Archivio del Tag ‘macchina a vapore’
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La “teoria del chiasso” oscura la verità sul clima terrestre
Sulla questione climatica, oramai, si sente soltanto chiasso. Chiasso mediatico, chiasso rabbioso, chiasso interessato, genuino, ispirato, malevolo… ma sempre e solo chiasso. Perché il chiasso è il fenomeno che più s’oppone al ragionamento e alla meditazione, unica via per giungere alla sintesi di qualsiasi evidenza naturale, per trovarne una soluzione o, almeno, comprenderne la genesi. Potremmo definire il chiasso come l’antitesi vera e propria della ricerca scientifica. A parte il chiasso, quali sono i dati in nostro possesso? La percentuale di CO2 nell’atmosfera terrestre nel 1975 era di 320 ppm (parti per milione), oggi abbiamo superato le 390 ppm: in 45 anni è aumentata del 22%. Nello stesso periodo, la temperatura media globale è aumentata di circa 0,5 gradi Celsius e i mari sono saliti di circa 40 millimetri. Possono indicarci qualcosa questi pochi dati certi? Il rapporto fra questi dati è provato e riproducibile in laboratorio: se in un laboratorio, a temperatura e illuminazione costanti, immettiamo in un recipiente di vetro una miscela di aria e CO2 ed aumentiamo la CO2, otteniamo un aumento di temperatura, perché l’anidride carbonica (e altri gas) riflettono la radiazione infrarossa che, dal suolo, viene riflessa verso il cielo e la proiettano nuovamente verso terra. Insomma, come in una serra, non la lasciano sfuggire.Il terzo dato necessita di una comparazione; ossia due recipienti, come sopra, con del ghiaccio alla medesima temperatura e peso: in quello a maggior temperatura, nella stessa unità di tempo, si scioglierà una maggior quantità di ghiaccio. Ciò che possiamo provare scientificamente è tutto qui: il resto richiede la preparazione di modelli matematici, poiché un conto è operare un esperimento in laboratorio, un altro espanderlo a livello della biosfera, dove intervengono miliardi d’interazioni delle quali non conosciamo interamente i rapporti, e per questo li indaghiamo con modelli matematici i quali, come ogni modello prodotto dall’uomo, è passibile di critica. Perché il chiasso? Il primo obiettivo dei fautori del chiasso è disperdere la concentrazione, effettuando un’operazione di per sé semplice, soprattutto nei confronti di coloro che non sono molto avvezzi nell’epistemologia delle scienze sperimentali: assegnare il medesimo valore d’inesistenza inerente fra la critica dei modelli matematici e l’evidenza dei dati scientifici. E’ un chiasso un poco furbetto e sempliciotto: in altre parole, se dimostro che il modello matematico è imperfetto, lo saranno anche i dati scientifici che lo alimentano. Il che è pietosamente falso: sarebbe come sostenere, nella costruzione di due grattacieli, che essendo errato in uno dei due il calcolo delle masse e delle relative pressioni, sono errati i concetti fisici di massa e pressione.Più interessante, invece, la critica proveniente dagli ambienti del “complotto”. Si sostiene che, siccome il sistema politico-economico è una piovra che tutto controlla e decide, allora l’evidenza di nuovi ed enormi profitti conduce ad esaltare la necessità di compiere questi interventi, finalizzati ad un maggior profitto per gli azionisti. Nulla da eccepire sotto l’aspetto della critica: nessuno di noi ha mai pensato che le holding economiche del pianeta siano istituti di beneficienza sociale. Il nesso, però – inconsistente – è fra le nuove tecnologie energetiche e l’intervento finanziario. Prima del secolo XVIII, era la nobiltà ad assumersi oneri ed onori per quanto riguardava gli interventi, ma la macchina a vapore sconvolse questi equilibri: troppo grandi gli interventi richiesti, estesi sui cinque continenti, in continua evoluzione. La ferrovia fu il canto del cigno per il potere economico della nobiltà, la quale – anche per altri fattori storici – si vide relegata in un angolo del potere finanziario ed economico. Precisando il fenomeno, nel secolo XIX, per la macchina a vapore e il carbone, furono le banche ad investire e a fare profitti, sorrette dal patrimonio azionario dell’espansione borghese, mentre nel XX secolo s’affermarono mezzi di finanziamento ancor più evoluti, quali fondi d’investimento, fondi pensione, fondi sovrani.Ricapitolando, c’è da operare una distinzione fra sviluppo e ricerca tecnologica e mezzi di finanziamento: mentre i primi possono essere anche frutto di ricerche e sviluppi nati nell’ambito pubblico – gli istituti universitari, ad esempio – i secondi sono quasi interamente rivolti agli investitori privati, siano essi banche o strutture finanziarie. Aprendo una breve parentesi, si può notare come in Italia si sia generato un fenomeno che dire “assai strano” è ancora riduttivo: il sistema autostradale, costruito col finanziamento pubblico, è diventato una gestione privata, in cambio – diciamolo chiaro – di un piatto di lenticchie. E la dimostrazione, lampante, è dei nostri giorni e di cosa sta accadendo. Quindi, è assolutamente normale che il sistema finanziario s’adoperi per entrare e guadagnare nel comparto delle nuove tecnologie energetiche: compito della parte pubblica sarà, invece, definire il quadro degli investimenti per fare in modo che questi interventi non siano “a gamba tesa”. Alternative? Ancor più ampio, come prospettive, è la definizione del sistema economico di riferimento: non si può tacere sul fatto, evidente, che la maggior potenza economica in forte ascesa sia la Cina – la Cina popolare, che si dice ancora comunista, qualsivoglia sia il significato che i dirigenti cinesi assegnano oggi a quel termine (sarebbero, però, analisi che richiederebbero ben altro spazio di un articolo).Il ministro del petrolio saudita, molti anni fa, ebbe a pronunciare una frase profetica: «L’Era della Pietra non terminò certo per la mancanza di pietre, e l’Era del Petrolio potrebbe terminare molto prima dell’esaurimento del petrolio». E se così non fosse, sarebbe un dramma. Oggi, a nostro favore, abbiamo la ricerca tecnologica, la quale è passata da un processo combustione>energia meccanica>energia elettrica alla più semplice captazione diretta dell’energia elettrica, vuoi con la captazione eolica, vuoi con quella fotovoltaica. E molto rimane ancora da esplorare, sul fronte delle energie dalle correnti sottomarine e dal moto ondoso, sull’eolico d’alta quota, sul geotermico, sullo sfruttamento delle biomasse di scarto, sull’idroelettrico da grandi masse e modeste cadute e quanto, sicuramente, ci segnaleranno nel futuro scienza e tecnologia. Perché rifiutare? Non sappiamo cosa significhino quelle 390 ppm di CO2 nell’atmosfera, come non sappiamo cosa ci porterà quel mezzo grado in più, né quei 40 millimetri in più d’acqua negli oceani. Possiamo solo dire che quei miseri 40 millimetri d’innalzamento del livello di mari e oceani significano circa 14.500 miliardi di tonnellate d’acqua in più negli oceani. Non cambierà nulla? Lo cambierà? Non lo sappiamo.Sappiamo però che, qualsiasi mutamento questo quadro porterà, sarà fuori dalle capacità umane, in futuro, porvi rimedio: l’unico atteggiamento da assumere, oggi, è l’elementare principio di prudenza, cercando di salvaguardare un equilibrio che ben conosciamo e nel quale siamo vissuti per migliaia di anni. I mezzi li abbiamo tutti: sarà solo l’ennesima transizione della civiltà umana verso sistemi più evoluti: dalla trazione animale a quella meccanica, alla trazione elettrica. Dall’energia muscolare a quella meccanica, a quella elettrica fino a quella nucleare, che non ha dato i risultati sperati, poiché basta un solo errore (e ce ne sono stati ben due) per condannare intere regioni all’inesistenza per la vita umana. Ci sono gli aspetti economici e finanziari, ma questo non è un principio immutabile – come le leggi della fisica – bensì soltanto un metodo costruito dall’uomo per governare l’economia delle società umane. Se dovesse risultare un errore, un obbrobrio oppure un ostacolo per l’evoluzione umana, basterà rimuoverlo o modificarlo. Questo lo possiamo fare: basta averne consapevolezza.(Carlo Bertani, “Teoria del chiasso”, dal blog di Bertani del 1° gennaio 2020).Sulla questione climatica, oramai, si sente soltanto chiasso. Chiasso mediatico, chiasso rabbioso, chiasso interessato, genuino, ispirato, malevolo… ma sempre e solo chiasso. Perché il chiasso è il fenomeno che più s’oppone al ragionamento e alla meditazione, unica via per giungere alla sintesi di qualsiasi evidenza naturale, per trovarne una soluzione o, almeno, comprenderne la genesi. Potremmo definire il chiasso come l’antitesi vera e propria della ricerca scientifica. A parte il chiasso, quali sono i dati in nostro possesso? La percentuale di CO2 nell’atmosfera terrestre nel 1975 era di 320 ppm (parti per milione), oggi abbiamo superato le 390 ppm: in 45 anni è aumentata del 22%. Nello stesso periodo, la temperatura media globale è aumentata di circa 0,5 gradi Celsius e i mari sono saliti di circa 40 millimetri. Possono indicarci qualcosa questi pochi dati certi? Il rapporto fra questi dati è provato e riproducibile in laboratorio: se in un laboratorio, a temperatura e illuminazione costanti, immettiamo in un recipiente di vetro una miscela di aria e CO2 ed aumentiamo la CO2, otteniamo un aumento di temperatura, perché l’anidride carbonica (e altri gas) riflettono la radiazione infrarossa che, dal suolo, viene riflessa verso il cielo e la proiettano nuovamente verso terra. Insomma, come in una serra, non la lasciano sfuggire.
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La nostra storia non regge: sta per venircelo a spiegare E.T.
Non sono certo le mille fregnacce del governo e dell’opposizione a rendermi perplesso, e nemmeno le mille disgrazie economiche: previste, annunciate, poi scorporate, quindi riammesse…nel gran calderone della politica e dell’economia: si sta muovendo qualcosa di serio da tutt’altre parti. La prima notizia è giunta dalla Nasa, poche settimane or sono: d’ora in avanti, non vogliamo più sentir parlare di Oggetti Non Identificati in cielo…beh…consideriamoli come “elementi non censiti nelle aeronautiche terrestri” o qualcosa del genere; insomma, ci sono cose che volano in cielo che non sappiamo cosa siano. E non sono, sia chiaro, palloncini sfuggiti ai bambini al luna park né palloni aerostatici dispersi dai meteorologi: non possiamo dirvi chiaro e tondo che sono extraterrestri – perché, ad onor del vero, non lo sappiamo nemmeno noi (?) – però ‘sta roba può essere pericolosa per il traffico aereo, quindi – cari piloti – state accuorti. La comunicazione della Nasa giunge a proposito, perché – grazie alle mille diavolerie informatiche oggi possibili – nessuno prendeva più troppo sul serio i filmati degli Ufo, giacché il sospetto veniva: questi, tanto per guadagnare contatti su YouTube, macchineranno chissà che cosa. Invece è proprio la Nasa a dirlo: non sono roba nostra e ci sono veramente. Aggiunge anche, a pochi giorni di distanza, che su Marte c’è acqua ed una quantità “interessante” di ossigeno: partiamo?
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Greta recita: sta minacciando personalmente ognuno di noi
Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena cambiato il frigo e osato concedervi una vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Una viperetta tracotante, livida: ne saranno felcissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è suprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.Il grande artefice del disgelo, Mikhail Gorbaciov, sognava un mondo senza più guerre. Sfrattato dal Cremlino, ha visto l’Urss smembrata e la Russia brutalmente privatizzata e saccheggiata. Ma il colpo da maestro degli strateghi del globalismo a mano armata è stato permettere alla Cina di entrare nel gioco planetario con merci prodotte sottocosto, grazie anche a condizioni schiavistiche di lavoro, senza le tutele sindacali di Europa e Usa. In pochi anni il mondo è esploso, insieme al suo fatturato, in una sorta di festa truccata: l’europeo e l’americano medio hanno perso terreno, hanno smesso di crescere in termini di benessere, hanno cominciato a intaccare i risparmi familiari e a dover mantenere i figli senza lavoro, costretti a non sposarsi o a emigrare all’estero. Devastante il fenomeno delle delocalizzazioni, la fuga delle industrie nei paesi asiatici dove l’operaio costava un dollaro al giorno. In Europa – vero laboratorio mondiale del suicidio tecnocratico della democrazia – la truffa neoliberale ha indossato la maschera austera e perbenista dell’ordoliberismo autoritario, l’ipocrita moralismo del guru austriaco Friedrich von Hayek: l’illuminato economista concepiva il welfare (ridotto a poche briciole, s’intende) solo come misura estrema e preventiva per cautelarsi dalla rivolta delle masse impoverite.Agli italiani, personaggi come Ciampi e Prodi avevano presentato l’Ue e l’Eurozona come il paradiso, il regno dell’età dell’oro. Dopo meno di vent’anni non restano che macerie, nazioni che si guardano in cagnesco e che si fanno le scarpe appena possono, mentre il Belpaese (depredato, secondo i piani) ha perso il 25% del suo potenziale industriale. L’Europa intera ha assistito senza muovere un dito alla macellazione senza anestesia del popolo greco: cos’avrebbe da dire, Greta Thunberg, ai sopravvissuti della Grecia che si sono visti scippare il Pireo e gli aeroporti, chiudere i bancomat, tagliare i salari, ridurre le pensioni fino alla soglia della fame? Cicale irresponsabili, quelle che hanno assistito alla morte dei neonati, nei loro ospedali, per mancanza di medicine? Spendaccioni scellerati, i greci, che oggi devono vedersela con piaghe che si credevano sepolte dalla storia, come la malnutrizione infantile? E’ sconcertante la consonanza fra le parole di Greta e quelle degli oligarchi europei che hanno messo la Grecia in ginocchio, accusandola di aver abusato del debito pubblico. La canzone – vagamente nazista – è sempre la stessa: la colpa è vostra, peggio per voi.La Thunberg, si sa, è una pedina importantissima della grande manipolazione mediatica sul “climate change”, ovvero la teoria – non suffragata scientificamente – secondo cui il surriscaldamento globale (peraltro appena contestato all’Onu da 500 scienziati) sarebbe di origine antropica. Sommessamente, qualche anno fa, il fisico Carlo Rubbia, Premio Nobel, ricordava che, ai tempi dell’Impero Romano, le temperature medie erano superiori a quelle di oggi. Nel solo medioevo, come gli storici sanno, si è passati dalla mini-glaciazione (che d’inverno congelava il Tamigi e la Senna, attraversabili camminando) al grande caldo del periodo basso-medievale, con colture mediterranee come l’ulivo diffuse ovunque nel Nord Italia. Ancora nom c’era neppure la macchina a vapore, figurarsi le emissioni velenose delle odierne megalopoli. L’inquinamento è tangibile e pericoloso, quello sì: negli oceani galleggiano isole di plastica vaste quanto continenti. Come è possibile che non si impieghi la tecnologia necessaria a bonificare la Terra e riconvertire ecologicamente l’industria? E soprattutto: perché – in primis – i padroni dell’universo che muovono i fili della marionetta Greta vogliono, a tutti i costi, colpevolizzare noi per quanto sta accadendo, raccontandoci addirittura che il degrado della biosfera altera il clima del pianeta?E’ tutto talmente surreale da sembrare comico, se non fosse per il caos sanguinoso che sfiora o assedia miliardi di esseri umani. Il cielo è vistosamente coperto dalle emissioni aeree della geoingegneria (guai a chiamarle scie chimiche), mentre l’aviazione Usa ammette, di colpo, che i piloti dei jet sono frastornati dai continui avvistamenti di Ufo. Il Medio Oriente non fa più notizia, eppure dovrebbe: non si è ancora spenta l’eco del terrore scatenato dal sedicente Stato Islamico, protetto e armatissimo da precisi settori dell’intelligence atlantica prima dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli stregoni della finanza oggi hanno paura: temono un crollo catastrofico dell’economia fittizia gonfiata dalla speculazione. Mario Draghi smentisce integralmente la sua vicenda professionale e arriva a evocare addirittura la Modern Money Theory, cioè la restituzione della sovranità monetaria agli Stati, mentre Christine Lagarde, in uscita dal Fmi e diretta alla Bce, parla apertamente degli eurobond che metterebbero fine all’incubo dello spread, consentendo all’economia europea di tornare a investire e produrre lavoro. Sono voci frammentarie di élite potentissime che oggi appaiono divise e lacerate da faglie profonde, come quella che oppone il governo Usa al cartello Rothschild, ora schierato con Silicon Valley e con la Cina, pronto a sostituire il dollaro con un’altra possibile valuta internazionale, come propone la Bank of England.I segnali non sono rassicuranti, c’è chi teme un collasso che potrebbe spalancare scenari di guerra. Nell’Italia che assiste alla strage indiscriminata di alberi d’alto fusto, tagliati per fare spazio al misterioso 5G (vera incognita, per la salute), i genitori si rassegnano a sottoporre i bambini a vaccinazioni improvvisamente obbligatorie, somministrate in batteria – oggi ai neonati e forse domani anche agli adulti, pena la pedita del passaporto e della patente di guida come in Argentina? Ma non importa, evidentemente, se in tanti battono le mani alla piccola strega Greta Thunberg, che recita a soggetto davanti alle Nazioni Unite puntando il dito contro tutti noi. Un’intimidazione ad personam, minacciosa e sinistra: guai a voi, branco di incoscienti. Come osate continuare a sperare di migliorare la vostra vita? Musica, per le orecchie dei tagliatori di bilanci. Nulla che possa impensierire le major, gli oligarchi, le multinazionali. Greta ce l’ha con noi, con ognuno di noi: punta a far crescere il nostro senso di colpa, quello del giovane che sogna l’auto nuova, del pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese. Grazie a Greta, i cialtroni dell’austerity – da Palazzo Chigi alla Commissione Ue – potranno accanirsi sul popolo bue con meno scrupoli, specie se l’economia mondiale volgerà al peggio. Nuovi sacrifici in vista? Niente paura, in soccorso ai lestofanti arriva la lezione della piccola attrice svedese: soffrire è giusto, ce lo meritiamo.Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena comprato lo smartphone ultimo modello e avete osato concedervi una bella vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Sembra una viperetta tracotante, livida: ne saranno felicissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è soprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.
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Bufale e cacciatori di bufale, ignari della fine dell’impero
La faccia triste del nuovo medioevo in corso, insieme agli spacciatori di bufale, sono i sedicenti cacciatori di bufale. Gli spacciatori confidano nella dilagante credulità, incrementata ogni giorno dalle rovine del sistema dei media, palesemente claudicante e quasi sempre inattendibile, reticente se non omertoso, timido, pronto a rifugiarsi nel gossip più o meno politico, più o meno sociologico, a volte solo calcistico, canzonettaro e melodrammatico, vanamente appeso a un preteso senso comune che di fatto non esiste più, plasticamente deformato dal permanente tourbillon tecno-avveniristico dell’ultimo strabiliante prodottino da vendere. Affondano, gli spacciatori, nel burro fuso dell’ex politica, della post-ideologia, del progresso tradito e deragliato, dei patti non rispettati da nessuno. Gioco facile, vendere sistemi chiusi e comprensibili, salvezze appese a teoremi e sensazionali rivelazioni basate su semplici ipotesi, a volte suggestive e a volte mestamente mediocri, fabbricate per voli radenti e brevissimi, svogliati come rapide parabole in cerca di risposte e soluzioni a portata di mouse, nei quaranta minuti di pazienza residua a fine giornata. Si pretendono risposte immediate, precise e convincenti, possibilmente definitive e soprattutto non stancanti, pastiglie facili da buttar giù con un bicchiere d’acqua.Il trucco sta nel dar la sensazione al pubblico più sprovveduto di acchiappare almeno per la coda un qualche brandello di verità plausibile, rendendo finalmente meno illeggibile la trama del caos creativo e distruttivo che avvolge e risucchia nei suoi vortici quella che un tempo, a scuola, si sarebbe chiamata civiltà. Così riaffiorano millenarismi inevitabili, leggende, fiabe e fandonie, presunti specialisti, guru. Una foresta parlante e più spesso ragliante, in qualche caso in modo inconsapevole, a volte invece lucidamente conscia della sua missione ottenebrante a scopo prettamente mercantile, semplice vendita di merce progettata per durare poco, per infiammare solo una stagione – qualcosa da afferrare adesso, ora o mai più, per arrivare in cima al mondo in soli dieci passi. Fenomeni recenti o forse antichi, desueti e ripetuti come ogni altro tipo di intrattenimento da reiterare stancamente in un menù non proprio entusiasmante. Mai prima d’ora, si racconta, c’era stato un tale disorientamento. Ma davvero? Che dire, allora, di fronte alla caduta dei leggendari imperi del passato?Un film girato con pochi spiccioli – “De reditu, il ritorno” – fa diventare carne e sangue l’infinito smarrimento dei romani di fronte alle macerie dello Stato, roso da dentro dalla nuova religione inarrestabile, totalitaria perché imposta per decreto: cronaca di un’eclissi, spaventosamente dolorosa, che non lascia scampo (mentre la terra, tutt’intorno, frana sotto i piedi insieme alle sue regole, le leggi, le certezze). Se tutto pare farsi cenere, niente paura: arrivano i guerrieri. Funesti cavalieri, guardiani dell’ortodossia scientista, un tempo onestamente politecnica, con maschere dell’Ottocento tra sacchi di carbone e sbuffi di vapore. Sono le nostre sentinelle – severe, ammonitrici, ditino alzato in mano guantata. Badate, dicono. Non vi sbagliate, non crediate. Schioppi e balestre, le armi pronte per sparare a vista. Presidiano frontiere, senza vedere che il confine non esiste più. L’impero si è dissolto. E’ ancora vivo solo in loro, nella loro testa, e non in quella di chi impartisce ordini e li spedisce a disperdere le torme, apparse tra brughiere. L’imperatore è come morto, è un ectoplasma in un palazzo. Al fronte manda loro, solo per guadagnare tempo.Li chiamano debunker, smentitori, smontatori. La missione: smascherare i barbari. E tutti, per loro, sono barbari: tutti gli eretici, i forestieri, gli incamminati per sentieri solitari. Barbari analfabeti, perché vivono al di fuori dall’impero, sguazzando beatamente nelle tenebre fittissime dell’ignoranza primordiale, subumana, antecedente al sapiens. Lesti di mano, i militari: poco avvezzi all’arte consumata del vecchio diavol loico, scelgono sempre la via spiccia, a fil di spada. Sbullonare: diffamazione e insulto. La calunnia, l’intimidazione. Ancora un passo, e vi distruggeremo. Sarete interdetti, ostracizzati, ridicolizzati. E’ davvero finita, la dominazione, quando ha così paura da spedire truppe contro il nulla, il buio, il vento dove bivaccano nomadi e pastori. Pochissimi soldati, finiti per caso o per errore in quel che resta dell’esercito, potrebbero un giorno scoprire che là in mezzo, fra la ciurma assiepata nel recinto in attesa dell’identificazione, tra le facce sbiancate e precarie, le teste scarmigliate, si nasconde l’impensabile: ovvero la visione, inevitabilmente ancora clandestina, dei nuovi fondatori.La faccia triste del nuovo medioevo in corso, insieme agli spacciatori di bufale, sono i sedicenti cacciatori di bufale. Gli spacciatori confidano nella dilagante credulità, incrementata ogni giorno dalle rovine del sistema dei media, palesemente claudicante e quasi sempre inattendibile, reticente se non omertoso, timido, pronto a rifugiarsi nel gossip più o meno politico, più o meno sociologico, a volte solo calcistico, canzonettaro e melodrammatico, vanamente appeso a un preteso senso comune che di fatto non esiste più, plasticamente deformato dal permanente tourbillon tecno-avveniristico dell’ultimo strabiliante prodottino da vendere. Affondano, gli spacciatori, nel burro fuso dell’ex politica, della post-ideologia, del progresso tradito e deragliato, dei patti non rispettati da nessuno. Gioco facile, vendere sistemi chiusi e comprensibili, salvezze appese a teoremi e sensazionali rivelazioni basate su semplici ipotesi, a volte suggestive e a volte mestamente mediocri, fabbricate per voli radenti e brevissimi, svogliati come rapide parabole in cerca di risposte e soluzioni a portata di mouse, nei quaranta minuti di pazienza residua a fine giornata. Si pretendono risposte immediate, precise e convincenti, possibilmente definitive e soprattutto non stancanti, pastiglie facili da buttar giù con un bicchiere d’acqua.
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Sos Disruption: entro 15 anni sparirà un mestiere su due
Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».Le nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence stanno cambiando davvero tutto: sarà la fine del mondo, così come l’abbiamo conosciuto. E nessuno, a quanto pare, se ne sta accorgendo. Parlano i numeri, già drammatici secondo tutte le proiezioni ufficiali: a livello globale, da 1 a 2 miliardi di lavoratori perderanno il posto entro il 2030, la maggioranza in Occidente. A farne le spese saranno impiegati contabili e amministrativi, aziende manifatturiere e manodopera produttiva, insieme a costruzioni ed estrazioni minerarie, ma anche avvocatura e giudici, lavori di installazione e manutenzione, operatori di gru e trattoristi, meccanici e riparatori. Spariranno posti di lavoro nelle arti e nel design, nell’intrattenimento, nello sport e nei media, insieme a molte mansioni nel settore turistico. In compenso, dalla rivoluzione tecnologica usciranno rafforzati business e finanza, manager, informatica e matematica, architettura e ingegneria, ma anche rappresentanti, camerieri, specialisti in istruzione e formazione, pensatori creativi e manager per la Disruption – nonché farmacisti, infermieri e operatori socio-sanitari.«Entro il 2030 si stima che fino a 375 milioni di posti di lavoro, globalmente, dovranno essere “reskilled”, cioè riqualificati», scrive Barnard nel suo blog. Ad esempio: nel settore manifatturiero, dicono gli esperti, cadranno mansioni nelle mani dell’Artificial Intelligence e della robotica, ma il lavoratore potrà essere re-impiegato in fasi diverse del lavoro, aumentando la produttività: gli servirà però un “reskilling”. Alibaba, colosso cinese dell’e-commerce, ha calcolato che i suoi robot da magazzino risparmiano a ogni magazziniere almeno 50.000 mosse fisiche al giorno, riducendone molto lo stress fisico ma soprattutto liberandogli tempo per aumentarne la produttività ma senza prolungare l’orario di lavoro. Naturalmente, scrive Barnard, Alibaba i suoi dipendenti li ha “reskilled”. Quindi, «l’impresa del “reskilling” di milioni di italiani non è un optional, è l’aria da respirare, e ogni singolo analista al mondo oggi lo dice chiaro: i governi giocano qui il ruolo principale con un intervento generoso nei bilanci». Ma una nazione con vincoli di budget «al limite del sadismo sociale», per citare l’economista Giulio Sapelli, come diavolo farà a riqualificare sul lavoro due o tre milioni di persone?Oltretutto, il “reskilling” è ormai un ordine di scuderia a tappe forzate: «Lasciar languire nella terra di nessuno i lavoratori in transito significa perderli per strada, con danni economici enormi». Si domanda Barnard: «Come farà l’Italia, soffocata nei bilanci dall’Eurozona, quando tutti gli esperti mondiali invocano chiaramente interventi di governo?». Già ora la Disruption, nelle parole di 20.000 imprenditori europei di tutti i settori, «sta imponendo un aumento vertiginoso nella richiesta di alcune professioni, che si prestano per assorbire sia una quota di futuri licenziati (“reskilled”), che i giovani post-laurea». La rivoluzione in arrivo, dice Barnard, avrà bisogno di nuovissime figure professionali, come i rappresentanti di ultima generazione: «Occorrono disperatamente venditori che siano formati prima di tutto a spiegare quei prodotti, poi a venderli a privati e governi, ma anche per raggiungere nuove fasce di clienti». Poi gli analisti dei dati: «Non occorre un dottorato per questa mansione, ma di certo un buon “reskilling” anche in assenza di laurea». Le aziende, aggiunge Barnard, oggi sanno che Big Data è la scoperta “nucleare” del commercio di prodotti e servizi: bisogna quindi «saper analizzare e trarre conclusioni intelligenti dall’immane massa di dati che la Disruption mette a disposizione».«Il successo si gioca qui, nel terzo millennio: la richiesta di analisti dei dati è destinata a esplodere fra pochissimi anni». Per i laureati brillanti «c’è già ora spazio per ricoprire un ruolo dirigente richiestissimo nei maggiori settori di commercio e servizi, cioè il Manager della Disruption: è colui che si specializza nel guidare l’azienda (piccola, media, grande) ma anche il settore pubblico, nella tempesta di cambiamenti che l’era digitale porta ogni minuto». In generale, proprio grazie alla Disruption, entro il 2030 sono previste globalmente 130 milioni di nuove assunzioni in sanità generale e assistenza agli anziani, nonché 50 milioni nelle tecnologie e altri 20 milioni nel settore energetico. Le professioni del tutto nuove che si prevede nascano grazie alla Disruption, spiega Barnard, sono «gli specialisti intra-umani, cioè intelligenza emotiva, capacità di persuasione, gestori delle emozioni umane nel sociale, e i creatori di motivazione; i pensatori creativi in ogni settore, sia scientifico che industriale che amministrativo, poiché essere super-specializzati ma ottuse ‘scatole di dati’ non innova nulla in azienda». E ancora: serviranno «gli ottimizzatori delle energie rinnovabili e gli operatori nella lotta al cambiamento climatico».Ogni singolo esperto in “occupazione & Disruption”, aggiunge Barnard, “grida” sempre la medesima cosa, che la Consultancy McKinsey & Co. ha espresso nel dicembre 2017 con una frase lapidaria: «La moltiplicazione dei lavori potrebbe più che compensare le perdite a causa dell’automazione. Ma nulla accadrà per magia – richiederà che i governi e il business sappiano creare le opportunità». E qui esplode il problema-Italia: chi si farà carico della formazione permanente imposta dalla Disruption, dati gli attuali limiti drammatici imposti alla spesa pubblica? La scuola, scrive Barnard, deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte delle competenze insegnate oggi saranno obsolete per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni, in media. Con un ritardo di questo genere, nelle scuole e università, cosa farà l’Italia? Ha qualche idea in proposito, il governo gialloverde? Il Miur, ministero dell’istruzione, università e ricerca, ammette di essere in emergenza: i dati Ocse dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea (molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano).Sempre per l’Ocse, i docenti italiani sono in assoluto i meno preparati, in Europa, all’era digitale. Ancora: nel Digital Economy Index, l’Italia languisce al 25mo posto su 28 paesi, ha lacune dappertutto. E nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo, di questo:«Il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento», confessa il Miur, che denuncia «azioni spesso non incisive e non complessive». Aggiunge Barnard: «Sapere è lavoro, ma un buon lavoro – oggi, nella Disruption – significa sapere molto. E con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli». Nessuna area italiana è inclusa tra gli “Innovator leaders” europei. Solo il Piemonte figura tra gli “Strong innovators”, mentre il resto della penisola è in terza posizione, tra i “Moderate innovators”, mentre la Sardegna è relegata tra i “Modest innovators” come Croazia, l’Estremadura, l’Est Europa più povero e arretrato. Una mappa impetosa: «L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Disruption, e infatti siamo “gialli”, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli».Generalmente, aggiunge Barnard, un paese moderno ospita oltre 900 mestieri. E dato che «una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani», è impossibile essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: a dettare legge sarà la tecnologia dell’intelligenza artificiale di Machine Learning, «perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far “pensare” i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati». Giusto per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione del Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento un’intelligenza artificiale a sostituire qualcosa o qualcuno, la Mit Initiative sull’economia digitale «afferma che il mestiere in assoluto più “blidato” contro la Disruption è il… massaggiatore». All’altro estremo, invece, figurano «le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate», ovvero «gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale».Se è scontato che fra i “colletti blu” (diplomati, ma senza laurea) tanto dovrà cambiare, «molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei “colletti bianchi”, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’Artrificial Intelligence)». Parla da solo il caso americano: nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia Usa, ricorda Barnard, le disparità di redditi fra “colletti blu” (licenza liceale) e “colletti bianchi” (lauree) schizzò in alto, perché i secondi – grazie alla formazione digitale universitaria – poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura, il fenomeno ha raggiunto un tale livello di gravità che fra i “colletti blu” in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del 2014 firmato da Anne Case insieme ad Angus Deaton, Premio Nobel per l’Economia. «Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il welfare quasi non esiste», ammette Barnard. In compenso, l’Europa si sta auto-sabotando con i tagli sanguinosi al suo welfare.«I criminosi limiti di spesa pubblica che l’Ue impone agli Stati membri – dice Barnard – escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro paese un’apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption». In altre parole: «Finché Eurozona sarà – insiste il giornalista, rivolto ai lettori – il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia)». Dunque il messaggio per genitori e ragazzi è chiarissimo: «La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti». Per mettere al riparo i nostri figli, e i giovani già oggi al lavoro, secondo Barnard c’è una sola arma concreta: per i giovanissimi una formazione scolastica e universitaria più aggiornata possibile, che li presenti al mondo del lavoro come appetibili, e per i già impiegati l’impegno di Stato e aziende nella riqualificazione “a vita”. Il rischio fatale, per l’Italia del lavoro, è di rimanere tragicamente indietro: «Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli». Nel 2016 il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini: «Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi».Attenzione: qualcosa di analogo a quanto sta per accadere (e di cui nessuno parla) è già avvenuto, nella storia. Per dare un’idea della dimensione planetaria del problema, Barnard cita lo scozzese James Watt: «Nel 1775 diede vita alla più dirompente Disruption della storia con l’invenzione della macchina a vapore». Fece morire di colpo i vecchi mestieri, ma al tempo stesso fece esplodere lo sviluppo sociale umano, il che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati, scrive Barnard, le condizioni di vita del popolo comune «rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici». Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post-Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. «E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla in confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Ma l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà».Oggi, sottolinea Barnard, la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence «sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo, tutto si gioca su come cambierà il lavoro: non chissà quando, ma entro il 2030». Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind (azienda che sta al centro della galassia “Ai”), ha detto: «Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza, poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi». Macchine intelligenti, al posto di esseri umani. Ed enorme disparità tra chi resterà al passo e chi sarà tagliato fuori. Lo confermano gli studi delle maggiori “Consultancies” del mondo: Pwc Uk, Deloitte, McKinsey, Accenture. Tutti d’accordo, insieme agli accademici: almeno nella prima fase, la Disruption fondata sull’intelligenza artificiale (robotica, nuove tecnologie), falcerà milioni di posti di lavoro. Ma la stessa Disruption, spiega Barnard, offre possibilità di recupero nella riqualificazione, nell’aumento di richiesta per certe professioni e nel fatto che nasceranno lavori che oggi non esistono.Tutto dipende da due fattori decisivi: la velocità dei governi nel legiferare misure per cavalcare la Disruption, favorendo la nascita dei nuovi lavori, e l’intelligenza dei datori di lavoro «nel capire che l’epoca dell’egoismo del profitto è morta, gli porterà solo fallimenti certi». Il futuro digitale «impone intelligenza», il che significa «coordinamento fra aziende, e fra di esse e lo Stato». Di fatto, avverte Barnard, con la Disruption «oggi saltano le politiche di creazione di lavoro, in Occidente, che i nostri padri e noi abbiamo conosciuto finora». Problema: «I contemporanei di un fenomeno epocale di cambiamento faticano sempre a svegliarsi di fronte al nuovo, e questo si traduce in drammi». Per dire: «Quanti italiani oggi leggono i giornali al mattino cercando ansiosamente notizie sulle politiche del lavoro del ministro Di Maio per la Disruption? Nessuno. Eppure la leadership mondiale non ha più dubbi sul fatto che essa ribalterà, come mai prima nella storia, proprio l’occupazione di numeri impressionanti nel globo». Certo, i politici «hanno il vincolo del breve mandato e l’ossessione cieca del voto-subito entro il mandato, per cui non s’impegneranno mai in politiche e dibattiti che all’italiano medio sembrano fantascienza». Idem per i media: «Sanno che la Disruption è una news che oggi si può vendere agli italiani solo al 300esimo posto dopo la casta, la corruzione, il politici-ladri, gli immigrati, le polemiche Tv, e trattano il tema principalmente come folklore da futuristi. Risultato: non un singolo organo di stampa italiano sta davvero informando su come sarà stravolta l’economia, la politica e la fabbrica sociale di ogni paese moderno per mano della Disruption».E così si compie un circolo vizioso devastante per l’Italia, destinata ad arrancare come fanalino di coda «mentre Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sud-Est Asiatico e ovviamente gli Usa si saranno già spartiti l’immensa torta del lavoro e del Pil da Disruption». Risultato: «I giovani italiani nel precariato, in preda alla disoccupazione e ancora disperatamente dipendenti da quel rivolo che gli rimane del risparmio di nonni e genitori degli anni 70’-90’», prigionieri di un paese sempre più confinato tra i “Pigs” con Portogallo, Grecia e Spagna – non più Piigs, annota Barnard, «perché invece l’Irlanda sta capendo e cavalcando la Disruption, è ha già preso il volo da quell’acronimo infame». Ma non è destino degli dèi che debba davvero andare così, aggiunge il giornalista: a sta a noi capire la Disruption per sapere come inciderà sul Pil e sull’occupazione. Ma non c’è tempo da perdere: «La velocità di sviluppo delle nuove tecnologie per il lavoro è talmente forsennata che è già stato calcolato che diversi “skills” – così si chiamano le competenze centrali per la Disruption – che vengono insegnati agli studenti oggi, tempo che gli studenti si presenteranno ai colloqui di lavoro in aziende saranno già obsoleti».In parole semplici: «Mentre tu studi intensamente un’applicazione di Machine Learning per l’edilizia, Machine Learning ne ha scovata una migliore, tu ti presenti al colloquio di lavoro e il datore se ne fa poco, di te». Scrive il Mit di Boston: le tecnologie cambiano i modelli di business e molto spesso questi si traducono in uno sconvolgimento simultaneo del set di “skills” che le aziende richiedono, e questo già oggi crea difficoltà nell’assumere personale. Velocità: «Sarà un problema enorme proprio sul mercato del lavoro dei giovani, e altrettanto enorme per eventuali programmi di apprendistato, che rischiano di diventare degli autogoal con sprechi di finanziamenti enormi», osserva Barnard. Attenzione, però: le stesse tecnologie di Big Data possono dare al governo «un inimmaginabile potere di efficiente governanace». La stessa “cloud” potrà essere usata da tutto il sistema produttivo italiano di beni e servizi in un dialogo diretto, in tempo reale, col ministero dell’istruzione. Pubblico e privato potrebbero scambiarsi informazioni istantanee su «come sta cambiando la natura degli “skills” dentro le aziende, gli ospedali e le varie istituzioni». Lo stesso Miur, come sollecitano gli esperti internazionali, «dovrà avere l’elasticità e la prontezza di riflessi di trasmettere immediatamente a scuola e università il messaggio dei datori di lavoro», per armonizzare domanda e offerta in base ai nuovi parametri in costante evoluzione.Fantascienza? Non ci sono alternative, par di capire. «Questo è il tipo di ambizioso progetto che un paese oggi deve essere in grado d’intraprendere se davvero è serio sulla difesa del lavoro», sostiene Barnard, auspucando «un salto innovativo, in linea con gli attori vincenti nella Disruption». Scrive McKinsey Global: «I governi devono totalmente riconsiderare i modelli scolastici odierni. La questione è urgente, e devono mostrare una leadership di grande coraggio nel riscrivere i curricula. E’ un’elasticità che da decenni il mondo del lavoro attende». Oggi, infatti, il “reskilling” è sulla bocca di tutti gli operatori economici. Per Barnard, a salvare il sistema-Italia sarà un “reskilling” (o “upskilling”) dei lavoratori, da condurre a vita, per ogni settore del Pil italiano. «Dovrà essere intelligente, il che significa innanzi tutto che va fatto in partnership con il settore privato dell’Italia, il quale deve saper dimostrare una “vision” ben oltre la sua tradizionale e provinciale parcellizzazione». Soprattutto, le tecnologie di Big Data «dovranno essere usate da governo e datori di lavoro per “better forecasting data and planning metrics”, cioè saper prevedere le svolte e pianificare con largo anticipo la richiesta dei talenti, su cui poi appunto lanciare in tutto il paese programmi di “reskilling” (o di “upskilling”) con chirurgica precisione».Dunque, secondo Barnard, l’Italia è alla storica sfida dell’occupazione nell’era della Disruption. «Il potere globale di quest’ultima è senza limiti, ma gli Stati possono governarla per tutelare l’impiego nella colossale tempesta dei cambiamenti». In questo sforzo, aggiunge, il governo deve comprendere un aspetto cruciale che distingue le tecnologie della Disruption: si dividono infatti in due rami, quelle di tipo Enabling e quelle di tipo Replacing. «La Disruption porterà sia una richiesta di lavori già esistenti riformulati in nuove versioni, che nuove professioni che oggi non esistono». In questo caso, nella versione Enabling, aprirà vasti bacini di posti di lavoro ma, al tempo stesso, spazzerà via schiere di mestieri perché le macchine “pensanti” li rimpiazzeranno (Replacing, appunto). Ne consegue una scelta politica di orizzonte: «E’ totalmente futile ed economicamente distruttivo continuare a spendere sia fondi pubblici che fondi privati (delle famiglie) per formare giovani, o per incoraggiare lavori, destinati alla categoria dove le tecnologie saranno di tipo Replacing, poiché significa destinare esseri umani a un suicidio lavorativo certo».Per Barnard, l’Italia dovrà quindi «investire massicciamente nell’adozione del maggior numero di tecnologie Enabling per ovvi motivi di creazione di lavoro», ma dovrà anche «essere scaltra nell’incoraggiare quelle che si adattano meglio alla struttura sociale, alla conformazione territoriale e produttiva del nostro paese». Un esempio concreto? «Siamo uno dei popoli più longevi del mondo, perciò la cura extra-ospedaliera dei nostri anziani arricchita dalle nuove tecnologie Enabling del settore è garanzia di creazione d’innumerevoli mansioni a ogni livello di complessità (settore del Personal Care). Sono mansioni che saranno utili a nuovi impieghi sia per i cittadini meno “skilled” che per gli specialisti. La medesima strategia va applicata alla nostra struttura architettonica, geografica, energetica, sempre per generare ampio impiego». Al problema della Disruption, in questi mesi, Barnard ha dedicato il massimo impegno, lavorando in solitudine, convinto che l’umanità sia ormai di fronte «al più dirompente cambiamento occupazionale dal 1775 a oggi», dai tempi della macchina a vapore. «Continuo a ripeterlo: le soluzioni a problemi sistemici devono essere sistemiche, il resto sono truffe vendute da politici cinici a un pubblico stupido, i cui figli poi piangeranno per generazioni».Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».
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La Cina spende, investe e vola. L’Italia? Finirà fuori dal G8
«L’Italia si è auto-esclusa da ogni chance di sopravvivere nella globalizzazione del III millennio, quindi sappiate con assoluta certezza che perderemo il nostro posto nel G8 fra meno di 10 anni – se non di nome, almeno di fatto». Parola di Paolo Barnard. La Cina, rivela il Mit di Boston, ha scavalcato la Gran Bretagna come meta prestigiosa per gli studenti internazionali, e sta insidiando lo storico podio degli Usa. «Una laurea italiana con 110 e lode, e intesa come speranza d’ingresso a un lavoro da colletto bianco stabile, varrà fra meno di 10 anni come un vecchio gabinetto se non accompagnata da almeno due fattori», secondo Barnard: la conoscenza perfetta del cinese, insieme all’inglese, e conoscenze universitarie in matematica, fisica, biologia o ingegneria informatica «ma conseguite in università straniere». La Brookins Institution di Washington ha condotto forse il più attento studio sulle nuove opportunità di lavoro per noi occidentali, e in sostanza ha concluso che, appunto, «il fattore che deciderà se guadagnerai 1.000 euro al mese o 8.000 non è il tipo di laurea che hai preso e neppure che voto, ma il livello di conoscenze digitali che hai».La “buona” notizia, aggiunge Barnard nel suo blog, è che il flusso migratorio dei ragazzi istruiti, «cioè desiderosi di un futuro fuori dai call center», sta deviando verso Est «a stormi giganteschi». Il presidente cinese Xi Jinping, racconta il giornalista, è in sella al più faraonico progetto economico del III millennio, «avendo buttato, solo come antipasto, 900 miliardi di dollari nella conquista economica globale chiamata La Nuova Via della Seta». Si immagini quindi – nell’era dove le super-tech & Artificial Intelligence (Ai) sono come la scoperta della macchina a vapore nel XVIII secolo – la mole di esperti che la Cina sta cercando per sostenere quel progetto immenso. «Infatti, Pechino ha lanciato il cosiddetto Risveglio Cinese con un primo centro di studio sulle Ai del valore di 2,1 miliardi di dollari». Ma c’è un altro fattore che rende la Cina oggi il posto giusto dove spedire un figlio a studiare, o a cercare un lavoro di prestigio, «ed è che nel solo 2016 qualcosa come 440.000 super-tecnici, docenti universitari, colletti bianchi cinesi cresciuti e arrivati al top in Usa e Canada, sono tornati in Cina a portarvi la crème de la crème del sapere occidentale in diversi campi cruciali. Ed è una fuga di cervelli in continuo aumento».Ma non solo: «La Cina investe con denaro pubblico cifre immani in istruzione superiore ed economia». Di più: «Anche i soldi privati internazionali stanno seguendo il sopraccitato flusso di studenti esteri che mirano a Pechino come terra per il loro futuro». I soldi occidentali vanno là, a cascate: «Cina e sud-est asiatico (cioè Cina al 98%) erano solo pochi anni fa una specie di luogo dove investire 10 dollari per pagare 100 lavoratori a far scarpe da tennis; oggi sono sulla soglia del sorpasso sugli Usa come beneficiari d’investimenti, con un astronomico 71 miliardi di dollari investiti dai “venture capitals” occidentali nel solo 2017. Sommate quel “gruzzolo” a quello che ci mette il Tesoro cinese, e capite perché là i posti di lavoro e le imprese crescono come i batteri nel brodo tiepido». D’altronde, aggiunge Barnard, cosa si aspettavano gli yankees da un paese con 751 milioni di persone che usano Internet, col più affollato social del pianeta che è WeChat, e su cui “Bloomberg” ammette: «Tre delle 5 più ricche startup del mondo sono in Cina, non in California».«Nella Tolemaica, “Travagliata”, fantozziana Italietta dove per davvero la gggènte di ogni sorta e livello crede che “l’Italia è al centro del mondo” solo perché neppure si rende conto che “è l’Italia che resta ferma e tutto il mondo le gira intorno”, io scrivo con un senso d’incurabile disperazione, e scrivo per i vostri figli», dice Barnard, rivolto ai lettori, ai quali racconta di averne appena parlato a Bologna col titolare di un ristorante cinese. «Te lo confesso – gli ha detto il cinese – io venni qui 15 anni fa convinto di fare un figurone con la famiglia in Cina. Oggi mi vergogno a tonare, anche se lo vorrei disperatamente. Perché non posso tornare più povero dei miei amici studenti-contadini che lasciai là».«L’Italia si è auto-esclusa da ogni chance di sopravvivere nella globalizzazione del III millennio, quindi sappiate con assoluta certezza che perderemo il nostro posto nel G8 fra meno di 10 anni – se non di nome, almeno di fatto». Parola di Paolo Barnard. La Cina, rivela il Mit di Boston, ha scavalcato la Gran Bretagna come meta prestigiosa per gli studenti internazionali, e sta insidiando lo storico podio degli Usa. «Una laurea italiana con 110 e lode, e intesa come speranza d’ingresso a un lavoro da colletto bianco stabile, varrà fra meno di 10 anni come un vecchio gabinetto se non accompagnata da almeno due fattori», secondo Barnard: la conoscenza perfetta del cinese, insieme all’inglese, e conoscenze universitarie in matematica, fisica, biologia o ingegneria informatica «ma conseguite in università straniere». La Brookins Institution di Washington ha condotto forse il più attento studio sulle nuove opportunità di lavoro per noi occidentali, e in sostanza ha concluso che, appunto, «il fattore che deciderà se guadagnerai 1.000 euro al mese o 8.000 non è il tipo di laurea che hai preso e neppure che voto, ma il livello di conoscenze digitali che hai».