Archivio del Tag ‘genio’
-
1439: perché la Cina cedette a Firenze la via dell’America?
In cambio di che cosa, esattamente, i cinesi “cedettero” alla famiglia Medici l’accesso all’America, nel 1439? Se lo domanda Nicola Bizzi, nella trasmissione web-streaming “Il Sentiero di Atlantide”, sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”, di Gianluca Lamberti. Cioè: la Cina e l’America a Firenze, mezzo secolo prima dell’impresa ufficiale di Cristoforo Colombo? Sembra una storia surreale. Ma del resto, c’è qualcosa di più surreale del Green Pass e del regime di segregazione cui è sottoposta l’Italia, da quasi due anni, in virtù della più grande “pandemia di asintomatici” della storia dell’umanità? Sicché, il Celeste Impero avrebbe consegnato alla Firenze medicea le chiavi del continente americano? E ricevendo quale contropartita? «Evidentemente era qualcosa di enorme, che però non è mai trapelato». Un altro ricercatore italiano – Riccardo Magnani – si spinge addirittura a capovolgere il quadro: non sarebbe stata Firenze a mettere le mani sull’America, ma (al contrario) era il continente americano a candidarsi a guidare l’Europa. Come? Insediando a Firenze nientemeno che un esponente della famiglia reale incaica: Lorenzo il Magnifico.
-
Sangue sul Chianti: anatomia di un’Italia in emergenza
“Scarabeo”, “La loggia degli innocenti”, “Le rose nere di Firenze”: quello che non ha potuto dire apertamente, come investigatore, il commissario Michele Giuttari lo ha scritto – usando nomi di fantasia – nei suoi fortunatissimi romanzi polizieschi. Lo afferma l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dell’ombra: quella da cui nascono alcuni fra i più atroci incubi italiani, tra cui i cosiddetti omicidi rituali. Spaventosi gialli in parte ancora irrisolti, come quelli attribuiti alla banda chiamata Mostro di Firenze. A un passo dalla svolta definitiva arrivò proprio lui, Giuttari, insieme al procuratore perugino Giuliano Mignini, quando i Compagni di Merende allusero al “dottore di Perugia” come possibile mandante: le acque del Lago Trasimeno restituirono un corpo, frettolosamente attribuito a quel giovane medico. Non annegato, si seppe poi, ma strangolato. Una volta riesumato e messo a confronto con le foto del cadavere ripescato, si scoprì che si trattava di due persone diverse. Il morto del lago (mai scoperto chi fosse) doveva solo servire a convincere tutti che il povero medico fosse davvero caduto in acqua, trovandovi la morte.Il colpo di genio? Far rilevare le impronte digitali alla salma, nel dubbio che fosse stato proprio lui – il dottore – a sfidare il pool di Firenze, spedendo ai magistrati alcuni macabri frammenti dei cadaveri straziati delle coppiette uccise. Bingo: quando il super-detective corse a frugare nell’archivio super-blindato dei reperti, scoprì che era stato appena saccheggiato. Le lettere-chiave, sparite. Altro avvertimento: nel cortile della questura, le gomme dell’auto del commissario erano state tagliate. Poco dopo, Michele Giuttari lasciò la polizia. E insieme al magistrato di Perugia, fu perseguitato con accuse giudiziarie pretestuose (poi sgonfiatesi, ma solo dopo aver allontanato lui e il giudice dal vero Mostro di Firenze). Oggi, Michele Giuttari è un autore di bestseller tradotti e venduti in tutto il mondo, in oltre cento paesi diversi. Un prodigioso macinatore di trame mozzafiato e di parole asciutte, esatte, precise come le indagini che ne avevano fatto un campione della polizia italiana.Un implacabile cacciatore di mafiosi, Giuttari. Criminali di primo livello, come i killer di Cosa Nostra che avevano fatto scoppiare le bombe stragistiche di Milano, Firenze e Roma, all’inzio degli anni ‘90, quando l’Italia – caduto il Muro di Berlino – “doveva” finire in pasto ai poteri finanziari che controllano l’Ue, e andare incontro alla buia morsa dell’austerity. Poteri che utilizzarono largamente tutto il marcio su cui aveva galleggiato la mitica Prima Repubblica, prospera e corrotta. Analisti e politologi, negli ultimi anni, hanno ricostruito il quadro: la demolizione dei vecchi partiti, ormai inutili e spesso impresentabili, non sarebbe mai potuta avvenire se la magistratura di Milano non si fosse “accorta”, di colpo, del dilagare del pubblico malaffare. Gli inafferrabili mafiosi? I capi storici sarebbero stati arrestati, anche quelli, ma solo dopo aver “sistemato” Falcone e Borsellino, che si erano spinti oltre, seguendo la pista dei soldi che probabilmente collegava Brooklyn e Bruxelles, magari passando anche per il vecchio Ior e gli affari di Calvi e Sindona, altri due personaggi (di taglia ben diversa) messi a tacere a tempo debito.Oggi è di moda parlare di Deep State: il punto di saldatura tra super-tecnocrati “collaborazionisti”, colletti bianchi della nuova mafia e mercenari dell’establishment al soldo di un potere apolide, quello del denaro, insieme a precisi segmenti dell’apparato statale, le “barbe finte”, gli 007 senza bandiera incaricati delle operazioni più inconfessabili. Un sottobosco che, pian piano, emerge anche dalle pagine di “Sangue sul Chianti”, ultima fatica letteraria di Michele Giuttari, che opera sul campo attraverso il suo alter ego cartaceo, il commissario Ferrara. Non un giallo politico, beninteso: trattasi di noir puro, composto – con un’orchestrazione perfetta, cronometrica e implacabile – per la gioia degli amanti di questo genere narrativo che, secondo la francese Fred Vargas, viene ormai utilizzato sempre più spesso, dagli scrittori, per “rifugiarsi” nel pretesto di una trama poliziesca. Un luogo protetto, da cui dire la loro su come va il mondo, per davvero, anche portando allo scoperto i fili invisibili che legano un assassino ai suoi insospettabili, illustri mandanti.E così, anche “Sangue sul Chianti” – un libro che letteralmente si lascia divorare, alla velocità della luce – mette in scena un teatro d’ombre in cui finiscono per muoversi affaristi di provincia e piccoli drogati, brutali spacciatori stranieri ma anche clan mafiosi con libero accesso a paradisi fiscali. Tutti retroscena perfettamente noti ai soliti apparati, quelli d’intelligence, che – lungi dall’intervenire – sfruttano la situazione: e se proprio si mette male, se cioè spunta qualche “sbirro” troppo sveglio, sono anche pronti a far scorrere il sangue, sul Chianti e non solo, magari per occultare tracce che renderebbero evidente la reale natura del gioco, non presentabile al cittadino comune che si ciba di cronaca, magari nera. Ed è quella, infatti, a dominare il libro, che sa offrire benissimo la percezione della crescente insicurezza sociale, nella Firenze del 2005, mentre l’Italia sta scivolando giorno per giorno verso l’inesorabile crisi economica che, di lì a non molto, la porterà a genuflettersi davanti alle nuove, o forse antiche divinità bancarie dell’Unione Europea.Nel fondamentale memoir “Confesso che ho indagato”, titolo che rifà il verso alla strepitosa autobiografia di Pablo Neruda, Giuttari insiste su un punto cardine: guai a delegare alla sola tecnologia il compito di risolvere le indagini, perché niente potrà mai sostituire il lampo dell’intelligenza (non artificiale) che nasce dalla sensibilità – umanissima – del poliziotto che scava nel buio, nel dolore dei parenti delle vittime e tra le pieghe della scena del crimine, attingendo anche al talento naturale da cui nascono le migliori intuizioni. Certo, occorre essere maestri nell’arte dell’interrogatorio, prima che intervenga – in modo magari maldestro e ingombrante – il protagonismo della magistratura inquirente (non altrettanto dotata, nella specialità in cui eccellono gli “sbirri” purosangue, che sanno fiutare la preda). Così, anche stavolta, gli appassionati del legal thriller e del poliziesco classico troveranno pane per i loro denti, osservando in azione gli uomini del commissario Ferrara: riconosceranno il piglio inconfondibile di indagini condotte a misura d’uomo, inclusi gli inevitabili errori, lontanissimo dagli effetti speciali di tante, recenti polizie televisive.Puntare l’uomo, marcarlo stretto, indovinargli l’anima: sapendo che la possibile cantonata è sempre dietro l’angolo, e che l’assassino potrebbe anche essere la persona di cui, da sempre, ti fidi di più. “Sangue sul Chianti” mostra, in modo esemplare, di che pasta erano fatti gli investigatori italiani della vecchia guardia, come i segugi che – in Sicilia – finirono spesso nel tragico cimitero dell’antimafia, durissima trincea dalla quale proveniva lo stesso Giuttari, messinese d’origine. Il suo ultimo noir punta in alto: lo sporco si annida proprio lassù, nel vertice della piramide, in tutte le sue declinazioni (pubbliche e private). Brillano diamanti e sfavilla il lusso, nel paradiso dorato del “Chiantishire”, che d’un tratto può colorarsi di rosso come il Sangiovese. Ma il male ha sempre bisogno di collaborazione, anche da parte della gente minuta: le debolezze umane sono in agguato ovunque, a poco prezzo. E fanno parte, anche loro, di una trama formidabile, che tiene insieme cacciatori e lepri, vivi e morti, guardie e ladri. Il piccolo delinquente, l’uomo comune che cede alla tentazione solo per una volta, nella vita. E il più pericoloso criminale tuttora a piede libero: il potere.Sbaglierebbe, chi vedesse nell’autore Michele Giuttari una specie di anarchico travestito da ex poliziotto: la severità del suo sguardo politico è la stessa di chi ha creduto, in modo incrollabile, nelle istituzioni di un’Italia risorta dalle macerie dell’ultima guerra mondiale. In tutt’altra maniera, ne dà prova anche uno scrittore come Giuseppe Genna nel thriller “Nel nome di Ishmael”, che lambisce il dramma della sparizione dei bambini: lo fa in una pagina memorabile, dedicata al “sacrificio” di Enrico Mattei come eroico edificatore civile dell’Italia democratica del dopoguerra. Se oggi – 2021, anno secondo dell’Era Covid – il paese è diventato letteralmente irriconoscibile, in fondo anche le pagine di “Sangue sul Chianti” sembrano suggerire che forse non tutto è perduto, se a far tardi la notte (anche rischiando la pelle) ci sono uomini come quelli della Squadra Mobile del commissario Ferrara.(Il libro: Michele Giuttari, “Sangue sul Chianti”, Fratelli Frilli Editore, 467 pagine, euro 18,90).“Scarabeo”, “La loggia degli innocenti”, “Le rose nere di Firenze”: quello che non ha potuto dire apertamente, come investigatore, il commissario Michele Giuttari lo ha scritto – usando nomi di fantasia – nei suoi fortunatissimi romanzi polizieschi. Lo afferma l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dell’ombra: quella da cui nascono alcuni fra i più atroci incubi italiani, tra cui i cosiddetti omicidi rituali. Spaventosi gialli in parte ancora irrisolti, come quelli attribuiti alla banda chiamata Mostro di Firenze. A un passo dalla svolta definitiva arrivò proprio lui, Giuttari, insieme al procuratore perugino Giuliano Mignini, quando i Compagni di Merende allusero al “dottore di Perugia” come possibile mandante: le acque del Lago Trasimeno restituirono un corpo, frettolosamente attribuito a quel giovane medico. Non annegato, si seppe poi, ma strangolato. Una volta riesumato e messo a confronto con le foto del cadavere ripescato, si scoprì che si trattava di due persone diverse. Il morto del lago (mai scoperto chi fosse) doveva solo servire a convincere tutti che il povero medico fosse davvero caduto in acqua, trovandovi la morte.
-
L’Egitto ’schiera’ i suoi faraoni contro i signori del Covid
Attenti all’Egitto: ora riesuma i suoi antichi faraoni, per far rinascere lo spirito nazionale. E lo fa con una gigantesca kermesse, che rivela due intenti: scrollarsi di dosso un certo globalismo-canaglia, quello che ha imposto il “panico Covid” nella sua agenda, e al tempo stesso “resuscitare” l’antico culto egizio, quello della civiltà delle piramidi ereditata dai Figli delle Stelle, per avvertire quella élite che ancora oggi, segretamente e in modo inconfessabile, sembra devota alle divinità mesopotamiche (Moloch) declinate in modo pericolosamente anti-umano. E’ la lettura che Matt Martini fornisce della grandiosa “Pharaohs’ Golden Parade” andata in scena il 3 aprile al Cairo, per il trasferimento di 22 salme regali, trasportate dal museo egizio della capitale al museo nazionale della civiltà egizia a Giza, proprio all’ombra della Sfinge. Senza nascondere i tratti «anche un po’ kitsch» della “Parata d’oro dei faraoni”, Martini – esperto di orientalistica e co-autore del saggio “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale – avverte: siamo in presenza della volontà (esibita) di far “risorgere” l’Egitto, interpretato come erede di divinità venute dal cielo, “richiamate in servizio” per soccorrere la Terra, caduta in preda agli eccessi del mondialismo più criminale.Una lettura visionaria? Per capire che così non è, basta osservare l’espressione dell’attuale “faraone” in carica, il generale Al-Sisi, appena colpito dall’oscuro, minaccioso blocco del Canale del Suez con l’anomalo incagliamento del cargo Ever Given, riconducibile (nella compagine azionaria degli armatori) al club di Bill Gates e Hillary Clinton. Nelle immagini televisive della “Pharaohs’ Golden Parade”, Al-Sisi ostenta un’espressione inequivocabile: ai suoi occhi, quelle mummie in viaggio sono una sorta di totem nazionale, il cuore sacro dell’Egitto. Attenzione: è un classico, il ricorso alla simbologia (esoterica) da parte del grande potere. Sul suo canale YouTube, Giorgio Di Salvo ha sottolineato le stranezze della cerimonia di insediamento dello stesso Joe Biden: «E’ stata la rappresentazione di un vero e proprio rito di iniziazione, incentrato sulla figura dell’eccentrica Lady Gaga, abbigliata in modo da riprodurre il vestiario e il corredo della Statua della Libertà: non quella famosa, al porto di New York, ma quella che per i massoni americani è la vera Statua della Libertà. Si tratta della statua che sormonta la cupola del Campidoglio, a Washington: la “libertà armata”, che richiama la dea greca Athena».Come se non bastasse, Di Salvo rievoca un’altra cerimonia di insediamento, quella di Emmanuel Macron a Parigi: «Per un attimo (in modo però attentamente studiato) le braccia levate del neo-eletto, sullo sfondo della piramide del Louvre, disegnano alla perfezione la combinazione simbolica costituita da squadra e compasso». Da Napoleone in poi, l’Egitto si è conquistato un posto d’onore, sulle rive della Senna. «Ma mentre i riti massonici di ispirazione egizia sono di origine moderna, nelle terre che vanno dal Nilo all’Eufrate sopravvivono in modo clandestino le ritualità cultuali antiche», precisa lo storico Nicola Bizzi, presente con Matt Martini e Tom Bosco nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, sul canale YouTube di “Border Nights”. Lo stesso Martini cita la religione egizia tuttora praticata da «importanti sceicchi del Cairo», sotto la vernice ufficiale dell’Islam. Dal canto suo, Bizzi conferma che in Iraq «si praticano culti di origine sumerica, al riparo dei circoli Sufi (in teoria, islamici) che ospitavano personalità vicinissime al potere già all’epoca del regime di Saddam Hussein».Curioso che poi lo stesso Saddam sia stato abbattuto dai Bush – padre e figlio – che Gioele Magaldi presenta come fondatori della nefasta superloggia “Hathor Pentalpha”, dedita anche al terrorismo internazionale, avendo arruolato tra le sue fila prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis. C’è chi fa notare il collegamento tra l’acronimo Isis (Islamic State of Iraq and Sirya) e il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor. Iside-Hathor è la vedova di Osiride, nonché la madre di Horus: il trio incarna la “sacra famiglia” dell’antico Egitto faraonico, la “trimurti” fondativa del Nilo. Padre, madre e figlio, a sottolineare una tripartizione “energetica” successivamente reinterpretata in modo difforme dalla Trinità cristiana, rimodellando teologicamente la Tetractis triangolare di Pitagora: figura ricomparsa – in modo clamoroso – nella coreografia della grande Parata dei Faraoni appena proposta al Cairo, nel segno del recupero dell’antica sapienza “pagana”.«La grande kermesse egiziana è stata anche un atto di magia cerimoniale», sostiene Matt Martini a “L’Orizzonte degli Eventi”. «Obiettivo: risvegliare “l’eggregore” nazionale, il genio egizio: una vera e propria evocazione, tramite il ruolo delle mummie solennemente traslate da un museo all’altro, in mezzo ad ali di folla». Le mummie regali egizie, dice Martini, vanno considerate – nelle intenzioni degli organizzatori – come «veri e propri talismani umani: quelle salme sono state preparate ritualmente e trattate come oggetti di culto: per migliaia di anni, hanno ricevuto offerte votive». Dunque, per Martini, «sul piano magico sono strumenti perfetti, per fare da ponte con altre dimensioni». Spiega il saggista: «Si crede che la mummia, se conservata, contenga ancora il Ka del defunto: un’impronta dell’anima. A sua volta, il Ka viene visitato dal Ba, cioè l’anima che sale e scende. Infine, il Ba comunica con l’Akh, lo spirito trasfigurato dell’iniziato (il faraone), che secondo l’antica religione egizia resta in contatto con la dimensione degli Aku, i principi divini, gli Splendenti». In altre parole: un ascensore per il cielo, nel nome dell’Egitto delle piramidi.Martini invita a far caso ai numeri: sono state trasferite 22 salme, precisamente quelle di 18 faraoni e di 4 regine. Tutti regnanti compresi tra la 17esima e la 20esima dinastia. «La 17esima dinastima fu l’ultima del Secondo Periodo Intermedio, quello dominato dal caos, quando l’Egitto fu invaso dagli Hyksos. La dinastia successiva, quella Ramesside, segnò invece la restaurazione del potere faraonico egizio: l’inizio del Nuovo Regno». Anche al Cairo, assicura Martini, il potere gioca con i simboli: è come se il generale Al-Sisi paragonasse se stesso ai faraoni di nome Ramses, rifondatori dell’Egitto dopo le tempeste della storia. L’ultima, in questo caso, si chiama Covid: «Si noti: la mascherina non viene indossata né dai figuranti, spesso assiepati, né dalle migliaia di spettatori che assistono al corteo, stretti l’uno all’altro». Sembra un messaggio diretto ai “signori del coronavirus” e agli stessi vicini israeliani, che hanno trasformato il loro paese in area-test per la vaccinazione di massa. Per inciso: in concomitanza con lo strano incidente di Suez, Al-Sisi ha fatto riaprire (dopo anni) il valico di Rafah, a Gaza: l’unico non controllato da Israele.Oggi l’Egitto è un paese islamico e anche cristiano, ricorda Martini, alludendo all’importante confessione copta. Ma Al-Sisi – aggiunge – come militare impegnato in politica è pur sempre erede del nazionalismo laico, incarnaato dall’ex partito Baath, socialista e panarabo, cresciuto nel mito del grande leader terzomondista Abdel Gamal Nasser, che sfidò Francia, Gran Bretagna e Israele per rivendicare la piena sovranità del suo paese. Non si scherza, con l’Egitto: nel 1956 – quando inglesi e francesi sbarcarono a Porto Said per rovesciare Nasser, che aveva bloccato il Canale di Suez perché la Banca Mondiale non voleva concedere agli egiziani il prestito per erigere la diga di Assuan – l’Unione Sovietica (con il tacito consenso degli Usa) arrivò a minacciare gli invasori anglo-francesi di ricorrere alla bomba atomica, se non avessero lasciato l’Egitto. Finì nell’ignominia – e con il trionfo politico di Nasser – l’ultimo colpo di coda del colonialismo europeo nel Mediterraneo. Poi gli uomini del pararabismo Baath sono stati perseguitati: ucciso Saddam, invasa la Siria di Assad.Abdel Fattah Al-Sisi, in qualche modo erede di Mubarak (già allievo della scuola ufficiali di Mosca) si è imposto nel 2014 incarcerando i Fratelli Musulmani, inizialmente votati dagli egiziani dopo la turbolenta “primavera araba” innescata al Cairo dallo storico discorso incendiario del massone Obama, con l’obiettivo di “resettare” le oligarchie nordafricane non-allineate al potere di Washington (preservando invece le brutali petro-monarchie del Golfo, in primis quella saudita, devotissime al superpotere statunitense). Siamo tuttora in pieno caos: Giulio Regeni, reclutato (a sua insaputa) dall’intelligence britannica tramite una Ong universitaria, è stato barbamente assassinato per ostacolare i nascenti rapporti strategici tra Italia ed Egitto, dopo la scoperta da parte dell’Eni di un immenso giacimento marittimo di gas e petrolio al largo delle coste egiziane. Regeni – scrisse il “Giornale”, citando servizi segreti italiani – fu ucciso da manovalanza del Cairo, ma su ordine inglese, proprio per mettere in imbarazzo Al-Sisi, proprio mentre l’Italia stava chiedendo la protezione militare dell’Egitto, allora influente in Cirenaica, nell’ipotesi di inviare un contingente italiano in Libia.Oggi, Bengasi è passata sotto il controllo della Russia: è avvenuto dopo che, in modo simmetrico, Tripoli è caduta nelle mani della Turchia. Altro volto del caos di oggi è l’insidioso neo-ottomanesimo di Erdogan, supermassone reazionario e illustre membro della spietata “Hathor Pentalpha”, secondo Magaldi. Con un gesto inaudito, che riporta l’Italia al centro della scena in politica estera, Mario Draghi ha definito “un dittatore” il sultano di Ankara. Si tratta di un messaggio in codice – spiega Dario Fabbri, di “Limes” – rivolto agli Usa: Draghi li invita a non sacrificare gli interessi italiani in Libia, dopo che Ergodan ha promesso di aprire il Mar Nero alle portaerei americane (in funzione anti-russa) se lo Zio Sam chiuderà un occhio, anzi due, sulle ambizioni imperiali dei turchi nel Mediterraneo. Dalla parte dell’Italia c’è sicuramente l’Egitto, nuovo Eldorado per l’Eni dopo i problemi sopraggiunti in Libia. Nonostante le proteste per il doloroso caso Regeni, infatti, l’Italia ha appena ceduto al Cairo due fregate Fremm, gioiello della marina militare che l’Egitto immagina di dover impiegare, come arma di dissuasione, anche e soprattutto contro la Turchia di Erdogan.Modernissime fregate lanciamissili, ma non solo: la vera arma di Al-Sisi, a quanto pare, potrebbero essere proprio i venerati faraoni della 18esima dinastia, omaggiati come il Graal dell’Egitto. «Nella “Pharaohs’ Golden Parade” – insiste Matt Martini – si può leggere il ritorno alle origini ancestrali della nazione». Martini è attentissimo ai dettagli: le salme traslate con tutti gli onori sono 22, «come le lettere dell’alfabeto ebraico, che potrebbe derivare dall’alfabeto geroglifico egizio». Il trait d’union, dice l’analista, potrebbe essere stato l’alfabeto proto-sinaitico, una forma linguistica di transizione tra l’egizio geroglifico e gli alfabeti semitici (fenicio e aramaico, fino poi al più recente ebraico biblico). Sempre 22 – aggiunge Martini – erano anche i Nòmoi (i distretti amministrativi) dell’Alto Egitto, che aveva per capitale Tebe, la città della dinastia Ramesside. «Sono numeri non casuali: esprimono un preciso linguaggio, simbolico e operativo: quello di un’operazione di magia cerimoniale, a scopi politici e meta-politici».Indicazioni che Martini trae dall’analisi della grande parata del Cairo. «Allì’inizio, la soprano al centro della scena canta un inno a Iside. Poi, i militari sfilano in un viale illuminato di rosso, che è il colore di Seth e anche degli Hyksos: quindi, è come se i militari egiziani stessero calpestando gli Hyksos, nemici dell’Egitto». Quindi, il cambio di scenografia: «A un certo punto, il viale diventa blu: ed entra in scena una figurante (blu, anch’essa) che incarna Nuit, o Nut, la dea egizia del cielo stellato». Si vede una moltitudine di ancelle agitare un contenitore luminoso: «Qui punti di luce simboleggiano proprio le stelle, con un’allusione precisa: i nostri antenati ancestrali – di cui i faraoni erano i rappresentanti terreni – venivano dal cielo: erano Figli delle Stelle».Al Cairo, la grande parata è conclusa dal corteo dalle mummie, racchiuse nei loro sarcofagi trasportati su carri scenografati in modo un po’ hollywoodiano, per ricordare i mezzi di trasporto di migliaia di anni fa. «Per la religione tradizionale egizia – precisa Martini – le mummie vengono dal Duat, dalla dimensione stellare degli Aku. Questi faraoni non sono comuni mortali: sono tecnicamente delle divinità, non vengono dall’oltretomba infero ma dalla dimensione stellare». Significati sottolineati dalla stessa data scelta per la grandiosa cerimonia: «Il 3 aprile è il 23esimo giorno del mese di Ermuti, dedicato a Iside. Ed è l’ultimo giorno di un ciclo di festività dedicate a Horus, che è il vendicatore di suo padre, e dunque il vendicatore dell’Egitto». Messaggio: «Il potere che ha allestito la parata ha voluto celebrare un atto magico, per il risveglio nazionale dell’Egitto». Si tratta di un’élite che «lavora anche sul piano “sottile” e pratica ancora la teurgia, cioè l’arte di comunicare con le divinità». Non pensiate – assicura Martini – che la cosa sia sfuggita, ai “signori del Covid”: «Queste sono operazioni molto temute, da chi vuole nascondere certe cose». L’oligarchia ostile è avvisata: contro i nemici, ora l’Egitto schiera i suoi faraoni.Attenti all’Egitto: ora riesuma i suoi antichi faraoni, per far rinascere lo spirito nazionale. E lo fa con una gigantesca kermesse, che rivela due intenti: scrollarsi di dosso un certo globalismo-canaglia, quello che ha imposto il “panico Covid” nella sua agenda, e al tempo stesso “resuscitare” l’antico culto egizio, quello della civiltà delle piramidi ereditata dai Figli delle Stelle, per avvertire quella élite che ancora oggi, segretamente e in modo inconfessabile, sembra devota alle divinità mesopotamiche (Moloch) declinate in modo pericolosamente anti-umano. E’ la lettura che Matt Martini fornisce della grandiosa “Pharaohs’ Golden Parade” andata in scena il 3 aprile al Cairo, per il trasferimento di 22 salme regali, trasportate dal museo egizio della capitale al museo nazionale della civiltà egizia a Giza, proprio all’ombra della Sfinge. Senza nascondere i tratti «anche un po’ kitsch» della “Parata d’oro dei faraoni”, Martini – esperto di orientalistica e co-autore del saggio “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale – avverte: siamo in presenza della volontà (esibita) di far “risorgere” l’Egitto, interpretato come erede di divinità venute dal cielo, “richiamate in servizio” per soccorrere la Terra, caduta in preda agli eccessi del mondialismo più criminale.
-
Italiani paurosi e sottomessi: grazie al traditore Manzoni
I “Promessi sposi” sono l’esempio della corruzione dell’intellettuale italiano e del suo trasformismo, che io considero uno dei nostri grandi cancri. All’età di vent’anni, Manzoni era un “sessantottino”: era un grandioso sostenitore, fanatico, di Napoleone Bonaparte e del bonapartismo. Era fautore della fondazione, laica, degli Stati Uniti d’Europa. Era anticlericale, massone, libertino: aveva fondato il movimento dei libertini di Milano. Era un grande agitatore della scena culturale, e comincia ad avere guai con la polizia: viene arrestato quattro volte, si fa qualche settimana di carcere, finché non incontra l’arcivescovo di Milano. Dopo l’incontro con l’arcivescovo, che avviene di giovedì, si chiude in casa. E il lunedì scrive una lettera in cui dice che, nel corso del weekend, ha visto la Madonna. Gli è apparsa, gli ha parlato: gli ha detto che lui stava sulla strada sbagliata, perché la salvezza sta nella Chiesa, nel rispetto della legge di Cristo, nel matrimonio come sacramento, ed enuncia tutti i principi-base della Chiesa cattolica. Così, comincia a pubblicare. E gli commissionano un libro, garantendogli che avrà il supporto di tutta la struttura di potere della cultura italiana.Quel libro dovrà avere come perno la famiglia e l’amore matrimoniale tra i giovani, e però allo stesso tempo deve far capire quant’è pericolosa, la politica. In quel periodo cominciava infatti a svilupparsi la lotta risorgimentale, quella che lo stesso Manzoni avrebbe voluto vivere come biografia. La Chiesa invece gli commissiona di scrivere un libro descrivendo quanto sarebbe stato pericoloso, fare quelle cose. Lui riesce a convincerli che ambienterà il tutto nel Seicento, così avrebbe sempre potuto dire che parlava di un’altra epoca, non della sua. E così scrive i “Pomessi sposi”. E’ lui, che si è insinuato diabolicamente nelle menti di tutti, per devastarci con le sue ossessioni, con le sue paure cretine; per insegnarci a stare a casa, correndo dietro a una stronzetta come Lucia. Com’è bello, invece, parlare agli sconosciuti, mettersi nei tumulti, cercarli, crearli; andare in piazza a prendersi il pane quando non c’è; chiavare, a dispetto dei voti consacrati. E invece, tutti ci sono cascati. Per tanti anni, ci siamo cascati come pere cotte.Un’idea geniale, quella di Manzoni, pagato chissà quanto per inscenare questa mostruosità. E’ tutta colpa sua: è tutta colpa di Renzo Tramaglino, propinato dall’infanzia insieme al plasmon nelle tettarelle, nei biscottini (cioccolata e Renzo). Alle scuole medie, carne e Renzo Tramaglino. Al liceo, trigonometria e Renzo. Lucia per me è una cretina, una donnetta: è il simbolo della donnetta. E Renzo è un deficiente. E’ uno che dice frasi come: «Ho imparato a non mettermi nei tumulti, ho imparato a non parlare mai con gli estreanei. Ho imparato finalmente a non fidarmi di nessuno». E’ la consacrazione del cinismo e dell’opportunismo. Ci hanno convinti. Ci vogliono ulteriormente convincere che non bisogna più mettersi nei tumulti, che non bisogna parlare agli sconosciuti. E’ stato Manzoni che ci ha regalato e insegnato il sospetto, la difidenza, il cinismo, l’odio. E così tutti a casa, chiusi, tappati dentro come bestie da soma a lavorare, senza rivolgere mai la parola a chi non si conosce più che bene. Sospettare di tutti, anche di se stessi. Vivere nella paura, nel terrore quotidiano. Imparare a vivere in guerra: ecco cosa ci hanno dato, cosa ci hanno insegnato.(Sergio Di Cori Modigliani, estratto dal video “Manzoni ha rovinato l’Italia?”, pubblicato su YouTube l’11 febbraio 2021. Accanto alle dichiarazioni di Mogliani, il video contiene estratti – letti dalla bibliotecaria Manuela De Noia – dal volume “Sarà per un’altra volta”, uscito per Savelli nel 1978 e poi ripubblicato da Aras nel 2019).I “Promessi sposi” sono l’esempio della corruzione dell’intellettuale italiano e del suo trasformismo, che io considero uno dei nostri grandi cancri. All’età di vent’anni, Manzoni era un “sessantottino”: era un grandioso sostenitore, fanatico, di Napoleone Bonaparte e del bonapartismo. Era fautore della fondazione, laica, degli Stati Uniti d’Europa. Era anticlericale, massone, libertino: aveva fondato il movimento dei libertini di Milano. Era un grande agitatore della scena culturale, e comincia ad avere guai con la polizia: viene arrestato quattro volte, si fa qualche settimana di carcere, finché non incontra l’arcivescovo di Milano. Dopo l’incontro con l’arcivescovo, che avviene di giovedì, si chiude in casa. E il lunedì scrive una lettera in cui dice che, nel corso del weekend, ha visto la Madonna. Gli è apparsa, gli ha parlato: gli ha detto che lui stava sulla strada sbagliata, perché la salvezza sta nella Chiesa, nel rispetto della legge di Cristo, nel matrimonio come sacramento, ed enuncia tutti i principi-base della Chiesa cattolica. Così, comincia a pubblicare. E gli commissionano un libro, garantendogli che avrà il supporto di tutta la struttura di potere della cultura italiana.
-
Il piano: noi, Mario Draghi e il grande cimitero dei sogni
E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.Non sono facili da ricordare, i nomi degli abitanti del piccolo acquario zoo-politico nazionale: si tratta di esemplari comuni di ittiofauna minore e destinata a estinguersi senza lasciare traccia, pur avendo ingombrato le televisioni con la loro non-politica regolarmente emergenziale, vuota e cieca, orientata solo dagli umori volatili dai sondaggetti settimanali. Un copione sempre più increscioso ma in voga da decenni, cioè sin da quando i sogni sparirono dalla politica e finirono, uno dopo l’altro, nel loro speciale cimitero. Il primo grande ospite del mausoleo, secondo Bob Dylan, si chiamava John Kennedy: se viene ucciso come un cane l’Imperatore del Mondo, significa che il piano è partito da molto in alto, e con l’intento di fare moltissima strada. Del resto, un killer lo si trova sempre. E il piano dispone di un intero armadio di passaporti: da quello del Cile, dove assassinare Salvador Allende, a quello della Svezia, il paese in cui freddare il primo ministro Olof Palme sorpreso sottobraccio alla moglie, all’uscita di un cinema, come un cavaliere senza scorta. Un leader a cui non piaceva, la piega che stavano prendendo gli eventi: troppe ingiustizie, troppe bugie.Il piano eliminò il grande sindacalista panafricano Thomas Sankara, profeta della sovranità economica grazie a cui il continente nero avrebbe smesso di essere preda di razziatori e terra di emigranti. Nel cimitero lo seguì l’eroe di guerra Yitzhak Rabin, trasformatosi in campione della pace per spegnere un incendio durato mezzo secolo, usato come alibi da tutti gli incendiari, sotto qualsiasi bandiera. Il piano si era messo a correre, quando Bill Clinton aveva liberato da ogni vincolo la finanza speculativa, cancellando il Glass-Steagall Act con il quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari dal credito ordinario. L’appetito degli arconti si fece smisurato: sfrattarono Gorbaciov e fecero un sol boccone della Russia, ma ancora non bastava. C’erano due torri, gemelle, da buttare giù: soffiò così forte, il Re dei Venti, da abbatterne anche una terza, neppure sfiorata da alcun aereo. Bastò a lordare di guerra mezzo mondo, inventando terrorismi tragicamente sanguinosi e pronti a fare strage persino nel cuore dell’Europa, il continente nel frattempo sottomesso con il più antico degli stratagemmi, il monopolio privato del denaro un tempo pubblico.In realtà, il germe primitivo del piano potrebbe essere antichissimo, stando alle memorie del plenipotenziario vaticano Giacomo Rumor, raccolte dal figlio Paolo nel saggio “L’altra Europa”: un’unica filiera scelta per esercitare un potere pressoché dinastico, ereditato addirittura 12.000 anni fa nella terra dei Sumeri, dai misteriosi rifondatori del pianeta. E architettato per dominare – attraverso regni, imperi e religioni, fino alla politica moderna – l’intera umanità post-diluviana, quella che ieri ascoltava il verbo di Greta Thunberg e oggi ha appena finito di assistere allo spettacolo madornale dell’elezione notturna di Joe Biden, dopo aver sentito raccontare che la peste del millennio sarebbe stata trasmessa all’uomo da un maledetto pipistrello. Non si scherza, coi signori del piano: una delle tombe più famose, nel cimitero dei sogni, è quella di Ernesto Che Guevara. E’ a due passi da quella di un altro comunista, Patrice Lumumba, fatto assassinare dal mercenario Moise Ciombé. Si può morire da idealisti, ma la mano del killer non risparmia nemmeno chi ha creduto di proteggersi ricorrendo anche al più spietato cinismo: ne sa qualcosa Muhammar Gheddafi.Poco importa che gli ordini vengano da Ur o da Washington, da Tel Aviv o da Betlemme, da Teheran o da Pechino: dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai, che il piano non ha patria. Vuole il mondo, e non da oggi. Lo vuole a qualsiasi costo: ieri facendo morire anche i bambini, in Grecia, rimasti senza medicine, e ora costringendo miliardi di individui a vivere nel terrore, faccia a terra, rinunciando per sempre alla loro relativa libertà. Quando accade qualcosa di mostruoso, il monitor va regolarmente fuori fuoco: lo racconta in modo impareggiabile Dino Buzzati, evocando un nemico incombente – i tartari – che in realtà non si vedono mai. Dove siamo finiti, se siamo arrivati al punto in cui è vietato pensare? Dove siamo, se – per decreto – è vietato anche respirare? Non avrai altro orizzonte che il mio vaccino, dice l’intruso che si è impadronito del pianeta con l’aiuto dei consueti avventurieri, a loro agio tra Wuhan e Parigi, New York e Riad. Dove siamo, se i cosiddetti social media tolgono la parola al presidente degli Stati Uniti, nell’agghiacciante indifferenza di giornali, televisioni e magistrati?Qui, siamo: nel cimitero dei sogni. Che però non è deserto, come potrebbe sembrare. C’è chi passeggia, in piena notte, tra quelle sepolture. Cammina e medita: sa che il piano non è una fantasia, purtroppo, ma non è neppure l’unico. Non c’è mai un solo piano, ce ne sono svariati. E non è detto neppure che i grandi decisori siano così unanimi, nell’attuare quello che appare il disegno dominante, coi suoi risvolti francamente tenebrosi. La storia – scrisse Montale – non è poi la devastante ruspa che si dice: lascia sottopassaggi, cripte, nascondigli. E’ bene non dimenticarlo mai, specie quando il cielo è così minaccioso da far temere il peggio, in mezzo alla desolazione di una dismisura che sembra irreparabile, letteralmente inaffrontabile come una misteriosa malattia, una peste terminale da fine della storia. Qualcuno può farlo deragliare, il piano, senza però che lo si sappia in giro: provvederanno i soliti storyteller, a piccole dosi, a somministrare caramelle ai bambini, il bacio della buonanotte. Si tratta anche di non turbarla troppo, la pace mortale dell’acquario: tutti quei pesci devono continuare a poter fingere di esistere.Smisero, i loro nonni – come ricorda Paolo Barnard – quando i grandi azionisti del piano scomodarono l’avvocato d’affari Lewis Powell, perché approntasse un vademecum. Istruzioni precise, su come intrappolare i sognatori in entrambi i modi, cioè stroncando brutalmente gli irriducibili e comprando tutti gli altri, uno alla volta. Nel mappamondo, la piccola Italia restava un osso duro: c’era da demolire l’Iri, il maggiore aggregato industriale dell’intera Europa, motore (pubblico) del ruggente boom privato. C’era da lavorare molto, per fabbricare una prigione scintillante, senza democrazia, i cui ospiti – italiani e francesi, tedeschi e inglesi – ricominciassero a guardarsi in cagnesco, facendosi le scarpe. C’erano narrazioni favolose, da inventare: sommi tecnocrati, filibustieri e capitani coraggiosi, tutta una classe politica da mandare al macero, o in esilio in Tunisia. C’erano eroi di latta, da lanciare in pista, a dire a tutti: rassegnatevi, d’ora in avanti avrete sempre di meno. E giù applausi scroscianti, anche se poi – incidentalmente – il tritolo disintegrava i giudici antimafia.Quando il fiato si è fatto pesante, sono arrivati infine i saltimbanchi a recitare le loro parodie, le piccole rivoluzioni da operetta. Gli hanno lasciato la scena, per qualche tempo, gli uomini del piano. Ma, al segnale convenuto, hanno ripreso il controllo e accelerato, spingendosi ben oltre l’immaginabile: segregazione obbligatoria e coprifuoco, come in guerra, grazie allo zelo di opportune marionette. Nessuna terapia: il copione prescrive la paura, come medicina unica. E il risultato – l’obbedienza – deve aver sbalordito gli stessi strateghi dell’azzardo: al punto da incoraggiarli a non avere più freni, osando l’inosabile, nel progettare il nuovo inferno per le pecore. Deve saperlo, chi cammina fra le tombe: non sarà facile trovare le parole per cambiare il piano. Serviranno trucchi, l’artificio creativo dell’affabulazione. Non c’è altro linguaggio, alla portata dell’acquario: bisognerà giocare con le stesse antiche frottole, riconvertendole in qualcosa di spendibile, titoli e slogan per l’eventuale nuova era, dando tempo ai frastornati e ai creduloni. Armarsi di pazienza è l’unico sistema, per chi davvero vuol provare a fare uscire i sogni dal loro cimitero.(Giorgio Cattaneo, 5 febbraio 2021)E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.
-
Magaldi: tribunali speciali per chi vuole il Natale del Diavolo
«Saranno tribunali speciali, un giorno non lontano, a processare i veri responsabili della strage Covid: corti speciali, perché non s’era mai visto che si istituisse lo “stato di guerra” in tempo di pace. Un atto abusivo, imposto terrorizzando la popolazione, sospendendo la libertà e cessando di curare in modo adeguato i pazienti gravi, affetti da altre patologie». E’ durissimo, Gioele Magaldi, nel prendere nota dell’ennesima “previsione” apocalittica del ministro Roberto Speranza e del suo consulente, Walter Ricciardi. Avverte il presidente del Movimento Roosevelt: «I registi di questa crisi, progettata dall’oligarchia massonica mondiale per comprimere libertà e democrazia con l’alibi dell’emergenza sanitaria, possono godersi gli ultimi scampoli di questo loro strapotere: saranno spazzati via e giudicati severamente per quello che hanno fatto». Pessima idea, poi, quella di “negare” agli italiani anche il Natale, con le grottesche restrizioni ulteriormente imposte per privare le famiglie del piacere di un abbraccio, persino nel giorno più sacro per i cattolici. «Quello del 2020 – scandisce Magaldi – sarà un “Natale del Diavolo”, disgregatore di una società spaventata e ridotta al silenzio. Peggio per chi l’ha voluto, comunque: farà capire agli italiani di cosa sono capaci, questi mascalzoni, e fin dove si può arrivare contiuando a obbedire ai loro diktat».Magaldi si rammarica della latitanza assoluta del Vaticano, che non ha fiatato neppure di fronte al divieto di celebrare la tradizionale messa di mezzanotte: «Dov’è finito – si chiede – l’eroismo dei primi cristiani, che un tempo non temevano di farsi sbranare dai leoni? Quei coraggiosi non tremavano – aggiunge Magaldi – perché credevano nell’insegnamento di Cristo, e quindi avevano imparato a non avere paura della morte. E adesso i loro eredi se la fanno sotto anche solo per un’influenza o per una multa? Ma che razza di cristiani sono?». Deludente, per Magaldi, anche l’iniziativa del centrodestra, che spera di strappare a Conte almeno la concessione (per il giorno di Natale) della minima libertà di movimento tra Comuni limitrofi. «Che pena: sembra una richiesta formulata da criceti e rivolta ad altri criceti, a cui pare basti allargare un po’ le dimensioni della gabbia». Ci vuole ben altro, secondo Magaldi, per uscire da questo incubo: «Ci aspettano tre anni di resistenza e durissime battaglie, che apriranno gli occhi a chi ancora non ha capito in quale trappola siamo finiti, grazie a un alibi subdolo come quello della cosiddetta pandemia».Dal canto suo, il Movimento Roosevelt annuncia per il 17 febbraio 2021 il debutto “rivoluzionario”, a Roma, della Milizia Rooseveltiana: «Sfideremo in modo plateale il potere abusivo di questi cialtroni, e lo faremo nell’anniversario della morte di Giordano Bruno, arso vivo sul rogo per aver risvegliato la coscienza del mondo, nel nome di quella libertà che oggi i “signori del Covid” vorrebbero toglierci». Esponente del circuito massonico progressista internazionale, l’autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) punta il dito anche contro l’inaudita censura operata da Facebook, che ha preso a oscurare post critici: nei confronti della gestione Covid e in particolare dei vaccini che si vorrebbero imporre. «Non credano, costoro, di poter calpestare la libertà di espressione: sfideremo in tribunale Facebook Italia». Magaldi annuncia «una class action, coordinata dal Sostegno Legale del Movimento Roosevelt: inviteremo a parteciparvi tutti gli utenti che sono stati danneggiati dall’inaudito “bavaglio” imposto dal social media, che si crede al di sopra della legge».Rincara la dose Magaldi: «Non pensino, i gestori del social, di poter incolpare l’automatismo degli algoritmi: so benissimo che gli stessi algoritmi sono progettati da “fratelli” che hanno un’identità precisa». Chiara, in questo caso, l’allusione a massoni “rinnegati”, sospettati di manipolare il social network. Quella annunciata da Magaldi sembra una battaglia destinata a fare rumore: presto, dice, fornirà dettagli anche «sulla reale identità di Mark Zuckerberg», che definisce «presunto fondatore di Facebook», lasciando intuire il ruolo di una certa intelligence e di precisi circoli massonico-reazionari alle spalle del social media più diffuso sul pianeta. «Ma l’avete visto, il grande Zuckerberg, sottoposto a interrogatorio, negli Usa? Sembrava un pulcino bagnato, non certo il formidabile genio che l’immagine fornita dai media gli ha cucito addosso». Aggiunge Magaldi: anche la censura di Facebook, «inaccettabile in un paese democratico», fa parte del piano neo-aristocratico che è alle spalle dello stesso Covid: «Non si era mai visto, nella storia dell’umanità, che il mondo potesse essere fermato da un virus influenzale».L’obiettivo finale sarebbe il cosiddetto “Great Reset”, cioè «la trasformazione della popolazione in una massa impaurita e sottomessa, privata anche della sua libertà economica». Magari, un giorno ci sarebbe pure il “reddito universale” per tutti: briciole, per la mera sussistenza. Ma a che prezzo? Facile previsione: «La completa sottomissione della popolazione, non più composta da liberi cittadini ma da sudditi». A proposito: gli italiani sembrano volersi “portare avanti col lavoro”, rassegnati come sono a subire ormai qualunque sopraffazione, compresa quella natalizia. Magaldi non fa sconti neppure ai connazionali: «Proprio la loro arrendevolezza di fronte ai diktat di Conte – i lockdown, il coprifuoco, le zone rosse – incoraggerà i gestori dell’emergenza nel varare restrizioni sempre peggiori: e se non basterà il Covid, vedrete che avremo presto a che fare con un altro virus». Il leader “rooseveltiano” invita apertamente alla ribellione: «I cittadini devono capire che devono fare resistenza adesso, ogni giorno, contro gli abusi del governo: solo così sarà possibile smascherare i prestanome del governo, che agiscono obbedendo a un disegno che punta a far precipitare l’intero Occidente in una condizione dittatoriale, come quella della Cina».Lo stesso Magaldi era stato il primo a “profetizzarlo”, quasi un anno fa: «Vedrete, la Cina sarà la prima a uscire “magicamente” dall’emergenza, e la prima ad avvantaggiarsene a livello economico e geopolitico». Un grande “affare”, il Covid? «E’ frutto di menti raffinatissime: le stesse che, da mezzo secolo, cercando di portarci via la democrazia. Per farlo, non esitano a utilizzare il sistema-Cina (e il virus) come arieti per il Grande Reset al quale puntano». Il presidente “rooseveltiano” è categorico: «Contro questi nemici della democrazia dovremo batterci duramente, ma alla fine vinceremo: l’umanità non potrà accettare il loro mostruoso ricatto». Già, ma molti italiani ancora “dormono”: si illudono che basti avere ancora un po’ di pazienza, in attesa che la bufera passi. Non hanno ancora capito che l’emergenza è stata scatenata ad arte, e durerà quanto basta: l’obiettivo è imporre il piano degli oligarchi. «Ci aspettano tre anni di battaglie, ma alla fine vinceremo», pronostica Magaldi, sicuro di sé. E intanto, da subito, gli avvocati del Movimento Roosevelt metteranno nel mirino Facebook: «Porteremo alla sbarra il social network, convinti di ottenere giustizia: siamo in Italia, e non consentiamo a nessuno di calpestare la legge, per impedire che emerga tutta la verità sulla scandalosa gestione dell’emergenza Covid».«Saranno tribunali speciali, un giorno non lontano, a processare i veri responsabili della strage Covid: corti speciali, perché non s’era mai visto che si istituisse lo “stato di guerra” in tempo di pace. Un atto abusivo, imposto terrorizzando la popolazione, sospendendo la libertà e cessando di curare in modo adeguato i pazienti gravi, affetti da altre patologie». E’ durissimo, Gioele Magaldi, nel prendere nota dell’ennesima “previsione” apocalittica del ministro Roberto Speranza e del suo consulente, Walter Ricciardi. Avverte il presidente del Movimento Roosevelt: «I registi di questa crisi, progettata dall’oligarchia massonica mondiale per comprimere libertà e democrazia con l’alibi dell’emergenza sanitaria, possono godersi gli ultimi scampoli di questo loro strapotere: saranno spazzati via e giudicati severamente per quello che hanno fatto». Pessima idea, poi, quella di “negare” agli italiani anche il Natale, con le grottesche restrizioni ulteriormente imposte per privare le famiglie del piacere di un abbraccio, persino nel giorno più sacro per i cattolici. «Quello del 2020 – scandisce Magaldi – sarà un “Natale del Diavolo”, disgregatore di una società spaventata e ridotta al silenzio. Peggio per chi l’ha voluto, comunque: farà capire agli italiani di cosa sono capaci, questi mascalzoni, e fin dove si può arrivare contiuando a obbedire ai loro diktat».
-
Green Deal, maxi-raggiro: raddoppia la razzia della Terra
Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali. Un commentary uscito su “Nature Geoscience” pochi anni fa stima che, solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale. Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti. Per fare un esempio, in un giacimento di rame, mediamente il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia. Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno. Ma non basta.Come si produce l’alluminio? Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti, sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica). E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti. Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 Twh l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 Twh l’anno di energia fossile in più. E non è finita qui. Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti, le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal, avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo. È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil. L’Onu, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe: serviranno moltissime risorse naturali in più. Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: “Pnas”, “Science”, “Nature”.Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”, da “Le Scienze” alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto, così enorme e così contraddittorio. La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no. Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma. Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni. Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia, si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare (una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale).La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande. Su “Econopoly” ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19 mettesse in luce che la scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media (sul clima impazzito ascoltate gli scienziati: ok, ma quali?). In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde” si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali. Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani: per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più, distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua, spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali. Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse: la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo. Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche. Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale. Ci sono altre soluzioni? La temperatura continua ad aumentare, non possiamo fare finta di niente. Certo che ci sono altre soluzioni. E di nuovo, ci si scontra con il muro di gomma della divulgazione: l’opinione pubblica è stata convinta che non ci siano altre strade ma in realtà non è così. Prendiamo un caso esemplare: la Cattura Diretta in Atmosfera (Dac). La cattura diretta è una tecnologia dall’apparenza pionieristica, ma in realtà molto semplice, che permette di separare l’anidride carbonica dall’aria. Niente di fantascientifico, esistono decine di impianti pilota perfettamente funzionanti in tutto il mondo.Genericamente questa tecnologia viene ridicolizzata in quanto molto costosa: i risultati certificati a livello scientifico si attestano su un costo minimo di 94 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Oggettivamente, un costo non indifferente dato che ne emettiamo quasi 37 miliardi di tonnellate l’anno. Chiunque faccia notare che stiamo parlando dei dati relativi a un impianto pilota, molto piccolo, e che in un impianto di grandi dimensioni i costi potrebbero essere già ora molto più bassi, viene accusato di pensiero magico, nonostante il potenziale delle economie di scala sia noto e facilmente misurabile. Oltretutto, si pretende che la cattura diretta competa con le rinnovabili senza beneficiare di incentivi pubblici, mentre le rinnovabili vengono generosamente sussidiate. Beh, la cosa curiosa è che le stime attuali sui costi della “rivoluzione verde” si aggirano intorno ai 5.000/6.000 miliardi l’anno, mentre catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera a 94 dollari la tonnellata (ripetiamolo: un costo irragionevolmente gonfiato immaginando un impiego su larga scala) costerebbe “solo” 3.000 miliardi l’anno! È veramente difficile capire come si possa definire la cattura diretta costosa, appoggiando contemporaneamente una soluzione che costa il doppio.Da non dimenticare, poi, come sottolinea proprio “Nature”, che la cattura diretta ha un vantaggio fondamentale rispetto a tutte le altre soluzioni: minimizza l’incertezza, aggredisce il nocciolo del problema. Da una parte parliamo di ridurre l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera attraverso complessi meccanismi culturali e sociali, dall’altra di toglierla direttamente con una tecnologia. Ancora più curioso è il caso della riforestazione e dell’agricoltura rigenerativa (da non confondere con l’agricoltura biologica o biodinamica: parliamo di agricoltura intensiva con rese superiori a quella chimica tradizionale), due opzioni perfettamente ecosostenibili che ci permetterebbero di tamponare rapidamente il problema del cambiamento climatico, con un dispendio di risorse limitato e ricadute socioeconomiche allettanti. Eppure, le iniziative in questa direzione sono continuamente sotto il fuoco degli scienziati, dei divulgatori e degli attivisti green. Un paradosso. L’accusa è spiazzante: l’adozione di queste soluzioni potrebbe rallentare la transizione verso le energie rinnovabili.Ma l’obiettivo finale di questo gigantesco sforzo è mettere al sicuro il pianeta dall’incertezza climatica oppure far fare un mucchio di soldi alla lobby delle energie rinnovabili? Oramai è diventato molto difficile capirlo. Elon Musk è indubbiamente un imprenditore brillante, un genio del nostro tempo, ma non per questo ci dobbiamo sentire obbligati a versargli 1.000/2.000 miliardi di dollari l’anno, generosamente irrorati da fondi pubblici che togliamo alla sanità o all’educazione, solo per fare due esempi. Sarebbe bello poter chiosare, come d’altronde va molto di moda in questi tempi, dicendo che è sempre più importante studiare, informarsi, approfondire, perché ne va del nostro futuro. Ma se a monte c’è un filtro che seleziona quali informazioni devono arrivare ai media e quali no, questo diventa solo l’ennesimo esercizio di stile altezzoso e inconcludente. «Va notato che l’Ipcc nel suo quinto rapporto, coerentemente con tutte le precedenti relazioni di valutazione, non affronta esplicitamente la questione delle implicazioni materiali degli scenari di sviluppo climatico» (World Bank).(Enrico Mariutti, “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?”, dal “Sole 24 Ore” dell’11 novembre 2020; l’articolo è pubblicato nel supplemento “Econopolis”. Ricercatore e analista in ambito economico ed energetico, nonché autore de “La decarbonizzazione felice”, Mariutti è il “founder” della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Isag, Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie).Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.
-
Brogli, l’élite trema: crolla il sistema, se la spunta Trump
Il canale YouTube “Investire da zero” ipotizza sviluppi potenzialmente sconvolgenti, per le presidenziali americane del 3 novembre. Al termine della notte elettorale, Trump era in vantaggio in tutti gli Stati-chiave, e quindi poteva contare su un numero sufficiente di grandi elettori per essere riconfermato alla Casa Bianca. Poi, il voto per posta e il prosieguo dei conteggi (che si erano interrotti) ha invece capovolto la situazione, a favore di Biden, proprio in quegli Stati. Tra il 5 e il 6 novembre, Trump ha presentato ricorso in 6 Stati (Pennsylvania, Nevada, Georgia, Michigan, Wisconsin e Arizona) denunciando brogli e irregolarità tali da invalidare i risultati. In realtà, secondo Trump, si sarebbe alterato il voto anche in diversi altri Stati, anche se in modo non determinante. Gli Stati-chiave hanno rigettato la revisione richiesta di Trump, con la sola eccezione della Georgia (dove il distacco tra i due candidati era risultato millimetrico). Sembrava quindi una pessima notizia, per Trump: come se si dovesse rassegnare a vedere Biden alla Casa Bianca. Invece, le cose potrebbero stare in maniera diametralmente opposta. E cioè: è possibile che Trump avesse tutto l’interesse a veder rifiutate le sue richieste di riconteggio nei singoli Stati, perché solo così è possibile accedere alla Corte Suprema.
-
“Ho ucciso per molto meno”: la pandemia vista da Rasputin
«Ho ucciso per molto meno», è il refrain del sulfureo Rasputin nelle storie di Corto Maltese, pensate e disegnate dal genio iniziatico di Hugo Pratt. Quante volte saremmo stati “uccisi per molto meno”, ultimamente? Per una questione di decimali, il Berlusconi distratto dalle “cene eleganti” fu ricattato con lo spread e detronizzato brutalmente. Oggi, l’accelerazione esponenziale del famosissimo debito pubblico farebbe impallidire quello di allora, presentato come pietra tombale del sistema-paese. A ruota, Madame Fornero s’incanaglì – con tanto di lacrime di coccodrillo preventive – contro gli anziani lavoratori esausti, a fine corsa, trasformando l’agognata pensione in un miraggio inafferrabile. E ora? S’è perso il conto delle deroghe alle restrizioni imposte al welfare: le facce di latta dell’Unione Europea, i Guardiani del Rigore, hanno svelato che i divieti (presentati allora come limiti assoluti, fisiologicamente invalicabili) sono invece mere convenzioni politiche: tranquillamente stracciabili, all’occorrenza. «Ho ucciso per molto meno», ringhierebbe Grigorij Rasputin, anche di fronte all’ultimo dogma platealmente crollato: che fine avrebbe fatto, il Salvini che straparlò di “pieni poteri”, se avesse osato impugnare anche solo il 10% dei poteri (pienissimi) esercitati in modo ferreo dal mini-premier venuto dal nulla e mai votato da nessuno?La prima cosa che noterebbe, il vecchio Rasputin, è la labilità della nostra memoria, purtroppo cortissima. Davvero è così facile raccontarci qualsiasi storia? Quella della cosiddetta pandemia, com’era prevedibile, ha cancellato in un battibaleno tutte le altre. Ulteriore prodigio, grazie al sapiente uso della paura – maneggiata manipolando i numeri reali della crisi sanitaria – la narrazione corrente non ha spento solo le memorie, ma anche molte altre risorse umane, legate alle capacità collettive di raziocinio. Se ne ricava uno spettacolo spaventoso, il peggiore possibile: da un lato la sceneggiatura omette in modo sistematico l’esistenza delle terapie ormai praticate con successo, dall’altro la platea seguita a dividersi in opposte tifoserie, il plaudente “popolo delle mascherine” contro gli “irresponsabili” che osano protestare, declassati al rango di dementi “negazionisti”. La canzone in voga ormai un secolo fa era semplicissima: “Io resto a casa”. La si cantava da migliaia di balconi, in soave letizia, come se si trattasse di una faccenda di qualche settimana: la classica quarantena. Poi si vide che il copione fiduciosamente illustrato era tutt’altro che attendibile: paura e speranza non erano esattamente gli ingredienti adatti a uscire dai guai. Semplice imperizia italica o colossale imbroglio, cinicamente progettato lontanissimo dai soliti palazzi?«Ho ucciso per molto meno», ripeterebbe il nerissimo “Raspa”, di fronte al devastante show planetario: la reticenza dei sapienti e la censura imposta agli scienziati dissidenti, il bavaglio alle verità scomode (vulgo, “fake news”), l’apparente stato confusionale della politica, i governi in bambola. E le moltitudini annientate nella loro dignità ordinaria di studenti, lavoratori ed esercenti, imprenditori, pensionati, esseri umani. Cittadini del mondo trasformati in pecorelle da zittire, causa forza maggiore, non si sa fino a quando, nell’attesa vagamente umoristica di un vaccino salvifico, sfuggente come la genetica mutevole del virus Rna. Forse, quello che va accadendo inesorabilmente lo si vedrebbe meglio dalla Luna, con un telescopio: la devastazione planetaria finirà per spalancare, uno alla volta, tutti gli occhi che ancora si ostinano a fissare solo l’indice puntato verso il cielo? Alla fine, il senso degli oscuri avvenimenti in corso servirà a riconquistare l’accesso a una nuova dimensione terrestre, orientata dalla luce? In altri termini: era “necessario” un infarto globale di questa portata, per mostrare all’intera famiglia umana l’inderogabile urgenza – a quale prezzo, lo si comincia a vedere – di gettare nella spazzatura il vecchio mondo?E’ nel naufragio, spiega Coleridge, che l’umana stirpe offre sempre il peggio di sé. Quale esito sortirà, dunque, questo naufragio così ferocemente inquinato dalla follia di tante dicerie? Davvero c’è chi crede ancora all’incidente, alla fatalità malata di una piaga senza soluzioni? Davvero c’è chi ancora pensa che, domani, il mare tornerà tranquillo e il campionato ricomincerà? Di fronte agli scettici, Giulietto Chiesa ripeteva: non crediate che un collasso del pianeta non sia da prendere in considerazione, pensate solo a cosa dev’esser stato, all’epoca, il crollo dell’Impero Romano. Negli ultimi decenni c’era chi temeva seriamente per la tenuta dell’ecosistema, e un giorno s’è trovato di fronte la piccola Greta. C’era chi paventava il pericolo di guerre nucleari, e invece ha dovuto fare i conti con terroristi esotici, gente con il turbante e il Rolex d’oro al polso. Altri ancora, inascoltati, segnalavano la stranissima insistenza, da parte di famosi personaggi, sull’improvvisa necessità di un trattamento sanitario obbligatorio, universale, reso letteralmente inevitabile da un’imminente pandemia. Se fosse come Astolfo a cavalcioni della Luna, riuscirebbe l’immortale Rasputin a recitare, ancora – persino da lassù – quella sua mitica battuta, che sembra scritta oggi. Davvero siete conciati così male? Per molto meno – direbbe il furfante – io avrei messo mano alla pistola. E non mi dite, aggiungerebbe, che non è colpa vostra, se non sapete più a chi credere.(Giorgio Cattaneo, “Ho ucciso per molto meno: la pandemia vista da Rasputin”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 ottobre 2020).«Ho ucciso per molto meno», è il refrain del sulfureo Rasputin nelle storie di Corto Maltese, pensate e disegnate dal genio iniziatico di Hugo Pratt. Quante volte saremmo stati “uccisi per molto meno”, ultimamente? Per una questione di decimali, il Berlusconi distratto dalle “cene eleganti” fu ricattato con lo spread e detronizzato brutalmente. Oggi, l’accelerazione esponenziale del famosissimo debito pubblico farebbe impallidire quello di allora, presentato come pietra tombale del sistema-paese. A ruota, Madame Fornero s’incanaglì – con tanto di lacrime di coccodrillo preventive – contro gli anziani lavoratori esausti, a fine corsa, trasformando l’agognata pensione in un miraggio inafferrabile. E ora? S’è perso il conto delle deroghe alle restrizioni imposte al welfare: le facce di latta dell’Unione Europea, i Guardiani del Rigore, hanno svelato che i divieti (presentati allora come limiti assoluti, fisiologicamente invalicabili) sono invece mere convenzioni politiche: tranquillamente stracciabili, all’occorrenza. «Ho ucciso per molto meno», ringhierebbe Grigorij Rasputin, anche di fronte all’ultimo dogma platealmente crollato: che fine avrebbe fatto, il Salvini che straparlò di “pieni poteri”, se avesse osato impugnare anche solo il 10% dei poteri (pienissimi) esercitati in modo ferreo dal mini-premier venuto dal nulla e mai votato da nessuno?
-
La più bella battuta sull’Italia? Saremmo un paese “serio”
Ma davvero l’Italia di oggi è un modello di serietà per il mondo intero, come sostiene il presidente Mattarella nella stizzosa replica al premier britannico, conservatore e amante dell’Italia, Boris Johnson? Mattarella avrebbe potuto vantare l’ingegno italiano, la laboriosità di tanti suoi cittadini, la gloriosa civiltà su cui siamo seduti, la bellezza dei borghi, dei centri storici e della natura, il genio creativo dell’arte e della musica, gli eroi e i navigatori, Dante, le grandi scoperte scientifiche, il made in Italy, la fortuna che gli italiani hanno fatto nel mondo grazie alla loro bravura, la generosità e l’allegria del suo popolo e mille altre cose. Ma ritenere che il tratto distintivo dell’Italia sia, soprattutto oggi, la serietà significa ridicolizzare la difesa dell’Italia, non farsi prendere sul serio, continuare il filone tragicomico che è oggi al potere. Ma si rende conto Mattarella che noi siamo l’unico paese al mondo in cui un governo contro Salvini e i suoi accoliti è guidato dalla stessa persona che guidava un governo fondato su Salvini e i suoi accoliti?Lo sa che, a differenza del premier britannico che ha fatto una lunga scalata tra prove di governo ed elettorali, il nostro premier è nato sotto un cavolo, l’ha portato Amazon o la cicogna, già cellofanato con la pochette nel taschino, per governare il paese? Si rende conto Mattarella che lo stesso governo italiano, la stessa maggioranza nel Parlamento italiano che aveva difeso e sostenuto il ministro dell’interno Salvini quando aveva fermato lo sbarco dei migranti sulle coste siciliane, dopo pochi mesi ha votato per processarlo e incriminarlo per lo stesso sbarco? E nessun garante istituzionale ha avuto nulla da dire su tutte queste storture… Si rende conto Mattarella che l’ayatollah della nostra repubblica, ossia il leader del partito più numeroso in Parlamento, Beppe Grillo, è un comico e non per modo di dire ma sul serio? Reputa questo un segno di serietà per un paese? Ed è serio che un paese abbia come ministri, a cominciare dal ministero degli esteri o dalla presidenza della Camera, persone senz’arte né parte, venditori di bibite, studiosi della canzone melodica napoletana, senza curriculum e senza uno straccio di competenza?È serio che il Parlamento di un paese afflitto da problemi gravissimi e lacerato, spaccato in due e poi in mille da mille odi e rancori, proponga, primo firmatario Piero Fassino, una legge per istituire Bella Ciao come canto nazionale dopo l’inno di Mameli, magari per subentrargli? Si rende conto che una canzone delle mondine, peraltro storicamente intrusa e posticcia nella storia della Resistenza, obbligatoria nelle scuole genererà conflitti ovunque e non solo da parte di chi si rifiuta di farlo perché ha un giudizio diverso sul passato ma anche da chi reputa grottesco e anacronistico obbligare la gente a servire la messa antifà a ottant’anni dalla caduta del regime? Ma soprattutto è un paese serio quello che pone al centro del dibattito in Parlamento una questione del genere? È serio uno Stato che affida a disoccupati che non sono stati in grado di trovarsi un lavoro, il compito di cercare il lavoro agli altri disoccupati e battezzandoli comicamente e pomposamente come “navigator” li assume, li paga anche bene per non fare nulla e non portare alcun risultato?È serio uno Stato che dà un reddito parassitario di cittadinanza, che non introduce affatto al lavoro, a “un milione e mezzo di evasori” e “a falsi poveri”, secondo quanto ha denunciato l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri (area Pd), per non dire dell’assegno ai delinquenti? E ha in programma, su esortazione dell’oracolo Grillo, di far diventare reddito universale di cittadinanza, per italiani e migranti, la paga uguale per tutti, senza lavoro, quando l’economia sarà finalmente uccisa? Cassa Integrazione per tutti, per sempre, a prescindere… È un paese serio quello che decide di risolvere tutte le questioni ambientali, sanitarie e di traffico con le rotelle: il monopattino nelle città, le piste ciclabili sul futuro ponte dello Stretto e soprattutto banchi a rotelle per gli alunni per fuggire velocemente dal virus e dalle sue interrogazioni? E cosa dovremmo dire al mondo sulla serietà della nostra magistratura, di certe inchieste a orologeria e ad personam, di certe lobbies mafiose in toga risultate anche dalle intercettazioni telefoniche? Per elencare gli esempi nostrani di serietà dovrei chiedere al direttore Belpietro un numero intero de “La Verità”…A dir la verità, se c’è una cosa che è sempre mancata al nostro paese è proprio la serietà. Fummo la barzelletta del mondo quando a fine guerra, come disse il britannico Winston Churchill, a 45 milioni di italiani fascisti si aggiunsero 45 milioni di antifascisti, “eppure questi novanta milioni d’italiani non risultano dai censimenti”. Ma la serietà ci è mancata per lunghi secoli di asservimento allo straniero, al Papa re, all’invasore. Sarebbe ricco e penoso il campionario. Vorrei infine ricordare che perfino l’Eroe italiano per antonomasia, l’Eroe dei due Mondi, il Mito vivente del Risorgimento, cioè Giuseppe Garibaldi, il giorno in cui andò a Roma in Parlamento il 26 gennaio del 1875, si affacciò al balcone e disse: «Italiani, siate seri!». E per confermare la sua esortazione alla serietà, un secolo e mezzo dopo un ministro si affacciò dal balcone di Palazzo Chigi e annunciò: «Abbiamo abolito la povertà». Il mondo sta ancora ridendo… Pure per il nostro eroe nazionale non eravamo seri. E non aveva visto i grillini al potere… Suvvia, Presidente, è sempre stato serio come un morto e compassato come una mummia, non si dia pure lei alla comicità.(Marcello Veneziani, “La più bella battuta sull’Italia: è un paese serio”, da “La Verità” del 27 settembre 2020).Ma davvero l’Italia di oggi è un modello di serietà per il mondo intero, come sostiene il presidente Mattarella nella stizzosa replica al premier britannico, conservatore e amante dell’Italia, Boris Johnson? Mattarella avrebbe potuto vantare l’ingegno italiano, la laboriosità di tanti suoi cittadini, la gloriosa civiltà su cui siamo seduti, la bellezza dei borghi, dei centri storici e della natura, il genio creativo dell’arte e della musica, gli eroi e i navigatori, Dante, le grandi scoperte scientifiche, il made in Italy, la fortuna che gli italiani hanno fatto nel mondo grazie alla loro bravura, la generosità e l’allegria del suo popolo e mille altre cose. Ma ritenere che il tratto distintivo dell’Italia sia, soprattutto oggi, la serietà significa ridicolizzare la difesa dell’Italia, non farsi prendere sul serio, continuare il filone tragicomico che è oggi al potere. Ma si rende conto Mattarella che noi siamo l’unico paese al mondo in cui un governo contro Salvini e i suoi accoliti è guidato dalla stessa persona che guidava un governo fondato su Salvini e i suoi accoliti?
-
Pieni poteri, ma per il nostro bene: la dittatura più ipocrita
Nel governo che tentò di aumentare il margine operativo per l’Italia (deficit) e provò a varare un abbozzo di welfare aggiuntivo (reddito di cittadinanza), Matteo Salvini – il Mostro, l’Uomo Nero – promosse la mini-riforma delle pensioni (Quota 100) e caldeggiò il taglio drastico del carico fiscale (Flat Tax), dopo aver costretto l’Europa a farsi carico degli sbarchi dei migranti, respinti da ogni altro paese e convogliati tutti verso l’Italia. Ostacolato in ogni modo, in un esecutivo inceppato fin dall’inizio per volere dei poteri forti che impedirono a Paolo Savona di coordinare la politica economica, lo stesso Salvini – sull’onda del grande consenso raccolto – osò pronunciare l’espressione alla quale fu prontamente crocifisso: “pieni poteri”. Era un modo, improvvido, per chiedere di poter passare dalle parole ai fatti, con il conforto democratico del suffragio popolare. Errore catastrofico: gli chiusero ogni spiraglio, costringendolo alla resa anche mediante il consueto assedio giudiziario all’italiana. Contro di lui – solo per cancellarlo – fu messo in piedi il nuovo governo. I 5 Stelle arrivarono a rinnegare se stessi, alleandosi con i loro nemici storici: il “Partito di Bibbiano” e persino l’odiato Matteo Renzi.Dettaglio: il premier rimase lo stesso di prima, quello che collaborava amabilmente col vicepremier Salvini, approvando anche il blocco delle navi cariche di migranti. Non solo: i famosi “pieni poteri” invocati da Salvini sono ora esercitati – e nel modo che vediamo – dall’oscuro Giuseppe Conte, mai eletto e mai votato da nessuno. Agli italiani, nel giro di pochi mesi, “l’avvocato del popolo” è arrivato a infliggere l’impensabile. Serviva un pretesto coi fiocchi, ed è prontamente arrivato: si chiama Covid. Quanto sia grande, la voglia di “pieni poteri”, lo dimostra – in piccolo – l’infimo Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario del partito che tiene in piedi il governo nato unicamente per espellere Salvini. Poche ore dopo aver subito la sentenza del Tar laziale, che gli impedisce di imporre l’obbligo vaccinale per l’influenza, Zingaretti ha sfoderato un’altra imposizione: l’obbligo di indossare la mascherina ovunque, nel Lazio, anche all’aperto, come già avviene in Campania (centrosinistra) e in Sicilia (centrodestra). Avvertiva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: queste misure vessatorie pensate a livello regionale – l’inutile Tso vaccinale per l’influenza e l’obbligo di mascherina in strada – sono solo l’antipasto per un ulteriore giro di vite nazionale.Detto fatto: dopo aver terrorizzato i cittadini a mezzo stampa, scambiando i contagi per ricoveri, ora il Governo dei Pieni Poteri – unico in Europa a prorogare lo stato d’emergenza – medita apertamente di imporre la “museruola” a tutti gli italiani, ovunque si trovino: come se il coronavirus fosse ancora una grave minaccia per la quale non esistono cure, e come se la mascherina fosse davvero un efficace strumento di limitazione del contagio. Da più parti, nel mondo, si levano proteste contro il “partito dei pieni poteri”: in Belgio, i medici denunciano la gestione autoritaria dell’emergenza, raccomandata dall’Oms, con prescrizioni giudicate gratuite, inutili, pericolose per la salute, disastrose per l’economia e gravemente incostituzionali, contrarie alle libertà democratiche. Un dialogo tra sordi: i sanitari spiegano che il Covid ormai è curabile, visto che i rimedi sono stati messi a punto e la mortalità del morbo è praticamente irrisoria; ma questo non basta a convincere i decisori, affezionati come sono ai “pieni poteri” che il coronavirus ha loro regalato. L’Italia, poi, vince in solitaria la gara: in nessun altro paese europeo il lockdown è stato così prolungato, così rigido e così privo di contromisure sociali, al punto che l’economia è in ginocchio.L’altra notizia – ferale – è che molti italiani credono ancora alla televisione, cioè ai bollettini di Conte e alle funeree previsioni degli esperti di corte, inutilmente smentiti dai medici a cui il governo impedisce in ogni modo – anche censurando il web – di parlare ai cittadini. A completare la catastrofe politica, si segnala la resa dell’opposizione: Matteo Salvini (insieme alla Meloni) si è arreso ai “pieni poteri”. Lega e Fratelli d’Italia non hanno reagito, alle imposizioni di quella che i detrattori chiamano “dittatura sanitaria”. Non hanno chiamato gli italiani in piazza, non hanno lanciato raccolte di firme, non hanno promosso azioni dimostrative: hanno evitato persino di dar vita a una protesta, a oltranza, nelle aule del Parlamento (appena amputato, via referendum, su invito dei massimi esponenti mondiali del “partito dei pieni poteri”). Salvini e Meloni si sono anzi impegnati – come se fossimo in tempo di pace – nella campagna elettorale per le regionali, nei giorni in cui studenti e insegnanti venivano costretti a vivere una sorta di allucinazione collettiva, quella della scuola ai tempi del Covid.«Salvini sugli sbarchi ha ragione, non ha violato nessuna legge: ma dobbiamo incastrarlo lo stesso». Le scandalose intercettazioni che imbarazzano settori della magistratura sono state portate alla luce dal processo a Luca Palamara, il presidente dell’Anm che ha ammesso di aver svolto, per anni, la funzione di “accomodatore”, per conto delle correnti politiche che “governano” le toghe, condizionando la giustizia. Ma, con un colpo di spugna – il divieto di citare come testimoni ben 126 colleghi magistrati – ecco che anche i “panni sporchi” della magistratura si apprestano ad essere lavati in casa, nel silenzio del Quirinale. Del resto, non sono questioni che possano interessare la maggioranza degli italiani, calamitata da ben altre attrazioni: il campionato di calcio, ma soprattutto i bollettini quotidiani sui contagi. Non stupisce: l’opinione pubblica è manipolata da molto tempo. Agli spettatori, negli ultimi tempi, erano stati proposti efficaci film dell’orrore: prima l’Isis, poi Greta. L’Isis, cioè: una banda di feroci tagliagole (fanatici isolati e pazzi, senza amici nel partito dei “pieni poteri”) che poteva scorrazzare impunemente in tutta Europa, seminando strage. Non un arresto, un interrogatorio, una confessione, una vera indagine. Mai nulla: solo l’uccisione dei killer, muti per sempre.Variante drammaturgica dell’Isis, la piccola Greta: ovvero il mutamento climatico (sempre avvenuto) spacciato come problema di oggi, causato dall’attività umana. Traduzione: la colpa è nostra. Corollario: il vero problema – l’inquinamento – passa in secondo piano. Verità nascosta: i grandi inquinatori, sempre loro, sono gli sponsor occulti della piccola fiammiferaia svedese, e per noi hanno in mente il grandioso business della riconversione “green” della finanza, col pretesto di qualche pennellata “verde” da dare all’economia. Di Green Deal parla anche il Governo dei Pieni Poteri, quello italiano. Le sue indicazioni per il Recovery Fund sono fuori dalla portata di qualunque genio letterario. Per risollevare l’Italia dal disastro causato dal lockdown “cinese”, modello Wuhan, i signori che dettano le parole al ventriloquo Conte hanno escogitato le seguenti trovate: tracciamento universale del cittadino, guerra al denaro contante, invio in orbita di una “costellazione” di satelliti 5G. Il tempo stringe, e assomiglia a un cappio: vaccinazioni obbligatorie, mascherine obbligatorie.I signori cittadini sono invitati (anzi, costretti) a dimenticarsi di tutte le loro vite precedenti, quelle in cui potevano dire la loro. Il Governo dei Pieni Poteri – unico, anche qui – ha persino varato un’istituzione di sapore staliniano come il “Ministero della Verità”, per eliminare dal web le voci più scomode. Se qualcuno pensa che tutto questo sia in qualche modo normale, è fuori strada: deve aver capito male. Non è normale nemmeno che l’inviato della Casa Bianca si scomodi per venire in Italia ad accusare il Papa di aver stretto una sorta di “patto col diavolo”, concedendo al regime cinese qualcosa che la Chiesa non aveva mai accordato a nessun governo: il potere di nomina dei vescovi. Non è normale neppure questo, infatti: non è normale che sia il partito comunista di Xi Jinping a stabilire chi e come amministrerà i cattolici in Cina, cioè la patria mondiale dei Pieni Poteri, il grande paese dove è nato il problema che oggi sta letteralmente devastando e ricattando il pianeta con l’arma della paura. Non c’è niente di normale, in tutto quello che sta succedendo.Anni fa, il grande Primo Levi ricorse a un apologo letterario per descrivere le modalità psicologiche attraverso cui il cittadino si può trasformare gradualmente in prigioniero, dapprima inconsapevole: vede che qualcuno sta costruendo un recinto, ma non sospetta che – un brutto giorno – quel filo spinato diventerà il perimetro, chiuso e invalicabile, della nuova prigione di massa. E’ notorio che proprio gli ebrei, nella Germania nazista, furono gli ultimi ad aprire gli occhi sulla sorte che li attendeva. «Non può essere vero»: è sempre il pensiero ricorrente, al primo impatto con un possibile abominio. E’ naturale, umanissimo. E lo sanno bene gli autori della narrazione pubblica, i cosiddetti “padroni del discorso”. Mai far vedere il recinto, tutto insieme: meglio un tratto di filo spinato, uno soltanto, e naturalmente “per il nostro bene”, per la nostra sicurezza (sanitaria, magari). Non lo vedete? Persino lo scettico Donald Trump, il “mandante” dell’uomo che ha osato rimproverare il Papa, ora è ricoverato per Covid, proprio all’indomani della missione romana di Pompeo. E quindi: oggi, vaccini e mascherine (e domani, chissà). Ma la domanda è sempre la stessa: fino a che punto l’ex cittadino, ora trattato come suddito, accetterà di subire i Pieni Poteri?(Giorgio Cattaneo, “Pieni poteri, per il nostro bene: la dittatura più bella del mondo”, dal blog del Movimento Roosevelt del 3 ottobre 2020).Nel governo che tentò di aumentare il margine operativo per l’Italia (deficit) e provò a varare un abbozzo di welfare aggiuntivo (reddito di cittadinanza), Matteo Salvini – il Mostro, l’Uomo Nero – promosse la mini-riforma delle pensioni (Quota 100) e caldeggiò il taglio drastico della pressione fiscale (Flat Tax), dopo aver costretto l’Europa a farsi carico degli sbarchi dei migranti, respinti da ogni altro paese e convogliati tutti verso l’Italia. Ostacolato in ogni modo, in un esecutivo inceppato fin dall’inizio per volere dei poteri forti che impedirono a Paolo Savona di coordinare la politica economica, lo stesso Salvini – sull’onda del grande consenso raccolto – osò pronunciare l’espressione alla quale fu prontamente crocifisso: “pieni poteri”. Era un modo, improvvido, per chiedere di poter passare dalle parole ai fatti, con il conforto democratico del suffragio popolare. Errore catastrofico: gli chiusero ogni spiraglio, costringendolo alla resa anche mediante il consueto assedio giudiziario all’italiana. Contro di lui – solo per cancellarlo – fu messo in piedi il nuovo governo. I 5 Stelle arrivarono a rinnegare se stessi, alleandosi con i loro nemici storici: il “Partito di Bibbiano” e persino l’odiato Matteo Renzi.
-
Veneziani: politically correct, una piaga violenta e ignorante
Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato. Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti. E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.Il politically correct è una forma di riduzionismo ideologico che produce le seguenti fratture: a) riduce la storia, l’arte, il pensiero e la letteratura al presente, nel senso che tutto quel che è avvenuto va letto, riscritto e giudicato alla luce del presente, in base ai canoni corretti e ai generi; b) riduce la realtà al moralismo, nel senso che rifiuta le cose come sono e le riscrive come dovrebbero essere in base al suo codice etico e gender; c) riduce la rivoluzione vanamente sognata nel Novecento e nel ’68 alla mutazione lessicale, nel senso che non potendo cambiare la realtà delle cose e l’imperfezione del mondo si cambiano le parole per indicarle, adottando un linguaggio ipocrita e rococò; d) riduce le differenze ideologiche a una superideologia globale o pensiero unico, che se si nega come tale. Alle quattro riduzioni di cui sopra, il politically correct aggiunge una serie di sostituzioni: 1) sostituisce il sentire comune, l’interesse popolare, il legame famigliare e comunitario con la priorità assegnata ad alcune diversità e minoranze, ritenute discriminate o emarginate. E adotta uno schema vittimistico: non sono i grandi, gli eroi, i geni a meritare onori, strade, elogi unanimi ma le vittime (retaggio cristiano, notava René Girard).2) sostituisce la preferenza per ciò che è nostrano – la nostra identità, le nostre tradizioni, il nostro modo di vedere, la nostra civiltà e religione, i nostri legami e le nostre appartenenze – con la preferenza per tutto ciò che è remoto – le culture e i costumi altrui, i migranti, i mondi lontani, le ragioni di chi viene da fuori (quella che Roger Scruton chiamava oicofobia); 3) sostituisce l’antica dicotomia tra il compatriota e lo straniero, o quella politico-militare tra l’amico e il nemico con la dicotomia tra il Bene e il Male, per cui chi non è allineato al canone non è uno che la pensa differentemente né un avversario da combattere ma è il male assoluto da sradicare e annientare. Col nemico si può arrivare a patti, lo puoi sconfiggere e sottomettere; il Male no, va cancellato e dannato nella memoria. 4) sostituisce l’oppositore, il dissidente, l’antagonista col razzista, nemico dell’umanità, del progresso e della ragione. E gli riserva un trattamento a metà strada fra la patologia e la criminologia, accusandolo di fobie: è omofobo, sessuofobo, islamofobo, xenofobo, e via dicendo.Di conseguenza non c’è contesa con lui, ma lo si isola tramite cordone sanitario, lo si affida alla profilassi medica e prevenzione nelle scuole, università, media; o quando il caso è conclamato, lo si affida ai tribunali e alla condanna. Il pregiudizio ideologico riduce i dissidenti al rango di pregiudicati, ovvero di condannati dalla storia, dal progresso, dalla ragione. Non conflitti ma bombe umanitarie, operazioni di polizia culturale o internazionale. Per il politically correct la realtà, la natura, la famiglia, la civiltà finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo in assenza di religione. Ecco, in breve il politically correct. Postilla finale dedicata a come si reagisce. Chi rifiuta l’imposizione del politicamente corretto e reagisce con l’insulto contro i suoi totem e i tabù, entra a pieno titolo nel suo gioco e ne conferma l’assunto e l’assetto: visto, che avevamo ragione a dire che il razzismo, l’odio, l’intolleranza albergano nei nostri nemici? È una forma stupida e istintiva di risposta che rafforza il politically correct.Non migliore sul piano dell’efficacia è la risposta opposta, mimetica, di chi sta al gioco, asseconda, tace o compiace, rispondendo con ipocrisia all’ipocrisia parruccona del politicamente corretto. Anche in questo caso si resta sul suo terreno, si fa il suo gioco, si mira a una sopravvivenza immediata e individuale pregiudicando in prospettiva una visione alternativa più ampia. Spesso ci si limita a opporre all’ideologia la realtà, alla sua narrazione la vita pratica. Invece, partendo da quella, si dovrebbe tentare lo sforzo opposto: smontare i loro tic, totem e tabù, usando l’arma dell’intelligenza, del paragone culturale, del senso critico e ironico. E indicando percorsi alternativi, letture diverse, altre priorità. Qui, purtroppo, l’intolleranza degli uni s’imbatte nell’insipienza degli altri, frutto di ignoranza, ignavia e indifferenza. Se il politically correct domina, è anche perché non trova adeguate risposte. Solo imprecazioni e silenzi. La città è nelle mani degli stolti, dissero al sovrano i messi di una città in rivolta; ma i “savi” nel frangente che facevano, chiese loro il Re Carlo d’Angiò? Domandiamocelo pure noi.(Marcello Veneziani, “Corso intensivo sul politicamente corretto”, da “La Verità” del 16 febbraio 2020).Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato. Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti. E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.