Silvestri, una grafologa e il magistrato Renato Squillante) ufficialmente per dare la sua esperta assistenza al salvataggio del politico italiano e negoziare con le Brigate Rosse. In realtà, come ha rivelato in un libro nel 2008, per assicurarsi che Moro non ne uscisse vivo: gli Usa avevano deciso che Moro doveva essere “sacrificato” per garantire “la stabilità dell’Italia” (nella Nato).Intervistato da “France 5” e poi da Gianni Minoli a “Mixer” nel novembre 2013, Steve Pieczenik ha confermato tutto: per esempio raccontando che silurò l’iniziativa di Paolo VI di raccogliere una grossa somma (pare di dieci miliardi di lire), per pagare un riscatto. «Stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate Rosse e il processo di destabilizzazione dell’Italia». Chiese Minoli: «Sostanzialmente, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire». «Evidente», rispose il consulente: «Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell’Italia». Sic. Per questo la Procura di Roma, nel 2014, ha accusato l’americano di concorso in omicidio. E Gero Grassi, vicepresidente dei deputati Pd che voleva una nuova commissione d’indagine sul caso, disse: «Steve Pieczenik stava al ministero dell’interno per manipolare le Brigate rosse e arrivare all’omicidio di Aldo Moro».Non è stata la sua unica impresa. Nel Dipartimento di Stato, ai tempi di Reagan, il dottore è stato incaricato di architettare il “cambio di regime” a Panama, ossia il rovesciamento di Noriega (che lo accusò apertamente di essere “un assassino” che aveva ucciso vari suoi collaboratori). Ufficialmente capo-negoziatore in una quantità di prese di ostaggi e dirottamenti (ad opera di Farc colombiane, Abu Nidal, Idi Amin, Olp) ha contribuito a creare la Delta Force, il gruppo di teste di cuoio di intervento rapido in situazioni di crisi. Ha dato le dimissioni quando fallì il tentativo di liberare gli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran; decisione del presidente Carter, ma probabilmente scacco suo, del dottor Pieczenik. S’è rifatto però una carriera di successo ideando trame di thriller per Tom Clancy. Nel 2011 è tornato sotto i riflettori per denunciare che la “cattura di Bin Laden” messa a segno ad Abbottabad in Pakistan e passata come un grande successo del presidente Obama, era stata tutta una messinscena (ne abbiamo avuto tutti il sospetto): il vero Bin Laden, secondo lui, è morto fin dal 2001, di sindrome di Marfan.Non può esser casuale il fatto che adesso, a 72 anni e a 15 dal mega-attentato, il vecchio agente del Dipartimento di Stato con le mani in pasta in tante storie oscure di destabilizzazione e sovversione, esca ad accusare Israele mentre tutta la grancassa politico-mediatica sta additando gli spregevoli sauditi. Una campagna a cui partecipa stranamente anche Seymour Hersh, il grande giornalista investigativo con “gole profonde” nel settore militare, che ha condotto inchieste scomode per lo “stato profondo” americano. Pochi giorni fa, intervistato da “Alternet”, Hersh ha raccontato: nel 2011 «i sauditi hanno pagato i pakistani perché non ci dicessero [che Bin Laden si trovava ad Abbottabad, sotto la loro protezione] perché non volevano che noi (americani) interrogassimo Bin Laden perché ci avrebbe parlato – è la mia ipotesi – del loro coinvolgimento [nell’11 Settembre]». Ma quale Bin Laden nascondevano i pakistani nel 2011, se Pieczenik dice (confermando versioni solide del tempo) che è morto nel 2001, pochi mesi dopo l’attentato alle Towers e al Pentagono?Può esserci una lotta di informazione e contro-informazione all’interno stesso dello “Stato profondo” americano? Certo è che i media americani sono scatenati in esibizioni di spregio verso i monarchi wahabiti: “Royal Scum”, feccia regale, titolava il “New York Daily News” qualche giorno fa. Tanto insolito “coraggio” deve essere autorizzato. Naturalmente la “rivelazione” delle 28 pagine colpisce anche il presidente Bush jr., e la sua amministrazione, perché è evidente che, se hanno coperto la parte avuta dai sauditi, sono colpevoli. Lo scandalo anti-saudita va accuratamente controllato, perché è facile che debordi e i suoi liquami schizzino a colpire proprio gli israeliani o con doppio passaporto che erano al Pentagono ai tempi di Bush jr., e additati dall’agente Pieczenik: Paul Wolfowitz, rabbi Dov Zakhiem (e il terzo, ebreo anche lui, era Douglas Feith) più Michael Chertoff, capo dell’Homeland Security e grande insabbiatore-depistatore delle indagini.Questo scontro interno è senza dubbio in relazione con l’ascesa del candidato imprevedibile, Donald Trump, nella lizza presidenziale. Dopo il suo discorso sul suo programma in politica estera – liquidato con rabbia dal “New York Times” perché propone fra l’altro un accordo con Putin e la fine dell’interventismo – «gli americani sentono di avere, per la prima volta dopo molto tempo, una alternativa sobria e basata sull’interesse nazionale alle disastrose politiche dei neocon», ha detto Jim Jatras, l’ex consigliere repubblicano del Senato. Con grande dispetto dell’establishment, Trump non raccoglie voti solo tra i rozzi arretrati operai bianchi di basso reddito che odiano gli immigrati messicani e lo sentono volgare come loro. Negli exit poll delle primarie in Pennsylvania, Maryland, Delaware, Connecticut e Rhode Island – dove ha trionfato – s’è visto che hanno scelto lui la metà degli elettori repubblicani con alto titolo di studio e con reddito di 100 mila dollari annui: il suo discorso di politica estera ha convinto proprio la classe media benestante. Questo per l’elettorato repubblicano. Quanto a quello democratico: «Continuo a incontrare gente che non sa decidere se votare Bernie Sanders oppure Donald Trump», ha confessato al “Baltimore Sun” Robert Reich, ex ministro del lavoro sotto Bill Clinton e uomo molto di sinistra (nella misura statunitense). L’elettorato di “sinistra”, quello che ha favorito Sanders il “socialista”, sta pensando di votare Trump, non Hillary. Forse è proprio la grande liberazione da Israel….(Maurizio Blondet, “11 Settembre, l’uomo di Washington accusa Israele”, dal blog di Blondet del 29 aprile 2016).Accusa i neocon con nomi e cognomi: Paul Wolfowitz allora viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel governo Bush jr. e di aver organizzato, “su istigazione di Israele”, il mega-attentato dell’11 Settembre 2001. E non è un complottista marginale: è stato un alto funzionario del Dipartimento di Stato, da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra psicologica, attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro) per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign Relations, quindi dell’élite dell’establisment. Né lo si può accusare di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia di sua “mamma yiddish”, Teodora. E’ Steve Pieczenik. Una vecchia conoscenza anche per l’Italia, come vedremo. Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito “InfoWars”.
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Inglesi già in Libia, Turchia e Israele coi terroristi in Siria
Il Regno Unito ha schierato di nascosto forze speciali in Libia, mentre Israele sta chiudendo un occhio su Al-Nusra in Siria. E la Turchia vuole che gli islamisti radicali abbiano la meglio in Medio Oriente ed entrino in Europa: sono le sconvolgenti informazioni che re Abdullah di Giordania ha confidenzialmente condiviso con i parlamentari degli Stati Uniti. Il sovrano giordano, al potere dal 1999, ha dato questa schietta valutazione ai leader del Congresso, tra cui John McCain e Paul Ryan, in un incontro a porte chiuse durante la sua visita negli Stati Uniti a gennaio. Lo si apprende tramite una fuga di notizie finita sul “Guardian”. Nella rivelazione più importante, il reale ha detto che le forze speciali giordane operanti in Libia sono state incorporate in un contingente britannico di unità “Sas” per aiutare i corpi speciali inglesi a superare le barriere culturali e linguistiche. L’agenzia di intelligence Stratfor conferma: le “Sas” inglesi in Libia starebbero «scortando squadre del Mi6», impegnate ad «incontrare i funzionari libici per la fornitura di armi e addestramento all’esercito siriano e alle milizie in lotta contro lo Stato Islamico».
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Lo 007 confessa: la Turchia dietro la strage di Bruxelles
I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.«Le forze popolari curde che combattono in Siria hanno oggi [24 marzo] catturato un alto funzionario dei servizi segreti turchi che, “sottoposto ad interrogatorio”, ha coinvolto il presidente Erdogan», scrive “Veterans Today” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «A Veterans Today – aggiunge Nahed Al Husaini – è stato dato accesso alle confessioni registrate che hanno rivelato il ruolo del Mit (Milli Istihbarat Teskilati, l’intelligence turca) nelle esplosioni di Bruxelles ed i piani per effettuare ulteriori attacchi in Europa. Il “funzionario sospetto” ha confessato il suo ruolo nella pianificazione – a Raqqah – dell’attacco di Bruxelles, in collaborazione con l’Isis». L’informazione che ha portato alla cattura del funzionario, scrive “Veterans Today”, deriva da un’intercettazione effettuata dai russi: le forze di Mosca non sarebbero state direttamente coinvolte nell’operazione, ma si presume che unità di “Spetsnaz”, i corpi speciali russi, potrebbero essere state messe a disposizione dei curdi, come supporto.Secondo le affermazioni estorte al funzionario catturato, i servizi segreti turchi gestirebbero un centro di pianificazione operativa collocato in un complesso sotterraneo di Raqqah, la “capitale” del Califfato in Siria. «Il centro, costruito al di sotto di un impianto di atletica, contiene scorte di armi chimiche e biologiche, tra le quali il gas sarin, il virus per l’influenza suina e tonnellate di materiali per la produzione di altri tipi di gas», scrive ancora Nahed Al Husaini. «Gli Stati Uniti, coordinandosi con l’unità siriana “Tigre”, colpirono quel complesso nell’ottobre del 2014, nell’ambito di una di quella mezza dozzina di operazioni altamente segrete effettuate congiuntamente. L’operazione portò alla cattura di alcuni ufficiali del Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia». “Veterans Today” dichiara di aver ricevuto un resoconto dell’interrogatorio da Haissam Bou Said, segretario generale del Desi, Dipartimento sicurezza e informazioni per l’Europa, secondo cui «dietro agli orribili attentati suicidi c’è proprio il Mit».Sempre secondo questa fonte, «alcune cellule terroristiche turche erano state impiantate anni fa in Europa, in collaborazione con un’infrastruttura del crimine organizzato attiva nel traffico degli esseri umani e della droga, al lavoro con gruppi israeliani e sauditi per effettuare attacchi terroristici “false flag”», cioè “sotto falsa bandiera”, secondo il copione (italiano) della “strategia della tensione”. Il presidente turco Erdogan, sempre secondo la fonte di “Veterans Today”, avrebbe introdotto le cellule terroristiche addestrate dal Mit «nascondendole all’interno del flusso di profughi, attentamente orchestrato, per poi indirizzarle presso le comunità della criminalità turca, con sede in Germania, Belgio e Olanda». Per l’intelligence Usa, «da oltre un decennio la criminalità organizzata turca è concentrata a Monaco di Baviera, che è il “ground zero” per gli attacchi terroristici che dovrebbero colpire gli Stati Uniti alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali».Da anni, il presidente turco è al centro di crescenti polemiche, anche per via del giro di vite autoritario sulla stampa nazionale, che ha portato giornalisti in carcere. Contestato da più parti anche la violenza della repressione interna affidata alla polizia, Erdogan ha tentato di coinvolgere la Nato nello scontro con la Russia, con l’abbattimento del jet di Mosca. Ma non è tutto: nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi scrive che lo stesso Erdogan è affiliato alla superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush. Si tratta di un club super-massonico internazionale definiti “del sangue e della vendetta”, di cui farebbero parte anche Tony Blair, inventore del falso storico delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, e il francese Sarkozy, protagonista della guerra in Libia contro Gheddafi. La “Hathor Pentalpha” avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel maxi-attentato dell’11 Settembre, per poi lasciare la propria “firma” anche nell’Isis, acronimo che richiama la dea egizia Iside, chiamata anche Hathor.I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi
Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo. La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.
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Craig Roberts: i media sanno che la verità ufficiale è falsa
Gli americani vivono in una falsa realtà, creata con fatti inventati. «La maggior parte delle persone consapevoli e capaci di pensare hanno rinunciato a credere al sistema chiamato “media mainstream”». E le “presstitutes”, gli organi di stampa “prostituiti al potere” «hanno perso la loro credibilità pur di aiutare Washington a mentire», sostiene un autorevolissimo analista come Paul Craig Roberts, economista e politologo, già viceministro di Ronald Reagan. Il piano? Diffondere crescente insicurezza, in un vista di una svolta autoritaria. E’ un po’ uno schema che si va ripetendo, sia a livello nazionale che internazionale: le “armi di distruzione di massa” di Saddam, il “nucleare iraniano”, e poi l’uso delle armi chimiche attribuito ad Assad e “l’invasione russa” dell’Ucraina”. Dai media, solo la versione ufficiale, su tutto: l’11 Settembre, le bombe sulla maratona di Boston, le «presunte sparatorie sulle masse, come Sandy Hook e San Bernardino». Nonostante «le incongruenze lampanti, le contraddizioni e i fallimenti dei sistemi di sicurezza che sembrano troppo improbabili per essere credibili – aggiunge Roberts – i media mainstream non si fanno domande e non indagano: si limitano a raccontare, come un dato di fatto, tutto quello che dicono le autorità».Il segno di uno Stato totalitario o autoritario, scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, si ha quando i media non sentono più la responsabilità di dover indagare per cercare la verità, accettando invece il ruolo del propagandista. «Negli Stati Uniti la trasformazione dei giornalisti in propagandisti si è completata con la concentrazione di un sistema che era formato da parecchi media indipendenti in sei mega-società che ormai non sono più gestite da giornalisti». Di conseguenza, le persone più avvedute «fanno affidamento sempre più su media alternativi, quelli che si fanno domande, che seguono la logica dei fatti e che offrono analisi al posto di una linea ufficiale con storie incredibili». Il primo esempio fu l’11 Settembre, in cui la versione ufficiale è stata smontata da centinaia di esperti e tecnici. Nonostante ciò, grazie ai media, la versione ufficiale regge ancora: «Dobbiamo credere che alcuni sauditi, senza nessuna tecnologia che potesse andare oltre il coltellino da tasca e senza nessun appoggio dei servizi segreti di nessun governo, siano stati tanto abili da superare in astuzia la tecnologia di sorveglianza di massa creata dalla Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) e dalla Nsa (National Security Agency) e che siano stati capaci di affondare il colpo più umiliante mai subito da una superpotenza in tutta la storia umana».Invece di mettersi alla guida delle indagini su un fallimento tanto massiccio della sicurezza, la Casa Bianca ha continuato a resistere per più di un anno prima di cedere alle richieste delle famiglie delle vittime delle Torri Gemelle, e solo allora ha accettato di nominare una commissione d’inchiesta, che però «non investigò, ma semplicemente si insediò e scrisse la stessa storia che aveva raccontato il governo», anche se poi gli stessi protagonisti della commissione – presidente, co-presidente e consulenti legali – hanno scritto libri in cui si dichiara che ogni informazione era stata negata alla commissione, che i funzionari governativi avevano mentito e che la Commissione «era stata istituita per fallire». Eppure, le “presstitutes” ancora ripetono la stessa propaganda ufficiale, «e ci sono abbastanza americani che ci credono, tanto da evitare che debbano essere riconosciute le vere responsabilità». Continua Craig Roberts: «Qualsiasi storico competente sa che vengono usati degli eventi “false flag” per portare a compimento gli ordini del giorno che, altrimenti, non potrebbro essere raggiunti». L’11 Settembre? «Diede ai neocon, che controllavano l’amministrazione Bush, una nuova Pearl Harbor che, dicevano, era necessaria per lanciare le loro invasioni militari egemoniche sui paesi musulmani».E le bombe alla maratona di Boston? «Hanno permesso di testare la polizia americana», verificando «come si può isolare totalmente una grande città, mandando per le strade 10.000 soldati armati e squadre speciali con truppe che facevano perquisizioni casa per casa costringendo, con le armi, gli abitanti a lasciare le loro case». Una operazione senza precedenti, «giustificata come necessaria per trovare un ragazzino di 19 anni, ferito, che era chiaramente un capro espiatorio». In mezzo, un’infinità di anomalie, a cui nessuno si cura di dare una spiegazione. In un video, realizzato montando le copertine dei telegiornali, compare un uomo in lutto per la perdita del figlio. E’ la stessa persona che, in altre immagini, indossa l’uniforme delle squadre speciali Swat mentre è intenta a seguire la sparatoria di Sandy Hook. Si tratta di un attore conosciuto, scrive Roberts, che interpreta parti diverse: «Dobbiamo chiederci il perché di questo falso». I primi che dovrebbero farlo sono proprio i media, ma non lo fanno. Insieme a Mike Palecek, il professor Jim Fetzer ha scritto in un libro che Sandy Hook sarebbe stato un esperimento della Fema per promuovere il controllo delle armi. Si dice anche che non sia morto nessuno, a Sandy Hook. «Il libro era disponibile su Amazon, ma è stato improvvisamente vietato. Perché vietare un libro?».«Se le informazioni fornite da Fetzer sono corrette – aggiunge Craig Roberts – risulta chiaramente che il governo degli Stati Uniti sta mettendo in atto un’agenda di lavori autoritaria e che sta usando eventi orchestrati ad arte per mostre una falsa realtà agli americani, per raggiungere gli obiettivi della sua agenda». Fetzer «non può essere liquidato come un semplice folle: è uno che si è laureato con lode all’università di Princeton, ha un dottorato di ricerca dell’Indiana University ed è stato “distinguished professor” alla McKnight University del Minnesota fino al suo pensionamento nel 2006. Ha avuto una borsa di studio della National Science Foundation e ha pubblicato più di 100 articoli e 20 libri di filosofia della scienza. E’ esperto di intelligenza articiale e di “computer science”, ha anche fondato la rivista internazionale “Minds and Machines”».Per una persona di media intelligenza, continua Craig Roberts, sia la storia ufficiale dell’assassinio del presidente Kennedy che quella dell’11 Settembre semplicemente non sono credibili, perché le storie ufficiali non sono coerenti con le prove. «Quello che mi disturba è che nessuno, né tra le autorità né tra i media mainstream, mostra un minimo interesse a controllare i fatti. Invece, quelli che hanno tirato fuori delle questioni scomode vengono additati come teorici della cospirazione». Sappiamo dall’Operazione Gladio e dall’Operazione Northwoods che i governi «si invischiano in cospirazioni criminali contro i propri cittadini: pertanto, il vero errore è concludere che i governi non si impegnino nelle cospirazioni». Spesso, si sente qualcuno che obietta che se l’11 Settembre fosse stato un attacco “false flag”, qualcuno avrebbe parlato. «Perché avrebbero dovuto parlare? Dovrebbe sapere qualcosa solo chi ha organizzato la cospirazione. E allora perché dovrebbe far venire altri dubbi su quella che è stata una sua congiura?».Ricordiamoci di William Binney, l’uomo che sviluppò il sistema di sorveglianza utilizzato dalla Nsa. Quando si rese conto che il suo sistema veniva usato contro il popolo americano, Binney si mise a parlare. «Ma non si era preso nessun documento con cui poter provare le sue affermazioni, cosa che lo salvò dall’essere condannato ma che non gli permise di produrre nessuna prova su quanto diceva», scrive Roberts. «Questo è il motivo per cui Edward Snowden si è preso tutti i documenti e li ha resi pubblici. Tuttavia, molti vedono Snowden come una spia, come uno che ha rubato dei segreti sulla sicurezza nazionale, non lo vedono come uno che ha saputo avvertirci che la Costituzione – quella cosa che ci protegge – è stata ribaltata».Funzionari governativi di alto livello hanno smentito varie parti della storia ufficiale sia dell’11 Settembre che della versione ufficiale che lega l’attentato alle Twin Towers all’invasione dell’Iraq, attraverso la fiaba delle “armi di distruzione di massa”. Il segretario ai trasporti, Norman Mineta, smentì il vicepresidente Cheney e la tempistica della storia ufficiale dell’11 Settembre, ricorda Craig Roberts. E il segretario del Tesoro, Paul O’Neill, affermò che il rovesciamento di Saddam Hussein fu oggetto della prima riunione di gabinetto dell’amministrazione di George W. Bush, molto prima dell’11 Settembre. Lo scrisse in un libro e lo disse a “Cbs News”. Anche la Cnn e altri organi di stampa ne parlarono, ma la cosa non ebbe nessun effetto. Gli informatori – quelli veri – pagano un caro prezzo e molti finiscono in carcere. «Obama ne ha perseguito e incarcerato un numero record. Una volta che li hanno buttati in galera, la domanda diventa: “Chi avrebbe creduto a un criminale?”».Per quanto riguarda l’11 Settembre, aggiunge Craig Roberts, hanno parlato persone di ogni tipo: oltre 100 poliziotti, vigili del fuoco e altri soccorritori hanno riferito di aver nettamente percepito un gran numero di esplosioni nelle Torri. Il personale della manutenzione ha raccontato di enormi esplosioni avvenute negli scantinati appena prima che gli edifici fossero colpiti dagli aerei. Ma nulla da fare: «Niente di tutte queste testimonianze ha avuto qualche effetto né con le autorità che erano dietro la storia ufficiale, né con le “presstitutes”». Ci sono 2.300 architetti e ingegneri che hanno scritto al Congresso chiedendo di aprire una vera indagine, ma invece di accogliere la richiesta con il rispetto che meritano 2.300 professionisti, sono stati liquidati come “teorici della cospirazione”. E ancora: una tavola internazionale di scienziati ha segnalato la presenza di un potentissimo esplosivo come la nanotermite nelle polveri del World Trade Center. Hanno offerto dei campioni alle agenzie governative e agli scienziati, per ottenere conferma. Ma nessuno potrà toccare quei reperti. «Il motivo è chiaro: oggi i finanziamenti per la scienza sono fortemente dipendenti dal governo federale e dalle aziende private che hanno contratti federali. Gli scienziati sanno bene che tirare fuori qualcosa sull’11 Settembre significa la fine della carriera».Il governo americano, conclude Craig Roberts, ci ha reso proprio come voleva: impotenti e disinformati, completamente privi di strumenti per capire quello che sta realmente accadendo, sulla nostra pelle. «La maggior parte degli americani sono troppo ignoranti per essere in grado di comprendere la differenza tra un edificio che crolla per danni strutturali (per asimmetria) e edifici che invece saltano in aria. I giornalisti mainstream non possono fare domante o fare indagini e contemporaneamente mantenersi il posto di lavoro. Gli scienziati non possono parlare se vogliono continuare ad essere finanziati». E così., sintetizza amaramente l’ex viceministro di Reagan, «dire la verità è un compito che ormai si permettono solo i media Internet alternativi, tra i quali io scommetto che il governo sta gestendo dei siti che gridano selvaggiamente alle cospirazioni, con il vero scopo di screditare tutti gli altri siti, quelli scettici».Gli americani vivono in una falsa realtà, creata con fatti inventati. «La maggior parte delle persone consapevoli e capaci di pensare hanno rinunciato a credere al sistema chiamato “media mainstream”». E le “presstitutes”, gli organi di stampa “prostituiti al potere” «hanno perso la loro credibilità pur di aiutare Washington a mentire», sostiene un autorevolissimo analista come Paul Craig Roberts, economista e politologo, già viceministro di Ronald Reagan. Il piano? Diffondere crescente insicurezza, in un vista di una svolta autoritaria. E’ un po’ uno schema che si va ripetendo, sia a livello nazionale che internazionale: le “armi di distruzione di massa” di Saddam, il “nucleare iraniano”, e poi l’uso delle armi chimiche attribuito ad Assad e “l’invasione russa” dell’Ucraina”. Dai media, solo la versione ufficiale, su tutto: l’11 Settembre, le bombe sulla maratona di Boston, le «presunte sparatorie sulle masse, come Sandy Hook e San Bernardino». Nonostante «le incongruenze lampanti, le contraddizioni e i fallimenti dei sistemi di sicurezza che sembrano troppo improbabili per essere credibili – aggiunge Roberts – i media mainstream non si fanno domande e non indagano: si limitano a raccontare, come un dato di fatto, tutto quello che dicono le autorità».