Archivio del Tag ‘Huma Abedin’
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Kraken: il Dark Web fotografa la maxi-frode contro Trump?
«Il Kraken dei patrioti americani ha lasciato il Dark Web ed è uscito allo scoperto, manifestando tutta la sua possanza. Con i suoi tentacoli informatici il mostro liberato dai legali di Trump si è avvinghiato al potente Leviatano dei globalisti, e così si è dato avvio allo stritolamento». La svolta, scrive Gianmarco Landi su “Notizie dal Parlamento”, sarebbe avvenuta «il giorno dopo il rilascio del Kraken», cioè alla presentazione dei ricorsi alla Corte Suprema giovedì 19, quando Rudolph Giuliani, Sidney Powell e Jena Ellis hanno tenuto una conferenza stampa «comunicando che il mostro era stato rilasciato». L’indomani, venerdì 20 novembre alle ore 10 della East Coast, il comitato governativo della Pennsylvania ha convocato i dirigenti della Dominion, la società che aveva contato i voti in 30 dei 50 Stati americani (tutti quelli significativi). «I tecnici della Dominion avrebbero dovuto relazionare sul funzionamento dei macchinari utilizzati per la raccolta dei voti, ma non lo hanno fatto: nessuno della Dominion si è presentato alla convocazione, ed essendo tutti loro tecnici molto esperti (hacker), evidentemente in questi giorni avranno avuto modo di riflettere e prendere contezza del burrone in cui sono precipitati».Quella che Landi definisce «la latitanza dei tecnici della Dominion» renderebbe evidente il fatto che «nessuno possa mai spiegare legalmente il funzionamento della raccolta dei voti, cioè i “glitch” (scambi di voti a favore di Biden) e i “salti in perpendicolare” (cioè interi blocchi di centinaia di migliaia di voti che compaiono solo per un candidato)». Sempre secondo Landi, questo «la dice lunga su come andrà a finire la vittoria mediatica di Biden, cioè la classica vittoria di Pirro, per lui, e la Waterloo di tutti i ‘campioni’ della globalizzazione». Molti, aggiunge Landi, ancora non sanno che, sotto la superficie del web, esiste l’universo del cosiddetto Deep Web, il “web profondo”, in cui «politici, banchieri o miliardari delle élite veicolano informazioni tra di loro». Nel Deep Web, ad esempio, «si muovono gli asset bank security, con cui le banche fanno i bilanci reali». Solo una minima parte delle forze nel Deep Web emerge nel Surface Web e ai nostri occhi, assumendo il carattere di ufficialità. «La reale situazione economico-finanziaria delle banche, così come quella degli Stati, non è quella raccontata ed evidente nel Surface Web, ma quella non visibile alla maggior parte delle persone, cioè nel Deep Web».Nel web profondo «si trovano certe dinamiche “swift” attraverso cui le banche si scambiano miliardi di euro in asset e liquidità, talvolta tenendo all’oscuro gli amministratori della banca, gli Stati e qualsiasi stakeholder della banca, perchè il Deep Web ha relazioni con un Deep Web ancora più profondo ed elitario, chiamato Dark Web». In quel “web oscuro”, continua Landi, vari faccendieri «realizzano speculazioni illecite colossali, a scapito dei cittadini ignari». In pratica, operazioni Off Ledger (fuori bilancio) senza coinvolgimento ufficiale del bank officer, «cioè con il banchiere che si volta dall’altra parte quando qualcuno dal Dark Web mette le mani su alcuni conti». Nel Dark Web, «i protagonisti si muovono in forme di totale anonimato, e per poterlo fare bisogna essere entità di grande forza internazionale, come ad esempio l’intelligence dell’esercito degli Stati Uniti (che ha inventato Internet e l’ha data al mondo), o di servizi segreti di Stati importanti». Come nei film, hackeraggi dal Dark Web «avvengono anche su iniziativa di ragazzi genialoidi, che prima o poi finiscono per farsi arrestare, ma subito dopo andranno a lavorare in questi ambiti di intelligence informatica molto particolari».Nel Dark Web c’è l’infrastruttura ad 8kun, che permette l’accesso e la scrittura di contenuti in modo del tutto anonimo: ed è questo il luogo dove «l’incubo delle élite globaliste si è manifestato», secondo Landi, che dà credito all’entità chiamata “Q”, che definisce composta da «personale di intelligence militare», il cui obiettivo sarebbe «far emergere nel Surface Web molte verità nascoste negli ultimi 50 anni». Gianmarco Landi ipotizza che “Q” sia capeggiato dal generale Michal Flynn, «che fu il primo a parlare nel 2016 di certe storie agghiaccianti su Twitter, come ad esempio il pedosatanismo e la corruzione della Fondazione Clinton, per poi essere poco dopo letteralmente massacrato dall’Fbi, nonostante Trump fosse stato appena eletto presidente degli Stati Uniti». Sempre secondo Landi, «su 8kun è comunque possibile, tramite l’Id che compare a destra della data di pubblicazione, essere sicuri che due post diversi siano stati scritti dalla stessa persona (postazione)». Ed è per questo motivo, aggiunge, che è possibile fare delle supposioni congetturali seguendo i post di “Q”, «scorgendo in certe sue comunicazioni finanche messaggi di chiaro ancoraggio presidenziale, evidentemente propalati dal Dark Web affinché arrivassero nella superficie della Rete e quindi a tutti noi».Molte iniziative attuate dall’amministrazione Trump sono state effettivamente anticipate da “Q”, sostiene Landi: quindi, deduce, «questa modalità è stata messa in atto per far attaccare il presidente e non solo per difenderlo, diffondendo informazioni e controinformazioni sicuramente lette avidamente soprattutto dai nemici dell’amministrazione Trump». Sempre Landi mette in evidenza un recente scambio tra due soggetti, ovvero due Id elettronici: il primo è “17ac60″, che Landi decide di chiamare «hacker di Dominion», e l’altro è “8f656a”, che sempre Landi chiama «Generale Flynn». Lo scambio inizia con un insulto a Flynn, definito “looser”, cioè perdente, ma dopo cinque minuti il presunto hacker riceve la seguente risposta dall’ipotetico Flynn: «Guarda che non ho ancora iniziato a combattere». Visto che il presunto hacker rincara la dose e seguita a insultare, ecco che «spunta fuori il tentacolo del Kraken», ovvero: l’ipotetico Flynn pubblica sulla chat «la foto di un uomo ben preciso, e improvvisamente la conversazione si blocca». Scrive Landi: «E’ plausibile ritenere che l’hacker di Dominion abbia avuto una botta di panico, vedendo che colui che riteneva il ‘loser’ (perdente) solo pochi istanti prima, gli aveva appena spiattellato una sua foto, a cui corrisponde quella di un dirigente della Dominion».Cosa è successo? Sempre secondo Landi, l’ipotetico Flynn avrebbe «dato a intendere all’hacker di Dominion, così palesandosi alla catena di comando a cui questa struttura risponde, che tutto quanto fatto dai server di Francoforte in questo ultimo mese, è stato osservato ed evidentemente registrato», anche se gli autori del presunto complotto informatico si credevano al sicuro, grazie all’anonimato teoricamente garantito dal Dark Web. Landi sostiene di aver riconosciuto l’hacker: risulta essere Aleksander Lazarevic, della Dominion. Come faceva, l’ipotetico Flynn, a conoscere la sua identità, disponendo solo dell’Id 8f656a? E visto che questo scambio è arrivato un attimo dopo che il team legale di Trump aveva portato in Corte Suprema le prove dei brogli, potrebbe significare che il vero generale Flynn, e quindi i legali di Trump, «avessero alle spalle un livello di forza tecnologica nel Dark Web superiore a quello di Dominion e Smartmatic controllate dai Dem, da Soros, da Bill Gates e dai grandi banchieri?». Queste due realtà aziendali estere, stando alle accuse dei legali trumpiani, avrebbero eterodiretto i colossali brogli da Francoforte.Lo avrebbero fatto «penetrando il software di Dominion installato nei 30 Stati Usa, in modo da truccare i dati elettorali». Come? Manipolandoli a posteriori, «essendo forti della connivenza di funzionari statali che si sarebbero voltati dall’altra parte quando l’algoritmo agiva». Landi tende a pensare che i cospiratori siano stati colti di sorpresa, e oggi «risultino come i topi caduti in trappola, con il generale Flynn che ha chiuso lo sportellino». La storia diventa molto interessante e concreta, secondo Landi, «perché è proprio questo Lazarevic colui che ha scritto l’algoritmo in grado di modificare i risultati elettorali». Si tratterebbe di un algoritmo di manipolazione di dati che, nell’intento originale, «potenziava alla bisogna i voti di Biden in modo che gli osservatori esperti di politica non avrebbero mai potuto accorgersene». Queste incursioni, verificandosi in anonimato, «non avrebbero mai dovuto lasciare prove dell’accaduto». Il problema sarebbe stato amplificato «dai settaggi dell’algoritmo e dai parametri fissati su affluenze troppo basse, supponendo una massa di voti in favore di Trump molto inferiore a quella che il 3 novembre si è registrata mediante espressioni in presenza fisica».«I correttivi nella notte tra il 3 e il 4 novembre hanno aggravato i pasticci», scrive ancora Landi, «perchè è stato necessario intervenire con alcune postazioni dal Dark Web lasciando ulteriori ‘impronte’». Landi riferisce che esiste «un paper a carattere scientifico firmato proprio dallo stesso Lazarevic, dove viene documentata l’invenzione di questi tipi di algoritmi per corrompere gli esiti delle elezioni democratiche». Avendo Trump in mano pure i server di Francoforte, secondo Landi la sua vittoria è scontata. E non solo: c’è anche la seria eventualità che l’intera filiera dei brogli possa andare incontro a guai serissimi, inclusa addirittura «una condanna a morte». Anche per questo, forse – aggiunge Landi – si capisce come mai nessuno della Dominion, il giorno dopo la conferenza stampa di Powell, Giuliani ed Ellis, abbia avuto il coraggio di presentarsi in Pennsylvania a chiarire cosa fosse successo nei conteggi. «Si capisce anche per quale motivo la mafia della Pennsylvania, capeggiata da Skinny Joe, si sia fatta avanti autoaccusandosi della esecuzione materiale dei brogli cartacei sul voto postale, la cui ingegneria criminale è ovviamente ascrivibile ad altre entità». Sarà per questo motivo – continua Landi – che Biden sarebbe stato «colto dal panico» e avrebbe «manifestato la disponibilità a ritirarsi in cambio di qualche salvacondotto giudiziario», così come risulterebbe da alcuni “spifferi” provenienti proprio dal Dark Web?Tuttavia – ammette lo stesso Landi – questa notizia potrebbe essere stata messa in circolazione da “Q” per diffondere il panico tra le file avversarie. Sempre Landi parla di «alcune decine di dipendenti scomparsi», dagli uffici di Dominion e Smartmatic, «sicuramente atteriti da una situazione giudiziaria e personale che per loro potrebbe diventare drammatica». L’aria che tira è leggibile dalla determinazione di Trump, che nei giorni scorsi «ha avviato al Pentagono una serie di purghe senza precedenti, ha messo la Cia sotto il comando della Difesa riducendo Gina Haspel ad una ‘bambolina’, e ha silurato tutti gli uomini “dem” dalla Cisa», l’agenzia per la cyber-sicurezza «che in realtà aveva commissariato di fatto con una struttura parallela artefice del Watermark (il marcamento occultato alla vista umana dello schede postali)». Lo stesso Landi accenna a «notizie di confessioni di alti funzionari statali che dichiarano di aver sabotato per anni i politici antiglobalizzazione, evidentemente folgorati sulla via di Damasco per il timore di essere sospettati di aver coperto i boicottaggi e i complotti per rovesciare il presidente Trump». Le secondo e terze file dei “dem” sarebbero «in procinto di essere ghigliottinate».Il nuovo direttore della Difesa, l’ex generale di brigata Anthony Tata, in questi giorni «ha accusato il presidente Obama e i Clinton di essere stati a capo delle reti terroristiche jihadiste». Il nuovo sottosegretario alla Difesa per l’intelligence e la sicurezza, Ezra Watnick, «ha fatto parte dell’équipe del generale Michael Flynn all’intelligence militare che ha combattuto il terrorismo jihadista». “Renovatio 21″ racconta che, per quattro anni, i responsabili del Pentagono vicini a Obama e Hillary avrebbero «fatto di tutto per non mettere in atto le disposizioni di Trump e far proseguire i conflitti dove c’erano», seguendo direttive-ombra di Obama, «tutte cose che hanno fatto ‘imbestialire’ le alte gerarchie dell’esercito, e non solo l’amministrazione Trump». In ultimo, Gianmarco Landi segnala uno stranissimo tweet di Huma Abedin, fedelissima di Hillary (era vice di Jonh Podesta nella campagna 2016): la Abedine «sembra perorare un contenuto pro-Trump e contro i media». Giallo: «E’ forse un messaggio in codice che annuncia il “si salvi chi può”, oppure il “nascondetevi”?». I personaggi come Huma Abedin, chiosa Landi, comunicano nel Dark Web con meccanismi criptati dai servizi segreti: se non lo fanno più, e saltano fuori «strani tweet e numeri enigmatici», forse «significa che i tentacoli del Kraken sono arrivati fin lì: il Dark Web non è più un posto sicuro per i ‘losers’».«Il Kraken dei patrioti americani ha lasciato il Dark Web ed è uscito allo scoperto, manifestando tutta la sua possanza. Con i suoi tentacoli informatici il mostro liberato dai legali di Trump si è avvinghiato al potente Leviatano dei globalisti, e così si è dato avvio allo stritolamento». La svolta, scrive Gianmarco Landi su “Notizie dal Parlamento“, sarebbe avvenuta «il giorno dopo il rilascio del Kraken», cioè alla presentazione dei ricorsi alla Corte Suprema giovedì 19, quando Rudolph Giuliani, Sidney Powell e Jena Ellis hanno tenuto una conferenza stampa «comunicando che il mostro era stato rilasciato». L’indomani, venerdì 20 novembre alle ore 10 della East Coast, il comitato governativo della Pennsylvania ha convocato i dirigenti della Dominion, la società che aveva contato i voti in 30 dei 50 Stati americani (tutti quelli significativi). «I tecnici della Dominion avrebbero dovuto relazionare sul funzionamento dei macchinari utilizzati per la raccolta dei voti, ma non lo hanno fatto: nessuno della Dominion si è presentato alla convocazione, ed essendo tutti loro tecnici molto esperti (hacker), evidentemente in questi giorni avranno avuto modo di riflettere e prendere contezza del burrone in cui sono precipitati».
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Luttwak: la Clinton non ha scampo, dovrà dimettersi
Anche se dovesse vincere, Hillary Clinton sarebbe inchiodata dalle indagini riaperte dall’Fbi, che il Dipartimento di Giustizia avrebbe voluto insabbiare: non uscirebbe viva dalla procedura di impeachment. Lo afferma Edward Luttwak, politologo di fama e repubblicano di ferro: «Mettiamo che Hillary vinca. L’inchiesta dell’Fbi non per questo si bloccherà. Nemmeno se il direttore James Comey dovesse essere sostituito. Il che non sarà facile, anche perché in quel posto Comey è stato messo dall’amministrazione democratica». Conseguenza? «Dal vaso di Pandora, appena scoperchiato, verranno fuori altri scandali. Scandali per l’intera famiglia. Non solo Hillary e Bill, non solo la Fondazione, ma anche la figlia Chelsea», che viaggia su jet privati, «invitata come speaker a pagamento a conferenze dedicate al global warming». Anche se i media mainstream, giornali e televisioni, «fanno a gara a coprire, ridurre, nascondere il caso», parlando di “complotto”, Hillary non se la potrebbe cavare. Ed ecco spiegata, probabilmente, la mossa di Comey alla vigilia del voto: azzoppare la Clinton, accusata dall’Fbi, per evitare che finisca alla Casa Bianca un presidente “impresentabile”.«Di fronte alle nuove evidenze, Comey ha ritenuto di non poter più sorvolare su ipotesi di reato, come aveva fatto in luglio». Dal direttore dell’Fbi, una sfida senza precedenti rivolta al Dipartimento della Giustizia, che avrebbe coperto Hillary, spiega Luttwak in un’intervista a Cesare De Carlo per “Il Giorno”, ripresa da “Dagospia”. E se la Clinton comunque vincesse? «Avrebbe poca importanza», secondo Luttwak. «Allo stato dei fatti la nomina di uno Special Prosecutor sarebbe probabile, se – come pare – la Camera rimanesse repubblicana. E altrettanto probabilmente uno Special Prosecutor sarebbe l’inizio di un procedimento di impeachment». Uno “special prosecutor”: lo stesso Obama, come commissario provvisorio degli Stati Uniti? Il deputato Jason Chaffetz, presidente della Commissione per la sorveglianza delle attività governative, parla apertamente del problema Clinton: abbiamo tanto di quel materiale, ha detto, da tenerci occupati per due anni. «Voi in Europa non avete idea del grado di corruzione imputato ai Clinton», dice Luttwak. «Quando Hillary era segretario di Stato, avrebbe usato la carica pubblica per promuovere gli interessi della Fondazione e quelli della sua stessa famiglia».Un esempio: un principe del Qatar le avrebbe chiesto udienza per concludere un certo affare per il quale il Dipartimento di Stato avrebbe dovuto dare luce verde. Nessuna risposta. Allora il principe avrebbe fatto una ricca donazione. Le porte del Dipartimento si spalancano e l’affare viene concluso». Questi “affari” figuravano nelle e-mail private cancellate dopo l’ingiunzione da parte della polizia federale: in teoria, si tratta di “sottrazione di prove”. «Sì. È un reato. E lo è anche la notizia di questi giorni», cioè la comparsa di e-mail ufficiali, del Dipartimento di Stato, sul computer privato dell’ex marito di Huma Abedin: «Non ne conosco la sostanza. Ma già il fatto in sé è stato sufficiente in casi analoghi a spedire i colpevoli in prigione». Certo, lo stesso Comey in luglio non era arrivato a questa conclusione: aveva definito “imprudenza” la negligenza di avere usato server privati per la posta elettronica dell’ex segretario di Stato. «Differenza terminologica importante. Se avesse parlato di negligenza, l’incriminazione sarebbe stata inevitabile». Ora, Hillary teme lo tsunami-Fbi, e Trump risorge persino nei sondaggi ufficiali, “accomodati” dallo staff dei democratici. Lassù, più in alto della Casa Bianca, qualcuno sembra aver abbandonato la Clinton, incaricando l’Fbi di colpirla proprio adesso.Anche se dovesse vincere, Hillary Clinton sarebbe inchiodata dalle indagini riaperte dall’Fbi, che il Dipartimento di Giustizia avrebbe voluto insabbiare: non uscirebbe viva dalla procedura di impeachment. Lo afferma Edward Luttwak, politologo di fama e repubblicano di ferro: «Mettiamo che Hillary vinca. L’inchiesta dell’Fbi non per questo si bloccherà. Nemmeno se il direttore James Comey dovesse essere sostituito. Il che non sarà facile, anche perché in quel posto Comey è stato messo dall’amministrazione democratica». Conseguenza? «Dal vaso di Pandora, appena scoperchiato, verranno fuori altri scandali. Scandali per l’intera famiglia. Non solo Hillary e Bill, non solo la Fondazione, ma anche la figlia Chelsea», che viaggia su jet privati, «invitata come speaker a pagamento a conferenze dedicate al global warming». Anche se i media mainstream, giornali e televisioni, «fanno a gara a coprire, ridurre, nascondere il caso», parlando di “complotto”, Hillary non se la potrebbe cavare. Ed ecco spiegata, probabilmente, la mossa di Comey alla vigilia del voto: azzoppare la Clinton, accusata dall’Fbi, per evitare che finisca alla Casa Bianca un presidente “impresentabile”.
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Se gli americani ora scoprono chi è davvero Hillary Clinton
Vuoi vedere che Trump ce la fa? «Se Hillary perderà il merito sarà ovviamente di Trump, ma la colpa principale sarà sua e del suo inqualificabile passato», scrive Marcello Foa, che non ha mai dato per spacciato il candidato repubblicano, nemmeno quando la maggior parte dei sondaggi – ampiamente manipolati, secondo Wikileaks, e diffusi con la massima risonanza dalla grancassa dei media mainstream – attribuiva a Hillary un vantaggio abissale. Sondaggi in ogni caso di dubbia affidabilità: «Pronosticare un risultato su scala nazionale consultando 1.300 persone non è convincente, tanto più dopo il fiasco del Brexit e di altre elezioni». Foa ha seguito dal vivo due campagne presidenziali – nel 2004 e nel 2008 – scoprendo «l’America profonda, quella che di solito decide le presidenziali», dove oggi un candidato come Trump potrebbe essere «molto più popolare di quanto l’establishment, di cui i grandi media sono la voce, sia disposto ad ammettere». Ora persino i sondaggi mainstream ammettono il “crollo” della Clinton, su cui si abbatte anche il nuovo “emailgate” con la riapertura dell’inchiesta da parte dell’Fbi sui messaggi di posta elettronica cancellati da Hillary.«Attenzione, si profila uno scenario imprevedibile fino a poche ore fa: il sorpasso di Trump su Hillary nell’ultima settimana della campagna elettorale», scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”. «L’emailgate è devastante per l’immagine della Clinton, perché alimenta il sospetto che non sia affidabile, che abbia qualcosa da nascondere, che sia una mentitrice seriale». Ovvero: «Rafforza la diffidenza nei confronti della sua persona, che è stato il suo principale handicap in questi mesi». I contorni della vicenda sono da film: l’Fbi ha trovato le email di Hillary indagando su Anthony Weiner, ex politico emergente del partito democratico ed ex marito della sua assistente personale, la giovane e fidatissima Huma Abedin, il quale «è stato denunciato per molestie nei confronti di ragazzine minorenni, a cui inviava sue foto in costume adamitico». Osserva Foa: «Forse è il karma che colpisce i Clinton: pensavano di aver fatto fuori Trump pubblicando gli audio dei suoi commenti sulle donne e ora proprio uno scandalo sessuale rischia di rovinare la carriera dell’ex first-lady».Ma anche senza il colpo di coda dell’emailgate, aggiunge Foa, Hillary sarebbe stata in difficoltà. Motivo: ormai «la maggior parte degli americani diffida dei cosiddetti media mainstream (grandi tv e grandi giornali) e molti di loro preferiscono informarsi su siti di informazione che sono letteralmente esplosi in quei mesi come “Breitbart”, “Drudge Report”, “Infowars”, quasi tutti filorepubblicani e gli unici ad aver dato conto regolarmente dell’altro enorme scandalo ignorato dai grandi organi di informazione: quello di Wikileaks con la pubblicazione di migliaia di email del capo della campagna democratica, John Podesta, e di altri collaboratori, che sono stati hackerati». Dalla lettura di quelle email «emerge il doppio linguaggio dell’ex first lady su temi fondamentali con evidenti contraddizioni tra quanto promette agli elettori e quel che dice a prete chiuse alle lobby più influenti». Ed emergono «gli “inciuci” con una stampa servile e quella che appare come una corruzione implicita, multimilionaria, tramite la sua Fondazione anche con governi stranieri», come Qatar e Arabia Saudita (Isis e Fondazione Clinton, stessi sponsor). Emerge insomma «il vero volto del mondo della Clinton e, in genere, del potere di Washington, che provoca disgusto e rabbia negli americani».Vuoi vedere che Trump ce la fa? «Se Hillary perderà il merito sarà ovviamente di Trump, ma la colpa principale sarà sua e del suo inqualificabile passato», scrive Marcello Foa, che non ha mai dato per spacciato il candidato repubblicano, nemmeno quando la maggior parte dei sondaggi – ampiamente manipolati, secondo Wikileaks, e diffusi con la massima risonanza dalla grancassa dei media mainstream – attribuiva a Hillary un vantaggio abissale. Sondaggi in ogni caso di dubbia affidabilità: «Pronosticare un risultato su scala nazionale consultando 1.300 persone non è convincente, tanto più dopo il fiasco del Brexit e di altre elezioni». Foa ha seguito dal vivo due campagne presidenziali – nel 2004 e nel 2008 – scoprendo «l’America profonda, quella che di solito decide le presidenziali», dove oggi un candidato come Trump potrebbe essere «molto più popolare di quanto l’establishment, di cui i grandi media sono la voce, sia disposto ad ammettere». Ora persino i sondaggi mainstream ammettono il “crollo” della Clinton, su cui si abbatte anche il nuovo “emailgate” con la riapertura dell’inchiesta da parte dell’Fbi sui messaggi di posta elettronica cancellati da Hillary.