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Prendi il telefono e scappa: abituarsi al terrore quotidiano
Come abituarsi al terrore quotidiano, verso una nuova (agghiacchiante) normalità, tra un attentato e l’altro. «Al terzo attacco terroristico in tre mesi Londra ha aperto le porte», scrive Giulia Zonca sulla “Stampa”: «Esiste ancora una reazione naturale davanti alla paura. La politica strilla trascinando l’ansia dentro le elezioni e la gente scrive, ancora oggi: divano disponibile, anzi #sofaforlondon». Era già successo a Parigi nella notte delle sparatorie attorno al Bataclan, e poi allo stadio di Dortmund quando la partita è stata rinviata per un agguato al pullman della squadra e i tifosi ospitanti si sono portati a casa quelli in trasferta. «A Londra sale il livello di allarme, del dibattito, dello spavento, però Facebook è considerato ancora una zona franca: il passaparola nella comunità virtuale regge mentre saltano gli schemi della quotidianità». Nella notte degli attentati a London Bridge e al Borought market, i residenti non si sono barricati in casa: «Hanno ospitato chi era stato evacuato dalla zona rossa durante il raid della polizia, un intero albergo sparso per i marciapiedi, qualcuno solo con i boxer e le infradito».Chi aveva un sacco a pelo in cantina lo ha steso in soggiorno, continua la “Stampa”: i locali appena fuori dall’area recintata hanno accolto fuggiaschi, «turisti sloggiati senza il tempo di prendere un giubbotto», e gli sfrattati dai b&b «hanno traslocato via app nel posto più vicino». Idem i trasporti: «I tassisti hanno girato gratuitamente raccogliendo chi era in giro, e Uber si è preso gli insulti perché ha raddoppiato le corse». Poi hanno risarcito chiunque abbia viaggiato in quella zona sabato notte: «Il sistema ha reagito alla domanda e, quando ci sono più richieste che auto in circolazione, il costo della corsa si alza seguendo l’algoritmo che lo muove». Ci hanno messo un po’ a intervenire, ma il sistema «ha risposto in automatico proprio come quello della rete di affittacamere che ha cercato nuove sistemazioni con un clic», ad esempio attraverso Facebook che «ha dato non solo una faccia, ma persino un profilo a chi cercava un tetto e qualche garanzia a chi lo voleva offrire».Secondo la giornalista del quotidiano torinese, «i social berciano parecchio» e addirittura «mandano in tilt la comunicazione con il veleno che schizza incontrollato da una nazione all’altra», dove forse per “veleno” si intendono le voci, immancabili sul web ma scarsissime sui media mainstream, riguardo le puntuali “stranezze” che contrassegnano sempre il neoterrorismo che spara nel mucchio: kamikaze già noti alle forze di sicurezza, a volte legati a elementi direttamente “coltivati” dall’intelligence, eppure lasciati liberissimi di muoversi, coordinarsi, armarsi e colpire. Più efficiente dell’antiterrorismo, a quanto pare, è il sistema dei social media: «Le app occupano persino la memoria del cervello, però offrono alternative», scrive Giulia Zonca. «Una rete tutt’altro che virtuale», offerta «a chi sta in mutande, perso in una notte di angoscia, senza soldi, documenti e riparo, e che guarda caso prima di scappare disperato ha afferrato solo una cosa: il telefono». Cittadini-soccorritori, gradualmente abituati alla strage sotto casa.Come abituarsi al terrore quotidiano, verso una nuova (agghiacchiante) normalità, tra un attentato e l’altro. «Al terzo attacco terroristico in tre mesi Londra ha aperto le porte», scrive Giulia Zonca sulla “Stampa”: «Esiste ancora una reazione naturale davanti alla paura. La politica strilla trascinando l’ansia dentro le elezioni e la gente scrive, ancora oggi: divano disponibile, anzi #sofaforlondon». Era già successo a Parigi nella notte delle sparatorie attorno al Bataclan, e poi allo stadio di Dortmund quando la partita è stata rinviata per un agguato al pullman della squadra e i tifosi ospitanti si sono portati a casa quelli in trasferta. «A Londra sale il livello di allarme, del dibattito, dello spavento, però Facebook è considerato ancora una zona franca: il passaparola nella comunità virtuale regge mentre saltano gli schemi della quotidianità». Nella notte degli attentati a London Bridge e al Borought market, i residenti non si sono barricati in casa: «Hanno ospitato chi era stato evacuato dalla zona rossa durante il raid della polizia, un intero albergo sparso per i marciapiedi, qualcuno solo con i boxer e le infradito».