Archivio del Tag ‘magistura’
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Cade ogni politico, se non serve più al potere che ci domina
un po’ di vertigine, il saggio “Psyops” di Solange Manfredi, che illumina settant’anni di “guerra psicologica”, condotta in Italia. Indovinato: siamo il paese-cavia per eccellenza, dove sono state testate le peggiori tecniche di manipolazione, anche le più sanguinose (Gladio). Nessun’altra nazione, in Europa – ricorda l’autrice, in un’intervista alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda” – ha subito altrettante atrocità, a causa del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, che ha utilizzato servizi segreti e pedine dell’estremismo per mettere in piedi gli agguati degli anni di piombo e le stragi impunite nelle piazze. Pensiamo a una sigla come la Falange Armata: ha firmato 500 rivendicazioni, tra il ‘92 il ‘94, quando Tangentopoli abbatteva la Prima Repubblica e le bombe affidate alla manolavanza mafiosa condizionavano il sanguinoso esordio della Seconda, nata per sacrificare l’Italia del benessere e portarla a soccombere di fronte all’oligarchia finanziaria di Maastricht e del Trattato di Lisbona. L’Isis? E’ l’ultimo capolavoro della strategia della tensione a livello internazionale, riprodotta fedelmente secondo il modello sperimentato in Italia. C’è il referendum per la secessione della Scozia dal Regno Unito? Benissimo, e chi decapita, l’Isis, il giorno prima? Ovvio: uno scozzese. Negli Usa si vota per limitare ulteriormente le libertà del cittadino, con la scusa della sicurezza? E quindi è proprio un ostaggio americano, alla vigilia, a offrire la gola alla mannaia dello Stato Islamico.La regia è scandalosamente evidente, dice Solange Manfredi, così come il movente – per nulla connesso con Allah – dello stesso fondamentalismo religioso mediorientale, creato a tavolino per evitare che il Medio Oriente svoltasse verso il socialismo. Negli anni ‘50, ricorda l’autrice del saggio, i paesi arabi erano largamente laici. «Prima del golpe occidentale che portò al potere Saddam, l’Iraq aveva un ministro donna e si preparava a dare l’indipendenza ai curdi». Così, il governo di Baghdad è stato “suicidato”. Tutto ciò è orrendo? Certamente, ma dobbiamo sapere che è la regola. La storia non lo ammette? Lo si può capire: spesso è il sistema stesso a scriverla, imponendo la sua versione alla scuola. Storia, cioè guerre: nessuno dei conflitti che ricordiamo – dice Solange Manfredi – è stato innescato dai motivi ufficialmente noti. Dietro ogni guerra c’è una causa segreta, e il casus belli è sempre un’invenzione o comunque una manipolazione: da Pearl Harbor, dove il bombardamento giapponese era perfettamente atteso, al Golfo del Tonchino, in cui nessuna artiglieria vietnamita sparò mai contro la flotta Usa. Fino ovviamente all’11 Settembre, servito come alibi per invadere l’Iraq e l’Afghanistan, per poi terremotare tutto il Medio Oriente.Cronologia recente: primavere arabe, caduta di Mubarak in Egitto, morte di Gheddafi in Libia, guerra in Siria contro Assad, devastazione dello Yemen. Emergenze umanitarie e crisi dei migranti? Appunto. C’è sempre un’attenta regia che predispone gli scenari, pur scontando anche l’imprevedibilità relativa delle variabili. Certo, i colpi principali vanno spesso a segno: Mattei viene ucciso quando fa diventare l’Italia troppo ingombrante a livello geopolitico, e Moro è assassinato per gambizzare l’economia mista, pubblico-privata, che dovrà cedere il passo al neoliberismo. A sua volta, lo svedese Palme soccombe prima che possa diventare segretario generale dell’Onu, impedendo – fra le altre cose – la nascita dell’Ue nella sua attuale configurazione antidemocratica e antipopolare. Ma se gli eroi restano mosche bianche (Moro fu minacciato da Kissinger in modo brutalmente mafioso), la regola è invece un’altra: il politico di turno – Renzi, Formigoni – viene fatto uscire di scena quando non serve più, al potere che ne aveva assistito l’ascesa.Un meccanismo del quale il soggetto (premier, capo-partito, ministro) non è neppure pienamente consapevole, il più delle volte, salvo che per un aspetto: appena raggiunge la vetta, dice Fausto Carotenuto a “Border Nights”, la sua vita di trasforma in un inferno. Motivo: «Il suo primo pensiero, la mattina, diventa questo: chi ce l’ha con me? Chi vorrebbe farmi fuori?». Di manipolazione, Carotenuto se ne intende: per anni ha orientato il lavoro dei servizi segreti Nato. Oggi è approdato a una scelta drastica: la rinuncia sostanziale alla politica, giudicata impraticabile perché interamente manipolata. Un grande inganno, un gioco di specchi in cui nessuno è davvero quel che dice di essere. Dal canto suo, analizzando a fondo la storia italiana contemporanea sulla base di migliaia di documenti desecretati, a cominciare da quelli che comprovano l’arruolamento della mafia e di molti uomini-chiave del nazifascismo, da parte degli Usa, per controllare l’Italia post-bellica in senso anti-Urss, Solange Manfredi insiste su un punto: non è detto che i politici su cui il potere investe siano per forza mediocri, ma è essenziale che abbiano almeno un punto debole (da usare al momento oppurtuno, per liquidarli).In altre parole: un cavaliere senza macchia non diventerà neppure assessore. E se qualcuno sfugge al controllo – come Sankara – durerà al massimo una manciata di mesi, prima di venir tolto di mezzo. Il connotato etico dell’analisi si basa sulla distanza tra la verità ufficiale e quella sottostante, tra la democrazia ideale e sostanziale (espressa “in purezza”) e la post-democrazia attuale, completamente svuotata, ormai dominata in modo sempre più evidente dall’invadenza di gruppi di potere privatistici, economici e finanziari. Peraltro, sottolinea Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni” uscito a fine 2014, non è certo piovuta dal cielo neppure la sacrosanta democrazia cui fa giustamente riferimento Solange Manfredi: la prassi dell’uguaglianza – pari opportunità, diritto di voto, Stato laico, legge sovrana emanata dal Parlamento eletto dai cittadini – è il frutto storico dell’impegno settecentesco della massoneria, che ha “fabbricato” la Rivoluzione Francese e poi creato gli Usa. Viviamo dunque in una specie di colossale laboratorio zootecnico, come sostiene Marco Della Luna? Siamo prigioneri di uno smisurato allevamento planetario, popolato da masse interamente manipolate?Probabilmente è così da sempre, suggerisce Paolo Rumor nel saggio “L’altra Europa” basato sulle rivelazioni dell’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori dell’europeismo novecentesco già durante la Seconda Guerra Mondiale. La tesi: un organismo-fantasma, denominato “la Struttura”, reggerebbe le sorti del pianeta in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.000 anni. Le 36 Ur-Lodges supermassoniche presentate da Magaldi potrebbero esserne l’estrema propaggine contemporanea? Dilaga il cosiddetto complottismo, anche perché il potere – sempre reticente – si è fatto aggressivo e sfacciato, nella sua alluvione quotidiana di “fake news”, cioè menzogne ufficiali truccate da notizie. Per un osservatore coraggioso e indipendente come Massimo Mazzucco, non manca il risvolto positivo: è vero che l’intrasfruttura web è comuque sempre controllata dai soliti poteri fortissimi, ma milioni di persone – proprio sulla Rete – oggi possono condividere informazioni preziose, non ortodosse, non convalidate dall’ufficialità. Informazioni di cui fino a ieri sarebbe stato impensabile disporre, e che tuttora – non a caso – sono irrintracciabili sui media mainstream, giornali e televisioni.Sta letteralmente esplodendo anche il fenomeno della nuova archeologia, che probabilmente costringerà gli storici a rivedere le narrazioni correnti sulla stessa origine dell’umanità sulla Terra. Narrazioni secolari cadono in pezzi: le ultime scoperte inducono a retrodatare (di parecchi millenni) monumenti fortemente simbolici come le piramidi, mentre affiorano un po’ ovunque i reperti che spingono gli studiosi della paleo-astronautica a ritenere che i nostri antenati siano venuti in contatto, nella notte dei tempi, con esseri sbarcati dallo spazio (probabilmente, i nostri “fabbricatori genetici”). Di qualcosa del genere parla il biblista Mauro Biglino, per anni traduttore dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo: il suo Yahvè – alla lettera – non ha nulla di “divino”. Non è eterno, né onnisciente, né onnipotente. E il suo rapporto col cielo è mediato dal Kavod, un velivolo rombante e pericoloso. Sono ancora gli Elohim come Yahvè a dominarci, attraverso i loro fiduciari terrestri? «Se un giorno si scoprisse che è così non me ne stupirei», dice Biglino, che però aggiunge: «Immagino che l’attuale esplosione demografica non fosse prevista: siamo oltre 7 miliardi, cioè tantissimi. Troppi, per qualsiasi potere dominante». Come dire: la partita è aperta, forse ce la possiamo giocare. Davvero?Il fatalismo complottistico è ben rappresentanto da celebrità come Davide Icke: i suoi invincibili Rettiliani finiscono per ricordare un po’ gli alieni molesti evocati da Corrado Malanga attraverso le sue ricerche, interamente fondate sull’ipnosi regressiva: ipotetici nemici troppo superiori per poter essere contrastati? La convinzione dell’esistenza di uno strapotere insormontabile (almeno, per via ordinaria) induce lo stesso Carotenuto a consigliare di lasciar perdere la politica: è tempo perso, dice. Meglio dedicarsi amorevolmente al prossimo: non è solo etico, ma anche funzionale. Ed è l’atteggiamento che il sistema di dominio più teme, perché è virtualmente contagioso. I politici? Ometti, per lo più. Scelti, dice Solange Manfredi, in base alle loro debolezze. Non sempre, certo: non tutti. Ma la lezione è utile per chi oggi assiste con delusione al declino del governo gialloverde, che ha ceduto su tutta la linea per sottomettersi ai poteri che usano Bruxelles per dominare i paesi come l’Italia. Guai, però, a sottovalutare il popolo: è vero che è sempre condizionato da precise élite, ammette Magaldi; ma da sole – aggiunge – quelle élite non le potrebbero fare, le rivoluzioni. Quella di cui si sente il bisogno oggi ha un nome preciso, si chiama democrazia. Rappresenta un’eresia della storia, un prodotto recentissimo. Di fabbricazione massonica? Certo. Ma alzi la mano chi vorrebbe tornare al potere del dittatore, all’arbitrio del monarca o del Papa-Re. Forse, come dice Mazzucco, la buona notizia è che oggi, nonostante tutto, se ne può parlare: in fondo gli orizzonti sono aperti, come non era mai successo.Sembra il nostro paladino, finalmente: l’amico del popolo. E invece è il loro uomo, l’ennesimo. Scelto per durare il necessario, capace di cavalcare l’onda grazie alle sue qualità, al suo appeal mediatico. Ma il “casting” iniziale ha individuato anche il punto debole, già in partenza. Esempio: corruzione, sete di potere e denaro. Oppure ambizione smodata, passione per le donne, o magari abuso di droghe e altre debolezze private. Saranno i tasti da pigiare al momento opportuno, quando l’ometto non servirà più e andrà bruciato. Di colpo, il suo dossier – compilato fin dall’inizio e pronto da anni – finirà ai magistrati (e alla stampa). Risultato: morte civile. Succede sempre, di continuo, secondo uno schema cinico e quasi noioso, nella sua monotonia. Formigoni e Renzi? Sembrano solo gli ultimi nomi della lista. Poi ci sono altri personaggi, di ben maggior peso. Magari finiscono in esilio ad Hammamet, o peggio: assassinati come Moro, fatti esplodere in aria come Mattei. Via loro, avanti un altro. Il gioco continua, perché serve a non cambiare mai le regole. E i padroni di quelle regole non siamo noi, salvo rarissime eccezioni, destinate a durare poco – come Olof Palme, premier svedese freddato da un killer nell’86, o Thomas Sankara, rivoluzionario leader del Burkina Faso massacrato nell’87 dopo soli quattro anni di governo, in cui aveva creduto di poter mettere fine, per davvero, alla schiavitù finanziaria dell’Africa.
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Della Luna: il ruolo del Colle nella colonia-Italia, non da oggi
L’operato degli ultimi inquilini del Quirinale «manifesta che il presidente della Repubblica non è un’istituzione italiana, è un organo dell’ordinamento sovranazionale preposto ad assicurare l’obbedienza dei governi italiani agli interessi stranieri egemoni, cioè al vero sovrano». Parola dell’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi”, “Cimiteuro” e “Oligarchia per popoli superflui”. Mattarella avverte Di Maio, ma soprattutto Salvini, che starà a lui – e non ai parlamentari eletti dal popolo – scegliere il nome del futuro premier, nonché di un ministro dell’economia “amico” di Bruxelles e di un ministro degli esteri “non amico” della Russia? Persino ovvio, per Della Luna, secondo cui ormai da molti anni il Quirinale – vedasi Ciampi e Napolitano – tutela soprattutto i grandi architetti del sistema eurocratico. Mattarella? Mette i bastoni tra le ruote ai 5 Stelle e alla Lega, che le elezioni le hanno vinte, ma è stato eletto dal Pd ora sconfitto, attraverso un Parlamento dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale di cui proprio Mattarella era autorevole esponente. Così adesso per Della Luna «abbiamo questa curiosa situazione, grottescamente anti-democratica, in cui i rappresentanti della maggioranza del popolo “sovrano” devono subire volere contrario del presidente scelto dalla controparte politica, nominato da una maggioranza illegittima e non più esistente».Un presidente, scrive Della Luna nel suo blog, il quale «si riserva di approvare, se non anche di designare (con operazioni a porte chiuse e su cui intervengono cancellerie straniere contrarie a una politica indipendente dell’Italia) il capo del governo, i ministri, le stesse linee politiche di fondo, imponendo in particolare l’adesione del progetto europeista e alle regole già prescritte dall’eurocrazia – ossia, compiendo una scelta politica autoritaria al fine di vincolare la maggioranza e il governo, contro la maggioranza parlamentare e del paese, che ha una posizione critica nei confronti di quel progetto e di quelle regole eurocratiche, che vuole rinegoziarle a fondo, alla luce dei loro accertati effetti sfavorevoli soprattutto sull’Italia». Rinegoziare le regole Ue? «Una volontà che il “sovrano” straniero non accetta e che contrasta attraverso il Colle – che non è Italia». Per questo, Mattarella ha ammonito «i rappresentati della maggioranza sovranista degli italiani: sbagliate ad essere euroscettici, dovete smetterla». E se l’Unione Europea si è consegnata alla finanza, divenendo «una centrale di controllo bancario sulle nazioni, di concentrazione del reddito e del potere nelle mani di un’élite finanziaria parassitaria e antisociale, che toglie diritti, lavoro, reddito e sicurezza alla gente», per Della Luna tutto questo avviene «per il tornaconto di una classe finanziaria globale detentrice del vero potere», ben decisa a «riformare la società e il diritto a proprio vantaggio».Un piano che, insiste Della Luna, «i presidenti italiani devono assecondare». Al di là della retorica europeista – alla quale gli elettori non credono più, come si è visto il 4 marzo – la verità è che «l’establishment del paese più forte, cioè della Germania, spalleggiato da qualche complice come la Francia, che riceve benefici, scarica i suoi costi del superamento delle difficoltà sui paesi più deboli». Questa è la realtà dell’Ue: «Certo, sarebbe bello essere uniti e solidali per affrontare le difficoltà, ma le cose non vanno a questo modo». Attenzione: «Ogni presidente lo sa perfettamente, ma deve fingere», sostiene Della Luna. «L’inesistente mondo della solidarietà nei rapporti internazionali e dell’unione che fa la forza è solo una dissimulazione del fatto che gli alti interventi dei presidenti sono atti di obbedienza a interessi di potenze straniere dominanti, come quando uno di essi, violando la Costituzione, ci mandò in guerra contro la Libia e a nostro danno, al servizio di interessi soprattutto francesi; o come quando ci impose Monti e le sue politiche a beneficio dei banchieri speculatori franco-tedeschi». Della Luna lo ripete da anni: «La funzione reale del presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale – è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive».Affinché possa svolgere quel ruolo, il Quirinale «è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche, analogamente a come, nelle monarchie, il re è protetto da esse, perché egli è la fonte ultima di legittimazione del potere costituito e degli interessi che esso serve», aggiunge Della Luna. «Solo che nelle vere monarchie il re era protetto nell’interesse del suo paese, mentre nel protettorato-Italia il presidente è protetto nell’interesse del sovrano straniero». Inoltre nelle monarchie contemporanee il sovrano non governa direttamente, e così salva sempre la faccia alla corona in caso di malgoverno. «Esistono persino norme che puniscono penalmente chi attribuisca al monarca la responsabilità politica di atti del governo», puntualizza Della Luna, sebbene il monarca «sovente scelga il primo ministro e indirizzi l’azione del governo mediante vari strumenti, a cominciare dai discorsi pubblici, dalla “moral suasion”, e passando attraverso i servizi segreti e la sua partecipazione al sistema bancario centrale». Nell’ordinamento repubblicano italiano, secondo l’analista, vi sono residui più o meno forti di questa dualità: da un lato istituzioni e poteri protetti, e dall’altro istituzioni e poteri logorabili. «Le istituzioni protette sono principalmente il Capo dello Stato, i magistrati, il sistema bancario; non più il Parlamento (che è composto perlopiù da nominati delle segreterie partitiche, privi di reale e autonomo potere, aventi funzione sostanzialmente di ratificatori e di figuranti)».Capo dello Stato e potere giudiziario sono detti “poteri neutri”, scrive Della Luna, «anche se palesemente non sono neutri né neutrali», mentre le istituzioni «esposte al logorio, al biasimo, alle responsabilità, all’insuccesso, alla verifica dell’efficacia-inefficacia del loro operato, sono invece quelle politiche: il Parlamento e, soprattutto, il governo». Proprio ora il tribunale di sorveglianza ha riabilitato Berlusconi con un mese di anticipo, «così che adesso Silvio può rientrare in Parlamento e scompigliare i giochi». C’è chi vede in questa mossa «un ulteriore intervento politico di un potere protetto e falsamente neutro – quello giudiziario – per boicottare un governo Lega-M5S pericoloso per gli interessi “europei” sull’Italia». Da noi, aggiunge Della Luna, il presidente della Repubblica esercita poteri anche di indirizzo governativo e legislativo, «ma non è esposto a logorio, a delegittimazione, a biasimo, al perdere la faccia, anche quando interviene su chi è esposto». Di fatto, «il presidente non ha mai torto, è sempre saggio: tutti elogiano le sue affermazioni, manifestando ammirazione e consenso per esse, anche quando sono banali o faziose o false». Per converso, «chi si oppone e le critica, appare come un estremista». Il presidente? «Non ha un passato rimproverabile, o lo ha ma non se ne deve parlare. I mass media lo rispettano».E’ un potere palesemente temuto, quello del Quirinale, «dotato di efficaci e poco regolamentati strumenti per delegittimare e mettere in crisi l’azione sia dei poteri politici che degli organi giudiziari», scrive Della Luna. «Strumenti che agiscono sottobanco, senza trasparenza. Strumenti per sostenere o attaccare e per bloccare attacchi e indagini». Il Quirinale «dispone di un numeroso personale (oltre 800 persone) e di molto denaro, che può usare senza specificare per che cosa». Tutti, quindi, si guardano dal criticare il presidente della Repubblica. «Al più si può fingere che le sue parole abbiano significati e implicazioni che non hanno, per tirare la sua autorevolezza dalla propria parte, o per fare apparire le sue esternazioni come meno critiche di quello che in realtà intendono essere». Per Della Luna, in ogni caso, si tratta di caratteristiche storiche: l’operato dei presidenti, sostiene, «non è libero, ma è conseguenza della posizione subordinata e servile che l’Italia ha e ha sempre avuto, sin dalla sua creazione come Stato unitario». Una posizione dalla quale l’Italia «ha ripetutamente e invano tentato di uscire, per elevarsi alla parità con le altre potenze, dapprima mediante le conquiste coloniali, poi mediante la partecipazione alla I Guerra Mondiale, indi alla II Guerra Mondiale».La capitolazione del 1943 «l’ha ridotta a un livello ancora più subordinato», e i successivi tentativi di praticare politiche di interesse nazionale, anche in settori limitati, «sono stati stroncati in vario modo: si pensi a Mattei, a Moro, a Craxi, per finire col “colpo di Stato” del 2011», attraverso il quale l’élite europea ha insediato Monti a Palazzi Chigi tramite Napolitano. Posto che un giorno l’Italia si liberi dall’egemonia straniera e che provi davvero a fare qualche riforma in senso democratico «per porre fine alle interferenze sottobanco di poteri non delimitati», secondo Della Luna «quel giorno l’istituto del presidente della Repubblica andrà sostanzialmente modificato: o ne si fa un capo politico, politicamente responsabile e criticabile, eletto dal popolo – cioè si fa una repubblica presidenziale o semi-presidenziale – oppure ne si fa un notaio senza poteri politici». Ma allora, conclude Della Luna, occorre un sistema elettorale che formi direttamente la maggioranza di governo attraverso un ballottaggio per assegnare il premio di maggioranza, e che elegga pure direttamente il primo ministro attraverso il suo abbinamento alla lista: un cancelliere con facoltà di nominare e revocare i ministri, dettare l’indirizzo di governo e persino sciogliere le Camere. Orizzonti oggi impensabili, in quest’Italia ancora al guinzaglio della concorrenza europea e anti-italiana, che si nasconde dietro l’alibi comunitario di Bruxelles.L’operato degli ultimi inquilini del Quirinale «manifesta che il presidente della Repubblica non è un’istituzione italiana, è un organo dell’ordinamento sovranazionale preposto ad assicurare l’obbedienza dei governi italiani agli interessi stranieri egemoni, cioè al vero sovrano». Parola dell’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi”, “Cimiteuro” e “Oligarchia per popoli superflui”. Mattarella avverte Di Maio, ma soprattutto Salvini, che starà a lui – e non ai parlamentari eletti dal popolo – scegliere il nome del futuro premier, nonché di un ministro dell’economia “amico” di Bruxelles e di un ministro degli esteri “non amico” della Russia? Persino ovvio, per Della Luna, secondo cui ormai da molti anni il Quirinale – vedasi Ciampi e Napolitano – tutela soprattutto i grandi architetti del sistema eurocratico. Mattarella? Mette i bastoni tra le ruote ai 5 Stelle e alla Lega, che le elezioni le hanno vinte, ma è stato eletto dal Pd ora sconfitto, attraverso un Parlamento dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale di cui proprio Mattarella era autorevole esponente. Così adesso per Della Luna «abbiamo questa curiosa situazione, grottescamente anti-democratica, in cui i rappresentanti della maggioranza del popolo “sovrano” devono subire volere contrario del presidente scelto dalla controparte politica, nominato da una maggioranza illegittima e non più esistente».
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Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.«La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.Sorta nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush, dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair, l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan, appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a scopo di potere – e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13, nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.La maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come “la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai», aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente la strategia: coinvolgere l’Europa nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001, ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi” come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste, completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei bombardieri di Putin.Non era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa – l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita, dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti (una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».E siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio 2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi. Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi. Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla pentola?».E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.
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Frana la fiaba Torino-Lione? Tutt’intorno, intanto, è guerra
Il progetto Tav Torino-Lione resta un oggetto misterioso, anche dopo le polemiche mediatiche sulla “tratta internazionale” di una linea che la Francia ha già ufficialmente declassato, dichiarando che tornerebbe a esaminare l’ipotesi solo a partire dal 2030. Voci di protesta, da parte di sostenitori della grande opera, manifestano sorpresa e sconcerto per la decisione di Rfi di elevare a 7 miliardi di euro il costo inziale della parte “internazionale” della futura galleria transalpina, fino a ieri quotata 2,9 miliardi. Nessuno si premura di ricordare le ragioni del “no”, ribadite ancora nel 2012 in un appello al presidente della Repubblica, firmato da 360 docenti, tecnici ed esperti dell’università italiana. La Torino-Lione sarebbe infatti un inutile doppione della linea internazionale esistente in valle di Susa, la Torino-Modane, già ora disertata dalle merci. Inoltre devasterebbe il territorio alpino alle porte di Torino: crisi idrica, cantieri dall’impatto insostenibile, dissesto urbanistico, pericoli per la salute causa uranio e polveri di amianto. Infine, la linea Tav gonfierebbe in modo spaventoso il debito pubblico con una spesa palesemente inutile e improduttiva, senza futuro visto che la rotta europea del traffico merci non è più il “corridio 5” est-ovest, abbandonato dall’Ue, ma la tratta nord-sud Genova-Rotterdam.Giornali e televisioni parlano dei costi dell’opera dando per scontata la sua utilità, assunto dimostratamente falso, e si guardano bene dal citare la recente indagine della magistura antimafia che indica il rischio di infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’unico cantiere finora aperto, quello per la piccola galleria esplorativa di Chiomonte. Le uniche indagini degne di cronaca sono invece quelle contro il movimento NoTav, che si fermano all’aspetto dell’ordine pubblico, la cui gestione è entrata in crisi nel momento in cui la politica ha provocatoriamente rifiutato di dare risposte ai sessantamila abitanti della valle di Susa, lasciando sul campo – come unico interlocutore – i reparti antisommossa. Questo ha inevitabilmente trasformato la valle di Susa in una trincea nazionale di protesta, che oppone i cittadini a istituzioni sempre più lontane e anonime, tenocratiche, evidentemente dominate da lobby affaristiche economico-finanziarie. Lobby interessate al business di grandi cantieri affidati all’opaca gestione di “general contractor” che agiscono in piena autonomia, grazie a leggi speciali: un copione che in Italia ha determinato il puntuale “impazzimento” dei costi e il prosperare della filiera dei subappalti a cascata, in cui molto denaro passa di mano in mano, per la felicità delle banche, ma i posti di lavoro restano pochissimi e costosissimi.Sul piano politico, resta da decifrare il significato della cerimonia pubblica dello stupore, esibito per il “sorprendente” lievitare dei costi dell’ipotetico futuro traforo ferroviario italo-francese, già definito l’opera pubblica più costosa della storia italiana, nonché la più inutile della storia europea. Denunciarne il rincaro preventivato significa cominciare a prendere le distanze da un’operazione ormai insostenibile e non più difendibile, dati i tempi di crisi? Agitare il problema dei “nuovi” costi può servire anche a disertare dalla lobby pro-Tav senza dover dare ragione agli oppositori del progetto, che non sono più solo i valsusini: da qualche anno il movimento NoTav ha infatti conquistato l’attenzione di milioni di italiani. I distinguo e le richieste di chiarimento potrebbero essere l’inizio di una ritirata strategica? E’ presto, per dirlo. Ma va ricordato che il progetto fu ritirato già una prima volta, nel 2006, dopo l’insurrezione nonviolenta della popolazione valsusina alla fine del 2005. Non volò una pietra, ma decine di migliaia di manifestanti – guidati dai sindaci in fascia tricolore – pretesero di essere trattati come cittadini e non come sudditi.Problema che dalla valle di Susa si è esteso al resto d’Italia, dal momento in cui è Bruxelles a scrivere il bilancio del governo di Roma, dettando i tagli alla spesa pubblica che condannano l’economia nazionale alla recessione perpetua. Eppure, nonostante lo sfacelo istituzionale di questi anni, simboleggiato dal governo della Troika affidato a Mario Monti, oggi il mainstream se la cava facendo le pulci al peventivo di Rfi sulla Torino-Lione. Come se fossimo ancora in tempo di pace, come se la sorda guerra programmata dall’élite finanziaria non avesse già accerchiato quel che resta delle nazioni sovrane, coi rottami dei loro diritti e le macerie del welfare e del lavoro che fu. Le “riforme” in arrivo mirano a sbaraccare il residuo ingombro di quote di democrazia, cominciando dal potere civico esercitato mediante libere elezioni. La vittoriosa battaglia civile dei NoTav nel 2005 assomiglia sempre più a una pagina da libri di storia, una esemplare protesta – condotta in tempo di pace – in nome dello Stato di diritto e delle prerogative della cittadinanza garantite dalla Costituzione italiana nata dalla Resistenza antifascista. Nulla che possa più fare davvero notizia, nell’imperante barbarie euroatlantica che semina guerre ai confini, dall’Est al Medio Oriente al Nordafrica, terremotando nel frattempo la vita dei cittadini europei e cancellando il loro diritto al futuro dignitoso nel quale crebbero i padri, convinti di costruire un avvenire di pace, benessere e giustizia.Il progetto Tav Torino-Lione resta un oggetto misterioso, anche dopo le polemiche mediatiche sulla “tratta internazionale” di una linea che la Francia ha già ufficialmente declassato, dichiarando che tornerebbe a esaminare l’ipotesi solo a partire dal 2030. Voci di protesta, da parte di sostenitori della grande opera, manifestano sorpresa e sconcerto per la decisione di Rfi di elevare a 7 miliardi di euro il costo inziale della parte “internazionale” della futura arteria transalpina, fino a ieri quotata 2,9 miliardi. Nessuno si premura di ricordare le ragioni del “no”, ribadite ancora nel 2012 in un appello al presidente della Repubblica, firmato da 360 docenti, tecnici ed esperti dell’università italiana. La Torino-Lione sarebbe infatti un inutile doppione della linea internazionale esistente in valle di Susa, la Torino-Modane, già ora disertata dalle merci nonostante il costoso ampliamento del traforo del Fréjus, capace di ospitare treni carichi di container. Inoltre l’opera devasterebbe il territorio alpino alle porte di Torino: crisi idrica, cantieri dall’impatto insostenibile, dissesto urbanistico, pericoli per la salute causa uranio e polveri di amianto. Infine, la linea Tav gonfierebbe in modo spaventoso il debito pubblico con una spesa palesemente inutile e improduttiva, senza futuro visto che la rotta europea del traffico merci non è più il “corridio 5” est-ovest, abbandonato dall’Ue, ma la tratta nord-sud Genova-Rotterdam.