Archivio del Tag ‘lavoro nero’
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Senza lavoro un americano su tre, 100 milioni di persone
Un americano su tre è senza lavoro: oltre 102 milioni di persone, su una popolazione che nel 2015 ammonta a circa 320 milioni di individui. A lanciare l’allarme è un analista come Michael Snyder, mai tenero con l’establishment: «ll governo federale utilizza molto attentamente numeri manipolati per coprire la depressione economica schiacciante che sta interessando questa nazione». A settembre, Washington ha annunciato 142.000 nuovi posti di lavoro. «Se questo fosse effettivamente vero, sarebbe a malapena sufficiente per tenere il passo con la crescita della popolazione. Purtroppo, la verità è che i numeri reali sono in realtà molto peggiori». I numeri “non aggiustati”, afferma Snyder, mostrano che l’economia americana, in realtà, ha perso 248.000 posti di lavoro nel solo mese di settembre, e che lo stesso governo ha conteggiato più di un milione di americani nella categoria “Non nella forza lavoro”. Eccola, l’illusione ottica: «Secondo l’amministrazione Obama, attualmente ci sono 7,9 milioni di americani che sono “ufficialmente disoccupati” e altri 94,7 milioni americani in età lavorativa che sono fuori dalla forza lavoro. Questo ci dà un totale di 102,6 milioni di americani in età lavorativa che non hanno un lavoro in questo momento».
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Licenziare il precariato? Lavoro a minuti e nero di gruppo
La nuova disciplina del lavoro (job) varata pochi giorni fa dal governo (government) e ottusamente osteggiata dai sindacati (trade unions), rappresenta per i lavoratori italiani una grande occasione di riscatto, crescita e progresso (anal intruder). Ce lo confermano, tra l’altro, i festeggiamenti di numerosi lavoratori precari sottopagati, italiani fin qui ignobilmente sfruttati che finalmente vedono una luce in fondo al tunnel, gente come Sergio Marchionne, Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Giorgio Squinzi, titolare di un’associazione che li riunisce da anni. Naturalmente ci vorrà qualche tempo perché la grande riforma si affermi nel paese, un periodo di assestamento necessario a migliaia di imprenditori per accorgersi che un lavoratore venticinquenne affamato e disposto a tutto è preferibile a un lavoratore cinquantenne cresciuto dando un certo valore alla parola “diritti” (rights).Molto bene anche la legalizzazione della pratica del demansionamento (mobbing) per cui un impiegato potrà essere spostato al reparto pulizie cessi senza possibilità di ricorso, e se deciderà di licenziarsi per questo non potrà contare sul reintegro ma soltanto su un risarcimento economico (two onions and one tomato). Ma la più entusiasmante novità riguarda la scomparsa dei lavoratori precari, che da oggi non esistono più e sono un ricordo del passato, anche se alcune categorie di privilegiati ancora resistono ed altre se ne creeranno. Eccole:I Lavoratori a Progetto del Settimo Giorno – Chiamati il giovedì per un progetto che terminerà il venerdì mattina, potranno puntare tutto su un malore del capo del personale che li proroghi fino a domenica sera (il famoso settimo giorno). Compiuti i settant’anni, avranno una pensione commisurata al loro impegno, pari al decimo della somma algebrica tra giorni lavorati e settimane passate a curarsi l’ulcera, per un somma non eccedente i sei euro al mese.I Lavoratori Intermittenti – Ispirati alle allegre lucine dell’albero di Natale, potranno mangiare solo in alcuni giorni e digiunare invece a intervalli regolari. La riforma prevede per loro un’indennità di disoccupazione, quantificata in sette undicesimi della quarta parte del salario dell’ultimo giorno lavorato, solo se precedente al giugno del 1924. In più, alcuni benefits, come la pensione sociale – dopo i settant’anni – di euro 4,75. Lordi.I Lavoratori Licenziati Collettivi – Nonostante i volenterosi sforzi del governo, non si è trovata parola più gentile di “licenziati” (nemmeno in inglese, straordinario!) per definire questi (ex) lavoratori. Il fatto di essere licenziati in compagnia (collettivamente) addolcisce un po’ il loro triste destino: non saranno soli, insomma, ma in compagnia dei loro (ex) colleghi. Questo potrà garantire qualche forma di socialità, come per esempio il digiuno collettivo, il lavoro nero collettivo, lo sfratto collettivo (per quelli in affitto).I Lavoratori a Partita Iva – Sicuro rifugio dalla crisi, molti lavoratori ex-precari cederanno alla tentazione di diventare imprenditori, aprendo una Partita Iva e avviando così una revisione della loro collocazione sociale che avrà come primo passo l’aperto disprezzo per i lavoratori dipendenti, considerati privilegiati con troppi diritti.Come si vede, ogni sostanziale riforma richiede tempo. Ma tutti questi piccoli problemi aperti non possono fare ombra alla grande novità, quella accolta con fragorosi applausi di approvazione delle parti più deboli della società, come Giorgio Squinzi e Sergio Marchionne.(Alessandro Robecchi, “Lavoro a minuti e nero di gruppo, così si licenzia il precariato”, da “Micromega” del 25 febbraio 2015).La nuova disciplina del lavoro (job) varata pochi giorni fa dal governo (government) e ottusamente osteggiata dai sindacati (trade unions), rappresenta per i lavoratori italiani una grande occasione di riscatto, crescita e progresso (anal intruder). Ce lo confermano, tra l’altro, i festeggiamenti di numerosi lavoratori precari sottopagati, italiani fin qui ignobilmente sfruttati che finalmente vedono una luce in fondo al tunnel, gente come Sergio Marchionne, Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Giorgio Squinzi, titolare di un’associazione che li riunisce da anni. Naturalmente ci vorrà qualche tempo perché la grande riforma si affermi nel paese, un periodo di assestamento necessario a migliaia di imprenditori per accorgersi che un lavoratore venticinquenne affamato e disposto a tutto è preferibile a un lavoratore cinquantenne cresciuto dando un certo valore alla parola “diritti” (rights).
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L’intoccabile: scalare l’Italia in pochi anni, con l’aiuto di chi?
«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».Dalla sua prima vera campagna elettorale, quella del 2003-2004 che lo portò alla presidenza della Provincia di Firenze, fino sulle poltrone di sindaco della sua città, poi segetario del Pd e infine di capo del governo. «Quando Matteo era sindaco di Firenze – scrive Travaglio su “Micromega” – l’amico Marco Carrai gli metteva gentilmente a disposizione, a titolo gratuito, un pied-à-terre in via degli Alfani, senza neppure fargli pagare l’affitto e in palese conflitto d’interessi, visti i numerosi incarichi pubblici che Carrai ricopre». Altra «affettuosa amicizia», quella col berlusconiano Denis Verdini, «che nessuno sa di preciso quando sia cominciata né perché». Il libro di Vecchi rievoca il fallimento di una società del padre, Tiziano Renzi, e l’inchiesta della Procura di Genova per bancarotta fraudolenta: «Salta fuori un groviglio di aziende che passano di mano in mano, fra soci effettivi e prestanome, e che soprattutto usano con disinvoltura contratti atipici di precariato e addirittura impiegano extracomunitari clandestini in nero, con strascichi di cause di lavoro che almeno in tre occasioni certificano violazioni dello Statuto dei lavoratori. Altro che articolo 18».Centrale, ovviamente, l’atipico rapporto con Berlusconi, ovvero «l’unico politico della “vecchia guardia” che il polemicissimo Renzi non attacca, non sfancula, non critica, non sfida, non contraria, non scontenta mai». Secondo Vecchi, il forte legame tra i due non è mediato da Verdini: «E’ diretto, profondo, antico e naturalmente misterioso», annota Travaglio. Nel libro, Vecchi risale allo zio di Renzi, Nicola Bovoli, fratello della madre di Matteo, che fu dirigente del gruppo Rizzoli e poi entrò in affari con Fininvest, «al punto da raccomandare il nipote prediletto per la famosa e fruttuosa (un bottino di 48 milioni di lire in cinque puntate) comparsata alla “Ruota della fortuna” nel 1994», condotto da Mike Bongiorno. «Poi, certo, arrivarono gli incontri ufficiali e ufficiosi: quello del 2005 fra il Caimano e il presidente della Provincia alla Prefettura di Firenze, con Verdini a fare da sensale. E quello del 2010, già con la fascia tricolore di sindaco, nella villa di Arcore: Matteo – scrive Travaglio – si credeva così furbo da riuscire a tenerlo segreto, ma a divulgarlo provvide l’entourage del Cavaliere, costringendolo a imbarazzate e imbarazzanti spiegazioni».Ora, Berlusconi e Renzi «si vedono di continuo e dappertutto: dal Nazareno a Palazzo Chigi, senza neppure nascondersi». Il Cavaliere «considera Matteo il suo unico erede: populista, bugiardo e gattopardesco», infatti «ne fiancheggia con entusiasmo e spudoratezza il governo (che peraltro completa la sua opera lasciata a metà)», compreso il sogno del “partito unico della nazione”. «Basta il fatto che lo Spregiudicato di Rignano abbia sdoganato il Pregiudicato di Arcore a spiegare tanta corrispondenza di amorosi sensi? O c’è qualcosa nel loro passato che dobbiamo ancora scoprire?». Una pista americana, per esempio: «Che ci faceva un uomo delle operazioni riservate Cia come Michael Ledeen al matrimonio di Carrai, in mezzo a banchieri, prelati, alti magistrati, imprenditori, nobiluomini, giornalisti, editori, top manager, finanzieri, faccendieri, oltre naturalmente a Matteo, premier e testimone dello sposo, impegnato proprio in quei giorni a dipingersi come vittima inerme e piagnucolante dei “poteri forti”?». Domanda fondamentale: «Oltre alla squadra di governo che tutti purtroppo vediamo, formata da ragazzotti e fanciulle tanto mediocri e ignoranti quanto pretenziosi e arroganti, ce n’è un’altra che dirige il traffico da dietro le quinte?».(Il libro: Davide Vecchi, “L’intoccabile. Matteo Renzi, la vera storia”, Chiarelettere, 188 pagine, euro 13,90).«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».
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Foa: posto fisso, perché non possiamo credere a Renzi
C’è qualcosa che non torna negli annunci di Matteo Renzi sulla liberalizzazione del mercato del lavoro. Sia chiaro: le economie di mercato funzionano quando possono operare con la dovuta flessibilità. Vale per il mercato dei cambi (vedi i danni provocati dalla rigidità dell’euro) e anche per il mercato del lavoro. A una condizione: che agli imprenditori sia permesso di fare impresa e che la cultura sociale del paese sia basata solidamente sulla convivenza civile e il rispetto della persona. Mi spiego. Come sanno i lettori di questo blog, da tre anni sono tornato in Svizzera, dove dirigo il gruppo editoriale “Corriere del Ticino-Timedia”. In Svizzera il posto fisso non è garantito a nessuno. Si può licenziare con un preavviso di 2 mesi e senza Tfr, tuttavia nessun imprenditore abusa di questo diritto. I posti non sono tecnicamente fissi, nel senso che nessuna legge li tutela vita natural durante, ma molto stabili. Si licenzia a fronte di gravi mancanze professionali o in caso di crisi/ristrutturazione.C’è un vincolo sociale, o se preferite morale, che porta i dirigenti delle imprese a usare con buon senso e nelle giuste proporzioni un diritto in sé molto potente. La cultura prevalente tende a biasimare chi scade nell’abuso o nello sfruttamento e, sebbene ci siano dei casi disdicevoli, pochi violano questa legge non scritta. Inoltre, come noto, la Svizzera primeggia nelle classifiche mondiali sull’imprenditoria. La Svizzera è business friendly: le aziende nascono, crescono, si sviluppano e restano sul territorio. Risultato: la disoccupazione è bassissima e la Confederazione elvetica continua ad assumere lavoratori dall’estero, a riprova di un mercato dinamico. Ma in Italia? Purtroppo in Italia non si può dire lo stesso. La cultura sociale non è basata sul rispetto, ma sulla sfiducia sociale, sull’elusione della legge, sui rapporti di forza con le controparti sociali.A fronte di molti imprenditori seri che hanno un rapporto corretto, spesso esemplare, con i propri dipendenti, ne esistono altri – sovente nei servizi – che scadono nello sfruttamento; quegli imprenditori (ammesso che possano essere considerati tali) che assumono in nero o vanno avanti con contratti a tempo determinato senza mai trasformarli in contratti a tempo indeterminato, insomma che sfruttano i lavoratori, che speculano sulla loro disperazione sociale. Sono questi figuri che alla fine legittimano e rafforzano il sindacato. E c’è l’Italia di oggi: un’Italia ormai quasi deindustrializzata non per demerito dei suoi imprenditori ma a causa degli effetti delle politiche irresponsabili, vessatorie e ingiuste volute dall’establishment europeo e portate a termine con solerzia da Mario Monti ed Enrico Letta, con la benedizione del pontefice di Francoforte Mario Draghi.Nell’Italia di oggi il problema non è il posto fisso, bensì che il posto non c’è più. Coloro che hanno provocato questa desertificazione economica sono gli stessi che da 15 anni promettono di anno in anno riprese che non arrivano mai, paradisi che non si materializzano mai, vaticinano di economia di mercato e di flessibilità ma promuovono la burocratizzazione dell’economia europea, avallando rigidità strutturali insostenibili. E fino a quando Matteo Renzi non avrà affrontato questo problema, trovando il coraggio di distanziarsi dal pensiero unico dominante e di mettere di nuovo le aziende nelle condizioni di crescere in libertà, nulla verrà risolto. La riforma dell’articolo 18 rischia di non produrre gli effetti virtuosi sperati ma, paradossalmente, di far aumentare la disoccupazione o di comprimere ancor di più verso il basso i salari. Da sola non basta. Ci vorrebbero un progetto, un’idea del paese, fiducia nel genio imprenditoriale degli italiani e il coraggio di liberare le imprese e l’Italia dai vincoli burocratici ed esterni che ne inibiscono la creatività. Ci vorrebbe un leader concreto, coraggioso e lungimirante. Qualcuno di ben diverso da Matteo Renzi.(Marcello Foa, “Posto fisso, perché non possiamo credere a Renzi”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 27 ottobre 2014).C’è qualcosa che non torna negli annunci di Matteo Renzi sulla liberalizzazione del mercato del lavoro. Sia chiaro: le economie di mercato funzionano quando possono operare con la dovuta flessibilità. Vale per il mercato dei cambi (vedi i danni provocati dalla rigidità dell’euro) e anche per il mercato del lavoro. A una condizione: che agli imprenditori sia permesso di fare impresa e che la cultura sociale del paese sia basata solidamente sulla convivenza civile e il rispetto della persona. Mi spiego. Come sanno i lettori di questo blog, da tre anni sono tornato in Svizzera, dove dirigo il gruppo editoriale “Corriere del Ticino-Timedia”. In Svizzera il posto fisso non è garantito a nessuno. Si può licenziare con un preavviso di 2 mesi e senza Tfr, tuttavia nessun imprenditore abusa di questo diritto. I posti non sono tecnicamente fissi, nel senso che nessuna legge li tutela vita natural durante, ma molto stabili. Si licenzia a fronte di gravi mancanze professionali o in caso di crisi/ristrutturazione.
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Lavoratori all’inferno: grazie a Renzi, ma anche alla Cgil
Lavoro garantito, lavoro precario, lavoro nero. Quello garantito deve sparire alla svelta, è un’anomia della storia: «Renzi e i suoi accoliti vogliono realizzare i “sogni” dei padroni neocapitalisti, unificando il mercato del lavoro italiano sotto il segno, non dei pesci, ma della precarietà fin dall’inizio della vita lavorativa», scrive Eugenio Orso. «La Cgil dell’orripilante Camusso, legata a doppio filo al Pd, deve obbligatoriamente fingere di opporsi e di tutelare gli iscritti, per trattenere tessere e consensi». Operazione che «puzza di bruciato», di contrapposizione solo mediatica che certo non fermerà “il nuovo che avanza”. Prima il contratto d’ingresso senza diritti per i nuovi assunti, e poi in futuro l’abolizione del tempo indeterminato anche per i “vecchi” lavoratori? «Non si può partecipare troppo apertamente al massacro: questo i vertici della Cgil lo sanno bene, perciò si oppongono alla riforma, a costo di passare per “conservatori”».Da molto tempo, scrive Orso in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, la propaganda sistemica giustifica lo smantellamento delle difese dei lavoratori e utilizza in modo subdolo i temi della precarietà e della disoccupazione, come se non fosse proprio il sistema ad aver diffuso precari e disoccupati. Oggi, al colmo dell’ipocrisia, con Renzi si arriva a denunciare la “spaccatura” nel mercato del lavoro italiano, «una tripartizione che genera squilibri e ingiustizie sociali, non producendo alcun effetto positivo per la produzione, i redditi e i consumi». Resiste una quota di lavoro ancora “garantito”, tutelato dalla legge e dallo Statuto dei Lavoratori degli anni ‘70, ma «sta diventando sempre di più l’ultima “ridotta”, particolarmente nel pubblico impiego, dei diritti e delle tutele concesse ai lavoratori». Secondo Orso «è destinato progressivamente a scomparire, perché troppo “oneroso”, sia in termini di costi, sia in termini di “privilegi” concessi ai lavoratori protetti, in ossequio agli interessi degli agenti strategici neocapitalistici, ben tutelati dai loro servitori politici locali».Il lavoro stabile è stato il bersaglio di attacchi continui e reiterati (da Sacconi, Brunetta e Renzi), e addirittura di insulti e di criminalizzazione (Ichino e i “nullafacenti” della pubblica amministrazione). L’impiego garantito e a tempo indeterminato «è contrario all’ideologia neoliberista dominante e, per tale motivo, deve essere portato a estinzione». Spiega Orso: «La stabilità del lavoro e le garanzie offerte dal comunismo, dal fascismo e dal keynesismo postbellico non appartengono in alcun modo alla liberaldemocrazia di mercato, espressa dal grande capitale finanziario». Così il lavoro è diventato sempre più «precario, flessibile, interinale», introdotto ufficialmente in Italia nella seconda metà degli anni ‘90 e dilagato progressivamente nei Duemila, «figlio naturale del cosiddetto toyotismo». Dal “just in time”, varato negli anni ‘70 dalla Toyota per razionalizzare le scorte, si è deciso di estendere il “toyotismo” e di pagare i lavoratori esclusivamente per il tempo di lavoro, utilizzando il “servizio lavorativo” quando necessario per esigenze produttive.«Da questo punto di vita, chiaramente economico e di organizzazione della produzione – continua Orso – l’imposizione del lavoro precario mira a razionalizzare l’uso del fattore-lavoro comprimendone all’estremo i costi, come nel caso delle materie prime, dei pezzi da assemblare, delle scorte, dei semilavorati». A questo punto, «è chiaro che il precario non è un cittadino, nel mondo neocapitalistico, ma soltanto l’anonimo prestatore di un servizio lavorativo, che si tende a pagare sempre meno». Quella dell’imposizione di soli contratti a termine e precari, «in un progressivo e rapido evaporare dei diritti», è la strada scelta «dagli agenti strategici neocapitalistici per l’Italia, ed è esattamente la consegna che hanno dato ai lacchè subpolitici, come Matteo Renzi». Infine – terza categoria – resta il lavoro nero, cioè «senza oneri contributivi e prelievi fiscali, senza alcuna garanzia e diritto». Di fatto, «realizza il massimo della flessibilità-precarietà del lavoratore, alimenta l’evasione e garantisce un significativo risparmio di costi». Col declino industriale e la disoccupazione galoppante, però, «anche il lavoro nero entra in crisi, riducendosi il numero degli occupati, non pagando i lavoratori e aumentandone lo sfruttamento».Se questa è la situazione, conclude Orso, ecco invece che Renzi «spergiura di voler rinnovare il mercato del lavoro dalle fondamenta, introducendo un nuovo contratto d’ingresso che partirebbe da una condizione di precarietà per arrivare alle chimeriche tutele». Il Rottamatore «dichiara di voler semplificare e di voler estendere le opportunità di lavoro anche a chi oggi ne è escluso». Ma sono «dichiarazioni chiaramente mendaci», dal momento che «nascondono l’unico esito possibile della riforma: rendere il lavoro precario contrattualizzato assolutamente prevalente». La Cgil, messa con le spalle al muro, non può approvare il “piano lavoro” renziano apertamente: «Deve fingere di attaccarlo, deve contestarlo con enfasi e risonanza mediatica». Per questo «si erge a difesa di quel vecchio simulacro che ormai è diventato lo Statuto dei Lavoratori, che ancora sbarra la strada, con l’articolo 18, ai sogni liberisti, europeisti “alla Benigni”, occidentali, di libertà, cioè, nel concreto, alla realizzazione di una precarietà assoluta e generale».Sicché, quello tra Renzi e Camusso è «uno scontro fra “parenti serpenti”, disposti a coprirsi a vicenda di contumelie, a fronteggiarsi tirandosi piatti e soprammobili ma uniti da vincoli “di sangue” e di appartenenza». Più che altro, è «l’ennesima recita infarcita di imbrogli, finzione e malafede, per truffare gli italiani». Dal canto suo, Renzi la pensa esattamente come i boss dell’élite tecno-finanziaria, da Draghi a Juncker alla Lagarde, «a lui ideologicamente affini», anche se «nega di aver in mente Margaret Thatcher quando si parla del lavoro». Infatti, aggiunge Orso, «possiamo scommettere che non incontrerà una resistenza sanguinosa come quella opposta alla Thatcher dai minatori britannici di Arthur Scargill, dal 1984 al 1985». Al più, sulla strada di Renzi spunteranno «le blande resistenze di maniera della Cgil all’abolizione dell’articolo 18». Il premier dichiara di pensare a “Marta”, piccola fiammiferaia precaria, e a tutti i giovani a quali in questi anni non ha pensato nessuno. Giovani «condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito», peraltro, «preoccupandosi soltanto dei diritti di qualcuno e non dei diritti di tutti».Nuove regole per ciascuno, dice Renzi, per incoraggiare investimenti produttivi stranieri: verranno le multinazionali a dare un lavoro a chi non ce l’ha. Peccato che, a quel punto, «il lavoro sarà debitamente flessibilizzato, offerto a prezzi stracciati e a condizioni di semi-schiavitù». Renzi è felice, come ha dichiarato più volte, se i grandi squali “investono” in Italia, facendo lo shopping di aziende a prezzi di fine stagione, anche se poi chiudono e spostano le produzioni in Estremo Oriente o nell’Europa dell’Est. E ai sindacati che vogliono contestarlo, Camusso e Landini, il Rottamatore dice: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia che ha l’Italia? L’ingiustizia tra chi il lavoro ce l’ha e chi non ce l’ha, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi è precario. E soprattutto tra chi non può neanche pensare a costruirsi un progetto di vita, perché si è pensato soltanto a difendere le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente. Sono i diritti di chi non ha diritti che ci interessano, e noi li difenderemo in modo concreto e serio.«Commovente: i diritti di chi non ha diritti», chiosa Orso. «Una frase di sicuro effetto, alla Papa Francesco». Così, “per difendere gli ultimi”, si abolisce la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per i nuovi assunti “a tutele crescenti”, «in modo tale che l’ingresso nel mondo del lavoro sia sempre e comunque precario». A questo, forse, non aveva pensato neppure Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalle “nuove Br”. Da consigliere ministeriale, «ha contribuito a inoculare il virus della precarietà nella società italiana». Renzi sarà altrettanto efficace? «Su una cosa, però, ha ragione l’imbonitore fiorentino, in polemica strumentale con la Cgil», conclude Orso: «Ciò che è accaduto ai lavoratori negli ultimi decenni, tutte le ingiustizie che hanno subito, portano anche la firma dei sindacati, che hanno favorito, in modo più o meno scoperto – scopertamente la Cisl, più subdolamente la Cgil e ancor più nascostamente la Fiom – la “discesa negli inferi” neoliberista del lavoro, siglando contratti-truffa e accordi-capestro, avallando riforme antipopolari, facendo carne di porco persino dei loro iscritti».Lavoro garantito, lavoro precario, lavoro nero. Quello garantito deve sparire alla svelta, è un’anomia della storia: «Renzi e i suoi accoliti vogliono realizzare i “sogni” dei padroni neocapitalisti, unificando il mercato del lavoro italiano sotto il segno, non dei pesci, ma della precarietà fin dall’inizio della vita lavorativa», scrive Eugenio Orso. «La Cgil dell’orripilante Camusso, legata a doppio filo al Pd, deve obbligatoriamente fingere di opporsi e di tutelare gli iscritti, per trattenere tessere e consensi». Operazione che «puzza di bruciato», di contrapposizione solo mediatica che certo non fermerà “il nuovo che avanza”. Prima il contratto d’ingresso senza diritti per i nuovi assunti, e poi in futuro l’abolizione del tempo indeterminato anche per i “vecchi” lavoratori? «Non si può partecipare troppo apertamente al massacro: questo i vertici della Cgil lo sanno bene, perciò si oppongono alla riforma, a costo di passare per “conservatori”».
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Farsi votare dalle proprie vittime: il capolavoro di Renzi
Le elezioni del 25 maggio sono state un mega-sondaggio sul rapporto che i cittadini d’Europa intrattengono con l’Unione Europea, lo Stato multinazionale in costruzione al di fuori di ogni loro possibile controllo: tutto infatti resta affidato alla concertazione intergovernativa, quindi dei paesi economicamente più forti, ma soprattutto alla pressione dei “mercati”. Il sondaggio, scrive Dante Barontini su “Contropiano”, ha mostrato un continente diviso in “nazioni”, preoccupato del futuro dipinto dai tecnocrati di Bruxelles e – per mancanza di alternative chiare – tentato dal semplice ritorno al nazionalismo. «Lo avevano in qualche modo dimostrato le campagne elettorali di tutti i partiti, in ogni paese, incentrate esclusivamente sui problemi e le dinamiche interne, anziché su quelle comunitarie. Gli unici paesi relativamente stabili sono la Germania, come ampiamente previsto, e l’Italia renziana (molto a sorpresa)». L’Europa non c’è come “spirito pubblico”: esiste solo una Unione Europea «arcigna custode di regole e conti che non tornano più».La retorica europeista degli spot istituzionali sulla libera circolazione delle persone (studenti, professionisti, imprese, turisti) dimenticava completamente i disastri materiali provocati sia dalla crisi. «Le preoccupazioni espresse immediatamente da Barroso (presidente uscente della Commissione) sono ben più realistiche dell’ottimismo di facciata sparso dai media mainstream italiani», scrive Barontini. «Con le politiche fin qui adottate, la “costruzione europea” è a rischio». Quella costruzione aveva due pilastri fondamentali, Francia e Germania. «La prima è in frantumi, avendo subito tutti gli svantaggi della costruzione comune; la seconda è relativamente stabile solo perché ha beneficiato in modo clamoroso della sua posizione “centrale” sul piano produttivo, manifatturiero, finanziario e monetario». Se a Berlino c’è solo qualche scricchiolio, il 7% dei centristi no-euro di Afd, Alternative fur Deutschland, dagli altri paesi – anche senza calcolare la evidente fuga transatlantica della Gran Bretagna – sono arrivati segnali univoci: così non si va avanti.Quasi ovunque, i governi in carica hanno pagato dazio alle misure di austerità «imposte a schiaffi, ricatti e manganellate in piazza». Le contromisure, da spacciare come “riforme” dei trattati europei, sono già in via di definizione. «È più che probabile un innalzamento di alcuni dei parametri di Maastricht (in primo luogo quel ridicolo 3% nel rapporto tra deficit e Pil)», aggiunge “Contropiano”, «ma intanto si è approvato un trucco statistico-contabile di immense proporzioni: da ottobre di quest’anno tra i fattori economici validi per il calcolo del Pil di un paese saranno compresi anche “attività economiche” come la prostituzione, lo spaccio di droga e il contrabbando». Una dose incredibile di droga “statistica”, dice Barontini, per un paese come l’Italia, dove queste voci sono stimate intorno al 27% del Pil (senza calcolare le ricadute da “indotto” su buona parte dell’economia sommersa). Truccati i conti, «resta il problema di far pagare le tasse alle varie mafie e ai “papponi”, ma basterà attingere alle legislazioni di altri paesi Ue per raccogliere qualche risultato “vendibile” al grande pubblico». L’alterazione contabile – che alleggerisce di colpo il rapporto deficit-Pil – è un “regalo” dell’Unione Europea che però a Bruxelles non costerà nulla, e serve ad evitare il costo (insostenibile) del “salvataggio” di paesi come l’Italia.Sul piano politico, da noi «è in corso un’operazione reazionaria assai più complessa, quasi da manuale». Il governo Renzi? «Era troppo recente per poter essere riconosciuto colpevole delle peggiorate condizioni di vita e lavoro». Così, «nonostante la sua perfetta continuità con i governi precedenti – sia “politici” che “tecnici” – ha giocato con spregiudicatezza la carta della “rottamazione” delle vecchie facce dell’establishment per mantenere al posto di comando esattamente gli stessi assetti di potere». Un’operazione di chirurgia estetica, continua Barontini, fondata su uno sforzo comunicativo eccezionale per dimensioni, intensità, capacità innovativa. «Sembra l’eterno ritorno del pessimo destino italiota: tutto deve cambiare perché tutto resti uguale». Una parte considerevole del blocco sociale ex berlusconiano «ha piantato le tende in campo renziano, dando dimensioni “eccezionali” a una vittoria giocata sullo stesso campo degli avversari più temuti, i grillini: stesso “tutti a casa”, stesso giovanilismo esteriore, stesse incompetenze messe davanti alle telecamere». Ma l’operazione-Renzi è stata gestita con «una regia ferrea, “rassicurante”, di potere e per il potere, con un progetto chiaro (le riforme anticostituzionali e la dissoluzione delle regole del mercato del lavoro, la blindatura della rappresentanza politica e sidacale)», mentre Grillo è apparso «ondivago e verboso», e così «ha conquistato meno cuori di quante menti è riuscito a inquietare», relegando nell’astensionismo molti ex supporter.Domanda: come mai, solo in Italia, il precipitare della crisi e l’esplosione del malessere non si traducono in una solenne bocciatura del governo e del regime Ue? Premesse: c’è da fare i conti con una struttura sociale opaca, incluso quel 27% di Pil-fantasma. Inoltre, «buona parte della popolazione mette ancora insieme redditi “spurii”, cioè provenienti da fonti diverse: case di proprietà, risparmio investito in titoli di Stato, lavoro nero che affianca quello ufficiale». C’è anche una notevole “flessibilità” comportamentale, che permette di adottare strategie di sopravvivenza articolate, dalla “riscoperta della coabitazione” all’utilizzo dei pensionati come ammortizzatore sociale familiare. «Di fatto – sottolinea Barontini – la crisi ha fin qui “asfaltato” in modo selettivo», colpendo soprattutto i percettori di un solo reddito. Persone che si sentono isolate, e faticano a coalizzarsi: «Una condizione che istiga al suicidio, più che alla lotta, mentre nella maggioranza della popolazione che stringe la cinghia prevale ancora un atteggiamento alla “io speriamo che me la cavo”, dove la riduzione delle entrate è affrontata con la contrazione dei consumi e l’erosione del “patrimonio”».Se così è, prosegue “Contropiano”, la stessa forza politica di Renzi è altamente volatile: «Regge sulla eventuale disponibilità tedesca ad allentare alcuni parametri e su questo fronte potrà farsi forte della debolezza francese (e spagnola). Si glorierà del miglioramento statistico dei conti truccati. Ma resta in balia di una crisi globale che non passa e che sta per celebrare l’ingresso nell’ottavo anno consecutivo». Di sicuro, il “nuovo” potere «andrà avanti come un treno inarrestabile, o almeno ci proverà: il “semestre europeo” a guida Renzi è da questo punto di vista sia un banco di prova sia un’assicurazione contro “nervosismi” interni al blocco dominante». Servirebbe un contro-semestre ispirato a un’opposizione radicale: «Un’epoca è definitivamente chiusa», conclude Barontini. «Siamo già in un contesto post-costituzionale e ben poco “democratico”». Per i movimenti sociali si avvicina la tolleranza zero, a meno che non sappiano – ora o mai più – costruire un’allenza capace di contrastare il disegno egemonico che si nasconde dietro la maschera di Renzi.Le elezioni del 25 maggio sono state un mega-sondaggio sul rapporto che i cittadini d’Europa intrattengono con l’Unione Europea, lo Stato multinazionale in costruzione al di fuori di ogni loro possibile controllo: tutto infatti resta affidato alla concertazione intergovernativa, quindi dei paesi economicamente più forti, ma soprattutto alla pressione dei “mercati”. Il sondaggio, scrive Dante Barontini su “Contropiano”, ha mostrato un continente diviso in “nazioni”, preoccupato del futuro dipinto dai tecnocrati di Bruxelles e – per mancanza di alternative chiare – tentato dal semplice ritorno al nazionalismo. «Lo avevano in qualche modo dimostrato le campagne elettorali di tutti i partiti, in ogni paese, incentrate esclusivamente sui problemi e le dinamiche interne, anziché su quelle comunitarie. Gli unici paesi relativamente stabili sono la Germania, come ampiamente previsto, e l’Italia renziana (molto a sorpresa)». L’Europa non c’è come “spirito pubblico”: esiste solo una Unione Europea «arcigna custode di regole e conti che non tornano più».
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Mdf: cari forconi, la rivoluzione parte dai consumi
Cari concittadini (lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati…) giustamente stufi e al limite della sopportazione, condividendo la preoccupazione di chi è sceso in piazza ed evitando considerazioni personali sul colore delle manifestazioni (fermo restando il rifiuto della violenza, aspetto che vogliamo ribadire), vorremmo solo condividere alcune riflessioni con voi. Siamo pienamente in sintonia con le motivazioni alla base della protesta (corruzione e sbando della classe politica, globalizzazione, finanza e mercato selvaggi e senza limiti che strangolano il piccolo commercio locale, etc); riteniamo, tuttavia, che un’alternativa migliore debba partire da noi e che il cambiamento di questo sistema economico deve essere attuato con azioni concrete.Con il massimo rispetto e pienamente consci della diversità delle situazioni che ognuno sta vivendo e dei drammi personali, vogliamo porre – anche in maniera provocatoria – alcune domande. Perché il punto fondamentale è chiedersi quale futuro (e quale modello di società) auspichiamo. Commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, è evidente quanto la crisi che stiamo vivendo si sia abbattuta su di voi con violenza; ma vi chiediamo, quando chiudete il vostro negozio la sera, dove andate a comprare il pasto duramente sudato? All’ipermercato o in un piccolo negozio a km0 o magari da un gruppo di acquisto solidale che si rifornisce da piccoli contadini? Sapete che buona parte delle arance e dei pomodori che trovate nei supermercati sono raccolte da persone in condizioni di schiavitù, vendute ad un prezzo ridicolo dal produttore alla grande distribuzione che poi le rivende negli ipermercati vicino a casa?Cittadini e lavoratori, anche noi, seppure sosteniamo la riduzione della giornata lavorativa (“lavorare meno, lavorare tutti”), l’autoproduzione e la riduzione dei consumi, abbiamo bisogno di andare a lavorare, ci scontriamo con la precarietà e abbiamo il timore che i soldi che ci vengono versati in contributi non li vedremo mai; ma quando chiamiamo un elettricista o andiamo dal barbiere, chiediamo la ricevuta fiscale? Abbiamo il coraggio di spendere 20 euro in più o di rinunciare a qualche consumo – magari superfluo – scegliendo di pagare “il giusto” e premiare chi paga le tasse e contribuisce a sostenere le scuole, gli ospedali e il nostro sistema previdenziale? Scegliamo di orientare i nostri consumi verso chi paga le persone rispettando i diritti? Se scopriamo che il pub dove andiamo regolarmente paga i suoi baristi in nero, siamo disposti a cambiare per andare in un posto dove magari la birra costa 0,50€ in più ma dove la legalità è di casa? E se quei 50 centesimi in più fossero un problema sareste disposti a far massa critica con altre persone e chiedere insieme un prezzo più basso e/o competitivo?!Non cadiamo nel qualunquismo del “tutti rubano, tutti se ne fregano…”. Alzi la mano chi è disposto a comprare dell’olio da un gruppo di acquisto solidale pagandolo 3-4 euro in più al litro, invece di quello della grande distribuzione che, seppure prodotto in Italia, è ottenuto da olive che vengono da fuori l’Europa, mentre i nostri contadini sono allo stremo! A tutti coloro che ritengono come noi che la finanza sta distruggendo l’economia reale e le banche siano istituzioni corrotte e spesso immorali chiediamo: dove avete posto i vostri risparmi? Avete pensato di investirli nell’economia reale, nelle banche etiche o in mille altri luoghi dove non saranno oggetto di speculazione? Certo, non avremo il 3-4% di interesse come promettono (e probabilmente mantengono) alcune banche on-line… vi siete chiesti cosa se ne fanno dei vostri soldi?Anche noi, che nella vita di tutti giorni siamo presi dalle nostre difficoltà, speranze e mille impegni, vorremmo che la politica desse risposte ai nostri problemi. Ci piacerebbe vedere nei programmi politici come punti fondamentali diritti, ambiente, lotte alle speculazioni, alle mafie e tutti coloro che impediscono alle persone di poter realizzare il diritto a vivere senza patimenti e liberi di poter perseguire la propria felicità. Dopodiché, se questo non accade, dobbiamo imparare dalla frase di Gandhi “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Le cose possiamo cambiarle anche noi dal basso e subito senza chiedere niente a nessuno (senza per questo rinunciare al nostro diritto di manifestare e urlare la nostra rabbia se necessario). Domani forse inizia un altro giorno di proteste. Ma possiamo anche provare a informarci di più, cambiare le nostre abitudini e costruire un nuovo futuro a partire da noi stessi e dalle nostre scelte. Ora!(“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo! Una nostra riflessione sulle recenti manifestazioni di protesta”, lettera-appello a cura del Circolo Mdf di Torino, pubblicata dal sito del Movimento per la Decrescita Felice il 12 dicembre 2013).Cari concittadini (lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati…) giustamente stufi e al limite della sopportazione, condividendo la preoccupazione di chi è sceso in piazza ed evitando considerazioni personali sul colore delle manifestazioni (fermo restando il rifiuto della violenza, aspetto che vogliamo ribadire), vorremmo solo condividere alcune riflessioni con voi. Siamo pienamente in sintonia con le motivazioni alla base della protesta (corruzione e sbando della classe politica, globalizzazione, finanza e mercato selvaggi e senza limiti che strangolano il piccolo commercio locale, etc); riteniamo, tuttavia, che un’alternativa migliore debba partire da noi e che il cambiamento di questo sistema economico deve essere attuato con azioni concrete.
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Cremaschi: l’Expo della vergogna, realizzato dagli schiavi
La Confindustria, la Rete delle piccole imprese, l’Associazione delle Banche, l’Alleanza delle Cooperative, praticamente tutte le organizzazioni imprenditoriali italiane hanno chiesto al Parlamento la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro fino al 31 dicembre 2016. Fino a quella data le imprese vorrebbero poter assumere con contratti a termine senza vincoli e quindi con la libertà assoluta di fare quel che si vuole dei lavoratori e i loro diritti. Va aggiunto che contemporaneamente l’Assolombarda ha chiesto che per lo stesso periodo sia possibile applicare con deroghe, cioè non rispettare nei punti fondamentali, i contratti nazionali. Tutto questo è giustificato con l’appuntamento dell’Expo 2015 a Milano. L’Italia, secondo il sistema delle imprese, dovrebbe sfruttare al meglio quell’evento mondiale per creare occupazione al più basso costo possibile.
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Perazzoli: solo in Italia non c’è il reddito minimo garantito
In Italia ci si ostina a non dare importanza al reddito minimo garantito. Sembra si tratti di un fatto marginale, si minimizza. Per avere un’idea della realtà dobbiamo pensare che la Corte Costituzionale tedesca ha giudicato come parzialmente incostituzionale la riforma restrittiva del cancelliere Schroeder, dopo il ricorso di una famiglia – padre, madre e una figlia – perché doveva vivere con soli 850 euro al mese (e naturalmente affitto e riscaldamento a carico dello Stato). Una somma di 850 euro in Italia è uno stipendio, da cui si deve anche cercare di far uscire l’affitto e tutto il resto. Ci scandalizziamo del fatto che negli Usa non esista una sanità pubblica: in Europa si scandalizzano per l’assenza in Italia di un reddito minimo garantito. Negli Stati Uniti Michael Moore però ha raccontato in un film che cosa significa non avere un sanità pubblica; in Italia nessuno tocca il tema del reddito minimo garantito.
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Cittadini, vi rubiamo tutto. Non l’avete capito? Cazzi vostri
Cittadini – lasciate che vi chiami così anche se tutti sappiamo che siete servi, schiavi, sudditi – però voglio chiamarvi cittadini per non umiliarvi inutilmente. Dunque: cittadini, noi siamo la classe padronale al governo e c’abbiamo ‘na grave responsabilità: dobbiamo dirvi che c’è una grossissima crisi – irreversibile: non possiamo darvi speranze. Be’, intanto noi vi mandavamo in miniera, vi riempivamo i polmoni di biossido di silicico; voi crepavate, però vostra moglie otteneva la reversibilità della pensione: però, oggi, questo non ve lo potete più permettere. Cittadini, un tempo vi mandavamo in fabbrica; noi vi facevamo lavorare quattro, cinque, sei, sette, otto, anche nove ore; sapevamo che dopo quattro ore avevate prodotto tanto quanto bastava per far vivere dignitosamente tanto voi quanto noi; ma noi vi sfruttavamo in fabbrica e utilizzavamo il vostro plus-lavoro per ottenere un plus-valore che ci intascavamo alla faccia vostra.
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Scontro di civiltà: minacciati dalla violenza del sistema-Tav
Quello in atto in valle di Susa è un autentico “scontro di civiltà”: la manifestazione di due modi contrapposti e paradigmatici di concepire e di vivere i rapporti sociali, le relazioni con il territorio, l’attività economica, la cultura, il diritto, la politica. Per questo esso suscita tanta violenza da parte dello Stato – inaudita, per un contesto che ufficialmente non è in guerra – e tanta determinazione – inattesa, per chi non ne comprende la dinamica – da parte di un’intera comunità. Quale che sia l’esito, a breve e sul lungo periodo, di questo confronto impari, è bene che tutte le persone di buona volontà si rendano conto della posta in gioco: può essere di grande aiuto per gli abitanti della valle di Susa; ma soprattutto di grande aiuto per le battaglie di tutti noi.
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Entriamo nel futuro: disobbedienza, nuove forme di lotta
E Di Pietro pensa di risolvere tutto con le leggi speciali? Patetico! Quando le condizioni di vita di un popolo peggiorano e non c’è in vista nessuna via pacifica per migliorare la situazione, succede che alcuni decidono che l’unica è menare le mani. E’ legittimo indignarsi per le violenze dei Black Bloc, ma è vergognoso che lo faccia chi ha costruito il disastro italiano, che di queste violenze è causa. Chi ha portato la benzina e ha distribuito i fiammiferi non può scagliarsi contro una banda di ragazzini infiltrati da provocatori che ha dato fuoco alla benzina. Che Berlusconi ammetta che è sua la colpa delle violenze di piazza mi par difficile. E altrettanto difficile mi sembra che la sinistra ufficiale ammetta che l’incapacità di aprire in Italia una fase di lotte pacifiche ed efficaci sia concausa di queste violenze.