Archivio del Tag ‘Fratelli d’Italia’
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“Conte firma il Mes coi 5 Stelle, poi lascia a Colao o Draghi”
Conte firmerà il Mes insieme al M5S e probabilmente a Forza Italia e Pd. Certo, i fatti dicono che qualcosa nel governo si è rotto. E’ fuor di dubbio. La ricomposizione tentata da Conte parla chiaro: il Pd si è stancato di Conte. Un presidente del Consiglio che si lancia in un discorso come quello del 10 aprile, in cui ha attaccato con nomi e cognomi Salvini e Meloni, dà segni di cedimento, è fuori controllo. Io sono saltato sulla sedia. Proviamo ad immaginare la Merkel fare una cosa simile. Nessuno ci riesce. Anche perché la Merkel in questi 2 mesi ha fatto solo due discorsi alla nazione in orario di punta, Conte ne ha già fatti 11. L’ultimo, poi, è stato una sortita estranea al mondo politico occidentale. Il suo addetto stampa Casalino gli ha fatto fare un simile attacco a freddo perché ha capito che il problema non sono Salvini e Meloni, ma i 5 Stelle, che sono contro il Mes e non si fidano di Conte. L’attacco al nemico è una manovra classica: agitare il nemico esterno Salvini-Meloni per ricompattare quel che resta del Movimento dietro Conte. E possibilmente vincolarlo. Perché i 5 Stelle non si fidano? Perché sanno che prima o poi sarà costretto ad accettare il Mes.Infatti Conte ha detto che occorre aspettare, “valutare se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone, e solo allora potremo discutere se quel regolamento è conforme al nostro interesse nazionale”. Un’apertura di credito apprezzata dal Pd. Avverrà come sulla Tav e sul Tap. Prima i grillini fanno le barricate, come adesso, e poi accettano, trovando il modo di presentarlo come il minore dei mali. Crimi però sul “Fatto Quotidiano” è stato netto: «L’Italia non farà mai ricorso al Mes, noi Cinque Stelle non potremo mai accettarlo». Il vero nodo non sono le “condizionalità” del Mes, ma ciò che consente ai 5 Stelle di mantenere la poltrona: il loro vero obiettivo è sopravvivere il più possibile, e per farlo devono portare a termine la legislatura. Una ventina di 5 Stelle potrebbero anche votare contro, ma sarebbero immediatamente sostituiti da Forza Italia e altri parlamentari di rimpiazzo. Come mi spiego questa corsa trasversale verso il Mes, da Berlusconi a Zingaretti e Bersani, passando per Renzi? Aggiungerei anche Conte e il M5S. Semplicemente perché c’è disperata fame di soldi, e 36 miliardi a interessi bassissimi possono essere ossigeno indispensabile per le casse pubbliche. Tra qualche settimana crollerà il gettito fiscale e lo Stato potrebbe non avere più soldi per pagare i dipendenti pubblici.Cosa penso dell’operazione Colao? È un ottimo manager, non è detto che riesca anche a fare il presidente del Consiglio. Non per capacità personali, sia chiaro, ma perché quello della politica potrebbe non essere il suo mondo. Gli hanno affibbiato in commissione 16 persone, quando le commissioni vere si fanno al massimo in 5 o 6. Alla prima riunione hanno partecipato anche i capi gabinetto di ogni ministero. Conosco Colao: è un capo-azienda, deve poter decidere senza interferenze. Chi è stato a volerlo? Quello che si dice, che cioè sia un’operazione avallata da Pd e Quirinale per propiziare il dopo-Conte, è verosimile. Il problema rimane lo stesso di Draghi. Per fare arrivare Colao o qualcun altro super-partes al governo serve un’operazione di unità nazionale. Davvero pensiamo che Draghi si metterebbe alla mercé del Parlamento attuale, dove il M5S ha la maggioranza relativa? Dunque mancano i presupposti: a meno che non si faccia come nel 1993, quando Ciampi andò a Palazzo Chigi dopo il disastro del ’92, forse già con l’ipotesi di salire poi al Colle. Prima però dovette sporcarsi le mani come ministro del Tesoro di Prodi. Draghi Capo dello Stato? Sicuramente il presidente sarà lui. Con Draghi al Quirinale, Salvini potrebbe anche guidare il governo. L’incognita è come riempire il vuoto da qui ad allora. Se fa il premier, Draghi può rischiare la fine di Monti. Quanto al destino del governo Conte, era già condannato senza coronavirus.Dopo le regionali di maggio avrebbe quasi certamente ceduto il posto ad altri. Al posto delle regionali, ci sono le inchieste sulla sanità lombarda. Perché adesso? Per oscurare il disastro del governo Conte e della Protezione civile nazionale. Trovi due pm di sinistra, apri un’inchiesta e sei a posto. Almeno, fino ad oggi è stato così. Stavolta gli accusati finiranno tutti assolti (non adesso, ovviamente, ma tra dieci anni). L’epidemia ha allungato la vita politica di Conte, ma per poco. Adesso i nodi vengono al pettine. È un avvocato e un bravo negoziatore. Si salverebbe se riuscisse a convincere la Merkel a dargli 100 miliardi sotto forma di “recovery bond”. Ma non andrà così. Il governo tedesco e i suoi satelliti sentono il fiato sul collo dei sovranisti tedeschi e olandesi. Se si chiede ai loro paesi di condividere il debito italiano, schizzano al 30 per cento. Dunque addio governo M5S-Pd: come cadrà? Con la solita manovra di palazzo, probabilmente. Ma cadrà soprattutto Conte. Se invece Conte e Gualtieri accetteranno il Mes, la maggioranza forse sarà salva, ma spesi i 36 miliardi toccherà alle pesanti “condizionalità” europee. A quel punto, unità nazionale e governo Colao o Draghi. O qualche altro personaggio super-partes trovato da Mattarella.(Mauro Suttora, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Scenario Mes: Conte e M5S pronti a firmarlo, poi arrivano Colao o Draghi”, pubblicata dal “Sussidiario” il 16 aprile 2020. Giornalista, Suttora è stato a lungo corrispondente dagli Usa per varie testate).Conte firmerà il Mes insieme al M5S e probabilmente a Forza Italia e Pd. Certo, i fatti dicono che qualcosa nel governo si è rotto. E’ fuor di dubbio. La ricomposizione tentata da Conte parla chiaro: il Pd si è stancato di Conte. Un presidente del Consiglio che si lancia in un discorso come quello del 10 aprile, in cui ha attaccato con nomi e cognomi Salvini e Meloni, dà segni di cedimento, è fuori controllo. Io sono saltato sulla sedia. Proviamo ad immaginare la Merkel fare una cosa simile. Nessuno ci riesce. Anche perché la Merkel in questi 2 mesi ha fatto solo due discorsi alla nazione in orario di punta, Conte ne ha già fatti 11. L’ultimo, poi, è stato una sortita estranea al mondo politico occidentale. Il suo addetto stampa Casalino gli ha fatto fare un simile attacco a freddo perché ha capito che il problema non sono Salvini e Meloni, ma i 5 Stelle, che sono contro il Mes e non si fidano di Conte. L’attacco al nemico è una manovra classica: agitare il nemico esterno Salvini-Meloni per ricompattare quel che resta del Movimento dietro Conte. E possibilmente vincolarlo. Perché i 5 Stelle non si fidano? Perché sanno che prima o poi sarà costretto ad accettare il Mes.
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Magaldi: soldi a tutti, ma subito. Draghi saprebbe cosa fare
Giuseppe Conte ha chiuso gli italiani in casa, per giunta lasciandoli senza soldi e gettando tutti nell’angoscia, a partire dalle fasce sociali più fragili. Se ora non riesce a ottenere neppure gli eurobond, faccia un favore al paese: tolga finalmente il disturbo, visto che non ha la stoffa per gestire l’Italia. Si avvicina l’ora di Mario Draghi? Imbucato tra i 5 Stelle nel 2018, Comte era stato pescato come premier-ombra del governo gialloverde, “re travicello” quasi senza poteri, schiacciato tra Di Maio e Salvini. Poi, quasi di colpo, l’ex “avvocato del popolo” (vicinissimo al Vaticano, più che al popolo) si è trovato in mezzo alla tempesta del coronavirus, facendo solo disastri. Beninteso: nessuno se l’è cavata benissimo, nel mondo, alle prese con il tuttora misterioso Covid-19. Ma una cosa è certa: l’Italia – paradossalmente indicata come modello, dall’ambigua Oms – ha sbagliato tutto lo sbagliabile. Alla vigilia, spiccavano le “profezie” televisive dei vari Burioni: tranquilli, siamo in una botte di ferro. Poi, lo stranissimo focolaio lombardo nel Lodigiano, la cui esplosività resta tuttora inspiegata. Ma era ancora tempo di brindisi sui Navigli, con Sala e Zingaretti. Poco dopo, l’errore capitale: sprangare l’intera Lombardia, lasciando però il tempo – a decine di migliaia di potenziali “untori” – di lasciare Milano e contagiare l’intero Stivale, isole comprese. Salvo poi imporre il coprifuoco a tutto il paese, fuori tempo massimo, per giunta colpevolizzando i cittadini e vessandoli con la decretazione d’emergenza, che molti giuristi considerano incostituzionale.Poche settimane, e la catastrofe-Conte si è espressa in tutta la sua potenza: italiani costretti in casa, e senza ancora aver visto un soldo. Anche alle aziende, solo promesse o annunci demenziali: come l’offerta di indebitarsi in banca. E dopo cinque settimane di quarantena nazionale, con la previsione di non riaprire nulla se non a partire dal 4 maggio, oggi nessuno sa ancora cosa succederà: né sul versante della calamità sanitaria, né su quello della devastante crisi economica che potrebbe schiantare il paese e innescare pericolose rivolte sociali. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt (che sta attrezzando sportelli legali per assistere cittadini colpiti da sanzioni impugnabili) è sempre stato contrario all’imposizione delle restrizioni: «C’era tutto il tempo per fare almeno due cose: potenziare le terapie intensive e raccomandare agli anziani di restare al riparo, e non si è fatta né l’una né l’altra». Terza mossa: investire sul fronte scientifico. «Occorreva finanziare con la massima urgenza il lavoro dei nostri laboratori di ricerca, per trovare cure efficaci: e non lo si è fatto». Meglio il vicolo cieco della clausura, di fronte alla disperazione dei medici assediati dai pazienti, e senza i necessari posti letto in rianimazione. Domanda: cosa succederà, con la riapertura? «Se i contagi riprendessero a crescere e il virus dovesse malauguratamente riesplodere – si chiede Magaldi – il governo che farà? Tornerà a rinchiuderci tutti in casa?».Il dramma, secondo il presidente del Movimento Roosevelt, è proprio la mancanza assoluta di visione prospettica: «Serve una capacità almeno decennale di previsione: nel mondo globalizzato dobbiamo rassegnarci a convivere, con i virus, ma non è pensabile che ogni volta scatti la follia della quarantena, o che le restrizioni alle libertà diventino permanenti, con una sorveglianza sociale orwelliana in stile cinese». Serve una strategia complessiva: «Investimenti sulla sanità, dopo i tagli sciagurati imposti dall’austerity neoliberista, dando a ciascuno la certezza di essere curato nel migliore dei modi. E chiedendo alla medicina di tornare a fare anche molta prevenzione: occorre coltivare la salute, non solo limitarsi a fronteggiare le patologie in atto». Per tutto questo, naturalmente, servono soldi: tantissimi. Dove trovarli? «Lo ha spiegato Draghi nella sua recente lettera al “Financial Times”: bisogna rispolverare Keynes e Roosevelt, e quindi emettere miliardi a costo zero, che non si trasformino in debito». Anche per questo, secondo Magaldi, i mitici eurobond evocati da Conte sarebbero solo una parte della soluzione. «Tanto per cominciare andavano varati nel 2010, per annullare lo spread. Ora certo andrebbero creati, meglio tardi che mai. Ma siamo sicuri che Conte riuscirà a imporli, a paesi come la Germania, notoriamente eterodiretti dall’oligarchia finanziaria neoliberista?».Ecco il punto: il capo del governo ne ha fatto una questione di principio, la sua linea del Piave, rispondendo a muso duro a Salvini e alla Meloni, che lo avevano accusato di aver già “svenduto” l’Italia, sottobanco, agli eurocrati del Mes. «Questo non è vero», chiarisce Magaldi: «Conte non ha ancora firmato alcun impegno vincolante o rischioso, per l’Italia». Per contro, non è ancora riuscito a portare a casa gli eurobond. «Se non ce la facesse, al prossimo vertice europeo – tra pochi giorni – dovrebbe concludere di non essere all’altezza, e quindi farsi finalmente da parte». E’ finito in un gioco più grande di lui? «Conte non sembra avere la statura necessaria: del resto, fin dall’inizio sembrava ambire a diventare un semplice “maggiordomo” delle tecnocrazie europee, come lo è il suo ministro Roberto Gualtieri – che lavora da sempre per il suoi “padroni”, non certo per il popolo italiano, e quindi andrebbe senz’altro licenziato». Un fuoriclasse come Mario Draghi, ovviamente, avrebbe ben altre capacità da mettere in campo. La prima: «Trovare il modo di assistere economicamente gli italiani in modo immediato, come ha chiarito nel suo intervento sul “Financial Temp”: non c’è più tempo, l’Italia sta per crollare e gli italiani sono sul punto di esplodere. Vanno aiutati subito, adesso. E Draghi, a differenza di Conte, saprebbe come farlo».Stiamo parlando del “nuovo” Draghi, il super-tecnocrate “pentito” della sua vita precedente, in cui è stato tra i massimi architetti del rigore finanziario europeo. Una svolta, la sua, che risale a quasi un anno fa: clamorose le riflessioni sulla possibilità di ricorrere anche al famoso “helicopter money”, moneta emessa alla bisogna (in modo virtualmente illimitato, e a costo zero), come consigliato dalla Modern Money Theory. In altre parole: capovolgere il dogma neoliberista della (falsa) “scarsità di moneta”, e tornare a impiegare lo Stato sovrano come leva strategica dell’economia privata. Era proprio necessario un cataclisma come il coronavirus, per far capire a tutti che un’Italia sull’orlo dell’abisso non può continuare a dipendere da prestiti concessi a carissimo prezzo? L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e allievo dello stesso maestro di Draghi, Federico Caffè, ha una sua soluzione: moneta nazionale, “non a debito”, da stampare subito per rimettere in piedi l’Italia. «Lo stesso Draghi, poi – aggiunge Magaldi – parla addirittura della necessità di azzerare i debiti pregressi, pubblici e privati, come si fa in caso di guerra». Il povero Conte, nel suo piccolo, si limita a chiedere gli eurobond. Se però non li ottenesse, a fine aprile, il suo destino potrebbe essere segnato: addio Palazzo Chigi. Chiosa Magaldi: «Resistiamo, perché presto verranno tempi migliori: ma dovremo conquistarceli».Giuseppe Conte ha chiuso gli italiani in casa, per giunta lasciandoli senza soldi e gettando tutti nell’angoscia, a partire dalle fasce sociali più fragili. Se ora non riesce a ottenere neppure gli eurobond, faccia un favore al paese: tolga finalmente il disturbo, visto che non ha la stoffa per gestire l’Italia. Si avvicina l’ora di Mario Draghi? Imbucato tra i 5 Stelle nel 2018, Conte era stato pescato come premier-ombra del governo gialloverde, “re travicello” quasi senza poteri, schiacciato tra Di Maio e Salvini. Poi, quasi di colpo, l’ex “avvocato del popolo” (vicinissimo al Vaticano, più che al popolo) si è trovato in mezzo alla tempesta del coronavirus, facendo solo disastri. Beninteso: nessuno se l’è cavata benissimo, nel mondo, alle prese con il tuttora misterioso Covid-19. Ma una cosa è certa: l’Italia – paradossalmente indicata come modello, dall’ambigua Oms – ha sbagliato tutto lo sbagliabile. Alla vigilia, spiccavano le “profezie” televisive dei vari Burioni: tranquilli, siamo in una botte di ferro. Poi, lo stranissimo focolaio lombardo nel Lodigiano, la cui esplosività resta tuttora inspiegata. Ma era ancora tempo di brindisi sui Navigli, con Sala e Zingaretti. Poco dopo, l’errore capitale: sprangare l’intera Lombardia, lasciando però il tempo – a decine di migliaia di potenziali “untori” – di lasciare Milano e contagiare tutto lo Stivale, isole comprese. Salvo poi imporre il coprifuoco al paese, fuori tempo massimo, per giunta colpevolizzando i cittadini e vessandoli con la decretazione d’emergenza, che molti giuristi considerano incostituzionale.
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Magaldi avverte Conte: aiuti l’Italia, o scendiamo in piazza
«Il governo si sbrighi ad attuare misure immediate e concrete per assistere gli italiani rinchiusi nelle loro case, o presto scenderemo in piazza». L’annuncio, clamoroso, proviene da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. Autore del bestseller “Massoni”, edito da Chiarelettere nel 2014, nonché “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, Magaldi è il frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale che si oppone all’austerity neoliberista. E’ stato il primo, sei mesi fa, ad annunciare con larghissimo anticipo lo storico dietrofront di Mario Draghi: «L’ex presidente della Bce è pronto a smentire il teorema del rigore, tornando a un’impostazione keynesiana dell’economia, cioè alla creazione monetaria teoricamente illimitata, all’occorrenza». La conferma è giunta dallo stesso Draghi, che – con il suo dirompente intervento sul “Financial Times” – ora sostiene la necessità di azzerare i vincoli finanziari dell’Eurozona. Dal grande banchiere centrale, un’inversione completa di rotta: urge ricorrere a una spesa pubblica illimitata, «come in guerra», per uscire dall’emergenza sanitaria e dalle sue spaventose conseguenze economiche, che per l’Italia si annunciano devastanti.«Attenti: Draghi non è solo», spiega Magaldi: «A passare dalla nostra parte, in queste ore, sono in tanti, tra le fila dei potenti che fino a ieri sostenevano il paradigma dell’austerity». La posta in gioco è altissima, afferma il presidente del Movimento Roosevelt: «Dietro all’emergenza sanitaria del coronavirus, e alla sua gestione di tipo cinese, si nasconde infatti un piano preciso, cinico e spietato, orchestrato da filiere oligarchiche: i nuovi “golpisti” sognano un mondo abitato da cittadini impauriti, chiusi in quarantena e privati di diritti, libertà e democrazia – oggi a causa del Covid-19, e domani del prossimo virus». Magaldi denuncia l’esistenza di un preciso piano internazionale, che utilizza il sistema-Cina come modello autoritario, sperando di estenderlo anche all’Occidente: efficienza economica, ma senza libertà democratiche. Contro questo possibile “golpe” mondiale, affidato alla nuova “polizia sanitaria” – avverte il leader “rooseveltiano” – è in atto una controffensiva poderosa, a ogni livello: il back-office del massimo potere è in subbuglio. Sarebbero in atto «rivolgimenti di portata epocale», destinati a cambiare la governance del pianeta.Ne è una prova la spettacolare risposta di Donald Trump: 2.000 miliardi di dollari pronta cassa, a disposizione degli statunitensi. «Tutto il contrario di quanto avviene in Italia: molte famiglie sono allo stremo, senza soldi per fare la spesa. E moltissimi italiani – che dal governo non hanno ancora visto un euro – non sanno neppure se riusciranno a riaprire la propria attività». Magaldi resta contrario al modello-Wuhan della quarantena imposta a tutti, ma precisa: «Si poteva comunque attuare una vera quarantena, rigidissima e tempestiva. Garantendo, al tempo stesso, che nessun italiano ne avrebbe subito danni. E invece – aggiunge – questo governo di cialtroni incapaci ha lasciato scappare i buoi prima di chiudere la stalla, favorendo l’espansione del contagio, e poi ha sprangato l’Italia senza offrire nessuna vera garanzia economica». Di qui l’annuncio: «A breve, il Movimento Roosevelt inoltrerà al governo una sorta di ultimatum, pacifico e democratico, chiedendo provvedimenti immediati per salvare l’economia del paese. In mancanza di risposte – conclude Magaldi – protesteremo apertamente, manifestando nelle piazze».Un’esternazione decisamente inaudita, in questa Italia frastornata dal coprifuoco imposto (tardivamente) da Conte. Magaldi l’ha anticipata il 30 marzo in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, tribuna web-streaming da cui già nei giorni scorsi erano scaturiti messaggi nettissimi: «A nessuno venga in mente, come pare sia stato ventilato, di ordinare ai militari di fare irruzione nelle case degli italiani». La sensazione, dice Magaldi, è quella di un governo allo sbando: incapace di frenare il contagio, impotente di fronte al tracollo degli ospedali lombardi e addirittura ridicolo, sul piano economico, non sapendo come rassicurare materialmente le famiglie che ha costretto a stare chiuse in casa. «E hanno anche il coraggio di indicare la catastrofe italiana come modello per l’Europa?». Attenzione, la pazienza ha un limite: «Le scimmiette ammaestrate hanno già smesso di esorcizzare la paura dai balconi, intonando canzoni: cosa di cattivo gusto, peraltro, visto che siamo in mezzo ai morti e al dolore. Finiti i cori, ora emergono le tensioni».Buio pesto, intanto, dalla politica italiana: se Conte emette «decretini sconclusionati che sembrano scritti, appunto, da cretini», l’opposizione non è da meno. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia sono allineate alla filosofia-Wuhan, cucinata all’amatriciana. E Renzi, che tenta di distinguersi cianciando di riapertura delle scuole? «Mosse disperate, le sue, dettate dall’angoscia per il crollo dei consensi che sta scontando. Nemmeno lui – dice Magaldi – fa cenno al vero problema: il piano di confisca permanente della nostra libertà». Zingaretti? «Fino a poco fa brindava sui Navigli con Sala, nel segno della “Milano da bere”, un minuto prima che la situazione precipitasse». Quanto ai governatori del Nord, solo note stonate: «Ieri hanno trascurato la sanità, che in Lombardia è stata massicciamente privatizzata. E oggi si svegliano, chiedendo al governo di Roma ancora più restrizioni, non sapendo come giustificare la tragedia in corso nei loro ospedali». In che mani siamo?Ecco il punto, ribadisce Magaldi: nessuno capisce, o vuole ammettere, che il maledetto coronavirus segna un punto di non-ritorno. In altre parole: niente sarà più come prima, in Italia e nel resto del mondo. Siamo a un bivio drammatico: la fine della libertà, imposta per via sanitaria, o – al contrario – lo smantellamento (storico) del regime neoliberista fondato sulla menzogna finanziaria, che ha sventrato le economie e le società europee imponendo austerity artificiose, sanguinose e criminali. Si sta davvero capovolgendo tutto, se persino uno dei sommi “carnefici” di ieri, l’inflessibile Mario Draghi – sordo al grido di dolore della Grecia, poi immobile di fronte all’Italia travolta dallo spread – oggi scende in campo dalla parte giusta, quella del popolo, sconfessando la sua stessa storia di super-privatizzatore neoliberista. «Fateci caso», sottolinea Magaldi: «Draghi riscopre la sua origine keynesiana e cita espressamente il New Deal di Roosevelt: massiccio intervento pubblico nell’economia, salvaguardando democrazia e libertà».E’ scattato il conto alla rovescia, verso la fine dell’Unione Europea a trazione tedesca? Calma, raccomanda Magaldi: «C’è ancora in giro gente come Ferruccio De Bortoli, già pessimo direttore del “Corriere della Sera”, che ancora sostiene che lo Stato non possa aiutare tutti». Il “mostro” neoliberista è ancora vivo, anche se sta perdendo pezzi pregiati. Magaldi non fa mistero di essere in prima linea, in questa battaglia, come esponente italiano del network progressista supermassonico. In sistesi: è in corso uno spettacolare contrattacco, di fronte al “partito del virus” che, con la scusa del Covid, vorrebbe azzerare l’Italia e ridurre l’Occidente a provincia di Wuhan, in eterno, di emergenza in emergenza. Il grande potere è in frantumi: e se Trump usa il bazooka dell’helicopter money, Putin spedisce poderosi aiuti in Italia (che fanno sfigurare gli Usa). Chi ha voluto «gettare i dadi» del coronavirus, ha fatto male i suoi conti: il fronte democratico è ogni giorno più forte, avverte Magaldi. E intanto citofona a Conte: «Si sbrighi a risolvere finalmente i problemi degli italiani che ha segregato, o presto scenderemo davvero in piazza».«Il governo si sbrighi ad attuare misure immediate e concrete per assistere gli italiani rinchiusi nelle loro case, o presto scenderemo in piazza». L’annuncio, clamoroso, proviene da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. Autore del bestseller “Massoni”, edito da Chiarelettere nel 2014, nonché “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, Magaldi è il frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale che si oppone all’austerity neoliberista. E’ stato il primo, sei mesi fa, ad annunciare con larghissimo anticipo lo storico dietrofront di Mario Draghi: «L’ex presidente della Bce è pronto a smentire il teorema del rigore, tornando a un’impostazione keynesiana dell’economia, cioè alla creazione monetaria teoricamente illimitata, all’occorrenza». La conferma è giunta dallo stesso Draghi, che – con il suo dirompente intervento sul “Financial Times” – ora sostiene la necessità di azzerare i vincoli finanziari dell’Eurozona. Dal grande banchiere centrale, un’inversione completa di rotta: urge ricorrere a una spesa pubblica illimitata, «come in guerra», per uscire dall’emergenza sanitaria e dalle sue spaventose conseguenze economiche, che per l’Italia si annunciano devastanti.
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Crimi al posto di Conte, da Trump un ribaltone salva-Italia?
L’Italia è conosciuta e temuta nel mondo anche per la mafia. Oggi la mafia tace, non è più la stagione delle stragi. Ma è molto forte, e finora è stata zitta. Le mafie, che si basano su grandi traffici internazionali come quello della droga, controllano una parte della politica. Sappiamo tutti della “trattativa”, di cosa è stato insabbiato: lo possiamo immaginare. Deputati e senatori sarebbero a repentaglio, se qualcuno parlasse troppo? A mio parere, si sta scatenato una situazione di rivolte, nel Sud. Sicuramente sono innescate dal problema sociale: molte famiglie non riescono più a pagare bollette e affitto, né a comprare da mangiare. Molti video che stanno girando i questi giorni, però (assalti alle vetrine delle banche) sembrano costruiti: c’è qualcosa che sta creando un clima di rivolta. Secondo me, sono segnali indirizzati alla politica. Come a dire: «Siamo scontenti, perché non ci lasciate “lavorare”», (visto che la mafia si regge sul lavoro nero e sui traffici). «E allora noi cominciamo a parlare. Parleremo tanto, e vediamo se salta il coperchio della pentola». Questa è una mia interpretazione personale. Ma è uno dei fattori che, secondo me, potrebbero portare a un repertino cambio di governo – che ritengo molto probabile, anche per il quadro internazionale, che sta rapidamente cambiando.Noi non sappiamo cosa sta succedendo. Non sappiamo quali siano i veri accordi fra Trump e Putin. Non sappiamo quanto l’Unione Europea stia realmente collassando (i segnali ci sono). Sappiamo che Macron ormai è con le spalle al muro: probabilmente, come presidente, ha le ore contate. Quindi ci sarà un cambio drastico, in Francia. E abbiamo visto cosa sta succedendo in Inghilterra. Gli americani non riunceranno mai, all’Italia: è strategica, nel Mediterraneo. Però, nello scenario di un accordo collaborativo fra Trump e Putin, è molto probabile che per l’Italia si pensi a un cambio di governo, a fini di concessione di liquidità. Ed è evidente che Conte – un uomo dei gesuiti, che probabilmente prende ordini da Oltretevere – abbia finora salvaguardato il paradigma economico vigente: i primi aiuti limitati a 25 miliardi, e appena 600 euro alle partite Iva, sono cose ridicole. Inoltre, Conte teme molto la situazione: con gli italiani sta facendo il gioco della rana bollita. Sapeva perfettamente com’era la situazione. Se avesse voluto, avrebbe potuto preparsi per tempo (e ne aveva tutta l’autorità). Conte avrebbe potuto preparare gli italiani fin da subito, facendo un discorso – anzi, facendolo fare a Mattarella, che per una volta nella vita avrebbe dovuto fare il presidente della Repubblica.Mattarella avrebbe dovuto dire: italiani, stiamo per avere un enorme problema sanitario. Avrebbe dovuto spiegarlo, senza il timore di provocare panico o reazioni isteriche. Qui invece vanno tutti con i piedi di piombo: il 31 gennaio fanno un decreto senza capo né coda, giuridicamente illecito, dichiatando lo stato d’emergenza fino al 31 luglio. E poi, a piccole tappe, cucinano la rana bollita: restringono, restringono, restringono (dimostrando una cialtroneria allucinante). Quindi è molto probabile, secondo me, che Conte venga silurato dall’alto, magari per decisione di Trump. Si creerebbe una situazione senza precedenti. Un’ulteriore eccezionalità: nella storia italiana, la prima crisi di governo in una situazione di stato d’emergenza, il cui lo stesso governo è già esautorato. Infatti già adesso sta lavorando solo per gli affari correnti. Non solo il Parlamento non funziona e i tribunali sono chiusi, ma lo stesso governo non sta facendo niente, a parte piccoli atti. Andare al voto sarebbe impensabile. Idem un governo di larghe intese. Se Conte viene silurato dall’alto, è probabile che ci sveglieremo una mattina con Vito Crimi presidente del Consiglio.Il nuovo capo politico dei 5 Stelle ha appena minacciato Conte di staccare la spina al governo, se ci fosse un patteggiamento, un cedimento sul Mes. Intanto, Grillo è scomparso, lo stesso Di Battista è sparito. E Di Maio si fa vedere il meno possibile. Secondo me, è verosimile che sia stato fatto un accordo sottobanco per mettere il governo nelle mani di Vito Crimi, con l’appoggio esterno della Lega e forse anche di Fratelli d’Italia (e magari, chissà, pure di Forza Italia). Il compito: far uscire l’Italia dall’emergenza in tempi relativamente brevi, riaprendo gradualmente scuole, fabbriche attività commerciali (mentre Francia, Gran Bretagna e Germania saranno ancora nell’occhio del ciclone: ne risentiranno per mesi). Tagliati i fili che ci legano al rigore europeo e alle logiche di Maastricht, il governo Crimi sarebbe di fatto autorizzato a emettere dal nulla la moneta, facendo venir meno il paradigma del signoraggio bancario. A mio parere, si tornerebbe a banche centrali nazionali, con emissione di valuta priva di debito. Una persona come Crimi, secondo me, potrebbe guidare solo questa transizione, in attesa di elezioni. Sono ipotesi, congetture: vedremo.Escludo invece un governo Draghi. Spesso apprezzo le analisi di Gioele Magaldi, il quale – mesi fa – disse che Draghi sarebbe passato armi e bagagli dall’altra parte della barricata. Io resto scettico: un personaggio come Draghi va messo alla prova. Però, la sua ultima uscita pubblica è clamorosa: dice che sarà necessario stampare moneta e addirittura cancellare il debito privato dei cittadini, cestinando anche le cartelle di Equitalia. Credo che Draghi finirà al Quirinale: ho questo sentore. Mattarella è vicino alla fine del suo mandato. Ipotesi: potrebbero accelerare la sua uscita, magari con un pretesto? So però che ci saranno molti soldi. Trump e Boris Johnson hanno fatto una dichiarazione quasi congiunta. Trump ha detto: se sarà necessario, ai cittadini distribuiremo contanti dagli elicotteri – e quindi scavalcando le banche, contro la logica (del “nuovo ordine mondiale”) dell’abolizione del contante. Boris Johnson ha detto la stessa cosa: denaro contante ai cittadini. Sono dichiarazioni di guerra, secondo me. Il cambio di sistema è già in atto: il paradigma di ieri sta crollando. E’ inevitabile, che ci sia un nuovo paradigma. E speriamo che vada in questa direzione.(Nicola Bizzi, dichiarazioni rilasciate il 25 marzo 2020 alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti. Editore, proprietario della casa editrice Aurola Boreale, Bizzi è uno storico indipendente: è autore di lavori recenti, come lo studio dedicato a Ipazia di Alessandria. Assai rilevante il volume “Da Eleusi a Firenze”, in cui Bizzi ricostruire l’ascendenza della “comunità misterica eleusina” dietro le quinte della storia, per esempio nella fioritura politico-culturale del Rinascimento italiano).L’Italia è conosciuta e temuta nel mondo anche per la mafia. Oggi la mafia tace, non è più la stagione delle stragi. Ma è molto forte, e finora è stata zitta. Le mafie, che si basano su grandi traffici internazionali come quello della droga, controllano una parte della politica. Sappiamo tutti della “trattativa”, di cosa è stato insabbiato: lo possiamo immaginare. Deputati e senatori sarebbero a repentaglio, se qualcuno parlasse troppo? A mio parere, si sta scatenato una situazione di rivolte, nel Sud. Sicuramente sono innescate dal problema sociale: molte famiglie non riescono più a pagare bollette e affitto, né a comprare da mangiare. Molti video che stanno girando i questi giorni, però (assalti alle vetrine delle banche) sembrano costruiti: c’è qualcosa che sta creando un clima di rivolta. Secondo me, sono segnali indirizzati alla politica. Come a dire: «Siamo scontenti, perché non ci lasciate “lavorare”», (visto che la mafia si regge sul lavoro nero e sui traffici). «E allora noi cominciamo a parlare. Parleremo tanto, e vediamo se salta il coperchio della pentola». Questa è una mia interpretazione personale. Ma è uno dei fattori che, secondo me, potrebbero portare a un repentino cambio di governo – che ritengo molto probabile, anche per il quadro internazionale, che sta rapidamente cambiando.
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Magaldi: Salvini e Meloni si decideranno a battersi per noi?
Salvini che sparacchia su Bruxelles ma poi incarica Giorgetti di correggere il tiro, e intanto (evidentemente mal consigliato) bacchetta le donne che scambierebbero l’aborto per un’alternativa alla contraccezione, giusto per deliziare gli antiabortisti cronici. La Meloni risponde da par suo: condanna il bieco Fiscal Compact ma al tempo stesso assolve il suo gemello, il pareggio di bilancio. Gli altri politici? Non pervenuti: quei temi, nemmeno li sfiorano per scherzo. In questo frangente si salva solo l’indifendibile, inesistente Renzi: almeno, ha il coraggio di puntare sulla prescrizione, come ciambella di salvataggio in un sistema-giustizia che impiega secoli per emettere una sentenza, spesso dopo aver messo alla gogna presunti colpevoli che poi si scoprono innocenti. Ma che razza di paese è mai questo? C’è qualcuno che ha idea di come si potrebbe pilotare l’Italia, nel 2020 e soprattutto nei prossimi anni, in base a una parvenza di disegno strategico? Pare di no, purtroppo: si vive solo alla giornata, rincorrendo effimeri consensi. E mentre Lega e Fratelli d’Italia colpiscono nel mucchio, senza un piano preordinato né una visione leggibile, il Pd si limita all’eterno ruolo di cameriere italiano dell’Ue, attorniato dal fantasma imbarazzante dei 5 Stelle: dopo aver tradito tutte le promesse, i grillini credono di cavarsela tagliando futuri parlamentari e attuali vitalizi.
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La Lega non ha idee, chiede le elezioni ma spera resti Conte
Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e Fratelli d’Italia? Sembrano scalpitare, ma sperano che non si voti: una volta al governo, non saprebbero cosa fare. Lo afferma Calogero Mannino, ex ministro Dc. La tesi: questo sperare nell’eterno rinnvio dimostra che non c’è un progetto politico per l’Italia. Da nessuna parte: né da Salvini, né dalla sedicente sinistra. «Lo spettro che si agita – avverte Mannino, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario” – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine». Attenti: sarà lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo. Il Conte-bis nel frattempo non cade, sostiene Mannino, per via della crisi politica generale: in Parlamento «non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità». E la Lega, dunque? «Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è piuttosto una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito, sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del ‘92».Se non è un partito, l’ex Carroccio che cos’è? «Uno spazio aperto – secondo Mannino – dove si è imposta la leadership di Salvini in ragione della sua esuberanza». Ma ecco il suo limite: «Salvini non ha né una strategia, né un progetto politico preciso». Quanto a Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia – annota Ferraù – oggi viene accreditata di simpatie atlantiche, indispensabili per andare al governo. «La coerenza con la quale pratica il verbo sovran-nazionalista la rende gradita al giro di Trump», conferma Mannino. Il vero problema è questo: molti osservatori – scrive Ferraù – cominciano a supporre che Salvini e Meloni non facciano vera opposizione perché, se domani andassero al governo, non saprebbero cosa fare. L’ex ministro democristiano conferma: devono “minacciare” di voler andare al governo, ma si augurano che la scadenza elettorale sia la più lontana possibile. La verità è che «temono di vincere», e così «offrono a questa maggioranza l’alibi-pretesto per rimanere in sella, peraltro ben utilizzato dal trasformismo di Conte». L’unico serio problema per la tenuta della maggioranza sembra dunque venire dalla possibile dissoluzione dei 5 Stelle? «Sembra, ma è un’eventualità lontana dai fatti», dice Mannino: «Ogni giorno si accentua la polemica, ma al momento decisivo Di Maio si guarda bene dal rompere, perché non ha alternativa al restare al governo».Oggi, sempre secondo Mannino, nella sostanza i 5 Stelle seguono la linea Grillo-Fico. Obiettivo? Controllare i grillini, una volta che saranno diventati «una corrente nel Pd». Niente male, come orizzonte: «Lo spettro che si agita – aggiunge Mannino – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine. Un rassemblement radicale di massa, con dentro la componente chic». A legittimare questo scenario, secondo Mannino è il ruolo del Pd: «Ha rinunciato anch’esso a essere un partito politico di garanzia democratica per porsi sul terreno movimentistico della resistenza alla Lega». In questa veste, il partito di Zingaretti «ha aperto in tutte le direzioni», in questo non si è accorto di una costante fondamentale: inseguendo i movimenti, i partiti spariscono. «Ogni superamento della forma-partito postula una cangiante versione del populismo», sostiene Mannino: «Anche Berlusconi fu un movimento populista: così si oppose all’armata partitica di brancaleoniana memoria assoldata nel 1994 da Achille Occhetto». Ci risiamo? «Assistiamo a qualcosa di simile nei maggiori paesi», dice Mannino. «I partiti pretendono di intercettare i movimenti, ma in questa operazione diventano instabili, mobili qual piuma al vento. Vale per Trump, per Spd e Cdu in Germania, per il Ps francese messo in crisi da Macron».Domanda Ferraù: sarà dunque questa legislatura a votare nel 2022 il nuovo capo dello Stato? «Al momento attuale – risponde l’ex ministro – questa legislatura è intatta e intangibile, quindi pronta per quella scadenza». E cosa pensare dello strano intreccio tra nuova ipotesi di proporzionale, referendum Calderoli per il maggioritario e referendum contro il taglio dei parlamentari? «Alla fine – afferma Mannino – nessuno vuole il proporzionale, tranne i più piccoli. Ma questi vorrebbero anche essere garantiti, e non potendo esserlo con il proporzionale, un sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale come l’attuale rende loro possibile un’alleanza (a sinistra con il Pd, e a destra con la Lega)». La Consulta dirà se il referendum Calderoli è ammissibile. Intanto, Salvini e Meloni hanno detto sì al Mattarellum. Perché? «Siamo alle mosse tattiche: o facciamo la legge nuova insieme o insieme lasciamo l’attuale». Secondo Mannino, questo «significa che la filosofia dominante, nell’attuale confusione temporale e spaziale, è “hic manebimus optime”. Tutti ragionano così: mi tengo quello che ho e sto bene dove sono».Mannino non crede che in Italia possa irrompere un fattore imprevisto che possa mettere in discussione questo status quo, che «dipende dal superamento della linea strategica rooseveltiana che l’America ha costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale». E’ un fatto: «Oggi l’impero è in crisi e le province sono nel caos». Ovvero: «Gli Stati Uniti hanno organizzato l’impero per comparti. Uno è l’Europa: Italia, Francia e Germania facciano pure la Ceca, l’Euratom e tutto il resto, cioè l’Europa unita. Io – gli Usa – però ne dispongo, perché la Nato tiene l’Europa». Ed ecco l’effetto-Donald: «Il sovranismo confusionario di Trump, inserito come elemento di contraddizione nell’attuale sgretolamento dell’assetto politico mondiale, ha un risultato sorprendente: non è avversario dello status quo, ne diviene causa e condizione». Allora sarà Washington, ancora una volta, a dirci chi eleggere al Quirinale? «Assisteremo a un aggiustamento all’interno della maggioranza Pd-M5S», scommette Mattino. Tradotto: Conte al Colle e Zingaretti al governo? «Non riesco a seguire questo giochino di figurine», chiosa Mannino. «Vince chi soffia più forte».Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e Fratelli d’Italia? Sembrano scalpitare, ma sperano che non si voti: una volta al governo, non saprebbero cosa fare. Lo afferma Calogero Mannino, ex ministro Dc. La tesi: questo sperare nell’eterno rinnvio dimostra che non c’è un progetto politico per l’Italia. Da nessuna parte: né da Salvini, né dalla sedicente sinistra. «Lo spettro che si agita – avverte Mannino, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario” – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine». Attenti: sarà lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo. Il Conte-bis nel frattempo non cade, sostiene Mannino, per via della crisi politica generale: in Parlamento «non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità». E la Lega, dunque? «Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è piuttosto una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito, sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del ‘92».
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Carpeoro: impossibile fidarsi di Salvini, resterà neoliberista
Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.La Popolare di Bari è fondamentale, per il Pd, perché il presidente pugliese Michele Emiliano è uno dei maggiori referenti dell’assetto politico del partito. I 5 Stelle si erano scagliati contro il decreto salva-banche del governo Renzi, e ora hanno disertato l’ultimo Consiglio dei ministri. Quello della Popolare di Bari è un casino grosso, molto più grosso di quelli che ebbe Renzi, che aveva coinvolto banchette come l’Etruria. E dietro al problema della Popolare di Bari c’è un personaggio di grande peso, nel Pd: Emiliano è uno dei sostegni principali della segreteria Zingaretti. Quindi, cosa succederà? Ci sarà un accordo tra Renzi e Salvini? Renzi ha una caratteristica: ha messo nel sacco tutti quelli che erano alleati con lui. E non credo che Salvini sia così scemo da aggiungersi alla lista. Renzi ha beffato Enrico Letta, che era pure suo amico. Poi ha fatto fuori il vecchio establishment (Rosy Bindi, D’Alema). Poi ha fregato Bersani, poi anche Berlusconi. E come li ha fottuti? Non mantenendo, clamorosamente, parole date e patti politici. Renzi non muore per le cazzate che fa, perché le cazzate le hanno fatte tutti. Renzi muore, politicamente, perché nessuno farà mai più un patto con lui.I 5 Stelle hanno detto: se Renzi non si siede al banco, non ci allieamo col Pd (e in tempi non sospetti, non adesso). Questo perché nessuno si fida più, di Renzi: ha imbrogliato tutti quelli che poteva, e gli interlocutori attuali non hanno intenzione di aggiungersi all’elenco. Salvini ha detto che “sta studiando”, ma poi ora esulta per la vittoria di Boris Johnson? A Salvini delle elezioni inglesi non importa niente: la sua è solo propaganda. Salvini ha la necessità inderogabile di essere continuamente presente sui media. Lui è, al 90%, pura presenza sui media. Dato che questo è un popolo bue, al popolo bue devi dare il pastone che è abituato a mangiare. E Salvini glielo dà, giustamente. Lui ha un unico obiettivo: andare a votare, e riscuotere il suo credito attuale. Ora usa toni più moderati? La sua è tattica: cerca di essere accettato come futuro leader del paese. Per quanto riguarda la fiducia al Salvini politico, la mia valutazione è prossima allo zero. Non appena abbandonerà questa sua linea dei tagli netti, un tanto al chilo, a colpi di mannaia, mezzo partito gli si rivolterà contro.Salvini può fare allusioni, promesse e ondeggiamenti; ma poi, al momento delle scelte, si dovrà alleare con Berlusconi e dovrà comunque sposare politiche che la gente gli contesterà. Anche ammettendo che sia in buona fede, come fa ad abbandonare una politica neoliberista, avendo come alleati Berlusconi e la Meloni? Un secondo dopo riperderebbe tutti i voti che si è guadagnato, con questa linea di destra ottusa ma premiante, in Italia. Salvini è obbligato, a fare politiche di destra. E quindi, alla fine, è obbligato comunque – sia pure in chiave sovranista – ad aderire a uno schema neoliberista. Perché il sovranismo non è in lite col neoliberismo: il sovranismo propone solo slogan, di falsa indipendenza e autonomia, ma alla fine può mantenere il regime neoliberista esattamente negli stessi termini in cui lo mantengono i finti progressisti. Il solito schema: se non si cambiano le premesse, le conseguenze non possono cambiare. Le premesse da cambiare sono queste: bisogna fare una rivoluzione culturale, per la quale il neoliberismo torni a essere liberismo, e il falso progressismo diventi un progressismo vero.Liberismo e progressismo a quel punto si potrebbero confrontare, in politica, non più su slogan, ma su progetti di paese. Io sono socialista, quindi spero che vinca il progretto progressista. Però, se ci fosse un progetto liberista, non sarei così preoccupato. Il problema è che l’alternativa è un progetto neoliberista, che è tutt’altra cosa. La gente si studi le grandi figure liberali dell’Ottocento. Il problema è che poi arriva un signor Reagan, e trasforma le politiche liberali in politiche egoistiche e ottuse. E’ da lì che viene il problema: quando Reagan teorizza che a decidere è il mercato, e non il politico illuminato, dice una cosa che è contraria sia al progressismo sia al liberismo. E si chiama neoliberismo, non ha un altro nome. Il neoliberismo vive sull’ingiustizia sociale. Crisi economiche, tasse inique, guerre, paura: il potere vuole che le persone stiano male? No: il potere vuole semplicemente che le persone non contino, non che stiano male; ci sono stati momenti storici in cui al potere conveniva che le persone stessero bene.Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.
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Ilva, Mes, Alitalia, Unicredit: quanto ci costa il Conte-bis?
«Care madamine italiane, visto dalla Cina il catalogo è questo». Ilva e Mes, Alitalia e Unicredit: crisi gravissime, governo assente. «E’ il prezzo che dovete pagare per tenervi Conte», scrove Lao-Xi sul “Sussidiario”. Bollettino di una catastrofe annunciata, a partire dall’Ilva di Taranto: attorno alla più grande acciaieria d’Europa «è in gioco tra l’1,5% e il 3% del Pil». Può essere chiusa e, come minimo, verrà dimezzata. «La Puglia salterebbe come un birillo e darebbe inizio a una crisi finanziaria nazionale». Poi c’è Unicredit, la seconda banca italiana (ma solo per il 2% in mano a italiani, come ricorda “Panorama”): ha annunciato 5.000 licenziamenti e la chiusura di una cinquantina di filiali. «Ha già venduto gli investimenti all’estero, la finanziaria Pioneer, la sede storica, i quadri, e impone già tassi negativi ai risparmiatori: è a evidente rischio di saltare, mettendo in pericolo centinaia di miliardi di asset». Poi c’è Alitalia, a cui è stato dato un nuovo prestito-ponte semestrale. «Non ci sono prospettive di rilancio», scrive Lao-Xi. la compagnia di bandiera «ha già bruciato decine di miliardi e non si sa a cosa possa servire il nuovo prestito». Ma non è tutto: sono in stato pietoso le infrastrutture. «Ponti e strade crollano per un temporale un po’ più forte o un terremoto di entità modesta». Secondo alcune stime «ci vorrebbero 40-60 miliardi per rimettere tutto a norma».A fare veramente paura è il Mes, il “fondo ammazza-Stati” oggi nell’occhio del ciclone. «L’anno scorso di questi tempi l’allora ministro Paolo Savona fece una proposta alternativa al Mes, ma non trovò sponde o orecchie tra i leader di M5S e Lega», ricorda Lao-Xi. Ora Di Maio e Salvini vogliono dire no al “meccanismo di salvaguardia” europeo: secondo Salvini e Meloni, Conte sarebbe stato coinvolto (in gran segreto, insieme al ministro dell’economia Gualtieri) nella revisione dell’accordo. Si esporrebbe l’Italia a pericoli esiziali: la teorica possibilità di “ristrutturazione” del debito, in caso di ricorso al Mes, costringerebbe le banche a praticare il bail-in, il prelievo forzoso dai conti correnti. Osservando dalla Cina tutte le trappole che assediano l’Italia, Lao-Xi osserva: «Sono problemi enormi, che avrebbero bisogno di idee concrete su come rilanciare il paese e quindi trovare iniziative e risorse per far fronte allo tsunami in corso». Domanda: «Davanti a tutto ciò, cosa sta facendo il governo di Giuseppe Conte? E che cosa sta facendo l’opposizione, che pare solo solo concentrata sul voto regionale in Emilia-Romagna? Basta sommare il breve elenco – aggiunge l’analista – e si nota a vista d’occhio che il conto potrebbe superare le centinaia di miliardi, che non ci sono».La verità, continua Lao-Xi, è che «l’Italia sta precipitando in un pozzo senza fondo». La lotta contro l’immigrazione di Salvini o quella del movimento delle Sardine contro Salvini? «Dividono su come affrontare un dramma che sta cambiando il paese», certo. «Ma alla luce dell’elenco appena fatto, paiono giochi di distrazione di massa». Si inrerroga l’analista: «Perché con questi drammi non si cerca di smuovere le acque e andare al voto anticipato? Perché Salvini non va a Taranto e presidia l’Ilva? Perché non chiede ragioni di Unicredit, dei ponti, di Alitalia?». Quanto a ministri e parlamentari, «sembrano viaggiare in una nuvola, preoccupati solo di prendere lo stipendio a fine mese». Ovvero: «Dai professionisti della politica sembra si sia passati ad allucinati tossicodipendenti della politica: i problemi non importano, vivo nel mio mondo col solo orizzonte di un altro stipendio e di evitare le elezioni anticipate». Nelle ultime tre tornate politiche, il 40% del corpo elettorale ha cambiato le proprie intenzioni di voto. In queste condizioni, conclude Lao-Xi, il 90% dei parlamentari non è sicuro della sua rielezione. «Per tutti costoro, altri due anni e mezzo a Montecitorio significano 500.000 euro netti: una fortuna, specie per i tanti che a fine legislatura potrebbero prendere meno di 10.000 euro all’anno».Il debito pubblico è alto, ammette Lao-Xi, ma i tassi d’interesse sul maxi-debito sono bassi. Non solo: «I risparmi degli italiani sono alti, e il surplus commerciale florido». Indicatori teoricamente decisivi, per il rating del paese: eppure, “l’Europa” non li considera mai. L’Ue preferisce colpire l’Italia, piegandola ai suoi voleri (complice, oggi, il docilissimo Conte) solo in virtù dei conti pubblici, per giunta in un’Unione che tollera le legislazioni tributarie di paesi come Olanda e Lussemburgo, veri e propri paradisi fiscali che drenano in modo sleale le risorse finanziarie dei “partner” europei. L’Italia ne soffre moltissimo: «I soldi per gli investimenti non ci sono – scrive Lao-Xi – ma almeno una certa fetta di italiani, l’Italia che produce, resta ricca». Che succederà? «Tutto può impazzire se arriva una crisi internazionale che fa schizzare i tassi di interesse. Ci sarà? Nessuno può saperlo». I parlamentari incollati alla poltrina ostentano scetticismo, anche per tutelare i loro interessi. E se la tempesta scoppierà, chiosa Lao-Xi, «sarà colpa del mondo, del diavolo, del bieco destino, della sfortuna… Mai della loro impreparazione».«Care madamine italiane, visto dalla Cina il catalogo è questo». Ilva e Mes, Alitalia e Unicredit: crisi gravissime, governo assente. «E’ il prezzo che dovete pagare per tenervi Conte», scrive Lao-Xi sul “Sussidiario“. Bollettino di una catastrofe annunciata, a partire dall’Ilva di Taranto: attorno alla più grande acciaieria d’Europa «è in gioco tra l’1,5% e il 3% del Pil». Può essere chiusa e, come minimo, verrà dimezzata. «La Puglia salterebbe come un birillo e darebbe inizio a una crisi finanziaria nazionale». Poi c’è Unicredit, la seconda banca italiana (ma solo per il 2% in mano a italiani, come ricorda “Panorama“): ha annunciato 5.000 licenziamenti e la chiusura di una cinquantina di filiali. «Ha già venduto gli investimenti all’estero, la finanziaria Pioneer, la sede storica, i quadri, e impone già tassi negativi ai risparmiatori: è a evidente rischio di saltare, mettendo in pericolo centinaia di miliardi di asset». Poi c’è Alitalia, a cui è stato dato un nuovo prestito-ponte semestrale. «Non ci sono prospettive di rilancio», scrive Lao-Xi. la compagnia di bandiera «ha già bruciato decine di miliardi e non si sa a cosa possa servire il nuovo prestito». Ma non è tutto: sono in stato pietoso le infrastrutture. «Ponti e strade crollano per un temporale un po’ più forte o un terremoto di entità modesta». Secondo alcune stime «ci vorrebbero 40-60 miliardi per rimettere tutto a norma».
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Ma il prossimo sindaco di Roma lo vogliamo giapponese
Per il prossimo sindaco di Roma avrei una proposta da fare che spiazza tutti, sto già partendo con le firme per costituire un comitato elettorale a sostegno. Avendo già sperimentato tutte le possibilità – sindaci di sinistra e di destra, democristiani e comunisti, tecnici e nordici, pop e snob, alieni e grillini – e avendo ottenuto sempre risultati deludenti, fallimentari e da ultimo catastrofici, nell’impossibilità di rieleggere Giulio Cesare e Ottaviano Augusto per raggiunti limiti d’età né potendo auspicare la riconversione del Vescovo di Roma in sindaco della Medesima (sarebbe un sollievo, se non per il Comune, almeno per la Chiesa), ho maturato una ferma convinzione: eleggiamo governatore di Roma con poteri speciali Yuriko Koike, attuale sindaca di Tokyo che scadrà quando si voterà a Roma. È una donna esperta, riesce a governare una città che non ha nemmeno numeri civici per raccapezzarcisi, sta preparando con successo le olimpiadi di Tokyo per il 2020, è conservatrice di destra, extra-strong, conosce molte lingue, compreso l’arabo, ed è così cazzuta che è stata ministro della difesa. E soprattutto è estranea al generone romano, alla partitocrazia nostrana, al carnevale permanente di candidati, gagà e figuri sfornati dalle ditte politiche e dai clan di palazzinari, curia e potentati locali.Le abbiamo provate tutte per governare una città impossibile come Roma, ora non ci resta che un kamikaze, insomma qualcuno pronto a tutto, che non si tira mai indietro. Uno che se viene sfiduciato non resta attaccato alla poltrona, non indice una conferenza stampa per rovesciare la frittata e non ventila senza mai darle le dimissioni; ma taglia la testa al toro e compie il seppuku, il suicidio rituale da noi chiamato harakiri, a volte confuso col karaoke, ma è una cosa molto più seria e irripetibile. Ci vuole una come lei, gaiarda e tosta, come direbbe l’unico estremo-orientale de noantri, il vignettista sublime Osho. Una che sia in grado di trasformare l’Atac, l’Ama e l’Acea in formazioni paramilitari per rendere efficienti i trasporti, la raccolta differenziata e l’energia elettrica, idrica e spirituale. Con lei alla guida di Roma doteremmo i vigili urbani non dello stupido sfollagente o del ridicolo spray, ma di katana, che è la scimitarra giapponese, e poi vediamo se parcheggiano in doppia fila, passano col rosso e sorpassano a destra, salvo poi coionare er vigile e menarlo pure.Indossi lo hachimaki, Signora Yuriko, la benda tradizionale sulla fronte e si metta al lavoro per salvare Roma dai suoi rappresentanti, residenti, turisti e pellegrini. Non venga da sola dal Giappone ma si porti dieci assessori shogun, più un esercito imperiale di trecento samurai come dio comanda. I Casamonica, gli Spada, la banda della Magliana fuggirebbero in Trentino o in Vaticano, pur di non doversela vedere coi giapponesi. Una città come Roma, invasa da b&b abusivi e da monnezza permanente, invasa da zoccole di ogni tipo, anche umane, più cinghiali, gabbiani e autoblù, cosparsa di buche, sanpietrini semoventi e alberi cadenti, coi bus che vanno a fuoco e i dipendenti che si danno malati, non può essere affidata a gente che proviene dallo stesso humus. Ci vuole gente estranea, seria, magari piccola ma cocciuta, poco creativa ma molto operativa, col casco e la mascherina sulla bocca, che raddrizzi la schiena ai pizzardoni, agli impiegati, agli abitanti e pure ai gatti che si sono così impigriti e invigliacchiti da stare pappa e ciccia coi topi.Ci vuole gente che non si nasconda dietro l’estate romana, il cinema e le maratone, che non si faccia bella con l’antifascismo e la tragedia degli ebrei, scoprendo ottant’anni dopo qualche nonno deportato o salvaebrei; ma gente che, pancia a terra, si metta a lavorare sodo, risolvendo i problemi e non vendendo fumo e aria fritta. E ci vuole gente che ammiri e tuteli i monumenti antichi come solo i giapponesi sanno fare; gli unici che non si sono mai portati via souvenir dalle rovine, né abbiano pisciato sulle vestigia antiche o lasciato lattine di birra, coca-cola e altre porcherie, ma si incolonnano devoti e da Roma portano via solo foto ricordo. Solo una giapponese che viene dall’Impero del Sol Levante può capire la Città Eterna e l’Inno a Roma, che canta il Sole che sorge sui colli fatali, come il Sol Invictus dell’Imperatore. I giapponesi hanno la fierezza degli antichi romani, non si lasciano corrompere dalla pajata e dalla trippa, non chiedono il pizzo agli esercenti, mangiano sano e non pesante, non fanno la pennica il pomeriggio né se fanno du spaghi dopocena. E se uno spaccia droga e delinque, lo fanno fuori sul posto e lo servono a sushi ai loro complici terrorizzati, perché si nutrano con l’esempio.Solo i giapponesi potranno salvare Roma; lo sa Calenda che per spacciarsi da giapponese gira in suzuki col kimono, grida banzai ai semafori (traduzione del suo partito Azione) e si fa chiamare Kalenda con la Kappa. Ma lo dico anche a Salvini e Meloni che stanno incartandosi sul sindaco prossimo venturo. Evitate lo scontro tra voi e non andate al massacro di governare Roma; trovate una soluzione extra partes, extraterritoriale, né romanista né laziale. Kyoto schiaccia Kyoto. I giapponesi non hanno difficoltà a costruire termovalorizzatori e metropolitane in un batter d’occhio a mandorla. E ai finti disabili che esibiscono pass farlocchi per parcheggiare, loro non sequestrano il permesso falso ma spezzano le gambe, in modo che possano aver davvero diritto al posto riservato. Forza Koike, per un comune derattizzato e deraggizzato.(Marcello Veneziani, “Il prossimo sindaco a Roma lo vogliamo giapponese”, da “La Verità” del 3 dicembre 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Per il prossimo sindaco di Roma avrei una proposta da fare che spiazza tutti, sto già partendo con le firme per costituire un comitato elettorale a sostegno. Avendo già sperimentato tutte le possibilità – sindaci di sinistra e di destra, democristiani e comunisti, tecnici e nordici, pop e snob, alieni e grillini – e avendo ottenuto sempre risultati deludenti, fallimentari e da ultimo catastrofici, nell’impossibilità di rieleggere Giulio Cesare e Ottaviano Augusto per raggiunti limiti d’età né potendo auspicare la riconversione del Vescovo di Roma in sindaco della Medesima (sarebbe un sollievo, se non per il Comune, almeno per la Chiesa), ho maturato una ferma convinzione: eleggiamo governatore di Roma con poteri speciali Yuriko Koike, attuale sindaca di Tokyo che scadrà quando si voterà a Roma. È una donna esperta, riesce a governare una città che non ha nemmeno numeri civici per raccapezzarcisi, sta preparando con successo le olimpiadi di Tokyo per il 2020, è conservatrice di destra, extra-strong, conosce molte lingue, compreso l’arabo, ed è così cazzuta che è stata ministro della difesa. E soprattutto è estranea al generone romano, alla partitocrazia nostrana, al carnevale permanente di candidati, gagà e figuri sfornati dalle ditte politiche e dai clan di palazzinari, curia e potentati locali.
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Crosetto: Mes, rischio-catastrofe. Savona: ve l’avevo detto
Un documento inviato a tutti i ministri da Paolo Savona, oggi presidente Consob ma allora titolare degli Affari Ue, metteva in guardia il governo dai rischi delle modifiche del Mes. Quel documento, “Una politeia per un’Europa diversa”, aveva spaventato molto il mondo politico e finanziario dell’Unione, ma aveva centrato il punto: «La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami – metteva nero su bianco Savona, come ricorda il “Messaggero” – oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici». Traduzione: il Mes avrebbe peggiorato, e non risolto i problemi degli Stati costretti a ricorrervi. «Se c’è fretta di chiudere sul Mes, è un segnale drammatico». Guido Crosetto, ospite di “Omnibus” su “La7″, suggerisce qualcosa che tutti, fino a oggi, hanno sottovalutato o semplicemente nascosto, scrive “Libero”: il pressing dell’Unione europea sull’Italia per approvare la riforma del Fondo Salva-Stati potrebbe nascondere la preoccupazione di un imminente crac finanziario.«Temo che vogliano chiudere sul trattato – spiega il fondatore di Fratelli d’Italia, oggi ex parlamentare – perché la situazione delle banche tedesche e olandesi, a rischio crac, sia molto grave». Il riferimento è soprattutto a DeutscheBank e KommerzBank, i due colossi tedeschi a rischio collasso. «E guardate bene», avverte Crosetto: «Se saltano le banche avremo uno tsunami in confronto al quale la crisi del 2008 sarà nulla. E a pagare, come sempre, saranno i paesi più deboli, come l’Italia». Nel testo del rinnovato Mes, aggiunge “Libero”, è rimasta la valutazione della sostenibilità dei debiti e della capacità dello Stato che chiede un prestito di poterlo restituire. Ed è un punto che difficilmente sarà oggetto di negoziazione ulteriore. Al premier Giuseppe Conte e al ministro dell’economia Roberto Gualtieri, spiega il “Messaggero”, rimane la carta della modifica degli allegati, per correggere parzialmente un tiro destinato a fare malissimo all’Italia. Perché la ristrutturazione del debito (che renderebbe carta straccia i titoli di Stato, in mano soprattutto ai risparmiatori italiani) è ancora in piedi. E anzi, resta un caposaldo del Meccanismo Europeo di Stabilità.Nel frattempo, lo scandalo-Mes sta facendo franare il governo giallorosso: secondo Augusto Minzolini, autore di un report dietro le quinte pubblicato dal “Giornale”, Renzi avrebbe promesso a Salvini di staccare la spina al Conte-bis, in cambio di un eventuale accordo con la Lega per il varo di una legge elettorale proporzionale. Dal canto suo, il “Corriere della Sera” parla di imminenti diserzioni tra i 5 Stelle. E scrive: «Fonti leghiste assicurano che già quattro senatori hanno accettato il trasbordo nella Lega e altri starebbero per cedere». Voci che fanno il paio con chi, nel Movimento, parla insistentemente di scissione. Nei guai Conte, accusato di aver ceduto (in segreto) alle pressioni europee sul Mes. Lui smentisce, ovviamente. «Peccato che poi, implicitamente, riconosca come sia stato costretto a una brusca frenata sul negoziato che, diversamente – scrive “Libero” – sarebbe già andato in porto come suggerito maldestramente dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri in commissione, parlando di “trattato già firmato e inemendabile”». Conte, infatti, ora parla di “rinvio possibile” e di un ok al Mes “vincolato” alla riforma dell’unione bancaria a marzo.Un documento inviato a tutti i ministri da Paolo Savona, oggi presidente Consob ma allora titolare degli affari Ue, metteva in guardia il governo dai rischi delle modifiche del Mes. Quel documento, “Una politeia per un’Europa diversa”, aveva spaventato molto il mondo politico e finanziario dell’Unione, ma aveva centrato il punto: «La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami – metteva nero su bianco Savona, come ricorda il “Messaggero” – oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici». Traduzione: il Mes avrebbe peggiorato, e non risolto i problemi degli Stati costretti a ricorrervi. «Se c’è fretta di chiudere sul Mes, è un segnale drammatico». Guido Crosetto, ospite di “Omnibus” su “La7″, suggerisce qualcosa che tutti, fino a oggi, hanno sottovalutato o semplicemente nascosto, scrive “Libero“: il pressing dell’Unione europea sull’Italia per approvare la riforma del Fondo salva-Stati potrebbe nascondere la preoccupazione di un imminente crac finanziario.
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Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
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Fiat, vaccini, 5G e Tav: la politica italiana non se ne occupa
Il non-governo giallorosso non ha speranze di galleggiare ancora a lungo nell’acqua alta dove nuota lo squaletto Renzi, ma sulla spiaggia opposta non è che splenda il sole: attorno all’ombrellone di Salvini si attarda nonno Silvio, scortato dalla Meloni, senza che il pubblico percepisca la possibilità di un’epocale alternativa al lento e inesorabile sfacelo di cui l’Italia è vittima, in ossequio alla nuova legge di un mondo senza più politica. Tralasciando il pietoso equivoco 5 Stelle, che puzzava d’imbroglio fin dall’inizio (spettacolare manipolazione degli elettori, col pieno concorso dei militanti di base disposti ad avallare qualsiasi diktat), l’impotenza generale di fronte alla desolazione di Venezia o la resa di Taranto ai furbetti globali dell’acciaio non fanno che dimostrare una volta di più l’assenza di idee, dopo l’eutanasia delle ideologie, che siano capaci di generare qualcosa che assomigli a uno straccio di governance del sistema. E intanto continua a piovere sul bagnato: basta dare un’occhiata agli slogan archeologici – Dio, patria e famiglia – con cui il sedicente outsider Diego Fusaro, filosofo mediatico e grillo parlante corteggiato dalle televisioni, tenta di raccontare la sua rivoluzionaria prospettiva politica ottocentesca, o forse medievale, o forse adatta solo a menare il can per l’aia, ridicolizzando volutamente l’idea stessa che possa esistere, un giorno, un’opposizione sistemica.Nel vecchio film, quello finito con le nozze mostruose tra Di Maio e il fratello di Montalbano, o meglio tra l’esodato Renzi e l’ex guastatore Grillo insidiato politicamente dall’indagine sul figlio per presunto stupro, a tener banco era stato un totem come il progetto cimiteriale del Tav Torino-Lione, infrastruttura con cantieri mai davvero decollati (forse al 5%) e comunque destinata a trasformarsi in una spettacolare, costosissima cattedrale nel deserto. L’argomento, che – come tanti altri, poi abbandonati – era servito ai 5 Stelle solo per fare il pieno di voti, è stato usato per la rissa finale con Salvini, per poi essere archiviato nel silenzio generale. La notizia, sfuggita ai radar, è che l’Italia spenderà comunque miliardi per una linea ferroviaria virtualmente superveloce ma destinata a trasportare pochissime merci necessariamente lente. Una ferrovia-doppione, completamente inutile benché rischiosa e devastante per l’ambiente, che ci si ostina ad approntare lungo una direttrice commerciale desolatamente abbandonata, lontanissimo dalle rotte mercantili. Un favoloso binario morto, buono solo per il business dei costruttori (pochissimi posti di lavoro, temporanei), e imposto a una popolazione che ha inutilmente dimostrato, in ogni sede, la sciagurata natura di un ecomostro che indurrà migliaia di italiani a prendere in considerazione l’idea di scappare, lasciando le proprie case.La non-politica del Belpaese, europeista o sovranista non importa, ha evitato accuratamente di affrontare ogni altro tema vitale per le famiglie, dall’obbligo vaccinale imposto (stile Corea del Nord) senza emergenze sanitarie e senza spiegazioni, e il misteriosissimo avvento del wireless 5G, che avanza in semi-clandestinità abbattendo alberi secolari nelle piazze delle città. Logico che i media, a reti unificate, ignorino il convegno organizzato in Parlamento dai sindaci e dai comitati di cittadini giustamente allarmati per l’introduzione, senza precauzioni, di una tecnologia invasiva di cui non si conosce ancora l’impatto sull’organismo. Quanto ai vaccini polivalenti, che secondo la Regione Puglia hanno causato problemi di salute a 4 bambini su 10, sul tema cala semplicemente il sipario, anche se – per la prima volta nella storia – qualcosa come 130.000 bimbi, nel 2019, non hanno potuto accedere né ai nidi né alle scuole dell’infanzia. In compenso, i riflettori abbagliano l’epica sfida per le regionali in Emilia Romagna, dove la Lega potrebbe strappare al Pd la storica roccaforte, un tempo “rossa”. Accipicchia, questa sì che è una notizia: non come l’insignificante sorte della Fiat, che gli Agnelli-Elkann hanno ceduto ai francesi, nel silenzio generale dei media e dei politici italiani di ogni parrocchia.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 23 novembre 2019).Il non-governo giallorosso non ha speranze di galleggiare ancora a lungo nell’acqua alta dove nuota lo squaletto Renzi, ma sulla spiaggia opposta non è che splenda il sole: attorno all’ombrellone di Salvini si attarda nonno Silvio, scortato dalla Meloni, senza che il pubblico percepisca la possibilità di un’epocale alternativa al lento e inesorabile sfacelo di cui l’Italia è vittima, in ossequio alla nuova legge di un mondo senza più politica. Tralasciando il pietoso equivoco 5 Stelle, che puzzava d’imbroglio fin dall’inizio (spettacolare manipolazione degli elettori, col pieno concorso dei militanti di base disposti ad avallare qualsiasi diktat), l’impotenza generale di fronte alla desolazione di Venezia o la resa di Taranto ai furbetti globali dell’acciaio non fanno che dimostrare una volta di più l’assenza di idee, dopo l’eutanasia delle ideologie, che siano capaci di generare qualcosa che assomigli a uno straccio di governance del sistema. E intanto continua a piovere sul bagnato: basta dare un’occhiata agli slogan archeologici – Dio, patria e famiglia – con cui il sedicente outsider Diego Fusaro, filosofo mediatico e grillo parlante corteggiato dalle televisioni, tenta di raccontare la sua rivoluzionaria prospettiva politica ottocentesca, o forse medievale, o forse adatta solo a menare il can per l’aia, ridicolizzando volutamente l’idea stessa che possa esistere, un giorno, un’opposizione sistemica.