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Magaldi: il partito “cinese” dichiara guerra alla nostra libertà
Anziani soli e disperati che piangono, al telefono coi carabinieri, implorando un piatto di cibo, mentre i servizi segreti avvisano Palazzo Chigi che ormai il Sud è a rischio sommossa: dilaga l’economia sommersa, e dunque non è possibile indennizzare i lavoratori-fantasma reclusi anch’essi ai domiciliari. Così a Palermo già si saccheggiano gli scaffali, e a presidiare i supermercati accorre la polizia. Tutto questo mentre il truce Macron si schiera clamorosamente con l’Italia contro “l’Europa egoista”. E lo stesso Mattarella – per la seconda volta in pochi giorni, dopo l’uscita di Draghi sul “Financial Times” («soldi a tutti, e subito, perché ora siamo in guerra») – interviene dal Quirinale con un appello a Bruxelles: fine del rigore, o stavolta l’Italia ci lascia la pelle. Cronache del finimondo, minuto per minuto, nel giorno in cui si registrano quasi mille morti in appena 24 ore, drammatico record mondiale dell’apocalisse chiamata coronavirus. Tragedia nella tragedia: il governo italiano paralizza il paese imponendo il coprifuoco, ma senza riuscire a evitare l’ecatombe. E senza rassicurare né soccorrere finanziariamente, con tempestività, i milioni di lavoratori che ha confinato in casa, pena sanzioni severissime per chi sgarra: si può portare a spasso il cane, ma non i bambini.E a proposito di medioevo: il sottosegretario Andrea Martella (Pd) apre la caccia a quelle che chiama “fake news”, mentre l’Agcom mette al bando il giornalista “eretico” Adriano Panzironi, che raccomanda le vitamine per rafforzare le difese immunitarie. Da parte sua, il Patto per la Scienza fondato dal virologo Roberto Burioni va persino oltre: l’associazione (privata, ma benedetta al suo esordio da Grillo, Renzi e Mentana) esige il bavaglio per il nanopatologo Stefano Montanari, che ridimensiona – in modo discutibile – la pericolosità clinica del Covid-19. Con un atto inaudito nella storia della nostra democrazia, Burioni chiede addirittura ai magistrati di oscurare “ByoBlu”, il video-blog più seguito d’Italia, “reo” di aver dato spazio a una voce scientifica alternativa. Siamo sull’orlo di un regime che esala dalle fogne della storia? Peggio: siamo di fronte a un piano preciso, spietato e mostruoso. Gioele Magaldi lo chiama: il partito del virus, che è cinese solo a metà. Pistola fumante: il clamoroso servizio della Rai, girato da “Leonardo” nel 2015 e riesumato in queste ore. La prova: il laboratorio che traffica coi coronavirus per fabbricarne una versione pericolosa per l’uomo, anche allo scopo di calibrarne in anticipo l’eventuale vaccino. Attenzione: il laboratorio è cinese, ma – a quanto pare – sotto il controllo dell’Oms.La coda del diavolo: qualcuno ha usato la nuova Cina post-comunista come “Frankenstein”, dopo averla appositamente creata? Un gigante economico bifronte: capitalista, ma senza libertà. Era il sogno degli oligarchi (non certo cinesi) che nel 1975 evocarono la fine della democrazia come “soluzione” per il mondo globalizzato. Autore del bestseller “Massoni”, Magaldi – atlantista di ferro – demolisce le suggestioni del complottismo antiamericano che demonizza invariabilmente lo Zio Sam. E svela un retroscena spiazzante: il ruolo di una quarantina di superlogge-ombra, impegnate a disputarsi i destini del pianeta. Da una parte gli eredi della supermassoneria “progressista”, rooseveltiana e keynesiana, fermata anche a colpi di pallottole: i Kennedy, Martin Luther King, e in Europa personaggi come lo svedese Olof Palme, campione del welfare. E così in Africa l’immenso Nelson Mandela, e in Medio Oriente un eroe della pace come Yitzhak Rabin. Dall’altra, le superlogge reazionarie capeggiate dalla storica “Three Eyes” di Kissinger, vero regista del golpe in Cile l’11 settembre 1973. Tanti anni dopo (ma sempre l’11 settembre) un’altra superloggia, la “Hathor Pentalpha” dei Bush, avrebbe scelto addirittura l’abominio del terrorismo stragista “fatto in casa” per ricattare il pianeta, spingendolo nella voragine infinita dei nuovi fronti di guerra.Negli Usa ne seguì il Patriot Act: la fine della privacy, con l’alibi della sicurezza. Ci risiamo? La risposta è sì. E la matrice del “partito del coronavirus”, dice Magaldi, è sempre quella messa a fuoco nelle pagine di “The crisis of democracy”, il fatale libello – firmato da Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki – con cui la Commissione Trilaterale (sempre lui, il Kissinger che sdoganò la Cina maoista) raccomandava la sua ricetta: ridurre la democrazia, perché «troppa libertà fa male». Cinque anni dopo, lo sciagurato patto “United Freemason for Globalization” inaugurò il terzo millennio con largo anticipo. Salvo poi imporre un’accelerazione spaventosa – nel segno del sangue e del terrore – con la demolizione delle Torri Gemelle, seguita dalle guerre in mezzo mondo e infine coronata dal terrorismo stragista dell’Isis, altro “Frankenstein” uscito dalla stessa fabbrica di mostri. «E ora, eccoci al Covid-19: sembra proprio l’ultimo nato, da quella filiera dell’orrore».Si può credere, a Magaldi, frontman italiano dei circuiti massonici progressisti sovranazionali? Fate voi. Nel suo libro-denuncia, in premessa, chiarisce: ho 6.000 pagine di dossier riservati, sotto chiave. «Pubblicarli tutti ci pareva proibitivo: così s’è ragionato con l’editore, Chiarelettere. Ma se qualcuno si sente diffamato, me lo dica: mostrerò la documentazione scritta che comprova ogni mia affermazione». Risultato: silenzio di tomba. Non un fiato, da parte di nessuno dei super-potenti messi alla berlina. «Lo stesso Napolitano, esponente della “Three Eyes” – assicura Magaldi, senza timore di dover rispondere di quanto dichiara – ha dovuto abbandonare il Quirinale proprio a causa del mio libro: ha preferito dimettersi, piuttosto che chiarire la sua posizione, imbarazzante, di grande regista del commissariamento italiano attraverso il “golpe bianco”, supermassonico, di Monti». Silenzio anche in Parlamento, nonostante una clamorosa interrogazione dei 5 Stelle. E mutismo assoluto – più che sospetto – da parte dei grandi media, per un saggio che ha scalato le classifiche e tuttora veleggia nelle primissime posizioni, tra i long-seller italiani di argomento storico. Non se ne può parlare: non si deve. L’argomento è tabù.Magaldi però non si ferma. Ha fondato il Movimento Roosevelt, meta-partito che prova a risvegliare dal letargo la politica italiana. E, come leader del “Grande Oriente Democratico”, già affiliato alla superloggia “Thomas Paine”, presidia il back-office “massonico-progressista” del Belpaese. Obiettivo: contrastare gli oligarchi, con ogni mezzo. Per esempio, parlando. E non solo: nel 2018 chiese le dimissioni di Mattarella, accusandolo di aver forzato la Costituzione nel negare il ministero dell’economia a Paolo Savona, temutissimo dai signori dell’austerity europea. Di seguito, l’illusione gialloverde: «Dovevano pretendere già allora quello che oggi l’Italia invoca, nel disastro nazionale in cui Conte ha trasformato l’emergenza sanitaria, prima coi suoi errori e poi col coprifuoco di marca cinese». Magaldi è severo anche con Salvini: «Oggi si è accodato al clima di panico. Ieri, però – precisa – è stato demonizzato ingiustamente, con accuse ridicole: xenofobia, fascismo». Temevano Salvini, le Sardine che fino a gennaio brulicavano nelle piazze? Ebbene, prendano nota: non è certo il “capitano” leghista, ad aver sigillato in casa gli italiani.Cos’avevano chiesto, ragliando, le Sardine? Che i politici cessassero di potersi esprimere liberamente, sui social. E adesso eccoci qui, con le restrizioni alla libertà di parola che ormai incombono a reti unificate: le televisioni partecipano alla crociata contro il web accreditandosi come uniche voci ascoltabili, serie e autorevoli, mentre l’Italia sospende – di fatto – la democrazia. Le Sardine, cioè Romano Prodi: per Magaldi il professore bolognese, «grande privatizzatore in grembiulino», è un’eminenza grigia – dietro le quinte – del “partito cinese” che ha ridotto l’Italia a provincia di Wuhan, senza neppure riuscire a evitare la strage, e mandando allo sbaraglio medici e infermieri. Infuria il grande terrore, e Conte sbaglia tutto lo sbagliabile: non si sbriga ad attrezzare posti letto per la rianimazione, poi lascia scappare al Sud migliaia di potenziali “untori”, quindi ferma il paese e chiude gli italiani in casa, mandando l’esercito nelle strade. «A proposito: guai se qualcuno si azzarda, come ventilato, a spedire i militari nelle nostre case, dopo il 15 aprile, a eseguire chissà quali controlli: si vuole commettere anche il reato di tentata strage, moltiplicando i contatti fra persone?». Italiani comunque già trasformati in gregge da sorvegliare: con le app sugli smartphone, con i droni. Tutti potenziali trasgressori, intimiditi da decreti minacciosi. Sprangati in casa, senza risarcimenti pronta cassa né la certezza di riuscire a riaprire – chissà quando – l’attività economica di cui è stata imposta la chiusura.E questo, avverte Magaldi, non è che l’inizio: è la “guerra” che ci si aspettava, da molto tempo. Si pensava a uno scontro finanziario con Bruxelles – dispotismo contro sovranità – e invece è arrivato il virus, a sparigliare le carte. Qualcuno, è evidente, ci si è avventato come un avvoltoio: quale migliore occasione, per archiviare libertà e democrazia terremotando anche l’economia? Magaldi annuncia battaglia: nel mirino, gli “apprendisti stregoni” che manovrano l’Oms, che ormai guida la nuova psico-polizia sanitaria, di sapore orwelliano. Nel partito “cinese”, accusa Magaldi, milita sicuramente Conte, una mezza figura destinata a non lasciare traccia quando non servirà più, esattamente come l’increscioso Di Maio, ormai rottamato insieme al Movimento 5 Stelle. Quanto al fondatore, Grillo – dice sempre Magaldi – l’ex comico coltiva relazioni molto altolocate, sorprendenti, anche se ormai sembra aver perso completamente la bussola. In ogni caso: tutte pedine, di un gioco più grande. Ma attenzione: pedine italiane. E questo, sì, è decisivo. Illuminante. Non è un caso che proprio l’Italia sia l’epicentro, l’occhio del ciclone che sta cambiando faccia al mondo, ridisegnando la globalizzazione, la vita quotidiana, il perimetro delle libertà.Inascoltato, Magaldi l’aveva ripetuto in tempi non sospetti: sta arrivando la bufera, e sarà proprio l’Italia la trincea strategica, il bivio decisivo. Da una parte la stretta autoritaria, dall’altra la riscossa democratica: la morsa del rigore, fino alla soppressione delle libertà più elementari, oppure il risveglio di un paese che – si calcola – potrebbe trovare la forza di demolire la menzogna europea dell’austerity neoliberista, la “dittatura” parassitaria della peggiore finanza, ritrovando la strada dei diritti sociali fino a fare da apripista per il mondo intero. Fantasie? Niente affatto, se si segue l’analisi di Magaldi (e le sue “profezie”, che puntualmente si avverano). Mesi fa, annunciava: Christine Lagarde e Mario Draghi, nientemeno, stanno divorziando dagli oligarchi e vorrebbero rimediare ai disastri che hanno contribuito a creare, massacrando l’economia europea. Primo round: alla richiesta italiana di aiuto, di fronte alla catastrofe-coronavirus, “lady Bce” risponde a muso duro: niente da fare, non siamo qui per calmare gli spread. Un’uscita tremenda, evitabilissima. «Gliel’abbiamo richiesta noi», dice Magaldi: «Le abbiamo chiesto di mostrare il vero volto, spietato, del potere europeo: solo così si sarebbe potuta finalmente suscitare l’indignazione generale che infatti ha spinto persino il timidissimo Mattarella ad alzare la voce per difendere l’Italia».Poco dopo, ecco il secondo round: l’affondo di Draghi, gran maestro del supremo rigore, che adesso chiede di ribaltare tutto e aprire i rubinetti, senza condizioni, per rianimare l’economia. Una mossa epocale, tenendo conto che Draghi resta uno degli uomini più influenti del pianeta. Nel suo curriculum: Bankitalia, Goldman Sachs, il Gruppo dei Trenta, la Bce. Prima ancora: da direttore del Tesoro, aveva orchestrato le devastanti privatizzazioni all’italiana che avevano declassato l’Italia (in tandem con Romano Prodi, incaricato di sabotare l’Iri, vero motore del Belpaese). Nella Seconda Repubblica – da Berlusconi a Monti, passando per D’Alema, Amato e Prodi – l’Italia ha continuato a scivolare verso il basso: l’ex quinta potenza industriale del pianeta è arrivata all’elemosina, alla fuga dei cervelli, alla strage delle aziende. Tagli ovunque: ricerca, sanità, lavoro, pensioni. Forche caudine: il Patto di Stabilità e il Fiscal Compact, il Mes, il pareggio di bilancio. Da trent’anni siamo in avanzo primario: lo Stato eroga meno denaro, in termini di servizi, rispetto a quanto ne riceva, dai cittadini, sotto forma di tasse. Verità scioccante, ma sempre taciuta. Ora ci siamo: è il dramma del virus a mettere a nudo le menzogne ufficiali (l’eccesso di debito, gli italiani “cicale”), nel frattempo costate sofferenze indicibili.Di fronte al Covid-19 – virus tuttora misterioso – si legge in trasparenza una dinamica precisa: il male esplode in Cina, e Pechino reagisce sequestrando i cinesi. Atto secondo, l’Italia: stesso film. Siamo il primo paese occidentale a reagire all’emergenza esattamente come l’oligarchia asiatica. Con una differenza: Xi Jinping si è limitato a sprangare Wuhan, noi invece abbiamo paralizzato l’intera penisola. Doveva servire da esempio per tutti? L’Italia come apripista del sistema-Cina da imporre all’Europa e poi al resto del mondo? Solo economia, senza più democrazia? Ognuno sta giocando le sue carte, dice Magaldi. E i nodi vengono al pettine, uno dopo l’altro. Finalmente, crolla la legittimità del rigore europeo: gli italiani adesso lo toccano con mano. «Non esiste scarsità di moneta: lo dice persino Draghi, smentendo se stesso (e in questo, dimostrando una certa grandezza)». L’ex presidente della Bce è consapevole del fatto che qui si sta davvero facendo la storia, partendo proprio dall’Italia: ma che combinazione, chi l’avrebbe mai detto?Magaldi annota: lo scontro sarà epocale, perché il nemico è potentissimo, transatlantico e transpacifico. E’ articolato in modo trasversale e tentacolare, sedimentato in decenni di potere incontrastato: finanziario e tecnologico, politico, mediatico, ideologico, scientifico, militare. Esattamente come per il contagio, non ci sono frontiere che tengano: la sfida è mondiale, tra democrazia e oligarchia. Primo obiettivo, intanto: smascherare in Italia il partito “cinese”, che poi cinese non è. E spiegare agli italiani che – ora sì – hanno la possibilità di cambiare il proprio destino. Certo, non sarà un passeggiata. Intanto, la penisola è in ginocchio. E domani, quando ai segregati sarà concesso di uscire di casa, si conteranno i caduti economici: una carneficina annunciata, pari a quella che si sta consumando negli ospedali. Ma attenzione: dalle guerre si può rinascere, l’economia si può ricostruire. La perdita della libertà, invece, è infinitamente più pericolosa. Magaldi invita a tenere gli occhi aperti: la democrazia (difettosa fin che si vuole) è un’invenzione recente, dopo millenni di autoritarismo. «Conquistarla è costato sangue, sempre. E non si tratta mai di una conquista definitiva: va difesa, ogni giorno. Lo stiamo imparando anche oggi».(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 28 marzo 2020. Le affermazioni di Gioele Magaldi sono tratte dagli interventi su YouTube registrati in questi giorni: “Massoneria On Air” del 26 marzo con Paolo Franceschetti, “Nella Morsa” con Gianfranco Carpeoro – sempre su “Border Nights” – e poi “Siamo ancora in democrazia?”, con Marco Moiso e Roberto Hechich).Anziani soli e disperati che piangono, al telefono coi carabinieri, implorando un piatto di cibo, mentre i servizi segreti avvisano Palazzo Chigi che ormai il Sud è a rischio sommossa: dilaga l’economia sommersa, e dunque non è possibile indennizzare i lavoratori-fantasma reclusi anch’essi ai domiciliari. Così a Palermo già si saccheggiano gli scaffali, e a presidiare i supermercati accorre la polizia. Tutto questo mentre il truce Macron si schiera clamorosamente con l’Italia contro “l’Europa egoista”. E lo stesso Mattarella – per la seconda volta in pochi giorni, appena dopo l’uscita di Draghi sul “Financial Times” («soldi a tutti, e subito, perché ora siamo in guerra») – interviene dal Quirinale con un appello a Bruxelles: fine del rigore, o stavolta l’Italia ci lascia la pelle. Cronache del finimondo, minuto per minuto, nel giorno in cui si registrano quasi mille morti in appena 24 ore, drammatico record mondiale dell’apocalisse chiamata coronavirus. Tragedia nella tragedia: il governo italiano paralizza il paese imponendo il coprifuoco, ma senza riuscire a evitare l’ecatombe. E senza rassicurare né soccorrere finanziariamente, con tempestività, i milioni di lavoratori che ha confinato in casa, pena sanzioni severissime per chi sgarra: si può portare a spasso il cane, ma non i bambini.
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Waters: se uccidete Assange, vi accuseremo anche da morti
Siamo qui oggi per Julian Assange. Ma ho quattro nomi su questo pezzo di carta. Il primo e l’ultimo naturalmente è Julian Assange, un giornalista, un coraggioso faro illuminante in luoghi oscuri da cui le potenze vorrebbero che ci allontanassimo. Julian Assange. Un nome da scolpire con orgoglio in ogni monumento al progresso umano. Julian è il motivo per cui siamo qui oggi, ma questa non è una protesta campanilistica. Oggi siamo parte di un movimento globale, un movimento globale che potrebbe essere l’inizio dell’illuminazione globale di cui questo fragile pianeta ha disperatamente bisogno. Va bene. Secondo nome. Mandatomi dal mio amico VJ Prashad. Il secondo nome è Aamir Aziz: Aamir è un giovane poeta e attivista di Delhi, coinvolto nella lotta contro Modi e la sua legge sulla cittadinanza, la sua legge razzista. Tutto sarà ricordato. Uccideteci, diventeremo fantasmi e scriveremo dei vostri omicidi, con tutte le prove. Voi scrivete barzellette in tribunale; noi scriveremo “giustizia” sui muri. Parleremo così forte che anche i sordi sentiranno. Scriveremo così chiaramente che anche i ciechi leggeranno. Voi scrivete “ingiustizia” sulla terra; noi scriveremo “rivoluzione” nel cielo.Tutto sarà ricordato; tutto sarà registrato. Questo riversamento dello spirito umano dall’India avviene in un momento di rivolta, quando le catene della proprietà sono messe da parte. Mentre ci incontriamo qui a Londra. Dall’altra parte dell’Atlantico, in Argentina, migliaia di donne scendono in strada per chiedere la legalizzazione dell’aborto al presidente Fernández. Non è solo l’Argentina. Quest’ultimo anno abbiamo visto grandi proteste scoppiare in tutto il mondo contro i regimi neoliberali e fascisti. In Cile, in Libano, in Colombia, in Ecuador, ad Haiti, in Francia e ora, naturalmente, anche in Bolivia, dove si combatte la nuova dittatura militare imposta dagli Stati Uniti… Quando vedremo il nome dell’Inghilterra in allegato a questa nobile lista? Sento rumore delle teste grattate nei salotti di tutti questi paesi: “Di cosa sta parlando, quell’uomo è un dannato pervertito filocomunista, un dannato antisemita, di cosa sta parlando? Non viviamo in una dittatura, questo è un paese libero, una democrazia, con tutte le migliori tradizioni del fair play, pah!”. Bene, ho una notizia per voi: “scontento di Tunbridge Wells” [moralisti conservatori scandalizzati, ndr]. Ci piacerebbe pensare che questo fosse un paese libero, ma siamo davvero liberi?Perché, quando Julian Assange viene portato sul banco degli imputati, nella minuscola corte dei magistrati all’interno della prigione di Belmarsh ci sono così tanti posti occupati da anonimi colletti bianchi americani, che sussurrano istruzioni all’orecchio attento del principale avvocato dell’accusa, James Lewis Qc? Perché? Perché non viviamo in un paese libero, viviamo in un canile glorificato e abbaiamo e/o scodinzoliamo al comando dei nostri signori e padroni dall’altra parte dell’oceano. Oggi mi trovo qui, davanti alla Madre dei Parlamenti, e lei è lì che arrossisce in tutto il suo imbarazzo. E proprio qui sopra c’è Runnemede, dove nel 1215 noi, gli inglesi, abbiamo esposto i rudimenti del diritto comune. La Magna Carta, ratificata nel 1297 con l’articolo 29 che ci ha dato l’Habeus Corpus. Oppure no? Diceva: «Il corpo di un uomo libero non deve essere arrestato, né imprigionato, né messo al bando, né esiliato, né in alcun modo rovinato, né il re deve andare contro di lui o mandarlo con la forza contro di lui, se non per giudizio dei suoi pari o per la legge della terra».Purtroppo, l’articolo 29 non è applicabile nel diritto moderno. La Magna Carta è solo un’idea, e in questo mondo moderno, guidato dalla propaganda, non prevede alcun controllo di principio per il Parlamento che legifera contro i diritti dei cittadini. Abbiamo comunque un trattato di estradizione con gli Stati Uniti e nel primo paragrafo dell’articolo 4 di tale trattato si afferma: «L’estradizione non è concessa se il reato per il quale è richiesta l’estradizione è un reato politico». Julian Assange non ha commesso alcun crimine, ma ha commesso un atto politico. Ha detto la verità al potere. Ha fatto arrabbiare alcuni dei nostri padroni a Washington dicendo la verità e come punizione per l’atto di dire la verità vogliono il suo sangue. Ieri, davanti alla centrale elettrica di Battersea, ho fatto un’intervista televisiva per “Sky News” per promuovere questo evento; non c’era nessun collegamento visivo, quindi il mio unico contatto con la signora che mi ha fatto domande è stato tramite un auricolare su un filo riccio. Ho imparato qualcosa sul dire la verità nella formulazione delle sue domande. Mi è venuta addosso come un Don Chisciotte impazzito con tutte le sue domande, fitte di sbavature e insinuazioni, e le false accuse con cui i potenti hanno cercato di annerire il nome di Julian Assange.Ha fatto scattare una narrazione stanca, ma ben preparata, e poi mi interrompeva costantemente durante le mie risposte. Non so chi sia, può darsi che abbia buone intenzioni. Se lo sapesse, il mio consiglio sarebbe quello di smettere di bere il Kool-aid [credere a tutto ciò che le dicono fino alla morte, ndt], e se davvero ha un minimo di interesse per la usa professione, muova il suo dispiaciuto culo e si unisca a noi. Quindi, Inghilterra: invito il nostro primo ministro, Boris Johnson, a dichiarare i suoi colori. Sostiene lo spirito della Magna Carta? Crede nella democrazia, nella libertà, nel fair play, nella libertà di parola e soprattutto nella libertà di stampa? Se la risposta a queste domande è sì, allora suvvia, primo ministro, sia il bulldog britannico che vorrebbe far credere a tutti noi. Si opponga alla spacconata dell’egemonia americana, annulli questo processo-spettacolo, questa farsa, questo tribunale-canguro. «Le prove davanti alla corte sono incontrovertibili». Julian Assange è un uomo innocente. È un giornalista che fa un lavoro molto importante per “noi, il popolo”, esponendo i crimini di potenti sociopatici nei corridoi del potere. Vi chiamo a liberarlo oggi stesso.Non posso lasciare questa fase senza menzionare Chelsea Manning, che ha fornito parte del materiale che Julian ha pubblicato. Chelsea è stata chiusa in una prigione federale per un anno in carcere dagli americani per aver rifiutato, a titolo principale, di testimoniare davanti a un gran giurì appositamente convocato per fare di Julian Assange un esempio. Che coraggio. Le stanno anche facendo una multa di 1.000 dollari al giorno. Chelsea è un altro nome da scolpire nell’orgoglio; ho letto le ultime notizie sul tuo caso: sembra che il tuo team legale stia trovando la luce alla fine del tunnel; pregando Dio, speriamo uscirai presto per tornare dai tuoi cari, sei un vero eroe. Lei esemplifica lo spirito da bulldog di cui parlavo poc’anzi. Anche Daniel Hale. Daniel è un informatore che forse non conoscete ancora. Era in un grande film documentario, “National Bird”, realizzato dalla mia cara amica Sonia Kennebeck. Faceva parte del programma di droni degli Stati Uniti che prendeva di mira gli afghani nel loro paese da un centro di comando mobile a Navada. Quando il suo periodo nell’Usaf è finito, il buon cuore di Daniel si rifiutò di eliminare il peso del rimorso che portava e decise molto coraggiosamente di raccontare la sua storia.Da allora l’Fbi e la Cia hanno perseguitato Daniel senza pietà, e ora è in prigione in attesa di processo. Quello di Daniel è un altro nome da scolpire nell’orgoglio. Chi di noi non ha mai compromesso la propria libertà nella causa della libertà, chi non ha mai preso in mano la fiaccola accesa e l’ha tenuta tremante per i crimini dei suoi superiori, non può che meravigliarsi dello straordinario coraggio di chi l’ha fatto. Ci sono altri oratori, qui, quindi mi farò da parte; potrei stare qui tutto il giorno a inveire contro la morte della luce, se non dovessimo stare in piedi come bulldog, con le braccia legate, i ranghi chiusi davanti al nostro fratello e compagno Julian Assange. E quando i lacchè dell’impero americano verranno a prenderlo, a distruggerlo e ad impiccarlo nella siepe come monito per spaventare i futuri giornalisti, li guarderemo negli occhi e con una sola voce intoneremo loro: “Sopra i nostri cadaveri”.(Roger Waters, discorso pronunciato a Londra il 22 febbraio 2020, in favore di Julian Assange; testo editato sul sito di Waters, storico leader dei Pink Floyd, e tradotto da Riccardo Donat-Cattin per “Come Don Chisciotte”. Attivista per i diritti umani, Waters è perseguitato da Israele, che lo accusa di “antisemitismo” per il suo impegno a favore dei civili palestinesi, brutalmente sottoposti al regime israeliano di apartheid).Siamo qui oggi per Julian Assange. Ma ho quattro nomi su questo pezzo di carta. Il primo e l’ultimo naturalmente è Julian Assange, un giornalista, un coraggioso faro illuminante in luoghi oscuri da cui le potenze vorrebbero che ci allontanassimo. Julian Assange. Un nome da scolpire con orgoglio in ogni monumento al progresso umano. Julian è il motivo per cui siamo qui oggi, ma questa non è una protesta campanilistica. Oggi siamo parte di un movimento globale, un movimento globale che potrebbe essere l’inizio dell’illuminazione globale di cui questo fragile pianeta ha disperatamente bisogno. Va bene. Secondo nome. Mandatomi dal mio amico VJ Prashad. Il secondo nome è Aamir Aziz: Aamir è un giovane poeta e attivista di Delhi, coinvolto nella lotta contro Modi e la sua legge sulla cittadinanza, la sua legge razzista. Tutto sarà ricordato. Uccideteci, diventeremo fantasmi e scriveremo dei vostri omicidi, con tutte le prove. Voi scrivete barzellette in tribunale; noi scriveremo “giustizia” sui muri. Parleremo così forte che anche i sordi sentiranno. Scriveremo così chiaramente che anche i ciechi leggeranno. Voi scrivete “ingiustizia” sulla terra; noi scriveremo “rivoluzione” nel cielo.
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Mazzucco: gli Usa, Stato di polizia travestito da democrazia
Da 15 anni denuncio gli americani come burattinai del terrorismo internazionale. Credo di essere l’unica persona al mondo che ha fatto tre documentari diversi sull’11 Settembre, nei quali, in modo sistematico (implicitamente in due, esplicitamente in uno) accuso gli americani di essere i burattinai del terrorismo internazionale. Il mio antiamericanismo me lo sono cresciuto da solo, e molto prima di conoscere Giulietto Chiesa. Ho vissuto negli Stati Uniti per trent’anni, prima dieci anni a New York e poi vent’anni a Los Angeles. Ero andato a Los Angeles nel ‘94 pensando di trasferirmi in America definitivamente perché volevo fare cinema: non perché l’America mi piacesse in modo particolare, ma perché a Hollywood c’era l’ambiente che pensavo di trovare (poi invece la sorpresa è stata un’altra). Così, ho cominciato comunque a conoscere da vicino questa nazione. Intanto io non ce l’ho con gli americani. Si può dire solo in termini generici che io sarei antiamericano. Gli americani sono un popolo di persone sostanzialmente per bene, magari un po’ fessacchiotti e infantili: come nazione, li paragono a un quindicenne in piena esplosione ormonale. Ce l’ho in particolare con le élite che li controllano, e controllano mezzo mondo, o tre quarti del mondo.Una cosa che mi manca, degli Usa, è l’assenza di burocrazia: la facilità di fare business, se lo vuoi fare, senza impedimenti e senza pastoie. Mia moglie s’era messa a disegnare gioielli fatti a mano, che piacevano. Non ha avuto bisogno di nessuna partita Iva: è andata all’ufficio postale, ha complilato un semplice modulo con il suo codice fiscale, ha pagato 20 dollari e dopo mezz’ora aveva la licenza per vendere i suoi gioielli. Una facilità assoluta, nell’andare incontro alle persone, senza costringerle ad avvalersi del commercialista. Quando feci la mia prima patente di guida americana, avendo già la patente italiana dovevo sostenere solo l’esame scritto, senza guida. Superato il test, all’ufficio di New York pochi minuti dopo c’era già la mia patente pronta. Rimpiango dell’America questo non volerti mettere i bastoni tra le ruote, per tutto quello che è burocrazia: mi manca questa capacità di aiutare il cittadino, che in Italia è impensabile (e forse ha ragioni che risalgono a 500 anni fa). E’ chiaro che imporre uno Stato burocratico dà il potere a chi gestisce la burocrazia: se sei un burocrate che ha in mano tutte le carte, puoi favorire chi vuoi e sfavorire gli altri. Un’arma di ricatto, tant’è vero che in Italia, se hai bisogno di qualcosa, la prima domanda è sempre “non è che conosci qualcuno, al ministero?”.La cosa invece che sono felice di aver lasciato in America è quel fastidio sottile di sapere di vivere in uno Stato di polizia travestito da democrazia. In realtà, tanto apparente è la libertà di pensiero, la libertà di espressione, la cosiddetta libertà democratica che c’è in America, quanto invece è strisciante il ferreo controllo mentale sulle tue opinioni. Nel momento stesso in cui tu “sgarri” ed esci da pensiero mainstream, sei automaticamente considerato un paria. Adesso purtroppo la cosa è arrivata anche qui, perché noi seguiamo sempre di qualche anno quello che avviene negli Stati Uniti. Ma quando ho lasciato gli Usa, sei anni fa, avevo già questa sensazione: non potevi parlare con nessuno, liberamente. Qualunque cosa provassi a dire, di fronte cioè a qualunque argomento controverso, vedevi subito occhi sbarrati e persone che sparivano. E questo dovrebbe essere il grande paese della libertà di espressione? E’ un senso diffuso, quello di non potersi esprimere liberamente. Qui, bene o male, puoi ancora farlo. Se al bar ti metti a discutere sull’11 Settembre, non è che ti guardino per forza come un alieno: magari ti contrastano, ma una discussione puoi farla. La tua posizione è comunque accettata. Là invece scatta una sorta di orrore interiore: appena esci dal pensiero unico, sei automaticamente da cancellare dalla società. E questo è molto pesante, specialmente per uno come me, che la pensa diversamente su molti argomenti.Il mio non è un antiamericanismo a priori, le mie opinioni sono argomentate. Dal 2004, quando ho aperto il blog “Luogo Comune”, denuncio i crimini statunitensi: l’invasione americana dell’Iraq ha fatto più di un milione di morti, tra le vittime civili. Mi sembra di aver sempre giustificato, con i dati di fatto, le mie posizioni. Si dice che Qasem Soleimani non avrebbe combattuto l’Isis, e che anzi avrebbe contribuito a farlo crescere? Quando qualcuno ne porterà le prove, sarò ben felice di cambiare idea su Soleimani. Trump è stato incastrato e obbligato a mettere la firma sull’operazione Soleimani dopo che è avvenuta? Non c’è niente di irragionevole, in questa ipotesi. Queste operazioni possono essere giustificate da una impellenza immediata. Cioè: i militari possono tranquillamente aver fatto fuori Soleimani sensa avvisare Trump (cosa che io continuo a pensare che sia successo), mettendolo di fronte al fatto compiuto, dicendogli: si è presentata un’occasione irripetibile per ucciderlo, sulla via dell’aeroporto di Baghdad, senza massacrare civili innocenti. A quel punto, il presidente cosa fa? O denuncia i militari di averlo aggirato, perdendo così le prossime elezioni dimostrando di non essere capace di controllare il Pentagono, oppure abbozza e ci mette la firma.La prima reazione di Trump non è stato un tweet per rivendicare l’uccisione del “cattivo” Soleimani. Su Twitter ha solo pubblicato la foto di una bandiera americana, senza nessuna scritta e senza intestarsi niente. Strano, per uno che “cinguetta” così tanto. Secondo me, Trump stava ancora cercando di capire cosa fosse successo. Quando l’ha capito, non gli è rimasto altro da fare che fingere che l’avesse deciso lui. Uno può sposarla o meno, questa ipotesi, ma è tutt’altro che irragionevole. Apprezzo la reazione missilistica dell’Iran dopo l’omicidio di Soleimani: un atto dimostrativo, che conferma la capacità chirurgica dell’Iran di colpire le basi militari americane nella regione, ma in questo caso senza l’intenzione di provocare vittime. Il Boeing colpito nei cieli di Teheran? In attesa di sapere cosa sia accaduto veramente, dobbiamo intanto registrare le scuse solenni e ufficiali dell’Iran per quello che viene definito un tragico errore. Anche gli Usa abbatterono un volo civile, sotto Clinton, ma il Pentagono smentì le iniziali ammissioni del presidente. E dopo 40 anni aspettiamo ancora le scuse (e la verità) per Ustica.L’Iran sostiene che l’errore – imperdonabile – sia stato causato dallo stato di tensione innescato dagli Usa con l’omicidio del generale Soleimani. Attenzione, Soleimani era a Baghdad in missione diplomatica ufficiale: secondo l’ex primo ministro iracheno Mahdi, stava portando a Baghdad un accordo di de-escalation, quindi di pacificazione, fra l’Iran e l’Arabia Saudita, cioè i maggiori portavoce (sciita e sunnita) che si confrontano a distanza, in Medio Oriente, ovviamente con Israele che sta dalla parte dei sauditi contro l’Iran. Quindi Soleimani in quel momento era un diplomatico, in missione diplomatica. E se c’è una cosa che non si fa, in tutto il mondo, nonostante lo schifo delle guerre, è uccidere i diplomatici: è una regola che vale da sempre. Infatti, lo stesso Soleimani si era esposto alla possibilità di essere colpito: pensava che non avrebbero mai osato fare un’azione del genere. Era convinto di essere sotto immunità diplomatica: in questo sta la gravità dell’accaduto. Poi non so dire quanto fosse criminale, Soleimani, ma – a quel livello – nessuno è uno stinco di santo: non ci sono buoni e cattivi, si combattono guerre pesantissime da 30-40 anni, nella regione petrolifera, ma niente giustifica un atto del genere.Un senatore repubblicano ha protestato apertamente, in televisione, perché una commissione senatoriale americana non ha ottenuto risposte dal Pentagono sui motivi dell’uccisione di Soleimani. La commissione verifica l’azione dei militari e può quindi riferire al Parlamento, dunque ai cittadini, cosa succede. Lo scopo della commissione non è far rivelare al Pentagono i suoi segreti militari, ma è quello di verificare (a porte chiuse) quali sono i motivi che hanno spinto i militari a compiere una determinata operazione. Dopodiché, i senatori possono assicurare di aver ricevuto spiegazioni valide, sia pure non divulgabili per ovvie ragioni di sicurezza nazionale. Invece questo senatore, uscito dai lavori della commissione, ha detto: «Ci hanno dato solo 75 minuti di tempo». Il Pentagono aveva parlato di un “attacco imminente” progettato da Soleimani? Protesta il senatore: «Ogni volta che chiedevamo dov’era, questo attacco imminente, chi lo avrebbe dovuto compiere e contro quale obiettivo, non ci rispondevano. E in più – riferisce sempre il senatore – ci hanno hanno anche detto: “Non permettetevi mai più di dubitare delle nostre scelte militari per un futuro, eventuale attacco all’Iran”». E questo è un senatore repubblicano: non un democratico, che potrebbe avere interesse a contestare l’amministrazione Trump. Ribadisce: al Senato, il Pentagono non ha offerto alcuna giustificazione per l’omicidio del generale Soleimani.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Mazzucco Live” dell’11 gennaio 2020, su YouTube. Mazzucco è autore di documentari come “11 settembre 2001 – Inganno globale” uscito nel 2006, “Il nuovo secolo americano” del 2007 e “11 Settembre – La nuova Pearl Harbor”, del 2013).Da 15 anni denuncio gli americani come burattinai del terrorismo internazionale. Credo di essere l’unica persona al mondo che ha fatto tre documentari diversi sull’11 Settembre, nei quali, in modo sistematico (implicitamente in due, esplicitamente in uno) accuso gli americani di essere i burattinai del terrorismo internazionale. Il mio antiamericanismo me lo sono cresciuto da solo, e molto prima di conoscere Giulietto Chiesa. Ho vissuto negli Stati Uniti per trent’anni, prima dieci anni a New York e poi vent’anni a Los Angeles. Ero andato a Los Angeles nel ‘94 pensando di trasferirmi in America definitivamente perché volevo fare cinema: non perché l’America mi piacesse in modo particolare, ma perché a Hollywood c’era l’ambiente che pensavo di trovare (poi invece la sorpresa è stata un’altra). Così, ho cominciato comunque a conoscere da vicino questa nazione. Intanto io non ce l’ho con gli americani. Si può dire solo in termini generici che io sarei antiamericano. Gli americani sono un popolo di persone sostanzialmente per bene, magari un po’ fessacchiotti e infantili: come nazione, li paragono a un quindicenne in piena esplosione ormonale. Ce l’ho in particolare con le élite che li controllano, e controllano mezzo mondo, o tre quarti del mondo.
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Gilad Atzmon: Soros e il totalitarismo dell’Ebreo Universale
Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, presidente dell’Agenzia Ebraica e già presidente ad interim di Israele, plaude a George Soros come alla perfetta icona di “ebreo-universale”. In un suo recente articolo su “Haaretz” intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society”, il politico israeliano afferma che solo «alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali». Apparentemente «una di queste persone di coraggio è Soros». Secondo Burg, Soros «rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori». Secondo il concetto del cosiddetto “ebraismo-universale,” il 52% degli inglesi che vogliono separarsi dall’Ue sono da considerarsi una «rumorosa minoranza suicida». Sembra che il cosiddetto “ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i conservatori, Trump o Netanyahu.Questo “ebreo-universale” sembrerebbe essere anche piuttosto ostile nei confronti di coloro che apprezzano i punti di vista dei conservatori o che sono così sfortunati da avere la pelle bianca. E, come abbiamo scoperto, l’”ebreo-universale” non è molto tollerante neanche nei confronti della letteratura e della libertà di parola. Abbiamo visto gli enti finanziati da Soros lavorare instancabilmente per bruciare libri, eliminare testi e persino rimuovere reperti storici ritenuti importanti dalle persone con cui [Soros] è in disaccordo. Il concetto di Burg di ebreo-universale non ha alcuna relazione con la nozione greca di “universale ” o di “universalismo”. Anche se Burg non approva il volto barbaro di Israele e del sionismo, in qualche modo considera Soros come l’incarnazione dell’impegno ebraico al Tikun Olam, cioè al perfezionamento del mondo. «Mentre così tanti ebrei stanno facendo del loro meglio per diventare criminali ultra-nazionalisti e violenti, duri e insensibili, Soros rappresenta, forse inconsapevolmente, l’altro volto della civiltà ebraica, quello nascosto e incantato, il cui obbligo principale è l’impegno di riparare le ingiustizie del mondo, non solo per gli ebrei ma per tutti». Tendo a pensare che il mondo sarebbe un posto molto più bello e più sicuro se gli ebrei decidessero di essere leggermente meno appassionati nel salvare gli altri e si concentrassero invece nel mettere a posto il loro Stato Ebraico.Nel suo commento su “Haaretz”, Burg fa riferimento al mentore di Soros, Karl Popper, autore di “The Open Society and its Enemies” [L’Open Society e i suoi nemici]. Secondo Popper, nessuna persona o organizzazione ha il monopolio della verità, quindi, maggiore è il numero di opinioni diverse tra le persone che vivono in pace e tolleranza l’una con l’altra, maggiori sono i benefici che ne derivano per tutti. Sfortunatamente, Soros e la sua Open Society non seguono il mantra filosofico di Popper. L’”universalismo-ebraico” di Soros è un costrutto divisivo. Frantuma la società in una varietà di segmenti identitari che sono definiti dalla biologia (razza, genere, preferenza sessuale). Nel regno dell’”ebreo-universale”, le persone non vengono identificate come semplici esseri umani che cercano di vivere la loro comune esperienza umana. Al contrario, ogni identità impara a parlare nel dialetto di “come un” (“come una donna …,” “come un ebreo …,” “come un nero …,” “come un gay”, ecc.). Nel mondo dell’”ebreo-universale” le persone cercano caratteri identificativi che li differenziano dal resto dell’umanità. L’esclusività e la differenza vengono tenute nella massima considerazione, anche se contraddicono la ricerca del valore ultimo della fratellanza umana.La “giurisdizione” ebraica-universale riduce l’universo ad una semplice versione ampliata delle “tribù di Israele“: tribù di identitari impegnate in guerre settarie, razziali e di genere. La falsa “diversità” e la fasulla “tolleranza” offerte dall’”ebreo-universale” sono, in effetti, autoritarie e intolleranti nei confronti delle masse. Il cosiddetto “ebreo-universale” è un concetto eccezionalista, progettato per “estraniare” quelli con cui non si va d’accordo. Inavvertitamente, Burg ci ha rivelato che la «guerra tra aperto e chiuso, tra gli isolazionisti e i fautori dell’inclusione» è, in realtà, una battaglia interna ebraica tra i Netanyahu del mondo (Trump, Giuliani, Orban) e gli ebrei-universalisti che chiama “ebrei Soros”: quelli che, secondo Burg, «combattono senza paura affinché il nuovo decennio sia il nostro». Nostro?Immagino che un Gentile possa chiedersi, chi è il “nostro” e “sono compreso anch’io?”. Coloro che hanno votato Trump, Johnson, la Brexit, Orban o Bibi sono anch’essi inclusi nell’”utopia ebraica-universale”? Certamente no! Sono il paniere dei deplorevoli, come li definiva l’”ebrea-universalista” Clinton, appena prima che i suoi sogni presidenziali svanissero nel nulla. Quelli che si fanno infinocchiare da Soros e dal concetto di “ebreo-universale” non dovrebbero essere sorpresi dal successo travolgente della politica della destra. Nei sogni dell’”ebreo-universale” il mondo è spezzato in un amalgama di identità cosmopolite destinate a combattersi tra loro, invece di lottare contro Wall Street e la City. Nella realtà dell’”ebreo-universale“, la sinistra è tenuta in piedi da un “filantropo” capitalista. Se la sinistra intende sostenere i valori dei lavoratori e delle classi lavoratrici, dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sostenere i valori e le esigenze dei lavoratori, piuttosto che accettare il denaro sporco di un magnate capitalista. Se la sinistra vuole essere rilevante, è meglio che capisca come ripristinare l’universale e l’universalismo. Chiudo questo breve articolo rilevando che non vi è alcuna indicazione che la sinistra voglia ripristinare il suo ruolo politico o sociale. Essere pagata da una istituzione della società ebraica-universale sembra essere il suo modo preferito di agire.(Gilad Atzmon, “Burg, Soros e l’Ebreo-Universale”, dal blog di Atzmon del 1° gennaio 2020; post tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ebreo, Atzmon è uno scrittore e brillante musicista jazz formatosi a Gerusalemme, che vive e lavora a Londra. E’ noto come militante anti-sionista. Nel 2006 ha rilasciato la seguente dichiarazione ad “Al Jazeera”: «Non si può fare un confronto tra Israele e il nazismo: dobbiamo ammettere che Israele è il male assoluto, più della Germania nazista»).Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, presidente dell’Agenzia Ebraica e già presidente ad interim di Israele, plaude a George Soros come alla perfetta icona di “ebreo-universale”. In un suo recente articolo su “Haaretz” intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society”, il politico israeliano afferma che solo «alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali». Apparentemente «una di queste persone di coraggio è Soros». Secondo Burg, Soros «rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori». Secondo il concetto del cosiddetto “ebraismo-universale,” il 52% degli inglesi che vogliono separarsi dall’Ue sono da considerarsi una «rumorosa minoranza suicida». Sembra che il cosiddetto “ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i conservatori, Trump o Netanyahu.
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ControTv, in diretta: Chiesa e Mazzucco aggirano YouTube
Attenti a quei due: da anni sfidano il mainstream, smontando le sue leggende, e non hanno ancora smesso di impensierire il Grande Fratello. Tant’è vero che, non appena la nuova iniziativa è finita su una pagina Facebook con oltre 40.000 contatti, la segnalazione è stata trasmessa in automatico solo a 9.000 follower. Già si annusano guai in vista, ipotizza Massimo Mazzucco, titolare della pagina stranamente “filtrata”: il mitico algoritmo di Zuckerberg sospetta che il suo nome, unito a quello di Giulietto Chiesa, possa essere sinonimo di grane? Del resto, quello è il sistema che dispensa sonni tranquilli al cittadino, magari invitandolo a rifugiarsi nel politically correct come nel caso del polverone attorno alla commissione Liliana Segre. Sacrosanto condannare chi insulta i reduci della Shoah, beninteso: purché questo poi non venga usato per silenziare chiunque la pensi diversamente, sui temi più disparati. «Vale anche per il revisionismo: un conto è oltraggiare i reduci, un altro è avere idee differenti sulla storia. Proibirle non è forse contrario alla libertà di parola tutelata dalla Costituzione?». E poi: «Perché la versione ufficiale dovrebbe essere obbligatoria solo per la Shoah, di cui si stabilisce il numero di vittime senza mai interrogarsi sulle vere cause del nazismo e sui sostenitori occulti di Hitler?». A quel punto, dice Mazzucco, si emani una verità ufficiale su ogni altro tema, e buonanotte a tutti.
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Moiso: Salvini è l’unico a parlare di ritorno alla democrazia
Ho sentito in questi giorni grande soddisfazione per il discorso di Conte al Senato. Incredibile. A sentire Conte, il “governo del cambiamento” sembrava destinato a seguire la strada del governo del Pd. Il discorso di Conte era ben articolato, forbito e pieno di spunti validi nei quali ci si riconosce facilmente; per esempio nella critica costruttiva a questa dis-Unione Europea, della quale c’è grande bisogno ma che tradisce i valori sui quali era costruita, divenendo invisa e dannosa per il popolo. Peccato che, come nel caso del Pd, questa analisi non si tramuti in una irriducibile lotta politica ma rimanga parola morta a uso e consumo della nuova aristocrazia finanziaria. Questa analisi e questa visione non si traducono in una vera lotta per la democratizzazione dell’Europa, o in una lotta contro il primato della finanza sulla politica, ma si traducono nel voto per la von der Leyen, in chiacchiere con la Merkel sulle elezioni e nell’urgenza di fare le riforme suggerite da questa dis-Unione Europea. E infatti, a seguito del discorso di Conte il M5S, mostrando la più disarmante mancanza di visione politica, apre una porta nei confronti del Pd. Possibile che fosse questa la traiettoria del “governo del cambiamento”?Come può, chi voleva cambiare il paese, governare con i rappresentanti delle élites? Come possono quei parlamentari animati da un sincero spirito (che io definisco) progressista, come Pino Cabras, accettare di governare con l’ultraconservatorismo economico? Se questi erano i presupposti ideologici alla base dell’attività politica del M5S (ce ne sono? o si va a caso?) non mi stupisco che si sia fatto molto poco sulle questioni economiche ed europee. Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni… Ad ogni modo, pochi parlano invece del discorso di Salvini… e credo che pochi lo abbiano visto (ecco il link). I pidioti si sperticano nell’irriderne la forma semplice e popolare (cosa abbia il Pd di progressista ormai va davvero ricercato con difficoltà e ardore – chissà che qualcosa non possa rinascere dalle ceneri) ma ne ignorano completamente il senso. In una narrativa a tratti demagogica – tra rosari, madonne, federalismo e attacchi al mondo Lgbt (tutte cose criticabili per gusto e direzione politica) – Salvini ha posto il problema del nostro tempo: la sostanzialità dei processi democratici.Ovviamente, questo punto non può che passare per il rapporto tra finanza, economia e politica, la ridefinizione delle istituzioni europee (l’Europa deve essere un mezzo, non un fine), e una discussione su quelle che devono essere le finalità stesse della politica: rappresentare gli interessi del popolo su mandato del popolo, il contrario di quello che fa la sedicente sinistra oggi. Insomma, vedendo i video dei discorsi relativi alla crisi di governo, la percezione è stata quella che il problema della politica italiana continui ad esasperarsi. Da una parte abbiamo schieramenti politici incapaci di sviluppare una visione politica che dia risposta alle sfide del nostro tempo (Pd, +Europa, Fi, M5S, FdI, Leu), dall’altra l’unica forza politica che, a parole, si pone il problema della democrazia sostanziale, lo fa partendo da posizioni conservatrici sui diritti sociali e civili.Serve davvero una forza, o una volontà, politica capace di coniugare la necessità di ristabilire la sostanzialità dei processi democratici e il giusto rapporto tra finanza e politica, con una visione progressista, moderna ed inclusiva sulle questioni civili, sociali e comunitarie. Al momento questo manca. Sicuramente non viene dagli scranni di “democratici” che avrebbero apertamente voluto impedire all’avversario di parlare (a tale proposito bisognerebbe davvero analizzare come i sedicenti democratici, a causa della questione morale, vorrebbero minare i principi delle democrazie liberali, come la libertà di parola). Peccato, è dalle parti dell’elettorato con sensibilità progressista che più si sente la mancanza di una proposta politica non piegata al neoliberismo e coerentemente progressista sui temi economici, sociali e civili.(Marco Moiso, “Crisi di governo: dove sono i democratici?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 22 agosto 2019).Ho sentito in questi giorni grande soddisfazione per il discorso di Conte al Senato. Incredibile. A sentire Conte, il “governo del cambiamento” sembrava destinato a seguire la strada del governo del Pd. Il discorso di Conte era ben articolato, forbito e pieno di spunti validi nei quali ci si riconosce facilmente; per esempio nella critica costruttiva a questa dis-Unione Europea, della quale c’è grande bisogno ma che tradisce i valori sui quali era costruita, divenendo invisa e dannosa per il popolo. Peccato che, come nel caso del Pd, questa analisi non si tramuti in una irriducibile lotta politica ma rimanga parola morta a uso e consumo della nuova aristocrazia finanziaria. Questa analisi e questa visione non si traducono in una vera lotta per la democratizzazione dell’Europa, o in una lotta contro il primato della finanza sulla politica, ma si traducono nel voto per la von der Leyen, in chiacchiere con la Merkel sulle elezioni e nell’urgenza di fare le riforme suggerite da questa dis-Unione Europea. E infatti, a seguito del discorso di Conte il M5S, mostrando la più disarmante mancanza di visione politica, apre una porta nei confronti del Pd. Possibile che fosse questa la traiettoria del “governo del cambiamento”?
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Moiso: l’Anpi come CasaPound. Così tradisce la Resistenza
«Ritengo che l’Anpi stia tradendo il suo statuto». Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, messo a tacere e poi cacciato dalla platea londinese di CasaPound, a sua volta esiliata – grazie all’Anpi – dalla sede universitaria dove Chiara Giannini avrebbe dovuto presentare il libro-intervista “Io sono Salvini”. Volume già messo all’indice al Salone del Libro di Torino insieme alla sua casa editrice, Altaforte, estromessa dalla kermesse torinese. Il solito refrain: «Non avete il diritto di parlare, perché siete fascisti». Secondo round a Londra, il 25 luglio, quando Altaforte riprova a presentare il libro, stavolta nella capitale britannica. Ma la longa manus dell’Anpi arriva sin lì: e convince la London Metropolitan University a negare la sala, in extremis, all’associazione promotrice (“Vortex Londinium”, vicina a CasaPound). Al che, i giovani della nuova destra sociale ripiegano su una location secondaria. Moiso li raggiunge, e viene applaudito quando difende la libertà universale di parola. Ma appena spiega di essere lui stesso iscritto all’Anpi, viene zittito e costretto a lasciare la sala. Fantastico: CasaPound si è comportata esattamente come l’Anpi, che però è stata la prima ad aprire le ostilità. Moiso ovviamente non milita in CasaPound, ma nell’Anpi: per questo trova inaudito che proprio l’associazione partigiani d’Italia «agisca come CasaPound, nello stesso modo, e cioè togliendo la parola a chi la pensa diversamente».Durissima la lettera aperta che Moiso rivolge alla presidente dell’Anpi, Carla Nespolo. Svolgere un ruolo di memoria storica, valorizzando e perpetuando la memoria della Resistenza? Continuare a lottare per la democrazia e contro ogni fascismo? Benissimo, ma «l’Anpi ha il dovere di farlo nel rispetto del suo statuto e dei valori della democrazia e della libertà». Invece, l’associazione partigiani «sembra aver smarrito la via tracciata nel suo statuto, che è democratico, liberale e inclusivo di tutte le realtà che hanno partecipato alla Resistenza». Ovvero: «Invece di rispettare la pluralità della lotta democratica e antifascista, vediamo l’Anpi schiacciata a sostegno delle posizioni di un solo partito, e incapace di elaborare un’analisi su quelle che sono le forme di ‘fascismo’ nel XXI secolo». È vero, ammette Moiso, il fascismo nero va combattuto. «Ma c’è un’altra serpeggiante forma di fascismo, ormai dominante: il cosiddetto fascismo bianco del mondo della finanza, spesso appoggiato dalla sedicente sinistra». Aggiunge Moiso: «Se è vero che fascismo vuol dire mancanza di democrazia, di libertà e di giustizia sociale, l’Anpi dovrebbe guardare al fascismo bianco del mondo finanziario e combatterlo senza quartiere».Per capire perché la lotta al “fascismo bianco” dovrebbe essere la priorità dell’Anpi, continua Moiso, basta vedere i rapporti dell’Ocse sull’incremento della povertà, nonché «la perdita di democrazia sostanziale all’interno di istituzioni sempre più sotto il controllo degli oligarchi del mondo finanziario». E’ un fatto: la deregolamentazione dello scambio di merci, servizi e capitali, visto che non è accompagnata da organi politici e giuridici sovranazionali, ha invertito il rapporto tra finanza e politica: così, «gli interessi commerciali di grandi gruppi sovranazionali stanno distruggendo il pianeta». Perché l’Anpi non vuole aprire gli occhi sull’unico, vero fascismo di cui oggi scontiamo le conseguenze? «Se l’Anpi decidesse di capire lo “zeitgeist” del nostro tempo – la lotta al neoliberismo – vedrei un futuro lungo e prospero per la tradizione della Resistenza». E invece, tutto si perde «in una lotta costantemente esasperata verso piccoli punti neri, o sedicenti tali». Di fronte alle sfide del XXI secolo, «stracciarsi le vesti per la pubblicazione di un libro su un ministro della Repubblica mi sembra assai dannoso per la memoria della Resistenza stessa», aggiunge Moiso, pensando all’ostruzionismo fascistoide che penalizza il volume di Chiara Giannini.«Quello che infanga davvero la memoria della Resistenza – scrive Moiso – è come l’Anpi oggi tradisca il suo statuto e i suoi valori, comportandosi con modalità antidemocratiche e illiberali, censurando e limitando la libertà di espressione». In altre parole: l’Anpi pratica il peggiore arbitrio, con un atteggiamento che ricorda sinistramente quello del Ventennio. «L’Anpi dovrebbe ricordarsi che i valori delle democrazie liberali, per definizione, si applicano a tutti i membri della collettività, a prescindere dalle loro convinzioni politiche, condivisibili o meno», aggiunge Moiso, nella sua lettera indirizzata a Carla Nespolo, ricordando che «l’antifascismo è un valore funzionale a garantire la democrazia liberale». In altre parole, «non si può perpetuare il valore dell’antifascismo a discapito di democrazia e libertà, perché altrimenti si corre il rischio di favorire nuove dittature: nel passato c’era il rischio del comunismo, oggi invece viviamo nella silente dittatura neoliberista». L’Anpi? «Sembra avere dimenticato che la lotta per libertà e la democrazia sono il fine dell’antifascismo: perché c’è differenza tra isolare e vietare, e c’è differenza tra il contestare e il mettere a tacere».Nella sua missiva a Carla Nespolo, il vicepresidente del Movimento Roosevelt ricostruisce il doppio incidente di Londra. La Lega e la casa editrice Altaforte, insieme a “Vortex Londinium”, avevano prenotato la London Metropolitan University per presentare il libro “Io sono Salvini”. Obiettivo: «Parlare di libertà di stampa e di parola, e denunciare come queste non siano state garantite nell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino». Il 25 luglio, prima che l’evento avesse luogo, l’Anpi Uk ha diramato una email per invitare i soci a “monitorare” l’incontro, chiedendo anche agli iscritti di prendere qualche iniziativa. «Da parte mia – spiega Moiso – ho risposto che ero stato invitato a intervenire in rappresentanza del Movimento Roosevelt, che ha come missione quella di diffondere e far applicare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Moiso si era prenotato per intervenire sul tema del diritto di espressione. «Ho detto all’Anpi inglese che sarei andato, da antifascista tra i fascisti, per parlare sì della libertà di espressione, ma anche del bisogno di abbandonare il fascismo e di perseguire lotte sociali in un contesto democratico». Fin qui, tutto bene. «Se l’Anpi avesse organizzato un contro-corteo, garantendo il diritto di espressione e parola – aggiunge Moiso – noi avremmo certamente aderito, mandando comunque qualcuno a provare a convincere quei giovani della bontà della causa democratica. Ma così non è stato».Dopo una serie di email, nelle quali si parlava della necessità di “difendere la democrazia e la libertà”, un quadro dell’Anpi – racconta Moiso – ha annunciato che «la cosa migliore da fare era quella di parlare con l’università per fare cancellare l’evento». Detto fatto: «Dopo pochi minuti è arrivata la comunicazione dell’università, la quale ha detto che per pressioni ricevute l’evento era annullato». E bravi i campioni democratici dell’Anpi, specialisti nell’imporre il bavaglio. Di fronte alle rimostranze di Moiso, l’esponente della sezione britannica dell’associazione partigiani «ha apertamente dichiarato che non temeva di essere considerato illiberale, se questo portava al blocco dell’iniziativa “fascista”». Non solo: sui canali Facebook dell’Anpi si è cantato vittoria per come l’iniziativa fosse stata fermata, benché «in maniera illiberale» e vagamente mussoliniana. «La cosa che sconcerta è proprio l’illiberalità dell’approccio», scrive Moiso alla presidente italiana dell’Anpi. «Nelle democrazie liberali non si silenzia nessuno. Nessuno si può ergere ad arbitro di ciò che può o non può essere detto. Le associazioni come l’Anpi devono spiegare perché il fascismo è un male. Il legislatore deve quindi impedire che soluzioni antidemocratiche abbiamo il sopravvento».Secondo Moiso, il comportamento dell’Anpi sembra viziato da un retaggio vetero-comunista e quindi antidemocratico, che «alla democrazia e alla libertà antepone il primato un sedicente antifascismo», a quanto pare autentico solo a parole e smentito puntualmente dai fatti. «Questo approccio antidemocratico e illiberale – accusa Moiso – è equivalente all’atteggiamento di “Vortex Londinium”», perfettamente simmetrico e speculare: il “niet” dell’Anpi è la fotocopia del “no” di CasaPound. A Londra, per presentare il “libro proibito” s’era comunque trovata una sala di ripiego. «Ci sono andato – racconta Moiso – e ho sentito la casa editrice Altaforte, la giornalista Chiara Giannini e l’esponente di “Vortex Londinium” parlare per oltre un’ora della necessità di tutelare la libertà di parola e la libertà di stampa», il tutto «tra gli scrosci di applausi da parte del pubblico». Logico, coerente. «Poi sono andato a parlare io, antifascista tra i fascisti», continua Moiso, intenzionato a «convincere quei ragazzi che, se si invocano la democrazia e i diritti umani, non possono farlo guardando all’eredità fascista». Quindi, l’incidente: «A metà discorso mi sono dichiarato membro dell’Anpi, scatenando la reazione del pubblico. Sono stato allontanato. Non mi è stato concesso di finire. Persone tra il pubblico, che fino a pochi minuti prima rivendicavano il diritto di parola e di espressione, mi hanno impedito di esprimere le mie idee».Il paradosso, osserva Moiso, è che «sia l’Anpi che “Vortex Londinium” (collegato a Casa Pound) predicano la libertà di espressione e di parola ma pensano che questa non valga per quelli che la pensano diversamente da loro». Attacca Moiso: «L’Anpi sembra ragionare come Casa Pound: entrambe le associazioni non si curano del principio liberale al diritto di parola ed espressione». La presidente Carla Nespolo non la vede, la contraddizione? «Bisogna combattere sul terreno della democrazia liberale, non ignorarne i principi in virtù di una presunta superiorità morale, disattesa dai fatti». Che vuol fare, l’Anpi? Intende continuare così, riducendosi a essere «solo una milizia ad uso e consumo di una specifica parte politica, invece che di tutte le tradizioni che hanno collaborato e lottato nella Resistenza per creare una società libera e democratica?». E vuole finalmente decidersi, l’Anpi, a riconoscere e denunciare «le moderne forme di fascismo, incluso il fascismo bianco del mondo finanziario, o preferisce continuare a denunciare solo il fascismo nero?». E nella lotta contro qualunque tipo di fascismo, «l’Anpi è capace di vivere secondo i principi che dichiara di voler difendere?».«Ritengo che l’Anpi stia tradendo il suo statuto». Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, messo a tacere e poi cacciato dalla platea londinese di CasaPound, a sua volta esiliata – grazie all’Anpi – dalla sede universitaria dove Chiara Giannini avrebbe dovuto presentare il libro-intervista “Io sono Matteo Salvini”. Volume già messo all’indice al Salone del Libro di Torino insieme alla sua casa editrice, Altaforte, estromessa dalla kermesse torinese. Il solito refrain: «Non avete il diritto di parlare, perché siete fascisti». Secondo round a Londra, il 25 luglio, quando Altaforte riprova a presentare il libro, stavolta nella capitale britannica. Ma la longa manus dell’Anpi arriva sin lì: e convince la London Metropolitan University a negare la sala, in extremis, all’associazione promotrice (“Vortex Londinium”, vicina a CasaPound). Al che, i giovani della nuova destra sociale ripiegano su una location secondaria. Moiso li raggiunge, e viene applaudito quando difende la libertà universale di parola. Ma appena spiega di essere lui stesso iscritto all’Anpi, viene zittito e costretto a lasciare la sala. Fantastico: CasaPound si è comportata esattamente come l’Anpi, che però è stata la prima ad aprire le ostilità. Moiso ovviamente non milita in CasaPound, ma nell’Anpi: per questo trova inaudito che proprio l’associazione partigiani d’Italia «agisca come CasaPound, nello stesso modo, e cioè togliendo la parola a chi la pensa diversamente».
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Feltrinelli espelle Altaforte: la vergogna di Torino continua
Che spiegazione dare dell’incidente del Salone del Libro di Torino, dove la casa editrice Altaforte è stata esclusa perché ritenuta vicina a CasaPound, movimento peraltro considerato perfettamente legale? Io sono un militante di CasaPound, e non l’ho mai nascosto. Altaforte invece è indipendente da CasaPound. E’ talmente indipendente da pubblicare un libro-intervista del ministro dell’interno Salvini, che di fatto è uno dei principali competitor del movimento. Per questo ho vissuto un conflitto personale. Poi mi sono arreso, perché comunque una casa editrice deve provare a fare anche delle provocazioni culturali. Questa poi non è nemmeno una provocazione, è solo un’intervista all’uomo più in vista del momento. E dato che la casa editrice si definisce sovranista, è chiaro che ha cercato di coinvolgere l’uomo che in questo momento sta portando in auge proprio questo tema. Le spiegazioni che mi sono dato, purtroppo, sono legate anche ai numeri del Salone del Libro: nel 2015 la rassegna torinese contata 300.000 ingressi. Poi c’è stato un lento decadimento: fino ad arrivare al 2019, quando ha perso più della metà dei visitatori (in soli quattro anni). Questo perché? Bastava andare a vedere gli stand del democraticissimo Salone del Libro per rendersi conto che era diventato una specie di centro sociale. Erano evidenziate in ogni modo bandiere antifasciste, scritte “qui c’è un editore antifascista”.Il che significa, secondo me, che esiste una sorta di lobby del pensiero, di lobby della cultura, che si sta stringendo in un proprio giardinetto, che alla fine non darà più né fiori né frutti. Lo dico tenendo conto di alcune persone che hanno influenzato la vicenda di Altaforte a Torino, in particolare Christian Raimo, consulente editoriale del Salone: in un post su Facebook ha scritto che la politica è una questione occupazione di spazi, e quindi Altaforte non aveva diritto a quello spazio. Ebbene, questo gli si è ritorto contro. Perché, rispetto all’anno precedente, il Salone ha perso altri 20.000 visitatori (sono scesi a 160.000). Chiara Giannini, l’autrice di “Io sono Matteo Salvini”, sostiene che è stato un attacco al capo della Lega. Sicuramente è stato un attacco a tutto tondo, anche a Salvini, perché è il personaggio più scomodo e più inviso alla sinistra italiana. Senza fargli pubblicità, devo dire però che sta mantenendo le promesse che aveva fatto in campagna elettorale (a differenza, forse, di quello che fanno a sinistra). Però secondo me sono molto scomode anche altre tematiche, che noi trattiamo. Per esempio l’immigrazione, con il libro di Francesca Totolo “Inferno SpA”. Abbiamo trattato il tema del colonialismo francese in Africa con il libro “I coloni dell’austerity”, di Ilaria Bifarini, che parla del franco Cfa (e di fatto mi permetto anche di dire che, secondo me, siamo stati noi a riportarlo in auge circa quattro mesi fa, all’epoca della mini-crisi diplomatica fra Italia e Francia).Poi abbiamo trattato il tema del neo-femminismo, quindi la lobby che sta dietro al mondo Lgbt, con un bellissimo libro di Francesco Borgonovo, “L’era delle streghe”. Sicuramente abbiamo trattato il tema dell’Unione Europea e dell’euro con un libro di Marco Mori, “La morte della Repubblica”. E abbiamo altri testi interessanti, come “La nazione fatidica” di Adriano Scianca. Noi siamo nati appena 8 mesi fa. E’ chiaro che tutto questo rumore non ce l’aspettavamo, sono sincero. Però, ecco: c’è un attacco a tutto tondo. Io stesso indagato? A quanto pare è stato fatto un esposto – per apologia di fascismo – da parte del sindaco di Torino, Chiara Appendino, e del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino. Quello che mi si contesta è un reato d’opinione, riferendosi a mie dichiarazioni. Premetto: non mi pento di nulla di ciò che ho detto, ma sono cose che tenderei a non ripetere, qui, anche perché devo chiarire la mia posizione di fronte alle autorità giudiziarie, che avranno il compito di appurare se quelle mie dichiarazioni sono un reato o meno. Io intanto le anticipo, dicendo che il reato non c’è. Comunque è assurdo, secondo me, il fatto che oggi il reato d’opinione esista ancora.Ho subito un blitz – anche simpatico – da parte di Filippo Roma de “Le Iene”, che mi è venuto a fare un po’ di provocazioni (anche scherzose, per una volta) e insieme abbiamo scherzato sul discorso della libertà di espressione. La nostra Costituzione viene sbandierata moltissimo, dalla sinistra, che forse non la legge più da tanto tempo: altrimenti si ricorderebbe che esiste un articolo, il 21, che consente la libertà di parola. A Filippo Roma ho fatto questa battuta: è mai possibile che io venga accusato in questo modo, mentre durante il fascismo, il 1° maggio 1925, Benedetto Croce potè firmare il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti senza ricevere nessun tipo di censura da parte del regime? Nel 2019, invece, Francesco Polacchi (che per carità, non si permette neanche lontanamente di paragonarsi a Croce) non può presentare un libro-intervista su un uomo che verrà votato da un italiano su tre. E’ un po’ bizzarra, la situazione. Ci ha giovato, l’inatteso clamore del Salone di Torino? C’è chi rispolvera il vecchio adagio: bene o male, purchè se ne parli. In realtà io sono scettico: secondo me, questo libro aveva già di per sé un potenziale incredibile di vendita.Comunque, Matteo Salvini verrà votato, verosimilmente, da otto milioni di persone. E il fatto che in questo momento il libro sia in cima alla classifica di Amazon non dipende solo dalla polemica torinese. Salvini è comunque l’uomo del momento, che ha trasformato un partito del 4% portandolo probabilmente al 30-35% nell’arco di tre-quattro anni. Ha sicuramente un consenso incredibile. Quindi, secondo me, tutta la vicenda di Torino ci ha comunque danneggiato. Sono convinto che, al Salone del Libro, senza la rescissione del contratto avremmo venduto qualche migliaio di libri. Dunque a mio parere ci è stato inflitto un danno gravissimo, anche perché poi la Feltrinelli – e non solo lei – ha chiuso il canale distributivo per Altaforte: hanno quindi creato un danno anche commerciale, per la distribuzione. Immagino abbiano ricevuto pressioni, sia esterne che interne, per non far espandere la nostra casa editrice. E questo è gravissimo, perché ne va della reperibilità dei libri – non solo quello di Salvini, ma proprio tutti i titoli di Altaforte. Per carità, loro possono fare le loro scelte. E noi inviteremo i clienti ad acquistare i nostri libri da altre parti.(Francesco Polacchi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti in apertura della puntata di “Border Nights” del 14 maggio 2019. Polacchi, esponente di CasaPound, è il referente della casa editrice Altaforte, clamorosamente espulsa dal Salone del Libro di Torino per la polemica scoppiata in relazione a passate dichiarazioni dello stesso Polacchi, che ebbe a definirsi “fascista”. «Quando si arriva a escludere dei libri e una casa editrice da un evento importante, mi chiedo se siamo nel 2019 o in un’altra epoca», commenta Frabetti, che annuncia che la sua web-radio, libertaria e ultra-democratica, nelle prossime settimane si impegnerà a ospitare gli autori di Altaforte, per presentare i loro libri. «I reati d’opinione sarebbero da abolire», aggiunge Frabetti, pensando alla sinistra europeista che ha cacciato l’editrice dal Salone di Torino: «Ai benpensanti piace tanto, questa Unione Europea. Peccato che poi vengano applicati raramente i principi che la Corte Europea sancisce spesso, legati anche alle opinioni e alla libertà di stampa. Belle parole, che tali rimangono».Che spiegazione dare dell’incidente del Salone del Libro di Torino, dove la casa editrice Altaforte è stata esclusa perché ritenuta vicina a CasaPound, movimento peraltro considerato perfettamente legale? Io sono un militante di CasaPound, e non l’ho mai nascosto. Altaforte invece è indipendente da CasaPound. E’ talmente indipendente da pubblicare un libro-intervista del ministro dell’interno Salvini, che di fatto è uno dei principali competitor del movimento. Per questo ho vissuto un conflitto personale. Poi mi sono arreso, perché comunque una casa editrice deve provare a fare anche delle provocazioni culturali. Questa poi non è nemmeno una provocazione, è solo un’intervista all’uomo più in vista del momento. E dato che la casa editrice si definisce sovranista, è chiaro che ha cercato di coinvolgere l’uomo che in questo momento sta portando in auge proprio questo tema. Le spiegazioni che mi sono dato, purtroppo, sono legate anche ai numeri del Salone del Libro: nel 2015 la rassegna torinese contava 300.000 ingressi. Poi c’è stato un lento decadimento: fino ad arrivare al 2019, quando ha perso più della metà dei visitatori (in soli quattro anni). Questo perché? Bastava andare a vedere gli stand del democraticissimo Salone del Libro per rendersi conto che era diventato una specie di centro sociale. Erano evidenziate in ogni modo bandiere antifasciste, scritte “qui c’è un editore antifascista”.
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Jazzista ebreo anti-sionista: e gli annullano il concerto
Non può suonare in città, perché è un ebreo che non perdona Israele per i crimini commessi contro i palestinesi. Tutto ciò, a prescindere dal fatto che nella sua musica – il jazz – non vi sia traccia delle sue opinioni politiche, peraltro nobili. Tanto è bastato, in ogni caso, per fargli saltare un concerto nel cuore della civilissima Europa, quella che a Parigi ha appena celebrato il lutto per il martirio civile dei vignettisti di Charlie Hebdo. La vittima in questo caso è un musicista di origine israeliana, Gilad Atzmon, e il paese non è la Francia ma la Gran Bretagna. Il jazzista, racconta il quotidiano israeliano “Haaretz”, doveva esibirsi il 15 gennaio al Bonington Theatre di Arnold, un sobborgo di Nottingham. Ma a fermare lo spettacolo è bastata una lettera aperta, sottoscritta da 13 sudditi di Sua Maestà e indirizzata ai dirigenti del teatro: impossibile, secondo i benpensanti, consentire al musicista di esibirsi. Atzmon ma punito nel modo più arcaico, con la censura del silenzio, solo perché professa opinioni non allineate alla teologia politica del mainstream occidentale sionista, secondo il quale Israele ha sempre ragione.Insieme alla sua band, “The Whistle Blowers”, il sassofonista avrebbe dovuto esibirsi nel teatro della cittadina inglese, scrive “Haaretz” citando il “Nottingham Post”, in un servizio tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il Gedling Borough Council, che amministra il teatro, s’è visto recapitare la missiva dei 13 abitanti in rivolta, scandalizzati da diverse affermazioni di Atzmon. Per esempio: «E’ sempre il pessimo comportamento degli ebrei che provoca disastri agli ebrei». Oppure: «Il Tribunale di Norimberga era finto, ce ne vorrebbe uno vero per Israele». Affermazioni che, secondo il teatro britannico, «toccano dei punti che preoccupano i residenti locali», al punto da sposare il loro punto di vista e proibire l’esecuzione del concerto. «Pur riconoscendo e apprezzando l’importanza della libertà di parola, il Consiglio ha la responsabilità legale di costruire e mantenere buone relazioni tra i membri della comunità, anche tra persone di razze e religioni diverse», affermano gli amministratori del teatro, secondo cui «la presenza di Gilad Atzmon potrebbe essere un atto non conciliabile con questa responsabilità».Atzmon, 51 anni, lasciò Israele per emigrare in Inghilterra molti anni fa. «Non so cosa gli sia passato per la mente», dice. «Non mi interessa se la gente non condivide quello che scrivo, ma la mia musica non ha nulla a che fare con quello che scrivo. Penso che sia una cosa ingiusta». Autore nel 2011 del libro “The Wandering Who?”, uno studio di politica sull’identità ebraica, Atzmon è anche un blogger molto attivo. Secondo “Haaretz”, il sassofonista è una figura controversa: alcuni anti-sionisti lo considerano addirittura «un ebreo antisemita», mentre altri «lo apprezzano come una voce originale e senza paura». La società laica di Nottingham ha intanto reagito alla brutale imposizione, manifestando per protestare contro la cancellazione dello show. Resta ovviamente il vulnus inferto alla società civile: non si è impedito lo svolgimento un comizio anti-sionista, ma solo un concerto. Tutto questo, nell’imbarazzante Europa del 2015. Come se non si tollerasse più la semplice presenza di idee scomode: idee possibilmente da cancellare dalla faccia della terra, esattamente come gli “scarafaggi” palestinesi e i bambini di Gaza.Non può suonare in città, perché è un ebreo che non perdona Israele per i crimini commessi contro i palestinesi. Tutto ciò, a prescindere dal fatto che nella sua musica – il jazz – non vi sia traccia delle sue opinioni politiche, peraltro nobili. Tanto è bastato, in ogni caso, per fargli saltare un concerto nel cuore della civilissima Europa, quella che a Parigi ha appena celebrato il lutto per il martirio civile dei vignettisti di Charlie Hebdo. La vittima in questo caso è un musicista di origine israeliana, Gilad Atzmon, e il paese non è la Francia ma la Gran Bretagna. Il jazzista, racconta il quotidiano israeliano “Haaretz”, doveva esibirsi il 15 gennaio al Bonington Theatre di Arnold, un sobborgo di Nottingham. Ma a fermare lo spettacolo è bastata una lettera aperta, sottoscritta da 13 sudditi di Sua Maestà e indirizzata ai dirigenti del teatro: impossibile, secondo i benpensanti, consentire al musicista di esibirsi. Atzmon ma punito nel modo più arcaico, con la censura del silenzio, solo perché professa opinioni non allineate alla teologia politica del mainstream occidentale sionista, secondo il quale Israele ha sempre ragione.
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Pirati-web eletti a Strasburgo, beffato il silenzio dei media
Stiamo vivendo tempi interessanti. Potere e menzogne stanno sempre con chi ha il vantaggio dell’informazione. Se un gruppo di persone sa più di un altro gruppo di persone, il gruppo di persone con il vantaggio informativo arriverà gradualmente al potere. Questo è sempre stato il caso delle persone con il vantaggio informativo: hanno sempre cercato di mantenere questo vantaggio, per mantenere il controllo dell’informazione, della nostra cultura e conoscenza.