Archivio del Tag ‘Giuliano Amato’
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Perché vogliono eliminare il denaro contante (il nostro)
Si può ancora pagare in contanti fino a un tetto di 1.000 euro? Troppi, dice il ministro ed ex banchiere Saccomanni, preannunciando che quella soglia verrà ulteriormente ridotta, in favore della moneta elettronica. Vecchia storia, protesta Paolo Cardenà: le banche finanziano sottobanco i politici, che in cambio proteggono gli istituti di credito. La cui paura, oltre al fallimento, è proprio la corsa agli sportelli da parte dei correntisti che chiedano indietro soldi veri, banconote. Il denaro contante? Semplice e pratico, veloce, economico. Ridurlo o eliminarlo significa costringere chiunque a passare sempre attraverso lo sportello. Di colpo, il cittadino verrebbe privato anche dell’unica forma di dissenso a sua disposizione nei confronti del sistema bancario. Per contro, le banche festeggiano: smaterializzato il denaro (sostituito con un algoritmo astratto e intangibile), viene meno anche il pericolo che la popolazione possa chiedere la restituzione di ciò che non esiste.Nel corso dei secoli, ricorda Cardenà in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, la necessità della politica di contare sempre più sull’appoggio del sistema bancario per il finanziamento degli abusi di spesa della macchina statale e dei privilegi di politici (spesso corrotti e incapaci) ha favorito l’instaurarsi di una connivenza simbiotica tra politica e banche. Reciproca convenienza, scambio di favori – compreso il quadro normativo, “amico” degli affari quando vanno bene e pronto a rimediare con denaro pubblico in caso di dissesti. «Il denaro, per il sistema bancario, è elemento sul quale fonda i propri affari: in buona sostanza è la merce da vendere. Avere il controllo e la gestione di tutto il denaro, per la banca, è un moltiplicatore del proprio business e quindi di redditività». In un sistema basato sulla riserva frazionaria, quale è il nostro, accade che i 1.000 euro che vengono depositati in banca possono diventare (per il sistema bancario) fino a 100.000, ossia cento volte tanto.E’ l’effetto moltiplicativo dei depositi: dato che la banca è tenuta ad accantonare solo l’1% del deposito per far fronte a esigenze di cassa, il 99% viene immesso nel sistema, mediante la concessione di prestiti, con sviluppo esponenziale degli interessi. Il giochino rende fino al giorno in cui la banca dovrà restituire – per davvero – il deposito iniziale. Molto meglio se invece la massa monetaria resta “virtuale”: «Tanto meno sarà il contante in circolazione, tanto più elevata sarà la possibilità riservata alle banche di incrementare il proprio giro d’affari e aumentare la redditività prodotta, che si traduce in bonus milionari pagati ai super manager». Così, il sistema bancario «deterrebbe in deposito la maggior parte della ricchezza del paese», e – oltre a titoli, azioni, obbligazioni e gioielli custoditi nelle cassette di sicurezza – avrebbe “sotto chiave” anche il denaro obbligatoriamente depositato sul conto corrente, non più “invisibile” al fisco.«Il pericolo è proprio quello di essere obbligati, tramite un provvedimento di legge, a privarsi dell’utilizzo del contante per rendere la macchina coercitiva del fisco ancora più efficiente, funzionale, perfetta e micidiale», scrive Cardenà. «Tra qualche giorno, le banche italiane dovranno trasmettere all’anagrafe tributaria tutte le movimentazioni dei nostri conti correnti. Lo Stato, con un semplice click, potrà conoscere in tempo reale ogni vostra ricchezza: sia la sua collocazione che la sua dimensione complessiva. Ricchezza incrementata, ovviamente, dai depositi di denaro contante che, oltre a far aumentare la base imponibile da colpire con un’eventuale imposizione patrimoniale, offre allo Stato la garanzia del buon esito della sua pretesa tributaria». Tutto sotto controllo: significa poter “tosare” i risparmiatori col prelievo forzoso, magari risparmiando i soliti noti e «i privilegi del manipolo di gerarchi da un’eventuale bancarotta». E’ appena accaduto a Cipro, ma accadde già nel ’92 in Italia col governo Amato. Oggi si riparla di “patrimoniale”, ma senza chiarire: quali “grandi patrimoni” potrebbero essere colpiti? «La banca diverrebbe una gigantesca camera di compensazione, soggetto giuridico al servizio dello Stato per espropriare ricchezza». Il perché è chiaro: «Per rendere solvibile il debitore non c’è via più semplice che quella di compensare debiti del debitore con i crediti del creditore. E il gioco è fatto».Si può ancora pagare in contanti fino a un tetto di 1.000 euro? Troppi, dice il ministro ed ex banchiere Saccomanni, preannunciando che quella soglia verrà ulteriormente ridotta, in favore della moneta elettronica. Vecchia storia, protesta Paolo Cardenà: le banche finanziano sottobanco i politici, che in cambio proteggono gli istituti di credito. La cui paura, oltre al fallimento, è proprio la corsa agli sportelli da parte dei correntisti che chiedano indietro soldi veri, banconote. Il denaro contante? Semplice e pratico, veloce, economico. Ridurlo o eliminarlo significa costringere chiunque a passare sempre attraverso lo sportello. Di colpo, il cittadino verrebbe privato anche dell’unica forma di dissenso a sua disposizione nei confronti del sistema bancario. Per contro, le banche festeggiano: smaterializzato il denaro (sostituito con un algoritmo astratto e intangibile), viene meno anche il pericolo che la popolazione possa chiedere la restituzione di ciò che non esiste.
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Becchi: è ora di chiedere le dimissioni di Napolitano
Nel lontano 1991, Giorgio Napolitano denunciava i «comportamenti sempre più abnormi e inquietanti» dell’allora presidente Cossiga, messo sotto accusa per aver «totalmente smarrito il senso della misura». Oggi, scrive Paolo Becchi, è evidente il sospetto che dietro alla richiesta di indulto non vi sia tanto la (scandalosa) condizione dei detenuti, quanto la necessità di «far tornare sulla scena il Caimano». Durissimo, Napolitano, coi grillini che glielo fanno notare: «Se ne fregano dei problemi della gente e del paese». Lungi dal ricordare il piano-carceri presentato ad agosto dal M5S al ministro Cancellieri «senza neppure ottenere una risposta», la “Stampa” preferisce condannare la «miserabile reazione di Grillo», che denuncia il tentativo di creare un salvacondotto per Berlusconi, ignorando «le condizioni inaccettabili in cui versano i detenuti». Pazienza il giornale, ma il Quirinale? «Può il Capo dello Stato entrare in lite con la prima forza politica del Paese?», si domanda il professor Becchi. Con che diritto il “garante della Costituzione” di attaccare l’opposizione?Non è la prima volta che Napolitano prende di mira una parte politica, «difendendo la “partitocrazia” e le sue alleanze», ricorda Becchi su “Micromega”. Dopo i sarcasmi sul “boom” elettorale dei grillini alle regionali 2012, Napolitano ha alzato il tiro e «si è servito del potere di esternazione come strumento di direzione politica». Poteri, dopo la sua «atipica» rielezione, utilizzati «non per difendere la legalità costituzionale, ma a fini politici: difendere a tutti i costi le “larghe intese” tra Pdl e Pd, assicurare la stabilità parlamentare al governo Letta, impedire lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni». Di male in peggio: se il governo tecnico di Monti era «voluto dal presidente», l’esecutivo Letta «è il governo diretto dal presidente, ossia il governo a capo del quale c’è, seppur per interposta persona, Napolitano». E c’è molto altro: la minaccia di dimissioni, la difesa di ministri come Alfano anche dopo l’affaire kazako, i richiami contro la “magistratura politicizzata”, la nomina di Amato a giudice della Corte Costituzionale.Dimissioni, esternazioni, poteri di nomina: tutte prerogative del Capo dello Stato, dice Becchi, ma il Quirinale deve mantenersi neutrale. Se invece attacca il M5S, è evidente chenon rappresenta più «l’unità della nazione, ma soltanto una parte del paese: quella che ha voluto le “larghe intese” della partitocrazia e che cercherà, con tutti i mezzi a sua disposizione, di salvare ancora il Caimano». Costringere Napolitano alle dimissioni – aggiunge Becchi – ritarderebbe i tempi per nuove elezioni, ma rappresenterebbe un atto politico fondamentale: «Significherebbe la sconfitta delle larghe intese». La messa in stato d’accusa «avrebbe un valore simbolico e politico ben più alto di quello di un semplice procedimento “giudiziario”». Per Umberto Eco, l’impeachment non è una condanna, ma un esercizio della sovranità del Parlamento, chiamato a giudicare la condotta del presidente. «Per questo – chiosa Becchi – la messa in stato d’accusa ha un valore indipendentemente dal giudizio che, su di essa, darà poi la Corte Costituzionale». Per il giurista vicino ai grillini, è giunta l’ora di «accusare il Capo dello Stato, di fronte al popolo, di aver violato la Costituzione in nome della quale egli ha sempre dichiarato di agire».Nel lontano 1991, Giorgio Napolitano denunciava i «comportamenti sempre più abnormi e inquietanti» dell’allora presidente Cossiga, messo sotto accusa per aver «totalmente smarrito il senso della misura». Oggi, scrive Paolo Becchi, è evidente il sospetto che dietro alla richiesta di indulto non vi sia tanto la (scandalosa) condizione dei detenuti, quanto la necessità di «far tornare sulla scena il Caimano». Durissimo, Napolitano, coi grillini che glielo fanno notare: «Se ne fregano dei problemi della gente e del paese». Lungi dal ricordare il piano-carceri presentato ad agosto dal M5S al ministro Cancellieri «senza neppure ottenere una risposta», la “Stampa” preferisce condannare la «miserabile reazione di Grillo», che denuncia il tentativo di creare un salvacondotto per Berlusconi, ignorando «le condizioni inaccettabili in cui versano i detenuti». Pazienza il giornale, ma il Quirinale? «Può il Capo dello Stato entrare in lite con la prima forza politica del Paese?», si domanda il professor Becchi. Con che diritto il “garante della Costituzione” di attaccare l’opposizione?
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Comunque vada, siamo rovinati: il dopo-Silvio è la Troika
Il dopo-Silvio? Uno solo: Bruxelles. E’ ormai evidente che l’Italia «non è in crisi contingente, ma in sfacelo strutturale». Le nostre istituzioni sono «completamente sottomesse e governate dalla Trojka e da Berlino». Per effetto del blocco dei cambi intra-Eurozona e delle sue conseguenze, la situazione porterà a uno scontro tra paesi euro-forti e paesi euro-deboli, data la crescente contrapposizione degli interessi e la polarizzazione dell’Unione Europea: da una parte il blocco centro-settentrionale (coi suoi satelliti orientali), che ha l’iniziativa politica ormai in esclusiva, e dall’altra una periferia sempre più povera, de-capitalizzata e indebitata. Marco Della Luna non ha dubbi: «Credo che i poteri forti (non facciamo i nomi, italiani e non – sarebbe superfluo) lavorino da tempo per evitare il secondo scenario e per realizzare il primo: fare dell’Italia un protettorato, cioè una povera donna di marciapiede spoliata, sfruttata e pestata dai suoi fratelli forti europei».
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Europeisti, arrendetevi: la vostra Europa è nata morta
Ormai è un tormentone noioso quanto inutile: “Dobbiamo farlo per l’Europa”, “Ora andiamo avanti sulla via dell’unità europea”, “E’ il momento di rilanciare l’unità d’Europa”… Ricorrentemente, un gruppo di “europeisti di professione” (Giuliano Amato, Mario Monti, Romano Prodi, etc) si esercitano nel solito esercizio retorico sul tema dell’unità politica europea che giustifica tutti i sacrifici di una austerità priva di senso e di prospettive. E’ un mantra buono per tutte le stagioni ed ora ci si esercita Massimo D’Alema (“Il Sole 24 Ore”, 4 settembre). Ma questi piccoli azzeccagarbugli abusivamente assurti al ruolo di “statisti” (udite udite!) non fanno i conti con una piccola verità: quello che vegliano amorevolmente non è un ammalato grave e neppure un corpo in coma irreversibile, ma un cadavere ormai in stato di decomposizione. Il disegno europeo è morto e non c’è più niente da fare.
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Noi, oppressi dal debito: gli schiavi di Roma stavano meglio
Da una parte l’umanità e dall’altra il denaro – che ha vinto la sua guerra millenaria, e ora impone la sua legge dura e spietata. Se Roma evitava almeno di spillare tasse agli schiavi, a spremere anche loro provvide il feudalesimo, cioè la condizione storica alla quale stiamo tornando, come “profetizzato” in tempi non sospetti da Giuliano Amato. Di questo passo, con l’eclissi storica della sovranità, non ci saranno più diritti di nessun tipo: cittadini e popoli saranno semplicemente ridotti a chiedere l’elemosina, pronti anche a combattere le guerre di clan organizzate dei nuovi imperi. Analisi storica suggestiva, firmata dall’economista greco Dimitris Kazakis: che, attraverso fonti eterodosse – da Tacito a Engels, fino a Hitler – “spiega” che il dramma nel quale stiamo sprofondando, in primis come Eurozona, è paragonabile soltanto al più spaventoso cataclisma della storia dell’Occidente, ovvero la caduta dell’Impero Romano.
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Ert, l’onnipotente: ecco chi ha deciso la nostra fine
Perché loro lavorano come demoni. Gli italiani fanno pagliacciate con Grillo, la Casta. Perché loro sono intelligenti. Gli italiani no. Perché loro sanno tutto. Gli italiani digeriscono col cervello. Compact, ne arriva un altro, e questo è la morte del lavoro, dopo quella dello Stato. Corporate Europe Observatory trova documenti dell’incontro fra Merkel, Hollande e Barroso (presidente Commissione Ue) e la European Roundtable of Industrialists (Ert) del 18 marzo, dove i tre colossi politici ricevono, e concordano su, le istruzioni della più potente lobby di Big Business del mondo. Si tratta, come chi mi legge sa, di una mia vecchia conoscenza. Sono quelli che hanno scritto il Fiscal Compact nero su bianco e lo hanno sbattutto sulla scrivania della Bce e della Commissione. Ora di Compact ne hanno sfornato un altro. Il Consiglio Europeo del perfido Von Rompuy lo dovrà approvare a giugno.
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Mts, la fabbrica dello spread: la nostra crisi frutta miliardi
Prima mossa: disabilitare la banca centrale, impedendole di continuare ad essere il “bancomat” del governo, a costo zero. Seconda mossa: togliere al governo la facoltà di emettere moneta, obbligandolo ad “acquistare” dalle banche private la valuta un tempo sovrana, cioè gratuita. Terza e ultima mossa: abolire anche l’ultima quota residua di sovranità politica, imponendo al governo una camicia di forza per limitare la spesa pubblica, vitale per i cittadini: sanità, scuola, assistenza. Risultato ovvio: tracollo dell’economia e catastrofe sociale. E’ l’Europa dell’euro, dove tutto sta precipitando. Tunnel senza uscita. Un sistema feudale di sovrani invisibili e nuovi sudditi, governato da un potere occulto e micidiale, nascosto dietro un nome straniero: spread. Il trucco: “privatizzare” il debito statale un tempo pubblico, mettendo all’asta la vita di milioni di cittadini. Gli Stati sotto ricatto: il prezzo della sopravvivenza decretato da un pugno di oligarchi. Più gli Stati s’indebitano, più gli strozzini si arricchiscono. La crisi è il loro affare d’oro, e ha un nome familiare: debito pubblico. Film dell’orrore, made in Italy: ideato da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.
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Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
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La tela atlantica: Obama e Letta, governissimo di guerra
L’approdo al governo di Enrico Letta ha molti punti di contatto con il viaggio nel potere di Barack Obama. A molti questo potrebbe apparire come un complimento rivolto a due campioni progressisti. Per chi obamiano non è, come chi scrive, è invece la critica a due conservatori impegnati a salvaguardare creativamente gli interessi dell’Impero, Obama al centro e Letta in periferia. Tralasciamo per ora le scontate differenze fra Usa e Italia, il divario in termini di loro ruolo e peso internazionale, la diversità dei sistemi politici ed elettorali. Quel che interessa qui sottolineare è il fatto che un sistema in profonda crisi di legittimità ha trovato una soluzione “creativa” all’interno delle proprie classi dirigenti. Gli Stati Uniti erano segnati da un “impresentabile” come il presidente Bush. In Italia venivamo da un livello di fiducia nei partiti politici ormai prossimo allo zero.
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Nato e Bce, con tanti saluti all’Italia (e minacce a Grillo)
Dall’ultra-atlantista Emma Bonino, pronta a tutte le più sanguinose guerre decise da Washington, all’ultra-europeista Fabrizio Saccomanni, direttore di Bankitalia con esperienze sia alla Bce che al Fmi, dopo gli studi alla Bocconi e alla Princeton University. Due ministri-chiave, esteri ed economia, già delimitano in modo inequivocabile il perimetro del secondo “governo Napolitano”, con Letta premier e Alfano vice, più altri mestieranti della nomenklatura: Gaetano Quagliariello alle riforme, probabilmente per una legge elettorale anti-Grillo e un presidenzialismo all’italiana, Maurizio Lupi a infrastrutture e trasporti (leggasi: Tav Torino-Lione), nonché il redivivo Dario Franceschini (rapporti col Parlamento) e i “presentabili” Nuzia De Girolamo (agricoltura), Beatrice Lorenzin (sanità) e l’ex sindaco padovano Flavio Zanonato (sviluppo). Ministri-vetrina: la campionessa Josefa Idem (sport), il direttore della Treccani, Massimo Bray (cultura), il presidente dell’Istat Enrico Giovannini (altro“saggio”, ora incaricato di gestire lavoro e welfare) e la italo-congolese Cécile Kyenge, medico e primo ministro di colore nella storia italiana, delegata all’integrazione.
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Barnard: altro che Liberazione, ci vogliono sterminare
Siamo in guerra, ma ufficialmente nessuno ce l’ha detto. Al processo di Norimberga contro la gerarchia nazista, il procuratore generale Benjamin Ferencz sancì che la guerra d’aggressione contro una nazione sovrana sarebbe stato da quel momento considerato «il crimine supremo». Bene, ci risiamo: quello che ci sta accadendo, dice Paolo Barnard, non è altro che «la pianificazione e l’esecuzione di una guerra d’aggressione guidata da Germania e Francia per distruggere nazioni, popoli, economie, e per depredare risorse, esattamente come fu la Seconda Guerra Mondiale». Amaro 25 Aprile: dov’è finita la libertà conquistata col sangue dei partigiani? Se il fiore della Resistenza fu la Costituzione democratica, ora quel documento sta diventando carta straccia. Il nemico si chiama Eurozona: è micidiale, perché priva la repubblica del potere vitale di spesa pubblica a favore dei cittadini. Norme brutali, quelle di Bruxelles, figlie dell’ideologia neoclassica: lo Stato non serve, anzi ostacola il business perché tutela il popolo. Va neutralizzato, svuotato, paralizzato. E amputato del suo potere sovrano fondamentale: la libera creazione di denaro.
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Italia kaputt, a Palazzo Chigi il super-piazzista dell’euro
“Euro sì. Morire per Maastricht”. Era il 1997 ed Enrico Letta annunciava, nel suo saggio pubblicato da Laterza, che sarebbe valsa la pena di morire per l’euro e Maastricht come nel 1939 valeva la pena di “morire per la Polonia”. «Non c’è un paese che abbia, come l’Italia, tanto da guadagnare nella costruzione di una moneta unica», disse al “Corriere della Sera”, al termine del suo primo incarico importante, la partecipazione alla commissione per l’introduzione dell’euro. «Abbiamo moltissimi imprenditori piccoli e medi che, quando davanti ai loro occhi si spalancherà il grandissimo mercato europeo, sarà come invitarli a una vendemmia in campagna: è impossibile che non abbiano successo, il mercato della moneta unica sarà una buona scuola, ci troveremo bene». Questo è l’uomo a cui l’appena rieletto Napolitano affida il “governissimo”.