Archivio del Tag ‘guerra fredda’
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Caso Snowden: avviso a Obama firmato da Russia e Cina
«Se c’è una cosa che del caso Snowden non si può dire è che si tratti di uno scandalo». Piuttosto, è la scoperta dell’acqua calda: da almeno vent’anni, con l’avvento dell’era digitale, siamo tutti spiati minuto per minuto: ogni nostro movimento è tracciato. La denuncia dell’ex analista della Cia? «E’ solo la conferma ufficiale di un processo prevedibilissimo, che tutti sospettavamo fosse in atto da tempo. Ci vogliamo meravigliare?». Secondo Aldo Giannuli, il retroterra dello “scandalo” è ben altro: proprio attraverso una pedina come Edward Snowden, a cui hanno offerto protezione, sia la Cina che la Russia avvertono gli Stati Uniti che l’epoca della loro supremazia tecnologica è finita. Se Obama ha in serbo l’arma letale della cyber-guerra per neutralizzare gli arsenali nucleari di Putin e la potenza di Pechino, sarà bene che si abitui all’idea: il tempo del dominio americano assoluto è finito.
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Potevano liberare Moro, ma una telefonata fermò il blitz
Il giorno prima di morire, Aldo Moro era a un passo dalla salvezza: le forze speciali del generale Dalla Chiesa stavano per fare irruzione nel covo Br di via Montalcini, sotto controllo da settimane. Ma all’ultimo minuto i militari furono fermati da una telefonata giunta dal Viminale: abbandonare il campo e lasciare il presidente della Dc nelle mani dei suoi killer. E’ la sconvolgente rivelazione che Giovanni Ladu, brigadiere della Guardia di Finanza di stanza a Novara, ha affidato a Ferdinando Imposimato, oggi presidente onorario della Corte di Cassazione, in passato impegnato come magistrato inquirente su alcuni casi tra i più scottanti della storia italiana, compreso il sequestro Moro. Prima di passare il dossier alla Procura di Roma, che ora ha riaperto le indagini, Imposimato ha impiegato quattro anni per verificare le dichiarazioni di Ladu, interrogato nel 2010 anche dal pm romano Pietro Saviotti.
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Amoroso: niente ripresa, prima devono ridurci alla fame
La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni Settanta con la globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo, che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato.
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L’inferno neoliberale: la peggior colpa del genocida Videla
Jorge Rafael Videla, il dittatore argentino dei 30.000 desaparecidos, muore in carcere da sconfitto, da ergastolano, da genocida. Come ha detto Estela Carlotto, la leader delle nonne di Plaza de Mayo, «era un uomo disumanizzato» ed è fin troppo semplice applicare a lui la categoria arendtiana di “banalità del male” di chi mise metodicamente in atto un sistematico piano genocidiario, tendente al sequestro di persona di massa, al furto di ogni bene mobile e immobile delle sue vittime, all’assassinio e alla sparizione di persone. Lasciò i figli senza genitori e i genitori senza figli. Ciò succede in molte guerre di sterminio, ma a Videla e ai suoi non bastava. Perciò, peculiarità creola dell’orrore, volle che i morti restassero senza nome, i desaparecidos, e i vivi – i figli di questi, spesso appena neonati – restassero senza identità. Le puerpere venivano lasciate in vita solo fino al parto e centinaia di bambini furono smistati a caso «per salvare la società occidentale e cristiana».
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Urss, soldato-fantasma per 33 anni: era in Afghanistan
La storia di Bakhritdin Khakimov sembrerebbe tratta da un romanzo di guerra a lieto fine, ma è una vicenda reale che unisce il tema del conflitto a quello della speranza. Khakimov, nato cinquantatre anni fa a Samarcanda, nell’attuale Uzbekistan – Repubblica federata dell’Urss – faceva parte del 101esimo Reggimento di Fanteria, di stanza nella provincia afghana di Herat durante la guerra tra l’Armata Rossa e i Mujaheddin, al tempo finanziati dagli Stati Uniti. Nel settembre 1980, all’età di vent’anni, rimase gravemente ferito nei combattimenti. Ridotto pressoché in fin di vita, ebbe però la fortuna di trovare sulla sua strada un anziano capo tribù della provincia, che decise di risparmiargli la vita e di rimetterlo in sesto, insegnandogli tra l’altro il mestiere dell’erborista. Fu così che il soldato cambiò il proprio nome in Sheikh Abdullah e si trasferì nel distretto di Shindand, perdendo negli anni successivi ogni tipo di contatto con i familiari e con la madrepatria e dimenticando addirittura la propria lingua materna, il russo.
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Andreotti e i nemici dell’Italia, da Gladio a Maastricht
In un giorno di mezza estate del 1990, Giulio Andreotti ha svelato di punto in bianco l’esistenza di Gladio, mandando in tilt i piani e gli apparati di tutti i paesi Nato. «Di tutti i suoi segreti, questo in definitiva è il meno comprensibile», scrive Rita Di Giovacchino sul “Fatto Quotidiano”. Forse qualcuno voleva sbarrargli il passo, impedirgli di diventare Capo di Stato, e lui preferì giocare d’anticipo. «Tutti i rischi che potevano venirgli dall’azzardo di rivelare il più protetto segreto di Stato dovevano apparirgli di gran lunga inferiori a quello che si stava preparando». Poco dopo, infatti, vennero le stragi di mafia: Falcone e Borsellino e le bombe di Roma, Firenze, Milano. «Come al solito non si era sbagliato». Di quel periodo cruciale, Nino Galloni ha appena ricordato l’impegno di Andreotti, contrastato dai poteri forti, per scongiurare la fine della sovranità economico-finanziaria italiana con l’avvento dell’Europa di Maastricht. Decisiva una telefonata di Kohl: a Roma qualcuno “rema contro”. Pochi anni prima, Andreotti aveva scandalizzato le cancellerie europee, avvertendo nella riunificazione tedesca un serio pericolo per tutti.
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Giulietto Chiesa: non azzardatevi a toccare il nostro oro
Dovrei parlare delle bombe di Boston, anche perché ho ricevuto numerose richieste di esprimermi in merito, ma non lo farò. Per due motivi: il primo è che non mi fido delle notizie finora giunte e di quello che dicono gli inquirenti di Boston, perché stanno emergendo – solo in Rete – particolari e interrogativi inquietanti circa preparativi o eventi che hanno preceduto di poco quelle esplosioni. Secondo la testimonianza di un noto maratoneta, un veterano, Alistair Stevenson, era in corso un’esercitazione con cani addestrati alla ricerca di bombe prima che gli eventi diventassero drammatici, cioè prima delle esplosioni, e l’esercitazione fu addirittura annunciata con gli altoparlanti dalla polizia. La stessa notizia la fornisce il “Boston Globe”, anch’esso in Rete. La polizia smentisce; noi ne prendiamo atto, in attesa di notizie più precise, e fermiamoci qui. Il secondo motivo per cui parlerò d’altro è che sono in corso esplosioni molto più drammatiche.
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Haarp-Muos, guerra climatica: prove tecniche di apocalisse
Inondazioni, siccità, terremoti e tsunami: dopo le “guerre stellari”, i cataclismi telecomandati? Bomba climatica, un fantasma si aggira per l’Europa: si scrive Muos, si legge Haarp. Antenne potentissime, in grado di “bombardare” la ionosfera e pilotare “rimbalzi” devastanti su scala mondiale? Per l’economista canadese Michel Chossudovsky, il sistema installato in Alaska è una vera e propria arma di distruzione di massa: oltre a interferire sulle comunicazioni, le sue antenne possono influenzare i circuiti elettrodinamici delle aurore, correnti naturali di elettricità da un milione di megawatt. «E’ possibile utilizzare il vento solare per danneggiare i satelliti e le apparecchiature installate sui sistemi missilistici dei paesi nemici». Radiazioni ad alta frequenza: il programma di ricerca più controverso al mondo s’incrocia con le attività dell’Nrtf di Niscemi, il sistema “Naval Radio Transmitter Facility” che da più di vent’anni assicura le comunicazioni con navi e sottomarini nucleari. Cui ora si affianca il “Mobile User Objective System”, l’eco-mostro di cui la Sicilia ha paura.
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Guerra nucleare: 90 bombe atomiche stanziate in Italia
Per ben due volte nell’arco degli ultimi 15 anni milioni di italiani si sono recati alle urne per dire no alla possibilità, per il nostro paese, di sviluppare e produrre energia nucleare per scopi civili. Questi stessi italiani, però, forse non sanno che custodiamo un vero e proprio arsenale nucleare: cosa tanto più assurda, considerando che nel 1975 Roma ha sottoscritto il trattato di non-proliferazione nucleare. Eppure, sul nostro suolo si trovano poco meno di un centinaio di testate atomiche. Per l’esattezza sono 90 le bombe di questo tipo, 50 nella base Usa di Aviano nei pressi di Pordenone, e le restanti si trovano nella base statunitense di Ghedi Torre nel Bresciano. Si tratta di armi tattiche, di potenza e gittata minore rispetto a quelle strategiche: attualmente potrebbero essere lanciate solo dagli F-16 o dai Tornado. La potenza è variabile: da 0,3 a 170 chilotoni. Se utilizzate, genererebbero una distruzione 900 volte superiore a quella prodotta su Nagasaki o Hiroshima.
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Vogliono i nostri soldi: loro hanno un piano, noi non ancora
Esplode la voglia di fuggire dall’Europa, adesso che i suoi padroni aizzano i cani della crisi contro i popoli. I proprietari universali hanno fatto alcuni esperimenti da Shock Economy per vedere se gli azzannati riuscivano a difendersi. Volevano collaudare – su scala ridotta, ma non troppo – il modo in cui una società potrebbe essere annichilita da una burocrazia ottusa e feroce e trovarsi impedita se vuole rovesciare la politica dominante. La Grecia avrebbe potuto riassorbire la fase acuta della crisi in pochi mesi, e invece le sono state somministrate per anni ricette economiche prive di qualsiasi apparente logica. Mentre si licenziavano centinaia di migliaia di lavoratori, a quelli che conservavano il posto si imponevano stipendi decurtati e orari ben oltre le 40 ore settimanali. E ora siamo giunti al test di Cipro, non ancora concluso, eppure già adottato dagli eurocrati che gongolano perché lo vogliono ripetere su larga scala.
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Berezovsky, il padrino che inventò la guerra in Cecenia
«Cosa penso della guerra in Cecenia? Quello che so è che un bel giorno ho scoperto che i miei vicini di ombrellone, in Costa Azzurra, erano famosi comandanti della cosiddetta resistenza cecena». Così Mikhail Gorbaciov nel corso di un’intervista, a Torino, in occasione del World Political Forum del 2003, presente anche Benazir Bhutto (poi assassinata in un attentato), pronta a denunciare come “terrorista” l’allora presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, alleato di Bush: «Non credete a quello che vi raccontano, Musharraf è un dittatore e il network che chiamate Al-Qaeda non si sarebbe mai radicato in Afghanistan senza l’appoggio dell’Isi, il servizio segreto militare pachistano, addestrato dalla Cia». Fiabe tragiche, come quella sull’origine del conflitto ceceno: non una rivolta popolare separatista, ma una secessione artificiale organizzata proprio da Mosca. Per la precisione, dall’allora onnipotente Boris Berezovsky.
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Uomini soli: Mattei ucciso dai francesi, De Mauro sapeva
C’erano tre agenti segreti francesi, coperti dalla Cia e aiutati da manovalanza mafiosa, dietro la tragica fine di Enrico Mattei? Lo suggerisce il nuovo libro-inchiesta di Michele Di Salvo sulla tragica fine dell’uomo-chiave del “miracolo economico” italiano nel dopoguerra, Enrico Mattei: il presidente dell’Eni, schiantatosi col suo aereo il 27 ottobre 1962 a Bascapè sulle colline dell’Oltrepo Pavese, era decollato da Catania, dove il suo aereo era stato manomesso. Poco prima, aveva tenuto il suo ultimo discorso pubblico, a Gagliano: dal nastro con la registrazione, poi fatto sparire, il giornalista siciliano Mauro De Mauro intuì che Mattei era pedinato. De Mauro scomparve a sua volta il 16 settembre 1970. Secondo Cosa Nostra, era giunto troppo vicino alla verità sulla fine di Mattei. Sulla scomparsa di De Mauro indagarono i carabinieri di Carlo Alberto Dalla Chiesa e i poliziotti di Boris Giuliano: entrambi gli investigatori furono a loro volta assassinati dalla mafia. “Uomini soli”, il libro di Di Salvo in formato ebook, illumina nuovi retroscena che coinvolgono gli Usa e la Francia nella morte dell’italiano più potente dell’epoca.