Archivio del Tag ‘Laura Boldrini’
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Magaldi: Draghi e l’inferno, una guerra nata 50 anni fa
Mario Draghi non ha avuto (ancora) il coraggio politico di attaccare il paradigma-Covid, creato per sottomettere la popolazione. Un piano partorito da una gestione di potere che, secondo alcuni, risale al golpe che il neoliberismo commissionò al “fratello” Kissinger l’11 settembre 1973, con l’ordine impartito in Cile al massone Pinochet di abbattere Salvador Allende, “venerabile maestro” della loggia di cui il generale golpista era il numero due, il “primo sorvegliante”. Secondo Bob Dylan – in base alla sofisticata esegesi fornita da Gioele Magaldi, che rivela l’identità massonica dello stesso cantautore, Premio Nobel – il piano ebbe inizio ancora prima, per la precisione il 22 novembre 1963 a Dallas, con l’assassinio in mondovisione di John Fitzgerald Kennedy. Numeri: 11 e 22, in una ridondanza che porta dritti a un altro 11 settembre, quello del 2001, quando lo stesso potere (che Magaldi definisce massonico ma rinnegato, contro-iniziatico e neo-aristocratico) passò alla penultima fase della globalizzazione, quella “a mano armata”, basata su guerre imperiali innescate da stragi “false flag”, sotto falsa bandiera, condotte sotto la supervisione di servizi segreti “distratti” quanto basta per alimentare il mito del terrorismo islamico.Può non piacere, Magaldi, quando ricorda che l’atroce Roberto Speranza (di cui ha invocato ripetutamente le dimissioni) è solo un burattino di Massimo D’Alema, artefice del mini-cartello elettorale “Liberi e Uguali” rappresentato in origine da altri due esponenti della massoneria, l’ex presidente del Senato (il “fratello” Pietro Grasso), e l’ex presidente della Camera (la “sorella” Laura Boldrini). D’Alema? Altro super-grembiulino reazionario come Monti, come Napolitano e come lo stesso Prodi, vicinissimo (anche lui) al redditizio potere cinese “inventato” dal club di Kissinger come modello alternativo e iper-efficiente (prospero, ma non democratico) per mettere in crisi il modello occidentale e la sua irrinunciabile libertà, non certo portata in dono dalla cicogna – come ama ripetere Magaldi – ma costata sangue, durante le rivoluzioni europee e il Risorgimento italiano, per abbattere lo strapotere del Papa e del Re. Libertà, uguaglianza e fraternità: gli ideali della Rivoluzione Francese (massonica, anche quella) come fondamento della nascita degli Stati Uniti d’America con Washington, e poi – prima con Roosevelt e poi con i Kennedy – fonte inesauribile della sete di giustizia sociale che, nel dopoguerra, plasmò l’Occidente nel quale siamo cresciuti, basato sul rispetto dei diritti umani e sociali.D’accordo, uno si domanda – in mezzo al gossip favolistico del mainstream media, ancora impegnato a contare “casi” e “contagi” – ma tutto questo “che c’azzecca”, con il Covid e il governo Draghi? C’entra eccome, sostiene Magaldi, che riassume: tenete d’occhio il grande potere massonico-reazionario che dagli anni ‘80 impose il neoliberismo a tutto l’Occidente, e poi concesse alla Cina vantaggi sleali, per consentirle imporsi come superpotenza commerciale. Quel potere supermassonico fece piazza pulita di ogni ostacolo: in Italia liquidò un genio della finanza keynesiana come Federico Caffè (maestro di Draghi), assassinò in Svezia Olof Palme (campione del welfare europeo e leader di un socialismo liberale pronto a impegnare lo Stato per salvare i posti di lavoro), quindi si liberò della Prima Repubblica italiana (corrotta, ma sovranitaria) e in Medio Oriente fece assassinare uno statista del calibro di Yitzhak Rabin, deciso a impedire che il conflitto israelo-palestinese restasse in eterno l’alibi perfetto, e ipocrita, per qualsiasi inconfessabile guerra sporca, coi dividendi regolarmente suddivisi in parti uguali tra gli oligarchi degli opposti estremismi.E va bene, ma Draghi e il Covid? Sorride, Magaldi: il disastro ha almeno mezzo secolo di vita, e qualcuno pretenderebbe, in modo infantile, una soluzione rapida? La sua tesi: due anni fa, lo stesso Draghi (e altri, inclusa l’attuale presidente della Bce, Christine Lagarde) abbandonarono il club degli oligarchi per approdare ai lidi della supermassoneria “progressista”, roosveltiana e keynesiana. Avete presente, che cosa significa? Nel 2011, lo stesso Draghi – dopo aver disastrato l’Italia con le super-privatizzazioni commissionate a Prodi e D’Alema – contribuì alla caduta del legittimo governo di Silvio Berlusconi, ovvero dell’ultimo parlamentare che gli italiani abbiano insediato a Palazzo Chigi. Tutto il resto è post-democrazia: Monti e Letta, lo stesso Renzi, Gentiloni, e infine il prestanome Conte, modesta pedina di un certo club vaticano previdentemente infiltrata tra i 5 Stelle che nel 2018 i sondaggi davano vincenti.Il mondo a cui è stata inflitta la piaga-Covid (libertà confiscata, grazie al pretesto di una presunta pandemia pericolosissima) è quello a qui, solo nel 2018, in Italia, Sergio Mattarella osò negare a Paolo Savona la poltronissima di ministro dell’economia, visto che faceva paura a un’Europa che – per bocca del tedesco Günther Oettinger, che Magaldi definisce massone reazionario – aveva l’arroganza di spiegare, sovrastando il Quirinale, che sarebbero stati “i mercati” a spiegare agli italiani come votare, la volta seguente, gettando nella spazzatura la Lega e 5 Stelle, tigri di carta eppure temute dall’oligarchia che utilizza Bruxelles (cioè la finta Unione Europea, mai esistita) per i suoi scopi verminosamente privatistici, finanziari, di bottega. Quello terremotato dalla gestione “terroristica” del Covid è un pianeta reduce da mille manipolazioni operate dal medesimo potere, che non ha esitato ad “asfaltare” la Grecia riducendola alla fame, per poi umiliare l’Italia (bersagliata dalle Ong che usano i migranti come clava politica) negandole un misero 2,4% di deficit.Poi, appunto, è arrivato l’infarto: l’ultima fase del piano, nato mezzo secolo fa. Dopo Kissinger, dopo Reagan e la Thatcher, dopo Blair e i Clinton, dopo Bin Laden e servizi segreti annessi, dopo i “signor no” della Commissione Europea e le stragi collaterali dell’Isis, ecco l’apoteosi: il vàirus. Il capolavoro della paura, il sogno degli oligarchi: tutti in casa, fingendo che non esistano terapie efficaci. Un anno di delirio: lockdown e zone rosse, coprifuoco, menzogne a reti unificati, oscuramento e boicottaggio (criminale) delle cure salva-vita, cancellate – massimo scandalo – per arrivare alla procedura di autorizzazione d’emergenza dei “vaccini genici”, approntati in pochi mesi, non autorizzabili in presenza di terapie alternative ed efficienti, come quelle – una decina – messe a punto da tanti, valenti medici italiani. Neppure loro avevano capito la vera posta in gioco, e dunque la reale dimensione del dramma? Non sapevano, gli illusi, che questo potere – corruttivo, dittatoriale, stragista – avrebbe calpestato e cancellato le loro ricette, nate per salvare decine di migliaia di vite umane?Non illudetevi, dice Magaldi, che l’origine delle “incomprensibili storture” della gestione Covid siano da imputare alla semplice bulimia affaristica di Big Pharma. Certo, esiste anche quella: sono in gioco centinaia di miliardi. Ma i soldi sono solo un business collaterale, sappiatelo. Quello vero, il primo – sostiene l’autore di “Massoni” – è ben più preoccupante: ha a che fare con la fine della nostra libertà. Siamo a un bivio della storia, ed è bene saperlo. Il club di Magaldi, tanto per dire, era tra quelli che sostennero Trump contro la Clinton. Di fronte al disastro elettorale delle presidenziali 2020, con le inedite accuse di brogli, quel network non si è dato per vinto, e ha costetto Biden a trattare. Tema: uscire dall’allucinazione degli ultimi cinquant’anni. Lo stesso Draghi – che fa parte della partita – non s’impunta sul ricatto dei vaccini, cui è condizionato (di fatto) il ritorno alla normalità? Non pretende la necessaria trasparenza? Capitelo, chiede Magaldi: un passo alla volta. Il che, francamente, è preoccupante. Tradotto: si tratta di fronteggiare l’inferno, e di attrezzarsi (con pazienza) per sconfiggerlo, un po’ alla volta, con sapienza. Sapendo che le sofferenze dei giusti non potranno finire subito, perché il nemico è potentissimo. In Germania, dove Angela Merkel ha gettato la maschera, la polizia può entrare nelle case senza nessun mandato. Come dire: la notte, purtroppo, è ancora lunga.Mario Draghi non ha avuto (ancora) il coraggio politico di attaccare il paradigma-Covid, creato per sottomettere la popolazione. Un piano partorito da una gestione di potere che, secondo alcuni, risale al golpe che il neoliberismo commissionò al “fratello” Kissinger, con l’esito dell’11 settembre 1973: l’ordine impartito in Cile al massone Pinochet di abbattere Salvador Allende, “venerabile maestro” della loggia di cui il generale golpista era il numero due, il “primo sorvegliante”. Secondo Bob Dylan – in base alla sofisticata esegesi fornita da Gioele Magaldi, che rivela l’identità massonica dello stesso cantautore, Premio Nobel – il piano ebbe inizio ancora prima, per la precisione il 22 novembre 1963 a Dallas, con l’assassinio in mondovisione di John Fitzgerald Kennedy. Numeri: 11 e 22, in una ridondanza che porta dritti a un altro 11 settembre, quello del 2001, quando lo stesso potere (che Magaldi definisce massonico ma rinnegato, contro-iniziatico e neo-aristocratico) passò alla penultima fase della globalizzazione, quella “a mano armata”, basata su guerre imperiali innescate da stragi “false flag”, sotto falsa bandiera, condotte sotto la supervisione di servizi segreti “distratti” quanto basta per alimentare il mito del terrorismo islamico.
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Distruggere l’Italia: i grillini eguagliano il “record” di Monti
Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.Nel mezzo scorrono le relative faccine che testimoniano i vari capitoli del fallimento grillino: la fatuità egizio-partenopea del tardoprogressista Roberto Fico, col suo gne-gne napoletano sinistrese, pessima imitazione della già pessima Boldrini che l’ha preceduto; le improvvisate sciampiste cinquestelle che occuparono i ministeri con risultati penosi; il proverbiale Danilo Tonninelli (una enne l’ha guadagnata sul campo), prototipo del grillino doc, simbolo ottuso di tutti i no grillini a ogni opera; la ministra dell’autoDifesa Elisabetta Trenta che si è moltiplicata per sei ed è passata da Trenta a Centottanta (metri quadri), con le forze armate che portavano a spasso il cane, e lei che riceve gli eserciti di tutto il mondo a casa, perciò ha bisogno di una casa grande; il ministro alla pubblica ricreazione Lorenzo Fioramonti, che ha ridotto la scuola a un osservatorio climatico e si occupa di plastica e merendine da un punto di vista eco-progressista; per non dire delle pulcinellate di Gigino Di Maio, i suoi voltafaccia e i suoi vistosi errori presentati in modo trionfale: povertà abolita, disoccupazione battuta, acciaieria risanata, Alitalia in via di decollo, manette annunciate ai grandi evasori e occhiolino strizzato ai molti evasori, l’infatuazione suicida filo-cinese e altre enormi cappellate. Oggi lui è diventato il capro espiatorio ma il difetto è nel manico e in tutti gli ombrelli della ditta.Il reddito di cittadinanza resta la porcata più vistosa dei grillini, dal punto di vista del danno erariale, del danno sociale, del danno morale. Si ha ogni giorno di più la certezza che non produrrà un solo posto di lavoro in più né un solo lavoro nero in meno. Non è un reddito d’inclusione o d’inserimento, è solo un gravoso costo, parassitario e diseducativo, che peggiora il tessuto sociale del paese e il bilancio dello Stato, santifica l’inerzia, la demeritocrazia e pure il malaffare. È la versione stracciona, plebea e lazzarona del comunismo. All’inizio si disse che era un’indennità-divano, i grillini reagivano indignati, ma quella previsione era già ottimistica: molti titolari del reddito non stanno nemmeno a casa loro ma continuano di soppiatto i loro lavori neri e qualcuno addirittura continua le attività criminose, come si è visto. C’è poi TeleCasalino, un tempo Tg1, un imbarazzante volantino grillino e contino. Per non dire degli altri, dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede al ministro Vincenzo Spadafora e a tutta la gaia compagnia dei grillini. E per non risalire ai mandanti, Beppe Grillo e la Casaleggio & Associati, più qualche predicatore manettaro.Il fallimento dei grillini ha la faccia sconsolata dell’esule, il Comandante Ale Diba, al secolo Alessandro Di Battista, la cui eclissi dimostra la fine del fervore originario, quando i grillini erano ancora una minacciosa promessa in pubertà. Non si è mai visto un movimento perdere nel giro di pochi mesi di governo tante milionate di voti e sparire dai territori con una velocità impressionante. Hanno esaurito il credito, ormai. Resta il problema di trovare quale discarica possa contenere così tanti rifiuti ammassati in così poco tempo. La parabola dei grillini è un monito per gli elettori e i cittadini che votandoli s’illusero di punire tutti gli altri: i movimenti eruttati dal nulla, nati soltanto dal cabaret, dal vaffa e dal rifiuto di tutto, dove uno vale l’altro, dove i deputati sono burattini nelle mani della Piattaforma, dove la democrazia diretta è una caricatura che nasconde un’autocrazia eterodiretta da non-eletti, dove si può nominare a sorteggio e si può diventare ministri non sapendo nulla, non avendo mai fatto nulla nella vita, non avendo la più pallida idea, poi producono solo danni e nulla.Per arginare la deriva corrotta della politica, il malaffare, devi trovare gente motivata e seria, non pescata così, random, spesso nullafacente. Appena a uno di questi dai in mano un po’ di potere, diventa un arraffone e vuole sistemarsi per la vita. E quando gli ricapita? Infine i grillini hanno fatto saltare l’unica eredità buona della seconda repubblica, l’alternanza bipolare, reimmettendo al centro un partito bifronte. La sinistra merita giudizi negativi molto severi, sa essere più contro che con i cittadini, almeno quelli in regola. Ma è un avversario da sconfiggere sul terreno dei fatti, della politica e delle idee; invece i grillini sono una mucillagine urticante, una grottesca complicazione del quadro, e da alleati della sinistra al governo sono solo un’aggravante del malgoverno. Che tornino presto al Nulla da cui provengono. È l’augurio per un paese stremato, che ha già troppi guai per doversi caricare pure dei grillini.(Marcello Veneziani, “Il gaio fallimento dei grillini al governo”, da “La Verità” del 24 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.
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Appello a Liliana Segre: la Commissione attenta alla libertà
Questo scritto è un appello alla senatrice Segre, al suo coraggio, alla sua lucidità. Una delle più gravi violazioni in atto dei principi fondamentali della Costituzione e della stessa civiltà occidentale è la limitazione ai diritti di informazione, di insegnamento e di ricerca scientifica voluta dal pensiero unico e dai suoi beneficiari. La pubblica informazione è in mano a cinque grandi agenzie mondiali, controllate da capitali privati, dedite al filtraggio delle notizie, delle analisi e al consolidamento di un pensiero unico liberista-mercatista-globalista; ad esse quasi tutti i giornalisti e i mass media si attengono, anche quelli pubblici. I docenti, anche quelli universitari, persino quelli di filosofia, ricevono dalla politica direttive ideologiche afferenti al pensiero unico, cui devono attenersi per conservare il posto, far carriera, aver visibilità. La ricerca scientifica, con la stampa scientifica, è in gran parte finanziata e controllata da capitali privati che contrattualmente si riservano la proprietà dei risultati e il diritto di decidere che cosa divulgare e che cosa no; in tal modo il capitale orienta la scienza, il suo insegnamento, la sua applicazione, dall’economia alla medicina;Ai medici in Italia è stato perfino vietato, sotto pena di radiazione, di esercitare il diritto di informazione dei pazienti sugli effetti dei vaccini obbligatori. Facebook esercita arbitrariamente il potere di oscurare i suoi utenti non allineati col pensiero unico (lo ha fatto anche a me, per un mese, durante la campagna elettorale europea). Imperversa la pratica del grievance-mongering, o vittimismo di mestiere, consistente nell’attaccare, isolare, licenziare, oscurare persone che hanno espresso le proprie idee o preferenze nel rispetto della legge, e che strumentalmente il vittimista accusa di averlo offeso nella sua sensibilità religiosa o etnica o razziale o sessuale. Tutto ciò costituisce un’aggressione organica, sistemica, strategica, alla stessa esistenza di una società basata sulle predette libertà, ed esigeva l’urgente costituzione di una Commissione parlamentare per la tutela delle medesime libertà. Invece, hanno fatto la Commissione Segre per il controllo discrezionale della comunicazione via Internet (con possibilità di censura, punizione e oscuramento), onde limitare ulteriormente la libertà di informazione e di pensiero, col pretesto della lotta a un estremismo politico e a un razzismo o suprematismo o sessismo che, sì, esistono e sono talvolta lesivi di beni giuridici riconosciuti, ma sono già puniti dalle leggi italiane e che non hanno, né possono avere in questa fase storica, la forza materiale per minacciare la società.L’istituzione della Commissione va vista e studiata insieme con altre due ‘riforme’: il tracciamento di ogni pagamento e versamento (con la costrizione a passare per una banca ad ogni transazione); l’imposizione di vaccinazioni di massa senza trasparenza sugli effetti reali dei prodotti inoculati (con l’Ema che vuole inserire dal 2022 le certificazioni vaccinali nei passaporti come condizione di validità). Le tre suddette riforme vanno comprese come strumenti fondamentali e integrati dell’attuale fase evolutiva del controllo sociale, basata essenzialmente: sulla manipolazione e modificazione diretta degli uomini, anche biologica e genetica, via farmaci, vaccini, alimenti; sul loro monitoraggio costante e capillare nelle idee, negli spostamenti, nel denaro; sulla possibilità di escluderli unilateralmente, con un click, dalle reti (comunicazioni, servizi, accesso al proprio denaro in banca).Lo statuto della Commissione Segre (andatevelo a leggere) è formulato in termini vaghi, indeterminati, ampiamente soggettivi e discrezionali, non limitati all’istigazione all’odio (…intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche), in modo che essa possa censurare, impedire e reprimere non solo e non tanto le istigazioni all’odio, ma la divulgazione di informazioni e analisi oggettive che possano, per le loro implicazioni, suscitare indignazione morale, “odio” nella Neolingua politically correct.Infatti, è facile equivocare tra indignazione e odio, accusare colui di diffondere odio colui che in realtà diffonde informazioni e commenti su inganni, soprusi, illegalità, tradimenti politici, maxi-truffe bancarie coperte dalle istituzioni, soprattutto in relazione al nuovo ordine globale e totalizzante, il quale delegittima come eresia ogni alternativa a sé stesso. L’ordine del capitalismo finanziario e del mercato (non libero, ma) manipolato, con tutti gli effetti sulla vita delle persone e delle società, è un ordine onnipervasivo, egemonizza l’intrattenimento, la cultura e la stessa contro-cultura (vedi il fenomeno Greta). Il totalitarismo capitalista non è funzionalmente diverso da altri totalitarismi, a quelli verso cui, per il pensiero unico, è lecito esprimere odio, come quello autore dello sterminio di milioni soggetti appartenenti a categorie-bersaglio, tra cui innanzitutto gli ebrei, compresi i familiari della senatrice Segre – la quale suppongo non abbia percepito per tempo i fini liberticidi a cui è stata strumentalizzata, ma ora può ben rimediare brillantemente. Gli ebrei, ricorrenti vittime della persecuzione contro la libertà culturale, sono pure storici paladini, nonché simbolo, della medesima!La Commissione Segre, nata da un testo della Boldrini e che dovrebbe chiamarsi commissione Boldrini ed è stata ridenominata ‘Segre’ solo per inibire le critiche, ha uno statuto che, con la sua vaghezza, la predispone: a prevenire e contrastare lo svilupparsi una coscienza dei gravissimi, attuali conflitti di classe e tra nazioni, e a tutelare così la falsa narrazione irenica (deconflittualizzata) del mainstream; a oscurare l’informazione sugli effetti perniciosi e, per l’appunto, ‘odiosi’ del liberal-globalismo, scoraggiando la critica sistemica ad esso; a contrastare il dissenso e il suo organizzarsi in opposizione politica e sociale, ossia a difendere il pensiero unico liberale, il consenso ad esso, ai suoi esecutori politici, economici e culturali, e alle loro riforme; a colpire ogni richiamo politico allo Stato nazionale, alla sua sovranità sulla moneta, sui confini, sulle scelte di modello socioeconomico, e alla responsabilità democratica verso il bene dei propri cittadini come funzione e dovere di tale Stato (tutte cose che l’ordine finanz-capitalistico è vigorosamente impegnato a smantellare e screditare, perché ostacolano l’ottimizzazione del mondo alle sue dinamiche anche demografiche).Molte notizie, in materia di economia, finanza, banche, immigrazione, potranno essere censurate perché idonee a suscitare indignazione sociale, che verrà ridefinita “odio” allo scopo predetto. Del resto, già gli antichi sentenziavano: veritas odium parit. Se lo scopo della Santa Commissione fosse onesto e non liberticida, se fosse diverso da quello che ho testé descritto, il suo statuto da un lato sarebbe stato garantista, cioè preciso e oggettivo nel definire, con riferimento al Codice Penale, le espressioni da colpire; e, dall’altro lato, avrebbe compreso la tutela dì diritti – questi sì costituzionalmente fondati – di opinione, informazione, ricerca e insegnamento, mediante l’individuazione e il contrasto a tutte quelle lesioni alla libertà di parola che ho menzionato in apertura. Senatrice Segre, affido a Lei l’iniziativa di questa alta difesa della Libertà!(Marco Della Luna, “Santa Commissione o Santa Inquisizione?”, lettera aperta alla senatrice Liliana Segre pubblicata sul blog di Della Luna il 4 novembre 2019, “per la difesa della fede nella narrazione”).Questo scritto è un appello alla senatrice Segre, al suo coraggio, alla sua lucidità. Una delle più gravi violazioni in atto dei principi fondamentali della Costituzione e della stessa civiltà occidentale è la limitazione ai diritti di informazione, di insegnamento e di ricerca scientifica voluta dal pensiero unico e dai suoi beneficiari. La pubblica informazione è in mano a cinque grandi agenzie mondiali, controllate da capitali privati, dedite al filtraggio delle notizie, delle analisi e al consolidamento di un pensiero unico liberista-mercatista-globalista; ad esse quasi tutti i giornalisti e i mass media si attengono, anche quelli pubblici. I docenti, anche quelli universitari, persino quelli di filosofia, ricevono dalla politica direttive ideologiche afferenti al pensiero unico, cui devono attenersi per conservare il posto, far carriera, aver visibilità. La ricerca scientifica, con la stampa scientifica, è in gran parte finanziata e controllata da capitali privati che contrattualmente si riservano la proprietà dei risultati e il diritto di decidere che cosa divulgare e che cosa no; in tal modo il capitale orienta la scienza, il suo insegnamento, la sua applicazione, dall’economia alla medicina.
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Su Marte nel 2024: cosa nascondono le fake news ufficiali?
Siete pronti? Tra poco atterriamo su Marte: alla peggio nel 2024, cioè fra cinque anni. Chi l’ha detto? Donald Trump, nientemeno. Prima esternazione: un anno fa. «Il succo della missione sarebbe questo: si manderebbero su Marte alcuni astronauti», scrive Paolo Franceschetti, che in due distinti post sul blog “Petali di Loto”, intitolati “Bufale su Marte”, riassume l’ultima epopea fanta-spaziale che i media fingono di prendere sul serio, dopo aver trionfalmente celebrato l’anniversario del presunto allunaggio del 1969. E in quanti sarebbero a sbarcare sul Pianeta Rosso? «Quattro astronauti, pare. Oppure 6, a seconda dei progetti. Ma ne esistono alcuni che prevedono ben 80.000 persone». Caspita: «Impianterebbero una prima colonia, per poi far venire altri coloni negli anni successivi». La cosa non è nuova, ricorda Franceschetti: «Già Bush aveva lanciato l’idea e un piano di studi che prevedesse la fattibilità del progetto, nei primi anni ‘90. Una storia a cui, credo, non ha abboccato nessuno». I giornali hanno dato la notizia in modo asettico, senza approfondimenti. Sicchè, «la maggior parte dei complottisti avrà sicuramente odorato aria di balle spaziali».
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La Merkel assume Conte, il cameriere della Trattoria Italia
«Da quando l’Unione Europea di Merkel e Macron lo ha promosso cameriere capo della trattoria Italia, il professore di Volturara Appula si è montato la testa: si è persuaso di valere quanto Winston Churchill», scrive Pietro Senaldi, direttore di “Libero”, a proposito di Giuseppe Conte, il candidato del Vaticano scelto dai poteri forti per affondare il governo gialloverde, licenziare Salvini e riportare il controllo dell’Italia sotto la custodia del Pd, che ha perso tutte le elezioni degli ultimi anni (politiche, regionali, europee). Non si nasconde Angela Merkel, madrina di Conte, a cui l’allora premier gialloverde spiegava, in birreria, come avrebbe impedito a Salvini di governare. La cancelliera – racconta Goffredo De Marchis su “Repubblica” – non ha perso tempo: ha telefonato al Pd per ordinare che il Conte-bis si faccia ad ogni costo. «Il retroscena – scrive Andrea Indini sul “Giornale” – la dice lunga sulle pressioni internazionali per non far tornare gli italiani al voto». Obiettivo: «fermare la formazione di un esecutivo sovranista», specie ora che la Merkel ha subito in Sassonia l’exploit di “Alternative für Deutschland”, al 27% stando agli exit poll. «La Merkel perde a casa sua e impone il governo in Italia», sintetizza lo stesso Salvini, sempre sul “Giornale”.Nel frattempo, a Roma, in soli quattro giorni di trattative si è già capito che le liti per formare il governo-vergogna non sono che l’antipasto: «Cinquestelle e Pd sono destinati a fare a cazzotti per tutta la durata della loro esperienza insieme», scrive Senaldi, sul giornale di cui Vittorio Feltri è direttore editoriale. «I dissidi sono tali che stavolta Conte sarà costretto a lavorare, non potrà fare il semplice portavoce di idee altrui». Di fatto, «c’è grande attesa per le poltrone più che per il programma, che arriverà da Bruxelles o direttamente da Berlino». Continua Senaldi: «L’impomatato ricandidato a Palazzo Chigi si è fatto garante presso il Quirinale e il Pd (tra i due soggetti non c’è molta differenza) dell’accordo col M5S». Problema: «In realtà lui i Cinquestelle non li controlla. Si fa forte dell’investitura che gli ha dato Grillo, ma il comico guru è un bipolare, un giorno dice una cosa ma subito dopo già ne pensa un’altra». Altre carte, Conte non ne ha in mano: è vero che ha alle spalle Bergoglio, Merkel e Macron, ma – sul piano tattico – quello romano si annuncia come una specie di Vietnam: «Sull’ambiguità di Casaleggio junior non può contare, mentre la trimurti pentastellata ha interessi divergenti e non voga al suo comando».Di Battista? «Vuole tornare al voto per recuperare uno stipendio». Quanto a Di Maio, «già fatto quasi fuori dal M5S, non può acconsentire all’ulteriore ridimensionamento al governo che per lui vorrebbero i dem, il Colle, i grillini e il premier stesso». Roberto Fico tifa per l’inciucio, ma senza lasciare la comoda poltronissima della Camera. «L’esperienza giallorossa sarà burrascosa», vaticina Senaldi. I grillini? Sono «una maionese impazzita peggio del Pd, che al confronto è un monolite di coerenza e compattezza privo di individualismi». Per Senaldi, «Zingaretti e compagni fanno lo stesso errore che fu di Bersani e Renzi e li trattano come politici normali: propongono, mediano, ragionano. Non serve a nulla: per spuntare qualcosa col M5S bisogna imitare Salvini, altro politico senza schema, che li ascoltava, diceva loro di sì e poi faceva quello che voleva lui». Il Pd inoltre ha un altro guaio, speculare a quello dei 5 Stelle: «Neppure i dem hanno un vero segretario che può condurre i negoziati, visto che l’accordo è sponsorizzato da Renzi e che Zingaretti non entrerà nel governo. Ecco spiegato il caos, alimentato dalla figura di Conte, che virtualmente ha acquisito potere». Ma il professore «è considerato troppo vicino a Mattarella e all’Europa, quindi i grillini non gli vogliono consegnare le chiavi della macchina e rivendicano un vicepremier».Morale, la trattativa langue e la rissa sembra senza fine: «Siamo certi che continuerà anche dopo il varo del governo, che difficilmente durerà molto», dice ancora Senaldi, anche se la rediviva Daniela Santanchè, ora in quota a Fratelli d’Italia, confida al “Fatto Quotidiano”: «Non mi sento di escludere che alla fine Forza Italia decida di astenersi sulla fiducia a Conte, dando dunque soccorso a questa alleanza tra perdenti che darà vita a un governo tra trombati, in cui la “golden share” appartiene a gente come Matteo Renzi e Maria Elena Boschi». In questa situazione, dice ancora Senaldi, quando si inizierà a parlare di programmi, sarà il caos, «e non solo perché, mettendo insieme i venti punti di Di Maio e i cinque di Zingaretti non si fa neppure un ambo». Non ci sarebbe da stupirsi se i nuovi alleati di governo “si menassero” più dei precedenti, aggiunge il direttore di “Libero”: «La sintesi dei progetti di M5S e Pd (più immigrati, meno sicurezza, più spesa e meno etica per tutti) ha l’instabilità nel dna. È improbabile poi che, dopo anni passati a cercare di diventare una sinistra riformista, il Pd si consegni mani e piedi a Fratoianni e Boldrini, i cui voti però saranno indispensabili per prolungare la vita del governo». Gli sponsor dell’esecutivo giallorosso affermano che deve partire per salvare l’Italia? «Viste le premesse, pare destinato ad affondarla ancora di più».Il Quirinale, chiosa Senaldi, «potrebbe risparmiarci questo spettacolo: i film horror con il finale già scritto non valgono la pena». In proposito, sempre “Libero” si rivolge direttamente al Colle: «Sergio Mattarella sembrava essere stato chiaro: il governo che Conte sta cercando di costituire dovrà avere unità di vedute e di intenti». Vedute e intenti che però, «in questo matrimonio, dove i coniugi non hanno alcuna intenzione di unirsi, sembrano parecchio differenti». Non bastava l’inimicizia del passato: Pd e M5S non potranno mai andare d’accordo, soprattutto nella lunga battaglia per le poltrone. E qui, secondo “Libero”, il ruolo del presidente della Repubblica è fondamentale. Costantino Mortati, giurista e costituzionalista eletto nel ‘46 deputato per la Dc, diceva: «Compito del presidente della Repubblica è quello di accertare la concordanza tra corpo elettorale e parlamentare». Il quotidiano di Senaldi e Feltri riprende le parole di Mortati: il Colle «assolve a tale ruolo attraverso l’impiego dell’istituto dello scioglimento anticipato, quando vi siano elementi tali da renderlo necessario o anche solo opportuno in termini di gravi disarmonie fra attività degli eletti e sentimento del popolo». Perché ostinarsi col mostruoso Conte-bis, che ha contro la maggioranza degli elettori? «La storia – scrive “Libero” – sembra insegnare parecchio, e forse ogni tanto va ascoltata. Come in questo caso, dove gli italiani hanno il diritto di dire la loro».«Da quando l’Unione Europea di Merkel e Macron lo ha promosso cameriere capo della trattoria Italia, il professore di Volturara Appula si è montato la testa: si è persuaso di valere quanto Winston Churchill», scrive Pietro Senaldi, direttore di “Libero”, a proposito di Giuseppe Conte, il candidato del Vaticano scelto dai poteri forti per affondare il governo gialloverde, licenziare Salvini e riportare il controllo dell’Italia sotto la custodia del Pd, che ha perso tutte le elezioni degli ultimi anni (politiche, regionali, europee). Non si nasconde Angela Merkel, madrina di Conte, a cui l’allora premier gialloverde spiegava, in birreria, come avrebbe impedito a Salvini di governare. La cancelliera – racconta Goffredo De Marchis su “Repubblica” – non ha perso tempo: ha telefonato al Pd per ordinare che il Conte-bis si faccia ad ogni costo. «Il retroscena – scrive Andrea Indini sul “Giornale” – la dice lunga sulle pressioni internazionali per non far tornare gli italiani al voto». Obiettivo: «fermare la formazione di un esecutivo sovranista», specie ora che la Merkel ha subito in Sassonia l’exploit di “Alternative für Deutschland”, al 27% stando agli exit poll. «La Merkel perde a casa sua e impone il governo in Italia», sintetizza lo stesso Salvini, sempre sul “Giornale”.
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Grillology al governo, che vergogna: una calamità nazionale
Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.Il senso dello Stato e lo stato delle cose, il senso del pudore e della dignità nazionale richiedono una procedura d’urgenza. La loro degenza al governo ci preoccupa sul piano dei conti e delle cose da fare; ci preoccupa sul piano dei simboli, dei messaggi e la credibilità delle istituzioni, la storia e la cultura del paese. Ci preoccupa sul piano umano, perché è un’accozzaglia imbarazzante e scombinata, che se non fosse al governo non avrebbe alcun mestiere alternativo. Appena nascosti dietro la foglia di un premier che almeno come titolo di studio – curriculum a parte – e come capacità di figurare e saper dire, pur senza fare, si presenta come un decoroso avvocato. Ma gli altri, per carità. Mi vergogno da italiano di essere rappresentato da questa gente. E mi sono vergognato l’altro giorno a visitare il padiglione dell’Italia alla Biennale di Venezia. La cosa più prodigiosa che ho visto è stata la nave Msc e l’imbarcazione appena speronata, che giacevano, sfiniti, una a fianco dell’altra dopo il rovinoso amplesso.No, per carità, c’erano padiglioni che suscitavano stupore, interesse, curiosità. E l’arsenale e i giardini sono una meraviglia. Ma il padiglione dell’Italia era l’esatta fotografia del Nulla Assoluto italo-grillino. Un nulla ideologico però antifascista. Quella porcata, che insulta l’Italia geniale nel cinquecentenario di Leonardo, e poi di Raffaello e Dante, ma anche dei grandi artisti del nostro Novecento, ha ricevuto il plauso del ministro Bonisoli, che è il pacco dei grillini tirato ai beni culturali. Quel padiglione era l’esatta figurazione dell’Italia di Fico e della Trenta, oltre che di Di Maio e tutti gli altri. Davanti a quella porcata enfatizzata come un capolavoro con messaggio, ho avuto un fremito di cittadinanza e d’amor patrio e mi sono detto: questa roba non è l’Italia, non è il paese che la storia, l’arte, l’ingegno hanno tracciato nei secoli. E questa Non-Italia che si perde nel labirinto della vacuità è lo specchio dei grillini al governo. Urge che se ne vadano, che si tolgano dai “coglioni”. O se preferite che si tolgano i coglioni.Perdonatemi il linguaggio greve e per me inusuale, ma non riesco più a sopportare la presenza di questo circo di pagliacci e animali rintronati. Trovo che la loro unica ideologia sia, per restare nel linguaggio confacente, il testadicazzismo, derivazione del fancazzismo e delle loro capacità personali. Torno al fico maturo per l’opposizione. La presidenza della Camera a volte peggiora le persone, lo sappiamo dai suoi predecessori. Ma nel caso di Fico l’impresa di peggiorarlo era praticamente impossibile. Lui si presentava già come il massimo esponente del Nulla Grillino di Sinistra. Di più e di peggio non si poteva. Uno che come titolo di studio è laureato in canzone neomelodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando col piattino; ma, peggio, studiava i cantanti napoletani, studiava la fenomenologia di Mario Merola e Nino d’Angelo. Un genio enciclopedico. Fico della Mirandola.Uno che fino a quarant’anni, cioè fino a che non vinse la ruota della fortuna coi 5 Stelle non aveva arte né parte. Uno che rappresenta l’ala più grillina dei grillini, fanatico dell’Ideologia di Grillology. Lui è ovviamente nemico, anche per fatto personale, della meritocrazia; è totalmente appiattito sul politically correct anche in temi bioetici e ha subito sbandierato, insediandosi a Montecitorio, la sua continuità antifascista con la Boldrina. Poi i rom, i migranti… Insomma uno che rappresenta il movimentismo extraterrestre dei 5 Stelle in versione radical-pop. Peggio della sinistra c’è solo la sinistra in formato grillino. E in tutto questo, per i media e le Massime Cariche nel nostro Paese, Papa incluso, il pericolo più grave per l’Italia, i suoi conti e la sua tenuta è Salvini… Non so se convenga nel gioco politico far saltare ora il governo, e convenga che il fico maturo cada da sé dalla pianta; non so se sia pericoloso esporsi con una crisi al pressing europeo e rimettere il pallino nelle mani di Mattarella. Ma i grillini al governo sono un’emergenza nazionale. E’ urgente il foglio di via, che s’imbarchino in fretta sulla Sea Wacht per il percorso inverso.(Marcello Veneziani, “Urge cacciare i grillini dal governo”, da “La Verità” del 4 giugno 2019).Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.
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Omran e la fake news sulla Siria riesumate da Mattarella
Che a diffondere fake news fossero “Repubblica” e affini eravamo abituati – a proposito, aspettiamo sempre che Facebook inizi un attento monitoraggio in linea con quanto affermato recentemente nella cosiddetta lotta alle pagine che diffondono bufale. Che fosse il presidente della Repubblica in modo così plateale meno, siamo onesti. In occasione di una commemorazione per i 100 anni di Save The Children, in uno stralcio del discorso, Mattarella ha dichiarato, secondo quanto riportano Agi, Ansa e altre agenzie: «Credo che tutti rammentiamo l’immagine del bambino siriano in ospedale, coperto di polvere, dopo il bombardamento della sua abitazione: quell’immagine ha commosso tanti nel mondo. Ma occorre che la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo». Sulle fake news che hanno giustificato i crimini contro la Siria, Save the Children è esperta (come abbiamo spesso denunciato), ma Mattarella ha proprio scelto la madre di tutte le bufale per elogiare la Ong oggi.Non nominandolo direttamente, il presidente Mattarella infatti allude chiaramente alla storia di Omran Daqneesh, divenuta celebre in tutto il mondo perché strumentalizzata dai famigerati “Caschi Bianchi” durante la propaganda mondiale prima della liberazione di Aleppo da parte dell’esercito siriano e dei suoi alleati (in particolare Russia, Iran e Hezbollah). Vi ricordate le mani di Saviano, Boldrini e Volo davanti la bocca in quei momenti? Ecco, Omran faceva parte di quella stessa strategia per impedire che gli abitanti di Aleppo tornassero a vivere in uno stato laico e moderno, dopo anni di torture sotto il giogo di quei terroristi che l’Occidente ha finanziato, supportato e armato. Qualcosa, tuttavia, si inceppò, nella macchina della propaganda. E proprio sul caso di Omran: l’autogol fu tanto clamoroso quanto censurato da tutti gli organi mainstream. Fu il padre stesso di Omran a denunciare la messa in scena, e la Russia portò il caso al Consiglio dei diritti umani di Ginevra, chiedendo formalmente ai mass media di rettificare la fake news diffusa. In questo resoconto di Rossi sul “Giornale” è raccontata molto bene l’intera vicenda.Per un politico come Mattarella, che ha recentemente preso aperta posizione a sostegno del golpe Usa contro il Venezuela e che in passato ha avuto un ruolo attivo nella decisione italiana di aderire ai bombardamenti contro Belgrado, non può certo sorprendere la sua posizione sulle vicende siriane. Meno chiaro a molti, proprio perché immersi nelle fake news quotidiane, è chi governava ad Aleppo prima della liberazione. E chi continua ad infestare la Siria, ad esempio ad Idlib. Proprio oggi i terroristi (ribelli moderati nella vulgata di regime) hanno pubblicato questo video (“Gruppo ribelle, appoggiato dai turchi, che vuol passare per ‘moderato’, decapita soldato siriano”). E’ altamente sconsigliato ad un pubblico sensibile ma è più efficace di ogni parola possibile. Perché «la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo», è necessario estirpare completamente il terrorismo importato dall’Occidente in Siria. Chi non si esprime chiaramente in merito, Ong o politico che sia, non ha nessun diritto di pontificare sui diritti umani.(“Sergio Mattarella e le fake news contro la Siria”, da “L’Antidiplomatico” del 13 maggio 2019).Che a diffondere fake news fossero “Repubblica” e affini eravamo abituati – a proposito, aspettiamo sempre che Facebook inizi un attento monitoraggio in linea con quanto affermato recentemente nella cosiddetta lotta alle pagine che diffondono bufale. Che fosse il presidente della Repubblica in modo così plateale meno, siamo onesti. In occasione di una commemorazione per i 100 anni di Save The Children, in uno stralcio del discorso, Mattarella ha dichiarato, secondo quanto riportano Agi, Ansa e altre agenzie: «Credo che tutti rammentiamo l’immagine del bambino siriano in ospedale, coperto di polvere, dopo il bombardamento della sua abitazione: quell’immagine ha commosso tanti nel mondo. Ma occorre che la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo». Sulle fake news che hanno giustificato i crimini contro la Siria, Save the Children è esperta (come abbiamo spesso denunciato), ma Mattarella ha proprio scelto la madre di tutte le bufale per elogiare la Ong oggi.
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Quale 25 Aprile e quale Liberazione, nella Colonia Italia?
Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.Insomma, discorsi da Balcone, dalla cui pomposa prosopopea cerimoniale, nel caso specifico del tutto abusiva, immancabilmente esalano i vapori dell’ipocrisia e dell’autorità fondata su chiacchiere e distintivo. E a volte, su felpe e giubbotti, abusivi pure questi. Tutte cose che con i fasti evocati da lontano, sempre senza averne i titoli, abusivamente, hanno il compito di coprire i nefasti del presente e dei presenti. Non ho partecipato ad alcuna celebrazione, ufficiale o ufficiosa, trovandole tutte spurie e inquinate. Dal Quirinale a un’Anpi che condivide con tutte le sinistre la perdita di sé e che si mette ad arzigogolare sull’equivalenza tra nazifascismo e quello che i superrazzisti dell’Impero e delle sue marche definiscono razzismo. Mistificando per tale quello di chi smaschera l’operazione colonialista, detta globalizzazione, ai danni dei dominati del Sud e del Nord. Gli sciagurati sovranisti, identitari, refrattari alla levigatezza dell’uniformato. Seppure lo definiscano tale, non ne fa sicuramente parte Matteo Salvini, sovranista farlocco e sfascia-Italia del “prima gli italiani”, purchè si tratti di trafficoni eolici, trivellatori di terre e mari, sfondatori di valli e montagne, magna magna di ogni genere, cravattai lombardoveneti, insomma tutti i missi dominici dell’Impero.Genìa che è stata decisiva perché i risultati del 25 aprile fossero consegnati nelle mani e nelle borse dei nuovi invasori. Genìa maledetta. E’ stato lo spirito dei tempi coronati dal 25 aprile e subito successivi che ha innalzato l’Italia – dal fascismo squadrista frantumata in giovani obnubilati, popolo plebeizzato e impecoranato, federali in stivali e loro mignotte, intellettualità sedotta, asservita e abbandonata, brutalità ed elementarietà di azione e pensiero (salvo grandi architetti) – ai livelli di un passato come quello dei Leopardi e dei moti ottocenteschi. Che ha prodotto i Fenoglio, Calvino, Pavese, i De Sica, Rossellini, Monicelli, giganti che hanno nanificato, moralmente e culturalmente, tutto quello che è venuto dopo e che formicola a petto in fuori nei Premi Strega e Bancarella. Si può dire, e spiacerà ai nonviolenti, di vocazione o altro, che quello Zeitgeist, così generoso, è uscito dalla canna di un fucile.Da ex-direttore responsabile e inviato di guerra del quotidiano “Lotta Continua” e militante (a lungo latitante) di quell’organizzazione, che contro il fascismo aggiornato del consociativismo di regime, con il suo terrorismo di Stato, pure qualcosa ha fatto, mi permetto, nel mio piccolo e intimo, di ringraziare i partigiani tutti. Formazione di popolo. Più di tutti quelli garibaldini, e rigettare nel buco nero dell’esecrazione gli Alleati, che ai primi hanno sottratto e pervertito la vittoria, poi procedendo a sottrarre e pervertire ciò che di ogni vivente fa quello che è: la sovranità sua, della sua comunità, del suo passato, presente, futuro, nome. Di questo gli antifascisti da terrazzo, antisovranisti del re di Prussia, non sanno e non dicono, bisognosi come sono dei cartonati in camicia nera e saluto romano per occultare il fascismo global-digital-finanziario che li ha reclutati e di cui si sono inoculato il virus. Il che non mi impedisce, sia detto per inciso, di trasecolare a fronte di chi insiste a definire Piazzale Loreto “giustizia di popolo”.Stessa matrice. Oggi si vedono sul palcoscenico della commedia nazionale e occidentale, in grande spolvero, nuovi “antifascisti”. Ce ne sono addirittura di patrocinati da George Soros, che non si fa scrupoli di affiancarli all’altra sua creatura: “Me too”. Come sempre quando il pifferaio riesce a riunire e riconciliare in un’unica truppa ratti e bambini ignari, li si trovano, schiamazzoni e autocertificati, dall’estrema sinistra a quella vera destra che si dice vuoi centrosinistra, vuoi centrodestra. Virgulti, balilla e giovani italiane del Nuovo Ordine Mondiale, puntano quello che in artiglieria viene chiamato “falso scopo” (e il puntamento indiretto verso un obiettivo non individuabile a vista). In parole semplici, additando un chihuahua ringhiante nei bassifondi ideologici urbani, si urla “al lupo, al lupo”, con l’effetto di distogliere la nostra mira dal lupo mannaro vero che tiene al guinzaglio chi urla. (Chiedendo scusa al lupo per la becera metafora fiabesca. E ricordando che il ministro dell’ambiente 5 Stelle, Costa, proibisce di abbattere i lupi, mentre Salvini, forte di mitraglietta, ne autorizza l’abbattimento: fatto che contiene in nuce tutto il significato delle temperie in cui il post-25 aprile, tradito come nemmeno il presunto Giuda il presunto Gesù, ci ha ingabbiato e nelle quali, o i 5 Stelle staccano la spina, o rischiamo il corto circuito e il black out loro e di tutti noi).Il discorso della Liberazione va ripreso ab imis fundamentis. E’ per questo che ho spostato le mie commemorazioni-celebrazioni a due giorni dopo, il 27 maggio del 1937. E il giorno tristissimo della morte di Antonio Gramsci (io c’ero già e ricordo una serie di quaderni di mio padre con sopra, imparai dopo, le immagini, tra altre, di Marinetti, D’Annunzio, Gozzano, Leopardi e Gramsci). Non significa niente, ma sono contento di esserci già stato quando ancora viveva Gramsci. E’ insensato, ma mi pare che così sono in qualche modo contemporaneo e, quindi, più partecipe di quel “popolo” a cui questo sardo degno della sua terra ha ridato un nome, un’identità, un progetto, nel tempo che più lo ha visto conculcato, mistificato, sviato da una storia che era iniziata con Dante, che aveva serpeggiato per secoli e che si era rifatta prorompente con la Repubblica Romana e le altre affini, incancellabili madri dei nostri partigiani. Come Anita Garibaldi, che, sul colle Gianicolo, sparava ai francesi rinnegati, lo è specificamente delle nostre partigiane. E come lo era anche delle brigate femminili alla Comune di Parigi (dove c’erano pure i dai neoborbonici esecrati garibaldini!). Che nessun movimento o gruppo femminista ricorda e onora, preferendo icone tipo Hillary o Boldrini.(Fulvio Grimaldi, “Quale 25 aprile. Quale 27 aprile. Quale liberazione”, dal blog di Grimaldi del 26 aprile 2019).Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.
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“Progressisti” alle europee: Laura Boldrini, una garanzia
«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).Per un progressista italiano – un sincero democratico – avere di fronte Laura Boldrini alle prossime elezioni europee sarebbe magnifico: un perfetto replay del funesto referendum costato la vita, politicamente, a Matteo Renzi, altro campione (scorrettissimo) del “politicamente corretto”. Che ghiotta occasione, per milioni di elettori: se molti di loro non saranno ancora pienamente convinti dall’ibrida alleanza gialloverde, a chiarir loro le idee provvederebbe all’istante Laura Boldrini, icona perfetta di tutto quello che in Italia ha smesso di funzionare – ma nel modo più subdolo, cioè evitando di farlo sapere agli italiani. L’erosione dei diritti del lavoro, la flessibilità del precariato, i tagli sanguinosi al welfare e alle pensioni, i ticket della sanità privatizzata. E in generale, tutto il paese regalato – a fette, a trance, a tonnellate – a imprenditori affamati di profitto, a capitali franco-tedeschi, a consorterie paramassoniche di origine atlantica che poi magari evitano di spendere soldi nella manutenzione dei beni ottenuti in omaggio, fino al punto da lasciar crollare – con morti e feriti – anche i viadotti autostradali. Chi c’era, a Palazzo Chigi, mentre tutto questo accadeva? Romano Prodi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato. Un’ombra di autocritica, dal centrosinistra? Non pervenuta. In compenso, riecco Laura Boldrini.Resuscita, la Boldrini – e con lei Martina e i gregari del Pd e dintorni, comparse di cui si stenta a ricordare i nomi – solo grazie al furore mediatico che si abbatte su Salvini, il quale insiste nel bloccare gli sbarchi dei migranti per mettere in difficoltà gli strozzini europei dell’Italia, per niente sicuro che il suo governo gialloverde riesca, in autunno, a disobbedire all’eterno diktat di Bruxelles riuscendo a finanziare almeno in parte la riduzione delle tasse, la riforma della legge Fornero, l’istituzione dello sbandierato reddito di cittadinanza. Tutte cose che suonano estremamente democratiche, persino “di sinistra” per usare l’obsoleto lessico boldriniano, visto che si tratterebbe che lasciare più soldi in tasca agli italiani. Ma appunto, non se ne parla: deve morire (sotto l’accusa di xenofobia) il primo governo che lavora per gli italiani, non a caso temuto e detestato dai poteri che tifano per Laura Boldrini e contro il popolo italiano. Che dire, ad esempio, del campione dei diritti umani Emmanuel Macron, devoto amico di Papa Bergoglio? E che dire del venerabile Günther Oettinger, secondo cui saranno “i mercati” a insegnare agli italiani come votare? A proposito: è stato proprio Oettinger a proporre a Strasburgo il disegno di legge che avrebbe imbavagliato il web, pochi mesi dopo la martellante campagna finanziata dalla stessa Boldrini contro le “fake news” della Rete. Che ticket formidabile, Boldrini-Oettinger: un invito a nozze, per gli elettori progressisti impegnati a scegliere, nella primavera 2019, tra “due visioni del mondo”.Così come oggi Laura Boldrini non esisterebbe neppure più, senza Matteo Salvini, è una vera fortuna che l’ex presidente della Camera sia ancora in campo, in vista delle prossime europee: la sua candidatura avrà il potere, prodigioso, di motivare gli incerti. Tutto diventerà lampante: gli elettori avranno un’occasione d’oro per bocciare sonoramente, una volta per tutte, partiti e politicanti sedicenti progressisti, che hanno letteralmente assassinato ogni residua istanza progressista in Italia, ogni barlume di residuale democrazia. Sono gli infidi maggiordomi del rigore, i sacerdoti dell’austerity, i cavalieri del Fiscal Compact. Sono i farisaici notai del pareggio di bilancio inflitto all’Italia come una micidiale piaga biblica, da cui il paese non si è ancora ripreso – né potrà farlo, come noto, senza una robusta, radicale, rivoluzionaria sterzata. Una mareggiata, a livello europeo, con centinaia di milioni di elettori disposti a inviare a Bruxelles l’ultimo avvertimento: o si straccia il Trattato di Maastricht, che affida ai banchieri della Bce il governo del continente, o l’Europa salta per aria. Servirà un plebiscito, come quello che mandò a casa Renzi. E quindi servirà – più che mai – Laura Boldrini, a ricordare agli italiani come votare, per mandare finalmente a casa tutti gli Oettinger, i ladri, i bari e i professori del “politically correct” che ancora fanno la morale all’Italia, dopo averla razziata e affondata per conto dei soliti, potenti padroni stranieri.«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).
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Boeri e la rivoluzione, la sinistra-chic che domina il popolo
Anni Settanta. Squilla il telefono nell’elegante casa di Renato e Cini Boeri. Il domestico solleva la cornetta, la pone con calma all’orecchio; sente gracchiare una voce: dall’altro capo del filo qualcuno reclama il giovane Tito. Il sottoposto di classe non si scompone; ne ha viste tante; solo dichiara: «Il signorino Tito non c’è, è fuori a fare la rivoluzione». Formidabili quegli anni!, sentenziò in un suo goffo libro Mario Capanna, già coordinatore di Democrazia Proletaria. Capanna fu uno dei volti belli della sinistra d’antan, assieme all’indimenticabile Lucio Magri, co-fondatore de “Il Manifesto”, atletico e abbronzato, amante di Marta Marzotto, conosciuta in casa di Eugenio Scalfari – la bella Marta, a sua volta amante di Renato Guttuso che la immortalò, gnuda, in numerosi, orridi, teloni a olio. Magri, intelligente e rigoroso, completamente disinteressato alla classe proletaria, di cui ignorava tutto, ma assai esigente in alcuni ambiti extraparlamentari: «Guai se per il gigot d’agneau non c’erano il purè di mele e la salsa di menta: non ci si poteva sedere a tavola. O se i chicchi di caviale non erano g-g-g … grossi grani grigi».Disinteressato agli ultimi? Ho sbagliato, lo riconosco; sono stato ingiusto. Mi correggo: egli, pensoso e infelicissimo, come dichiarò – a Magri morto – la Marzotto, era, invece, prepotentemente assorbito dalle superne cose de l’etternal gloria (della sinistra): tanto superne da situarlo stabilmente (e inevitabilmente) fuori delle pulsioni del proletariato. Un fenomeno che venne testimoniato plasticamente da una Tribuna Politica in cui il Nostro, quale esponente del Pdup (Partito di Unità Proletaria, appunto), rimase imparpagliato davanti alla domanda d’un giornalista che gli chiese conto del prezzo d’un litro di latte: i vani bofonchiamenti di risposta testimoniarono le sue esclusive, celesti, preoccupazioni. Così va il mondo; o meglio, così andava nel secolo ventesimo. Ma torniamo a Tito. Nipote di un deputato del Regno d’Italia (Giovanni Battista Boeri, Gran Maestro della Massoneria nella loggia Giuseppe Garibaldi, quindi fascista nel 1924, poi antifascista non si sa quando, e finalmente senatore, stavolta della Repubblica italiana), e figlio dell’architetta Cini Boeri (al secolo: Maria Cristina Damiani Dameno) e dell’illustre neurologo milanese Renato, già comandante di una banda partigiana assieme al fratello Enzo.I fratelli: Sandro (giornalista di “Panorama” e direttore di “Focus”, di largo successo) e Stefano (architetto e urbanista, di largo successo, e politico, di largo successo pure qui, e rivoluzionario, nel Movimento Studentesco del 1975, tanto rivoluzionario che fu rinviato a giudizio per la morte di Claudio Varalli, suo compagno di lotta, caduto durante l’aggressione «rapidissima, premeditata, violentissima» contro lo studente del Fuan Antonio Braggion; Braggion, vistosi perduto a fronte di trenta uomini, prima si rifugò nella propria auto, poi esplose tre colpi di pistola. Varalli rimase a terra; gli altri, fra cui Boeri, fuggirono. Fu istruito il processo. Ci si predispose alla sentenza esemplare fra notevoli strepiti di trombette. Il Caso, tuttavia, imperituro signore delle vicende umane, volle che intervenisse, in tal caso – un caso con la minuscola, però – il pietoso istituto giuridico della prescrizione; intervenne a lenire ferite morali e fisiche e umane e storiche come nardo di Betania: di tutti, di tutti! … non di Braggion, tuttavia, che si beccò dieci anni complessivi, poi ridotti a sei, per eccesso colposo di legittima difesa: un comportamento che, se non altro, gli salvò la pelle, a differenza di Sergio Ramelli, morto un mese prima, povero lui, col cranio spaccato dalle chiavi inglesi Hazet 36, dopo un’agonia terribile).Voi direte: ma dove vuole arrivare questo? A poche cose. La prima. Di questa gente, i vari Boeri Veltroni Fedeli Boldrini e gli altri pontieri della sinistra, occorre fidarsi come Don Vito Corleone si fidava di Hyman Roth: zero. Un consiglio che dispenso ai più saggi. Boeri e compagnia (e tutti coloro che vi cedono, compresi alcuni esponenti della destra) vanno sradicati dall’Italia. E non a parole. La seconda. Boeri è di sinistra e, quindi, quanto di più lontano dal socialismo possa esserci. La sinistra italiana promana delle rivoluzioni colorate del 1968 e dintorni, ordite proprio per depotenziare il socialismo assieme a correi circensi come Marco Pannella. Distinguere i due ambiti sociali, storici, psicologici, antropologici è essenziale. Esempio: il comunista vuole liberare l’uomo dall’ignoranza, la sinistra dal nozionismo. Risultato: mai visti tanti ignoranti. Il comunista vuole liberare l’uomo dalla povertà, la sinistra fa della povertà una bandiera fashion (e, infatti, mai visti tanti miserabili con l’iPhone come oggi). Il comunista crede nell’eguaglianza dei diritti materiali, la sinistra nell’espansione dei diritti civili (cioè a niente). Il comunista è fuori della Storia, ormai; la sinistra, invece, è la Storia.I festeggiamenti della Coppa del Mondo (e lo sport olimpico-ecumenico) sono di sinistra; il capitalismo angloamericano è di sinistra (ma questo è matto! per questo ci vuole la camicia di forza!); Giovanni Agnelli, chez Eugenio Scalfari, laico confessore con la ruga sulla fronte, fu di sinistra; Juncker è di sinistra, come la Merkel; Beyoncé è di sinistra, come i telefilm americani, Don Matteo e la Blackwater; Berlusconi è di sinistra; George W. Bush è di sinistra; il Vaticano è di sinistra; Equitalia è di sinistra; i Neo-Con americani sono di sinistra; la Fao, l’Unicef, l’euro, Draghi, la Banca Mondiale sono di sinistra; Luttwak e la Boldrini sono di sinistra; l’Oscar e il Premio Strega sono di sinistra, come gli sceicchi e Cristiano Ronaldo e la regina Elisabetta II; la tecnologia è di sinistra, come il botulino; il Live Aid è di sinistra così come i tagliagole di Palmira e il sessuomane Michel Houellebecq; anche la destra è di sinistra, come le parabole sinistre di Giorgia Meloni e Giuliano Ferrara ci testimoniano abitualmente.La sinistra è solo la nuova vaselina escogitata dal potere. Come possiamo far accettare a otto miliardi di belinoni una schiavitù dolce e una esistenza piatta, miserabile, stupida, idiota? Con lo stato di polizia, la guerra, la repressione? Macché, molto meglio “Imagine” (“Imagine there’s no countries / nothing to kill or die for / and no religion too / imagine all the people living life in peace…”). La sinistra è un modo di governo, un inganno al contrario, uno specchietto per allodole, un trucchetto per far scalciare le mandrie del cretinismo digitale (fascista! Comunista!). Il Potere è apolide, parassita, invasivo, piratesco. Prima o poi dovrete abbandonare le finte trincee ideologiche e grattarvi pure questa bella rogna, l’unica vera rogna da grattare oggi: un po’ più a destra, un po’ a sinistra, sotto l’ombelico e dietro la cucuzza, dove volete voi.(“Young Signorino”, da “Il Blog di Alceste” del 16 luglio 2018).Anni Settanta. Squilla il telefono nell’elegante casa di Renato e Cini Boeri. Il domestico solleva la cornetta, la pone con calma all’orecchio; sente gracchiare una voce: dall’altro capo del filo qualcuno reclama il giovane Tito. Il sottoposto di classe non si scompone; ne ha viste tante; solo dichiara: «Il signorino Tito non c’è, è fuori a fare la rivoluzione». Formidabili quegli anni!, sentenziò in un suo goffo libro Mario Capanna, già coordinatore di Democrazia Proletaria. Capanna fu uno dei volti belli della sinistra d’antan, assieme all’indimenticabile Lucio Magri, co-fondatore de “Il Manifesto”, atletico e abbronzato, amante di Marta Marzotto, conosciuta in casa di Eugenio Scalfari – la bella Marta, a sua volta amante di Renato Guttuso che la immortalò, gnuda, in numerosi, orridi, teloni a olio. Magri, intelligente e rigoroso, completamente disinteressato alla classe proletaria, di cui ignorava tutto, ma assai esigente in alcuni ambiti extraparlamentari: «Guai se per il gigot d’agneau non c’erano il purè di mele e la salsa di menta: non ci si poteva sedere a tavola. O se i chicchi di caviale non erano g-g-g … grossi grani grigi».
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Mattarella, blitz contro Salvini sui migranti. Cade il governo?
Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.Le eventuali dimissioni del “governo del cambiamento”, che farebbero felici tutti i nemici dell’Italia – da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Francoforte – sarebbero ovviamente una tragedia per l’opposizione post-renziana, ormai tenuta in vita solo dal tifo anti-Salvini orchestrato dai media mainstream e da eterne comparse come Laura Boldrini a Roberto Saviano. L’attacco concentrico contro la Lega, vero perno dell’ipotesi sovranista europea sorretta a distanza dalla presidenza Trump, ha assunto tratti spettacolari: ai puntuali sgambetti di Mattarella si somma l’iniziale attacco della finanza neoliberista franco-tedesca sotto forma di spread, seguito dalla clamorosa gita turistica di Macron, invitato a Roma da Papa Bergoglio come super-ospite, dopo che il presidente francese, uomo Rothschild ed esponente della supermassoneria reazionaria, si era esercitato a insultare l’Italia e gli italiani. Macron, che dà lezioni all’Italia sui diritti umani, ha ordinato il pestaggio dei migranti al confine di Ventimiglia e fatto intervenire la gendarmeria transalpina a Bardonecchia, violando gli accordi di frontiera tra i due paesi.Dulcis in fundo, il macigno che la magistratura ha caricato sulle spalle di Salvini, costretto a rispondere – in solido – di 49 milioni “fantasma”, teoricamente scomparsi dalle casse del partito durante la gestione Bossi e ora messi in conto alla Lega salviniana, con provvedimento esecutivo, senza neppure attendere il secondo grado di giudizio. Una sentenza, quella sui presunti fondi scomparsi, che equivale a privare la Lega della possibilità di fare politica, esercitando il mandato democratico ottenuto dagli elettori il 4 marzo. Variegate forze – dalla Bce alla Banca d’Italia, dall’Ubi (l’unione della banche italiane) fino a Confindustria – stanno combattendo all’arma bianca contro la possibilità che il governo gialloverde possa durare. Pericolosi, ovviamente, i distinguo di alcuni grillini di peso: il ministro della difesa Elisabetta Trenta contesta a Salvini le modalità del blocco dei porti, mentre il presidente della Camera, Roberto Fico, invoca il valore dell’accoglienza “senza se e senza ma”, bocciando di fatto la politica del governo sull’immigrazione.Nelle ultime settimane, intanto, emerge finalmente l’altra verità sul traffico di migranti promosso dalle Ong sostenute dalla rete Open Society di George Soros: non si tratterebbe di un “esodo della disperazione”, ma di un trasferimento di massa programmato. Decine di migliaia di africani (non i più poveri, solo quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti) verrebbero incoraggiati a lasciare i loro paesi con il miraggio di un welfare assistenziale generoso, in Italia e nel resto d’Europa. Naturalmente il problema-Africa è devastante, nelle sue proporzioni: Salvini lo utilizza ruvidamente in chiave anti-Ue, mentre i “vedovi” della sinistra di potere lo cavalcano, disperatamente, solo in funzione anti-Salvini. Spuntando – con l’aiuto del Quirinale – l’arma principale dell’Italia contro i diktat di Bruxelles, la corda potrebbe spezzarsi: Salvini sa che la maggioranza degli italiani è con lui, nuove elezioni potrebbero trasformarsi in plebliscito. Resta però da capire come la vede il convitato di pietra del governo Conte: cioè Donald Trump, che sembra puntare proprio sul governo gialloverde per “smontare” l’euro-orrore capitanato dalla Germania merkelizzata.Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.
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Scanu: sovranità svenduta illegalmente all’oligarchia Ue-Bce
Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».Sovranità? Un concetto complesso, «lungamente dibattuto nella filosofia del diritto, in parallelo al percorso storico che porta alla formazione degli Stati moderni». Intesa come sovranità dello Stato – argomenta Patrizia Scanu – esprime l’idea che lo Stato, inteso come persona giuridica, abbia esclusivo potere nell’ambito del proprio territorio. Uno Stato indipendente da altri poteri esterni, che esercita una supremazia nei confronti dei suoi abitanti. Il filosofo Thomas Hobbes, che pure aveva una visione assolutista del potere statale, lo vedeva comunque originarsi da un “contratto sociale” stretto fra gli uomini: per contenere la violenza insita nella loro natura, gli individui cedono la sovranità allo Stato, sottomettendosi totalmente ad esso. «Nella versione più attuale, che si avvale delle riflessioni successive di Grozio, Althusius, Locke e soprattutto Rousseau, e delle discussioni dei coloni della Nuova Inghilterra fra ‘600 e ‘700 – spiega la professoressa Scanu – la sovranità non solo si origina, ma resta nel popolo, poiché gli esseri umani ne sono titolari a prescindere dall’ordinamento giuridico dello Stato». Si parla perciò di “sovranità popolare”, nel senso che i cittadini – individui liberi e sovrani, portatori di diritti – concordano di delegare allo Stato la sovranità, per far funzionare la società in modo ordinato, restandone però unici titolari.I governanti – almeno nelle democrazie indirette – sono rappresentanti del popolo, scelti ed espressi dalla sovranità popolare e agiscono in nome e per conto del popolo, che li può revocare e sostituire. Come recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana, “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ovvero la esercita per lo più nelle modalità della democrazia indiretta e rappresentativa e nella cornice dell’ordinamento giuridico dello Stato. La Costituzione, sottolinea Patrizia Scanu, prevede anche una limitazione alla sovranità. All’articolo 11, dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La Costituzione dice, insomma, che la sovranità è e resta del popolo, ma che lo Stato può accettare particolari limitazioni alla sovranità all’unico scopo di assicurare la pace e la giustizia a livello internazionale (sentite evidentemente come un bene superiore) e in condizioni di parità con altre nazioni.Ma limitare – a certe condizioni – la propria sovranità vuol dire cederla? No: limitare e cedere non sono ha stessa cosa, come ha rilevato il Gip del tribunale di Cassino, Massimo Lo Mastro, in un decreto emesso in risposta ad una opposizione all’archiviazione di una denuncia dell’avvocato Marco Mori contro Laura Boldrini. «Proprio perché senza sovranità lo Stato non esisterebbe, i limiti della Costituzione in materia di compressione del potere d’imperio dello Stato sono rigorosi». Proprio per questo, scrive Lo Mastro, il legislatore si è occupato di sanzionare penalmente la lesione del potere d’imperio dello Stato: si parla infatti di “delitti contro la personalità giuridica internazionale dello Stato” ove ne risultino integrati gli estremi soggettivi e oggettivi. Sulla base dell’articolo 11 della Costituzione, aggiunge il magistrato, la sovranità non può dunque essere ceduta, ma solo limitata. E anche le mere limitazioni hanno ulteriori “limiti”: «Fermo il divieto assoluto di cessioni, la limitazione della sovranità può avvenire unicamente in condizioni di reciprocità ed al fine esclusivo (ogni altra soluzione è stata espressamente bocciata in seno all’Assemblea Costituente) di promuovere un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».Limitare, precisa il magistrato, significa «circoscrivere un potere entro certi limiti», ovvero «omettere di esercitare il proprio potere d’imperio (che pure deve rimanere intatto) in una determinata materia, oppure di esercitarlo all’interno di certi limiti generalmente riconosciuti dal diritto internazionale ai fini di pace e cooperazione fra le nazioni». Tutto questo, purché il contenimento del proprio potere (che “appartiene al popolo”) sia in ogni caso rispettoso dei limiti costituzionali. «La cessione di sovranità – chiosa Lo Mastro – comporta invece la consegna ad un terzo di un potere d’imperio proprio di uno Stato che così per definizione perde anche la propria indipendenza». Questo vuol dire che, se cessione di sovranità c’è stata – e c’è stata sicuramente, scrive Patrizia Scanu, visto che se per esempio la Bce è indipendente ed ha sovranità monetaria – significa che noi vi abbiamo rinunciato e abbiamo perso l’indipendenza. Una cessione dunque «non legittima»: chi l’ha permessa «ha commesso un reato». Alla lettera: «Nessun trattato europeo può avere più forza della nostra Costituzione. Un presidente della Repubblica non può subordinare la sovranità popolare ai vincoli di trattati internazionali; semmai deve fare il contrario», scrive la Scanu, visto che «ha giurato di difendere la Costituzione», non i trattati europei.Restando al popolo la sovranità, quei trattati «possono pacificamente essere ridiscussi o rigettati, purché nelle forme previste dalla Costituzione, ovvero se questa è la volontà del popolo, espressa con il voto». Questo, osserva Patrizia Scanu, «vuol dire anche che la via d’uscita da questa situazione intollerabile consiste nel riprendersi la sovranità così malamente compressa e calpestata». In altre parole: «Rivendicare sovranità – prima di tutto, sovranità monetaria – non vuol dire né tornare agli Stati nazionali del periodo pre-bellico né uscire dall’Unione Europea né necessariamente uscire dall’euro. Vuol dire al contrario portare a compimento quel processo di federazione europea che farebbe dell’Europa un contrappeso adeguato al dominio delle grandi potenze, Usa e Cina soprattutto (non certo spettatori disinteressati)». Significa «riprendersi la facoltà di emettere moneta nazionale», magari sotto forma di Stato-note o di crediti fiscali, come spiega da tempo l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: una misura percorribile anche senza uscire dall’euro. Vuol dire «riportare sotto controllo dei cittadini i poteri extranazionali, non eletti e cooptativi che ci hanno imposto questo ordine neoliberista», in primis la Commissione Europea e la Bce per «riportare in primo piano il benessere e i diritti dei cittadini, invece delle esigenze della finanza internazionale».Insiste Patrizia Scanu: «Non è pensabile una sovranità europea che si costituisca per cessione della sovranità nazionale, come sommatoria di non-Stati, perché senza sovranità popolare non c’è Stato democratico, e se i cittadini di un paese non possono esprimere la loro volontà politica, non siamo più in democrazia». Lo Stato moderno? «E’ entrato in crisi con la globalizzazione, ma non abbiamo ancora inventato una forma politica diversa». I trattati europei? «Sono contratti giuridici fra Stati nazionali, che sono i soggetti contraenti, ciascuno pienamente titolare della propria sovranità: rinunciare ad essa è un suicidio». Impossibile fare scempio in questo modo del vecchio continente: «L’Europa è troppo ricca di storia e di differenze nazionali perché esse possano essere ignorate, ma è anche effettivamente portatrice di una cultura condivisa e di una coscienza comune. Lo scenario attuale è desolante, perché disattende i principi istitutivi dell’Unione Europea». Lo ricorda lo stesso Paolo Savona nel 2015: in teoria, l’Ue aveva formalmente promesso «lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale», senza trascurare «la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».La crisi della Grecia – osserva Savona – ha mostrato quanto la realtà sia lontana dalle enunciazioni di principio: «Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale, perché appare vantaggiosa a pochi paesi capeggiati dalla Germania». Per Patrizia Scanu, «stiamo assistendo a una feroce competizione economica fra gli Stati dell’Unione, a cominciare dal mercantilismo tedesco, a uno spaventoso trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi e dall’economia reale ai mercati finanziari». E abbiamo governi che, uno dopo l’altro, «hanno tradito lettera e sostanza della Costituzione, cedendo progressivamente quote di sovranità per loro indisponibili, rendendoci subalterni a poteri oligarchici, estranei e autoreferenziali che tutto hanno a cuore, fuorché il nostro interesse di cittadini». Prima risposta: «Prendere consapevolezza del colossale inganno perpetrato a nostro danno, con l’illusione del sogno europeo». E quindi, «ridiscutere radicalmente i trattati europei, per rifondare l’Europa su basi autenticamente democratiche». Può sembrare un paradosso, conclude Patrizia Scani, ma «chi critica l’euro e i trattati europei ha l’Europa più a cuore di chi si straccia le vesti di fronte ad ogni ipotesi di cambiamento, come stanno facendo in questi giorni i dirigenti del Pd ormai in pieno stato confusionale, e intanto svende senza contraccambio (almeno per noi) la nostra sovranità nazionale, la nostra economia e il nostro futuro».Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».