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Sarà il Sole a svegliarci: lo teme la Religione della Paura
La deriva transumanista a cui stiamo assistendo è il frutto di uno scontro di civiltà. Un emblenatico, inesauribile scontro: non solo fra due culture, fra due concezioni del mondo, ma addirittura fra due opposte e inconciliabili forme di civiltà. Una potremmo definirla algida, fredda, pseudo-lineare, agorafobica, già vecchia e stantia nonostante i suoi appena tre secoli di età. E’ una cultura sorta dal razionalismo di fine Seicento e da quella che è passata alla storia come la rivoluzione scientifica. Una cultura che è stata nutrita da una miope incomprensione dell’esperienza illuministica, pur liberatoria, che però si è incanutita precocemente, fossilizzandosi negli ingranaggi del pensiero meccanicistico. L’altra cultura è invece antica come l’alba della conoscenza (e della coscienza), come e più delle stesse piramidi e di quei miti che produssero. Eppure quella cultura è sempre giovane: perché è immortale, orgogliosa e ottimistica, come quegli stessi dèi che la donarono agli esseri umani.E’ una cultura inclusiva, conciliatrice dei complessi rapporti tra uomo e natura. E soprattutto: è profondamente radicata nella più arcaica e radicale delle esperienze umane: la percezione magica del sacro. Lo scontro in corso rappresenta una delle ultime fasi di un conflitto, molto antico, tra la dimensione gnostica – prometeica, titanica, estatica – e la sua drammatica emarginazione e persecuzione ad opera di una falsa religiosità assolutistica, quella del monoteismo patriarcale che si instaurò con il rovesciamento degli antichi dèi. Una deriva che, poi, ha portato a quel delirio teologico che è stato fatto proprio dalla cultura giudaico-cristiana. Ha pesato la sua applicazione totalmente exoterizzante, che ha escluso ogni aspetto esoterico-iniziatico. E ha voluto ritagliare, nella grande spirale del tempo eterno (venerata da tutte le antiche culture del pianeta), un segmento progettuale artificioso: quello di un dio totemico, tanto geloso quanto violento, nemico di tutte le tradizioni fondate sulla conoscenza e sull’esperienza.Razionalismo, rivoluzione scientifica e rivoluzione industriale: oggi Klaus Schwab parla di Quarta Rivoluzione Industriale, a conferma del fatto che sono sempre gli stessi, a cantarsela e suonarsela da soli. Hanno voluto separare il sacro dal profano, l’immanente dal trascendente. Negli ultimi tre secoli hanno tentato, in tutti i modi, di estirpare la spiritualità dalla concezione umana, dalle espressioni della nostra cultura. E spesso e volentieri lo hanno fatto a braccetto con la Chiesa cattolica. Ora siamo giunti a una fase ancora più avanzata: non servono neppure più, le masse. Lo spiega bene Marco Della Luna: le masse sono ormai divenute superflue, per questo potere che vorrebbe “depopolare” il pianeta. Ormai mirano solo al controllo: si aggrappano come pazzi ai residui brandelli del loro potere. Puntano al controllo totale: quindi vogliono la digitalizzazione forzata, il transumanesimo, la sostituzione definitiva dell’uomo con le macchine e la riduzione in schiavitù dei pochi superstiti.Schiavi: privati di coscienza, di libero arbitrio, di raziocinio. Privati di ogni libertà, di ogni diritto. Un po’ come recita lo slogan dell’europea Id 2030: non possiederemo più nulla, ma saremo tutti felici. Vi piacerebbe, vero? Ma non andrà così. Pensiamo a quelli che oggi recitano l’Om nelle piazze: sono comunque segnali di un risveglio spirituale. In tutte le grandi epoche di crisi e transizione, c’è sempre stato anche un grande impulso della spiritualità. L’umanità ha periodicamente compiuto balzi quantici, a livello intellettuale e spirituale. Ebbene: sono stati determinati anche dalle eruzioni solari. Ce ne ha appena riparlato anche l’astrofisica Giuliana Conforto: ci ha spiegato che il campo magnetico della Terra sta mutando velocemente, andando a saldarsi con quello del Sole, oltre che con il campo magnetico della galassia.La prima tempesta solare registrata con strumentazioni moderne risale negli anni Sessanta dell’800: mise fuori uso i telegrafi di tutto il mondo. Se dovesse avvenire oggi, una tempesta solare di quel tipo farebbe saltare tutti i satelliti e le reti di telecomunicazione, inclusa la telefonia cellulare, e probabilmente manderebbe in tilt le stesse centrali elettriche. Non è detto che certi preparativi di una crisi energetica – vera o presunta che sia – non siano anche finalizzati a “coprire” eventuali tempeste solari in arrivo. Ma attenzione: tempeste solari di entità ben maggiore, avvenute ciclicamente, sono state ben documentate: dall’analisi degli anelli degli alberi, secondo la “dendrocronologia”, e anche dai carotaggi dei ghiacci, effettuati sia in Groenlandia che in Antartide. Fra l’altro, è stato anche dimostrato che nel VII secolo avanti Cristo si verificò una tempesta solare oltre 10 volte più devastante di quella del 1864. Non esitendo la telematica, l’umanità la percepì in maniera molto diversa: al limite la videro, sotto forma di aurore boreali alle nostre latitudini e forse ancora più a Sud.Gli effetti sull’uomo, però, non tardarono a manifestarsi: nel VI secolo avanti Cristo l’umanità visse un vero salto quantico. Se è vero che può distruggere, il Sole può anche dare la vita: può fornire un impulso vitale per la nostra intelligenza. Nel VI secolo, infatti, nacquero – simultaneamente – decine di movimenti religiosi innovativi, senza contare l’esplosione della filosofia in Grecia. Nacquero Pitagora, Zarathustra, il Buddha. Fenomeni che rispondono a regole cosmiche, magnetiche? Come in alto, così in basso: quello che accade nella galassia è interconnesso con ciò che avviene sul nostro pianeta. Noi siamo un microcosmo, in rapporto con un macrocosmo. Evidentemente, le tempeste solari sono in grado di farci evolvere anche da un punto di vista spirituale. Altre tempeste solari, del resto, erano avvenute anche in precedenza: una – grandissima, risalente al 1200 avanti Cristo – si verificò in concomitanza con la nascita dei Misteri Eleusini, cioè con l’arrivo a Eleusi della dea Demetra. E ne sono avvenute moltissime altre, sempre in corrispondenza di fatti epocali.Quindi, probabilmente, i gestori della Matrix – quelli che ci dominano – sono anche terrorizzati dalla possibilità di eventi (incluse appunto le tempeste solari) che possano determinare un balzo evolutivo, un salto quantico dell’umanità. Ovvero: se l’umanità prende coscienza di sé, si libera delle proprie catene. Come hanno potuto assoggettare gli esseri umani, per oltre 10.000 anni? Con l’inganno, con i dogmi: con catene mentali e spirituali. Un bravissimo ricercatore come Sabato Scala, studioso del Cristianesimo delle origini, insiste sulla necessità del saper diversificare il Cristianesimo originario dal Cristianesimo “politico”, creato a tavolino – per fini di potere – da personaggi come Giuseppe Flavio, Paolo di Tarso e il filosofo romano Seneca. Ci sono le prove, dei loro complotti: molto abilmente, crearono una nuova religione solo in apparenza derivata dal Cristianesimo delle origini. L’obiettivo qual era? Prendere il potere a Roma e impadronirsi delle redini dell’Impero. E ci riuscirono.Il coronamento del loro delirio fu il famigerato Editto di Tessalonica, promulgato da Teodosio. Non è sbagliato paragonarlo al Green Pass: l’obbligo di aderire alla nuova religione fu imposto con la forza a una popolazione di 60 milioni di abitanti, di cui soltanto il 15% aveva aderito al nuovo credo. A tutti gli altri, il Cristianesimo “paolino” venne imposto con la violenza: chi non si fosse convertito avrebbe perso ogni diritto civile (rischiando anche la vita, in molti casi). Comunque: si perdeva il diritto a frequentare le scuole, a entrare nell’esercito, a rivestire cariche pubbliche, persino ad accedere ai pubblici edifici. Esattamente come oggi: questi non hanno fantasia, ripetono sempre gli stessi atti.Quello che Sabato Scala ci ha indicato è la presenza di precise leve psicologiche, utilizzate dalla nuova religione romana proprio per assoggettare le masse. Secondo la scienza di oggi, queste leve sono elementi certi, assodati, per la manipolazione comportamentale. Si tratta di elementi – scrive Scala – che intervengono nel minare i fondamenti di una psiche sana: perché è proprio la psiche sana, che vogliono attaccare, rendendola malata. Come? Introducendo degli effetti, rinforzati da un apparato mitologico e simbolico creato ad arte, che vanno a scardinare alla radice i pilastri di un sano equilibrio psichico (equilibrio che, nelle antiche tradizioni religiose, era sempre esistito). Quali sono, questi obiettivi? Primo: l’autostima (e l’auto-efficacia). Secondo punto: la consapevolezza delle proprie azioni, e di conseguenza l’assenza di sensi di colpa. Terzo: un equilibrato rapporto corpo-psiche, ovvero una relazione armonica con la propria istintualità.Fin dalla sua prima elaborazione, il Cristianesimo “politico” imposto a Roma, quello che poi ha preso il potere arrivando fino all’Inquisizione e alla caccia alle streghe, ha costruito ad arte un sistema mitologico, un “palinsesto” di rituali e di norme, comportamentali e morali, finalizzato a utilizzare in modo coordinato, secondo un’accurata programmazione neuro-linguistica, tutte e tre le leve citate: autostima, consapevolezza ed equilibrio corpo-psiche. In pratica, attraverso questa manipolazione, sono arrivati a sottomettere le masse con il dogma, impedendo e mortificando l’accesso alla conoscenza. Perché Eva fu cacciata, insieme ad Adamo, dal Paradiso Terrestre? Perché aveva colto il frutto dall’Albero della Conoscenza. Non sia mai: l’essere umano non deve avvicinarsi alla conoscenza. Se lo fa, i dominatori sono perduti.Prometeo, il grande dio Titano, tentò in extremis di salvare l’umanità, che già era caduta sotto il giogo dei nuovi dèi, rubando a Zeus la fiaccola della conoscenza per donarla a noi. Purtroppo quel suo gesto non servì, perché Zeus riprese il sopravvento. Ma quello di Prometeo resta un gesto simbolico importantissimo. Quella stessa fiaccola è rappresentata dalla Statua della Libertà che si erge davanti al porto di New York (e pochi sanno che il prototipo di quella statua è presente sulla facciata del Duomo di Milano). Lo ribadisco: questo è un momento storico, tutti i nodi verranno al pettine. Ci saranno tante macerie, ma siamo sicuramente all’alba di una nuova era. E c’è qualcuno che sta facendo di tutto per non farla cominciare, questa nuova era. L’intento dei dominatori è quello di ancorarsi al loro potere: per questo stanno facendo di tutto per sottomettere l’umanità, per impedirle di evolversi e di compiere questo salto quantico. Soprattutto: all’umanità vogliono impedire di ricordare chi è.Se noi ricordiamo chi siamo – se riconnettiamo la nostra parte animica, divina, con gli dèi creatori, recuperando la memoria genetica che ci hanno trasmesso – allora non ci incatena più nessuno. Se riprendiamo possesso delle nostre capacità, delle nostre vere facoltà, questo li spaventa. E tanto per essere chiari: era scomodo anche il Cristianesimo delle origini, che infatti è stato perseguitato dal Cristianesimo “politico”, progettato per il dominio. E’ proprio al Cristianesimo delle origini che si ispirarono i Catari e anche i Templari, che volevano rovesciare il Papato (si rifacevano infatti alla tradizione giovannita, che era stata spodestata). Erano scomode anche moltissime tradizioni misteriche – come quella eleusina, a cui io appartengo. Entrate in clandestinità, nel medioevo hanno tentato anch’esse, a più riprese, di spodestare la Chiesa: non ci sono riuscite, ma c’è mancato veramente poco.Il Rinascimento non è stato solo una rinascita delle arti e della cultura classica: ha rappresentato una vera rinascita delle scienze e delle coscienze, guidata (sottotraccia) proprio dalle antiche tradizioni misteriche che, come un fiume carsico, erano sopravvissute nel sottosuolo per tornare a riaffiorare e alzare la testa, con la stagione rinascimentale. Potevano farlo, avendo in mano la maggior parte degli Stati e delle signorie dell’epoca, contrapposte al Vaticano. Oggi la Chiesa è molto preoccupata, dalla rinascita di certe tradizioni, che vede esprimersi anche nella new age. Premetto: io non l’ho mai amata, la cultura new age; magari era nata con buone intenzioni, ma poi è stata manipolata (soprattutto negli Usa, dalla Cia) per finalità politiche. Diciamo che, anche in questo caso, bisogna separare la farina dalla crusca.Tornando alla Chiesa cattolica: sta procedendo ormai verso una deriva transumanista, improntata al Grande Reset di Davos. Lo dimostrano anche le scandalose politiche vaccinali del Vaticano: una deriva totalitaria che non trova invece il consenso della maggior parte delle Chiese Ortodosse. Il cattolicesimo romano, al contrario, è totalmente appiattito sull’Operazione Corona, anche perché rappresenta un potere che di cristiano non ha più niente. Ebbene: il potere cattolico è oggi spaventato anche da quello che, genericamente, chiama “gnosticismo”. Il termine però è impreciso: c’è infatti anche uno gnosticismo cristiano, c’è uno gnosticismo di origine ermetica, e c’è uno gnosticismo impropriamente definito “pagano”. Comunque, “gnosi” vuol dire “conoscenza”: quindi, nello gnosticismo possiamo annoverare tante tradizioni. Le gerarchie vaticane usano questo termine, in modo un po’ dispregiativo, per indicare qualcosa di pericoloso. E la polemica non è solo di oggi, risale agli anni Novanta.Interessante il caso di Louis Pauwels, autore de “Il mattino dei maghi”: un libro che, negli anni Sessanta, ha fatto la storia dell’esoterismo occidentale (e anche, in parte, del movimento new age). Poi, in età avanzata, Pauwels ebbe un repentino cambio di rotta: divenne un intransigente cattolico e si mise ad attaccare tutte quelle dottrine esoteriche che escono dai binari della Chiesa. Molto strana, la sua pseudo-conversione: avvenne in seguito a uno strano incidente che quasi gli costò la vita. Mi ricorda la situazione di oggi, in cui molte persone si lasciano manipolare dalla paura, al punto da rinunciare ai loro diritti costituzionali e alla propria libertà. Negli ultimi anni della sua vita, Pauwels arrivò a parlare di un “complotto mondiale neo-gnostico”, ordito da “forze anti-cristiane” che mirerebbero a “indebolire la fede dei cattolici”(sembrano parole di Don Curzio Nitoglia). Comunque, gli attacchi allo gnosticismo – che stanno avvenendo proprio in questi giorni – hanno svariati precedenti nei decenni scorsi, ben oltre il semplice caso Pauwels.Nel 1990, all’indomani del crollo dei regimi dell’Est Europa, l’arcivescovo di Bruxelles, cardinale Godfried Danneels, in una sua lettera pastorale fece una dichiarazione molto inquietante, poi pubblicata nel 1991 sul settimanale “Il Sabato”. «La riesumazione della vecchia gnosi – scrisse, testualmente – è un rischio mortale, che potrebbe portare alla distruzione del Cristianesimo. E il clima di festa e di liberazione dal comunismo non può assolutamente far dimenticare il sorgere di questo nuovo, insidioso avversario». A breve distanza, anche il Pontefice (Giovanni Paolo II) fece una dichiarazione simile, poi inclusa nel libro-intervista “Varcare le soglie”, curato da Vittorio Messori. Lo stesso Wojtyla, dunque, espresse preoccupazione per «la rinascita delle antiche idee gnostiche». Rinascita definita «un nuovo modo di praticare la gnosi, cioè quell’atteggiamento dello spirito che, in nome di una profonda e presunta conoscenza di Dio, finisce poi per stravolgere la sua parola».Obiettivamente parlando, qui siamo al ridicolo. Una religione che si considera solida – plurimillenaria – di cosa può mai avere paura? Del risorgere di forme di consapevolezza legate al passato? Evidentemente sì: ne ha tanta paura. E in questi giorni, sempre in ambiti cattolici – anche ambienti giornalistici, persino quelli della cosiddetta controinformazione – si levano le voci di chi pure asserisce di essere contrario alla “deriva autoritaria” in corso, ma poi si mette, curiosamente, ad attaccare proprio lo gnosticismo. Mi domando: ma dov’è, questo gnosticismo? Vedete chiese gnostiche? Movimenti gnostici al potere? Evidentemente, costoro temono una presa di coscienza: temono la riscoperta, da parte delle masse, di antiche tradizioni spirituali (mai sopite). E in maniera un po’ generica e ipocrita, le definiscono con l’etichetta di “gnosticismo”. Lo fanno per non nominarle, per non pronunciare i loro veri nomi.E’ emblematico, il fenomeno: conferma la paura del risveglio. A Firenze, il 14 novembre, sono state schierate le camionette della polizia davanti alla Porta del Paradiso, al Battistero del Duomo, dove si erano radunate migliaia di persone a recitare l’Om. A chi potevano far paura, quelle persone? Alla Curia, immagino, ben più che al governo Draghi. A quanto pare, a quella ritualità di piazza viene attribuita un’importanza enorme. In effetti, davanti alla Porta del Paradiso si prega per qualcosa che va contro i dettami globalisti e transumanisti dell’attuale Chiesa. E allora si sprecano gli attacchi contro queste “nuove forme di gnosticismo”, pericolosissime. In realtà attaccano la rinascita della consapevolezza: è quella, che fa paura. Parallelamente, da parte dell’élite di potere, ci sono progetti per arrivare a una nuova religione mondiale. In realtà risalgono all’Ottocento, e molti sono già naufragati: ma certe fazioni non vi hanno mai rinunciato. Nell’ottica della Quarta Rivoluzione Industriale, vorrebbero arrivare a fondere le tre grandi religioni monoteistiche in una nuova pseudo-religione con i suoi dogmi, i suoi riti e i suoi simboli.Il piano però è già fallito in partenza, sia per il rifiuto (motivato) da parte dell’ebraismo, che per il rifiuto (più che motivato) da parte dell’Islam: quando Bergoglio è andato a Baghdad, per poi animare un incontro interreligioso davanti alla ziqqurat babilonese di Ur, il grande ayatollah Al-Sistani (una delle massime guide spirituali dell’Islam sciita) gli ha risposto: potevi anche fare a meno di venire qui. Come a dire: noi non ci stiamo, non accettiamo questa deriva globalista né tantomeno accettiamo di rinunciare alla nostra tradizione, per fonderci in una religione che sia consona ai poteri di certe élite. Non ha funzionato nemmeno l’incontro interreligioso tenutosi nella Piramide di Astana, in Kazakhstan, perché non ci sono i presupposti per realizzare quel progetto. Aderendo a questa operazione, fino ad imporre addirittura il Green Pass a messa (siamo al delirio, ormai), la Chiesa dimostra di aver perso ogni legittimità residua, agli occhi dei fedeli.Così come gli stessi media manistream, giudicati inattendibili, anche il Vaticano sconta ormai la sfiducia della maggioranza della popolazione: oltre il 60% dei cattolici italiani, probabilmente, rifiutano la piega mondialista del pontificato di Bergoglio, non riconoscendosi più in questa Chiesa. E’ probabile che il cattolicesimo romano vada incontro a uno scisma, che per ora è stato soltanto rimandato. Ed è interessante che gli attacchi anti-gnostici provengano anche da ambienti clericali tradizionalisti: alcuni sono stati sferrati da personaggi come quel noto arcivescovo (Carlo Maria Viganò, ndr) che pure ha fatto proclami importanti, contro la politica di Bergoglio. Anche lui s’è messo a denunciare lo gnosticismo montante. Mi domando: di cosa hanno paura? Del risveglio delle coscienze? Temono di non riuscire più a irreggimentarle?Intendiamoci: la spiritualità non può essere ingabbiata, recintata. Secondo me, l’umanità è destinata (in buona parte) a un grande balzo evolutivo, a una rinascita della coscienza, a una nuova consapevolezza. E questo la porterà davvero ad evolversi, e a liberarsi finalmente da tante catene e da tanti condizionamenti. Il che spaventa enormemente il potere. E’ probabile che ci sarà il tentativo di creare nuovi movimenti di stampo new age, riadattati al presente, per cercare di ingabbiare le persone. E invece, secondo me, oggi possono nascere nuove, grandi correnti spirituali, di portata epocale. Perché siamo veramente a un momento di svolta. Chi vivrà vedrà, ma a mio parere assisteremo a eventi incredibili. Se ci sarà un risveglio della consapevolezza, ci sarà anche un balzo in avanti della società, sotto tutti gli aspetti: un salto quantico, dal mondo scientifico fino alla dimensione del sociale. C’è solo da augurarselo. Prima, però, deve cadere questa impalcatura malvagia, legata all’anti-umanesimo.(Nicola Bizzi, “La spiritualità della nuova era”: dichiarazioni rilasciate a Gianluca Lamberti il 14 novembre 2021, nella trasmissione “Il Sentiero di Atlantide”, sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”).La deriva transumanista a cui stiamo assistendo è il frutto di uno scontro di civiltà. Un emblematico, inesauribile scontro: non solo fra due culture, fra due concezioni del mondo, ma addirittura fra due opposte e inconciliabili forme di civiltà. Una potremmo definirla algida, fredda, pseudo-lineare, agorafobica, già vecchia e stantia nonostante i suoi appena tre secoli di età. E’ una cultura sorta dal razionalismo di fine Seicento e da quella che è passata alla storia come la rivoluzione scientifica. Una cultura che è stata nutrita da una miope incomprensione dell’esperienza illuministica, pur liberatoria, che però si è incanutita precocemente, fossilizzandosi negli ingranaggi del pensiero meccanicistico. L’altra cultura è invece antica come l’alba della conoscenza (e della coscienza), come e più delle stesse piramidi e di quei miti che produssero. Eppure quella cultura è sempre giovane: perché è immortale, orgogliosa e ottimistica, come quegli stessi dèi che la donarono agli esseri umani.
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Ilaria Bifarini: coronavirus e suicidi, così il lockdown uccide
Nel mondo un virus oscuro miete ogni anno 800 mila vittime, ossia una ogni 40 secondi, e si insidia come una delle principali cause di morte tra i giovani, più letale del coronavirus: è il suicidio. Numeri sorprendenti e spaventosi, che vengono subito dopo quelli dell’Hiv e prima della malaria, e verosimilmente sottostimati, se consideriamo che in alcuni paesi togliersi la vita è considerato illegale e molti casi vengono classificati come morti per incidenti. Il tasso di incidenza del suicidio tra i decessi totali di una popolazione segue matrici non ben identificabili: il primato spetta alla Groenlandia, con una percentuale di incidenza sui decessi nazionali addirittura pari 7,21%, segue la Corea del Sud col 5%, seguita dalla Guyana, il Qatar e lo Sri Lanka. In Europa la percentuale risulta più alta in Russia (2,45%), in Ucraina, in Bielorussia, ma anche in Francia, dove solo negli ultimi anni tale indicatore è sceso sotto il 2%, rappresentando con i suoi 11.000 casi registrati nel 2017 la settima causa di morte, prima delle malattie epatiche e del diabete. Regno Unito, Italia e Spagna registrano tassi inferiori all’1%, bassi rispetto alla media ma comunque numeri preoccupanti, pari a migliaia di decessi ogni anno.Tra i fattori di rischio riconosciuti nella letteratura scientifica come i più rilevanti nel fenomeno suicidario sono indicate le patologie mentali, quali la depressione e altri disturbi dell‘umore, spesso un riflesso delle difficoltà di adattarsi agli standard sociali e lavorativi richiesti al giorno d’oggi. E proprio il livello di disoccupazione e la situazione economica del paese in cui si vive sono variabili che incidono fortemente sul tasso di suicidio. Gli studi condotti su tale relazione sono numerosi e giungono a evidenze chiare e predittive: esiste una chiara correlazione tra recessione economica e andamento del tasso di suicidio, anche se non lineare, poiché è più forte nei paesi con un tasso di disoccupazione pre-crisi più basso. Analizzando gli effetti della crisi economica asiatica avvenuta tra il 1997 e il 1998, è stata riscontrata una correlazione con i tassi di suicidio, in particolare quello maschile, aumentati in modo evidente in Giappone, Hong Kong e Corea, mentre nel caso delle donne il tasso è rimasto pressoché invariato. Come emerge palesemente per la Corea del Sud, l’aumento avviene sia durante la crisi che negli anni successivi, essendo le ripercussioni di una crisi economica spalmate e durature nel tempo.Uno studio analogo è stato condotto in Europa, a seguito della crisi dei mutui subprime del 2008 che, nata in Usa, proprio nel Vecchio Continente sembra essere stata più deleteria e persistente, tanto che molti paesi, come il nostro, non ne sono ancora usciti mentre si trovano ad affrontare uno shock economico mondiale ancora più travolgente, quello legato al coronavirus. Anche in questo caso è stato riscontrato un aumento del tasso di suicidi legato alle dinamiche economiche. Interessante è il focus sulla Grecia, il paese che più di tutti ha sofferto la crisi economica del 2008, con l’intervento della Troika che ha imposto misure durissime di austerity alla popolazione, ridotta allo stremo. Ebbene, proprio dal paese ellenico, che in passato poteva vantare uno dei tasso di suicidi più bassi in assoluto, proviene l’incremento più significativo, con una crescita del 56% tra il 2007 e il 2011 e del 35% tra il 2010 e il 2012. A seguito dei tagli draconiani apportati al settore della sanità sono stati rilevati anche peggioramenti nello stato di salute generale della popolazione: il virus dell’Hiv è aumentato del 52%, si è assistito a un’epidemia di malaria che non si riscontrava dal 1974 e a un aumento della mortalità infantile.È la conferma che l’austerity uccide, come hanno dimostrato gran parte dei paesi occidentali, in primis l’Italia, di fronte all’emergenza coronavirus: i tagli alla sanità hanno reso inadeguata la risposta ospedaliera allo scoppio di un’epidemia, peraltro prevedibile, con un numero di terapie intensive insufficienti ovunque, ad eccezione della Germania, dove il numero è 6 volte quello dell’Italia. In Italia, come nel resto del mondo, in questi giorni di lockdown e restrizioni sociali per far fronte all’emergenza coronavirus, l’allarme suicidi manifesta le prime avvisaglie. Numerosi sono stati i casi di persone che si sono tolte la vita per aver contratto il Covid-19 o per il solo timore di essere contagiati, soprattutto tra il personale ospedaliero, il più esposto al virus, in particolare nel Nord Italia. Si tratta di una reazione istintiva alla paura della malattia da parte dell’essere umano, tanto che già Ovidio nelle “Metamorfosi” racconta: «Si impiccarono, per uccidere le paure della morte con la mano della morte».Diversi anche i casi di violenze domestiche, legate a una convivenza forzata e senza interruzione che ha esacerbato situazioni già problematiche, e degenerate in omicidi (dal ragazzo di Roma che ha decapitato con un coltello la madre alla studentessa messinese uccisa dal compagno). Nel torinese un ragazzo di 29 anni già nei primi giorni di lockdown si è tolto la vita perché la sua ditta ha chiuso e dunque aveva perso quel contratto di tirocinante tanto ambito. Analoga sorte per un giovane di origini senegalesi a Milano. Poi è stato difficile tenere il contro, vista la scarsa attenzione dei media sul tema. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio suicidi per motivazioni economiche della Link Campus, sono 25 i suicidi avvenuti in questo periodo di isolamento forzato; altri 21 sono stati sventati dalla polizia o da familiari, ma è difficile pensare che sia stato un vero salvataggio di vite umane quando non si estirpano le cause di questo drammatico gesto.Di fatto abbiamo vissuto, e continuiamo a vivere, una condizione innaturale per l’essere umano, che per sua natura è un animale sociale e nella comunità trova sostegno e riconoscimento, fondamentale soprattutto per le persone più fragili. Il lavoro, oltre che necessaria al sostentamento economico, è una componente imprescindibile dell’equilibrio psichico dell’individuo e della sua integrazione nella collettività. L’attenzione per i decessi con coronavirus non deve farci dimenticare quelle 800.000 persone che ogni anno muoiono per sofferenze psicologiche, molte delle quali potrebbero essere salvate con maggiore sostegno sociale e attenzione verso di esse, e ricordarci sempre lo stretto nesso che esiste tra aspetto economico e sanitario, complementari e entrambi imprescindibili per il benessere della collettività.(Ilaria Bifarini, “Coronavirus e suicidi, il lockdown uccide”, dal blog della Bifarini del 23 maggio 2020).Nel mondo un virus oscuro miete ogni anno 800 mila vittime, ossia una ogni 40 secondi, e si insidia come una delle principali cause di morte tra i giovani, più letale del coronavirus: è il suicidio. Numeri sorprendenti e spaventosi, che vengono subito dopo quelli dell’Hiv e prima della malaria, e verosimilmente sottostimati, se consideriamo che in alcuni paesi togliersi la vita è considerato illegale e molti casi vengono classificati come morti per incidenti. Il tasso di incidenza del suicidio tra i decessi totali di una popolazione segue matrici non ben identificabili: il primato spetta alla Groenlandia, con una percentuale di incidenza sui decessi nazionali addirittura pari 7,21%, segue la Corea del Sud col 5%, seguita dalla Guyana, il Qatar e lo Sri Lanka. In Europa la percentuale risulta più alta in Russia (2,45%), in Ucraina, in Bielorussia, ma anche in Francia, dove solo negli ultimi anni tale indicatore è sceso sotto il 2%, rappresentando con i suoi 11.000 casi registrati nel 2017 la settima causa di morte, prima delle malattie epatiche e del diabete. Regno Unito, Italia e Spagna registrano tassi inferiori all’1%, bassi rispetto alla media ma comunque numeri preoccupanti, pari a migliaia di decessi ogni anno.
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Finiamo sott’acqua: fonde l’Antartide, come 125.000 anni fa
Abbiamo sentito ampiamente parlare nei giorni scorsi dell’incredibile temperatura registrata in Antartide il 9 febbraio scorso, con un valore superiore addirittura ai 20°C, preceduto da un altro picco di 18°C, il 7 sempre del mese in corso. Possiamo dirlo con certezza: l’Antartide ha la febbre. E non è una frase fatta, ma la semplice realtà esplicitata dai dati meteorologici raccolti dalle stazioni meteo. Un picco così alto di temperature potrebbe comportare lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento delle acque. Cosa significa? Entro la fine di questo secolo, se dovesse continuare ad essere questo il trend, il livello globale del mare potrebbe aumentare fino a tre volte rispetto al secolo scorso, passando cioè da 19 a 58 centimetri. E’ quanto emerge da un confronto, senza precedenti, di numerosi modelli elaborato con computer all’avanguardia provenienti da tutto il mondo, afferma il sito del servizio “ilmeteo.it”. «Il serio rischio relativo allo scioglimento dei ghiacci in Antartide potrebbe seriamente diventare la più grande catastrofe globale». Lo afferma Anders Levermann del Potsdam Institute of Climate Impact Research, principale autore della ricerca.Quali potrebbero essere gli effetti sul pianeta a seguito di un probabile innalzamento delle acque? A dir poco fatali: «Se dovesse attuarsi la spaventosa previsione di Anders Levermann, ci troveremmo di fronte ad un cambiamento epocale», scrive sempre il servizio meteorologico. «La conseguenza più ovvia è che gli abitanti in aree collegate al mare ad un’altitudine inferiore al livello previsto dell’alta marea si troveranno sott’acqua: si tratterebbedi circa 150 milioni di persone nel 2050, in salita a 190-340 milioni entro il 2100». La situazione potrebbe quindi risultare «particolarmente drammatica» in Cina, Giappone, India, Indonesia e Filippine, mentre Bangladesh, Vietnam e Thailandia vedrebbero scomparire sotto il livello del mare territori attualmente abitati da circa il 20% della loro popolazione. Quanto all’Italia, il nostro paese non è immune agli effetti relativi all’innalzamento delle acque: «Buona parte delle pianure costiere italiane potrebbero essere soggette ad inondazioni o addirittura scomparire entro il 2100, per un’area totale pari a quella dell’intera Liguria». Le zone più a rischio «sono quelle del versante tirrenico, l’arco ionico, il Tavoliere delle Puglie e la Laguna Veneta».Analoghe conferme da altri recenti studi, citati da “meteoweb.eu”. «Le riserve di ghiaccio dell’Antartide, che si stanno sciogliendo a ritmi mai visti a causa del riscaldamento globale, rappresentano un rischio non solo per le specie animali presenti nell’area più fredda del globo, ma anche per noi». La rivista americana “Proceedings of the National Academy of Science” (Pnas) pubblica una ricerca guidata da Eric Rignot, dell’Università della California, secondo cui dal 1979 a oggi il livello degli oceani si è innalzato di 1,4 centimetri a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Ma la preoccupazione maggiore «è data dalla velocità che questo fenomeno potrebbe assumere nei prossimi anni». L’innalzamento del livello dei mari, infatti, «potrebbe avere effetti disastrosi: in uno degli scenari peggiori immaginati dagli scienziati, già entro i prossimi 80 anni potremmo assistere a un innalzamento di 1,8 metri, con la conseguente inondazione della maggior parte delle città costiere». Si tratta di una previsione quattro volte peggiore rispetto a quella di Levermann, che parla di un innalzamento massimo di mezzo metro del livello dei mari (già di per sé catastrofico).Lo studio del Pnas si basa su una vasta indagine condotta sui ghiacciai antartici, che ha coperto 18 diverse regioni e si è avvalsa delle immagini aeree della Nasa più le immagini satellitari di diverse altre agenzie spaziali. «Il dato più allarmante registrato – sintetizza “meteoweb.eu” – è quello relativo ai ghiacciai orientali dell’Antartide, finora ritenuti stabili e immuni ai cambiamenti climatici, che sembrano aver iniziato a sciogliersi». Uno scioglimento di quest’area si era già verificato circa 125.000 anni fa, ma oggi basterebbe un innalzamento della temperatura globale di due gradi centigradi per registrare effetti disastrosi. Per comprendere la portata dell’evento, basti pensare che «se tutto il ghiaccio dell’Antartide si sciogliesse, gli oceani si innalzerebbero di 57 metri». Ma la grande maggioranza del ghiaccio è concentrata proprio nella parte orientale del continente: ce n’è abbastanza per far salire gli oceani di 52 metri, contro i 5 metri che si raggiungerebbero in caso di fusione completa del ghiaccio occidentale. «Lo scenario catastrofico, pur non essendo all’ordine del giorno, rende bene l’idea di un’eventualità tutt’altro che remota». Infatti, se tra il 1979 e il 1990 in Antartide si sono persi “solo” 40 miliardi di tonnellate di ghiacci in media all’anno, tra il 2009 e il 2017 questo dato è salito fino a 252 miliardi di tonnellate.Il fatto è che nella calotta polare antartica si trova il 70% dell’acqua dolce della Terra, ricorda Tosca Ballerini sul “Fatto Quotidiano”. E’ una coltre di ghiaccio formatasi 34 milioni di anni fa, che si estende per 14 milioni di chilometri quadrati e ricopre circa il 98% dell’Antartide. Nella calotta antartica sono contenuti tra i 25 e i 30 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio: se si sciogliesse tutta, il livello medio del mare salirebbe di 57 metri. Normalmente, l’accumulo di nevicate all’interno del continente antartico dovrebbe bilanciare le perdite di ghiaccio dovute ad erosione, fusione e distacco di iceberg. «Il problema è che la calotta antartica non è più in uno stato di equilibrio e le perdite di ghiaccio sono superiori alla formazione di nuovo ghiaccio». Anche il “Fatto” cita la ricerca del Pnas, condotta dai glaciologi californiani. Studi precedenti avevano già dimostrato come, a causa del surriscaldamento terrestre, ci sia stato «un cambiamento nella direzione dei venti attorno all’Antartide, i quali soffiano adesso verso il continente spingendo l’acqua profonda circumpolare verso la piattaforma continentale». Qui, questa massa d’acqua calda «entra in contatto con i ghiacciai della calotta che arrivano in mare e ne determina lo scioglimento alla base».Secondo Eric Rignot, autore principale dello studio, la perdita di massa della calotta e il contributo all’aumento del livello medio del mare misurati durante lo studio non sono altro che la punta dell’iceberg del problema. «Infatti, a causa del riscaldamento terrestre, sempre maggiori quantità di calore saranno inviate verso l’Antartide, contribuendo allo scioglimento della calotta antartica». E quindi, conclude il ricercatore, «dobbiamo aspettarci un aumento di molti metri del livello del mare nei prossimi secoli». Queste previsioni – aggiunge il “Fatto” – sono confermate da un rapporto redatto da un team di ricerca internazionale e pubblicato il 16 gennaio sulla rivista “Advances in Atmospheric Research”, che mostra come il 2018 sia stato l’anno più caldo mai registrato per l’oceano globale. «L’aumento di calore nel 2018 rispetto al 2017 è stato di circa 388 volte superiore alla produzione totale di elettricità della Cina nel 2017 e circa 100 milioni di volte in più rispetto alla bomba di Hiroshima». I ricercatori pronosticano che la quantità di calore oceanico continuerà a salire, «determinando un aumento del livello del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacciai e l’espansione termica dell’acqua».Questo, a sua volta, causerà una serie di conseguenze a cascata, «come ad esempio la contaminazione di pozzi d’acqua dolce con acqua salata e impatti negativi sulle infrastrutture costiere, tempeste e più intense e la morte dei coralli». Il riscaldamento terrestre ha già causato conseguenze irreversibili, come la perdita di massa della calotta glaciale antartica, destinata ad accentuarsi nel futuro. Per Lijing Cheng, autore principale del rapporto e ricercatore presso l’International Center for Climate and Environment Sciences dell’Accademia cinese delle scienze a Pechino, i nuovi dati pubblicati nel rapporto, insieme al ricco corpus di pubblicazioni scientifiche già esistenti, servono come ulteriore avvertimento, sia ai governi che al pubblico in generale: stiamo vivendo un inevitabile riscaldamento globale. È necessario, dice il ricercatore, mettere in atto subito delle azioni di mitigazione per ridurre al minimo le future tendenze al riscaldamento. Per contro, è stato osservato al tempo stesso anche il fenomeno inverso: la strana espansione dei ghiacci antartici, provocata (paradossalmente) proprio dalla loro fusione.Se ne accorsero già nel 2014 i ricercatori della Oregon State University e quelli dell’Università di Brema, in Germania. Lo studio, che spiega anche perché il ghiaccio marino che circonda quel continente è in aumento nonostante il riscaldamento del resto del pianeta, è descritto in un articolo pubblicato su “Nature”. I ricercatori hanno analizzato i sedimenti marini circostanti l’Antartide relativi agli ultimi 8.000 anni, identificando i grani di sabbia depositati dallo scioglimento degli iceberg, per poi risalire con l’uso di sofisticati modelli al computer, ai ritmi di rilascio degli iceberg dalla calotta glaciale. Hanno così scoperto che «nella parte più profonda del mare adiacente alla calotta antartica si manifesta una variabilità naturale simile a quella di El Niño/La Niña, ma su una scala temporale più lunga, di secoli, che provoca piccoli ma significativi cambiamenti nelle temperature», spiega Andreas Schmittner, coautore dello studio. Quando le temperature oceaniche sono più calde – sintetizza “Le Scienze” – provocano uno scioglimento più intenso della calotta di ghiaccio sotto la superficie, e aumentano il numero di iceberg che se ne distaccano, aumentando l’apporto di acqua dolce fredda nell’Oceano meridionale.Tutto questo riduce la salinità e le temperature superficiali, che provocano una stratificazione delle acque. «L’acqua più dolce e fredda di superficie gela però più facilmente, creando ulteriore ghiaccio marino, anche se alcune centinaia di metri più in profondità le temperature sono più alte». Lo stesso fenomeno non si verifica, invece, nell’emisfero settentrionale, con il ghiaccio che circonda la Groenlandia, «perché l’oceano artico è più chiuso e non risente di correnti oceaniche analoghe a quelle che interessano l’Antartide». Almeno sul breve periodo, aggiungeva “Le Scienze” qualche anno fa, questo meccanismo «sembra avere un effetto di relativa stabilizzazione del rilascio di acqua dal continente». I risultati di quello studio si stimava che avrebbero permesso di perfezionare i modelli climatici globali, nei quali la calotta antartica era sempre stata considerata un’entità statica e costante, non sottoposta ai numerosi impulsi di variabilità ora scoperti. Il suo sciogliento accelerato e improvviso – ora verificato – lascerebbe dunque temere il peggio, con scenari apocalittici: oceani che si innalzano e litorali che scompaiono, come altre volte avvenuto nella lunghissima storia della Terra.Abbiamo sentito ampiamente parlare nei giorni scorsi dell’incredibile temperatura registrata in Antartide il 9 febbraio scorso, con un valore superiore addirittura ai 20°C, preceduto da un altro picco di 18°C, il 7 sempre del mese in corso. Possiamo dirlo con certezza: l’Antartide ha la febbre. E non è una frase fatta, ma la semplice realtà esplicitata dai dati meteorologici raccolti dalle stazioni meteo. Un picco così alto di temperature potrebbe comportare lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento delle acque. Cosa significa? Entro la fine di questo secolo, se dovesse continuare ad essere questo il trend, il livello globale del mare potrebbe aumentare fino a tre volte rispetto al secolo scorso, passando cioè da 19 a 58 centimetri. E’ quanto emerge da un confronto, senza precedenti, di numerosi modelli elaborato con computer all’avanguardia provenienti da tutto il mondo, afferma il sito del servizio “ilmeteo.it“. «Il serio rischio relativo allo scioglimento dei ghiacci in Antartide potrebbe seriamente diventare la più grande catastrofe globale». Lo afferma Anders Levermann del Potsdam Institute of Climate Impact Research, principale autore della ricerca.
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Scienziati Usa: la Terra ora rischia una nuova era glaciale?
Un aumento del ghiaccio in Antartide potrebbe innescare la prossima era glaciale. E’ l’avvertimento lanciato da un gruppo di scienziati dell’Università di Chicago, che ha condotto una serie di simulazioni al computer. «Le loro conclusioni – scrive l’Agi – suggeriscono che, qualora si accumulasse ghiaccio marino in Antartide, si formerebbe una sorta di coperchio sull’oceano che bloccherebbe lo scambio di anidride carbonica con l’atmosfera». Questo, aggiunge l’Agenzia Italia, provocherebbe una sorta di effetto serra “inverso”, che alla fine raffredderebbe la Terra e «farebbe entrare il nostro pianeta in una nuova era glaciale, dopo l’ultima che si è verificata oltre due milioni di anni fa, durante l’era pleistocenica». Sono anni che gli scienziati americani stanno studiando i processi che hanno portato alle ere glaciali in passato. E hanno scoperto che un ruolo importante lo giocherebbe lo scambio di gas tra l’oceano e l’atmosfera. Dalle simulazioni al computer, i ricercatori hanno scoperto che il ghiaccio marino, in Antartide, non solo cambia la circolazione oceanica, ma agisce come un “tappo”, bloccando il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera e raffreddando così le temperature.«Quando la temperatura scende, viene rilasciata meno anidride carbonica nell’atmosfera, il che provoca un maggiore raffreddamento», conferma Alice Marzocchi, una delle ricercatrici del team americano. Queste conclusioni – aggiunge sempre l’agenzia di stampa – coincidono con le evidenze climatiche del passato, come sedimenti, barriere coralline e campioni di ghiaccio “antico”. Notizie come questa sembra vadano prese con le dovute cautele, così come quelle – di segno opposto – diffuse a gran voce dall’Ipcc, il comitato intergovernativo sul cambiamento climatico, che (attraverso testimonial come Greta Thunberg) sostengono che vi sia una correlazione diretta, e molto rilevante, tra le attività umane e le alterazioni climatiche. Sarebbe invece di origine addirittura cosmica il catastrofico sconvolgimento planetario determinato dal cosidetto “Dryas recente”, secondo cui una “pioggia cometaria” attorno al 10.900 avanti Cristo avrebbe causato una grande esplosione nell’atmosfera terrestre, in seguito all’impatto di giganteschi frammenti meteorici provenienti dallo spazio esterno.All’evento si attribuisce l’innesco di un periodo freddo, diffuso su tutto il pianeta. Lo sciame di comete avrebbe colpito vaste aree del continente nordamericano, producendo numerosissimi incendi diffusi su tutta l’America del Nord fino a causare, nel corso della Glaciazione Würm (ultimo periodo glaciale) l’estinzione degli animali più grandi. Molto più vicina a noi è invece la “piccola era glaciale”, che dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo fece registrare un brusco abbassamento della temperatura media terrestre. Quella fase fredda fu preceduta da un lungo periodo di temperature relativamente elevate, chiamato “periodo caldo medievale”. Dal 1300, ricorda Wikipedia, si assistette a un graduale avanzamento dei ghiacciai che prima si erano ritirati molto o erano scomparsi, e si ebbe anche la formazione di nuovi depositi di ghiaccio sui monti. I ghiacciai arrivarono al culmine della loro estensione intorno al 1850. La “piccola era glaciale” causò inverni molto freddi in Europa e Nord America. Il Tamigi e molti canali in Olanda si congelarono spesso durante l’inverno. Nel 1780 si ghiacciò anche il porto di New York, consentendo di andare a piedi da Manhattan a Staten Island.Il mare ghiacciato circondante l’Islanda si estese per molti chilometri in tutte le direzioni, impedendo l’accesso navale ai porti dell’isola. Lo stesso avvenne anche in Groenlandia. In entrambe le isole le navi commerciali provenienti dalla Danimarca non riuscivano più a entrare nei porti. Questo fece sì che la Danimarca cominciò quasi a dimenticare l’esistenza delle due isole. Si hanno riferimenti del 1500 di una spedizione danese che trovò la Groenlandia completamente disabitata. In particolar modo, viene ricordato l’inverno 1709 che, secondo gli esperti, è considerato il più freddo degli ultimi 500 anni per il continente europeo. Gli inverni più rigidi ebbero effetti sulla vita umana: le carestie divennero più frequenti (quella del 1315 uccise 1,5 milioni di persone) e le morti per le malattie aumentarono. La piccola era glaciale (visibile anche nella pittura fiamminga di Pieter Bruegel il Vecchio, vissuto nel Cinquencento) si concluse intorno al 1850, quando il clima terrestre tornò gradualmente a riscaldarsi, facendo nuovamente arretrare i ghiacciai. Ora le ultime notizie dall’Antartide ci dicono che il freddo potrebbe tornare a sfrattare il caldo?Un aumento del ghiaccio in Antartide potrebbe innescare la prossima era glaciale. E’ l’avvertimento lanciato da un gruppo di scienziati dell’Università di Chicago, che ha condotto una serie di simulazioni al computer. «Le loro conclusioni – scrive l’Agi – suggeriscono che, qualora si accumulasse ghiaccio marino in Antartide, si formerebbe una sorta di coperchio sull’oceano che bloccherebbe lo scambio di anidride carbonica con l’atmosfera». Questo, aggiunge l’Agenzia Italia, provocherebbe una sorta di effetto serra “inverso”, che alla fine raffredderebbe la Terra e «farebbe entrare il nostro pianeta in una nuova era glaciale, dopo l’ultima che si è verificata oltre due milioni di anni fa, durante l’era pleistocenica». Sono anni che gli scienziati americani stanno studiando i processi che hanno portato alle ere glaciali in passato. E hanno scoperto che un ruolo importante lo giocherebbe lo scambio di gas tra l’oceano e l’atmosfera. Dalle simulazioni al computer, i ricercatori hanno scoperto che il ghiaccio marino, in Antartide, non solo cambia la circolazione oceanica, ma agisce come un “tappo”, bloccando il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera e raffreddando così le temperature.
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Global Strike: nuova religione, certezze piccine come Greta
Con Greta, oppure contro Greta: è indifferente, purché si dia spettacolo. Lo spiega il regista Massimo Mazzucco: intanto, i primi vincitori dell’operazione sono i media. Negli odierni palinsesti televisivi, sempre più stanchi, ogni minuto di ascolto vale oro, in termini pubblicitari. La ragazzina svedese infatti fa audience, e nel modo più comodo e inoffensivo: agita nobili ideali e solleva grandi interrogativi, ma senza mai allarmare il potere. La baby-agitazione sul clima non prevede, domattina, nessun G20 e nessun referendum. Solo parole al vento? Non per forza: può anche darsi che il seme gettato da Greta – diventare più responsabili verso l’ambiente – possa dare frutto, domani, tra i giovanissimi di oggi, quando saranno chiamati a votare e a scegliere leader meno “distratti”. Il rovescio della medaglia è lampante: il rischio è quello di appiattire masse immense su una sorta di non-pensiero, fondato su un assioma indimostrato: e cioè che il surriscaldamento climatico in corso sarebbe senza precedenti, nonché di origine umana. Sicuri? Per nulla: sull’attuale impatto ambientale in termini di temperature si accettano scommesse, mentre se c’è una certezza è proprio questa: la Terra si è sempre surriscaldata, per poi tornare a raffreddarsi fino a congelarsi, molto prima della nostra civiltà industriale. Quanto tempo prima, esattamente?
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Decrescita senza giustizia e ’sviluppo’ mortale per la Terra
Il male è in noi, si potrebbe pensare, nel momento in cui accettiamo come un fenomeno fisiologico il fatto che i giovani africani scappino dall’Africa, anziché restare nella loro terra ricchissima e vergognosamente saccheggiata. Accoglierli o respingerli, poi, è decisivo solo per l’umanità migrante, per i singoli, ma non cambia di una virgola il problema (ne cambia solo le conseguenze a casa nostra, non le cause a casa loro, dove di questo passo le cose andranno di male in peggio). C’è un oceano in movimento – domani saranno mezzo miliardo di persone ad abbandonare l’emisfero Sud, secondo l’Onu – ma l’Italia, avamposto mediterraneo dell’Europa, si lascia incantare dalle baruffe tra le cosiddette Ong e un ministro dell’interno. Il Sud del mondo starebbe scappando dall’emergenza planetaria del cambiamento climatico, e l’Occidente dà credito a una ragazzina svedese che racconta che l’impazzimento del clima sarebbe endogeno: come se non sapesse che ai tempi dell’Impero Romano la temperatura media era più alta, e che nel medioevo – dopo la mini-glaciazione che fece gelare la Senna e il Tamigi – si coltivava l’ulivo in tutto il Nord Italia, data la straordinaria mitezza delle temperature in un mondo ancora senza industria, in cui non esistevano neppure i treni a vapore.L’emergenza climatica è una catastrofe, ma perché ostinarsi a ripetere che sarebbe indotta dall’umanità? Greta e soci, in fondo, distraggono il pubblico dall’altra calamità – quella sì, interamente terrestre: la devastazione dell’ecosistema, sfruttato in modo pericoloso e inquinato a morte dal modello economico della crescita cieca, della quantità-spazzatura misurata dal Pil. Nulla di tutto ciò rientra, neppure per sbaglio, nell’ordinaria narrazione di un travaglio politico-parlamentare come quello italiano, dove uno solo degli attori in campo, Matteo Salvini, osa ribellarsi all’ingiustizia distributiva adottata – per decreto feudale – dalla sedicente Unione Europea, apparato burocratico di tipo carolingio, più rigido e stolido dei marmorei ministeri sovietici del tempo che fu. Lo stesso Salvini, tuttavia, maneggia soltanto vocaboli logori come “sviluppo”, che suonavano intelligenti ai tempi di Enrico Mattei, scomparso nel 1962. Ha buon gioco, Salvini, nel citare in modo irridente la “decrescita felice” teorizzata da Maurizio Pallante, un tempo ospite degli show di Beppe Grillo quando l’ex comico batteva le piazze italiane per costruire, all’insaputa del pubblico, la base di consenso del futuro Movimento 5 Stelle. Nella teoria della decrescita, la catastrofe non ha padri: tutti colpevoli, quindi nessuno.La ricetta: decrescere, con tagli orizzontali, per ridurre i consumi e quindi l’inqinamento. Se questo comporta spaventose diseguaglianze tra ricchi e poveri, che diverrebbero gli uni un po’ meno ricchi e gli altri miserabili, pazienza. Se poi l’unica decrescita tuttora praticata è imposta dal regime Ue calpestando qualsiasi dinamica democratica, ai teorici decrescisti pare non interessi: la giustizia sociale non sembra rientrare fra le preoccupazioni degli ideologi della decrescita, così come lo spaventoso problema dell’impatto ambientale non figura nell’agenda dei pochissimi politici che, come Salvini, cercano giustamente di risollevare l’economia nazionale. Lo stesso Pallante, per contro, pur indicando la crescita del Pil come il nostro maggiore nemico, confida in una possibile soluzione tecnologica, convinto che l’ingegno umano, come già in passato, possa produrre tecnologie a impatto zero. Nulla, comunque, che compaia nell’agenda politica dei partiti italiani. Sfilano piccoli politici, palesemente schiacciati da poteri molto più forti: poteri economici, che non risponderanno mai dei danni che dovessero provocare le loro attività. Morta la politica, restano Greta e le Ong. L’Africa può attendere, insieme alla rigenerazione dell’ecosistema terrestre. Nel frattempo si corre a tutto gas abbattendo la foresta amazzonica e conquistando le rotte artiche della Groenlandia. Destra e sinistra schiamazzano, là in basso, mentre il nostro aereo continua a volare senza pilota.Il male è in noi, si potrebbe pensare, nel momento in cui accettiamo come un fenomeno fisiologico il fatto che i giovani africani scappino dall’Africa, anziché restare nella loro terra ricchissima e vergognosamente saccheggiata. Accoglierli o respingerli, poi, è decisivo solo per l’umanità migrante, per i singoli, ma non cambia di una virgola il problema (ne cambia solo le conseguenze a casa nostra, non le cause a casa loro, dove di questo passo le cose andranno di male in peggio). C’è un oceano in movimento – domani saranno mezzo miliardo di persone ad abbandonare l’emisfero Sud, secondo l’Onu – ma l’Italia, avamposto mediterraneo dell’Europa, si lascia incantare dalle baruffe tra le cosiddette Ong e un ministro dell’interno. Il Sud del mondo starebbe scappando dall’emergenza planetaria del cambiamento climatico, e l’Occidente dà credito a una ragazzina svedese che racconta che l’impazzimento del clima sarebbe endogeno: come se non sapesse che ai tempi dell’Impero Romano la temperatura media era più alta, e che nel medioevo – dopo la mini-glaciazione che fece gelare la Senna e il Tamigi – si coltivava l’ulivo in tutto il Nord Italia, data la straordinaria mitezza delle temperature in un mondo ancora senza industria, in cui non esistevano neppure i treni a vapore.
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Tunnel sotto il Baltico: la Cina prenota il tesoro dell’Artico
L’Artico si scioglie e la Cina è già lì: per il grande affare. Lo spiegano, sul “Corriere della Sera”, Milena Gabanelli e Luigi Offeddu. «Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone Tallinn e quella finlandese, Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: 15 miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita». Il colossale investimento, a oltre 6.300 chilometri da Pechino, non è lontano dalla loro “Via della Seta marittimo-terrestre”, che dovrebbe collegare circa 60 paesi di tre continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la “Via Polare della Seta”, che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima. Oggi, per viaggiare da Shangai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via Polare si scende a 33 giorni. La nuova tratta «accorcerà di una settimana anche il viaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto al passaggio attraverso il canale di Panama». Tutto pronto: «Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino».La Cina è pronta a fare il suo gioco, raccontano Gabanelli e Offeddu: da una parte, marcare la sua presenza commerciale, politica e militare nel mondo, e dall’altra sfruttare il sottosuolo dell’Artico. «Parliamo del 20% di tutte le riserve del pianeta: fra cui petrolio, gas, uranio, oro, platino e zinco». Pechino ha già commissionato i rompighiaccio, fra cui – gara appena chiusa – uno atomico da 152 metri con 90 persone di equipaggio (costo previsto: 140 milioni di euro). Sarà il più grande rompighiaccio al mondo e potrà spaccare uno strato ghiacciato spesso un metro e mezzo. La Cina ha iniziato anche i test per “l’Aquila delle nevi”, un aereo progettato per i voli polari, e sta studiando l’impiego di sommergibili in grado di emergere dai ghiacci. Spiega il “Giornale cinese di ricerca navale”, subito monitorato dagli analisti occidentali: «Sebbene il ghiaccio spesso dell’Artico provveda una protezione naturale per i sottomarini, tuttavia costituisce anche un rischio per loro durante il processo di emersione». Segue uno studio dettagliato sulle manovre da eseguire. «Tutte le superpotenze compiono queste ricerche, però la Cina non è uno Stato artico come la Russia o gli Usa». Eppure, aggiungono Gabanelli e Offeddu, nel 2018 si è autodefinita uno “Stato quasi-artico”, irritando il segretario di Stato americano Mike Pompeo, secondo cui «ci sono solo Stati artici e non artici, una terza categoria non esiste».Ma Pechino “tira dritto”, e lo fa soprattutto in Groenlandia, «portaerei naturale di fronte agli Usa e al Canada, dove il riscaldamento del clima sta sciogliendo 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno: un dramma mondiale, che però agevola l’estrazione di ciò che sta sotto». Per questo, osservano Milena Gabanelli e Luigi Offeddu, con le sue compagnie di Stato la Cina ha acquistato o gestisce i 4 più importanti giacimenti minerari della Groenlandia. «All’estremo Nord, nel fiordo di Cjtronen, c’è quello di zinco, gestito al 70% dalla cinese Nfc, considerato il più ricco della Terra. È strategico perché si trova di fronte all’ipotetica “Via Polare della Seta”, quella del passaggio verso Canada e Usa, e perché potrebbe placare la domanda di zinco della Cina, salita del 122% dal 2005 al 2015». Poi c’è il giacimento di rame di Carlsberg, proprietà della Jangxi Copper, colosso di Stato considerato il massimo produttore cinese di rame nel mondo (il suo ex-presidente, intanto, è stato appena condannato a 18 anni per corruzione). Pechino ha inoltre in mano la miniera di ferro di Isua (della General Nice di Hong Kong) e infine Kvanefjeld, nell’estremo Sud: una riserva mai sfruttata di uranio e “terre rare”, cioè i metalli usati per costruire missili, smartphone, batterie e hard-disk.Kvanefjeld, accessibile solo via mare, è proprietà della compagnia australiana Greenland Minerals Energy e al 12,5% della compagnia di Stato cinese Shenghe Resources, considerata la maggiore fornitrice di “terre rare” sui mercati internazionali. Con un investimento da 1,3 miliardi di dollari, documenta il reportage sul “Corriere”, il giacimento potrà fornire una delle più alte produzioni al mondo di “terre rare”. «La quota azionaria della Shenghe è limitata, ma il suo ruolo nel progetto no», spiegano Gabanelli e Offeddu, «perché il prodotto estratto da Kvanefjeld sarà un concentrato di “terre rare” e uranio, i cui elementi dovranno essere processati e separati». E questo «accadrà soprattutto a Xinfeng, in Cina, dove gli stabilimenti sono già in costruzione». Nel progetto c’è anche un nuovo porto, nella baia accanto al giacimento. «La Cina possiede già oltre il 90% di tutte le “terre rare” del mondo, dunque ne controlla i prezzi». E ora, «con quel che arriverà da Kvanefjeld, chiuderà quasi il cerchio». Nei lavori del porto è coinvolto anche il colosso di Stato cinese Cccc, «già messo sulla lista nera della Banca Mondiale per una presunta frode nelle Filippine». I dirigenti della Shenghe, nel gennaio di quest’anno, «hanno formato una joint-venture con compagnie sussidiarie della China National Nuclear Corporation».La sigla del colosso edilizio Cccc, continuano Gabanelli e Offeddu, è riemersa nella gara d’appalto lanciata dal governo groenlandese per tre nuovi aeroporti intercontinentali (a Nuuk, Ilulissat e Qaqortoq) che dovrebbero assicurare all’isola collegamenti diretti con gli Usa e l’Europa. Nel 2018 sei imprese sono state ammesse: l’unica non europea era la Cccc. «Ma la sua offerta ha preoccupato gli Usa (nell’isola c’è la base americana di Thule, che può intercettare i missili in arrivo su Washington) e la Danimarca (che ha un diritto di veto sulle questioni che toccano la sicurezza)». Così, i danesi hanno lanciato all’ultimo momento un’offerta d’oro, «rilevando un terzo della compagnia groenlandese che appaltava la gara», e così la Cccc è stata esclusa. «Ma lo scorso 5 aprile è stata annunciata una nuova gara per il “completamento” delle piste e dei terminal a Nuuk e Ilulissat, altro affare milionario, e i cinesi hanno tentato di rientrare grazie a joint-venture formate con imprese olandesi, canadesi e danesi». Tutto procede: i lavori inizieranno a settembre.Secondo Gabanelli e Offeddu, Pechino ha messo a segno un altro successo nordico, questa volta a Karholl, in Islanda: si tratta dell’osservatorio meteo-astronomico battezzato “Ciao”, acronimo di China-Iceland Joint Arctic Science Observatory, interamente finanziato dai cinesi. Alto tre piani ed esteso su 760 metri quadrati, controlla i cambiamenti climatici, le aurore boreali, i percorsi dei satelliti. E, per inciso, anche lo spazio aereo della Nato. Non è di poco conto, infatti, il risvolto strategico-militare della nuova geopolitica cinese nell’Artico: il vice responsabile del nuovissimo osservatorio è Halldor Johannson, che in Islanda è anche portavoce di Huang Nubo, «il miliardario imprenditore ed ex dirigente del Partito comunista cinese che nel 2012 tentò di comprare per circa 7 milioni di euro 300 chilometri di foreste islandesi, dichiarando di volerne fare un parco naturale e turistico». Anche su quelle foreste – annotano Gabanelli e Offeddu – passavano (e passano) le rotte della Nato, su cui ora “vigilerà” l’indesiderata superpotenza cinese.L’Artico si scioglie e la Cina è già lì: per il grande affare. Lo spiegano, sul “Corriere della Sera”, Milena Gabanelli e Luigi Offeddu. «Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone Tallinn e quella finlandese, Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: 15 miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita». Il colossale investimento, a oltre 6.300 chilometri da Pechino, non è lontano dalla loro “Via della Seta marittimo-terrestre”, che dovrebbe collegare circa 60 paesi di tre continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la “Via Polare della Seta”, che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima. Oggi, per viaggiare da Shangai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via Polare si scende a 33 giorni. La nuova tratta «accorcerà di una settimana anche il viaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto al passaggio attraverso il canale di Panama». Tutto pronto: «Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino».
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Inuit e Nasa: i ghiacci disciolti inclinano l’asse terrestre
Il sole allo zenit, in un cielo completamente diverso. Risultato: clima impazzito, temperature in aumento, cataclismi naturali dovuti all’inaudito sciogliemento dei ghiacci e alla “migrazione” di immense quantità d’acqua. Sta accadendo qualcosa di mai prima osservato: lo affermano gli anziani Inuit, intervistati nell’Artico dal regista e produttore canadese Zacharias Kunuk, in contatto con la Nasa. «Gli anziani parlano di come il loro mondo è cambiato, da come era decenni prima di oggi», riassume il blog “La Crepa nel Muro”. E’ un quadro preoccupante, di cui gli Inuit sono testimoni: lo scioglimento dei ghiacciai artici, la scomparsa del ghiaccio marino. «Le foche hanno bruciature sulla loro pelliccia e sono coperte di piaghe e di una pelle più sottile, la pelle è deteriorata». E mentre gli scienziati sostengono che è l’inquinamento umano a contribuire in modo decisivo al cambiamento climatico, i vecchi Inuit sono convinti qualcosa di molto molto più grande sta succedendo. L’agenzia aerospaziale americana conferma: «I ghiacci che si sciolgono ai poli e le falde idriche depauperate sulla terraferma modificano la distribuzione della risorsa idrica sul pianeta, alterando la rotazione della Terra: lo spostamento è tale da inficiare l’accuratezza di un Gps».Come noto, ricorda Filomena Fotia su “Meteoweb”, la Terra ruota sul suo asse in modo irregolare, oscillando e sobbalzando: queste variazioni naturali sono accompagnate da quelle generate dai cambiamenti climatici, spiega oggi la Nasa, confermando le inquietanti anomalie osservate dagli anziani Inuit. «L’oscillazione fa variare leggermente l’inclinazione dell’asse terrestre, provocando uno spostamento, che per tutto il XX secolo si è diretto verso la Baia di Hudson, in Canada, ma ha invertito la rotta a partire dal 2003, spostandosi di circa 17 centimetri all’anno in direzione delle Isole Britanniche». Il risultato della ricerca, pubblicato su “Science Advances”, si deve a Surendra Adhikari e la suo collega Erik Ivins, entrambi ricercatori della Nasa. Gli esperti, aggiunge Fotia, hanno analizzato i dati dal 2003 a oggi dei satelliti Grace (Center Gravity Recovery and Climate Experiment) che misurano la distribuzione delle masse d’acqua sul pianeta, e hanno fatto una scoperta clamorosa: «La natura degli spostamenti spiegava la migrazione dell’asse verso l’Europa, rilevata a partire dal duemila. Si consideri che ogni anno in Groenlandia si sciolgono 278 trilioni di chili all’anno di ghiaccio e in Antartide occidentale 172 trilioni di chili».Oltre che allo scioglimento dei ghiacci, secono i ricercatori della Nasa la “migrazione” verso l’Europa è dovuta anche «al depauperamento delle risorse idriche sulla terraferma, in particolar modo in Eurasia: 530 trilioni di chili di acqua all’anno vanno persi a causa della siccità e dell’eccessivo sfruttamento delle falde, provocando un innalzamento del livello del mare». Effetti di cui soffriamo tutti, e il cui impatto è particolarmente forte tra gli abitanti delle più estreme regioni artiche, convinti – per primi – che il “climate change” non sia solo dovuto alla Terra, cioè all’uomo, ma anche al cielo: gli anziani intervistati da Zacharias Kunuk «dicono che il Sole non sorge più come nella normalità del tempo andato: hanno la luce del giorno più a lungo, per cacciare, e il Sole è più alto di quanto non lo sia mai stato prima e riscalda più velocemente l’ambiente». Su questo sono tutti d’accordo: il sole e la luna, che sono “cambiati”, «influenzano la temperatura, il modo in cui soffia il vento». E così, a memoria d’uomo, non è mai stato così difficile prevedere il tempo. «Conosciamo i problemi correlati alla geoingegneria», cioè le “scie chimiche”, e «tutti gli effetti negativi di ricaduta sulla Terra e la salute pubblica». Ma a questi problemi ora «si aggiungono quelli scoperti dagli anziani Inuit», determinati «dallo spostamento dell’asse terrestre» confermato dalla Nasa.Il sole allo zenit, in un cielo completamente diverso. Risultato: clima impazzito, temperature in aumento, cataclismi naturali dovuti all’inaudito sciogliemento dei ghiacci e alla “migrazione” di immense quantità d’acqua. Sta accadendo qualcosa di mai prima osservato: lo affermano gli anziani Inuit, intervistati nell’Artico dal regista e produttore canadese Zacharias Kunuk, in contatto con la Nasa. «Gli anziani parlano di come il loro mondo è cambiato, da come era decenni prima di oggi», riassume il blog “La Crepa nel Muro”. E’ un quadro preoccupante, di cui gli Inuit sono testimoni: lo scioglimento dei ghiacciai artici, la scomparsa del ghiaccio marino. «Le foche hanno bruciature sulla loro pelliccia e sono coperte di piaghe e di una pelle più sottile, la pelle è deteriorata». E mentre gli scienziati sostengono che è l’inquinamento umano a contribuire in modo decisivo al cambiamento climatico, i vecchi Inuit sono convinti qualcosa di molto molto più grande sta succedendo. L’agenzia aerospaziale americana conferma: «I ghiacci che si sciolgono ai poli e le falde idriche depauperate sulla terraferma modificano la distribuzione della risorsa idrica sul pianeta, alterando la rotazione della Terra: lo spostamento è tale da inficiare l’accuratezza di un Gps».
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Energia, iniziata la grande corsa ai forzieri dell’Artico
Mentre molte riserve di gas e di petrolio in diverse aree del mondo stanno vivendo il loro rapido declino, si ritiene che l’Artico possegga enormi giacimenti ancora inesplorati. Secondo la “United States Geological Survey” (Indagine geologica degli Stati Uniti), circa il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas ancora non sfruttate si trovano al di sopra del Circolo Polare Artico. Ansiosi di affondare le mani in quella fortuna, la Russia e i paesi artici confinanti – Canada, Norvegia, Stati Uniti, Islanda e Danimarca (quest’ultima in virtù della sua autorità sulla Groenlandia) – hanno spronato le compagnie energetiche a trivellare nell’area. Specialmente per la Russia – che recentemente ha preso il controllo di una nave di Greenpeace e ha denunciato trenta attivisti per assalto ad una sua piattaforma petrolifera – è molto forte la tentazione di sfruttare l’Oceano Artico.L’economia della Russia è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas, e il governo conta molto su queste vendite per il reddito nazionale. Fino a poco tempo fa, per soddisfare le loro esigenze energetiche, i russi potevano attingere dai giacimenti nella Siberia occidentale, ma ora, considerato il declino di molti di questi depositi, fanno molto affidamento alle riserve artiche per mantenere gli attuali livelli di produzione. «Il nostro compito principale è di rendere l’Artico la prima risorsa per la Russia del 21° secolo», dichiarò nel 2008 l’allora presidente Dmitrij Medvedev. I russi hanno esplorato le varie opzioni di trivellazione in diverse aree offshore dell’Artico. Nel Mare Pechora, a nord della Siberia nordoccidentale, il gigante dell’energia russo Gazprom ha installato la sua piattaforma Prirazlomnaya — proprio quella che gli attivisti di Greenpeace hanno preso d’assalto. Più a est, nel Mar Kara, il gruppo statale Rosneft sta collaborando con la Exxon Mobil per lo sviluppo di giacimenti molto promettenti.Rosneft si è anche associata alla Statoil norvegese e all’Eni Italiana per esplorare il potenziale di sfruttamento nel Mar di Barents. Ma è molto difficile che sia solo la Russia a tentare di aprire i forzieri dell’Artico. La Norvegia, come la Russia, trae gran parte delle sue entrate proprio dalle esportazioni di gas e petrolio, e punta molto sullo sfruttamento delle riserve del Mar di Barents per compensare la forte contrazione produttiva rilevata nei suoi giacimenti nei Mari del Nord e della Norvegia. Ci sono anche altre zone dell’Artico nel mirino di altri paesi: la Cairn Energy di Edimburgo ha appena aperto dei pozzi di esplorazione nelle acque a largo della Groenlandia, ad esempio, mentre la Royal Dutch Shell sta tentando l’esplorazione di campi a largo dell’Alaska.Nonostante tutte le sue promesse, l’Artico non cederà facilmente le sue ricchezze. In inverno, il ghiaccio copre costantemente le superfici marine e tempeste violente e frequenti sono un continuo pericolo. Il riscaldamento globale potrebbe, in qualche modo, contribuire a ridurre il ghiaccio nei periodi estivi e autunnali, permettendo così trivellazioni più prolungate, ma allo stesso tempo potrebbe causare condizioni meteorologiche inusuali e incontrollate ed altri pericoli correlati. Altro rischio che si aggiunge: molte delle linee di confine nella regione artica, sono ancora da demarcare e alcuni paesi artici hanno già minacciato di ricorrere alla forza militare nel caso in cui le compagnie energetiche occupino aree che considerate di loro sovranità.Le ardue sfide che l’Artico pone al suo sfruttamento hanno già intimorito la Shell, che ha speso 4,5 miliardi di $ per l’esplorazione offshore in Alaska, ma che ancora non è riuscita a trivellare un solo pozzo. Alcune di queste sfide sono perfettamente legali – comunità indigene e ambientalisti, nel timore di contaminazioni delle loro acque e danni alla natura, hanno già diffidato le compagnie dal trivellare. Inoltre, l’Artico in sé ha già dato prova di essere un avversario formidabile. Nell’estate del 2012, durante il primo tentativo della Royal Dutch Shell di sondare i depositi artici, le operazioni di trivellazione furono interrotte da venti battenti e placche di ghiaccio galleggianti. Diversi mesi dopo, quando una delle teste dei pozzi franò al suolo durante una violenta tempesta, la Shell annunciò che avrebbe sospeso le operazioni offshore in Alaska e che, prima di procedere ulteriormente, avrebbe rafforzato le proprie capacità operative nella zona.Le disavventure della Shell hanno anche consolidato il timore che trivellare nell’Artico ponga alla regione una minaccia considerevole. Nell’evento di una importante fuoriuscita petrolifera, il danno conseguente sarebbe molto più grave e distruttivo di quello causato nel Golfo del Messico dalla Deepwater Horizon nell’aprile 2010, sia per la mancanza di adeguate capacità di risposte operative, sia per la probabilità che il ghiaccio impedisca seriamente le operazione di bonifica. Mentre sempre più compagnie si spingeranno nell’Artico accelerando le loro attività esplorative, aumenteranno di conseguenza le probabilità di incidenti e fuoriuscite. Il fatto che la Shell – una delle compagnie petrolifere tecnologicamente più avanzate – si sia finora dimostrata incapace di superare questi rischi, accresce la preoccupazione che in quelle acque pericolose si trovino presto ad operare altre compagnie meno preparate ed efficienti.Cresce anche il rischio di conflitti sulla proprietà di territori contesi. Cinque paesi artici hanno già rivendicato diritti esclusivi di trivellazione su aree di confine rivendicate anche da altri paesi, mentre resta ancora controverso il controllo sulla regione polare in generale. In un’area «con un potenziale energetico che rappresenta un quarto delle riserve mondiali inesplorate di gas e petrolio», ha detto recentemente il ministro della difesa statunitense Chuck Hagel, «è prevedibile che l’ondata di interesse nell’esplorazione energetica nell’area possa aumentare le tensioni su altri argomenti controversi». Fino ad oggi nessuna di queste dispute ha provocato una risposta di tipo militare, e gli Stati artici si sono impegnati ad astenersi dal farlo in futuro. Tuttavia, quasi tutti i paesi artici hanno anche affermato il loro diritto di difesa dei propri territori offshore con la forza, e hanno anche preso le necessarie misure per rafforzarsi in questo senso. La Russia, ad esempio, ha recentemente annunciato dei programmi definiti “di infrastruttura militare di punta” nell’Artico.Niente, comunque, potrebbe scoraggiare altri paesi interessati. Considerando l’altissima richiesta mondiale di petrolio e l’incapacità dei pozzi esistenti di soddisfarla, le maggiori compagnie energetiche tenteranno ogni possibile strada per aumentare la produzione. E’ quindi essenziale che siano posti subito dei limiti chiari e rigorosi alle operazioni di trivellazione nell’Artico, in modo da ridurre le tensioni esistenti nell’area. Sono stati fatti dei progressi nell’ambito del Consiglio Artico, un foro di consultazione delle nazioni artiche. Ma resta ancora molto da risolvere. Un modo per stabilire formalmente delle regole precise potrebbe essere l’adozione di un Trattato Artico, sulla falsariga del Trattato Antartico del 1959. Come avvenne per quest’ultimo, un accordo siglato dai paesi artici stabilirebbe dei precisi confini marittimi e dei limiti alle attività militari. Potrebbe anche imporre delle regole ambientali e garantire un passaggio sicuro alle imbarcazioni civili che navigano sui mari artici. E infine, diciamolo: nessun gas e nessun petrolio potrà mai giustificare la distruzione della natura locale o una corsa agli armamenti nell’Artico.(Michael T. Klare, “E’ iniziata la corsa ai forzieri dell’Artico”, dal “New York Times” dell’8 dicembre 2013, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Mentre molte riserve di gas e di petrolio in diverse aree del mondo stanno vivendo il loro rapido declino, si ritiene che l’Artico possegga enormi giacimenti ancora inesplorati. Secondo la “United States Geological Survey” (Indagine geologica degli Stati Uniti), circa il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas ancora non sfruttate si trovano al di sopra del Circolo Polare Artico. Ansiosi di affondare le mani in quella fortuna, la Russia e i paesi artici confinanti – Canada, Norvegia, Stati Uniti, Islanda e Danimarca (quest’ultima in virtù della sua autorità sulla Groenlandia) – hanno spronato le compagnie energetiche a trivellare nell’area. Specialmente per la Russia – che recentemente ha preso il controllo di una nave di Greenpeace e ha denunciato trenta attivisti per assalto ad una sua piattaforma petrolifera – è molto forte la tentazione di sfruttare l’Oceano Artico.
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Allarme Nasa: si scioglie la calotta artica della Groenlandia
Si scioglie la calotta artica della Groenlandia: la fusione, rivelata dai satelliti della Nasa, è così rapida da sbalordite gli scienziati. «Un fatto così straordinario – ammette Son Nghiem dell’osservatorio di Pasadena, in California – che all’inizio ho messo in discussione il risultato: era reale o dovuto a errori nei dati?». Rapida verifica col centro aerospaziale del Maryland, che monitora le temperature della Groenlandia, e puntuale conferma: secondo lo spettro-radiometro “Modis”, montato su satelliti, qualcosa come il 97% della calotta glaciale ha iniziato a liquefarsi, durante il mese di luglio. Un analogo evento si calcola che si fosse verificato soltanto 150 anni fa: «Se continuiamo a osservare eventi di fusione come questi negli anni a venire, ci sarà da preoccuparsi», ammette Lora Koenig, glaciologa del Goddard Space Flight Center e membro della squadra di ricerca che analizza i dati satellitari.
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L’Onu: addio ghiacciai in 40 anni, emergenza planetaria
Gli interessi economici guidano i governi, non gli interessi sociali. La crisi economica è stata una grande occasione (già perduta) per ridefinire le priorità. Al cambiamento ci dovremo arrivare per necessità. L’uomo è l’unico essere vivente che distrugge l’ambiente che gli permette di vivere. Sembra un alieno venuto dallo spazio con la missione di eliminare la vita dalla Terra. Il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) e il Servizio di monitoraggio mondiale dei ghiacciai (Wgms) producono dati e analisi sulla scomparsa dei ghiacci. I ghiacciai contengono i tre quarti dell’acqua dolce esistente. Se tutti si sciogliessero, il livello delle acque salirebbe di 65 metri.