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Bizzi: ci schiavizzano mentendo, come previsto da Orwell
Ripubblicare oggi, nel giugno del 2020, un’opera come “1984″ di George Orwell «non rappresenta soltanto un preciso dovere culturale ed editoriale». Rappresenta, anche e soprattutto, «un chiaro messaggio politico e di denuncia sociale». Mai prima d’ora, infatti, dal 1949 – l’anno in cui Eric Arthur Blair (il vero nome di Orwell) pubblicò a Londra la sua ultima e più nota opera letteraria, “Nineteen Eighty-Four” – il mondo in cui viviamo ha rischiato realmente di precipitare nei cupi e allucinanti scenari, così mirabilmente descritti da questo scrittore singolare e visionario. Lo scrive lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, nel presentare (insieme a Marco Della Luna) una riedizione dell’incubo del Grande Fratello in piena era Covid. «Molto probabilmente – scrivi Bizzi, nella prefazione – la drammatica situazione che stiamo ancora vivendo a livello globale sarà un giorno menzionata nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti come il più grande inganno degli ultimi secoli». Un grande inganno «perpetrato, ai danni dei popoli, da una certa élite di potere che, con il pretesto di una falsa pandemia e servendosi di un “virus” abilmente ingegnerizzato in laboratorio, ha tentato di accelerare (per tutta una serie di ragioni che andremo a spiegare) il progetto di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale».Un Nuovo Ordine Mondiale «già da molto tempo pianificato ed annunciato, fondato sul forzato depopolamento e sul controllo tecnocratico totale dei cittadini di un mondo sempre più globalizzato». Gli strumenti: progressiva accentrazione di tutte le risorse e le ricchezze, e distruzione delle identità etniche, nazionali, culturali e religiose. E graduale restringimento, fino ad arrivare alla totale eliminazione, dei diritti civili e delle libertà democratiche sanciti dalle vigenti costituzioni nazionali. «Diritti civili e libertà democratiche conquistati dai popoli con il sangue, attraverso secoli di incessanti lotte e battaglie». Come ricorda lo stesso Della Luna, avvocato e scrittore di successo nonché autore (insieme a Bizzi) dei testi inediti che concorrono alla prefazione a questa riedizione del capolavoro di Orwell, oggi i popoli della Terra «sono divenuti superflui», perché i metodi di produzione del potere e della ricchezza «si sono accentrati nel controllo di poche grandi famiglie dinastiche». Un’oligarchia che «decide a porte chiuse, sopra quanto rimane delle istituzioni delle democrazie formali nazionali». Oligarchie che «non necessitano più delle masse di lavoratori, consumatori, combattenti di cui necessitava fino a non molto tempo fa il capitalismo industriale produttivo».Di conseguenza, «cittadini e lavoratori hanno perso quella capacità di negoziare che fino all’altroieri ha rappresetato forse la sua unica e ultima risorsa». Cittadini che quindi «stanno inesorabilmente perdendo reddito, diritti, sicurezze, voglia di far figli». In sintesi, scrive Bizzi, stanno perdendo il loro stesso futuro, «condannati a una prospettiva di vita forse ancora peggiore di quella decrittaci da Orwell nel suo romanzo». Ciò che sta accadendo dall’autunno del 2019, «con il rilascio (intenzionale) il 19 di ottobre a Wuhan, in Cina, di un virus ingegnerizzato in laboratorio e con la sua propagazione palesemente “anomala”», cioè saltando letteralmente (a parte la Corea) tutte le nazioni confinanti con la Cina e diffondendosi direttamente in paesi come l’Iran, l’Italia, gli Stati Uniti e il Brasile. Su Facebook, già il 29 aprile, Bizzi le aveva chiamate “Prove tecniche di dittatura”, evidenziavo le inquietanti analogie tra gli strumenti e i metodi repressivi in uso nei paesi dell’Est Europa al tempo della Guerra Fredda e le misure «antidemocratiche e anticostituzionali» adottate in Italia dal governo Conte «con il pieno avvallo del Capo dello Stato, senza alcun voto parlamentare e con la totale connivenza e complicità delle cosiddette “opposizioni”».Impietoso, il parallelo tra il 2020 e la vita nei paesi del cosiddetto “socialismo reale” prima della caduta del Muro di Berlino. Primo punto: controllo totale dei cittadini, dei loro spostamenti e delle loro telefonate. «All’epoca non esistevano certe “applicazioni”, ma lo Stato non si faceva sfuggire niente, con l’impiego massiccio e sistematico di semplici ma efficienti metodi “tradizionali”, quali intercettazioni, pedinamenti, posti di blocco, e ricorrendo ad una estesa rete di delatori», ricorda Bizzi. «Ognuno era pronto, per paura e per evitare a sua volta di essere additato come un “nemico dello Stato”, a denunciare il proprio vicino, perfino i propri amici e familiari». Ci ricorda qualcosa di vicinissimo a noi? «Con il pretesto dell’instaurazione dapprima di “zone rosse” e poi di un lockdown esteso all’intero territorio nazionale, in spregio ai più elementari diritti sanciti dalla Costituzione, sessanta milioni di cittadini italiani sono stati di fatto costretti agli arresti domiciliari, con la simultanea forzata chiusura di oltre il 90% delle attività produttive e degli esercizi commerciali e con il divieto di spostamento e di libera circolazione».Agli italiani non è stato impedito solo di lavorare, e quindi di mantenere la propria famiglia, ma è stato loro “consentito” di uscire di casa «solo per ragioni di stretta necessità, uno solo per nucleo familiare, e con il divieto di allontanarsi a più di duecento metri dal proprio domicilio!». E ovunque, posti di blocco e pattuglie «a vigilare su una simile follia». Forze dell’ordine «incredibilmente potenziate per l’occasione, con l’acquisto di migliaia di nuovi automezzi, camionette blindate, elicotteri, droni e un notevole incremento di organico». Un’operazione dispendiosissima, sostiene Bizzi, «che poteva essere pianificata solo con diversi mesi di anticipo», e riguardo alla quale «nessun parlamentare di “opposizione” si è degnato di indagare o di avanzare un’interrogazione». Ciliegina sulla torta, «il ricorso alla sistematica delazione, da parte di vicini di casa improvvisatisi ignominiosamente spie da balcone, per l’individuazione e il sanzionamento dei “trasgressori”». Un controllo ferreo, agevolato dal punto 2 dell’operazione: totale censura e piena omologazione della stampa e delle televisioni al pensiero unico, proprio come avveniva nei regimi dell’Est Europa.«Esattamente quello che è successo e che sta ancora (mentre scrivo) succedendo in Italia: sistematica censura delle notizie “scomode” e arbitraria cancellazione o rimozione – da siti Internet, social network come Facebook e Twitter e da piattaforme come Youtube – di articoli, interviste, testimonianze e video che osavano mettere in discussione il pensiero unico imposto dal regime». Sconcertante, il “ministero della verità” istituito a Palazzo Chigi da Andrea Martella (Pd) per “bonificare” il web dalle notizie scomode. A questo si sono aggiunte «azioni di censura e di delegittimazione (fino al vero e proprio linciaggio mediatico) di politici, intellettuali, giornalisti, medici e scienziati che non si allineano con la narrazione imposta dal governo». E’ la legge della “società fondata sulla menzogna” (terzo caposaldo, per Bizzi, dei regimi coministi). La prassi: «Falsificazione totale dei dati economici e delle statistiche». Ovvero: «A dispetto di ogni evidenza, ciò che lo Stato affermava e comunicava ai cittadini diveniva verità assoluta e doveva essere accettato alla stregua di un dogma di fede». Anche in questo caso, in Italia «continua ad esserci una spudorata falsificazione dei dati e delle statistiche, sia da un punto clinico che economico».Bizzi denuncia la «palese falsificazione per eccesso del numero dei decessi», con l’inclusione forzata (nei numeri comunicati dai teatrali bollettini televisivi della Protezione Civile) dei morti «per qualsiasi patologia, anche per infarto o incidente stradale». In parallelo, la deformazione dei dati economici, «con la promessa, da parte del governo, di aiuti alle imprese e alle famiglie mai effettivamente erogati». E anche in questo caso, «con la demonizzazione e il discredito di chiunque si permettesse di criticare o di contestare le “verità” imposte dal regime». Parlava da sola (e lo fa ancora) il quarto punto indicato da Bizzi, nell’inquietante parallelo con l’Est Europa: lunghe code fuori da negozi e supermercati. «Altra situazione da incubo, creata ad arte dal regime per incrementare il senso di paura e di emergenza». Mentre nei paesi comunisti le code erano dovute all’effettiva penuria di generi di prima necessità, «le immense code fuori da supermercati e uffici postali che sono diventate una regola in Italia fin dall’inizio del lockdown sono state attentamente studiate e pianificate», per creare disagio, allarme e paura.In parallelo (punto 5) gli assembramenti rigorosamente vietati, che Bizzi preferisce chiamare “assemblamenti”: «I “puristi” della lingua Italiana qui mi criticheranno, ma io preferisco usare la parola “assemblamento” (che è effettivamente da sempre in uso nella lingua parlata), piuttosto che “assembramento”, una parola ruvida e stonata che gli Italiani hanno imparato a conoscere solo con gli incostituzionali decreti contiani». Attenzione: con questo pretesto sono stati negati anche il diritto di sciopero e quello di manifestazione. Già a febbraio, un intellettuale come Alessandro Benati annotava: «Le parole, la liturgia, i segni e i gesti di questa pandemia illustrano quanto chi sta orchestrando la nostra presunta salvezza fisica abbia profondamente in odio l’Essere Umano». Esempio, il “distanziamento sociale”: «In queste due innocue paroline è racchiuso il massimo disprezzo che certe potenze hanno per il massimo che può esprimere appunto l’uomo: l’amore e la libertà. L’algido e asettico neo linguaggio tecno-scientocratico tenta di far passare con ciò il messaggio che la tua salvezza (fisica, e solo fisica) debba passare dall’abdicazione a tutto ciò che Tu sei realmente, e che ti distingue da tutti gli altri Esseri del Cosmo: un essere d’amore e libero, capace di esprimere questi due valori Universali anzitutto nei confronti degli altri Esseri Umani, cioè nel sociale».Libertà, continua Benati, che va vista «come manifestazione dello Spirito attraverso i talenti nell’arte, nella cultura, nel lavoro manuale o intellettuale». Amore, «declinato ad esempio come solidarietà, in campo economico». Distanziamento sociale: «Due paroline innocue che nascondono invece un potenziale anti-umano inimmaginabile». Questa «sottrazione di umanità», aggiungeva Benati, è alimentata da personaggi «che non hanno per niente a cuore la vostra libertà e il vostro amore: anzi, si nutrono proprio del vostro dolore, della vostra volontà inespressa (vedi i talenti di cui sopra), della vostra sofferenza, e soprattutto della vostra adesione a queste forme-pensiero, siano esse parole, rituali, gesti, immagini». Bizzi concorda sulla pericolosità dei termini: sarebbe stato meglio evocare un distanziamento “fisico”, provvisorio. L’aggettivo “sociale”, invece, sottolinea «quanto l’obiettivo del governo e dei suoi manovratori internazionali sia proprio quello di spezzare i legami sociali tra le persone, di annientare ogni forma di aggregazione e di socialità», mortificando «l’indole e l’essenza stessa dell’essere umano, che è un animale sociale per definizione».Nel suo parallelo coi paesi del “socialismo reale”, Bizzi inserisce (punto 6) anche l’assenza di qualsiasi opposizione politica. Non che non in quel mondo non esistesse, un’opposizione formale: ma era appunto solo cosmetica, serviva a legittimare la finzione di una democrazia esclusivamente nominale, assorbendo il dissenso in modo che non potesse disturbare la macchina statale. «Nell’Italia di oggi il quadro non solo non è molto dissimile, ma è addirittura peggiore», accusa Bizzi. «I partiti di “opposizione” hanno del tutto tolto la maschera, dimostrando di essere totalmente funzionali e asserviti al pensiero unico del regime e ai suoi disegni totalitari, tecnocratici e antidemocratici». Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia «si sono piegati agli aberranti decreti anticostituzionali del governo, legittimando in questo modo la sospensione dei più elementari diritti democratici dei cittadini». Non solo: esponenti di spicco di quei partiti «hanno deliberatamente incrementato il clima di paura e di repressione, dimostrandosi più filogovernativi degli stessi partiti che sostengono l’esecutivo». Per non parlare «di quegli amministratori e sindaci di centrodestra che, degni emuli di Goebbels e di Mengele, non hanno esitato a ricorrere alla barbara pratica dei trattamenti sanitari obbligatori per silenziare i dissidenti».«Sarà senz’altro la Storia a giudicarli – scrive Bizzi – anche se mi auguro che possano venire un giorno non molto lontano giudicati e condannati nelle aule dei tribunali». I sedicenti partiti di “opposizione” «sono ormai del tutto delegittimati agli occhi del popolo Italiano». La loro unica funzione, ormai, «è quella di catalizzare e inertizzare ogni forma di dissenso». Altro dramma (punto 7), i diritti civili: garantiti solo sulla carta. «Nella dittatura orwelliana in cui è stata precipitata l’Italia, dissentire è diventato estremamente pericoloso», scrive Bizzi. «E gli abusi esercitati dalle “forze dell’ordine”, in spregio ai più elementari diritti costituzionali, sono ormai divenuti una costante pratica intimidatoria», mentre in televisione esponenti del Pd e dei 5 Stelle «esaltano senza alcun ritegno le misure liberticide del loro governo e proclamano la sospensione della Costituzione, al pari dell’orwelliano Ministero della Verità». Così, le task force di tecnici e di “esperti” «dettano la linea politica all’esecutivo, perseguendo un’agenda che è stata imposta dall’alto». Un’azione di annientamento: «Continuano inesorabilmente a distruggere ogni diritto civile e ogni conquista sociale».Ottavo capitolo dell’infame parallelo tra l’Italia e gli ex satelliti dell’Urss, la scure sulle funzioni religiose. «Mai, nella storia, neppure durante le spaventose epidemie di peste nera del XIV° e del XVII° secolo, la libertà di culto e il diritto dei cittadini di esercitare funzioni religiose e di prendervi parte erano stati messi in discussione». E’ invece avvenuto nell’Italia del 2020. Nei paesi del blocco orientale, nonostante l’ateismo di Stato, la religione non è mai stata vietata, e le pratiche di culto venivano comunque tollerate, sia pure sotto stretta sorveglianza politica. «Nell’Italia del 2020, invece, in nome di una falsa pandemia e adducendo come pretesto il divieto di assemblamenti e il mantra del “distanziamento sociale”, le funzioni religiose (e addirittura anche i funerali!) sono state veramente cancellate e proibite con un tratto di penna, cosa che neanche Stalin in persona osò fare». E la cosa più incredibile, aggiunge Bizzi, è che questo sia potuto avvenire con il pieno assenso del Vaticano e della Cei. Bizzi non è cristiano, né indulgente nei confronti del Vaticano. «Ma la mia posizione – ribadisce – è di assoluta difesa del diritto e della libertà di culto». Accusa: «Appare ormai evidente che l’obiettivo del governo Conte e delle forze oscure che lo eterodirigono sia quello di eradicare dalla popolazione qualsiasi sentimento religioso, in nome di un dogmatismo scientista totalitario che va ben oltre i cupi scenari narratici da Orwell in “1984″».Nona e ultima verogna: l’obbligo di speciali documenti e autorizzazioni (altro che “autocertificazioni”!) per potersi spostare da una città all’altra o da una regione all’altra. «La forzata introduzione di una simile modulistica è servita a impedire la libera circolazione dei cittadini, ad alimentare il clima di paura e la cappa repressiva, e schedare tutti coloro che si sono piegati a compilare simili assurdità e a consegnarle alle autorità». Il paragone con l’Europa dell’Est al tempo del Socialismo reale è però anche in questo caso calzante: in Unione Sovietica esistevano passaporti interni, indispensabili per spostarsi da una regione all’altra. «Passaporti che le autorità spesso revocavano ai dissidenti, proprio per limitare i loro movimenti». Quei lasciapassare li descrive anche Orwell nel suo romanzo distopico. Bizzi ha lavorato per anni in Bulgaria: «Io queste cose le ho vissute, le ho toccate con mano, le ho provate davvero sulla mia pelle. So cosa significa essere costantemente sorvegliato e fermato dalla polizia». Ma c’è una differenza fondamentale: «Nei regimi comunisti il cittadino serviva, rappresentava una forza lavoro, era considerato una indispensabile ruota dell’ingranaggio statale, e veniva in un certo qual modo tutelato dal regime proprio perché “utile”».Oggi, invece, come insegna Marco Della Luna, i popoli (e, di conseguenza, i semplici cittadini) per certe élite di potere sono ormai divenuti “superflui”. «Oggi, queste élite di potere non sono semplicemente interessate a mantenere e consolidare il proprio potere: intendono dare la spinta finale verso una società dittatoriale e tecnocratica decisamente peggiore di quella immaginata da Orwell nel suo romanzo». Una società da incubo, «dominata da un ottenebrante pensiero unico scientista, in cui non esistano più diritti, democrazia e libertà civili». E per fare questo – continua Bizzi – intendono «eliminare fisicamente una consistente parte della popolazione globale, come è stato esplicitamente scritto in otto lingue diverse (inglese, spagnolo, swahili, hindi, ebraico, arabo, cinese e russo) su quell’inquietante monumento noto come Georgia Guidestones, inaugurato su committenza privata il 22 marzo 1980 su una radura della contea di Elbert, in Georgia (Stati Uniti)». Bizzi ricorda le parole di un grande massone libertario, Benjamin Franklin, tra i padri fondatori degli Stati Uniti: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di momentanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza».Eppure, osserva sempre Bizzi, proprio in nome in una presunta “sicurezza”, la stragrande maggioranza degli italiani, «condizionati dalla paura e da un allarmismo televisivo platealmente confezionato ad arte dal governo», ha clamorosamente dimostrato di essere «pronta a rinunciare alle proprie libertà fondamentali», per le quali le precedenti generazioni «hanno lottato, combattuto e spesso dato la vita». Secondo Bizzi, «siamo di fronte alla più grande psy-op mai messa in atto nel mondo in tempi moderni». Si tratta di «un’operazione ben pianificata e congegnata, in quanto ha saputo fare leva proprio sulla paura, sulla più recondita paura dell’essere umano: la paura della morte, per giunta per mano – in questo caso – di un nemico invisibile». Un nemico elusivo e infido, «nell’immaginario confezionato ad arte dai “controllori della matrix”: il virus «poteva assumere il volto dei nostri vicini, dei nostri amici, dei nostri familiari, dei nostri affetti più cari; poteva insinuarsi ovunque, nell’aria che respiriamo, sugli oggetti che tocchiamo, sui nostri vestiti, nel vento, nella pioggia, sulla terra, nella sabbia». Un nemico «onnipotente e onnipresente, che poteva raggiungerci e colpirci ovunque, al pari del Grande Fratello di Orwell».Ricordate il celebre assioma di Noam Chomsky, “problema-reazione-soluzione”? Il problema, in questo caso, è il “virus”. La reazione è proprio la paura. «La soluzione? Una dittatura. Medica, mediatica, sociale, tecnocratica, finanziaria, politica, culturale». Chiamatela come volete, «ma la sostanza non cambia: una dittatura è una dittatura, punto». Come osserva Marcello Pamio, con la scusa di un misterioso virus arrivato dall’Oriente «il Grande Fratello affina le armi e stringe sempre il cappio attorno alle già risicate libertà». E i nostri governanti «ci impongono così l’isolamento sociale (che fa crescere non solo la paura ma anche la rabbia e il rancore)». Vogliono il tracciamento digitale, «incrociando tabulati, carte di credito e satellitare dei cellulari, per sapere in ogni momento dove siamo e cosa stiamo acquistando». Approntano «telecamere, sensori biometrici e termici per vedere in ogni istante cosa facciamo, nell’attesa del microchip e della sparizione del contante».«Nel biochip – prosegue Bizzi – saranno registrati tutti i dati individuali, sanitari, fiscali, compreso l’Id, l’Identificativo Digitale che tutti avranno». Il denaro cartaceo, «nelle intenzioni dei grandi burattinai», dovrà sparire: lascerà il posto a una moneta virtuale, elettronica, e quindi «facilmente manipolabile, gestibile, controllabile». Attenzione: «Tutto come da copione, tutto già predisposto e pianificato, secondo i piani dell’Agenda ID2020». Niente di inatteso, peraltro – almeno per Bizzi, che appartiene alla tradizione iniziatica dei Misteri Eleusini (è autore del saggio “Da Eleusi a Firenze”, che rivela l’ascendenza “eleusina”, ad esempio della signoria medicea rinascimentale). «La mia appartenenza a elitari contesti iniziatici, della quale non ho mai fatto mistero, e l’aver operato nel settore dell’intelligence – scrive Bizzi – mi hanno da tempo fatto capire quanto profonda e ramificata sia la tana del Bianconiglio: sapevo, in sintesi, che era tutto previsto, tutto già da tempo pianificato da menti che definire criminali sarebbe un eufemismo».Menti che, ci crediate o no, «conoscono molto bene non solo la psicologia umana, ma anche i più reconditi significati dei simboli e le leggi dell’astrologia», non certo quella degli oroscopi televisivi. «Mi sto riferendo a quella particolare forma elevata di astrologia che permette di calcolare, con assoluta precisione matematica, i giorni più propizi per insediare (o destituire) un governo, per scatenare una guerra, un attentato o un’operazione di “false flag”, o addirittura per rilasciare un virus ingegnerizzato in laboratorio o qualsiasi tipo di arma biologica». Ci crediate o meno – insiste Bizzi – una qualsiasi operazione avviata dall’uomo (che si tratti di un matrimonio, di un contratto d’affari, di una dichiarazione di guerra o di un attentato terroristico) in un giorno astrologicamente non propizio è destinata a fallire, mentre avrà invece un buon esito se il giorno sarà stato attentamente scelto sulla base di tutta una serie di requisiti. «Questo lo sapevano bene gli antichi etruschi e i sovrani babilonesi, come lo sapevano bene coloro che hanno pianificato la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, l’abbattimento delle Twin Towers a New York o l’incendio di Notre Dame a Parigi».Certe élite di potere «pianificano tutto, e lo fanno da molto, molto tempo». Niente di ciò che fanno è affidato al caso, «come non lo sono i giorni in cui lo fanno». Tutto, assicura Bizzi, «viene minuziosamente calcolato», e tutte le loro operazioni recano (celata, ma non più di tanto – in determinati simboli e in determinate date) la loro “firma”, sempre riconoscibile. Si pensi, ad esempio, «all’inquietante scenografia messa in atto nella cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Londra nel 2012», con la pantomima dell’emergenza sanitaria e il ricovero di un sosia di Boris Johnson, che allora era lontanissimo dal diventare premier. Oppure, «alla satanica rappresentazione svoltasi il 1° giugno del 2016 per l’inaugurazione del tunnel del San Gottardo», con una scenografia che esibiva sudditi nell’atto di prostrarsi di fronte a un dio-caprome, «fino ad arrivare all’aberrante imposizione agli italiani, nel mese di aprile del 2020, di mascherine, non solo nei luoghi di lavoro o in spazi chiusi, ma addirittura all’aperto».Mascherine? Secondo molti medici, del tutto inutili contro il virus e dannose per la salute. Ma, «al di là della vergognosa speculazione economica che attorno ad esse c’è stata», rivestono anche un profondo e recondito significato simbolico: «In passato, simili “dispositivi” erano riservati agli schiavi, alle persone private della loro libertà». E anche oggi, sostiene Bizzi, il loro vero scopo «è quello di applicare ai cittadini un palese marchio di sottomissione, di asservimento alla paura e di riduzione al silenzio». Obiettivo: creare un esercito silenzioso di zombie mascherati e impauriti, «talmente condizionati da arrivare ad aggredire, temere e insultare chi a tale paura non si conforma, chi osa non indossare la “museruola”». Per uno psicanalista come il professor Massimo Recalcati, infatti, «l’odio è non sopportare la libertà dell’altro». Proprio quella libertà alla quale molti, troppi, hanno scelto di rinunciare in cambio di briciole di momentanea “sicurezza”, o semplicemente per paura, l’atavica paura della morte.Come la paura e la mancanza di ragione uccidono la libertà e la democrazia: lo spiega Riccardo Manzotti, psicologo e filosofo: «Come nel romanzo di Orwell, le persone sono state isolate le une dalle altre e soggette a una continua imposizione di notizie da parte di schermi installati nelle loro abitazioni». E ancora: «Il runner solitario non mette a rischio la salute fisica dei cittadini, ma mette in discussione il valore salvifico della loro presunta moralità: “Se io sto in casa a soffrire, perché non lo fa anche lui?”. E così si deve stare in casa non per evitare il virus, ma per non mettere in discussione l’autorità del governo cui la società ha demandato la propria libertà. Perché il sacrificio della libertà di tutti sia efficace, deve essere condiviso». Così, secondo Manzotti, si rivela il lato oscuro della irrazionalità: paura e ignoranza. «L’ignoranza gonfia la paura, che cerca nel sacrificio della libertà e nella sottomissione all’autorità una salvezza che viene applicata con la stupidità irrazionale propria della superstizione». Nel citare Manzotti, lo stesso Bizzi ne sottoscrive le tesi: «L’aspetto peggiore si è manifestato in tutte quelle forme di intolleranza e di miseria umana che trovano amplificazione nel razzismo da balcone. Si spiano le persone perché gli altri non sono più percepiti in quanto esseri umani, ma come un potenziale pericolo».L’applicazione rigida della legge – aggiunge Manzotti – diventa il pretesto per sfogare invidie, rivalità e complessi di inferiorità, fino al patetico astio campanilistico che ad esempio ha ispirato il governatore della Campania nella sua ridicola polemica contro la Lombardia, sottoscritta dagli hooligan che vedono nel sistema-Milano la patria dell’odiato leghismo salviniano. «Quando la libertà individuale è sospettata di egoismo, quando si avalla il principio etico-politico che la sola vera libertà è quella che esprime il bene universale – scrive sempre Manzotti – la persona è in pericolo, perché la persona è la sua libertà individuale, insindacabile, indomabile, ingiudicabile». E’ un fatto: «La paura del virus ha spinto molti a rinunciare ai propri diritti individuali». La salvezza del corpo in cambio dell’anima appare un baratto ragionevole. «Accettare il diktat dello stare a casa senza ragione non è solo un rischio sanitario (il danno che tanti avranno da questa inutile clausura domestica) ma soprattutto il fallimento del patto di ragione tra Stato e cittadino». Ovvero: «Allo Stato non si chiede di spiegare le motivazioni razionali delle regole. Ai cittadini non si chiede di comportarsi responsabilmente. Ognuno viene meno ai suoi obblighi e ci si tratta con l’indulgenza tipica di persone immature».Il patto, conclude Manzotti, non è più basato sulla ragione e sul rispetto reciproco tra persona e istituzione, ma sull’interesse e sulla paura: «E la superstizione ne è il naturale collante». Lo sciagurato slogan #iorestoacasa, infatti, «esprime il fallimento della libertà e della democrazia». Nella sua introduzione alla nuova edizione di “1984″, Bizzi cita anche un giornalista scomodo come Gianmarco Landi, che definisce la App Immuni un aberrante strumento di controllo dei cittadini, dalle connotazioni veramente orwelliane: «Ho definio idioti quelli che la installano, e ho preteso da loro un distanziamento on-line cancellando l’amicizia su Facebook». Precisa Landi: «Non volevo offendere, ma scuotere in maniera vibrante chiunque pensasse di fare questa gigantesca idiozia». L’epiteto idioti non piace? Meglio «grandissime teste del piffero»? L’appello: «La app del telefonino è una finzione astratta inutile, perché non è che uno si faccia il tampone ogni giorno, quindi a cosa servirebbe? È una roba politica, non sanitaria». Alcuni protestano: tanto, siamo già on-line e spiati da Facebook. «Immuni non è Facebook, è roba dello Stato. Come fate a non capire la differenza? Avete chat di WhatsApp con gruppi vari? Integrate vostra moglie/marito in tutte, e vedrete cosa succederà nei prossimi giorni alla vostra vita».Immuni, aggiunge Landi, esprime lo stesso concetto della metafora chat WhatsApp, moltiplicato in gravità per 10.000. «Facebook vi può illecitamente prevaricare censurandovi, ma non è lo Stato e non ha polizie e pubblici ministeri che vi possono accusare, né procedure che vi possono spedire in carcere». A Facebook – continua il giornalista – non paghiamo le tasse o le multe, «Facebook non vi pignorerà somme o beni, né vi farà fallire con una procedura concorsuale». Ancora: «Nessuno farà una legge per non farvi entrare in un locale con amici per mangiare una pizza se non avete Facebook sul telefono o potrà cacciarvi via come cani pulciosi dalla vita sociale a patto che non facciate come una qualche Autorità stabilirà per voi». Di fatto, Immuni «può hackerare il vostro telefonino ed estendere ingerenze e controlli a tutti i vostri dispositivi, anche con telefono da voi spento». E tutto questo «è la premessa per una tirannide, lo capite?». Di questo passo, si potrebbe arrivare a essere distrutti, in qualsiasi momento. «C’è anche la possibilità che magistrati o funzionari corrotti e malvagi possano agire da Grande Fratello e usare vostre info personali per godimento proprio, e magari ricattarvi o devastare le vostre vite».«Se pensate di installare questo cavallo di Troia, un “bellissimo” regalo del governo filo-cinese e filo-coronavirus, non siete solo idioti secondo me: siete dei pazzi, degli incoscienti, dei criminali, e sareste responsabili della diffusione della cultura Big Brother di “1984″». Raccomanda Landi: «Leggetevi questo libro, e magari anche altri, prima di cliccare o aprire bocca, e poi traetene le conclusioni, su quanto o meno è stato corretto definire un tale vostro comportamento tipico degli idioti». Che il pericolo sia reale, secondo Bizzi, lo si constata anche rileggendo una storica conferenza di Rudolf Steiner, grande e indiscusso maestro. Era il 27 ottobre 1917. «Parole incredibilmente profetiche, che costituiscono un vero e proprio monito per il nostro presente». Disse Steiner: «Gli spiriti delle tenebre sono in mezzo a noi, sono qua. Dobbiamo restare in guardia in modo da accorgerci quando li incontriamo, in modo da comprendere dove si trovano. Perché la cosa più pericolosa nel prossimo futuro sarà abbandonarsi inconsciamente a tali influssi, che realmente esistono intorno a noi. Infatti, che l’uomo li riconosca o meno, non fa alcuna differenza per la loro reale esistenza. Ma soprattutto, per questi spiriti delle tenebre sarà importante portare confusione, dare false direzioni in ciò che si sta ora diffondendo in tutto il mondo e per cui gli spiriti della luce continueranno a operare nella direzione giusta».Secondo Steiner, il pensiero materialista avrebbe ostacolato in ogni modo lo sviluppo di una certa spiritualità. «Gli spiriti delle tenebre ispireranno le vittime di cui si nutrono, gli uomini che abiteranno, persino ad inventare un vaccino per deviare verso la fisicità, fin dalla prossima infanzia, la tendenza delle anime verso la spiritualità». Così parlava, Steiner, esattamente cent’anni fa. «Come oggi si vaccinano i corpi contro questo e quello, così in futuro si vaccineranno i bambini con una sostanza preparata in modo che attraverso la vaccinazione, queste persone saranno immuni dallo sviluppare in sé la “follia” della vita spirituale – follia, ovviamente, dal punto di vista materialistico». Tutto questo, aggiungeva il padre dell’antroposofia, tende a mettere a punto «il metodo con cui si potranno vaccinare i loro corpi, in modo che essi non potranno sviluppare inclinazioni verso idee spirituali, ma crederanno per tutta la loro esistenza solo alla materia fisica». Steiner, già allora, accusava una certa «inclinazione all’inganno» da parte della medicina: «Oggi si vaccina contro la tubercolosi, così domani si vaccinerà contro la disposizione verso la spiritualità». Steiner vedeva quindi «qualcosa di particolarmente paradossale», in arrivo «in un futuro prossimo e anche più remoto». Un caos così brutale – secondo Steiner – da propiziare, infine, «la vittoria degli spiriti della luce».«È pur vero che molti italiani si stanno svegliando, stanno uscendo dalla “caverna” e prendono gradualmente coscienza del grande inganno che è stato pianificato e attuato ai loro danni», ammette Bizzi, «ma pochi di questi risvegliati – aggiunge – comprendono realmente la vastità, la portata e le finalità di questo grande inganno che stanno vivendo». E purtroppo è anche vero che la maggioranza dei nostri concittadini «non intende minimamente svegliarsi e uscire dalla matrix». Infatti «si sta inesorabilmente incamminando di proposito verso un futuro di schiavitù, caratterizzato dal controllo totale delle persone mediante il riconoscimento facciale, la tecnologia 5G e il monitoraggio di ogni spostamento». Un mondo segnato «dalle vaccinazioni di massa, dall’impianto di microchip sottocutanei e dall’abolizione del denaro contante». Un futuro in cui «sarà abolita ogni forma di socialità e di affettività», e in cui l’infame “distanziamento sociale” diventerà «una regola permanente, anche all’interno dei nuclei familiari». Un futuro, insomma, in cui «non ci sarà spazio per il dissenso, in cui sarà vietato anche solo pensare». Un mondo in cui «chiunque potrà essere sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori ed essere “rieducato” e “riprogrammato”, come nei peggiori gulag sovietici e laogai cinesi». La democrazia? «Sarà solo un vago e incerto ricordo, cancellato con un tratto di penna dai libri di storia». Saremo davvero solo numeri, cancellabili dalla memoria di un computer a piacimento dei nostri governanti? «È questo il futuro che volete per voi e per i vostri figli?». Conclude Bizzi: «Italiani, svegliatevi, finché siete in tempo, perché di tempo non ne è rimasto molto. Il 1984 di Orwell è adesso, è drammaticamente adesso!».(Il libro: George Orwell, “1984″, edizioni Aurola Boreale, 250 pagine, 20 euro. Contiene un saggio introduttivo di Nicola Bizzi e una prefazione di Marco Della Luna).Ripubblicare oggi, nel giugno del 2020, un’opera come “1984″ di George Orwell «non rappresenta soltanto un preciso dovere culturale ed editoriale». Rappresenta, anche e soprattutto, «un chiaro messaggio politico e di denuncia sociale». Mai prima d’ora, infatti, dal 1949 – l’anno in cui Eric Arthur Blair (il vero nome di Orwell) pubblicò a Londra la sua ultima e più nota opera letteraria, “Nineteen Eighty-Four” – il mondo in cui viviamo ha rischiato realmente di precipitare nei cupi e allucinanti scenari, così mirabilmente descritti da questo scrittore singolare e visionario. Lo scrive lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, nel presentare (insieme a Marco Della Luna) una riedizione dell’incubo del Grande Fratello in piena era Covid. «Molto probabilmente – scrivi Bizzi, nella prefazione – la drammatica situazione che stiamo ancora vivendo a livello globale sarà un giorno menzionata nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti come il più grande inganno degli ultimi secoli». Un grande inganno «perpetrato, ai danni dei popoli, da una certa élite di potere che, con il pretesto di una falsa pandemia e servendosi di un “virus” abilmente ingegnerizzato in laboratorio, ha tentato di accelerare (per tutta una serie di ragioni che andremo a spiegare) il progetto di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale».
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Il Dio della Medicina piega quelli del Papa e del capitalismo
Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente. Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in certa misura, ancora convivono tre grandi sistemi di credenze: il cristianesimo, il capitalismo e la scienza. Nella storia della modernità, queste tre “religioni” si sono più volte necessariamente incrociate, entrando di volta in volta in conflitto e poi in vario modo riconciliandosi, fino a raggiungere progressivamente una sorta di pacifica, articolata convivenza, se non una vera e propria collaborazione in nome del comune interesse. Il fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso senza che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e implacabile, i cui esiti vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra esistenza. Questo conflitto non concerne, come avveniva in passato, la teoria e i principi generali, ma, per così dire, la prassi cultuale. Anche la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli diversi attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura: all’elaborazione di una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella prassi una sfera cultuale estremamente ampia e capillare che coincide con ciò che chiamiamo tecnologia.Non sorprende che protagonista di questa nuova guerra di religione sia quella parte della scienza dove la dommatica è meno rigorosa e più forte l’aspetto pragmatico: la medicina, il cui oggetto immediato è il corpo vivente degli esseri umani. Proviamo a fissare i caratteri essenziali di questa fede vittoriosa con la quale dovremo fare i conti in misura crescente. 1) Il primo carattere è che la medicina, come il capitalismo, non ha bisogno di una dogmatica speciale, ma si limita a prendere in prestito dalla biologia i suoi concetti fondamentali. A differenza della biologia, tuttavia, essa articola questi concetti in senso gnostico-manicheo, cioè secondo una esasperata opposizione dualistica. Vi è un dio o un principio maligno, la malattia, appunto, i cui agenti specifici sono i batteri e i virus, e un dio o un principio benefico, che non è la salute, ma la guarigione, i cui agenti cultuali sono i medici e la terapia. Come in ogni fede gnostica, i due principi sono chiaramente separati, ma nella prassi possono contaminarsi e il principio benefico e il medico che lo rappresenta possono sbagliare e collaborare inconsapevolmente con il loro nemico, senza che questo invalidi in alcun modo la realtà del dualismo e la necessità del culto attraverso cui il principio benefico combatte la sua battaglia. Ed è significativo che i teologi che devono fissarne la strategia siano i rappresentanti di una scienza, la virologia, che non ha un luogo proprio, ma si situa al confine fra la biologia e la medicina.2) Se questa pratica cultuale era finora, come ogni liturgia, episodica e limitata nel tempo, il fenomeno inaspettato a cui stiamo assistendo è che essa è diventata permanente e onnipervasiva. Non si tratta più di assumere delle medicine o di sottoporsi quando è necessario a una visita medica o a un intervento chirurgico: la vita intera degli esseri umani deve diventare in ogni istante il luogo di una ininterrotta celebrazione cultuale. Il nemico, il virus, è sempre presente e deve essere combattuto incessantemente e senza possibile tregua. Anche la religione cristiana conosceva simili tendenze totalitarie, ma esse riguardavano solo alcuni individui – in particolare i monaci – che sceglievano di porre la loro intera esistenza sotto l’insegna «pregate incessantemente». La medicina come religione raccoglie questo precetto paolino e, insieme, lo rovescia: dove i monaci si riunivano in conventi per pregare insieme, ora il culto deve essere praticato altrettanto assiduamente, ma mantenendosi separati e a distanza.3) La pratica cultuale non è più libera e volontaria, esposta solo a sanzioni di ordine spirituale, ma deve essere resa normativamente obbligatoria. La collusione fra religione e potere profano non è certo un fatto nuovo; del tutto nuovo è, però, che essa non riguardi più, come avveniva per le eresie, la professione dei dogmi, ma esclusivamente la celebrazione del culto. Il potere profano deve vegliare a che la liturgia della religione medica, che coincide ormai con l’intera vita, sia puntualmente osservata nei fatti. Che si tratti qui di una pratica cultuale e non di un’esigenza scientifica razionale è immediatamente evidente. La causa di mortalità di gran lunga più frequente nel nostro paese sono le malattie cardio-vascolari ed è noto che queste potrebbero diminuire se si praticasse una forma di vita più sana e se ci si attenesse a una alimentazione particolare. Ma a nessun medico era mai venuto in mente che questa forma di vita e di alimentazione, che essi consigliavano ai pazienti, diventasse oggetto di una normativa giuridica, che decretasse ex lege che cosa si deve mangiare e come si deve vivere, trasformando l’intera esistenza in un obbligo sanitario.Proprio questo è stato fatto e, almeno per ora, la gente ha accettato come se fosse ovvio di rinunciare alla propria libertà di movimento, al lavoro, alle amicizie, agli amori, alle relazioni sociali, alle proprie convinzioni religiose e politiche. Si misura qui come le due altre religioni dell’Occidente, la religione di Cristo e la religione del denaro, abbiano ceduto il primato, apparentemente senza combattere, alla medicina e alla scienza. La Chiesa ha rinnegato puramente e semplicemente i suoi principi, dimenticando che il santo di cui l’attuale pontefice ha preso il nome abbracciava i lebbrosi, che una delle opere della misericordia era visitare gli ammalati, che i sacramenti si possono amministrare solo in presenza. Il capitalismo per parte sua, pur con qualche protesta, ha accettato perdite di produttività che non aveva mai osato mettere in conto, probabilmente sperando di trovare più tardi un accordo con la nuova religione, che su questo punto sembra disposta a transigere.4) La religione medica ha raccolto senza riserve dal cristianesimo l’istanza escatologica che quello aveva lasciato cadere. Già il capitalismo, secolarizzando il paradigma teologico della salvezza, aveva eliminato l’idea di una fine dei tempi, sostituendola con uno stato di crisi permanente, senza redenzione né fine. Krisis è in origine un concetto medico, che designava nel corpus ippocratico il momento in cui il medico decideva se il paziente sarebbe sopravvissuto alla malattia. I teologi hanno ripreso il termine per indicare il Giudizio finale che ha luogo nell’ultimo giorno. Se si osserva lo stato di eccezione che stiamo vivendo, si direbbe che la religione medica coniughi insieme la crisi perpetua del capitalismo con l’idea cristiana di un tempo ultimo, di un eschaton in cui la decisione estrema è sempre in corso e la fine viene insieme precipitata e dilazionata, nel tentativo incessante di poterla governare, senza però mai risolverla una volta per tutte. È la religione di un mondo che si sente alla fine e tuttavia non è in grado, come il medico ippocratico, di decidere se sopravviverà o morirà.5) Come il capitalismo e a differenza del cristianesimo, la religione medica non offre prospettive di salvezza e di redenzione. Al contrario, la guarigione cui mira non può essere che provvisoria, dal momento che il Dio malvagio, il virus, non può essere eliminato una volta per tutte, anzi muta continuamente e assume sempre nuove forme, presumibilmente più rischiose. L’epidemia, come l’etimologia del termine suggerisce (demos è in greco il popolo come corpo politico e polemos epidemios è in Omero il nome della guerra civile) è innanzi tutto un concetto politico, che si appresta a diventare il nuovo terreno della politica – o della non-politica – mondiale. È possibile, anzi, che l’epidemia che stiamo vivendo sia la realizzazione della guerra civile mondiale che secondo i politologi più attenti ha preso il posto delle guerre mondiali tradizionali. Tutte le nazioni e tutti i popoli sono ora durevolmente in guerra con sé stessi, perché il nemico invisibile e inafferrabile con cui sono in lotta è dentro di noi.Com’è avvenuto più volte nel corso della storia, i filosofi dovranno nuovamente entrare in conflitto con la religione, che non è più il cristianesimo, ma la scienza o quella parte di essa che ha assunto la forma di una religione. Non so se torneranno ad accendersi i roghi e dei libri verranno messi all’indice, ma certo il pensiero di coloro che continuano a cercare la verità e rifiutano la menzogna dominante sarà, come già sta accadendo sotto i nostri occhi, escluso e accusato di diffondere notizie (notizie, non idee, poiché la notizia è più importante della realtà!) false. Come in tutti i momenti di emergenza, vera o simulata, si vedranno nuovamente gli ignoranti calunniare i filosofi e le canaglie cercare di trarre profitto dalle sciagure che esse stesse hanno provocato. Tutto questo è già avvenuto e continuerà a avvenire, ma coloro che testimoniano per la verità non cesseranno di farlo, perché nessuno può testimoniare per il testimone.(Giorgio Agamben, “La medicina come religione”, da “Quodlibet” del 2 maggio 2020).Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente. Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in certa misura, ancora convivono tre grandi sistemi di credenze: il cristianesimo, il capitalismo e la scienza. Nella storia della modernità, queste tre “religioni” si sono più volte necessariamente incrociate, entrando di volta in volta in conflitto e poi in vario modo riconciliandosi, fino a raggiungere progressivamente una sorta di pacifica, articolata convivenza, se non una vera e propria collaborazione in nome del comune interesse. Il fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso senza che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e implacabile, i cui esiti vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra esistenza. Questo conflitto non concerne, come avveniva in passato, la teoria e i principi generali, ma, per così dire, la prassi cultuale. Anche la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli diversi attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura: all’elaborazione di una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella prassi una sfera cultuale estremamente ampia e capillare che coincide con ciò che chiamiamo tecnologia.
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Virus e paura: ecco la mutazione che sconvolgerà l’umanità
No, non sarà solo una grave crisi economica e sociale, non genererà solo miseria e volontà di ricostruzione, non cambierà solo gli assetti politici e il rapporto tra potere e cittadini; non inciderà solo sulle relazioni, i viaggi, la globalizzazione, il rapporto tra le generazioni. Dall’emergenza mondiale alle prese col mistero dei virus avverrà la Mutazione, qualcosa di profondo, globale, radicale. La Mutazione antropologica che sconvolgerà l’umanità, non solo nei comportamenti e nei consumi, ma anche nell’anima e nella visione della vita e della morte. L’espressione che più rende l’idea del tempo che verrà è Medioevo prossimo venturo, tratta dal libro famoso di un ingegnere-futurologo, Roberto Vacca, che nei primi anni Settanta prefigurò una grande crisi dello sviluppo e un ritorno a una specie di Medioevo. Un’utopia rovesciata, cioè una distopia, o piuttosto una previsione, se non una profezia. La Mutazione allinea una serie di elementi psicologici insorti in questi giorni: in primis la paura, il terrore del contagio e del mondo esterno; quindi il mistero, la percezione di trovarsi di fronte a un evento imponderabile, di cui ci sfugge l’essenziale, anche se sappiamo tutto intorno; poi l’isolamento radicale di massa come mai l’avevamo conosciuto, tutti soli, barricati in casa, a fronteggiare il male senza possibilità di contatti; quindi la prossimità del limite, inteso come misura, confine invalicabile, ma anche come vicinanza della morte, che avevamo rimosso; infine la noia della cattività, il vuoto dei giorni e della vita, l’assenza di impegni, se non l’appello biologico ad autoconservarsi, per sé e per gli altri.Incrociando questi fattori interiori con la situazione esterna, il collasso sociale, l’incertezza totale, il crollo del ciclo produzione-consumo, sorge la Mutazione, non solo di abitudini e aspettative, ma anche psichica, senza precedenti. Anzi usiamo la parola rimossa: spirituale. Non è forse un caso il nesso originario tra spirito e respiro, che hanno la medesima radice in spiritus e pneuma. Una società priva di spiritualità soffoca, non respira, come per il virus. Non sappiamo se a questa crisi spirituale risponderà, almeno in occidente, un risveglio del cristianesimo. Nei primi giorni dell’emergenza la fede e la Chiesa per la prima volta da secoli risultavano sparite davanti alla tragedia. Irrilevanti, defilate. Le chiese chiuse, il silenzio del papa barricato e solo, la stessa preghiera solitaria del vescovo di Milano alla Madonnina in cima al Duomo, confermavano l’idea che questa crisi nasceva senza i conforti religiosi. La religione regrediva, per ragioni di salute, a programma tv o social. Come in una forzata svolta protestante, nasceva la religione per individui soli, fuori dalla Chiesa, una religione bricolage domestico, faidate. Interiors. Poi non sono mancati esempi luminosi. Uno tra tutti: don Giuseppe Berardelli nella bergamasca, che capovolgendo il motto egoista mors tua vita mea ha ceduto il suo respiratore a un paziente più giovane, andando incontro alla morte. Con tanti eroi medici e infermieri, vanno onorati anche i sacerdoti martiri.Ma il tema in campo non è quello della religione umanitaria e pro-migranti dell’era Bergoglio: è la religione che risponde al bisogno di spiritualità, alla fame di senso e di sacro, al saper addomesticare la morte, accettare i limiti e il mistero. La religione dei simboli, dei riti, della liturgia e soprattutto alla preghiera. La religione del rosario, dei santi e dei martiri; la religione che consola per la morte e proietta nella resurrezione, nella beatitudine immortale. Non sappiamo se sarà la religione cristiana ad accompagnare la Mutazione o altre vie spirituali. Così come non sappiamo se sarà l’antico mondo nazional-conservatore, o il nuovo populismo sovranista, a rappresentare il bisogno di ordine e di comunità organica, di stato autorevole e decisore, che emerge nel mondo. L’esperienza del contagio ci riconduce a una visione della società come organismo: se una parte del corpo s’infetta contagia il resto. Siamo dunque consorti, comunità di destino. Tornano i valori? Torna piuttosto il terreno che li precede, su cui possono sorgere. L’idea stessa di libertà, dopo questa esperienza muterà radicalmente: non liberare all’infinito i propri desideri, non libertà come liberazione da ogni vincolo; ma libertà per qualcosa, in vista di qualcosa. Con senso della misura, responsabilità, in rapporto con l’autorità e con l’ordine.Si, la libertà come diritto alla differenza, libertà di opinione e di voto, libertà di movimento; ma la libertà come Diritto Assoluto, diritto di avere diritti, non può funzionare. Il bisogno che sorge in questa situazione è esistenziale e spirituale. Veniamo da una società benestante ma depressa, che usa farmaci e terapie, ricorre a guru e psicanalisti per tenere a bada il mostro dell’angoscia. Ora che l’età dell’ansia esplode sono possibili due ipotesi opposte ma non inconciliabili: che si entri in una depressione di massa senza precedenti o che si guarisca di fronte ai pericoli reali dai pericoli mentali. Mi sembra che le due ipotesi si sovrappongano. Ad entrambe la risposta non può essere solo una “disperata vitalità”, per dirla con Pasolini: ma un rinnovato senso spirituale, sorto dopo questa ascesi di massa nelle proprie case, nelle città morte che dovranno rinascere quando scenderanno dai loro rifugi milioni di eremiti di cui già parlava Montale mezzo secolo fa. Per ora la nostra salvezza è lo smartphone e i suoi parenti stretti. Ma quando torneremo guardinghi all’aria aperta, ci vorrà altro, non basterà internet. Ci vorrà eternet.(Marcello Veneziani, “La Mutazione che sconvolgerà l’umanità”, riflessione pubblicata da “Panorama” e ora ripresa dal blog di Veneziani).No, non sarà solo una grave crisi economica e sociale, non genererà solo miseria e volontà di ricostruzione, non cambierà solo gli assetti politici e il rapporto tra potere e cittadini; non inciderà solo sulle relazioni, i viaggi, la globalizzazione, il rapporto tra le generazioni. Dall’emergenza mondiale alle prese col mistero dei virus avverrà la Mutazione, qualcosa di profondo, globale, radicale. La Mutazione antropologica che sconvolgerà l’umanità, non solo nei comportamenti e nei consumi, ma anche nell’anima e nella visione della vita e della morte. L’espressione che più rende l’idea del tempo che verrà è Medioevo prossimo venturo, tratta dal libro famoso di un ingegnere-futurologo, Roberto Vacca, che nei primi anni Settanta prefigurò una grande crisi dello sviluppo e un ritorno a una specie di Medioevo. Un’utopia rovesciata, cioè una distopia, o piuttosto una previsione, se non una profezia. La Mutazione allinea una serie di elementi psicologici insorti in questi giorni: in primis la paura, il terrore del contagio e del mondo esterno; quindi il mistero, la percezione di trovarsi di fronte a un evento imponderabile, di cui ci sfugge l’essenziale, anche se sappiamo tutto intorno; poi l’isolamento radicale di massa come mai l’avevamo conosciuto, tutti soli, barricati in casa, a fronteggiare il male senza possibilità di contatti; quindi la prossimità del limite, inteso come misura, confine invalicabile, ma anche come vicinanza della morte, che avevamo rimosso; infine la noia della cattività, il vuoto dei giorni e della vita, l’assenza di impegni, se non l’appello biologico ad autoconservarsi, per sé e per gli altri.
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Bertani: Natale, pacco vuoto. Chi crede ancora alla fiaba?
Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi. Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa! Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.Bisogna partire da lontano per capire tutto l’arzigogolo, e quando si dice da lontano quel “lontano” è, niente popò di meno che…Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, in arte Nerone, quinto imperatore romano. Perché? Perché Nerone aveva ben compreso che il futuro dell’Impero non era nella lontana Britannia o nella riottosa Germania, bensì nel Mediterraneo: ossia, voleva spostare il baricentro dell’Impero verso Oriente, non verso l’inospitale Nord. Nel 67 d. C. si recò in Grecia e concesse a tutti i Greci l’immunità, qualcosa che si avvicinava alla cittadinanza romana, ed iniziò a meditare che Alessandria d’Egitto (seconda città dell’Impero) aveva tutti i crismi per diventarne la prima: la Biblioteca – che, oggi, definiremmo “un grande polo universitario” – il grandioso porto e la posizione geo-centrica di quello che lui immaginava il futuro dell’Impero. E la religione? Le tradizioni? Beh…ci penseremo…in Oriente si trova di tutto… A Roma non furono molto d’accordo, e lo fecero fuori. Ma il dado era tratto: nemmeno 60 anni dopo, Adriano ammetteva “Christus” fra gli dei onorabili a Roma, sempre che i seguaci lo onorassero nel Pantheon romano e non come unico Dio. Ma la strada era tracciata. S’era intorno al 120 d.C.Ci furono ancora lotte, discriminazioni, uccisioni… ma, due secoli dopo, Costantino sanciva il passaggio definitivo, quello della religione cristiana come unico credo del regno. E, annessa, vi fu la prima truffa dei cristiani, ossia la cosiddetta “donazione” di Costantino (mai avvenuta) poi codificata nel Constitutum Constantini, un testo apocrifo del IX secolo d.C. la quale concedeva al papato non la guida della Chiesa, bensì una specie di titolo di imperator, ossia la supremazia su qualsiasi regno o (futuro) feudatario del grande impero. La frittata (un colossale falso storico) era sfornata, ed era nato lo Stato della Chiesa. Per i secoli a seguire, dunque, i Papi non furono le guide religiose che tutti pensiamo e immaginiamo nella nostra tradizione, bensì i Re d’alcuni possedimenti italici e gli imperatori dell’ex Impero Romano, perché avevano nelle mani uno strumento potente per mantenere quel primato (che usarono più volte), ossia la scomunica. Furono Pontifex Maximus dei re e imperatori d’Europa. Non ci dobbiamo perciò meravigliare dei fasti della corte papale, delle molte concubine, delle mille corruzioni, delle sanguinose lotte di potere… non dimentichiamo che molti Papi non furono nemmeno preti, oppure furono nominati cardinali da bambini… erano dei regnanti, stop.Machiavelli scrisse che gli italiani crebbero “senza religione e cattivi”, poiché allevati in quei torbidi consessi, nei quali la gestione del potere era “santificata” da qualcosa che, di veramente santo, non aveva niente. Ma venne la prima punizione. Un oscuro monaco agostiniano germanico, Martin Lutero – dopo una visita a Roma nella quale vide quel che vide, non ultimo il commercio, venale, delle indulgenze, che lo terrificò – tornato in Germania (e sotto la protezione di Federico di Sassonia) pubblicò le famose 95 tesi affiggendole sulla porta della Chiesa di Wittemberg. Era il 1517, era la Rivoluzione. Lutero voleva tornare ad un Cristianesimo più puro, mondato da ogni coinvolgimento secolare che la Chiesa Romana, ovviamente, non poteva concedere, senza correre il rischio d’enormi perdite, territoriali e di ricchezza. La prima avvisaglia di come i Protestanti desideravano “accomiatarsi” dal potere romano avvenne nel 1527, con il Sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi: 20.000 morti ed il resto della popolazione in fuga. Per “scalzarli” da Roma il Papa dovette pagare 400.000 ducati d’argento. Cash.La risposta, da Roma, venne nel 1545 con il Concilio di Trento e fu una risposta totalmente di chiusura, con la proibizione del possesso degli antichi testi biblici (in greco ed aramaico): solo la Vulgata – pessimo titolo! – ossia la Bibbia in Latino visionata e distribuita solo da Roma. E la creazione del Sant’Uffizio (la futura Inquisizione) e dell’indice dei testi “scomunicati”. Gli ultimi a ricevere questo “trattamento” furono Simone de Beauvoir, Gide, Moravia e Sartre (!). Li precedettero, praticamente, tutti i “pilastri” della civiltà moderna occidentale, da Cartesio in poi, e l’ultimo Papa passato sullo scranno del Sant’Uffizio, poi divenuto “Congregazione per la dottrina della Fede” fu Papa Ratzinger, tuttora vivente, Benedetto XVI. Insomma, in barba a tutti i “consigli” che giungevano dall’esterno, la Chiesa Cattolica non ha deviato di un’unghia, non ha discusso con nessuno, non ha accettato nessun “bonario” consiglio. Ha continuato a non concedere rogatorie nemmeno quando le vicende dello Ior (la Banca Vaticana) sprofondavano, più che nella tragedia, nella farsa.Pedofilia, niente; preservativi, nulla; divorzio, ignorato. Salvo concederlo, già a Trento (1545), per le coppie di neri che erano state battezzate dai missionari e poi vendute, schiave, a differenti proprietari. Una vera e propria chicca: un’attenzione perfetta per le esigenze del commercio! La giustificazione? Qualcuno aveva potuto leggere le pubblicazioni dell’atto? Magari affisse su un albero della foresta equatoriale? Penosi. Ma la nemesi giunge da dove meno te lo aspetti. Stavolta non c’è più un monaco che affigge delle tesi su una chiesa per chiederne la discussione, per avviare una ricostruzione di quel credo suggerito (pare) molto tempo prima da un oscuro pescatore/predicatore della Galilea. Rivisto e purgato – in primis Paolo di Tarso, poi Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino eccetera, eccetera… – per l’udito e la forma mentis dei greci e dei latini dapprima, poi per i loro eredi. Quando un edificio si mostra troppo vecchio per resistere ancora allo scorrere del tempo, quando non sono stati eseguiti per tempo i necessari lavori di ristrutturazione, entrano in funzione le ruspe demolitrici: non c’è altra soluzione.La “ruspa” – addirittura comico! – sgattaiola fuori dal garage delle Edizioni San Paolo di Roma, ma non affigge tesi per discutere, non chiede udienza, non dà alla vetusta istituzione cattolica nemmeno l’appiglio di un confronto: «Non voglio intromettermi fra ciò che pensano e credono i cattolici rispetto alla loro fede». E’ ciò che Mauro Biglino ripete, anche se sa benissimo che non ci potrebbero essere più roghi per bruciarlo. Magari, però, una pallottola vagante potrebbe sempre manifestarsi: i tempi cambiano e gli inquisitori accettano anche qualche “suggerimento” della modernità. La morte del comandante delle Guardie Pontificie, Alois Estermann (mai chiarita), della moglie e di un caporale, è stata una sparatoria degna di un film di Sergio Leone. Proprio accanto all’appartamento del Papa. Così, dalle Bibbie più antiche – guarda a caso quelle proibite nel ‘500 con l’Inquisizione – salta fuori, traducendo letteralmente, che il potente e “glorioso” Dio Javhé viaggiava nei cieli su un “carro di fuoco”, mentre i suoi “cherubini” assomigliavano più a delle guardie del corpo che agli angioletti del presepe.Ma anche il Nuovo Testamento è stato “rivisitato” – soprattutto grazie all’acume “greco” di Paolo di Tarso – e, dunque, una vicenda interna alla comunità ebraica, uno scontro fra fazioni discordi ed un fallito assalto al tempio di Salomone, ha creato i prodromi per la creazione di una nuova religio, visto che quella vigente nella Roma imperiale era in forte crisi, pervasa e stravolta da nuovi credi. Mentre era stata proibita dal Senato la pratica dei Baccanali, i culti di Cibele, Iside e, soprattutto, Mitra erano entrati a far parte del Pantheon Romano, scombussolandone le radici, che risalivano addirittura al primo re, Numa Pompilio. C’era bisogno di “aria nuova”: che durò per due millenni. Oggi, osservando con occhio disincantato e senza nessun tipo d’acredine, possiamo affermare che la religione cattolica sia ancora uno dei “perni” del vivere italico? Vivo di fronte ad una chiesa, che si dice sia stata un “luogo” dei Templari, e nella quale è stato anche girato un pessimo film (”The broken key”) sull’infinita saga dei cavalieri antichi e delle moderne società segrete. Le campane, a parte le ore, suonano musichette che sembrano il “liscio” dei Casadei: mai più ascoltato una musica sacra.Rari matrimoni e battesimi, più frequenti i funerali, con un solo denominatore: niente che abbia a che vedere con una pratica sacra, ma solo cerimonie mondane, allegre o tristi, ma solo mondane. Abiti eleganti le donne, camicie e cravatte gli uomini: per quel che ne so, una liturgia spenta senza più nessuna tensione religiosa verso il sacro, il supremo, l’assoluto inconoscibile. Le statistiche ci dicono che circa la metà della popolazione italiana si dice cattolica, ma coloro che si dicono credenti e praticanti sono soltanto il 22%. Ci sono, poi, un 10% circa che appartiene ad altre religioni, ed un 14% che, genericamente, “crede in Dio”. Questa è, sostanzialmente, la situazione. Al di là della sfera religiosa, gli italiani che credono molto o abbastanza alle coincidenze rappresentano ben il 53%, mentre il 41% crede nella fortuna, il 25% nella reincarnazione, il 24% nella predestinazione dell’anima, il 21% nei miracoli dei guaritori, il 18% nel karma, il 17% nell’astrologia, il 16% nella presenza di alieni sulla Terra, un altro 16% nella jella e nel malocchio, sempre il 16% nelle sedute spiritiche, il 14% nella possessione diabolica, il 9% nei tarocchi e un altro 9% nella magia (sondaggio Adnkronos). Sembra quasi l’identica situazione del tardo Impero Romano anzi: forse peggio. Eppure, continuiamo a definirci un “paese cattolico”. In ogni modo, felice Natale a tutti!Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi. Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa! Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.
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Ceronetti, quel genio italiano troppo scomodo per gli italiani
I cosiddetti “grandi italiani”, ebbe a dire l’autore televisivo Diego Cugia, sono personaggi che normalmente gli italiani neppure conoscono: la maggior parte della popolazione non sa neppure chi siano, che faccia abbiano, per quale ragione debbano essere ricordati. Per molti, i “grandi italiani” diventano tali, all’improvviso, solo quando muoiono: come nel caso dell’immenso letterato Guido Ceronetti, spentosi il 13 settembre all’età di 91 anni. Sul “Corriere della Sera”, Paolo Di Stefano lo rievoca con le parole di Ernesto Ferrero, tratte da “I migliori anni della nostra vita”, dove si vede l’allora quarantenne Ceronetti aggirarsi nei corridoi dell’Einaudi: «Avvolto in impermeabili sdruciti, in baschi da cui spuntavano capelli spiritati che ricordavano quelli di Artaud. Magro, anzi secco, con un naso alla Voltaire che spioveva su una bocca piegata all’ingiù, da cui uscivano riflessioni sapienziali, aforismi, profezie apocalittiche». Per ottenere il ritratto di Ceronetti, scrive Di Stefano, basta aggiungere «la erre arrotata, l’autoironia, lo strascicato accento piemontese, la voce sottile, quasi femminea. E le ossessioni vegetariane: invitato al ristorante, anche nel migliore, immancabilmente tirava fuori dalla cartella il suo olio e le sue tisane, mangiava semi di chissà che, grani di miglio».
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Totem e tabù della sinistra che ha rinnegato il socialismo
Il socialismo ha rappresentato l’ideologia umanista per eccellenza, anche se oggi sembra essersi trasformata in un carrozzone, un libro di buoni propositi, certo non realizzabili dalle due sinistre ancora in campo: quella borghese e disincantata, «che ha subordinato l’ideologia progressista e illuminista al pensiero liberista e ad una astratta morale liquida», e la sinistra “popolare”, radicata in una narrazione «fuori dal tempo», che risponde al liberismo in modo “reazionario” e “arrabbiato”, sfoderando «una morale da internazionale para-religiosa». Una peggio dell’altra: di sicuro, secondo Stefano Pica, non hanno più nulla a che fare con il socialismo «se non su un piano velleitario e di facciata». Quello che sopravvive, in loro, «è il cerimoniale liturgico di slogan, parole d’ordine e riferimenti estetici, che assomigliano più a dei totem sinistri che non ad un reale progetto politico». Sono «totem senz’anima, a cui viene sacrificato il pensiero critico», e che «nascondono insidiosi e inconfessabili tabù». Ovvero: ormai entrambe le sinistre «hanno come riferimento ideologico l’economia di mercato, verso cui assumono atteggiamenti ambivalenti, sottomessi o reazionari». Il progressismo di oggi (con la ‘p’ minuscola) teorizza «un progresso che mira al ripudio della tradizione, dell’appartenenza, di ogni differenza culturale e sociale, con l’unico scopo di neutralizzare l’individualità e la cultura locale».Si tratta quindi di «un progressismo sinistro, che mira ad un livellamento verso il basso della società, minando i confini antropologico-culturali di un paese a vantaggio di una società liquida e amorfa», scrive Pica sul blog del Movimento Roosevelt. Siamo in una società liquida «fondata su un internazionalismo di valori e diritti che in realtà finiscono con l’essere solo dei simulacri di carta», lontani dalla realtà quotidiana dei cittadini. Simulacri «carichi di retorica», che di fatto «nascondono il tabù di un silente desiderio di dominio sulle masse», cui forse la sinistra aspira da sempre, dietro al tabù della «religione del progresso», che si orienta «verso un irraggiungibile futuro migliore», lungo un internazionalismo dei diritti spesso insostenibile, all’interno di una morale condivisa. «In nome del diritto e di una ambigua morale internazional-umanitaria – scrive Pica – viene creato il pretesto per annullare le differenze tra le persone e le culture, offrendo in cambio la democrazia digitale del wi-fi o più genericamente del consumismo», l’unico luogo dove ormai si realizzerebbe una vera uguaglianza. La “causa del popolo” è spesso iper-urbana, sradica la cultura identitaria con la propaganda del multiculturalismo e un utilizzo spregiudicato di un fenomeno migratorio.Il totem del diritto al lavoro nasconde il tabù di un impiego precario, «sottomesso alle regole del mercato», senza una reale analisi sull’effettivo servizio offerto alla comunità, né sul peso umano del lavoratore. «Secondo l’etica di un socialismo postmoderno – agiunge Pica – il lavoro non deve essere più un diritto garantito». Oggi, infatti, «sta avanzando l’idea di un lavoratore asservito al suo lavoro come un moderno “servo della gleba”». Altro totem, l’accoglienza umanitaria senza regole: «Nasconde il tabù di una deportazione di nuovi schiavi da sfruttare», e si parla di «persone con culture e tradizioni spesso incompatibili con quelle del paese ospitante». Il fenomeno «rischia di innescare una dittatura delle minoranze, in virtù di un rispetto della diversità che puzza tanto di un razzismo al contrario». Naturalmente, «se l’obiettivo è il dominio», secondo Pica «torna utile avere un mobbing migratorio impiegato come un grimaldello demografico». E il totem dell’integrazione, specie a vantaggio della cultura islamista (l’Islam politico) cela un altro tabù: il rilancio di «una nuova Internazionale para-religiosa, come rivincita rispetto ad una vocazione internazional-rivoluzionaria mai del tutto realizzata».C’è un processo asimmetrico di stampo post-coloniale, prosegue Pica: «Spetta al “grande e benevolo uomo bianco” educare il “povero nero” o il “diverso”». Tutto questo «innesca una nauseabonda retorica che non ha alcun fondamento logico e analitico per noi italiani (noi stessi culturalmente disomogenei) che non riusciamo a integrare neanche le nostre risorse e perdiamo ogni anno circa 3.000 laureati». Persino ovvio: «Sarebbe logico cominciare ad integrare le nostre risorse», innanzitutto. E invece subiamo anche il totem dei “diritti per tutti”, «che nasconde il tabù di una “socializzazione della miseria” che alla fine tutela solo alcuni a danno di altri». In virtù del diritto, a sinistra, si tollerano spesso comportamenti criminosi, il cui costo è sulle spalle degli italiani più tartassati. «Quando la sinistra è divenuta progressista – scrive Pica – ha iniziato il suo lento declino, diventando la gran sacerdotessa della religione del progresso (che è intrinsecamente legata al liberismo)». Diventando progressista, la sinistra «si è condannata a confluire nel campo liberista, con la conseguente fine dell’opera socialista», insieme a cui «si è interrotto quel processo che ha fornito alle categorie popolari un prezioso linguaggio politico e una certa consapevolezza sul mondo che avevano davanti». Davanti al Totem di un “progressismo sinistro” è stata schiacciata anche la morale condivisa, che è il sale di una sana democrazia. Come diceva Durkheim: «E’ morale tutto ciò che è fonte di solidarietà, tutto ciò che costringe l’uomo a tenere conto dell’altro, a regolare i propri movimenti su qualcosa di diverso dagli impulsi del proprio egoismo».Il socialismo ha rappresentato l’ideologia umanista per eccellenza, anche se oggi sembra essersi trasformata in un carrozzone, un libro di buoni propositi, certo non realizzabili dalle due sinistre ancora in campo: quella borghese e disincantata, «che ha subordinato l’ideologia progressista e illuminista al pensiero liberista e ad una astratta morale liquida», e la sinistra “popolare”, radicata in una narrazione «fuori dal tempo», che risponde al liberismo in modo “reazionario” e “arrabbiato”, sfoderando «una morale da internazionale para-religiosa». Una peggio dell’altra: di sicuro, secondo Stefano Pica, non hanno più nulla a che fare con il socialismo «se non su un piano velleitario e di facciata». Quello che sopravvive, in loro, «è il cerimoniale liturgico di slogan, parole d’ordine e riferimenti estetici, che assomigliano più a dei totem sinistri che non ad un reale progetto politico». Sono «totem senz’anima, a cui viene sacrificato il pensiero critico», e che «nascondono insidiosi e inconfessabili tabù». Ovvero: ormai entrambe le sinistre «hanno come riferimento ideologico l’economia di mercato, verso cui assumono atteggiamenti ambivalenti, sottomessi o reazionari». Il progressismo di oggi (con la ‘p’ minuscola) teorizza «un progresso che mira al ripudio della tradizione, dell’appartenenza, di ogni differenza culturale e sociale, con l’unico scopo di neutralizzare l’individualità e la cultura locale».
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Magaldi: smascheriamo insieme i bari della politica italiana
Smascherare i bari della politica? Facilissimo: basta vedere chi votò per Mario Monti, il devastatore dell’Italia inviato a Roma nel 2011, tramite Napolitano. Una missione speciale, la sua, per conto dei super-poteri oligarchici che hanno fatto dell’Ue una fabbrica di diktat, trasformando i Parlamenti in “bivacchi di manipoli” dormienti, ancora impegnati a recitare la liturgia di una democrazia che ormai non esiste più, non conta, non decide più niente. Se ne vergognano, gli ex sostenitori di Monti? «Certamente se ne vergogna Bersani, che infatti nella sua nuova formazione politica ha inserito un riferimento all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, ben sapendo di aver votato a favore della riforma Fornero, massimo attentato politico nella storia recente contro il mondo del lavoro e dei lavoratori». Parola di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, che ora annuncia un conto alla rovescia: quello della nascita di un nuovo soggetto politico destinato, spera, a sconvolgere la “palude” italiana, intasata di replicanti finto-progressisti e finto-ribellisti, per fornire agli elettori una vera chance di cambiamento in senso sovranistico e democratico, lontano dalla “dittatura” di Bruxelles e dei suoi corifei nazionali.Berlusconi? Ancora una volta incerto e ambiguo, nell’elogiare – forse in funzione anti-Salvini – la Pax Europea di cui avremmo beneficiato. Niente di più falso, sostiene Magaldi, in collegamento con David Gramiccioli ai microfoni di “Colors Radio”: questa Ue, che doveva unire il continente – accusa il leader del Grande Oriente Democratico – ha letteralmente frantumato l’Europa, provocano una feroce crisi economica e pericolose rivalità tra Stati. Il Pd renziano? Minestra riscaldata: lo stesso Renzi ha commesso errori madornali come quello sul referendum, e il suo destino è comunque segnato. In ogni caso, aggiunge Magaldi, anche una quota rilevante di elettorato Pd è delusa e disorientata, nonostante l’overdose di camomilla somministrata dal Gentiloni di turno, vero e proprio clone del dimenticabile Enrico Letta. «In Italia – sostiene Magaldi – esistono praterie sconfinate, sul piano politico, per chi voglia provare a cambiare davvero il corso delle cose: manca solo uno strumento chiaro e preciso, finalmente a disposizione degli elettori». Proprio per questo, aggiunge, nascerà il Pdp, Partito Democratico Progressista: un programma netto, destinato a smascherare l’ipocrisia generale e la reticenza dei partiti di oggi, incluso il Movimento 5 Stelle.«A Roma il movimento di Grillo non ha dato buona prova di sé, e c’è da temere che sarebbe così anche su scala nazionale, se dovesse governare l’Italia». Per un motivo semplice, dice Magaldi: «I 5 Stelle non avevano un vero programma per la capitale, così come non hanno un vero programma per il paese». Per “vero programma”, spiega Magaldi, si intende qualcosa di esplicito e inequivocabile: aprire una vertenza storica con l’Ue, minacciando di sbattere la porta. Obiettivo: ripristinare la democrazia in modo sostanziale, quella dei diritti del lavoro, svuotata dalla tecnocrazia euro-tedesca, che Magaldi definisce “paramassonica”, dettata dalle strutture di potere apolidi che hanno fabbricato l’attuale globalizzione asimmetrica, che concentra i poteri e fa sparire i diritti, spingendo i cittadini verso una precarietà universale, senza speranza. Un esito inaccettabile, da rovesciare a partire dalle fondamenta, riscrivendo le regole: l’economista Nino Galloni è uno dei cervelli del movimento fondato da Magaldi per sollecitare il risveglio della politica italiana, di cui però ancora non si vede traccia. E dunque, se i partiti continuano a dormire, non resta che scendere in campo direttamente: è questo il ragionamento alla base del varo (imminente, pare) del Pdp, aperto a «chiunque ami sinceramente la democrazia, cioè la legittima quota di sovranità assegnata ad ogni cittadino».Smascherare i bari della politica? Facilissimo: basta vedere chi votò per Mario Monti, il devastatore dell’Italia inviato a Roma nel 2011, tramite Napolitano. Una missione speciale, la sua, per conto dei super-poteri oligarchici che hanno fatto dell’Ue una fabbrica di diktat, trasformando i Parlamenti in “bivacchi di manipoli” dormienti, ancora impegnati a recitare la liturgia di una democrazia che ormai non esiste più, non conta, non decide più niente. Se ne vergognano, gli ex sostenitori di Monti? «Certamente se ne vergogna Bersani, che infatti nella sua nuova formazione politica ha inserito un riferimento all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, ben sapendo di aver votato a favore della riforma Fornero, massimo attentato politico nella storia recente contro il mondo del lavoro e dei lavoratori». Parola di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, che ora annuncia un conto alla rovescia: quello della nascita di un nuovo soggetto politico destinato, spera, a sconvolgere la “palude” italiana, intasata di replicanti finto-progressisti e finto-ribellisti, per fornire agli elettori una vera chance di cambiamento in senso sovranistico e democratico, lontano dalla “dittatura” di Bruxelles e dei suoi corifei nazionali.
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Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?