Archivio del Tag ‘Frontex’
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Miliardi dal traffico di esseri umani: manette alla Ong greca
Il 28 di agosto trenta membri della Ong greca “Centro Internazionale di Risposta alle Emergenze” (Erci) sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nella rete del traffico di esseri umani che opera nell’isola di Lesbo fin dal 2015. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia greca, in seguito alle indagini che hanno portato agli arresti, «le attività di una rete criminale organizzata che facilitava sistematicamente l’ingresso illegale di stranieri, sono state portate totalmente alla luce». Tra le attività scoperte ci sono la falsificazione, lo spionaggio e il monitoraggio illegale sia della Guardia Costiera greca sia dell’agenzia di confine Ue, Frontex, allo scopo di ottenere informazioni confidenziali sui flussi di immigrati turchi. Le indagini hanno inoltre portato alla scoperta di altri sei cittadini greci e 24 cittadini stranieri implicati nei reati. L’Erci si autodescrive come «un’organizzazione greca senza scopo di lucro che fornisce risposte alle emergenze e aiuti umanitari in tempo di crisi». La filosofia di Erci è di «identificare le lacune negli aiuti umanitari e colmarle, per fornire assistenza nella maniera più efficiente e impattante». Al momento «Erci ha 4 programmi attivi con i rifugiati in Grecia, nell’area di ricerca e salvataggio, medica, nell’istruzione e nel coordinamento dei campi di rifugiati».Tuttavia, a dispetto della sua missione dichiarata e del suo profilo senza scopo di lucro, la Erci – secondo le autorità greche – ha guadagnato una quantità di denaro considerevole grazie al fatto di essersi messa a disposizione come collegamento al servizio di attività illegali. L’Erci a quanto pare ha ricevuto 2.000 euro per ogni migrante illegale che ha aiutato ad entrare in Grecia. Inoltre, i suoi membri hanno creato un business per “l’integrazione dei rifugiati” nella società greca, assicurandosi 5.000 euro all’anno per ogni immigrato da diversi programmi governativi (nell’istruzione, nell’alloggio e nel sostentamento). L’Erci avrebbe favorito l’ingresso illegale in Grecia di 70.000 immigrati a partire dal 2015, facendo incassare all’organizzazione “no-profit” mezzo miliardo di euro all’anno. Tuttavia questa scoperta non rivela che una piccola parte dell’estensione delle attività illecite che gravitano intorno all’ingresso di immigrati in Grecia. Nel 2017, per esempio, le autorità greche hanno arrestato 1.399 trafficanti di esseri umani, alcuni dei quali si celavano dietro operazioni “umanitarie”; e durante i primi quattro mesi del 2018, le autorità hanno arrestato 25.594 immigrati illegali.Ancora più preoccupante del prezzo decisamente salato pagato ai trafficanti di persone dagli immigrati stessi – o dal governo greco sotto forma di sussidi per l’integrazione – è il pesante tributo che questa situazione sta imponendo a tutta la società greca. Secondo le statistiche della polizia greca, ci sono state 75.707 rapine e furti nel 2017. Di questi casi, solo 15.048 sono stati risolti, e 4.207 sono stati commessi da stranieri. Inoltre, la polizia stima che più del 40% dei crimini gravi sono commessi da immigrati illegali (in Grecia gli immigrati – legali e illegali – rappresentano il 10-15% della popolazione totale). Nel 2016, le prigioni greche contenevano 4.246 greci e 5.221 stranieri condannati per crimini gravi: 336 per omicidio, 101 per tentato omicidio, 77 per stupro e 635 per rapina. Inoltre, migliaia di casi erano in attesa di giudizio. In un recente e drammatico caso, il 15 agosto, uno studente di college di 25 anni di Atene – mentre era in visita a casa dagli studi all’università di Scozia – è stato ucciso da tre immigrati illegali mentre era in giro a visitare la città con una sua amica portoghese.I tre colpevoli, due pakistani e un iracheno di età compresa tra i 17 e i 28 anni, hanno detto alla polizia di aver inizialmente assalito la giovane donna, rubandole denaro, carte di credito, un passaporto e un telefono cellulare dalla borsetta, ma quando hanno visto che il suo cellulare era “vecchio” hanno puntato al cellulare del ragazzo, minacciandolo con un coltello. Quando questi ha cercato di difendersi, hanno dichiarato nella confessione, lo hanno spinto e lui è caduto da una rupe, incontrando la morte. Dopo l’interrogatorio, è emerso che i tre assassini erano già ricercati per 10 altre rapine nella stessa zona. In una lettera di protesta indirizzata al primo ministro greco Alexis Tsipras, ai membri del Parlamento e al sindaco di Atene, la madre della vittima ha accusato Tsipras di “negligenza criminale” e di “complicità” nell’uccisione di suo figlio. «Invece di dare il benvenuto e fornire “terra e acqua” a ogni criminale o individuo pericoloso dagli istinti selvaggi», ha scritto, «lo Stato non dovrebbe forse pensare prima alla sicurezza dei suoi stessi cittadini, a cui succhia il sangue tutti i giorni [economicamente]? [Lo Stato dovrebbe forse] abbandonare [i cittadini] a bande fameliche, per le quali la vita umana vale meno di un telefono cellulare o una catenina d’oro?». Anche se queste sono le parole di una madre in lutto, questi sentimenti sono diffusi e si manifestano in tutta la Grecia, dove incidenti simili sono sempre più comuni.Il 29 agosto, due settimane dopo l’omicidio, nel nord della Grecia sei immigrati hanno assalito verbalmente un uomo di 52 anni in strada, apparentemente senza motivo. Quando questi ha continuato a camminare ignorandoli, uno di loro lo ha pugnalato alla scapola con un coltello da 24 centimetri, mandandolo all’ospedale. Due giorni prima, il 27 agosto, circa 100 immigrati, che protestavano per le condizioni di vita nel loro campo a Malakasa, hanno bloccato l’autostrada statale per più di tre ore. I guidatori bloccati sulla strada hanno detto che alcuni manifestanti si sono infuriati, bersagliando le auto a colpi di bastone. A peggiorare la situazione, la polizia intervenuta sulla scena ha detto di non aver ricevuto istruzioni dal ministero della protezione civile di sgomberare l’autostrada o proteggere le vittime. Dopo ulteriori indagini, “Gatestone” ha scoperto che non c’è stata alcuna dichiarazione da parte della polizia o del ministero, solo le dichiarazioni dei cittadini. Mentre a quanto pare il governo greco non ha la più pallida idea di come gestire la crisi migratoria e salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini, è particolarmente sconcertante scoprire che le principali Ong, il cui mandato è dare aiuti umanitari agli immigrati, approfittano invece della situazione per trarre profitto da questo traffico illegale. Il recente arresto dei membri dell’Erci evidenzia la necessità di mettere sotto esame tutte le organizzazioni di questo tipo.(Maria Polizoidou, “La Ong greca che guadagna miliardi dal traffico illegale di esseri umani”, post apparso su “Zero Hedge” e ripreso da “Voci dall’Estero” il 15 settembre 2018. Maria Polizoidou, reporter, è una giornalista radiofonica e consulente per gli affari internazionali ed esteri, residente in Grecia. Ha un master in “Geopolitica e problemi di sicurezza nel complesso islamico di Turchia e Medio Oriente” presso l’università di Atene).Il 28 di agosto trenta membri della Ong greca “Centro Internazionale di Risposta alle Emergenze” (Erci) sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nella rete del traffico di esseri umani che opera nell’isola di Lesbo fin dal 2015. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia greca, in seguito alle indagini che hanno portato agli arresti, «le attività di una rete criminale organizzata che facilitava sistematicamente l’ingresso illegale di stranieri, sono state portate totalmente alla luce». Tra le attività scoperte ci sono la falsificazione, lo spionaggio e il monitoraggio illegale sia della Guardia Costiera greca sia dell’agenzia di confine Ue, Frontex, allo scopo di ottenere informazioni confidenziali sui flussi di immigrati turchi. Le indagini hanno inoltre portato alla scoperta di altri sei cittadini greci e 24 cittadini stranieri implicati nei reati. L’Erci si autodescrive come «un’organizzazione greca senza scopo di lucro che fornisce risposte alle emergenze e aiuti umanitari in tempo di crisi». La filosofia di Erci è di «identificare le lacune negli aiuti umanitari e colmarle, per fornire assistenza nella maniera più efficiente e impattante». Al momento «Erci ha 4 programmi attivi con i rifugiati in Grecia, nell’area di ricerca e salvataggio, medica, nell’istruzione e nel coordinamento dei campi di rifugiati».
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Farmaco, Italia beffata: tutte al Nord Europa le agenzie Ue
Altro che monetina. Altro che pallina da biliardo finita per caso nella buca sbagliata. La mancata vittoria di Milano, la candidata italiana a ospitare l’Agenzia europea del farmaco (Ema) in trasmigrazione da Londra causa Brexit, è frutto della blindatura del blocco teutonico esercitato vuoi con discrezione da colonizzatori e tessitori diplomatici, vuoi con calibrati atti di forza. I franco-tedeschi hanno occupato tutti gli snodi fondamentali delle decisioni politiche, quelli che manovrano i bilanci più capienti o dai quali dipendono le scelte finanziariamente rilevanti. Oltretutto, la Germania è riuscita a disegnare una rete di controllo effettivo che punta più sul peso che sul numero degli enti legati o collegati all’Unione. Basta guardare la cartina con le bandierine dei paesi membri sulle 48 agenzie targate Ue, ma anche sulle istituzioni comunitarie. E più che nei livelli politici, nei piani determinanti per la formazione dei dossier e l’istruzione delle pratiche in mano ai commissari: direttori generali, segretari generali, capi di gabinetto e loro vice.A fare la parte del leone nel computo delle agenzie sono da un lato il Benelux, triangolo fondatore dell’Unione perno del Nord Europa e incardinato nell’asse franco-tedesco: Belgio, Olanda e Lussemburgo. Poi la Francia e il satellite mediterraneo della Germania, la Spagna, che con il suo tradimento nella votazione sull’Ema ha pregiudicato il successo di Milano. Le briciole finiscono all’Italia, agli altri paesi del Mediterraneo e all’Europa dell’Est. Il risultato è un’Europa sbilenca, sbilanciata a Nord. Sulla quale aleggia un ormai maturo «basta!». Le agenzie, in 24 dei 28 paesi, ci costano 1,2 miliardi di euro, pari allo 0.8 per cento del budget europeo. Ma regalano con l’indotto una torta miliardaria ai paesi che le ospitano. A Bruxelles, che già ospita Parlamento e Commissione, ce ne sono 9, comprese l’Agenzia europea per la Difesa (Eda) e il Comitato unico di risoluzione delle crisi bancarie. Hanno base nella capitale belga il grosso delle Agenzie esecutive a tempo, da quella per le Piccole e medie imprese (Easme) a quella per l’Educazione, audiovisivo e cultura, e per la Ricerca.Il Lussemburgo (che già esprime il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, tedesco di formazione, lingua e affinità politica, zavorrato a sua volta da un capo di gabinetto germanico, Martin Selmayr, da molti considerato il vero presidente, più potente dello stesso Juncker) ospita l’Agenzia esecutiva Ue per i Consumatori, salute, agricoltura e cibo. Ma anche la Banca europea di investimenti. E la Corte europea di giustizia, da non confondere con la Corte per i diritti dell’uomo con sede all’Aja, Olanda, emanazione del Consiglio d’Europa che travalica gli stretti confini europei. Nei Paesi Bassi ci sono, sempre all’Aja, gli uffici Europol e Eurojust, rispettivamente per la collaborazione tra le forze di polizia e giudiziaria. Adesso, ad Amsterdam, per fare l’en plein andrà pure l’Ema, anche se il primo mattone della nuova sede dev’essere ancora gettato (investimento previsto, 250-300 milioni). Altra mattatrice la Francia, con 5 agenzie tra cui l’Esma che regola il mercato borsistico, ora pure quella che fissa le regole bancarie dopo il suicidio brexistico del Regno Unito, attribuita tramite sorteggio a Parigi per lo spareggio con l’Irlanda (Dublino).Parigi non si fa mancare l’Agenzia spaziale europea e quella per le Ferrovie. A Copenaghen, Danimarca, l’Agenzia per l’Ambiente. In Germania, a prima vista, solo 2 agenzie: per la sicurezza aerea e l’Autorità per le assicurazioni e pensioni aziendali e professionali. Ma vale più agenzie, a Francoforte, la Banca centrale europea (Bce), guidata dall’italiano Mario Draghi. E una sezione del Tribunale unificato dei brevetti a Monaco, strappata proprio a Milano perché l’Italia, all’epoca, si era battuta per il mantenimento dell’italiano come lingua ufficiale dell’Unione. L’altra sezione si trova a Londra: potrebbe diventare il contentino per Milano a cui si riferiva l’altro ieri Maroni? Ad Alicante, Spagna, opera l’ufficio per i marchi, la proprietà intellettuale, con uno staff di 913 persone e un budget di oltre 384 milioni. Ed è uno dei tanti, troppi (in proporzione) enti europei che si è accaparrata Madrid con la sua politica ancellare rispetto all’asse franco-tedesco, con l’Agenzia per la Pesca a Vigo, quella per la sicurezza sul lavoro, il Centro satellitare europeo, e a Barcellona lo Sviluppo dell’energia atomica. Non proprio bazzecole.Paradossali per dislocazione le attribuzioni della cyber-sicurezza a Creta o l’agenzia Frontex per il controllo delle frontiere Ue a Varsavia, dove i boat-people sono una leggenda esotica. La Francia beneficia inoltre dello sdoppiamento del Parlamento tra Bruxelles e Strasburgo. A proposito, qui il segretario generale e il suo vice sono entrambi tedeschi. E tedesco è il maggior numero di direttori generali della Commissione. Raccontano i funzionari Ue che ci sono riunioni del lunedì tra capi di gabinetto che istruiscono la riunione dei commissari il mercoledì, in cui tra capi e vice i tedeschi arrivano a essere 15 su 28. Sono loro le figure chiave, quelle che gestiscono i fondi dell’Unione. Cruciale la casella occupata da Gunther Oettinger al bilancio e alle risorse umane. Dal 2014 il governo italiano ha puntato su un riequilibrio, arrivando a 2 capi di gabinetto e 4 vice, più 24 italiani nei gabinetti dei commissari. Quattro i direttori generali, anzi 3 dopo che uno, Kessler, si è dimesso. Parecchi, circa il 10 per cento, i vincitori italiani ai concorsi per entrare negli organismi della Ue. Segno che i nostri giovani si fanno valere. Ma la strada per riequilibrare gli assetti è in salita.Le figure di spicco della burocrazia europea che parlano italiano sono Marco Buti agli Affari economici e finanziari, Roberto Viola al Mercato unico digitale e Stefano Manservisi alla cooperazione allo Sviluppo. Scarsa la nostra presenza nei gabinetti dei portafogli economici. E veniamo agli scampoli. Per restare sul tema delle agenzie, l’Italia ne conta realmente solo due (e mezzo). La Sicurezza alimentare a Parma, risultato di una battaglia all’ultimo sangue con la Finlandia, e quella (poco rilevante) per la Formazione a Torino, più il Centro per la meteorologia che si sposterà dal Regno Unito a Bologna, forte di un mega-computer. E a Varese l’Ispra, Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale. Bruscolini. Secondarie le agenzie dislocate nel resto d’Europa, nel Sud e all’Est. Siamo 28, ma il cuore e il portafogli battono a Nord. Ma l’Europa si è ristretta al Grande Benelux?(Marco Ventura, “Ma cosa ci stiamo a fare in Ue se si pappa tutto l’Europa del Nord?”, dal “Messaggero” del 23 novembre 2017, articolo ripreso da “Dagospia”).Altro che monetina. Altro che pallina da biliardo finita per caso nella buca sbagliata. La mancata vittoria di Milano, la candidata italiana a ospitare l’Agenzia europea del farmaco (Ema) in trasmigrazione da Londra causa Brexit, è frutto della blindatura del blocco teutonico esercitato vuoi con discrezione da colonizzatori e tessitori diplomatici, vuoi con calibrati atti di forza. I franco-tedeschi hanno occupato tutti gli snodi fondamentali delle decisioni politiche, quelli che manovrano i bilanci più capienti o dai quali dipendono le scelte finanziariamente rilevanti. Oltretutto, la Germania è riuscita a disegnare una rete di controllo effettivo che punta più sul peso che sul numero degli enti legati o collegati all’Unione. Basta guardare la cartina con le bandierine dei paesi membri sulle 48 agenzie targate Ue, ma anche sulle istituzioni comunitarie. E più che nei livelli politici, nei piani determinanti per la formazione dei dossier e l’istruzione delle pratiche in mano ai commissari: direttori generali, segretari generali, capi di gabinetto e loro vice.
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La crisi dei rifugiati, miniera d’oro per l’industria delle armi
Lo rivela il rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (Frontiera di guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute con rilancio italiano da parte della Rete Italiana per il Disarmo. Ciò conferma il sentimento diffuso, e reso palese dal recente voto di protesta nel Regno Unito riguardo alla permanenza nell’Ue (Brexit), che a Bruxelles il potere corporativo delle aziende sta pervertendo le politiche dell’Ue. Per riconquistare la fiducia dei cittadini l’Ue deve mettere in campo una risposta seria alla crisi dei rifugiati invece di continuare a promuovere i profitti delle industrie del settore militare. Il rapporto analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere che ha saputo sfruttare gli annunci del programma di “contrasto all’immigrazione clandestina”. Annunci che sono andati crescendo con l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria dilaniata dalla guerra. Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede supererà i 29 miliardi di euro nel 2022.Tra i big player del settore della sicurezza dei confini dell’Europa figurano aziende che producono sistemi militari come Airbus, Finmeccanica (che di recente ha assunto il nome Leonardo), Thales e Safran ed il gigante del settore tecnologico Indra. Tre di queste imprese (cioè Airbus, Finmeccanica e Thales) sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri sistemi ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio. Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’Ue hanno autorizzato a queste ed altre aziende oltre 82 miliardi di euro di licenze per esportazioni verso Medio Oriente e Nord Africa. La risposta delle politiche dell’Ue per i rifugiati, che si è concentrata sul contrasto ai trafficanti e nel rafforzare le frontiere esterne (anche in paesi al di fuori dell’Unione Europea), ha portato a consistenti aumenti di bilancio a tutto vantaggio dell’industria degli armamenti.Il finanziamento complessivo dell’Ue per le misure di sicurezza dei confini degli Stati membri attraverso i principali programmi di finanziamento nel periodo tra il 2004 e il 2020 è di 4,5 miliardi di euro. Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016 portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro. L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’Ue per la ricerca in materia di sicurezza. «E’ perverso e immorale – commenta Mark Akkerman, autore del rapporto e membro di Stop Wapenhandel – che le aziende che hanno contribuito ad alimentare la crisi traggano adesso profitto dal difendere i confini dell’Europa. Questo certamente garantisce la sicurezza degli amministratori delegati e degli azionisti delle imprese di armamenti, ma sta di fatto accrescendo l’insicurezza collettiva e la sofferenza per i rifugiati».«Purtroppo non è stupefacente vedere anche Finmeccanica-Leonardo tra i principali destinatari di questa enorme massa di fondi – aggiunge Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – grazie ai quali l’azienda controllata dallo Stato italiano può accrescere il proprio fatturato. Mentre, al contrario, sarebbero necessari investimenti di tutt’altra natura per ottenere soluzioni vere alle dinamiche migratorie attuali. Fin da subito la nostra Rete ha commentato negativamente la crescita dei fondi per una risposta meramente muscolare e di controllo (comunque impossibile) delle frontiere. Una scelta che è ancora più miope ed insensata se si va a considerare l’enorme numero di profughi che stanno scappando dalle guerre alimentate dalle armi prodotte e vendute da queste stesse industrie militari». Oltre a rivelare le aziende che traggono profitti dalla crisi dei rifugiati, il rapporto mostra anche come l’industria della sicurezza e degli armamenti abbia contribuito a determinare la politica europea di sicurezza delle frontiere con attività di lobby e per mezzo delle regolari interazioni con le istituzioni dell’Ue per le frontiere e anche delineando le politiche di ricerca.L’Organizzazione europea per la Sicurezza (Eos), che comprende Thales, Finmecannica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle frontiere. Inoltre, molte delle sue proposte, come ad esempio la spinta ad istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – Ebcg). «Mentre l’Ue chiude l’ingresso a persone disperate che fuggono dalla guerra, spalanca le porte ai produttori di armamenti che commerciano morte e che ora presidiano i nostri confini», commenta Nick Buxton del Transnational Institute, co-editore del rapporto. «Per affrontare davvero la crisi dei rifugiati, dobbiamo innanzitutto smettere di alimentare i conflitti e investire il denaro speso a favore delle aziende della sicurezza e della difesa per fornire un passaggio sicuro e un equo trattamento dei rifugiati».Lo rivela il rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (Frontiera di guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute con rilancio italiano da parte della Rete Italiana per il Disarmo. Ciò conferma il sentimento diffuso, e reso palese dal recente voto di protesta nel Regno Unito riguardo alla permanenza nell’Ue (Brexit), che a Bruxelles il potere corporativo delle aziende sta pervertendo le politiche dell’Ue. Per riconquistare la fiducia dei cittadini l’Ue deve mettere in campo una risposta seria alla crisi dei rifugiati invece di continuare a promuovere i profitti delle industrie del settore militare. Il rapporto analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere che ha saputo sfruttare gli annunci del programma di “contrasto all’immigrazione clandestina”. Annunci che sono andati crescendo con l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria dilaniata dalla guerra. Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede supererà i 29 miliardi di euro nel 2022.
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Fortezza Europa: vendiamo armi e anneghiamo profughi
Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.«I rifugiati sono oggi il prodotto su scala industriale di quella grande guerra, immateriale e non dichiarata, che è la guerra contro i poveri, dove un confine netto separa chi ha diritto di muoversi da chi quel diritto si vede negato», e di trova di trova di fronte un’Europa trasformata in filo spinato, scrivono Spinelli, Padoan e Viale, nella petizione sottoscritta da Alexis Tsipras e Nichi Vendola e da autorevoli personalità come Stefano Rodotà, Luigi Manconi, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Curzio Maltese, Moni Ovadia, Erri De Luca, Gad Lerner, Marco Revelli, Ermanno Rea, Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky. Imperativo morale: garantire il diritto di fuga e fermare i “respingimenti”. Nel 2013, il numero dei migranti forzati è aumentato di ben 6 milioni, complice la carneficina siriana che in tre anni ha sfrattato due milioni e mezzo di civili. Si scappa anche dalla Repubblica Centrafricana, dal Sud Sudan, dall’Eritrea, dalla Libia gettata nel caos dalla guerra occidentale; si fugge dalla Somalia e dal Maghreb.Uomini, donne e bambini che giungono alle nostre coste «in cerca non solo della nuda vita, ma di libertà e di giustizia: di quell’inclusione nel concetto di umanità senza il quale ogni discorso sui diritti perde significato, rimanendo appannaggio di un ceto di privilegiati». Chi non muore durante il viaggio, che trasforma il Mediterraneo in un cimitero, viene accolto come un fuorilegge, subendo una «inferiorizzazione giuridica, economica e sociale», oltre alla privazione della libertà. Così, a naufragare è «quello stesso pensiero di eguaglianza e solidarietà che fonda le nostre democrazie». Sicché, «i cittadini europei non possono più assistere passivamente alla strage che giorno dopo giorno si svolge davanti ai loro occhi». Tuttavia, l’Unione Europea – che dal 2000 dichiara di voler prevenire e combattere il traffico di esseri umani – sta, di fatto, permettendo che profughi e migranti attraversino il Mediterraneo «mettendo la propria vita nelle mani di organizzazioni criminali transnazionali, perché è stato lasciato loro il monopolio del trasporto in mare».La cosa, aggiungono i firmatari della petizione, è tanto più grave in quanto il Trattato sul Funzionamento dell’Unione prevede una responsabilità diretta in materia di gestione integrata delle frontiere, gestione di tutte le fasi del processo migratorio, accoglienza delle persone e condivisione degli oneri, non solo finanziari, tra tutti i paesi membri. Tutte norme rimaste quasi lettera morta: questo «conferma l’assenza di volontà politica da parte degli Stati membri e la pusillanimità della Commissione», data anche l’incapacità di predisporre soluzioni pratiche come la creazione di corridoi umanitari. L’Ue preferisce restare «nascosta dalla retorica del Consiglio Europeo o dalla valanga di documenti, incontri e conferenze», tra agenzie europee che dovrebbero «applicare le politiche europee, e non nel fare da schermo alla loro assenza». Massima ipocrisia, i respingimenti: presentati come misure per salvare i profughi, sono esattamente la loro condanna all’annegamento. Sono gli Stati, per primi, a violare le norme su diritto d’asilo, integrazione e solidarietà: «L’ossessione della lotta contro l’immigrazione clandestina e la chiusura dei canali di accesso regolari hanno concretamente operato per accrescere, come strumento di dissuasione, il rischio patito da tutti coloro che cercano di attraversare i confini della “fortezza Europa”».Come ogni altra legge varata dall’autocrazia tecnocratica di Bruxelles che infligge le politiche di austerity, anche lo “scudo” europeo anti-immigrazione, Frontex, non è mai stato votato dai cittadini. «L’Europa che ha creduto di potersi barricare in una fortezza, ha fallito», scrivono Spinelli, Padoan e Viale, ricordando il cartello esposto a Bruxelles da un migrante: “Non siamo noi ad attraversare i confini, sono i confini ad attraversare noi”. Servono nuove leggi, da applicare prontamente per fermare la strage. Oggi ci sono soltanto «iniziative su base volontaria, approcci diplomatici poco credibili e strumenti operativi con risorse limitate, come Frontex», praticamente «fumo negli occhi». I firmatari chiedono a Bruxelles di esaminare seriamente la situazione e produrre risposte. Nel frattempo, «si tratta di prevedere d’urgenza l’apertura di percorsi autorizzati e sicuri per chi lascia il territorio di nascita, di cittadinanza o di residenza – in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi ambientali, climatiche o economiche». Un corridoio umanitario tra Africa e Ue, sotto tutela Onu, per scongiurare nuove tragedie. Del resto, l’Europa è già presente in Libia: perché non fa niente per contrastare il traffico di esseri umani?Spinelli, Padoan e Viale chiedono «canali di ingresso legale», in cui «un sistema di traghetti e voli charter sostituisca le carrette del mare», e in cui l’Onu e l’Ue presidino ogni snodo di partenza e di transito per «identificare, tutelare e dotare i profughi di visti provvisori», per poi «smistare gli arrivi fra i vari porti e aeroporti attrezzati per l’accoglienza, così da governare razionalmente la distribuzione sul territorio europeo dei singoli e delle famiglie», mettendo fine all’assedio degli abitanti di Lampedusa, costretti a supplire, con grande generosità, «l’abissale assenza dello Stato e dell’Unione Europea». Più in generale, «l’Italia e tutti i popoli del Sud Europa non possono più essere lasciati soli nel gravoso compito dei soccorsi in mare». Poi occorre assicurare libertà di movimento, garantire ai profughi «la libertà di scegliere dove vivere e la libertà di riannodare i propri affetti». Serve anche il “mutuo riconoscimento” delle decisioni sull’asilo: «Chiunque si trovi nello spazio europeo, indipendentemente dalla sua cittadinanza, deve poter godere del pieno esercizio di pari diritti». Per questo, i firmatari chiedono «la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti e profughi, comunque si chiamino, che configurano una forma di detenzione extra ordinem».Barbara Spinelli, Daniela Padoan, Guido Viale e chiedono che l’Ue si impegni a facilitare richieste e visti, «per chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione o di rischio per la vita», grazie a una normativa «capace di restituire dignità giuridica ai rifugiati», a cominciare dalla protezione del diritto di transito. Problema ancor più drammatico per i minori non accompagnati, quasi 6.000 in Italia negli ultimi 18 mesi: «Molti di loro sono trattenuti da mesi in strutture inadeguate, che non prevedono percorsi di formazione né di integrazione». Poi, l’istituzione dello “ius soli”, per assicurare la cittadinanza europea ai figli dei migranti nati nei nostri paesi. Obiettivo finale: una “pax mediterranea”, dopo la “guerra infinita” prodotta dall’attuale geopolitica occidentale, prima responsabile delle crisi che determinano il flusso dei rifugiati. Servono nuovi strumenti politici per governare l’esodo: «Basti pensare al fatto che se accogliessimo davvero i profughi, dando loro possibilità di avere voce e diritti, si creerebbe forse in Europa una “terza forza” in grado di rappresentare il rispettivo paese – per esempio la Siria, la Repubblica Centrafricana, l’Eritrea e tutti i paesi del Corno d’Africa – in un eventuale negoziato, più e meglio dei cosiddetti governi in esilio, che talvolta sono puri fantocci».La crisi migratoria, concludono i firmatari, mostra quanto sia urgente una politica estera europea, «attualmente impedita non solo da sterili sovranità nazionali gelosamente custodite, ma anche dalla sudditanza dell’Unione Europea alla Nato e agli Usa, che sono spesso all’origine dei conflitti che deflagrano nel mondo e soprattutto ai nostri confini». L’Europa è tutt’altro che innocente: tra i primi dieci esportatori mondiali di armi figurano Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Svezia. «Partner di questo lucroso commercio sono in gran parte proprio i paesi dai quali le persone sono costrette a fuggire per mettersi al riparo da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e soppressione delle libertà democratiche. Poiché i rifugiati sono il prodotto della guerra, noi, cittadini d’Europa, chiediamo che la nostra pace non sia una retorica né un privilegio di asserragliati, ma si declini in politiche solidali capaci di includere i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e l’Africa».Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.