Archivio del Tag ‘Guglielmo Epifani’
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Via Napolitano, al Colle l’uomo che grazierà Berlusconi
’articolo 138)», riforma elettorale, semestre italiano Ue con Letta e, infine, elezioni entro il 2015 o al massimo il 2016. Tutto a monte, come sappiamo.«Il governo delle larghe intese è colato a picco a novembre, e con lui il comitato dei saggi che dovevano riformare la Costituzione», ricorda Giannuli nel suo blog. «La legge elettorale ha preso una strada diversa dal previsto con l’inopinato accordo Renzi-Berlusconi». Infine, «è affondato Letta e Napolitano ha dovuto ingoiare l’indigesto Renzi». Secondo Giannuli, Napolitano non ha retto «all’uno-due della richiesta di messa in stato d’accusa e del libro di Friedman». Sull’impeachment, Giannuli rileva l’importanza del comportamento di Forza Italia: pur condividendo le accuse dei grillini, il partito di Berlusconi ha scelto l’astensione. Un’uscita di scena onorevole. Come dire: fa’ con calma, ma togli il disturbo. «E la cosa – continua Giannuli – è stata tanto più pesante per la convergenza con le rivelazioni di Alan Friedman». Certo, tutti sapevamo dal 2010 che stava per partire la candidatura di Monti, che Napolitano avrebbe visto volentieri al posto di Berlusconi. Rivelazioni divenute ufficiali. Non così gravi sul piano giuridico, ma devastanti sotto l’aspetto dell’immagine.A indebolire ulteriormente Napolitano, l’evoluzione del Pd: alla guida del partito non ci sono più Bersani ed Epifani «ma uno come Renzi, con il quale c’è sempre stata ruggine e che, infatti, già non gli risparmia ruvidezze di rara tangheraggine». E’ dunque scontato: a meno di avvenimenti imprevedibili, Napolitano si farà da parte. Quindi già si pensa alla successione: «Molto dipende da come andranno le europee, dopo di che inizieranno i veri giochi». Dei 505 voti necessari, il Pd ne possiede 400: tantissimi, ma non sufficienti. «In teoria, potrebbe farcela alleandosi con alcuni minori (Sel, resti di centro, qualcuno del gruppo misto), ma sappiamo tutti che il Pd ha la compattezza di un budino». In più, Renzi pretenderà di fare da regista nella doppia veste di segretario del partito e presidente del Consiglio, «il che complica tutto perché i gruppi parlamentari Pd vedono Renzi come il peperoncino negli occhi e preferirebbero pulirsi i denti con la lima piuttosto che seguire le sue indicazioni».L’unica, per il Pd, è costruire un’allenza larga e solida: scartando ovviamente i grillini, non resta che Forza Italia. Il che, in teoria, «mette automaticamente fuori gioco candidati come Prodi, già trombato dal Pd e inviso più d’ogni altro a Berlusconi». Potrebbero saltar fuori l’eterno Giuliano Amato o D’Alema, «accettabili dal centrodestra ma assai meno popolari nel Pd». Poi «è difficile immaginare Renzi» spendersi per questi due vecchi arnesi. Era circolata l’ipotesi Draghi, ma l’interessato non pare entusiasta: non si fida del Palazzo e preferisce restare nell’alta finanza anche dopo l’incarico alla Bce, che scadrà a fine 2016. Il candidato ideale? «Deve essere “potabile” per il Pd, ma deve piacere anche a Forza Italia». E a Forza Italia, non ci vuol molto a capirlo, «interessa solo una cosa: la grazia per il suo capo e la garanzia di bloccare gli altri processi».Così, secondo Giannuli, «il pallino si fermerà sulla casella “grazia” e favorirà il candidato che garantisca di concederla». Cosa peraltro «non semplicissima per il Pd, che correrebbe il rischio di un ammutinamento generale della base», regalando «una valanga di voti al M5s». Come uscirne? «Se il piano “grazia” dovesse prendere quota, si potrebbero tentare solo due strade». La prima: un “candidato neutro”, proveniente dalle più alte magistrature dello Stato, disposto poi a introdurre il tema della grazia come “motu proprio”, senza coinvolgere direttamente nessuno schieramento politico. Oppure – seconda ipotesi – il nome in partenza più improbabile, quello di Prodi. Potrebbe essere presentato come «un gran gesto di “pacificazione nazionale”, il suggello sulla “guerra civile berlusconiana” per la difesa del paese e via colando melassa». Possibile scenari che, tra non molto, saranno verificati.Romano Prodi presto al Quirinale, al posto di Napolitano, con in tasca la “grazia” per Berlusconi? Pazza idea, che però metterebbe fine alla “guerra dei vent’anni”. Fantapolitica? Forse, ma non troppo. Così almeno la pensa Aldo Giannuli, secondo cui sono in molti a dare ormai per scontato l’addio di Napolitano, magari a giugno dopo le europee o al più tardi a dicembre, dopo la presidenza italiana del semestre europeo. L’uomo del Colle è stanco, già al momento della rielezione si era riservato il diritto di ritirarsi in anticipo data l’età avanzata. Ma a pesare, sottolinea Giannuli, è anche il fallimento bruciante della sua politica. Napolitano aveva infatti condizionato la sua permanenza al Quirinale ad un preciso progetto: larghe intese presiedute da Letta, riforma costituzionale «con metodo sprint (in spregio all’articolo 138)», riforma elettorale, semestre italiano Ue con Letta e, infine, elezioni entro il 2015 o al massimo il 2016. Tutto a monte, come sappiamo.
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Suicidio Pd: al ballottaggio solo Grillo e Berlusconi?
Renzi o non Renzi, con il Pd non ci si annoia mai. Puoi pensare che questa volta abbia superato ogni limite e invece no: la prossima volta andrà oltre. «Una delle cose per cui non finirà mai di stupirmi – dice Aldo Giannuli – è l’autolesionismo accoppiato all’assoluta incompetenza quando si parla di leggi elettorali». Nel 1993, l’allora Pds sognò di fare il “colpo grosso” e andare al governo per la liquefazione dei partiti di centro seguita a Mani Pulite. Ma, siccome sapeva di non avere i consensi necessari, fece ricorso all’ortopedia elettorale del maggioritario, così da trasformare in una maggioranza assoluta di seggi la sua maggioranza relativa di voti. Solo che non calcolò che un sistema maggioritario, all’epoca, «avrebbe cancellato i partiti ma solo per aprire la porta ad un populismo plebiscitario contro il quale non era affatto attrezzato». Dettaglio: un certo Berlusconi, proprietario della televisione commerciale, era già pronto a cavalcare l’onda populista scatenata dai suoi telegiornali.Nonostante ciò, «il Pds-Ds-Pd non ha mai cercato di capire in cosa avesse sbagliato». Al contrario, ha continuato imperterrito a «inseguire il suo sogno di centralità governativa sorretta dall’ortopedia elettorale», fino a convertirsi «al mantra berlusconiano del “partito del leader”», per cui «si è messo penosamente alla ricerca di un leader forte che lo portasse alla vittoria». Risultato: 8 segretari di seguito in 20 anni (Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi) e 4 presidenti del consiglio (Prodi, D’Alema, Amato, Letta) per meno di 8 anni di governo. Motivo: il Pd non è affatto un “partito del leader”, ma «la confederazione di una mezza dozzina di tribù di ceto politico (a loro volta suddivise in un certo numero di sotto-tribù), che ha mantenuto l’impronta di apparato burocratico del vecchio Pci, ma senza il rigoroso costume e le regole del vecchio partito».Il risultato è un partito «troppo burocratico per essere libertario, troppo privo di regole per essere la vecchia falange tebana del Pci, troppo frammentato per essere efficiente e, soprattutto, troppo rissoso». Per cui, alla prima difficoltà, «la congiura dei boiardi disarciona il segretario o il presidente del Consiglio». Dunque un partito «vocato alla sconfitta» che, «anche quando è riuscito per sbaglio a vincere, ha subito rimediato mettendo in crisi il proprio governo appena possibile: di solito il primo avversario di un governo di centrosinistra è il segretario del Pds-Ds-Pd (D’Alema con Prodi, Veltroni con D’Alema, ora Renzi con Letta)». Oggi, continua Giannuli, il Pd si difende (al solito proiettando automaticamente nel futuro i numeri attuali e fidandosi troppo dei sondaggi) ricorrendo di nuovo all’ortopedia elettorale, che dovrebbe «far fuori i piccoli partiti con soglie di sbarramento stellari», ovviamente «rendere irrilevante il M5S con la solita storia del duopolio Pd-Fi (perfetto pendant del duopolio televisivo)» e inoltre «fregare Fi con il doppio turno sulla base di questo calcolo: “Il 20% circa del M5S al secondo turno che fa? Un pezzo si asterrà ed un pezzo voterà per noi, nessuno per Berlusconi, ergo vinciamo sicuro”».Peccato che i piccoli partiti «fatti fuori da clausole di sbarramento così alte» potrebbero non essere interessati a far parte di coalizioni alle quali porterebbero voti per il premio, restando però esclusi dal Parlamento, quindi potrebbero presentarsi in ordine sparso, con risultati imprevedibili. Inoltre, Berlusconi potrebbe raggiungere il 35% da solo al primo turno, mentre il Pd resta sotto anche per pochissimo e il resto va a M5S e liste minori. Senza contare che proprio il Movimento 5 Stelle potrebbe rivelarsi il secondo partito, aprendo nuovi scenari. Il primo, più clamoroso: ballottaggio tra Forza Italia e Grillo, con Pd escluso dai giochi e avviato «ad una rapida disgregazione, per effetto della stessa legge voluta». Si richia anche gli elettori di Forza Italia (come a Parma) di fronte a un derby Pd-M5S votino per i grillini, «in odio al Pd». E se le intenzioni di Renzi sono quelle di far fuori i suoi nemici interni epurando le prossime liste per la Camera, «questo porterebbe facilmente ad una scissione del Pd, per cui tutti i conti andrebbero seriamente rifatti». Ipotesi che «l’ineffabile gruppo dirigente del Pd non prende neppure in considerazione».Dopo di che, bisogna anche vedere che fine farà «questa porcheria di riforma elettorale». Se la commissione resta divisa, in aula si andrà con un testo grezzo, sottoposto alla votazione punto per punto. Risultato: «Tutti contro tutti, in un bagno di sangue generalizzato di emendamenti». Perché Renzi ha sì avuto il 70% dei voti alle primarie, ma i gruppi parlamentari sono quelli formati da Bersani, «per cui occorrerà vedere come voteranno i parlamentari Pd (della cui granitica compattezza si è detto)». Inoltre, la “riforma” disegnata da Renzi e Brlusconi ha senso se contestualmente si abroga il Senato o gli si toglie il voto di fiducia al governo. Peccato che questo lo dovrebbero decidere (a scrutinio segreto) anche i senatori, «che quindi dovrebbero abrogare se stessi».Dopodiché, se restasse in piedi il Senato, ci sarebbe da chiarire con che sistema lo si eleggerebbe: il vecchio Porcellum? Un Porcellum rivisto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale? Un nuovo sistema – senza premio di maggioranza – fatto in fretta e furia? E cosa ne penserebbe la Corte? Peraltro, la minoranza interna «non si sente vincolata a difendere una legge per cui non è stata interpellata», e quindi «non assicura affatto di votarla». Per cui, «se alla conta dovessero mancare i voti necessari – o, peggio, dovesse esserci una defezione di massa dei parlamentari Pd – decenza vorrebbe che Renzi si dimettesse», anche perché qualsiasi interlocutore potrebbe dirgli: «Ma tu chi rappresenti e a nome di chi tratti?». Conclude Giannuli: «Cuperlo ha giustamente detto che il Pd non è una caserma. Infatti: è una casa di tolleranza con una maitresse autoritaria».Renzi o non Renzi, con il Pd non ci si annoia mai. Puoi pensare che questa volta abbia superato ogni limite e invece no: la prossima volta andrà oltre. «Una delle cose per cui non finirà mai di stupirmi – dice Aldo Giannuli – è l’autolesionismo accoppiato all’assoluta incompetenza quando si parla di leggi elettorali». Nel 1993, l’allora Pds sognò di fare il “colpo grosso” e andare al governo per la liquefazione dei partiti di centro seguita a Mani Pulite. Ma, siccome sapeva di non avere i consensi necessari, fece ricorso all’ortopedia elettorale del maggioritario, così da trasformare in una maggioranza assoluta di seggi la sua maggioranza relativa di voti. Solo che non calcolò che un sistema maggioritario, all’epoca, «avrebbe cancellato i partiti ma solo per aprire la porta ad un populismo plebiscitario contro il quale non era affatto attrezzato». Dettaglio: un certo Berlusconi, proprietario della televisione commerciale, era già pronto a cavalcare l’onda populista scatenata dai suoi telegiornali.
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Renzi, il Pieraccioni della politica che rottamerà l’Italia
Non è semplice capire come nasca Matteo Renzi, ora alla guida del Pd: di certo è «il punto terminale di un tragitto costellato di vicende delle quali sono stati protagonisti, comprimari o comparse vari personaggi, figure e figuri, ora semplicemente inetti, ora più o meno squallidi, talvolta peggio». Per Angelo d’Orsi, quella dell’8 dicembre 2013 resterà una data storica, destinata ad avere riflessi decisivi sulla scena nazionale. Con Renzi si sarebbe infatti ultimata «la mutazione genetica del “partito della classe operaia”», quello che ha guidato l’opposizione al fascismo prima e la Resistenza al nazifascismo dopo, il partito «che più di ogni altro ha contribuito alla identità della Repubblica a cominciare dalla stesura della sua Carta costituzionale». Il Pci, difensore dei ceti subalterni e grande argine contro le derive autoritarie, da quelle della Dc all’autismo terrorista delle Br. A finire per sempre, con Renzi, sono i resti di un partito che ha saputo forgiare «una onesta classe dirigente democratica».Ora la “mutazione antropologica” è arrivata alla meta. Nel 2000, Vetroni proclamava: «Non siamo più a metà del guado, la nostra traversata è compiuta. Gramsci non ci appartiene più: siamo arrivati a Rosselli». Ride amaro, d’Orsi, su “Micromega”: «Al di là dell’ignoranza del poveretto (nel ‘37, quando morirono entrambi, variamente uccisi dal fascismo, Rosselli era, in certo senso, persino più a sinistra di Gramsci!), non c’è dubbio che Gramsci non appartenga più ai suoi pretesi eredi: e per fortuna! Del partito di Gramsci (e di Bordiga, non dimentichiamolo!), di Togliatti, di Berlinguer, nel Pd che oggi viene consegnato, a furor di popolo, all’oscuro Matteo Renzi, non rimane alcunché. La “trasformazione” è compiuta». Ora, ovviamente, si provvederà alla “rottamazione”, «in nome di inquietanti e ambigue parole d’ordine che richiamano il giovanilismo fascistoide, ma anche il “novitismo” dei forzitalioti, e di tutti i loro sodali politici, e dei loro tristi ideologi che per decenni hanno cantato le lodi del cambiamento: oggi, ricordiamolo, la destra è per il cambiamento».È una destra all’attacco, sottolinea d’Orsi. «Con vesti diverse, ma la sostanza è la stessa: cancellare il Welfare State, rimovendo ogni ostacolo sul cammino che conduce a tanto nobile obiettivo: e la Costituzione è l’ostacolo n. 1». Dopo la svolta «nefasta» della Bolognina guidata «dall’improvvido nocchiero Achille Occhetto» con il «grottesco abbraccio con i resti della Dc e le frattaglie residue del Psi», per d’Orsi la creazione del Pd è stata «l’esito di un processo di metamorfosi il cui risultato estremo, dopo gli ulteriori guasti compiuti da D’Alema, Fassino, Veltroni (soprattutto), Bersani e l’imbarazzante, ultima gestione di Epifani, è il Pieraccioni della politica, il berluschino Renzi». Il rottamatore: «Che vincesse era scontato, che stravincesse no». Nel suo trionfo hanno giocato «le miserie della classe politica, specie quella nuova del Pd» e i tumultuosi cambiamenti della politica, sempre all’insegna della “modernizzazione”.Quelli di Renzi è «populismo di tipo modernizzatore, a differenza di quello volgare di un Grillo (ma la sostanza non cambia)». Il sindaco di Firenze è il megafono della Confindustria su tutte le questioni chiave: economia, scuola, diritti del lavoro, welfare, immigrazione, sistema elettorale (maggioritario). «In realtà Renzi di programmi non ne ha: parla molto per non dire nulla, ma quel nulla lo dice bene, in modo che piaccia al suo popolo, ma non dispiaccia ai ceti dominanti e alle loro agenzie di comunicazione», continua d’Orsi. «Il suo è “lo smalto sul nulla”, per citare un verso di Gottfried Benn». Alla sinistra che non l’ha votato, resta una misera consolazione: la consapevolezza che solo dalla catastrofe si può sperare di risorgere.Non è semplice capire come nasca Matteo Renzi, ora alla guida del Pd: di certo è «il punto terminale di un tragitto costellato di vicende delle quali sono stati protagonisti, comprimari o comparse vari personaggi, figure e figuri, ora semplicemente inetti, ora più o meno squallidi, talvolta peggio». Per Angelo d’Orsi, quella dell’8 dicembre 2013 resterà una data storica, destinata ad avere riflessi decisivi sulla scena nazionale. Con Renzi si sarebbe infatti ultimata «la mutazione genetica del “partito della classe operaia”», quello che ha guidato l’opposizione al fascismo prima e la Resistenza al nazifascismo dopo, il partito «che più di ogni altro ha contribuito alla identità della Repubblica a cominciare dalla stesura della sua Carta costituzionale». Il Pci, difensore dei ceti subalterni e grande argine contro le derive autoritarie, da quelle della Dc all’autismo terrorista delle Br. A finire per sempre, con Renzi, sono i resti di un partito che ha saputo forgiare «una onesta classe dirigente democratica».
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Chiesa: il cimitero degli ipocriti e le loro leggi disumane
Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l’ipocrisia e la malafede. Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna – ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili? Uno spettacolo indecente davvero. Il Pd, per bocca di Epifani, dice che «bisogna abrogare la legge Bossi-Fini». Adesso? Ma il Pd è stato al governo dal 2006 al 2008 e non l’ha nemmeno toccata. Napolitano invoca leggi per i profughi: proprio lui, che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità. E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?L’altro modo di affrontare la situazione è quello di guardare in faccia la realtà. L’ondata migratoria è destinata ad aumentare. E’ uno tsunami annunciato. Non ci sono dei o provvidenze che potranno fermarlo. Gli economisti stupidi che sorreggono la baracca con le loro sgangherate ricette, ci ripetono da decenni che bisogna favorire il libero flusso di capitali. Appunto: i capitali si sono mossi molto liberamente (tra le tasche dei padroni dell’Universo). Ma la conseguenza è che anche gli uomini si muovono: più lentamente, perché sono fatti di materia, non come i bit dei computer, ma si spostano – per vivere, per bere, per mangiare; per sognare, perfino. Dunque arriveranno altre centinaia di barconi, con decine di migliaia di disperati. E noi avevamo come ministro della Repubblica un demente che pensa e pensa che ci vuole una legge per fermarli. Pensate a che livello si collocano, lui e il presidente che ha firmato una legge sul reato di clandestinità!Certo, l’Italia, da sola, non può farcela. Ma potrebbe fare subito molte cose importanti. Potrebbe prepararsi allo tsunami – organizzativamente, in primo luogo, perché non siamo preparati. Bisogna dirlo forte e chiaro. Prepararsi significa molte cose. Ci vuole un piano d’emergenza e un piano strategico. Ci vuole un centro di comando composto da persone competenti e oneste, che siano messe in grado di rispettare il diritto sacrosanto di asilo, e di non permettere altre tragedie. Cioè bisogna predisporre misure di accoglienza. A questo non c’è alternativa se non vogliamo essere costretti a costruire cimiteri, o a scavare fosse comuni. Cioè ci vogliono mezzi. E persone qualificate. Per esempio un esercito (sarebbe meglio tornare all’esercito di leva) che, invece di allenarsi a sparare, sia messo in grado di svolgere funzioni estese di protezione civile. E, per il piano strategico, ci vuole una chiara visione dell’azione politica da svolgere in campo internazionale.L’Italia di questi anni balbetta o è assente dalla scena. Non ha voce e, del resto, essendo un paese commissariato dalla Trojka, non si preoccupa di averla. Invece dovrebbe farsi sentire: è l’Europa, con i suoi cosiddetti principi universali, che deve rispondere. E se non lo fa, è l’Italia che deve prendere l’iniziativa e imporre una risposta collettiva. Molto di più che un “corridoio umanitario” di emergenza (non basterebbe comunque). Ci vuole una politica! E ci vuole il coraggio necessario per dire – e dirsi – come stanno le cose. Siamo noi ricchi – e privilegiati – parte del problema. Lo abbiamo creato anche noi. E dunque dobbiamo mettere mano al portafogli. Non regalando motovedette alla Libia, perché fermi e ricacci indietro i disperati, ma cambiando la politica degli aiuti al cosiddetto terzo mondo. Non mandando truppe in Afghanistan e in Iraq, cioè cambiando la nostra politica estera: fuori dalla Nato, perché non abbiamo nemici; fuori dalla guerra. Questo è l’unico modo per contribuire alla soluzione del problema. Per questo ci vuole un’altra classe politica e un altro governo, italiano ed europeo.(Giulietto Chiesa, “Lampedusa, non siamo preparati allo tsunami”, testo del video-editoriale pubblicato da “Megachip” l’8 ottobre 2013).Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l’ipocrisia e la malafede. Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna – ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili? Uno spettacolo indecente davvero. Il Pd, per bocca di Epifani, dice che «bisogna abrogare la legge Bossi-Fini». Adesso? Ma il Pd è stato al governo dal 2006 al 2008 e non l’ha nemmeno toccata. Napolitano invoca leggi per i profughi: proprio lui, che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità. E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?
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Italia vicina al collasso voluto dall’Ue, e la casta obbedisce
Svalutazione interna del 10%, vale a dire: l’Italia deve “costare” meno. Meno soldi per salari, pensioni e servizi, mettendo mano alle “riforme strutturali” neoliberiste invocate da Mario Monti e ora sul tavolo di Letta, Alfano e Saccomanni, cioè la “squadra” messa insieme da Napolitano. E’ la drammatica “ricetta” avanzata dall’élite finanziaria mondiale per tramite del famigerato Fmi, che nella settimana della crisi-burla ha recapitato a Roma un dossier di 300 pagine in cui il braccio armato della Troika disegna l’imminente fallimento del nostro paese, prenotandone la resa: cessione dello Stato a prezzi di realizzo, smantellamento di quel che resta del welfare, ulteriore compressione degli stipendi. Il rapporto rivela che il saldo della nostra bilancia dei pagamenti è migliorato solo “per disgrazia ricevuta”: spendiamo meno per le importazioni perché stanno franando i consumi sotto la scure dell’austerità, mentre le aziende chiudono e il 25% dei giovanissimi vive in famiglie che non sanno più come arrivare alla fine del mese.
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Annunziata: larghe intese senza consenso, meglio le urne
Meglio tornare a votare, piuttosto che rassegnarsi alle “larghe intese” costruite da una casta parlamentare ignorando la volontà dei cittadini. E’ il giudizio che un’opinion leader del mainstream come Lucia Annunziata formula dopo la patetica farsa di Berlusconi, costretto da mezzo Pdl in rivolta a rimangiarsi la parola e piegarsi a Letta e Napolitano per tenere in piedi il governo-fantasma che tanto piace a Bruxelles e Berlino. «Senza molto agitarsi e senza grande sfoggio di muscoli», Letta e Alfano sono riusciti a rendere Berlusconi irrilevante in Parlamento. Ottenere la testa del Cavaliere: «Obiettivo perseguito e mai raggiunto nei passati vent’anni da molti leader politici con molta più forza e sicuramente molte più pretese di loro due», scrive la Annunzuiata sull’“Huffington Post” all’indomani della storica spaccatura nel partito berlusconiano.
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Ma Letta che fa, lascia o raddoppia? E chi se ne frega
Ma allora il governo Letta che fa, cade insieme a Berlusconi o tira avanti? Risposta: non ce ne può fregare di meno – del governo Letta, e anche di quello che verrà dopo, fosse pure guidato dal giovane Renzi. Tanto, non sono loro a decidere, si limitano a prendere ordini: quelli che il Cavaliere – amico di Gheddafi e di Putin – non era sempre così propenso ad eseguire, nei ritagli di tempo tra affari, processi e le “cena eleganti” di Arcore. Quisquilie, comunque, di fronte al dramma: l’Italia è totalmente in mani straniere. Al punto che, con questa offerta politica, i cittadini potrebbero fare a meno di votare. Prima Bersani, il Nulla fatto a candidato, e ora il sindaco di Firenze, a fronteggiare – si fa per dire – la corte del vecchio Silvio. Ma è solo teatro. I diktat sono a monte, a prescindere: non possiamo spendere più un soldo di nostra iniziativa, siamo controllati al centesimo. E spediti in guerra, pure, su inziativa del Sommo Potere Egemone. Idee ormai ricorrenti, rarissime però da ascoltare in televisione. A colmare la lacuna, per una volta, provvede Roberto D’Agostino.
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Scanzi: se salva Berlusconi, il Pd consegna l’Italia a Grillo
Capisco bene coloro che ritengono possibile un ulteriore salvataggio di Berlusconi per mano del Pd, quando si tratterà di discutere la sua decadenza da senatore. Credo però che stavolta non accadrà. E non certo per un improvviso senso di moralità e giustizia del centrosinistra, che da 19 anni opera alacremente per salvarlo, un po’ per incapacità e molto per salvaguardare il sistema. E’ vero che nel Pd, al di là delle prese di posizione “nette” di Epifani, sono in tanti a voler aiutare Berlusconi. Per esempio quei dieci senatori piemontesi, Stefano Esposito in testa, che in qualità di colombe hanno chiesto al partito di discutere il “lodo Violante”, ovvero una maniera per tirare a campare e ritenere incostituzionale quella legge Severino-Monti che loro stessi hanno approvato. Questi simpatici pompieri piddini, verosimilmente non lontani dai famosi 101 che uccellarono Prodi, cercano soltanto di allungare il brodo in Giunta.
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Ingroia: un uomo solo al comando, come voleva Licio Gelli
Non c’è riuscito Berlusconi ma ora ce la faranno Letta e Alfano, sotto l’alto patronato di Giorgio Napolitano: lo chiameranno presidenzialismo, ma è il vecchio piano di Licio Gelli, quello della P2. Questione di «qualche settimana», e sarà tardi per tutti: avremo un Parlamento che conterà zero, ancora meno di adesso, e i boss della finanza direttamente al potere: a quel punto, con «un uomo solo al comando», obbedire ai loro diktat sarà sempre più facile, con tanti saluti alla democrazia italiana e alla “volontà degli elettori”. Si sente parlare di “riforme istituzionali” – legge elettorale, dimezzamento dei parlamentari – ma quello che stanno preparando, sottobanco, sarebbe un vero colpo di Stato. Parola di Antonio Ingroia, deciso a dare battaglia: comitati di mobilitazione per difendere la nostra Costituzione antifascista, quella che secondo Jp Morgan «frena il business». Ingroia è determinato: «Scriverò al Pd, a Vendola e a Grillo. Si impegnino a impedire che il Parlamento tocchi la Costituzione, senza prima aver consultato gli italiani».
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Teatro Italia: Berlusconi con Keynes, il Pd con Mengele
Di Berlusconi si può pensare, legittimamente, tutto il male possibile ma non si può negare che si tratti di un uomo che possiede intuito, lungimiranza e coraggio. «Letta sfori i parametri europei», ha detto l’altro ieri un Cavaliere in forma smagliante, «tanto quelli (cioè il politburo di Bruxelles, ndm) non ci cacciano». Il capo del Pdl ha racchiuso in pochissime parole un programma politico molto migliore, esauriente e concreto, rispetto a tutte le fumisterie messe nero su bianco da combriccole di non meglio precisati “saggi” sempre alla ricerca di sospirati seggi. Senza cioè mettere in discussione alcune scellerate regole europee, pensate proprio per realizzare lo scempio che viviamo, l’agognata “crescita” rimarrà nei secoli uno sterile e vuoto esercizio retorico buono per rabbonire i citrulli. Se gli italiani avessero buona memoria, ricorderebbero certamente con orrore le pacchiane campagne mediatiche che accompagnavano i meschini provvedimenti adottati dal governo degli “ottimati” guidati dallo svampito reazionario Monti.
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La Fiat crolla: smentiti i maggiordomi di Marchionne
Mentre le cronache ormai descrivono il crollo verticale delle vendite Fiat, «con le redazioni che cadono sorpresissime dal pero», Pino Cabras si diverte a mettere in fila due articoli del 2010, scritti a ridosso del referendum di Pomigliano, «quando Otelma Marchionne ci regalava la previsione sbruffona di fare 6 milioni di auto l’anno, se solo i sindacati si fossero tolti dal suo scroto manageriale». Il primo servizio, del “Corriere della Sera”, descrive le posizioni del Pd; il secondo è un editoriale di Giulietto Chiesa. «Potrete apprezzare quanto le posizioni del Pd avessero i piedi saldamente appoggiati sulle nuvole – scrive Cabras su “Megachip” – e quanto invece l’articolo di Chiesa sia confermato alla virgola col passare degli anni». Due anni dopo, mentre la Fiat affonda, il Pd “suicida” la Costituzione votando il pareggio di bilancio, e «tiene il sacco a Otelma Monti quando vaneggia di numeri futuri come il tasso di crescita del 2020».
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Ferrero: i media oscurano la povertà, 15 milioni a rischio
I dati sulla povertà diffusi il 23 ottobre dalla Caritas italiana confermano che siamo in una fase di crisi economica e sociale senza precedenti, dal dopoguerra ad oggi. Lo denuncia Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista: «Aumentano drammaticamente le persone e le famiglie povere e quelle a rischio povertà». Per 15 milioni di italiani, i soldi sono un problema. L’emergenza non riguarda solo i 7,5 milioni ufficialmente sotto la soglia della povertà, ma altrettanti che «si collocano poco sopra