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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.
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Quasi 2 milioni di italiani col Pd, rimasto all’Età della Pietra
Favoloso Pd: dopo Renzi e l’avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l’orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all’età della pietra, prigioniero di un’altra epoca, ancora ipnotizzato dall’illusione ottica dell’Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.Per il Pd, la storia è ferma al 1992, all’europeismo bancario e tecnocratico di Ciampi, tuttalpiù alla super-bufala ulivista dell’oligarca Prodi, asceso al cielo solo grazie alla guerra psicologica contro l’Uomo Nero. Sono passati 25 anni, e sembra che gli elettori Pd non abbiano ancora capito che il vero pericolo per l’Italia non era Berlusconi, ma i poteri oligarchici eurocratici che proprio nel centrosinistra hanno incessamente reclutato alleati docili e servizievoli, da D’Alema e Renzi, cui affidare lo smantellamento progressivo del welfare, la super-tassazione inferta alle aziende, la disoccupazione-choc e la chemio-economy eseguita dal duo tragico Monti-Fornero, cioè i mercenari che – attraverso Napolitano – hanno deformato la Costituzione, sfigurandola con l’inserimento proditorio del pareggio di bilancio approvato senza fiatare dall’infimo Bersani. Nulla di tutto ciò traspare, nemmeno in lontananza, dall’analisi post-sconfitta esalata a mezza voce dal Pd già renziano. Niente di vagamente paragonabile alle riflessioni prodotte in Francia dal gauchista Mélenchon, o in Gran Bretagna dal laburista Corbyn. La cosiddetta sinistra (nominale) italiana non va oltre Zingaretti, Giachetti e Martina. L’altra notizia è che la disfida, interamente disputata a colpi di sbadigli, ha attratto quasi due milioni di elettori sani di mente.Dov’era, in questi anni, il popolo del Pd? Dove si è informato? Cosa ha letto? Chi ha ascoltato? Non c’è stato un dirigente del partito – non uno – capace di indicare le cause del doloroso divorzio tra il Pd e gli italiani, messi in ginocchio da un’euro-crisi sapientemente pilotata grazie all’occhiuta regia di micidiali strateghi come Mario Draghi. Zero assoluto, dal Pd, sul rapporto con Bruxelles: la recessione è accettata come normalità fisiologica, la sottomissione viene subita come destino (anche quando Germania e Francia annunciano ad Aquisgrana il ritorno persino formale al Sacro Romano Impero). Facile, sparare su Di Maio e Toninelli. Comodo, prendersela con lo sgradevole Salvini. Ma se tornasse a Palazzo Chigi, il Pd cosa farebbe? Probabilmente, le stesse cose che ne hanno causato lo sfratto nel 2018. Cos’è cambiato, nell’ultimo anno? Niente. Basta ascoltare Zingaretti, Martina e Giachetti. I buoni sono all’opposizione perché i cattivi sono al governo. E i cattivi sono al governo perché evidentemente gli italiani sono cretini, oltre che un po’ fascisti e xenofobi. Le parole democrazia, sovranità e trasparenza non dicono niente, allo pseudo-europeismo del Pd, ancora e sempre a disposizione dei neoliberisti, i grandi privatizzatori universali. Pazienza per i nano-dirigenti, usi a obbedir tacendo, ma è decisamente sconcertante constatare come, in quel nulla, ripongano ancora una certa fiducia quasi due milioni di elettori italiani.(Giorgio Cattaneo, “Quasi 2 milioni di italiani con il Pd, il partito superstite che è rimasto all’Età della Pietra”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 marzo 2018).Favoloso Pd: dopo Renzi e l’avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l’orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all’età della pietra, prigioniero di un’altra epoca, ancora ipnotizzato dall’illusione ottica dell’Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.
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Annullare la Brexit? Ora il divorzio mette in croce Corbyn
Un sondaggio riservato, commissionato dalla campagna pro-Ue “Best for Britain” (che vede tra i suoi finanziatori principali lo speculatore George Soros) suggerisce che gli elettori britannici sarebbero meno propensi a sostenere il Labour qualora il partito dovesse impegnarsi in maniera decisa a fermare la Brexit. Lo rivela il “Guardian”: quasi un terzo degli intervistati avrebbe dichiarato che, in questa circostanza, voterebbe con meno probabilità i laburisti. Un numero simile di cittadini ha affermato che la posizione sul tema non muterebbe l’atteggiamento verso la formazione guidata da Corbyn. Solo il 25% del campione, scrive Andrea Genovese su “Contropiano”, ha dichiarato che un impegno “europeista” del Labour costituirebbe una maggior motivazione per sostenere la compagine. “Best for Britain”, che sta spingendo per un secondo referendum Ue, ha commissionato il sondaggio prima che i parlamentari votassero sull’accordo negoziato da Theresa May con l’Ue (poi clamorosamente respinto dalla Camera dei Comuni). Quanto ai flussi elettorali, il sondaggio afferma che una svolta in favore del secondo referendum ad opera del Labour potrebbe far guadagnare al partito il 9% degli elettori conservatori, ma causerebbe la perdita dell’11% degli attuali sostenitori laburisti.Per la formazion di Corbyn sarebbe una perdita solo parzialmente compensata dal maggiore interesse con il quale guarderebbero al Labour i simpatizzanti dei piccoli partiti pro-Ue, cioè Verdi e Liberaldemocratici. Il leader Jeremy Corbyn, osserva Genovese, si trova in una situazione delicatissima, «stretto tra le smanie europeiste dei settori centristi del suo partito» (71 parlamentari del Labour sostengono apertamente la campagna per un secondo referendum) e la necessità di «rassicurare l’elettorato tradizionale laburista che, soprattutto nel Nord dell’Inghilterra, ha votato in maniera consistente per la Brexit». Fallita la mozione di sfiducia al governo May (che è rimasto in piedi) e incassata l’indisponibilità dei Liberal-Democratici a sostenere simili tentativi in futuro, l’obiettivo di portare il paese a elezioni anticipate appare lontano. La sua strategia, ricorda Genovese, Jeremy Corbyn l’aveva messa a punto lo scorso settembre a Liverpool: «Superare in avanti le divisioni causate dalla Brexit (da assumere come dato acquisito pur preservando l’accesso all’Unione Doganale), tramite un programma socialmente avanzato col quale parlare alla maggioranza della popolazione, provando a mettere in crisi, nel gioco parlamentare, Theresa May, e a guadagnare le urne anticipate».La strada di Corbyn si fa stretta, secondo “Contropiano”: l’inizio dei colloqui parlamentari ha anche segnalato l’avvio di grandi manovre per riunire Conservatori, Nazionalisti, Centristi e la destra interna laburista intorno ad un nuovo accordo sulla Brexit. Un accordo che, per gli oppositori interni del segretario del Labour, «potrebbe anche avere l’utilità di azzoppare un leader sgradito e del tutto eccentrico rispetto alla recente tradizione del partito, completamente genuflessa ai diktat neoliberisti». A Corbyn guarda anche il variegato panorama – piuttosto disperso – dei progressisti europei che avevano tifato per il “Remain”, nella speranza che proprio il partito laburista (radicalmente rinnovato da Corbyn in senso socialista) potesse fare da contrappeso, nell’ambito dell’Unione Europea, allo strapotere del patto mercantilista franco-tedesco, al quale si sono incresciosamente allineati sia i socialisti francesi che l’Spd tedesca e il Pd italiano. Con la Brexit, i progressisti europei hanno perso – in Corbyn – un alleato potenzialmente strategico. Che ora, come scrive il “Guardian”, dovrà provare a sopravvivere, politicamente, tra le mille insidie (anche interne) innescate dal tormentato divorzio da Bruxelles.Un sondaggio riservato, commissionato dalla campagna pro-Ue “Best for Britain” (che vede tra i suoi finanziatori principali lo speculatore George Soros) suggerisce che gli elettori britannici sarebbero meno propensi a sostenere il Labour qualora il partito dovesse impegnarsi in maniera decisa a fermare la Brexit. Lo rivela il “Guardian”: quasi un terzo degli intervistati avrebbe dichiarato che, in questa circostanza, voterebbe con meno probabilità i laburisti. Un numero simile di cittadini ha affermato che la posizione sul tema non muterebbe l’atteggiamento verso la formazione guidata da Corbyn. Solo il 25% del campione, scrive Andrea Genovese su “Contropiano”, ha dichiarato che un impegno “europeista” del Labour costituirebbe una maggior motivazione per sostenere la compagine. “Best for Britain”, che sta spingendo per un secondo referendum Ue, ha commissionato il sondaggio prima che i parlamentari votassero sull’accordo negoziato da Theresa May con l’Ue (poi clamorosamente respinto dalla Camera dei Comuni). Quanto ai flussi elettorali, il sondaggio afferma che una svolta in favore del secondo referendum ad opera del Labour potrebbe far guadagnare al partito il 9% degli elettori conservatori, ma causerebbe la perdita dell’11% degli attuali sostenitori laburisti.
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Magaldi: la sinistra ignorante che vorrebbe spegnere Rinaldi
Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiedere l’allontanamento dell’economista dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’appartenenza supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?Nonostante lo sgangherato assalto al promotore del blog “Scenari Economici”, liquidato come «narcisista e caciarone», economista senza prestigio accademico e piccolo opportunista a caccia di poltrone, Magaldi invita lo stesso Steven Forti, e gli analoghi missionari neoliberali asserragliati tra i ranghi dell’ex sinistra, a farsi avanti in modo aperto: perché non intervistare lo stesso Magaldi, per parlare finalmente del suo libro e magari anche del Movimento Roosevelt e del “partito che serve all’Italia”, progetto al quale Antonio Maria Rinaldi si è accostato in modo interlocutorio, «come battitore libero e autonomo pensatore», per prendere nota di quanto si va discutendo? Scoprirebbero, Steven Forti e i suoi sodali, che i problemi del mondo hanno sempre almeno due spiegazioni, in democrazia. Sono le famose due campane, che un tempo i giornalisti si peritavano di ascoltare, non foss’altro che per un elementare rispetto dei loro lettori. Intanto prendano nota, alla redazione di “Rolling Stone”: sono tutti invitati alla London Metropolitan University, il 30 marzo, dove parleranno un bel po’ di economisti post-keynesiani, impegnati a spiegare come mai questa Europa è sempre in crisi, perde i pezzi (Gran Bretagna) ed è diventata una Disunione Europea dove tutti si fanno le scarpe a vicenda. Vuoi vedere che la politica di austerity introdotta dall’Eurozona è una catastrofe, e in ultima analisi si è trasformata in una fabbrica di sovranismi, nazionalisti, populismi e Gilet Gialli?Il mainstream che si trincera dietro il politically correct non perdona a Rinaldi di tifare per i gialloverdi: fa scialo del più convenzionale corredo squadristico a base di insulti (razzismo, xenofobia, fascismo) per infangare Salvini, il nuovo mostro da sbattere in prima pagina, ma si guarda bene dall’interrogarsi sulle ragioni del fenomeno. Pensiero magico: la demonizzazione dell’Uomo Nero a questo serve, a evitare di chiedersi il perché delle cose. Un consiglio? Tornare a essere laici, smettendo i panni del fanatismo religioso. E magari, cessare di considerare l’avversario un nemico da abbattere. In altre parole, converrebbe ragionare. A proposito, aggiunge Magaldi: hanno una proposta, i coristi “di sinistra” come Steven Forti, su come uscire dalla crisi? Sono bravissimi a censurare le idee altrui, e a demolirle in modo unilaterale, senza mai dialogo, quando non riescono più a soffocarle (come nel caso di Rinaldi, spesso ospitato in televisione). Ma ce l’hanno, in tasca, un Piano-B? E se ce l’hanno, perché non ne parlano mai? Non sarebbe ora di cominciare a farlo? «Informo Steven Forti che diversi esponenti di quella che immagino sia la sua area di riferimento, cioè il Pd e LeU, fanno parte del Movimento Roosevelt». Non solo, aggiunge Magaldi: «Alcuni di loro, come Rinaldi, guardano con interesse anche alla prospettiva del “partito che serve all’Italia”, dato che – dalle loro parti – vedono che si va verso il disfacimento».“Rolling Stone” definisce «un gruppetto», la pattuglia di intellettuali, da Nino Galloni a Ilaria Bifarini, aggregati per ora nelle prime riunioni convocate per valutare la possibilità del nuovo soggetto politico, «il cui sviluppo, a partire dal nome, sarà a cura dei costituenti, dato il rispetto che abbiamo per il metodo democratico». Gruppetto? Sui numeri sarà il tempo a dire la sua, perché siamo solo ai preliminari, assicura Magaldi. Che però aggiunge: anche se alla fine non fossimo in tantissimi, «informo Steven forti che un “gruppetto” di massoni riuniti intorno alla Loggia delle Nove Sorelle, alla fine del ‘700, determinò tanto i preparativi per la Rivoluzione Americana, quindi per la Guerra d’Indipendenza, che quelli per la Rivoluzione Francese: talvolta i gruppetti, se ben coesi e agguerriti, fanno le rivoluzioni». Se Steven Forti non afferra il concetto, prosegue Magaldi, forse è perché «non ha grande dimestichezza con lo studio della storia», benché il suo curruculum accademico lo accrediti come esperto in storia contemporanea. Iniste Magadi: «Steven Forti mi sembra carente di letture», se in qualche modo associa la massoneria al cospirazionismo. L’autore di “Massoni”, libro che smonta moltissime tesi complottistiche, cita il filosofo Gian Mario Cazzaniga, che nel saggio “La religione dei moderni” «spiega come la religione dei moderni sia la politica, e spiega anche che la politica, nel senso moderno e contemporaneo, l’hanno creata i proprio massoni».Altre letture consigliate alla redazione di “Rolling Stone”: le opere di un grande sociologo come Jürgen Habermas, «che ha spiegato come lo stesso concetto di opinione pubblica sia nato da ambienti massonici». E cioè: si prenda atto, meglio tardi che mai, che «la massoneria è un soggetto storico importante». Se poi il giovane Steven Forti leggesse pure il saggio di Magaldi, scoprirebbe che negli ultimi decenni un’élite massonica internazionale, reazionaria e neoaristocratica, ha progettatto e gestito la globalizzazione neoliberista che ha privatizzato il pianeta, rottamando i caposaldi del welfare tanto cari alla sinistra, a loro volta “fabbricati” sempre da massoni, ancorché progressisti, come il massimo economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes, e il connazionale William Beveridge, l’inventore del “welfare system”. Per inciso: il progressista Keynes era iscritto al partito liberale. I laburisti, invece – come i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e l’ex Pci italiano – sono stati i più zelanti esecutori, negli ultimi decenni, delle direttive antidemocratiche dell’élite globalista: è stata proprio la sedicente sinistra a obbedire alla peggiore destra economica. In Italia l’ha fatto prima con Prodi e Draghi, poi con il governo Monti: Fiscal Compact votato senza fiatare, così come la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio inserito proditoriamente nella Costituzione, con lo Stato terremotato dal ricatto dallo spread.Non la si vuole vedere, la realtà? E allora all’intellighenzia dell’ex sinistra non resta che godersi Salvini, dandogli ogni giorno del fascista. Almeno, puntualizza Magaldi, si eviti di scadere nella disinformazione più scorretta, rinfacciando come una colpa – a un uomo come Antonio Maria Rinaldi – la libertà intellettuale di cui gode: avrà diritto o no, di dirsi scontento della manovra economica del governo gialloverde? Proprio non glielo si vuole riconoscere, il diritto di aspettarsi di più dall’esecutivo Conte? Scherno, disprezzo e criminalizzazione di chi non la pensa come te, riassume Magaldi, non fanno parte dell’abc dell’informazione, che può essere anche fortemente critica, ma mai scorretta. I media mainstream sembrano lo specchio della politica italiana, basata su scontri quotidiani dal sapore tribale. Puoi anche farlo cadere, un avversario, ma poi sapresti come agire, al suo posto? Qualcuno ricorda un’idea – una sola – che negli ultimi vent’anni la sedicente sinistra abbia partorito, per migliorare la situazione, mentre passava il tempo a tuonare contro l’orrido Berlusconi – per poi fare persino peggio, una volta a Palazzo Chigi? Il punto è che c’è bisogno di tutti, sembra dire Magaldi. Oggi più che mai, nessuno deve sentirsi escluso. Lo gridano, gli elettori, quando votano per i cosiddetti populisti. Ormai vedono benissimo quant’è infame, la post-democrazia Ue. E’ tanto comodo, ricamare indignati elzeviri sui tweet di Salvini: serve a continuare a non vedere cosa sta succedendo, lassù, dove un pugno di decisori tiene in ostaggio mezzo miliardo di persone, in Europa. Fino a quando?Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiederne l’allontanamento dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’identità supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?
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TJ Coles: milioni di morti, il neoliberismo minaccia la Terra
Gli esseri umani sono creature complicate. Siamo sia cooperativi che settari. Tendiamo a essere cooperativi all’interno di gruppi (ad es. un sindacato) mentre competiamo con gruppi esterni (ad esempio, una confederazione di imprese). Ma società complesse come la nostra ci costringono anche a cooperare con gruppi esterni – nei quartieri, nel lavoro e così via. Negli ecosistemi sociali, la selezione naturale favorisce la cooperazione. Inoltre, esiste una preferenza per i comportamenti etici, quindi la cooperazione e la condivisione sono qualità apprezzate nelle società umane. Ma cosa succede quando siamo obbligati da un sistema economico che ci vuole competitivi a tutti i livelli? Il risultato logico è il declino o il collasso della società. Ne “L’individuo nella società”, Ludwig von Mises, insegnante di Friedrich Hayek (il padre del moderno neoliberismo), scriveva che, nel contratto sociale, il datore di lavoro è alla mercé della folla. Ma in un’economia di mercato improntata all’utilitarismo, «il coordinamento delle azioni autonome di tutti gli individui scaturisce dal funzionamento del mercato». Quindi, in questo mondo fantastico, i datori di lavoro possono licenziare i lavoratori e sostituirli con quelli più economici senza incorrere nei costi sociali dei sistemi di contratto sociale.Questo tipo di pensiero ha iniziato a permeare la cultura dei pianificatori del “libero mercato” nei corsi di economia delle università di Ivy League, in particolare dopo gli anni ’70. Robert Simons della Harvard Business School nota come l’economia sia di gran lunga la disciplina accademica dominante negli Stati Uniti oggi, e che molti laureati trasferiscono questa ideologia dell’interesse personale acquisita all’università nella loro attività lavorativa di gestione patrimoniale, hedge fund, assicurazioni, credito e così via. Simons critica ciò che definisce «l’accettazione universale e indiscussa da parte degli economisti dell’interesse personale – degli azionisti, dei manager e dei dipendenti – come fondamento concettuale per la progettazione e la gestione aziendale». Simons nota che i lavoratori sono una classe utilitaristica, come lo sono i manager, nel senso che cercano di ottenere maggiori benefici. «Per rimediare a questa situazione potenzialmente catastrofica» dei diritti dei lavoratori, «gli economisti di mercato tentano di canalizzare comportamenti sbagliati usando la teoria dello stimolo-risposta», ossia attraverso una legislazione antisindacale, tagli ai servizi sociali e la minaccia dell’outsourcing. Gli economisti di mercato «hanno elevato l’interesse personale ad ideale normativo».Nel 1988 l’allora cancelliere Tory Nigel Lawson scrisse che negli anni ’70, «il capitalismo, basato sull’interesse personale, è ritenuto moralmente deplorevole» dalla maggioranza dei britannici. Ma altrettanto immorale per Lawson era l’intervento statale: «Non c’è nulla di particolarmente morale in un’azione governativa pesante», sosteneva (a meno che non si tratti di salvare le grandi imprese). Ma, fortunatamente per i Tories, «l’ondata ideologica è cambiata», consentendo loro di ritornare al governo e imporre ulteriori riforme neoliberiste. Forse l’aspetto peggiore del neoliberismo è il fatto di aver contagiato il partito laburista. Per fare alcuni esempi: un neoliberista statunitense, Lawrence Summers (in seguito il Segretario al Tesoro di Bill Clinton), fece da tutore al giovane Ed Balls, che presto sarebbe diventato il consigliere economico del futuro cancelliere britannico Gordon Brown. Quando era ancora un semplice deputato, Brown ebbe degli incontri con il presidente della Federal Reserve statunitense, Alan Greenspan. Ciò diede inizio nel Regno Unito a un periodo di ulteriore deregolamentazione finanziaria sotto l’egida del sedicente “New Labour”.Vi furono tuttavia economisti che, a metà degli anni 2000, poco prima del crack finanziario, iniziarono a vedere crepe nell’ideologia, e osservarono: «Vediamo nel pubblico un diffuso disagio riguardo le soluzioni di mercato. Il libero scambio e la globalizzazione, la privatizzazione della previdenza sociale e la deregolamentazione del mercato dell’energia suscitano l’opposizione di molti consumatori, a volte argomentata ma spesso inadeguata. Non è un caso che il sostegno alle soluzioni di mercato sia concentrato tra le classi di maggior successo economico, e l’opposizione tra chi ne ha meno. La libera scelta ha un fascino morale, ma l’aspetto morale è più forte quando non è mescolato all’interesse personale». Nel 2008 gli Stati Uniti, e quindi l’economia globale, sono entrate in crisi. Greenspan testimoniò alla Camera dei rappresentanti: «Ho commesso un errore nel ritenere che l’interesse personale delle organizzazioni, in particolare delle banche e di altri, fosse tale da essere in grado di proteggere i propri azionisti e le proprie società azionarie». Eppure interesse personale significa proprio interesse personale. Gli amministratori delegati e gli alti dirigenti non vedevano la necessità di onorare i loro presunti doveri verso i loro azionisti, per non parlare della popolazione in generale.Le conseguenze politiche di decenni di neoliberismo hanno portato all’espropriazione democratica, in particolare durante il periodo di espansione (dagli anni ’70 al 2008), segnato dal declino o stagnazione dell’affluenza elettorale e dall’affermarsi di politiche cosiddette estremiste all’indomani della crisi (dal 2009 a oggi). Ma l’ideologia è radicata nella classe dominante. Così, anche dopo l’inevitabile incidente del 2008, sia la Banca Centrale Europea che la Banca d’Inghilterra hanno continuato a portare avanti il neoliberismo imponendo austerità rispettivamente ai popoli europei e al Regno Unito. In questo contesto, le istituzioni finanziarie transnazionali predatorie traggono profitto dal caos. Il fallimento del gigante immobiliare Carillon ne è un esempio calzante. La società fu lasciata fallire e il suo declino avvantaggiò diversi hedge fund, compresi alcuni con sede negli Stati Uniti. Le conseguenze sociali del neoliberismo sono ancora più gravi. La classe media americana si è ristretta dagli anni ’70, poiché i singoli individui sono diventati o molto poveri o molto ricchi.Uno studio del Harvard Business Review ha rilevato che all’inizio degli anni ’80 almeno il 49% degli americani pensava che la qualità dei loro prodotti e servizi fosse diminuita negli ultimi anni. I tassi di suicidio maschile e femminile hanno continuato a salire a partire dalla metà degli anni ’90. Uno studio recente suggerisce che l’aspettativa di vita è scesa ovunque tra i paesi ad alto reddito. Nel Regno Unito, l’austerità guidata dai Tory ha causato oltre centomila morti in un decennio, secondo il BMJ. Le popolazioni dei paesi più fragili ne hanno risentito ancora di più. Tra il 1990 e il 2005, i paesi sub-sahariani i cui governi hanno chiesto prestiti di adeguamento strutturale al Fondo monetario internazionale e alla Banca di sviluppo africana hanno visto un incremento da 231 a 360 casi di decessi da parto per 100.000 nati vivi, rispettivamente. Secondo un altro rapporto del Bmj, nei paesi dell’America latina un incremento di solo l’1% della disoccupazione tra il 1981 e il 2010 si è tradotto in «significativi peggioramenti nei risultati di salute», tra cui un incremento di 1,14 decessi infantili su 1.000 nascite. Tutto questo equivale a un bollettino di guerra di milioni di morti.Come documentato altrove, le società più vulnerabili, vale a dire le comunità indigene dedite al mantenimento dei loro modi di vita tradizionali, si stanno letteralmente estinguendo man mano che la “civiltà” avanza. Se questo modello decennale continua imporsi in tutto il mondo, specialmente in nazioni con popolazioni massicce come l’India e la Cina che sempre più si stanno allineando a politiche neoliberiste, le attuali condizioni di divisione sociale ed infrastrutture fatiscenti sembreranno al confronto solo un minimo inconveniente, in particolare in contesto di sempre maggiore scarsità di risorse e cambiamenti climatici. Solo se il mutamento culturale contro il neoliberismo cui si assiste oggi, che viene espresso un po’ dappertutto dai movimenti sociali progressisti agli scioperi dei lavoratori, riuscirà a sopravvivere ed espandersi, allora si potrà immaginare un futuro più equo.(T.J. Coles, “Perché una società neoliberista non può sopravvivere”, analisi tradotta e pubblicata da “Voci dall’Estero” il 2 novembre 2018. Coles è ricercatore presso il Cognition Institute dell’Università di Plymouth e autore di svariati saggi sociologici e filosofici).Gli esseri umani sono creature complicate. Siamo sia cooperativi che settari. Tendiamo a essere cooperativi all’interno di gruppi (ad es. un sindacato) mentre competiamo con gruppi esterni (ad esempio, una confederazione di imprese). Ma società complesse come la nostra ci costringono anche a cooperare con gruppi esterni – nei quartieri, nel lavoro e così via. Negli ecosistemi sociali, la selezione naturale favorisce la cooperazione. Inoltre, esiste una preferenza per i comportamenti etici, quindi la cooperazione e la condivisione sono qualità apprezzate nelle società umane. Ma cosa succede quando siamo obbligati da un sistema economico che ci vuole competitivi a tutti i livelli? Il risultato logico è il declino o il collasso della società. Ne “L’individuo nella società”, Ludwig von Mises, insegnante di Friedrich Hayek (il padre del moderno neoliberismo), scriveva che, nel contratto sociale, il datore di lavoro è alla mercé della folla. Ma in un’economia di mercato improntata all’utilitarismo, «il coordinamento delle azioni autonome di tutti gli individui scaturisce dal funzionamento del mercato». Quindi, in questo mondo fantastico, i datori di lavoro possono licenziare i lavoratori e sostituirli con quelli più economici senza incorrere nei costi sociali dei sistemi di contratto sociale.
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Corbyn e Mélenchon, prove tecniche di socialismo europeo
Nazionalizzare le ferrovie privatizzate, restituire allo Stato il settore energetico e le Poste. Patrimoniale selettiva: tasse sugli “immobili secondari” per finanziare gli alloggi per i senza-casa. E inoltre, l’obbligo per le imprese con più di 250 impiegati di riservare ai dipendenti un terzo dei seggi nei consigli di amministrazione. Sono i caposaldi del nuovo, possibile “socialismo europeo” secondo l’inglese Jeremy Corbyn e il francese Jean-Luc Mélenchon, accorso a Liverpool per il grande festival politico “The World Transformed”, con migliaia di partecipanti. «In Gran Bretagna c’è sete di un diverso tipo di politica e di una nuova società, che strappi il potere all’establishment e lo metta nelle mani dei più», dice uno degli organizzatori, Fergal O’Dwyer. Per Angus Satow, il leader laburista e quello di “France Insoumise” rappresentano «la sinistra che si impadronisce del futuro». Un dirigente laburista come David Broder immagina la creazione di un vasto think-tank con partiti e movimenti della sinistra di tutto il mondo. Certo, annota Giacomo Marchetti su “Contropiano”, Corbyn e Mélenchon non sono esattamente giovanotti: ma, pur veleggiando verso i settanta, hanno entrambi hanno avuto un discreto successo tra i giovani, proprio il loro omologo statunitense Bernie Sanders, rendendo i “millenials” nuovamente protagonisti della politica.Aditya Chakrabortty, sul “Guardian”, domanda se qualcuno ha notato che il Labour ha appena dichiarato la “guerra di classe”, dopo che per decenni si è consentito al neoliberismo di fare quello che voleva. Nel 2015, il capo-economista della Bank of England, Andy Haldane, ha tracciato ciò che è accaduto al reddito nazionale dei lavoratori nel lungo periodo. E ha scoperto che il lavoro ha avuto fette sempre più piccole della torta: dal 70% negli anni ’70 al 55% di oggi. Secondo i suoi calcoli, «gli impiegati ottengono proporzionalmente meno ora di quanto ottenevano all’inizio della rivoluzione industriale, negli anni ‘70 del Settecento». Ovvero: «Se i salari degli operai fossero stati mantenuti in linea con l’aumento della loro produttività dal 1990, il lavoratore medio sarebbe oggi più ricco del 20%». Osserva Marchetti su “Contropiano”: «Non stupisce che, nel paese che in Europa, per primo, ha conosciuto l’applicazione delle ricette liberiste grazie alla Thatcher, e lo svuotamento tra le file laburiste di ogni istanza progressista con la parabola del “New Labour” di Tony Blair, abbia votato prima per uscire dalla Ue e poi per il Labour di Corbyn, che ora è “testa a testa” nei sondaggi con il 35% delle preferenze di voto e una non escludibile ipotesi di elezione anticipata a novembre».Tornando alla “strana coppia” formata da Corbyn e Mélenchon, continua Marchetti, «entrambi sono due “pellacce” che vengono da esperienze “di minoranza” nei propri ranghi, ma non hanno smesso di perseguire una politica “radicale” divenuta sempre più mainstream nei rispettivi paesi». Tra loro si parlano in spagnolo, data la comune passione per le lotte dei popoli latino-americani. «Entrambi sono stati oggetto, e lo sono tuttora, del linciaggio mediatico da parte dei media internazionali, cioè dei grandi gruppi della comunicazione che dominano il mercato: il partito unico dell’informazione e le sue propaggini nella sinistra “liberal”». Le solite trappole: «Le critiche alla politica israeliana da parte di Corbyn gli sono costate le accuse di antisemitismo, piattamente riprese anche dalla stampa nostrana». E al di là della Manica, un’identica “macchina del fango” si è attivata nella campagna elettorale per le ultime presidenziali francesi, man mano che Mélenchon cresceva nei sondaggi: più aumentava il numero di seguaci, specie giovani, e più crescevano «il “bashing” mediatico e le narrazioni tossiche», cosa che peraltro è avvenuta anche con Corbyn, «le cui copertine dedicategli in fase elettorale da alcuni tabloid rimangono un capolavoro di “fake news” da ammannire al popolo». Ora tutto è cambiato: Corbyn è quotato alla pari con i conservatori, mentre Mélenchon è il leader più popolare in Francia, dove Macron è crollato sotto il 20%.Nazionalizzare le ferrovie privatizzate, restituire allo Stato il settore energetico e le Poste. Patrimoniale selettiva: tasse sugli “immobili secondari” per finanziare gli alloggi per i senza-casa. E inoltre, l’obbligo per le imprese con più di 250 impiegati di riservare ai dipendenti un terzo dei seggi nei consigli di amministrazione. Sono i caposaldi del nuovo, possibile “socialismo europeo” secondo l’inglese Jeremy Corbyn e il francese Jean-Luc Mélenchon, accorso a Liverpool per il grande festival politico “The World Transformed”, con migliaia di partecipanti. «In Gran Bretagna c’è sete di un diverso tipo di politica e di una nuova società, che strappi il potere all’establishment e lo metta nelle mani dei più», dice uno degli organizzatori, Fergal O’Dwyer. Per Angus Satow, il leader laburista e quello de “La France Insoumise” rappresentano «la sinistra che si impadronisce del futuro». Un dirigente laburista come David Broder immagina la creazione di un vasto think-tank con partiti e movimenti della sinistra di tutto il mondo. Certo, annota Giacomo Marchetti su “Contropiano”, Corbyn e Mélenchon non sono esattamente giovanotti: ma, pur veleggiando verso i settanta, hanno entrambi hanno avuto un discreto successo tra i giovani, proprio il loro omologo statunitense Bernie Sanders, rendendo i “millenials” nuovamente protagonisti della politica.
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Carpeoro: per gli ipocriti, la colpa è tutta della massoneria
Qualcuno si lamenta, oggi, di avere il diritto di votare? C’è qualcuno a cui non sta bene la libertà di opinione, compresa quella che si esprime nella libertà di stampa? Domande retoriche, ovviamente, ma che acquistano un significato diverso alla luce del ragionamento che Gianfranco Carpeoro oppone alle contestazioni di Fabio Frabetti, in web-streaming su YouTube. Ovvero: piaccia o no, lo Stato di diritto basato sulla laicità è una “invenzione” storica della massoneria, per la quale i grembiulini lottarono, a rischio del carcere. Diritti, democrazia, suffragio universale: mica esistevano, all’epoca dell’Ancien Régime. E’ stata la massoneria a coltivare, e poi imporre, le idee su cui si fonda la nostra modernità. Non piace che poi la stessa massoneria sia degenerata in occhiuta sovrastruttura di potere? Giusto, è inaccettabile. Ma possibile che si accusino solo e sempre le logge? Che dire delle multinazionali, delle gerarchie vaticane, delle grandi famiglie del capitalismo? Uno scambio vivace, su vizi e virtù della massoneria, quello tra il giornalista Frabetti e l’avvocato Carpeoro, saggista e scrittore, esponente del Movimento Roosevelt. Massone (33° grado) ma iper-critico verso l’attuale libera muratoria: unico caso al mondo, Carpeoro arrivò a disciogliere la “Serenissima” comunione massonica di cui era “sovrano gran maestro”, depositaria della tradizione italiana del Rito Scozzese.Personaggi come il laburista Jeremy Corbyn e il democratico statunitense Bernie Sanders, ma anche il greco Alexis Tsipras e la tedesca Katia Kipping, leader della Linke, sarebbero vicini a Ur-Lodges progressiste come la “Thomas Paine” e la “Fraternité Verte”? In Italia c’è qualcuno che si sta facendo strada?In Italia c’è Gioele Magaldi. Fa parte della “Thomas Paine”. L’ha rivelato lui stesso, nel suo libro “Massoni”.Ma perché le grandi decisioni devono essere prese fuori dai circuiti della democrazia?La “Thomas Paine” condivide opinioni, non prende decisioni – a farlo sono le altre Ur-Lodges. La “Thomas Paine” è una loggia di opinione, di pensiero.E come fa a incidere?Non incide, infatti: non conta nulla. Chi sta comandando, oggi, nel mondo? Per adesso la “Thomas Paine” non incide. Poi, se un giorno inciderà lo vedremo. Ma sulla parola “incidere” ci dobbiamo mettere d’accordo. Se per “incidere” si intende supportare, esprimere una linea di pensiero che poi deve ispirare coloro che possono essere d’accordo, non c’è niente di male. Se invece ci sono delle persone che si riuniscono in cantina e decidono di imporre che cosa bisogna fare domani, allora è un altro tipo di discorso. Un conto è diffondere opinoni, un conto è creare un meccanismo per cui si danno ordini. Ci sarà una bella differenza, no?E poi, la maggior parte delle decisioni, nel mondo, si prendono fuori dai circuiti elettivi. Le grandi aziende, come tutto ciò che è privato, prendono decisioni al di fuori dei circuiti elettivi. E’ chiaro che, se una grande azienda è amministrata da un signore che fa parte di un determinato movimento d’opinione, si sarà scelto collaboratori che di quel movimento d’opinione fanno parte, e seguirà una linea. E io in questo non vedo niente di male. Il male sta nel comandare gli altri.Qui però non parliamo di aziende, parliamo di Stati.E chi ha detto che una Ur-Lodge progressista debba per forza ingerire nello Stato? Ingerisce sull’opinione, che poi si può tradurre in voto. Anzi, una delle lamentele principali, nella “Thomas Paine”, è che il voto non vale più niente…Lo stesso Magaldi, però, in alcune dichiarazioni, ha fatto intendere di aver avuto un ruolo nel cosiddetto back-office del potere.Ma anch’io l’ho avuto, quel ruolo lì. Però poi ce ne siamo anche andati, no? Se uno se ne va, vuol dire che quello che vede non gli piace.Ma perché soggetti che non sono stati eletti (e che non sono neppure previsti dalla Costituzione) devono avere un ruolo nel back-office, foss’anche a fin di bene?E’ mai successo che qualcuno non si sia fermato a uno stop, provocando un incidente? Bene. Ti sei chiesto il perché?A volte non c’è risposta.Bravo. Il sistemi funzionano, oppure non funzionano. Quando funzionano, il perché lo sai. Quando non funzionano, quasi mai lo sai. Perché c’è una serie di variabili indipendenti.La massoneria ha una regola: all’interno del tempio e delle logge non si parla di politica. E questa è una regola pratica. Dato che la massoneria rispetta tutte le dottrine politiche, non vuole che la gente finisca per litigare, in un tempio. Quella è una regola pragmatica. Poi, come tutte le associazioni di esseri umani, anche la massoneria finisce per la farla, la politica. Ma poi, chi è che non fa politica? Qualunque organizzazione di esseri umani finisce per avere influenza sulla politica. Perché la politica è la “polis”, la comunità, e all’interno della comunità ci sono tante altre piccole comunità che operano. La massoneria pone semplicemente una regola pratica: in loggia non si parla né di politica né di religione, perché quelle sono le cose su cui normalmente si litiga. Punto.Anche questo argomento, comunque, viene utilizzato per alimentare dubbi sul ruolo della massoneria: forse perché si è interessata un po’ troppo, in modo indebito, delle vicende politiche e istituzionali?Ha cominciato a interessarsene quando ce n’era bisogno. Quando la massoneria ha iniziato a occuparsi di politica c’erano i monarchi assoluti. C’era la pena di morte, non si votava. C’erano le famiglie nobiliari che comandavano e avevano tutto. Qualcuno si è lamentato, allora, quando la massoneria si occupava di politica? Qualcuno si lamenta, oggi, del fatto che può votare, perché c’è stata la massoneria? Qualcuno si lamenta di avere la libertà di stampa, perché c’è stata la massoneria? Si lamenta di avere le istituzioni democratiche e le Costituzioni, perché c’è stata la massoneria? Qualcuno di voi si è lamentato? Si può lamentare, di questo? Poi, dopo, la massoneria ha funzionato peggio. Ma questo non c’entra con la sua origine. Perché la massoneria è nata così. Ed è nata anche segreta: perché i massoni li arrestavano, li perseguivano. Avrebbe dovuto evolversi, certo, e questa evoluzione non si è compiuta. Magari si compirà, non lo so. Per adesso non si è compiuta.Ma questo ruolo di salvatrice della patria se l’è dato da sola, non gliel’ha mica attribuito nessuno.E certo. Ma se non se lo dava da sola, tu oggi non votavi. Non eri un giornalista. Non potevi scrivere liberamente, e non potevi fare una serie di altre cose, se quel ruolo la massoneria on se lo fosse attribuito. C’è sempre qualcuno che se lo attribuisce. E ci dovrebbe essere sempre – anche se purtroppo non è così – qualcuno che interviene per evitare il peggio, se vede un torpedone che sta precipitando in una scarpata. E tu a quello andresti a dirgli che non sei d’accordo, se è intervenuto? Era meglio lasciarlo precipitare, il torpedone?C’è sempre il problema del controllo, però. Se sfugge di mano una realtà di questo tipo, poi come la fermi?Tu sei iscritto all’ordine dei giornalisti?Purtroppo sì.Sei andato a controllare cosa fa, il tuo ordine, prima di controllare la massoneria? Sei andato a vedere cosa combina, l’ordine dei giornalisti?Appunto: non combina niente.Sei sicuro che non combini niente? E sei anche sicuro che non faccia politica?La farà sicuramente.E allora, di fronte a una società così complessa, qual è il problema che ti poni? Pensi davvero che, se non ci fosse la massoneria, non ci sarebbe qualcosa di analogo?Sicuramente. Ma per “massoneria” intendo anche la sua deriva.Sì, ma se anche non ci fosse questo tipo di deriva, ce ne sarebbe un’altra equivalente. Perché è l’intera società a essere alla deriva.Questa però non è una giustificazione.Ma che c’è da giustificare? Io indico il motivo. La giustificazione sarebbe qualcosa di posticcio. Questo è il motivo per cui tutte le cose vanno a puttane, in questa società.Però a una certa massoneria piace far intendere che le cose passino attraverso di essa.Chi te l’ha detto che le piace, a tutta la massoneria?Un po’ le piace. Lo fa comunque intendere.Ma insomma, che ci sia un compiacimento della peggior massoneria nel far vedere che conta, quando invece non conta nulla, è l’aspetto cialtronesco della massoneria. Ma non è di tutti. E quando qualcuno ti vuole far capire che la massoneria ha un peso, non è cambiata la connotazione – perché un peso l’ha avuto – ma purtroppo il peso che ha adesso è quello tipico di questa società, cioè un sovrappeso. E’ una società di obesi, come me. Sono finiti i pesi, e sono arrivati gli obesi. E questo non va tanto bene, sai.Però – e parlo anche di quando in massoneria c’eri pure tu – il far parte di una loggia quanto era vantaggioso, per poi ottenere degli incarichi?A livelli bassi lo era, a livelli alti non lo so. Ci volevano altre appartenenze.Di che tipo?Realtà sovranazionali, gerarchie religiose particolari. E l’appartenenza a famiglie particolari – vale ancora oggi: questa è una società familistica. E io non capisco perché la gente interpreta in maniera più scandalosa il fatto di ottenere un posto perché si fa parte di una loggia, piuttosto che il fatto di ottenerlo perché si fa parte di una famiglia – almeno, uno che è appartenuto a una loggia qualcosa l’ha fatto, di suo. Ma uno che prende un posto solo perché si chiama Piripicchio, che meriti ha?Ma questo ci scandalizza altrettanto.Mica tanto. Nessuno dice nulla.Purtroppo, l’Italia in gran parte funziona così.Ma la gente di scaglia soprattutto contro la massoneria, non contro le famiglie.Va be’, anche su certi “figli di” ci sono state tante campagne, anche di stampa.Ma non come nei confronti della massoneria. Quella contro la massoneria è un’attività quotidiana. Fa comodo, che questa massoneria sia così. Chi voleva cambiarla? Gioele Magaldi era candidato a diventare il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, cioè della più grossa massoneria italiana, e ha sbattuto la porta. Però questi gesti nessuno li va a vedere. Lui era il pupillo di Gustavo Raffi. Tutti quanti dicevano che, alla prima elezione, sarebbe diventato il gran maestro dopo Raffi. E lui ha sbattuto la porta – su un problema enorme: perché lui, la porta, l’ha sbattuta sulle donne. La massoneria (quella massoneria) si rifiutava di aprire alle donne. Però nessuno lo valuta, questo. Si vanno a valutare le cose più folkloristiche, ma non la vicenda di uno che stava per diventare Re e invece ha scelto di non diventare Re. Chiedetevi perché.Qualcuno si lamenta, oggi, di avere il diritto di votare? C’è qualcuno a cui non sta bene la libertà di opinione, compresa quella che si esprime nella libertà di stampa? Domande retoriche, ovviamente, ma che acquistano un significato diverso alla luce del ragionamento che Gianfranco Carpeoro oppone alle contestazioni di Fabio Frabetti, in web-streaming su YouTube. Ovvero: piaccia o no, lo Stato di diritto basato sulla laicità è una “invenzione” storica della massoneria, per la quale i grembiulini lottarono, a rischio del carcere. Diritti, democrazia, suffragio universale: mica esistevano, all’epoca dell’Ancien Régime. E’ stata la massoneria a coltivare, e poi imporre, le idee su cui si fonda la nostra modernità. Non piace che poi la stessa massoneria sia degenerata in occhiuta sovrastruttura di potere? Giusto, è inaccettabile. Ma possibile che si accusino solo e sempre le logge? Che dire delle multinazionali, delle gerarchie vaticane, delle grandi famiglie del capitalismo? Uno scambio vivace, su vizi e virtù della massoneria, quello tra il giornalista Frabetti e l’avvocato Carpeoro, saggista e scrittore, esponente del Movimento Roosevelt. Massone (33° grado) ma iper-critico verso l’attuale libera muratoria: unico caso al mondo, Carpeoro arrivò a disciogliere la “Serenissima” comunione massonica di cui era “sovrano gran maestro”, depositaria della tradizione italiana del Rito Scozzese.
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Corbyn: web di Stato, libero e trasparente, per i cittadini
Parliamoci chiaro: uno dei grandi problemi dei nostri tempi è che la politica e il diritto non riescono a stare al passo con i progressi tecnologici, specialmente a partire dall’avvento dell’era di Internet. È accaduto infatti che, mentre alcune grandi aziende informatiche si affermavano e diventavano rapidamente monopoli, i nostri parlamenti sono rimasti perlopiù inermi, sia perché vittime dell’illusione che rappresenta Internet come il regno delle libertà, il massimo terreno di realizzazione della democrazia, sia per semplice inadeguatezza e mancanza di preparazione in materia. Si è dovuta attendere la totale scomparsa della privacy, prima di porsi il problema di come tutelarla. Si son dovuti perdere miliardi di euro in tasse, a fronte degli enormi fatturati di Google, Facebook e Amazon, prima di iniziare a discutere sulla possibilità di una “tassa del web”, da rimandare però in sede europea. I ceti politici invece inizialmente non hanno compreso le potenzialità offerte dai social network, perdendo bruscamente e a causa di ciò i loro consensi in favore di quelle nuove forze che invece ne hanno intuito i vantaggi in termini di propaganda, per poi farne, tutti insieme, un uso sistematico e spregiudicato, riducendo di fatto il loro rapporto con i cittadini ad una manciata di caratteri su Twitter (basti pensare che, a dispetto di una lunga tradizione che vedeva i candidati alla presidenza americani fare il proprio annuncio in discorsi tenuti nelle università, Hillary Clinton palesò le proprie intenzioni su Twitter).Quanto al funesto impatto che un sistema così articolato di collezione dei dati personali avrebbe avuto sulla salute nostre democrazie, nessuno se ne è occupato, salvo poi indignarsi in coro di fronte non ad una questione di etica pubblica o di tutela dei cittadini, ma all’effetto che i social network hanno direttamente o indirettamente avuto: l’elezione di Donald Trump. Ma qui non si vuole discutere su come le nuove reti sociali abbiano esacerbato dei problemi più o meno latenti della civiltà occidentale, favorendo l’ascesa di nuove élite reazionarie. Si vuole piuttosto introdurre nel dibattito pubblico, dopo il totale silenzio dei media, dei partiti e in generale dei principali mezzi di informazione e formazione dell’opinione pubblica nella nostra penisola, un nuovo modo di affrontare quella che è una delle questioni più importanti del nuovo millennio. Di fronte a un tale quadro desolante infatti, una risposta sembra provenire dalla Gran Bretagna. Jeremy Corbyn, il leader del Partito Laburista, già noto per le sue proposte di nazionalizzazione dei servizi pubblici principali, in alcune sue dichiarazioni ha avanzato una strategia per far fronte alla realtà che si è solidamente affermata con Internet.E il fatto che una simile novità provenga da lui è un’indicazione circa la lucidità e lo stato di salute dei laburisti inglesi, attualmente una delle poche forze politiche di sinistra, in Europa, che potrebbero affermarsi alla guida di un paese. Partendo dal presupposto che il Regno Unito non deve sedersi e restare guardare come poche mega aziende risucchiano diritti digitali, asset e, in definitiva, i nostri soldi, Corbyn ha proposto di affiancare, alla già esistente “Bbc” (British Broadcasting Corporation), una “Bdc” (British Digital Corporation). Tale ente, rigorosamente pubblico, sarà una sorta di grande archivio culturale, centralizzato, per offrire alla popolazione un punto di accesso per le conoscenze, le informazioni e i contenuti attualmente conservati negli archivi della “Bbc”, nella British Library e nel British Museum. Un’istituzione pubblica per definizione non persegue le finalità di un’organizzazione privata. Piattaforme come Google e Facebook erogano sì gratuitamente i loro servizi agli utenti, ma lo fanno solo dopo che questi ultimi hanno acconsentito – e questa è una condizione necessaria e impossibile da contrattare – al trattamento dei loro dati personali per fini quantomeno commerciali.Nell’idea di Corbyn, esclusa la logica del profitto, occorrerebbe sfruttare i big data a fin di bene. Sì, ma come? In due modi, entrambi rivoluzionari. In primo luogo una “Bdc” potrebbe sviluppare nuove tecnologie, e utilizzare le informazioni di cui entra in possesso, per la creazione dei programmi in base all’orientamento del pubblico e perfino un social network pubblico, che garantisca la privacy degli utenti e abbia il controllo su quei dati che rendono Facebook e altri così ricchi. Il tema della nazionalizzazione di Facebook diventa sempre più incalzante, dal momento che la conoscenza così accurata di una popolazione può servire a fini tutt’altro che trasparenti: al controllo sociale, per condizionamenti di massa, a bombardamenti mediatici mirati o ad instillare l’odio, inquietudini morali e paure striscianti in grado di modificare i comportamenti, le abitudini, il modo di pensare – o di votare – dei più. Non vogliamo essere apocalittici o tendere necessariamente a scenari di orwelliana memoria, ma occorre stare all’erta: si tratta di cose già successe e che, verosimilmente, senza le opportune contromisure, riaccadranno.In seconda misura un ente pubblico digitale potrebbe aprire nuovi spazi per la democrazia diretta, a partire dalla creazione di nuove modalità di coinvolgimento, supervisione e controllo delle leve chiave della nostra economia da parte della popolazione. Tutto ciò si inquadra, nell’ottica di Corbyn, in un più ampio piano di gestione della cosa pubblica. La “Bdc” lavorerà in stretta sinergia con altre istituzioni che il prossimo governo laburista istituirà, come la National Investment Bank, il National Transformation Fund, lo Strategic Investment Board, la Regional Development Banks, fornendo così un collegamento base tra di esse ai fini di una maggiore trasparenza e democrazia. La nuova istituzione è anche un tassello chiave per il rilancio attivo del ruolo dello Stato che, su un piano di servizi e commerciale, potrebbe arrivare ad essere concorrenziale con l’estero e con i privati. Essa infatti potrebbe utilizzare tutte le nostre migliori menti, le tecnologie più recenti e le risorse pubbliche disponibili non solo per fornire informazioni e intrattenimento come quelli di Netflix e Amazon, con la possibilità di competere e vendere bene anche Oltreoceano.Le proposte del leader dei Labour, seppur ancora vaghe e poco articolate, sembrano già molto interessanti. L’articolo apparso sul Guardian[2] non ha però praticamente trovato alcuna risonanza in Italia.[3] Si spera che le forze comuniste e della sinistra popolare presenti nella penisola rispondano alle idee proveniente da Oltremanica elaborandone di nuove e più definite, studiando per esempio un sistema di controlli e garanzie per fare in modo che l’enorme mole di dati personali, non più in mani private, non finisca per essere a disposizione dei governi per spiare e monitorare i comportamenti della propria popolazione. Ovviamente questa è solo una delle tante possibilità. Compito nostro è quello di accogliere il contributo iniziale di Corbyn e formulare una proposta politica adatta a contribuire al dibattito e ad arricchirlo.(Massimiliano Romanello, “Buone notizie da Oltremanica”, dal blog della Fcgi del 2 settembre 2018).Parliamoci chiaro: uno dei grandi problemi dei nostri tempi è che la politica e il diritto non riescono a stare al passo con i progressi tecnologici, specialmente a partire dall’avvento dell’era di Internet. È accaduto infatti che, mentre alcune grandi aziende informatiche si affermavano e diventavano rapidamente monopoli, i nostri parlamenti sono rimasti perlopiù inermi, sia perché vittime dell’illusione che rappresenta Internet come il regno delle libertà, il massimo terreno di realizzazione della democrazia, sia per semplice inadeguatezza e mancanza di preparazione in materia. Si è dovuta attendere la totale scomparsa della privacy, prima di porsi il problema di come tutelarla. Si son dovuti perdere miliardi di euro in tasse, a fronte degli enormi fatturati di Google, Facebook e Amazon, prima di iniziare a discutere sulla possibilità di una “tassa del web”, da rimandare però in sede europea. I ceti politici invece inizialmente non hanno compreso le potenzialità offerte dai social network, perdendo bruscamente e a causa di ciò i loro consensi in favore di quelle nuove forze che invece ne hanno intuito i vantaggi in termini di propaganda, per poi farne, tutti insieme, un uso sistematico e spregiudicato, riducendo di fatto il loro rapporto con i cittadini ad una manciata di caratteri su Twitter (basti pensare che, a dispetto di una lunga tradizione che vedeva i candidati alla presidenza americani fare il proprio annuncio in discorsi tenuti nelle università, Hillary Clinton palesò le proprie intenzioni su Twitter).
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Blair e Bannon: massoni reazionari da Salvini, ora indagato
Come leggere l’adesione di Salvini a “The Movement”, il movimento fondato da Steve Bannon? E’ conseguente all’incontro che Salvini ha avuto con Blair. Il capo di quella cosca massonica è Tony Blair – il referente europeo – e quindi Salvini ha aderito all’iniziativa di Bannon. Blair è il referente europeo di una delle più grosse Ur-Lodges. E’ interessato a Salvini perché questi sistemi sono sempre interessati a chi governa: Salvini in questo momento è al governo, e quindi Blair ha pensato di averlo come referente politico. Salvini è consapevole di cosa rappresenti, Blair? Be’, se ha letto un po’ di cose in giro, sì. Bannon viene associato al mondo della destra, mentre Blair ce lo ricordiamo sulla sponda opposta? Ma sono pessimi ricordi, perché Blair è colui che ha rovinato il socialismo europeo, scientemente. E’ un falso socialista, come ce ne sono tanti. L’iniziativa di Blair e Bannon è un modo per cooptare Salvini? “Cooptarlo” probabilmente no, ma averlo – finché è al governo – come referente politico, sì: è lo stesso motivo per cui gli americani hanno puntato su Di Maio. Michael Ledeen aveva puntato su Di Maio, mentre Steve Bannon e Tony Blair hanno puntato su Salvini. Non sono gruppi in competizione tra loro: sono aspetti, diversi, della massoneria reazionaria.Il problema è quello c’è dietro la massoneria reazionaria: è una falsa massoneria, che rappresenta interessi economici e politici rispetto a un certo tipo di disegno mondialista. Da qui il sospetto che gli intenti di cambiamento, di questo governo, di fatto non sarebbero attendibili? Non lo so, bisogna vedere se lo saranno ancora: se si accorgono di questo pericolo, se litigano – è difficile dirlo. Questo governo è partito con delle buone intenzioni. Poi, se queste buone intenzioni siano sincere o no, lo vedremo solo in futuro. Per intanto, un certo tipo di potere reazionario li sta corteggiando. Come reagiranno, i gialloverdi, a questo corteggiamento? Be’, sapete, le cose umane sono sempre in divenire, sono mobili. Salvini, sicuramente, non è un “cavallo” gestibile. Anche Trump pensavano di poterlo gestire, e poi non ci sono riusciti, o comunque non ci sono riusciti totalmente. Nel frattempo, certo, su Salvini incombono l’indagine sulla nave Diciotti e la conferma del sequestro dei fondi della Lega: tentativi di “accerchiare” il ministro dell’interno? Di solito, quando c’è un “accerchiamento” giudiziario, è perché – a monte – c’è una convergenza di interessi, di poteri, e quindi la magistratura diventa uno strumento di questo.Guardiamo le inchieste su Salvini: quella relativa alla Diciotti è una buffonata, dove i magistrati che l’hanno promossa fanno la figura dei buffoni. Mi riferisco soprattutto al magistrato di Agrigento, perché quello di Palermo, in realtà, ha fatto solo un atto formale: ha ricevuto le carte e ha mandato l’avviso di garanzia a Salvini, quindi ancora non possiamo giudicarlo. E’ comunque un’inchiesta per la quale a delle persone si impedisce di entrare nel nostro paese (ma non gli si impedisce di tornare nel loro). Se queste persone avessero detto “vogliamo tornare a casa”, la nave della Guardia Costiera le avrebbe riportate dov’erano partite. Quindi dov’è il sequestro di persona, tecnicamente? Altra cosa è il processo per i famosi 49 milioni, dove c’è ampia contestazione sulla cifra, perché i 49 milioni in realtà sarebbero la somma dei contributi che la Lega avrebbe incassato. Soldi di cui la magistratura ha ordinato la restituzione, dopo una sentenza di primo grado. Però non esiste la prova che quei milioni siano stati tutti utilizzati nella maniera che giustificherebbe la restituzione – prova anche difficile da fornire, ma che avrebbe dovuto essere inoppugnabile, prima di addivenire a un provvedimento cautelare come il sequestro esecutivo di primo grado.I leghisti in realtà dicono che i fondi male utilizzati sono 550.000 euro. Come vedete, la differenza fra 49 milioni e 550.000 euro è oceanica. Un sequestro così, fatto in questo modo, praticamente annulla qualunque possibilità di sopravvivenza politica della Lega, che è pur sempre un partito che ha preso dei voti e ha espresso dei rappresentati del popolo. Quindi, entrambe le inchieste hanno dei lati discutibili, quantomeno. L’inchiesta sulla Diciotti è un atto proditorio, ma bisognerà vedere cosa faranno la magistratura di Palermo e poi il Tribunale dei Ministri. Viene anche rimproverato a Salvini di aver reagito da ministro: ma lui è stato indagato proprio perché ministro. Gli atti per i quali è indagato li ha fatti da ministro, quindi ne risponde da ministro. Perché dovrebbe risponderne da persona fisica? Ovvero: Salvini risponde, sul versante della comunicazione, nella sua veste di ministro. Poi, se si accerterà che questi atti sono reato (cosa che mi sembra quasi impossibile), vedremo, perché la responsabilità penale è comunque personale. Ma, in questo momento, Salvini risponde per la sua responsabilità di ministro.Nel non far sbarcare migranti a bordo di una nave della Guardia Costiera (quindi italiana, e in un porto italiano) Salvini non ha fatto un’azione politicamente corretta. Non è un reato, ma non la approvo. Però considero questa reazione di Salvini non isolandola dal contesto, ma tenendo conto proprio del contesto, cioè di tutte le malefatte dei governi precedenti. Con la scusa dell’accoglienza, In Italia è sbarcato chiunque: navi che non si sapeva neanche che bandiera battessero. Salvini s’è impuntato nell’occasione sbagliata, diciamo, perché quella era una nave italiana, della Guardia Costiera. Ma in realtà è la pressione precedente, che è stata determinate per una reazione che possiamo definire politicamente sbagliata. Il problema è che, se porti le cose all’esasperazione, poi qualcuno fa a sua volta un gesto esasperato – e tutti a dire: che gesto esagerato! Già, ma cos’era avvenuto, prima? Io credo che sia sbagliata, la normativa europea che imporrebbe di accertare il diritto di asilo dei migranti una volta sbarcati. Io credo che il diritto d’asilo andrebbe accertato prima di far sbarcare le persone, non dopo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta” del 9 settembre 2018, su YouTube. Avvocato e massone, simbologo e scrittore, Carpeoro è autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che ricostruisce la matrice massonica degli attentati “false flag” targati Isis, condotti in Europa negli anni scorsi e riconducibili a servizi segreti atlantici. Lo stesso Carpeoro è esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” presenta l’ex premier laburista britannico Tony Blair come affiliato alla potente Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, insieme ai Bush, al francese Sarkozy, al turco Erdogan. La “Hathor”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, sarebbe all’origine del devastante attentato dell’11 Settembre alle Torri Gemelle, nonché della “fabbricazione” del sedicente Isis. Alla “Hathor”, sostiene Magaldi, sono stati affiliati sia Osama Bin Laden che Abu-Bakr Al-Baghdadi, presunto leader del cosiddetto Stato Islamico. Sempre alla superloggia “Hathor Pentalpha” è attribuita la decisione di imprimere una svolta violenta alla globalizzazione neoliberista e privatizzatrice, utilizzando nel modo più spregiudicato la guerra e l’auto-terrorismo, per innescare una sorta di strategia della tensione internazionale).Come leggere l’adesione di Salvini a “The Movement”, il movimento fondato da Steve Bannon? E’ conseguente all’incontro che Salvini ha avuto con Blair. Il capo di quella cosca massonica è Tony Blair – il referente europeo – e quindi Salvini ha aderito all’iniziativa di Bannon. Blair è il referente europeo di una delle più grosse Ur-Lodges. E’ interessato a Salvini perché questi sistemi sono sempre interessati a chi governa: Salvini in questo momento è al governo, e quindi Blair ha pensato di averlo come referente politico. Salvini è consapevole di cosa rappresenti, Blair? Be’, se ha letto un po’ di cose in giro, sì. Bannon viene associato al mondo della destra, mentre Blair ce lo ricordiamo sulla sponda opposta? Ma sono pessimi ricordi, perché Blair è colui che ha rovinato il socialismo europeo, scientemente. E’ un falso socialista, come ce ne sono tanti. L’iniziativa di Blair e Bannon è un modo per cooptare Salvini? “Cooptarlo” probabilmente no, ma averlo – finché è al governo – come referente politico, sì: è lo stesso motivo per cui gli americani hanno puntato su Di Maio. Michael Ledeen aveva puntato su Di Maio, mentre Steve Bannon e Tony Blair hanno puntato su Salvini. Non sono gruppi in competizione tra loro: sono aspetti, diversi, della massoneria reazionaria.
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Cremaschi: ma che ci fa Salvini con quel criminale di Blair?
Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».L’ex premier britannico Tony Blair non è solo il principale esponente di quella “terza via”, seguendo la quale la sinistra occidentale e italiana «si è suicidata, sull’altare della sudditanza al mercato e al profitto». Oggi l’ex finto-laburista Blair «è un agente, “molto concreto” come ha scritto Salvini, lautamente retribuito da quel sistema finanziario multinazionale che si ostina a voler comandare il mondo, anche se per fortuna con crescenti difficoltà». Peggio ancora: nel saggio “Massoni”, uscito nel 2014, Gioele Magaldi scrive che Blair non è soltanto una pedina dell’élite neoliberale globalista, è anche un supermassone affiliato alla temibile “Hathor Pentalpha”, superloggia creata dai Bush per accelerare in modo violento la globalizzazione del pianeta, ricorrendo anche al terrorismo “false flag” come quello all’origine dell’11 Settembre, basato su manovalanza “islamista” (Al-Qaeda) ma direttamente controllato dal “fratello” Osama Bin Laden, affiliato alla “Hathor” come poi lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi, il brutale leader del sedicente Isis. Sono potentissimi, gli “amici” di Blair, che – proprio per questo – continua indisturbato ad aggirarsi, da padrone, nel mondo che ha contribuito a distruggere.Strano, che lo stesso Blair ora incontri quel “governo gialloverde” di cui i poteri forti europei sembrano avere così paura? Il potere pensa ancora che questo governo durerà poco, diceva qualche settimana fa Gianfranco Carpeoro, saggista ed esponente del Movimento Roosevelt: l’élite non ha ancora fatto nessun serio tentativo per “incorporarlo” nei suoi piani. In compenso, sono arrivate grandi bordate essenzialmente contro Salvini: la superloggia “Three Eyes” si è mossa con successo, sempre secondo Carpeoro, per bloccare la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai: il candidato salviniano è stato bocciato da Berlusconi, costretto a rimangiarsi la parola data a Salvini, dopo le sollecitazioni di Antonio Tajani, a sua volta contattato – su consiglio di Giorgio Napolitano – da Jacques Attali, supermassone oligarchico che si considera il “padrino” di Macron, il presidente francese giunto a far definire “vomitevole” la politica di Salvini sui migranti. Come se non bastasse, ad appesantire la situazione ha provveduto la magistratura italiana: Salvini è indagato per sequestro di persona (30 anni di carcere) dopo la vicenda della nave Diciotti. E soprattutto: la Lega è stata condannata, anche senza una sentenza definitiva, a rifondere lo Stato di qualcosa come 49 milioni di euro, che i magistrati ritengono esser stati indebitamente sottratti durante la gestione Bossi.Nonostante ciò, Cremaschi diffida di Salvini: Blair, scrive, lo ha incontrato «prima di tutto in quanto lobbista delle multinazionali che sostengono il Tap, il gasdotto che devasterebbe la Puglia e altre parti del nostro paese». Quella grande opera, aggiunge Cremaschi su “Contropiano”, è stata voluta dal Pd è vero, però «ha il totale consenso della Lega». E i due partiti, Pd e Lega, «sulle questioni economico-sociali sono molto più vicini di quanto facciano credere», sostiene sempre Cremaschi, secondo cui Salvini non avrà avuto difficoltà a ribadire «nell’incontro con il suo nuovo amico britannico» che il famigerato Tap si farà, «alla faccia dei poveri Cinquestelle che in campagna elettorale si erano impegnati contro di esso». E naturalmente, secondo Cremaschi, «da quel consenso sugli affari ne saranno seguiti altri sulla politica e su tutto il resto», visto che «quel mondo funziona così», come dimostra la storia dello stesso Blair. Anni fa, l’ex premier inglese aveva incontrato e “benedetto” Matteo Renzi, ancor prima che arrivasse a Palazzo Chigi. All’epoca, continua Cremaschi, Blair operava soprattutto come consigliere politico della Jp Morgan, cioè «proprio quella banca che nel 2013 produsse quel documento contro le Costituzioni antifasciste europee, che i malevoli dicono abbia ispirato la controriforma costituzionale di Renzi».Da tempo, aggiunge Cremaschi, Tony Blair «lavora come cacciatore di teste politiche per conto dei poteri forti: e questo ruolo non solo gli dà potere e ricchezza, ma lo protegge anche dalla responsabilità di esser stato un criminale di guerra». Come capo del governo britannico, infatti, è stato complice di tutte le più sporche guerre che Usa e Nato hanno scatenato, all’alba del nuovo millennio, dopo il fatale 11 Settembre e la redazione del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano disegnato dai bellicosi “neocon”. «I milioni di profughi e disperati che soffrono e muoiono sulle coste del Mediterraneo – scrive Cremaschi – devono la loro sciagura anche a Tony Blair». Per le sue guerre e per le menzogne con cui le ha giustificate, l’ex premier britannico «oggi rischia di essere processato in patria e all’estero». Ragiona Cremaschi: «Un incontro tra un criminale lobbista delle multinazionali e un ministro non avviene mai per caso». Viene prima preparato con cura dai rispettivi “sherpa”, e viene realizzato «solo quando entrambi gli interlocutori sono sicuri che l’incontro possa servire a entrambi». E dunque: «Quali sono allora gli interessi comuni di Blair e Salvini?». Per capirlo, sostiene Cremaschi, basta dare uno sguardo alla grande stampa italiana.Da diverse settimane, sul “Corriere della Sera”, gli editoriali si rivolgono direttamente al ministro degli interni: «Nella sostanza, gli chiedono di mettere fine alle doppiezze del governo, in particolare su vincoli europei, grandi opere e privatizzazioni». L’incontro con Blair, conclude Cremaschi, può essere una risposta: «Quale migliore garanzia di continuare con grandi opere e privatizzazioni, che un incontro con il più importante rappresentante politico di esse in Europa? E sui vincoli dell’austerità Ue il leader della Lega, ex “no euro”, è stato diretto ed esplicito: li rispetteremo, ha detto, e lo spread ha subito applaudito». D’altra parte, aggiunge l’esponente di “Potere al Popolo”, in questi mesi il consenso del ministro degli interni non è cresciuto «per pronunciamenti contro banche, finanza, multinazionali», che semmai – con la Flat Tax – vederebbero incrementare il loro vantaggio fiscale. «Il consenso a Salvini è cresciuto non perché abbia aggredito i poteri forti dei ricchi – scrive Cremaschi – ma perché si è mostrato spietato con i più deboli dei poveri senza potere».Come nel passato, osserva il marxista Cremaschi, la grande borghesia liberale «prima disprezza la barbarie dei movimenti di estrema destra, ma poi si accorda con essi quando scopre che tutti i suoi interessi ne verranno garantiti». I conservatori, che insieme ai socialdemocratici hanno sinora guidato l’Ue, secondo Cremaschi «si stanno accordando con le destre xenofobe per conservare il potere». Salvini? «Non é più contro la Ue, perché la Ue non è più contro di lui». Per Cremaschi, «la conservazione delle politiche economiche liberiste può ben accordarsi con politiche autoritarie e violente contro i migranti e contro ogni dissenso sociale». Mai stato indulgente, Cremaschi, con la Lega: «Chi oggi pensa di contrapporre la Ue a Salvini è un illuso o un imbecille – scrive – e dovrebbe passare delle giornate a guardare la foto del leader leghista e di Blair sorridenti e soddisfatti». Conclusione: «Mentre la magistratura sequestra i fondi della vecchia Lega di Bossi, i poteri forti hanno scelto quella nuova di Salvini, che ha promesso loro che continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: essere forte coi deboli e debole coi forti». Secondo Cremaschi «c’è solo da sperare che la benedizione di Blair, che poi ha portato Renzi alla rovina, alla fine abbia gli stessi effetti sul ministro degli interni». Nel frattempo, il Pd renziano si gode lo spettacolo dalla finestra: è stato infatti il centrosinistra (non Salvini) a terremotare il paese, al punto da spingerlo a votare in massa per la Lega e i 5 Stelle.Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».
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Privatizzare acqua, luce, gas, treni: inglesi rapinati e beffati
La maniera in cui le nostre compagnie ferroviarie, dell’energia e dell’acqua sono state gestite da quando sono state privatizzate dai conservatori è uno scandalo assoluto. L’impegno del Manifesto dei Laburisti a riprendere il controllo dell’acqua e delle ferrovie, e ad intervenire per correggere il mercato dell’energia, è decisamente emozionante e porterà a un vero cambiamento. Quando queste industrie furono privatizzate da Margaret Thatcher, ci fu promesso che l’efficienza sarebbe aumentata, che la proprietà si sarebbe allargata e che il processo avrebbe generato investimenti. Ma è accaduto l’esatto contrario. E anziché imparare dai propri errori, i governi conservatori hanno venduto anche il Servizio Postale per una frazione del suo valore, danneggiando i contribuenti ed estendendo ulteriormente l’influenza delle compagnie private e della finanza sulla vita di tutti i giorni. A quasi trent’anni dalla vendita della gestione dell’acqua, la proprietà delle azioni è oggi saldamente in mano a un piccolo gruppo di investitori internazionali – molti dei quali hanno sede in paradisi fiscali. Nel frattempo, i prezzi sono aumentati del 40% e più di un quarto di quanto i consumatori pagano in bolletta finisce a ripagare gli interessi sui debiti delle società private e in dividendi agli azionisti.I nuovi investimenti sono stati finanziati con nuovo debito anziché coi soldi degli azionisti. Quando l’acqua è stata privatizzata, il governo si è generosamente fatto carico di tutto il debito del settore – 4,9 miliardi di sterline – in modo da lasciare i nuovi proprietari senza debiti. I nuovi proprietari ne hanno approfittato, accumulando sino al 2016 l’incredibile ammontare di 46 miliardi di sterline di debiti. Mentre accumulavano debiti a discapito dei contribuenti, le compagnie private dell’acqua pagavano miliardi agli azionisti in dividendi. Il totale di 18,8 miliardi di profitti al netto delle tasse degli ultimi 10 anni è stato tutto distribuito agli azionisti, salvo 700 milioni di sterline. Ciò significa che più di 18 miliardi di sterline sono entrati nelle tasche degli azionisti anziché essere utilizzati per diminuire le bollette e migliorare i servizi. Tre società hanno addirittura pagato più dividendi di quanto siano stati i loro profitti al lordo delle tasse. Si tratta di una situazione semplicemente insostenibile.Questa rapina alla luce del sole sta avvenendo anche nel settore energetico. Nel 2016-17, la Rete Nazionale ha ottenuto un profitto di 1,9 miliardi di sterline sulla distribuzione dell’elettricità e del gas. Circa 660 milioni sono stati usati per pagare dividendi, cosa che rappresenta un costo nascosto per i consumatori del 12%. I benefici promessi grazie alla concorrenza del mercato non si sono mai visti: le grandi “sei sorelle” dell’energia hanno sfruttato i consumatori, addebitando agli utenti nel 2015 ben 2 miliardi di sterline. Le persone non vogliono essere costrette a vagliare le diverse opzioni per trovare un contratto decente; vogliono soltanto energia sicura e a un prezzo accessibile. Dobbiamo fare cambiamenti drastici nel nostro sistema energetico entro pochi anni se vogliamo avere la possibilità di affrontare i cambiamenti climatici. Trasferendo la proprietà e la responsabilità delle nostre utilities a organismi di proprietà pubblica e alle comunità locali che devono rispondere ai cittadini, saremo in grado di creare un sistema energetico sostenibile e a basso utilizzo di carbone, adatto al ventunesimo secolo.Più importante ancora, la proprietà pubblica metterebbe fine al flusso di denaro dei contribuenti che va a sostenere i profitti privati delle società e dei loro azionisti, mentre i prezzi aumentano, i servizi peggiorano, e i debiti si accumulano. Riportare le utilities sotto controllo pubblico rimetterebbe i profitti nelle tasche dei cittadini e nei servizi stessi, abbassando la bolletta media di 220 sterline all’anno per famiglia e consentendo di investire altri risparmi nelle infrastrutture e per migliorare i servizi. Inoltre, ponendo un freno agli aumenti dei biglietti dei treni – che sono aumentati del 27% a partire dal 2010 – i laburisti farebbero risparmiare ai passeggeri una media di 1.014 sterline all’anno sui biglietti. Si è molto parlato di quanto costerebbe tutto questo, ma i commentatori, pronti a sparare grandi cifre, mostrano tutta la loro ignoranza in economia, e anche in storia. Quando nel 1977 l’industria della costruzione navale venne nazionalizzata, questo fu fatto scambiando le azioni con titoli di Stato – una mossa che non ebbe alcun effetto sull’erario.Nel mondo negli ultimi anni c’è stata un’inversione del processo delle privatizzazioni. Negli Stati Uniti, l’85% delle forniture di acqua proviene dal settore pubblico, e l’80% della rete di distribuzione elettrica tedesca è ora posseduta e gestita dalle autorità regionali e locali.Una delle più grandi beffe della privatizzazione britannica – che fu dettata da una profonda perdita di fiducia nella capacità dello Stato di gestire queste cose – è che molti dei nostri tesori nazionali sono finiti nelle mani di società pubbliche straniere. I piani di rinazionalizzazione dei laburisti assicureranno la supervisione democratica locale sui servizi, mettendo il potere nelle mani delle comunità. Al di là delle chiacchiere sul rigore dei conti, i conservatori sono più interessati ad aiutare i ricchi evasori a fare soldi facili di quanto non lo siano a fermare l’emorragia di soldi del popolo britannico. Come ho recentemente sottolineato durante un dibattito con Damian Green all’Andrew Marr show, questa posizione ha qualcosa a che fare con il fatto che molti finanziatori dei conservatori, ed effettivamente anche alcuni parlamentari e ministri conservatori, hanno ottenuto profitti dalle privatizzazioni. E’ tempo di mettere fine a questa truffa dei conservatori. I laburisti chiuderanno il rubinetto che versa miliardi di sterline nelle tasche degli azionisti e si assicureranno che questi servizi vitali siano gestiti nell’interesse della maggioranza, non di pochi.(John McDonnell, “La privatizzazione dei servizi pubblici nel Regno Unito: storia di un fallimento”, dall’“Independent” del 6 giugno 2017; articolo tradotto e riproposto da “Voci dall’Estero”).La maniera in cui le nostre compagnie ferroviarie, dell’energia e dell’acqua sono state gestite da quando sono state privatizzate dai conservatori è uno scandalo assoluto. L’impegno del Manifesto dei Laburisti a riprendere il controllo dell’acqua e delle ferrovie, e ad intervenire per correggere il mercato dell’energia, è decisamente emozionante e porterà a un vero cambiamento. Quando queste industrie furono privatizzate da Margaret Thatcher, ci fu promesso che l’efficienza sarebbe aumentata, che la proprietà si sarebbe allargata e che il processo avrebbe generato investimenti. Ma è accaduto l’esatto contrario. E anziché imparare dai propri errori, i governi conservatori hanno venduto anche il Servizio Postale per una frazione del suo valore, danneggiando i contribuenti ed estendendo ulteriormente l’influenza delle compagnie private e della finanza sulla vita di tutti i giorni. A quasi trent’anni dalla vendita della gestione dell’acqua, la proprietà delle azioni è oggi saldamente in mano a un piccolo gruppo di investitori internazionali – molti dei quali hanno sede in paradisi fiscali. Nel frattempo, i prezzi sono aumentati del 40% e più di un quarto di quanto i consumatori pagano in bolletta finisce a ripagare gli interessi sui debiti delle società private e in dividendi agli azionisti.
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Skripal, tutto falso: Londra perde la faccia, Gentiloni pure
Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.Del resto, aggiunge Blondet sul suo blog, hanno ancora cancellato neppure la “dichiarazione di guerra” dell’ambasciatore britannico a Mosca, Laurie Bristow, che il 22 marzo aveva convocato la stampa estera per confermare l’accusa. «Boris Jonson ha molte domande a cui dovrà rispondere», dice ora detto Jeremy Corbyn, il leader dell’opposizione laburista, che da settimane era sotto un inverosimile uragano di attacchi e insulti da parte dei media britannici (da “traditore” ad “antisemita”) per essersi rifiutato di unirsi al coro di condanne senza prove. Adesso tutti vedono che Corbyn aveva ragione: il governo May cadrà? Ma intanto 28 Stati occidentali, fra cui 15 dell’Unione Europea, si sono uniti all’accusa del tutto infondata abbandonandosi ad espulsioni in massa di diplomatici russi. Per bocca di Donald Tusk e Federica Mogherini, l’Ue ha dichiarato il suo appoggio assoluto al Regno Unito nelle sue false accuse, e la stessa Nato ha espulso sette addetti russi e rifiutato l’accredito a nuovi membri dello staff. «In pratica – osserva Blondet – tutte le nazioni occidentali hanno trattato la Russia da Stato canaglia, Stato criminale, paria delle nazioni, da appestato; hanno comminato nuove e più gravi sanzioni. Senza mai dar credito, nemmeno per un attimo, alle proteste russe di estraneità».E’ andata in scena «una spaventosa prova di aggressività demente, di inciviltà nei rapporti internazionali, che non poteva che preludere a qualche gravissima azione o provocazione bellica, tanto era palesemente mal fondata fin dalle prime fasi». Tanto più spaventosa, aggiunge Blondet, «perché tutti i media mainstream si sono uniti alla canea di accuse, con la bava alla bocca». Uno spettacolo inquietante: «Abbiamo avuto qui una prova dal vivo della criminosa irresponsabilità e del delirio di cui sono capaci i poteri forti, della loro attitudine al pericoloso sragionare in coro dei nostri politici, come ad un segnale convenuto, obbedendo ad automatismi di cui non scorgiamo l’origine, e per questo fanno più paura». Scherza col fuoco, l’Occidente: il governo cinese ha esplicitamente giudicato con sdegno questo comportamento incivile, sul piano internazionale, da parte di europei e statunitensi. E che l’abbia giudicato allarmante lo conferma la visita a Mosca, il 3 aprile, di una delegazione cinese capeggiata dal ministro della difesa Wei Fenghe, il quale ha detto ad alta voce: «La parte cinese è venuta ad informare gli americani di quanto siano stretti i legami tra le forze armate russe e cinesi». Un linguaggio senza edulcorazioni, chiaro e netto: «Quello che Pechino giudica il solo adatto ai gangster occidentali», avverte Blondet.Il punto è che, adesso, nessuno in Europa si sta scusando con Putin per questa «delinquenziale falsità, di cui non sappiamo ancora lo scopo vero». Gentiloni e Alfano? Pur “uscenti”, si sono vilmente accodati: hanno espulso due diplomatici russi, in ossequio alle menzogne di Londra. «Mogherini e Donald Tusk, Macron e Stoltenberg, Merkel, sono in grado di ammettere pubblicamente il loro errore – peggio che errore, solidarietà in una menzogna e complicità in un “false flag”? Per aver inscenato tutti insieme, delinquenti, una provocazione gravissima che solo la fermezza e i nervi d’acciaio di Putin e Lavrov hanno evitato di far precipitare in un conflitto armato, come era probabilmente nei piani di lorsignori?». Blondet è pessimista: «Non credo sapremo mai a cosa mirassero questi delinquenti che ci governano, recitando questa scenata. Forse a preparare una rivincita in Siria? Forse ad allargare fino a rendere irreversibile la frattura fra Russia ed Europa, mira storica della “geopolitica” britannica da McKinder?». Purtroppo, aggiunge Blondet, ci sono dei precedenti «altrettanto inspiegati, risalenti al 1994.Su un aereo proveniente da Mosca, ricorda Blondet, il 10 agosto di quell’anno la polizia di Monaco di Baviera “trovò” 363 grammi di plutonio. «Ovviamente, si scatenò un attacco concertato, da parte dei politici e dei media, sul presunto “commercio del terrore” che veniva dai mal guardati reattori nucleari sovietici; da cui malviventi evidentemente trafugavano plutonio (plutonio!) da vendere sul mercato del terrore». Questo clamore, osserva il giornalista, contribuì a far vincere le elezioni ad Helmuth Kohl. Ci volle quasi un anno di tempo prima che lo “Spiegel” uscisse con la vera storia: sull’aereo russo, il carico di plutonio era stato “piazzato” dai servizi di spionaggio tedeschi (Bnd). A quale scopo? «Varie serie di “rivelazioni” e “gole profonde” non fecero altro che rendere più complesso, e infine indecifrabile, il movente: un classico metodo di insabbiamento a cui in Italia dovremmo essere abituati, da Ustica al caso Moro», scrive Blondet. «Ovviamente ed italicamente, fu messa insieme anche una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso – dopotutto sarebbe bene sapere come mai 336 grammi di plutonio fossero nelle disponibilità del Bnd – e come potete già indovinare, finì nel nulla. Il capo del Bnd fu mandato in pensione anticipata, e fu tutto».Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.