Archivio del Tag ‘H1N1’
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Gli Usa fuori dall’Oms: Trump sfida la mafia del coronavirus
Se qualcuno non l’avesse ancora capito, siamo in guerra: lo chiarisce nel modo più drastico Donald Trump, che ha ritirato formalmente gli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In primavera, il gelo era sceso con il primo annuncio statunitense: stop alla contribuzione annuale da parte degli Usa, mezzo miliardo di dollari nel 2019. Poi le critiche sempre più accese alla gestione dell’organismo Onu, accusato di colpevole negligenza durante lo scoppio dell’epidemia di coronavirus in Cina. Infine, il 6 luglio, la decisione ufficiale comunicata al Congresso e alle Nazioni Unite: gli Usa sono ufficialmente fuori dall’Oms. La mossa di Donald Trump accende inevitabilmente i riflettori su quelli che ora sono i primi finanziatori dell’organizzazione: la Cina, poco trasparente al momento dell’esplosione pandemica, e un privato come il miliardario Bill Gates, patron della Microsoft e oggi trasformatosi nel maggior propagandista mondiale dell’obbligo vaccinale. Il figlio di Bob Kennedy, l’avvocato Robert Kennedy Jr., gli rivolge accuse terribili: Bill Gates foraggia l’Oms ma in cambio intasca molto più denaro, grazie ai vaccini che fanno capo alla sua holding, prescritti in vari paesi dai programmi vaccinali raccomandati dalla stessa Oms (recentemente esplusa dall’India con l’accusa di aver rovinato quasi mezzo milione di bambini, attraverso vaccini pericolosi per la salute).Ombre cinesi si allungano da tempo sullo stesso direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, che deve a Pechino buona parte della sua carriera politica in un paese come l’Etiopia, strategica porta d’ingresso della Cina verso il continente africano. «Nel mese di maggio – ricorda il “Giornale” – l’Oms era stata accusata dalla stampa Usa e da testate come il “Wall Street Journal” di essere asservita all’influenza di Pechino, che fece sentire il proprio peso geopolitico nell’elezione dello stesso Ghebreyesus nel maggio 2017». Secondo il “Financial Times”, l’Oms è «un’istituzione compromessa», proprio perché «manca di indipendenza dai suoi paesi membri, e “non solo dalla Cina». Le sfide per la salute globale, infatti, «richiedono che l’Oms superi tali interessi parrocchiali», perché «un’istituzione internazionale indipendente e obiettiva» può servire al meglio «anche gli interessi nazionali». Il problema non sono solo i ritardi e la malagestione del Covid-19 ma anche, per esempio, nel 2009, la sua gestione “opaca” dell’epidemia di H1N1, comunemente nota come influenza suina. Il vero problema è che, attualmente, l’80% del bilancio dell’Oms proviene da contributi volontari.Come lo stesso Trump ha più volte sottolineato nelle scorse settimane, l’organizzazione ha sbagliato «ripetutamente» difendendo Pechino dalle accuse di scarsa trasparenza all’inizio della diffusione del Covid. «Quegli errori reiterati – sottolinea Trump – sono stati estremamente gravosi per il mondo». Secondo il presidente Usa, «molte vite avrebbero potuto essere salvate» se l’attuale direttore «avesse seguito l’esempio» di uno dei suoi predecessori alla guida dell’Oms, la norvegese Harlem Brundtland, che nel 2003 riuscì a bloccare la diffusione della Sars. Quello che Trump non può dire apertamente, ma che invece da più parti si sospetta, è che l’attuale gestione dell’Oms – di concerto con la Cina – abbia deliberamente lasciato esplodere il problema Covid, per paralizzare l’Occidente e mettere Trump in difficoltà alla vigilia delle presidenziali americane. Una sorta di rappresaglia, dopo la decisione di Trump di frenare l’egemonia economica cinese, imponendo dazi sulle esportazioni di Pechino. Quello che l’Italia ha già pagato, sulla sua pelle, è intanto l’imposizione del “modello Wuhan” raccomandato proprio dall’Oms: un blocco severissimo ma tardivo, che ha provocato un vero e proprio disastro economico. Ad aggravare la situazione, la decisione italiana di attenersi alle erronee disposizioni – sempre dell’Oms – per contenere il contagio e curare i pazienti.Ora gli italiani fanno i conti con il lockdown “cinese” consigliato dall’Oms: il 50% della popolazione, secondo Bankitalia, è alle prese con difficoltà economiche. Nel frattempo, medici e magistrati denunciano il governo per aver ignorato cure salva-vita, insistendo nell’imporre terapie addirittura deleterie, come l’ossigenazione forzata: quelle, e non il virus, avrebbero provocato migliaia di vittime. Sullo sfondo, si delinea uno scontro geopolitico paragonabile a una nuova guerra fredda. La sfida di Trump ha per bersaglio un’organizzazione, l’Oms, che è stata usata come “arma letale” dall’oligarchia internazionale, anche occidentale e statunitense, che ha permesso alla Cina di realizzare il suo boom economico (con regole truccate) per far trionfare un modello da esportare poi in un Occidente non più democratico. In altre parole: colpendo l’Oms, Trump si scaglia contro il potere apolide, neoliberista, che ha permesso alla Cina di fare concorrenza sleale ai lavoratori e alle imprese occidentali, con prodotti a basso costo grazie a condizioni di lavoro prive di tutele, in un sistema senza democrazia e senza leggi a salvaguardia dell’ambiente. Ecco perché oggi Trump si sfila dall’Oms “cinese”, che probabilmente ha manipolato la stessa pandemia, trasformando il coronavirus in un’arma contro la libertà e la democrazia.Se qualcuno non l’avesse ancora capito, siamo in guerra: lo chiarisce nel modo più drastico Donald Trump, che ha ritirato formalmente gli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In primavera, il gelo era sceso con il primo annuncio statunitense: stop alla contribuzione annuale da parte degli Usa, mezzo miliardo di dollari nel 2019. Poi le critiche sempre più accese alla gestione dell’organismo Onu, accusato di colpevole negligenza durante lo scoppio dell’epidemia di coronavirus in Cina. Infine, il 6 luglio, la decisione ufficiale comunicata al Congresso e alle Nazioni Unite: gli Usa sono ufficialmente fuori dall’Oms. La mossa di Donald Trump accende inevitabilmente i riflettori su quelli che ora sono i primi finanziatori dell’organizzazione: la Cina, poco trasparente al momento dell’esplosione pandemica, e un privato come il miliardario Bill Gates, patron della Microsoft e oggi trasformatosi nel maggior propagandista mondiale dell’obbligo vaccinale. Il figlio di Bob Kennedy, l’avvocato Robert Kennedy Jr., gli rivolge accuse terribili: Bill Gates foraggia l’Oms ma in cambio intasca molto più denaro, grazie ai vaccini che fanno capo alla sua holding, prescritti in vari paesi dai programmi vaccinali raccomandati dalla stessa Oms (recentemente espulsa dall’India con l’accusa di aver rovinato quasi mezzo milione di bambini, attraverso vaccini pericolosi per la salute).
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L’Organizzazione Mondiale della Malasanità governa l’Italia
Ha fatto scalpore l’annuncio di Trump di tagliare i fondi all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ma tra l’inquilino della Casa Bianca e l’ente di Ginevra non corre buon sangue già da un po’. L’accusa è quella di non aver operato tempestivamente nella comunicazione del diffondersi del coronavirus dall’epicentro cinese di Wuhan, dove il patogeno sembra essersi manifestato già da fine 2019. Il 30 dicembre il medico cinese Li Wenliang, poi morto a causa del virus, aveva lanciato l’allarme tra della diffusione dell’epidemia, ma le autorità locali lo avevano censurato, tacciandolo di divulgare menzogne e di arrecare «un grave disturbo dell’ordine sociale». Il 31 dicembre Taiwan, che non fa parte dell’Oms in quanto non viene riconosciuta repubblica indipendente dalla Cina ma sua provincia, aveva informato l’istituzione internazionale di possedere le prove della trasmissione umana del Covid-19. Per tutta risposta, due settimane dopo l’Oms dichiara in un tweet: «Le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove chiare riguardo alla trasmissione da uomo a uomo».Solo successivamente l’istituto che dovrebbe garantire la salute della popolazione mondiale prende atto del contagio umano. In visita a Pechino, il presidente Tedros Ghebreyesus elogia il modello cinese e la sua velocità di risposta all’epidemia. Uno studio condotto dell’Università di Southampton prova come il numero dei casi di coronavirus avrebbe potuto essere ridotto del 95% se la Cina si fosse mossa solo tre settimane prima per attuare il contenimento del virus. Non è un caso se il viceministro giapponese ha definito l’Oms «l’organizzazione cinese della sanità». La condotta ambigua e poco trasparente dell’istituto sanitario mondiale non è nuova né lo è quella del suo direttore generale. Nel ruolo precedente di ministro della sanità in Etiopia, Tedros Ghebreyesus è stato accusato di nascondere tre grandi epidemie di colera, falsificando i casi. Ha inoltre presieduto il Fondo globale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria, di cui la Fondazione Bill e Melinda Gates è cofondatrice, che è stato coinvolto in scandali di frode e corruzione.Una volta assunto l’incarico di direttore generale nel 2017, ha tentato di collocare il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe come “ambasciatore di buona volontà” presso l’Oms stessa. Un curriculum non proprio impeccabile! La stessa Oms in fatto di scandali sembra avere un certo trascorso. Oltre all’affaire “spese folli” per viaggi, che più volte l’ha riguardata – fino al 2013 la spesa media sfiorava addirittura gli 800 milioni annui – è stata responsabile di procurato allarme per falsa pandemia. Nel maggio 2009 l’istituto di Ginevra ha annunciato una pandemia di influenza suina H1N1, per cui l’allora presidente Margaret Chan aveva invitato le case farmaceutiche a produrre «nella migliore delle ipotesi 4,9 miliardi di vaccini contro l’influenza all’anno». In realtà non si è verificata alcuna pandemia di H1N1 e molti governi occidentali si sono ritrovati con scorte inutilizzate di farmaci e vaccini contro il virus, acquistati a un carissimo prezzo, con un giro d’affari delle case farmaceutiche stimato dalla Jp Morgan tra i 5,8 e gli 8,3 miliardi di euro.A dir poco inadeguata è stata poi la gestione dell’emergenza Ebola, in cui l’Oms ha dovuto ammettere, in un documento interno del 2014, di aver commesso «sviste e sottovalutazioni», reagendo con grave ritardo per arginare l’epidemia in Africa. Il prezzo è stato quello di migliaia di vite umane in territori già martoriati da fame ed epidemie. Potremmo indagare ancora oltre sulla scarsa trasparenza e affidabilità dell’Oms, ma questo ci basta per porci una domanda cruciale: possiamo consegnare non solo la tutela della nostra salute, ma addirittura l’ordine economico e democratico del nostro paese, come sta avvenendo oggi, a questo organismo?(Ilaria Bifarini, “Oms, Organizzazione della Mala Sanità”, dal blog della Bifarini del 17 aprile 2020).Ha fatto scalpore l’annuncio di Trump di tagliare i fondi all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ma tra l’inquilino della Casa Bianca e l’ente di Ginevra non corre buon sangue già da un po’. L’accusa è quella di non aver operato tempestivamente nella comunicazione del diffondersi del coronavirus dall’epicentro cinese di Wuhan, dove il patogeno sembra essersi manifestato già da fine 2019. Il 30 dicembre il medico cinese Li Wenliang, poi morto a causa del virus, aveva lanciato l’allarme tra della diffusione dell’epidemia, ma le autorità locali lo avevano censurato, tacciandolo di divulgare menzogne e di arrecare «un grave disturbo dell’ordine sociale». Il 31 dicembre Taiwan, che non fa parte dell’Oms in quanto non viene riconosciuta repubblica indipendente dalla Cina ma sua provincia, aveva informato l’istituzione internazionale di possedere le prove della trasmissione umana del Covid-19. Per tutta risposta, due settimane dopo l’Oms dichiara in un tweet: «Le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove chiare riguardo alla trasmissione da uomo a uomo».
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Virologo: in Italia 18.000 morti di influenza, e i media zitti
Ogni anno, in Italia, i morti con la comune influenza stagionale sono 20 volte di più di quelli morti ad oggi con Covid-19. Perché non intasiamo le rianimazioni ogni anno? Ecco i dati del Covid-19 in Italia, aggiornati alle ore 18:00 del 10 marzo 2020: 8.514 casi con 631 deceduti (Iss-Epicentro). Faccio notare che questo campione è estremamente selezionato, perché i test sono stati fatti in prevalenza su persone malate. La maggioranza degli esperti, fra cui Ilaria Capua, ritiene che i casi asintomatici siano da 10 a 100 volte superiori. Perciò il tasso di letalità non sarebbe del 7,4%, ma almeno dieci volte inferiore. Sull’influenza stagionale 2017-18, risulta che 8,7 milioni di persone si rivolsero telefonicamente al medico o al pediatra di famiglia per una “sindrome simil-influenzale”. Meno di 1/4 furono visitate dal medico. Sono morte “con complicazioni influenzali” non meno di 18.000 persone, in prevalenza anziane. Di quelle 18.000, solo 173 (1 su 100) morirono in un reparto di rianimazione, e in tutto furono 764 i “casi gravi da influenza confermata in soggetti ricoverati in terapia intensiva”. Cioè, le altre 17.000 persone sono morte a casa propria, o in casa di riposo, o in un qualche reparto ospedaliero, senza diagnosi confermata di influenza.Se i media due anni fa avessero scatenato il putiferio attuale, non meno di 75.000 malati con influenza avrebbero intasato le rianimazioni, al ritmo di 750 nuovi ingressi ogni giorno (finora in rianimazione ne abbiamo ricoverati 650 in tutto). Questi dati confermano che siamo di fronte a una epidemia di panico e che gli untori per eccellenza sono i media. Ci dicono che in Italia abbiamo il più alto tasso di letalità? I dati più affidabili vengono dalla Corea del Sud, che registra tassi di letalità attorno al 6 per mille (1/12 dei nostri). Questo si spiega perché la Corea ha fatto test a tappeto fin dall’inizio (già più di 200.000) e conferma quanto abbiamo detto sopra, cioè che le nostre statistiche usano un denominatore (persone infettate) assai ridotto e selezionato: il che ingigantisce falsamente il rapporto morti/infettati, cioè il tasso di letalità. Tra i tanti messaggi che arrivano nei social, spiccano gli appelli dei medici di rianimazione, veramente preoccupanti. Il nostro sistema sanitario pubblico collocava l’Italia ai primi posti nel mondo, con un invidiabile rapporto qualità/costi, ma a partire dal 1992 (legge-delega per la privatizzazione del Ssn) è stato smantellato per favorire le speculazioni private, che non hanno alcun interesse a investire nei settori più costosi, come grandi chirurgie e rianimazioni. Questo fatto non sarà mai ribadito e condannato abbastanza.Però le testimonianze e gli appelli accorati da parte di medici e infermieri dei reparti di terapia intensiva, ora sotto pressione per i malati gravi con Covid-19, mentre sono condivisibili sul piano umano, sono fuorvianti per la comprensione di questa “epidemia”. Sarebbe come usare la testimonianza del marinaio di una scialuppa di salvataggio del Titanic per ricostruire la storia di quel naufragio… ma qui abbiamo solo qualche scialuppa: non c’è né il Titanic né l’iceberg. Non c’è epidemia, non c’è pandemia. E abbiamo due precedenti famigerati, proprio con due varianti di coronavirus che fecero tanto scalpore per poi rivelarsi veri e propri “fuochi di paglia”: la Sars del 2002 (8.000 casi in tutto) e la Mers del 2012 (800 casi). Notate che la Sars ebbe una letalità del 9% e la Mers addirittura del 38%.Stanno arrivando voci di vaccini “quasi” pronti da parte di Israele o degli Usa che potrebbero salvare molte vite aggredite da questo virus. Tanto rumore per un vaccino? Nell’influenza comune del 2017-18 il ceppo prevalente era A/H1N1pdm09 (più noto come H1N1 o “suina”), ed era incluso nel vaccino antinfluenzale somministrato a circa la metà degli ultrasessantacinquenni italiani – non solo quell’anno, ma anche negli anni precedenti. Quel ceppo ebbe origine nel 2009 negli Usa, come variante dell’influenza suina. Nel 2010 il nostro ministero della salute si impegnò a pagare 184 milioni di euro alla Novartis per 24 milioni di dosi di vaccino contro la “H1N1 suina”, ma anche quella annunciata “pandemia” in realtà fu una vera e propria bufala mediatica: di fatto furono vaccinati meno di un milione di italiani, e 9 milioni di dosi di quel vaccino rimasero nei frigoriferi delle Asl. Parlare di Israele (Netanyahu promise il vaccino a una settimana dalle recentissime elezioni) o di Usa (pure loro in campagna elettorale, coi cittadini che, se disoccupati e non coperti da assicurazione, devono pagare una somma notevole per farsi fare un tampone, e per giunta col più alto tasso di risultati falsi positivi nel mondo) data la situazione conosciuta, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.Cosa penso delle misure per ridurre il contagio prese dal governo italiano? Il grande Ennio Flajano diceva che in Italia “la situazione è grave ma non seria”. Per tutti i dati che abbiamo qui esaminato, dovremmo concludere che questa volta la situazione è “seria, ma non grave”. Dico “seria” nel senso che le misure adottate riflettono l’ansia di dimostrarsi “seri e responsabili”, ma mi domando: verso chi? Verso la Ue? Verso la Nato? Perché non verso i cittadini italiani? Il primo requisito della serietà è la coerenza, e ogni cittadino lo sa se ha ricevuto messaggi coerenti dalle autorità e dagli “esperti” in questi 40 giorni. Walter Ricciardi, imbarcato nel pieno della tempesta, ha fatto miracoli sia nel fronte interno che su quello internazionale. E quando infuria la tempesta, quando le vele sono già lacerate e la barca è piena d’acqua, puoi solo spalare acqua e stare zitto. In scienza e coscienza, io credo di spalare acqua, di rattoppare almeno qualche vela, e di stare (quasi) zitto.Ho detto quasi zitto: solidale coi colleghi (anche sottopagati) che fanno turni stressanti negli ospedali devastati da trent’anni di “filibustering” neoliberista, ma anche urlante a squarciagola contro “colleghi” veri o sedicenti tali che, in anonimato, seminano il terrore parlando di “nipotini che uccidono i nonni”, o di “incoscienti che escono a fare una passeggiata”, o che spacciano il prodotto Xy come panacea curativa (e soprattutto preventiva, così non scappa neanche un potenziale cliente fra i 60 milioni) contro la “peste del 2020” che avrebbe una “contagiosità pazzesca” e una mortalità (sarebbe troppo pretendere da loro il termine corretto letalità) “spaventosa”. Ripeto: chi sta in prima linea negli ospedali oggi è davvero sotto stress, va rispettato e sostenuto, e le misure ragionevoli per ridurre le probabilità di contagio vanno adottate; ma un grande quotidiano della mia regione, il Veneto, oggi riferisce che abbiamo 498 letti di terapia intensiva, di cui 67 occupati da pazienti con tampone positivo per Covid-19.(Leopoldo Salmaso, dichirazioni rilasciate a Patrizia Cecconi per l’intervista “Il tasso di letalità del coronavirus in Italia è almeno 10 volte inferiore ai dati ufficiali”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” l’11 maezo 2020. Epidemiologo e virologo, specialista in malattie infettive, il dottor Salmaso vanta una lunga esperienza internazionale in paesi come la Tanzania, dove conduce progetti sanitari secondo i protocolli prescritti dall’Oms).Ogni anno, in Italia, i morti con la comune influenza stagionale sono 20 volte di più di quelli morti ad oggi con Covid-19. Perché non intasiamo le rianimazioni ogni anno? Ecco i dati del Covid-19 in Italia, aggiornati alle ore 18:00 del 10 marzo 2020: 8.514 casi con 631 deceduti (Iss-Epicentro). Faccio notare che questo campione è estremamente selezionato, perché i test sono stati fatti in prevalenza su persone malate. La maggioranza degli esperti, fra cui Ilaria Capua, ritiene che i casi asintomatici siano da 10 a 100 volte superiori. Perciò il tasso di letalità non sarebbe del 7,4%, ma almeno dieci volte inferiore. Sull’influenza stagionale 2017-18, risulta che 8,7 milioni di persone si rivolsero telefonicamente al medico o al pediatra di famiglia per una “sindrome simil-influenzale”. Meno di 1/4 furono visitate dal medico. Sono morte “con complicazioni influenzali” non meno di 18.000 persone, in prevalenza anziane. Di quelle 18.000, solo 173 (1 su 100) morirono in un reparto di rianimazione, e in tutto furono 764 i “casi gravi da influenza confermata in soggetti ricoverati in terapia intensiva”. Cioè, le altre 17.000 persone sono morte a casa propria, o in casa di riposo, o in un qualche reparto ospedaliero, senza diagnosi confermata di influenza.
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L’Ebola? E’ un super-virus nato nei laboratori americani
Sarà solo un tragico caso, ma l’esplosione dell’epidemia di Ebola coincide con una serie di ricerche militari. Ricerche in atto negli Usa, in Canada e in Russia, dirette a potenziare il virus per studiare il modo migliore per combatterlo. Dettagli tecnici? Top secret. Ma, nei laboratori, Ebola è stato quasi certamente reso trasmissibile per via aerea e più resistente alle cure, in modo da mettere a punto i farmaci più idonei a contrastarne gli effetti. E il terribile sospetto, scrive Marco Mostallino su “Lettera 43”, è che la sua recente, devastante diffusione sia in qualche modo dovuta a una falla nei sistemi di sicurezza di quei laboratori ad alto rischio. Un terribile sospetto: il virus, negli ultimi mesi, ha infettato in Africa occidentale circa 8.000 persone, provocando il decesso di oltre 3.800 pazienti, con un tasso di mortalità che supera il 46% dei malati. «Il sospetto che siamo alle prese con un super-Ebola, creato dai ricercatori e molto più potente dell’originale, è suffragato dal confronto con il totale di circa 2.500 persone uccise dal virus fino all’anno scorso dal 1976, anno della sua scoperta». Ci sono tre precedenti: nel 1976 in Inghilterra e nel 2004 negli Usa (con due ricercatori contagiati e poi guariti) e, sempre nel 2004, in Russia, quando uno scienziato perse la vita dopo essere stato infettato.Da tempo gli Stati Uniti hanno in corso studi, coordinati dalla difesa e diretti a esplorare tutte le possibilità evolutive della malattia, per anticiparle attraverso la coltura di un super-virus: la prova, scrive Mostallino, si trova in un documento del ministero della salute americano, redatto e diffuso dall’ufficio incaricato di affrontare le emergenze sanitarie. «Si tratta di un protocollo di sicurezza dall’applicazione obbligatoria per tutte quelle istituzioni sanitarie (pubbliche e private) impegnate nella cosiddetta “dual research”, ovvero la ricerca definita “a doppio taglio” perché, spiega il Dipartimento della Salute Usa, può generare risultati “benefici o estremamente dannosi”, secondo l’utilizzo che se ne fa e la maniera di maneggiare le fonti di un possibile contagio». La ragione di queste «prassi da apprendisti stregoni», e di tutte le misure di sicurezza che le accompagnano, secondo “Lettera 43” risiede nel timore degli Stati Uniti di subire attacchi batteriologici a opera di gruppi terroristici appoggiati da scienziati senza scrupoli. Di qui la decisione di «potenziare le capacità di contagio e la resistenza dei virus più pericolosi, in modo da essere pronti a fronteggiare anche le peggiori emergenze».Così si rinforza l’Ebola, ma anche l’aviaria, la peste e l’antrace, insieme al botulino e all’afta epizootica, «un morbo che colpisce gli animali e che, negli anni passati, ha devastato migliaia di allevamenti in Europa». Sempre il documento del governo statunitense indica tutti i tipi di ricerche alle quali i protocolli di massima sicurezza devono essere applicati. «La lista degli esperimenti ad altissimo rischio svolti nei laboratori americani parla da sola», avverte Mostallino. Nell’ordine: accrescimento degli effetti dannosi dell’agente patogeno o della tossina, distruzione delle difese immunitarie, conferimento all’agente o alla tossina di una resistenza alle efficaci profilassi cliniche. Si lavora anche per potenziare la stabilità, la trasmissibilità o lo spargimento dell’agente patogeno, per modificare l’ambiente che ospita l’agente tossico e per potenziare la sensibilità della popolazione alla tossina, quindi si studia come abbattere le difese umane naturali contro la malattia. E infine si parla anche di «generazione o ricostituzione di un agente patogeno o di una tossina ormai eradicata tra quelle della lista al punto precedente», ovvero l’elenco di malattie considerate ad altissimo rischio, tra le quali il governo Usa indica appunto anche l’Ebola.«È un elenco terribile, che non ha bisogno di commenti», rileva Mostallino. «Ma l’ultima prassi contenuta nel punto G, cioè la resurrezione in provetta di un morbo da tempo scomparso ma il cui virus è conservato nei laboratori, è considerata forse la più letale, perché il corpo umano ha ormai perduto le capacità di combattere un virus che non si presenta più da molti anni». Tra le sorprese, si scopre che – in laboratorio – l’Ebola è diventato trasmissibile anche per via aerea, mentre la scienza lo considera trasmissibile solo tramite contatto fisico con pazienti infetti. Eppure, è provato che in due laboratori nordamericani si sia cercato di potenziare la malattia, rendendo il contagio possibile senza contatto fisico: «Si tratta di un’altra prova che per motivi sanitari è stato messo in atto il tentativo di trasformare l’Ebola in un super-virus, capace di diffondersi con estrema facilità». Il primo laboratorio, come spiega l’associazione dei medici canadesi, è il centro studi “Upmc Center for Health Security” di Baltimora, dove gli Stati Uniti studiano i virus e le tossine che, secondo il Dipartimento della Difesa, potrebbero essere utilizzati da gruppi senza scrupoli per attacchi di “bioterrorismo”.L’altro laboratorio si trova in Canada, a Winnipeg, ed è il “National Microbiology Laboratory”, nel quale, secondo la rivista dell’associazione nazionale dei medici canadesi, nel 2012 venne fatta una «intrigante scoperta»: l’Ebola passò da esemplari di suini ad alcune scimmie, senza che queste ultime fossero entrate in contatto fisico coi maiali. Le scimmie – alcuni macachi – si infettarono senza mai toccare sangue, lacrime o sudore dei maiali. Per “Lettera 43” si tratta proprio del tipo di ricerca più pericoloso, quell’arma “a doppio taglio” per la quale il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti impone rigidissimi protocolli di sicurezza. Alla base di tanta esasperazione, la paura del “bioterrorismo” che oggi oppone Stati Uniti e Russia: «Entrambi i colossi mondiali, infatti, studiano e potenziano l’Ebola, con l’obiettivo di essere pronti a un eventuale conflitto scatenato dal nemico attraverso il contagio». Insomma, per Mostallino «è in atto una sorta di guerra fredda batteriologica che viene combattuta nei laboratori pubblici e privati, controllati e finanziati dai governi di Washington e Mosca». Dal 2001 a oggi, ovvero dopo il panico scatenato dagli attentati dell’11 Settembre, sempre secondo la rivista dei medici canadesi, gli Stati Uniti hanno speso 79 miliardi di dollari nei programmi di difesa nazionale contro gli attacchi batteriologici. Di questi, ben 26 miliardi sono stati investiti nella specifica ricerca sul potenziamento e il contrasto delle malattie infettive.«L’idea di fondo è dunque quella di creare il super-virus, così da poterlo combattere, prima che sia il nemico a realizzarlo e a utilizzarlo in una azione terroristica o di guerra tra Stati», sintetizza “Lettera 43”. Concreto, quindi, il pericolo denunciato dal dottor Martin Furmanski, un medico statunitense specializzato nella ricerca sulle armi biologiche e batteriologiche: in un recente articolo pubblicato sulla rivista “Bulletin of the Atomic Scientists” dall’eloquente titolo “Rischio di pandemie e fuga dai laboratori: una profezia che si auto-avvera”, lo scienziato spiega che «il rischio di una pandemia provocata dall’uomo e diffusa a causa di una fuga (di agenti patogeni) da un laboratorio non è ipotetico: un caso avvenne nel 1977 proprio perché si pensava che il rischio di una pandemia fosse imminente». Furmanski spiega che si trattava della “influenza umana H1N1”, ovvero di una ripresa della terribile epidemia di influenza “Spagnola” che nel 1918 uccise milioni di persone in tutta Europa. «Il caso più famoso di ritorno del contagio della influenza da “H1N1-A” fu il riemergere della malattia nel maggio del 1977 in Cina e poco tempo dopo in Unione Sovietica» per poi diffondersi nel resto del mondo, soprattutto tra la popolazione giovane, al di sotto dei 20 anni.Racconta ancora lo scienziato: «Una serie di test genetici suggerirono sulle prime che potesse trattarsi di un virus fuggito dai laboratori nel 1949-50» e, anni dopo, «alcune tecniche avanzate di ricerca genetica confermarono l’ipotesi». Insieme a numerosi virologi che studiarono il caso, aggiunge “Lettera 43”, Furmanski oggi sostiene che «ironicamente» l’epidemia fu provocata dalla fuga del virus da un laboratorio americano nel quale si cercava un vaccino per prepararsi a fronteggiare un contagio globale che ancora non c’era, e che fu generato proprio dal tentativo di evitarlo. L’influenza “H1N1” non è il solo caso di epidemia scatenata dagli apprendisti stregoni: lo scienziato cita, tra gli altri, gli 80 casi di vaiolo riscontrati in Gran Bretagna tra il 1963 e il 1978 a causa di tre differenti fughe del virus da altrettanti laboratori nei quali veniva studiato e rafforzato. Oggi gli scienziati ritengono che «se un agente patogeno riappare dopo anni o decenni di assenza, si può ritenere che sia fuggito da un laboratorio nel quale era stato conservato inerte per anni». Che la costruzione di un super-virus dell’Ebola fosse in corso al momento della ricomparsa della malattia, praticamente sparita da anni – conclude Mostallino – è un dato assodato e ammesso dagli stessi laboratori nordamericani, oltre che dal protocollo di sicurezza del governo Usa, il quale mette in guarda contro gli enormi rischi della “dual research”, la ricerca a doppio taglio.Sarà solo un tragico caso, ma l’esplosione dell’epidemia di Ebola coincide con una serie di ricerche militari. Ricerche in atto negli Usa, in Canada e in Russia, dirette a potenziare il virus per studiare il modo migliore per combatterlo. Dettagli tecnici? Top secret. Ma, nei laboratori, Ebola è stato quasi certamente reso trasmissibile per via aerea e più resistente alle cure, in modo da mettere a punto i farmaci più idonei a contrastarne gli effetti. E il terribile sospetto, scrive Marco Mostallino su “Lettera 43”, è che la sua recente, devastante diffusione sia in qualche modo dovuta a una falla nei sistemi di sicurezza di quei laboratori ad alto rischio. Un terribile sospetto: il virus, negli ultimi mesi, ha infettato in Africa occidentale circa 8.000 persone, provocando il decesso di oltre 3.800 pazienti, con un tasso di mortalità che supera il 46% dei malati. «Il sospetto che siamo alle prese con un super-Ebola, creato dai ricercatori e molto più potente dell’originale, è suffragato dal confronto con il totale di circa 2.500 persone uccise dal virus fino all’anno scorso dal 1976, anno della sua scoperta». Ci sono tre precedenti: nel 1976 in Inghilterra e nel 2004 negli Usa (con due ricercatori contagiati e poi guariti) e, sempre nel 2004, in Russia, quando uno scienziato perse la vita dopo essere stato infettato.