Archivio del Tag ‘Maria Elena Boschi’
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Voto inutile? Non per sempre: gli italiani sono in sciopero
Sempre sicuri che un terzo dell’umanità si starebbe risvegliando dal letargo, come scrive l’analista geopolitico Fausto Carotenuto? L’Italia è il paese in cui ha il coraggio di ripresentarsi alle elezioni Beatrice Lorenzin, addirittura alla guida di una coalizione centrista, non paga di aver appena terrorizzato milioni di famiglie, migliaia di scuole e centinaia di Asl con la valanga di vaccinazioni appena imposte, senza l’ombra di un’emergenza sanitaria in atto. Tutti i sondaggi in vista delle politiche 2018 danno i 5 Stelle come primo partito, verso il 30%, ma il centrodestra in lievissimo vantaggio, sommando i voti dell’intramontabile Berlusconi a quelli (in calo) della Lega di Salvini, fatalmente annacquatasi nell’alleanza col Cavaliere, fattosi conciliante con Bruxelles. Dopo la grana Boschi-Etruria, lo stesso Renzi appare in discesa libera, addirittura al 22,8% secondo Ixè, anche per colpa dell’altra fenomenale novità del prossimo 4 marzo, il cartello “Liberi e Uguali” capitanato da due new entry della politica italiana come D’Alema e Bersani, alle spalle degli entusiasmanti Grasso & Boldrini. E’ tutto qui il presunto risveglio degli italiani? Nient’altro, in vista, per gli elettori stufi di farsi prendere in giro da politici che in realtà si limitano da decenni a obbedire a diktat stranieri, soprattutto finanziari?Negli ultimi mesi, è diventato rovinosamente evidente il ruolo di “gatekeeper” del Movimento 5 Stelle, in un certo senso rivendicato dallo stesso Grillo, anni fa: non ci fossimo noi, ci sarebbero le barricate in strada. Finora, dai 5 Stelle, non una parola sulle guerre Nato che minacciano la sicurezza strategica italiana, a cominciare dalle tensioni con la Russia (già costate miliardi, al made in Italy, in termini di mancato export dopo le sanzioni inflitte a Mosca). Soprattutto, i grillini non hanno ancora formulato una ricetta per il problema numero uno, la drammatica crisi economica. Insistono nel proporre un “reddito di cittadinanza”, cioè la paghetta per la rassegnazione definitiva al peggio, pagata peraltro facendo solo la cresta agli “sprechi”. L’Europa “matrigna”? Grillo ha tentato di smarcarsi da Farage, a Strasburgo, per approdare tra gli ultra-europeisti dell’Alde, vicini a Monti, l’uomo del rigore. L’euro? Peggio che andar di notte: quando ormai tutti gli economisti del mondo spiegano che la moneta unica è una trappola mortale per l’Italia, la pentastellata Laura Castelli confessa, in televisione, che a un eventuale referendum sull’euro non saprebbe come votare.Di fronte a questo tipo di offerta, è facile intuire che l’oceano dell’astensionismo crescerà ancora – ma secondo Aldo Giannuli si illudono, Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa, se sperano di far breccia nel non-voto con una proposta last minute: «Ammesso che riescano a presentare le liste, c’è il rischio che non raggiungano neppure l’1%». Realisticamente, numeri alla mano, lo spettacolo che ci attende non è allegro: l’ennesimo “inciucio” tra Renzi e Berlusconi o un’alleanza tattica tra D’Alema e Di Maio, che si sta accreditando come un possibile premier rassicurante per i poteri forti, uno che si guarderà bene dal cambiare qualcosa. In entrambi i casi, molti analisti ritengono che le urne produrrano un esecutivo zoppo, di breve durata. Motivi di consolazione? Uno, forse: i milioni di italiani che, magari a torto, nel 2013 presero per buona la freschezza dei 5 Stelle, mandando in tilt l’establishment politico. Poi il seguito è cronaca, a cominciare dalla commedia romana della Raggi. Ma quei voti-contro, espressi ormai quasi cinque anni fa, restano un monito, sommati al gesto dei milioni di italiani che hanno disertato le urne per protesta e sfiducia. Uno su due ha smesso di votare; degli altri, e quasi uno su tre voterà 5 Stelle, illudendosi che serva a qualcosa. Tradotto: in larga maggioranza, l’Italia ha già bocciato questa politica. Prima ancora delle elezioni.Sempre sicuri che un terzo dell’umanità si starebbe risvegliando dal letargo, come scrive l’analista geopolitico Fausto Carotenuto? L’Italia è il paese in cui ha il coraggio di ripresentarsi alle elezioni Beatrice Lorenzin, addirittura alla guida di una coalizione centrista, non paga di aver appena mandato nel panico milioni di famiglie, insieme alle scuole e alle Asl, con la valanga di vaccinazioni imposte senza l’ombra di un’emergenza sanitaria in atto. Tutti i sondaggi in vista delle politiche 2018 danno i 5 Stelle come primo partito, verso il 30%, ma il centrodestra in lievissimo vantaggio, sommando i voti dell’intramontabile Berlusconi a quelli (in calo) della Lega di Salvini, fatalmente annacquatasi nell’alleanza col Cavaliere, fattosi conciliante con Bruxelles. Dopo la grana Boschi-Etruria, lo stesso Renzi appare in discesa libera, addirittura al 22,8% secondo Ixè, anche per colpa dell’altra fenomenale novità del prossimo 4 marzo, il cartello “Liberi e Uguali” capitanato da due new entry della politica italiana come D’Alema e Bersani, alle spalle degli entusiasmanti Grasso & Boldrini. E’ tutto qui il presunto risveglio degli italiani? Nient’altro, in vista, per gli elettori stufi di farsi prendere in giro da politici che in realtà si limitano da decenni a obbedire a diktat stranieri, soprattutto finanziari?
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Della Luna: tengono in vita l’Italia solo per finire di svuotarla
Il re è nudo ma niente succede. I numerosi scandali e, ultimamente, la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, hanno messo a nudo la realtà della politica e della burocrazia, le sistematiche e trasversali ruberie del regime, la sua strutturale illegalità di funzionamento – e niente succede, la società accetta tutto passivamente. Così come fa la “giustizia”, il popolo non reagisce, accetta ingiustizia e illegalità. Sempre più subisce e non agisce. L’esperienza gli ha insegnato che votare e manifestare è improduttivo. Una ribellione popolare contro il marcio regime è impossibile: il popolo italiano è vecchio e sfiduciato, anche in se stesso, e senza fiducia in se stesso un popolo non organizza una ribellione. E il voto non consente di cambiare, come si dirà. I banksters saccheggiano impuniti il risparmio, mentre autorità di controllo giudiziarie e amministrative chiudono un occhio o due e non agiscono nemmeno dopo il fatto. Il governo, con dentro parenti e amici dei banchieri, li copre e scarica sulla società civile i danni dei loro abusi. Grillo ruggiva dichiarando che il suo movimento avrebbe aperto i palazzi del potere come scatolette di sardine per mettere alla luce del giorno tutte le illegalità, come se ciò potesse suscitare reazioni tali da riformare il sistema. Ma non è così: il sistema continua come prima, e la gente subisce passivamente.E perché stupirsi? La legalità è l’interesse più diffuso, dunque il più disperso, il più debole, quindi il più perdente. E’ un interesse impotente a difendere se stesso. Il popolo è bue perché è popolo, non per altra ragione. Per contro, gli interessi concentrati, dei pochi contro i molti, soprattutto se illeciti e nascosti, sono anche poteri forti, e hanno buon gioco a comprare chi gli serve e a mettere nei posti giusti i loro fiduciari. Gli esponenti del regime italiano vantano oggi una ripresa economica, sia pur da fanalino di coda, ma non dicono che le previsioni per i prossimi 25 anni mostrano il sistema-paese Italia in costante perdita di produttività-competitività rispetto agli altri paesi comunitari e Ocse. Il che comporta che, per competere sui costi di produzione, si dovrà continuare a tagliare i salari reali, i diritti dei lavoratori, le pensioni, gli investimenti, e che in prospettiva l’Italia è spacciata, perché già da 25 anni sta perdendo in produttività comparata, e 50 anni così implicano che il paese non è più vitale. Spacciata, anche perché il governo deve perseguire una politica di saldi primari attivi (cioè togliere con le tasse dalla società più denaro di quanto riversa in essa, nonostante che la società sia in grave carenza di denaro).Altro che virtuosità, risanamento, ripresa: tutto deve andare ai banchieri che prestano i soldi, compresa la proprietà delle aziende. Senza investimenti strategici non vi è recupero di produttività, non vi è fine del declino. Ciò accelererà la fuga di capitali, imprenditori, lavoratori qualificati e cervelli. Questo destino fallimentare è connaturato all’Italia unitaria, a questo Stato voluto e creato dall’estero per servire ed essere sfruttato da potenze straniere, come spiegato in precedenti articoli. Uno Stato sbagliato per composizione, che è stata fatta accozzando nazioni preunitarie troppo diverse tra loro e che perciò non hanno mai legato ma hanno generato una governance parassitaria e incompetente, che sa solo arricchirsi rubando sui trasferimenti dalle aree efficienti a quelle inefficienti, e in generale sulle risorse pubbliche e private. Uno Stato vassallo, in cui la politica è decisa dall’estero e alla classe politica interna, come unico spazio di azione, rimane la competizione-lottizzazione nel saccheggio del cittadino e della spesa pubblica. Non potendo procurarsi consensi con le buone politiche nell’interesse nazionale, i nostri politicanti se li procurano distribuendo privilegi clientelari. Questo è il modo di produzione della legittimazione elettorale in Italia.I potentati stranieri dominanti sostengono e legittimano quelle forze politiche e burocratiche italiane che meglio servono i loro interessi a spese degli italiani (fino a mandare eserciti italiani a combattere servilmente guerre americane e francesi contro gli interessi italiani), consentendo loro in cambio di continuare i loro traffici con piccole banche, appalti truccati. E’ grazie a siffatti rapporti con la partitocrazia e la burocrazia italiane che potentati stranieri hanno acquisito il controllo di (quasi) tutte le imprese di punta e strategiche italiane, nonché della Banca d’Italia e del sistema creditizio. E’ così che il governo ha regolarmente sottoscritto, sotto ricatto di rating, contratti finanziari scientemente rovinosi a vantaggio delle controparti dominanti come Morgan Stanley, con perdite per decine di miliardi – vedasi il commento dell’onorevolele Brunetta all’audizione della dottoressa Cannata in commissione banche, audizione che si è cercato di mettere in ombra col polverone sulle dichiarazioni del presidente di Consob Giuseppe Vegas alla medesima commissione sul caso Etruria-Boschi, tacendo sul ministro e sugli alti dirigenti del Tesoro che sono poi passati a Morgan Stanley.Un simile Stato, come apparato, non può vivere se non attraverso una corruzione sistemica, quindi intessuta nelle istituzioni anche di controllo (le campagne di lotta contro la corruzione, ovviamente, sono una presa per i fondelli). I suoi partiti politici sono galassie di comitati di affari dediti ad operazioni illecite o quantomeno scorrette. Le rispettive segreterie fanno da organo di coordinamento tra tali comitati, e di ricezione delle richieste di interessi stranieri (talvolta anche nazionali) dominanti. Che forza avrebbero i partiti di potere se non gestissero (clientelarmente) appalti, crediti, assunzioni, licenze? Nessuna. I partiti che si staccano da quelli di potere per perseguire ideali sociali e di giustizia, sistematicamente, si spengono; non sono vitali, sebbene abbiano talora ottime idee e grande onestà, proprio perché non si portano dietro alcuna fetta di spesa pubblica, alcuna risorsa clientelare. Laddove vi sono seri interessi in gioco, le leggi, anche dagli organi di controllo e giustizia, sono osservate solo marginalmente, soprattutto per mantenere una minima facciata di legittimità agli occhi della gente comune.In realtà, vi è una netta divisione tra chi è soggetto alla legge e chi sta sopra di essa e la usa sugli altri per schiacciarli e spremerli. Il potere pubblico è inteso come proprietà privata, come diritto di passare sopra le regole e di togliere diritti agli altri, cioè di derogare alla legalità. Adesso, in campagna elettorale, è inevitabile che i partiti millantino, ciascuno, di avere la capacità e la volontà di salvare il paese e di combattere la corruzione. Lo afferma quella (pseudo) sinistra che è stata l’esecutore più attivo e fedele degli interessi stranieri, che più ha collaborato nel sottomettere ad essi tutto il paese, nello spremerlo per arricchire gli squali della finanza predona, nel sabotare l’economia e l’ordine pubblico, nell’imporre un pensiero e un linguaggio unico che impedissero persino di descrivere ciò che essa stava e sta perpetrando. Poi abbiamo un Berlusconi, proprietario del principale partito del centrodestra, che ha sempre usato i voti di chi gli dava fiducia per sostenere la linea della (pseudo) sinistra e della Germania, persino il rovinoso governo Monti, al fine di difendere i propri interessi aziendali e processuali – un Berlusconi da sempre condizionabile mediante attacchi giudiziari che scattano quando serve.Abbiamo una Lega con analisi e propositi condivisibili, la quale un tempo era indipendentista e ora non lo è più, almeno nelle dichiarazioni, e si propone come tutrice degli interessi nazionali pan-italiani entro un’Ue e un euro in cui vuole rimanere. Purtroppo, sino ad ora, su scala nazionale, la Lega ha realizzato niente o quasi dei suoi programmi, pur essendo stata a lungo al governo. Abbiamo infine una M5S che conta numerosi esponenti validi, coraggiosi e liberamente agenti, ma i cui titolari – quelli che enunciano che “uno vale uno” – non si sa che mete abbiano e che interessi incarnino, anche se appaiono significativi legami con gli Usa. Abbiamo infine una nuova, furbesca legge elettorale, che lascia nelle mani delle segreterie (negandole agli elettori) non solo la scelta dei parlamentari, ma anche la decisione sul nuovo governo: una legge tipicamente partitocratica. No, signori miei, non illudetevi: il processo di disfacimento e la parassitosi maligna interna ed esterna continueranno più saldamente che mai, con la Bce che sosterrà il debito pubblico, differendo il collasso, per consentire di portare a compimento il piano di trasferimento delle risorse del paese. Niente cambierà con le prossime elezioni. L’unico cambiamento possibile e concreto lo realizza chi emigra.(Marco Della Luna, Il Re è nudo ma niente succede, dal blog di Della Luna del 17 dicembre 2017).Il re è nudo ma niente succede. I numerosi scandali e, ultimamente, la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, hanno messo a nudo la realtà della politica e della burocrazia, le sistematiche e trasversali ruberie del regime, la sua strutturale illegalità di funzionamento – e niente succede, la società accetta tutto passivamente. Così come fa la “giustizia”, il popolo non reagisce, accetta ingiustizia e illegalità. Sempre più subisce e non agisce. L’esperienza gli ha insegnato che votare e manifestare è improduttivo. Una ribellione popolare contro il marcio regime è impossibile: il popolo italiano è vecchio e sfiduciato, anche in se stesso, e senza fiducia in se stesso un popolo non organizza una ribellione. E il voto non consente di cambiare, come si dirà. I banksters saccheggiano impuniti il risparmio, mentre autorità di controllo giudiziarie e amministrative chiudono un occhio o due e non agiscono nemmeno dopo il fatto. Il governo, con dentro parenti e amici dei banchieri, li copre e scarica sulla società civile i danni dei loro abusi. Grillo ruggiva dichiarando che il suo movimento avrebbe aperto i palazzi del potere come scatolette di sardine per mettere alla luce del giorno tutte le illegalità, come se ciò potesse suscitare reazioni tali da riformare il sistema. Ma non è così: il sistema continua come prima, e la gente subisce passivamente.
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Bufera su Visco, ma silenzio sul retroscena (supermassonico)
Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro anche lo strano “suicidio” di David Rossi.«Anziché attaccare il Grande Oriente per le vicende provinciali di Banca Etruria – afferma Magaldi, oggi presidente del Movimento Roosevelt – giornali e televisioni farebbero meglio a interrogarsi sul ruolo di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, poi ministra di Monti: erano al vertice di Bankitalia quando la banca centrale avrebbe dovuto vigilare sull’operato del Montepaschi». Analoga polemica con Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”: «Si parla genericamente di massoneria, in relazione a piccole vicende locali, mentre si continua a ignorare il ruolo supermassonico di primo piano rivestito in Italia, per conto di reti internazionali, da personalità come Monti, Draghi, la stessa Tarantola, l’ex presidente Napolitano e l’attuale ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan». Sotto il fuoco renziano è ora finito Ignazio Visco? Non una parola, dal mainstream, sul possibile retroterra comune dei contendenti, legati a influenti “salotti” non italiani. Silenzio anche sul ruolo della banca centrale, a cui un altro supermassone, l’eurocrate Carlo Azeglio Ciampi, “staccò la spina” nel 1980, facendo in modo che Bankitalia cessasse di fungere da “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo lo Stato – per finanziare il debito pubblico – a rivolgersi all’esosa finanza internazionale, mettendo all’asta i propri bond. Risultato: una falla rovinosa nel debito italiano, perfetta per indebolire il paese di fronte all’eurocrazia.«La messa alla berlina del governatore Visco ad opera della maggioranza piddina rappresenta un patetico scaricabarile politico», scrive Alberto Bagnai sul blog “Goofynomics”, che parla di «modus paraculandi». Bankitalia non vigilava adeguatamente sulla crisi delle banche italiane? Consob neppure? Chi, onestamente, può dire il contrario? «Ma pensiamo davvero che Visco e Fazio fossero degli incompetenti, dei dilettanti? Se così fosse – aggiunge Bagnai – la loro nomina ad opera della classe dirigente che ancora oggi si ripropone come insostituibile oligarchia dovrebbe suscitare alcune domande anche nell’elettore più superficiale». Forse, continua Bagnai, la causa di tante “sviste” ad opera degli organismi di controllo esterni e interni alle banche italiane «era imputabile non all’umana pochezza ma ad un’altra causa: ad un vincolo esterno». Più precisamente «a un chiaro e inequivocabile ordine di scuderia», emanato in sede europea. «Un ordine al quale tutti, ma proprio tutti, dai vertici Bce fin al più passivo sindaco e revisore della più piccola banca territoriale», dovevano sottostare. Ovvero: «Non intralciare l’enorme arbitraggio finanziario reso possibile dal Trattato di Maastricht e dall’unione monetaria».Arbitraggio? «Così si chiama il prendere a prestito nel nucleo e prestare con spread ai mal-investitori della periferia senza subire rischi di cambio e senza alcun controllo sui movimenti dei capitali», spiega l’economista. «Una colossale macchina da soldi, la cui già enorme potenza era ulteriormente amplificata dal mercato dei derivati, grazie al quale si diluivano i rischi di credito nell’oceano degli ignari e polverizzati investitori globali». In pratica, una droga: «Come nel narcotraffico fisico, nel narcotraffico finanziario tutti si sono sporcati le mani: i coltivatori (ingegneri e top manager finanziari), i cartelli dei trafficanti (le grandi banche del nucleo, cresciute in “Germagna” sino a diventare uno Stato nello Stato), i cartelli degli spacciatori e la loro rete di “down the line dealers” (le grandi banche commerciali periferiche e le numerose banchette che le contornano)». E poi anche «i governi, i responsabili dei controlli a tutti i livelli: pubblici e privati, nazionali e internazionali, i partiti e le forze politiche, tutti pro-Maastricht e pro-euro (ricordo che la “Costituzione europea” da noi fu votata all’unanimità e il Fiscal Compact con dibattito praticamente zero»).E’ stato questo il “miracolo” dell’euro, sintetizza Bagnai con sarcasmo: «È stata questa la fonte di accumulo di capitale finanziario che ora permette la fase due: sfruttare la mobilità incontrollata del lavoro». Quindi, «cari moralisti falliti e vigliacchi – chiosa l’economista – chi di voi è senza Maastricht scagli la prima pietra». Se è difficile leggere analisi di questo tenore sulla grande stampa, o tantomeno ascoltarle in televisione, è addirittura impensabile imbattersi in spiegazioni dettagliate su quello che Bagnai chiama “vincolo esterno”. La piaga del neoliberismo finanziario in versione europea ha drasticamente impoverito centinaia di milioni di persone? Certamente, osserva Magaldi, ma bisogna pur sapere che ogni piano – compreso questo – cammina sulle gambe di individui precisi, accuratamente selezionati da un’élite occulta per occupare posti-chiave. Rarissimo che l’oligarchia si dichiari: è accaduto di recente in Francia, quando il supermassone reazionario Jacques Attali ha rivendicato la partenità del progetto che ha portato all’Eliseo la sua creatura, Emmanuel Macron, già dirigente della Banca Rothschild. In Italia, invece, si sorvola regolarmente anche su un altro difensore di Ignazio Visco: Romano Prodi. «Ne parlerò nel sequel di “Massoni”, di prossima uscita», annuncia Magaldi.«Pessimo interprete di questa globalizzazione privatizzatrice», l’ex premier ulivista, ex presidente della Commissione Europea nonché advisor di Goldman Sachs: benché ufficialmente “progressista” sarebbe anch’esso «affiliato a quelle potenti reti supermassoniche internazionali che hanno progettato la grande crisi, in termini di svuotamento della democrazia e colossale trasferimento della ricchezza dal basso verso l’alto», sostiene Magaldi. La stampa ne coglie sempre e solo gli effetti terminali – la disoccupazione, la crisi dei risparmiatori colpiti dai crack bancari – evitando però sempre di inquadrare il disegno, i suoi architetti occulti e i relativi interpreti locali. Non stupisce che giornali e televisioni continuino a ignorare le rivelazioni di Magaldi, che forniscono un’inedita geografia del vero potere. Tra le 36 superlogge mondiali, da cui dipendono entità paramassoniche come il Bilderberg e la stessa Trilaterale, spicca il ruolo nefasto svolto negli ultimi decenni dalle Ur-Lodges neoaristocratiche e oligarchiche, come la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose”, la “Leviathan”, la “White Eagle”, senza contare la potentissima “Three Eyes” (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) e la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, secondo Magaldi con intenti addirittura terroristici (11 Settembre, Al-Qaeda, Isis).A valle, la mappa del back-office del potere si rifletterebbe in Italia – come in ogni altro paese, non solo occidentale – nel reticolo dei leader locali: Magaldi ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali). Della “Three Eyes” farebbero parte anche Padoan e Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da uomini affiliati a Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia). Ignazio Visco, l’attuale governatore di Bankitalia, sarebbe invece legato alla “Edmund Burke” (insieme all’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco). Ma non c’è caso che ne si faccia cenno, nelle cronache: tutto finirà, come sempre, attorno alle chiacchiere di Renzi, più quelle su Renzi e quelle contro Renzi, senza spiegare verso quali scogli sta andando la nave, e per ordine di chi.Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro lo strano “suicidio” di David Rossi.
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Usura, nuova religione: il Sacro Romano Impero della finanza
Siamo entrati in un Sacro Romano impero della finanza in cui il sistema bancario detta legge, e noi sventurate plebi europee dobbiamo fare i sacrifici – “sacrum facere”, appunto: qualcosa di religioso in nome del sistema bancario, una divinità demiurgica: le sofferenze sono sempre quelle del sistema bancario e guardacaso mai quelle delle classi lavoratrici e dei ceti medi martoriati dalla crisi del sistema bancario. Secondariamente, il Partito Democratico si conferma essere il partito di rappresentanza eletto del sistema bancario. Un tempo, il Partito Comunista era contro il sistema bancario e difendeva le classi lavoratrici, scendeva in piazza con il popolo. Oggi invece il Partito Democratico, indegno erede del Partito Comunista ed esito di una metamorfosi kafkiana, difende il sistema bancario contro i lavoratori. Infatti alla Leopolda non vedete mai i lavoratori: vedete sempre i grandi esponenti come Serra del sistema finanziario, vedete sempre Marchionne. Ed è appunto il partito di rappresentanza di questo sistema usurocratico e bancocratico che sta massacrando il ceto medio e le classi lavoratrici.Questo è il punto da cui partire per elaborare mappe alternative del pensiero e per procedere poi con l’azione, per rovesciare questo sistema del tutto iniquo, che sta abbattendosi sulle sventurate plebi europee, che sono costituite ormai dal ceto medio disgregato dalle élite finanziarie e dalle classi lavoratrici. Le sinistre Pd non sono la soluzione ma sono il problema. E la signora Boschi incarna un problema enorme da questo punto di vista, quali che siano poi gli esiti. Il fatto che si schierino a favore del sistema bancario, che invece dovrebbe essere nazionalizzato, di modo che si eviti questa sciagura per cui i beni pubblici vengono privatizzati e le perdite private vengono pubblicizzate ai danni dei lavoratori e delle classi medie. La dipendenza dei ceti lavoratori dal sistema bancario è una dipendenza sempre più simile a un nesso di usura, di fatto, che indebita e crea dipendenza da parte di chi è indebitato.Faccio un solo esempio: il bail in. Non è stato esso forse un attacco frontale, direttissimo, gestito dal sistema bancario e dalla sua élite apolide di riferimento, ai danni del ceto medio risparmiatore e delle classi lavoratrici? La crisi del 2007 non è forse, come ci insegna Stiglitz, un grandioso tentativo da parte dell’aristocrazia finanziaria di sottrarre i risparmi ai lavoratori e alle classi medie, e di drenarli verso l’alto, verso il vertice della piramide? Non siamo di fronte a una nuova, inedita forma del conflitto di classe, gestito univocamente da una élite che vive di rendite finanziarie e che odia il lavoro del ceto medio e delle classi lavoratrici, e che vive – ripeto – di rendite finanziarie e di rapine legalizzate bancocratiche? Questa è la domanda che dobbiamo porci seriamente, se vogliamo ragionare al di là del contingente accadere puntiforme degli eventi.(Diego Fusaro, “Il Sacro Romano Impero della finanza e delle banche”, da una trasmissione televisiva su La7 il 15 maggio 2017, ripresa su YouTube).Siamo entrati in un Sacro Romano impero della finanza in cui il sistema bancario detta legge, e noi sventurate plebi europee dobbiamo fare i sacrifici – “sacrum facere”, appunto: qualcosa di religioso in nome del sistema bancario, una divinità demiurgica: le sofferenze sono sempre quelle del sistema bancario e guardacaso mai quelle delle classi lavoratrici e dei ceti medi martoriati dalla crisi del sistema bancario. Secondariamente, il Partito Democratico si conferma essere il partito di rappresentanza eletto del sistema bancario. Un tempo, il Partito Comunista era contro il sistema bancario e difendeva le classi lavoratrici, scendeva in piazza con il popolo. Oggi invece il Partito Democratico, indegno erede del Partito Comunista ed esito di una metamorfosi kafkiana, difende il sistema bancario contro i lavoratori. Infatti alla Leopolda non vedete mai i lavoratori: vedete sempre i grandi esponenti come Serra del sistema finanziario, vedete sempre Marchionne. Ed è appunto il partito di rappresentanza di questo sistema usurocratico e bancocratico che sta massacrando il ceto medio e le classi lavoratrici.
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Massoneria? Un mistero solo per le facce di bronzo della Tv
La massoneria è un potere forte, anzi fortissimo: peccato che sui giornali e nei talkshow televisivi si preferisca il pettegolezzo sulla piccola massoneria nostrana, ignorando deliberatamente l’unica fonte che, in Italia, ha messo nero su bianco nomi e cognomi della supermassoneria internazionale, quella che conta. Supermassoneria conservatrice, alla quale appartiene lo stesso neopresidente francese Emmanuel Macron: e alla medesima porta «hanno ripetutamente bussato sia Matteo Renzi che l’ex direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, lo stesso che ora (nel libro “Poteri forti”) polemizza con Renzi evocando l’ombra della massoneria toscana su Maria Elena Boschi e Banca Etruria». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), dalle pagine web di “Affari Italiani” si rivolge direttamente «ai vari Lilli Gruber, Giovanni Floris, Luca Telese, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gianluigi Paragone, Bruno Vespa». Giornalisti e frontman che, «con rara faccia di bronzo, in questi anni hanno parlato di qualsiasi tematica attinente da vicino o da lontano la massoneria e il potere, ma si sono scientificamente cimentati nella censura e nella rimozione del libro “Massoni”, nonostante la grande diffusione del volume in Italia e all’estero».La polemica tra De Bortoli, Boschi e Renzi su Banca Etruria «è una vicenda piena di ipocrisia, doppi e tripli sensi, surrealtà e vecchi rancori», afferma Magaldi. La Boschi? «Ha fatto bene a interessarsi del possibile salvataggio di Banca Etruria, essendo una parlamentare del territorio dove la banca operava». Semmai, «ha fatto male a negare di averlo fatto: una brutta abitudine, quella di negare l’evidenza, che l’accomuna spesso allo stesso Renzi». Quanto alla telefonata tra i due Renzi, padre e figlio, intercettata dagli inquirenti e poi pubblicata dal “Fatto Quotidiano”, per Magaldi si tratta di «una pantomima», nella quale il figlio tratta il padre, Tiziano, «apparentemente in modo rude e con tono inquisitorio». Secondo Magaldi «si tratta di un’operazione preventiva, per poter un giorno utilizzare questa scenetta quale dimostrazione dell’assoluta estraneità di Matteo ai maneggi e alle relazioni “pericolose” del padre». Peccato, però, che il sistema di potere di cui Renzi junior ha beneficiato nella prima parte della sua ascesa, aggiunge Magaldi, si sia fondato «anche su tutta una serie di rapporti con personaggi toscani (alcuni massoni e altri no) collegati agli interessi imprenditoriali ed economici di Renzi senior, all’interno di un più complessivo groviglio di legami tra politica, istituzioni e cenacoli privati alla ricerca di profitti, tra Firenze e territori contigui».Massoneria e banche? Senz’altro: si tratta di un rapporto «storicamente evidente». Vale anche per Banca Etruria, «benemerita banca dedita al credito popolare», fondata da massoni e a lungo «ottimamente gestita dal “fratello” massone Elio Faralli», prima che subentrassero quelli che Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, chiama “bischeri”, massoni e non. «Ma in tutta questa vicenda – insiste Magaldi su “Affari Italiani” – il personaggio più in malafede appare proprio Ferruccio De Bortoli». Un giornalista che, sempre secondo Magaldi, «durante tutta la sua carriera ha sempre cercato di essere ammesso ai salotti più esclusivi dell’aristocrazia massonica euro-atlantica». Solo che «non c’è mai riuscito», come del resto lo stesso Renzi, «da anni aspirante apprendista massone presso superlogge sovranazionali, visto che le amicizie massoniche di medio-basso calibro del padre Tiziano potevano essere buone per arrivare a governare la Provincia e il Comune di Firenze, ma non erano e non sono certo sufficienti a puntellare e a consolidare la traiettoria nazionale e internazionale delle ambizioni renziane».Sia De Bortoli che Renzi, aggiunge Magaldi, hanno spesso sfiorato l’accesso al “salotto buono”: «In tempi diversi, tra diverse Ur-Lodges presso cui hanno “bussato” (mediante intermediari), si sono trovati entrambi a un soffio dall’essere accolti dalla superloggia moderata “Atlantis-Aletheia”», una “officina” internazionale di cui fa peraltro fa parte «il massone Emmanuel Macron, neoeletto presidente francese». Incongruenza tutta italiana: «Trovo davvero ipocrita che De Bortoli si metta a cianciare in stile genericamente antimassonico di rapporti tra “massoneria e banche”, riguardo alla vicenda Etruria, ma si sia sempre guardato bene (al pari di quasi tutto il sistema giornalistico italiano) dall’evocare la questione della responsabilità che hanno avuto massoni neoaristocratici come Mario Draghi e Anna Maria Tarantola (all’epoca ai vertici di Bankitalia) nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena, con riferimento sia all’acquisizione di Banca Antonveneta che ad altre non meno scabrose questioni». Non solo: «Trovo gravissimo – aggiunge Magaldi – che in contesti come la trasmissione “Otto e Mezzo” condotta da Lilli Gruber, così come in altri talk-show televisivi italiani, venga data occasione a De Bortoli e ad altri di pontificare genericamente di legami tra massoneria e banche, massoneria e affari, massoneria e poteri opachi o poteri forti, senza che nessuno si sia mai preso la briga di citare e discutere le precise informazioni e le puntualissime narrazioni (con nomi, cognomi, sigle, date e circostanze) degli intrecci tra la “libera muratoria” e il potere contenute nel libro “Massoni. Società a responsabilità illimitata”», edito già a fine 2014.Lilli Gruber – ed altri suoi colleghi del piccolo schermo – invitano “cani e porci”, «inesperti di questioni latomistiche o carichi di veleni antimassonici per qualche mancata affiliazione», a parlare di massoneria e potere in televisione, presentando «miriadi di libri privi di reale interesse per la pubblica opinione», ma al tempo stesso «evitano come la peste», anzi «censurano da anni» le straordinarie rivelazioni del libro “Massoni”, appena sbarcato anche in Spagna e Sud America, e di cui sta per uscire il sequel, significativamente intitolato “Globalizzazione e massoneria”. Perché dunque rifiutarsi di far approdare nel mainstream una precisa lettura del legame tra massoneria e potere, in primis in ambito finanziario? Forse perché quegli stessi media mainstream, «da qualche decennio, e non solo i Italia, sono in buona parte caduti nelle mani di ambigui segmenti massonici “contro-iniziatici”, traditori dei valori progressisti di libertà, uguaglianza e fratellanza che contraddistinguono da secoli l’autentica “libera muratoria”». Meglio allora evitare che il pubblico televisivo condivida “la scoperta delle Ur-Lodges”, cioè le 36 superlogge mondiali che rappresentano il “back office” del vero potere. Inclusa la “Atlantis Aletheia”, quella di Macron: la superloggia che, secondo Magaldi, si sarebbe rifiutata finora di accogliere i “bussanti” De Bortoli e Renzi.La massoneria è un potere forte, anzi fortissimo: peccato che sui giornali e nei talkshow televisivi si preferisca il pettegolezzo sulla piccola massoneria nostrana, ignorando deliberatamente l’unica fonte che, in Italia, ha messo nero su bianco nomi e cognomi della supermassoneria internazionale, quella che conta. Supermassoneria conservatrice, alla quale appartiene lo stesso neopresidente francese Emmanuel Macron: e alla medesima porta «hanno ripetutamente bussato sia Matteo Renzi che l’ex direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, lo stesso che ora (nel libro “Poteri forti”) polemizza con Renzi evocando l’ombra della massoneria toscana su Maria Elena Boschi e Banca Etruria». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), dalle pagine web di “Affari Italiani” si rivolge direttamente «ai vari Lilli Gruber, Giovanni Floris, Luca Telese, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gianluigi Paragone, Bruno Vespa». Giornalisti e frontman che, «con rara faccia di bronzo, in questi anni hanno parlato di qualsiasi tematica attinente da vicino o da lontano la massoneria e il potere, ma si sono scientificamente cimentati nella censura e nella rimozione del libro “Massoni”, nonostante la grande diffusione del volume in Italia e all’estero».
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Magaldi: ipocrita De Bortoli, bussò alla super-massoneria
«Ferruccio De Bortoli dimostra ancora una volta una grande ipocrisia: conosce benissimo i mondi massonici, sia quelli caserecci che quelli sovranazionali. Lui stesso, come Renzi, ha cercato più volte, senza riuscirci, di essere ammesso ai salotti massonici di alto profilo». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges, superlogge internazionali, che funzionano da “back-office” del vero potere. «Sia chiaro, non è affatto un disonore cercare di essere accolti in quei circoli», premette Magaldi, intervistato da Gianluca Fabi ai microfoni di “Radio Cusano Campus”. Il problema, semmai è la mancanza di franchezza: nel suo libro “Poteri forti, o quasi”, l’ex direttore del “Corriere della Sera” e del “Sole 24 Ore” parla di massoneria e banche, da Mps a Banca Etruria, da cui la polemica su Maria Elena Boschi, che avrebbe interessato Unicredit per tentare di salvare la banca toscana di cui il padre era vicepresidente. «Giusto parlare di conflitto d’interessi quando si compie qualcosa di sbagliato, non quando si cerca di tutelare risparmiatori e posti di lavoro», taglia corto Magaldi, che rimprovera a De Bortoli di “fare le pulci” ai toscani senza però rivelare nulla sui suoi rapporti con la vera massoneria di potere, il mondo delle Ur-Lodges.Massoneria e banche? Mps, per esempio: «Tra massoni veri e presunti», dichiara Magaldi, «gli unici due che avrebbero dovuto essere ben vigilati sono due massoni di altissimo grado: Mario Draghi, all’epoca governatore di Bankitalia, e Anna Maria Tarantola», poi ministro del governo Monti, «allora a capo della vigilanza di Bankitalia, che non vigilò affatto sulle operazioni Antonveneta e Mps». Esponenti entrambi non della piccola massoneria nazionale, «provinciale», ma del vero circuito del grande potere, quello delle superlogge. La massoneria oggi chiamata in causa perché ne parla De Bortoli? «Qui entriamo nel paradosso, nella surrealtà», continua Magaldi, ricordando che a suo tempo il direttore del “Corriere” parlò di “odore stantio di massoneria” per descrivere i rapporti intorno a Renzi. Errore ottico: «Non era importante indagare tra i rapporti caserecci e di piccolo calibro del padre di Renzi in Toscana, ma andavano cercate altre aree: Renzi si muoveva a New York e bussava alle porte di ben altri templi». Lo stesso Magaldi ne parlò apertamente a “Linkiesta” già nel settembre 2014: «Nessuno ha notato la coincidenza tra la pubblicazione dell’editoriale di De Bortoli e la contemporanea presenza di Matteo Renzi alla sede newyorkese del Council on Foreign Relations».Il potente Cfr, “santuario” dell’élite atlantica, è definito «solidissimo sodalizio paramassonico istituito nel 1921, mentre nel 1920 era stato fondato il suo omologo britannico, il Royal Institute of International Affairs o Chatham House». Entrambe queste associazioni paramassoniche, rivela Magaldi, furono create su iniziativa della Ur-Lodge “Leviathan”, espressione dei circuiti supermassonici reazionari. Entrambe, sia il Cfr che il Riia, «continuano ad essere controllate e gestite da massoni, con la presenza ancillare e subalterna di paramassoni servizievoli, ossia di membri “profani” del jet-set politico, economico-finanziario, mediatico, diplomatico, militare e culturale internazionale, i quali ancora non hanno avuto un’iniziazione massonica presso il circuito elitario ed ambitissmo delle Ur-Lodges, ma aspirano ad averla». In gergo si chiamano “bussanti”: ruolo che, secondo Magaldi, accomuna Renzi e De Bortoli, entrambi lasciati – per ora – fuori dalla porta. Naturalmente De Bortoli non ne fa cenno, però torna a evocare il tema della massoneria “casereccia” anche in televisione, da Lilli Gruber, per poi essere richiamato alla franchezza da Massimo Cacciari, che gli risponde: ma vogliamo parlare allora dei reticolati massonici francesi e internazionali che hanno costruito in modo artificiale l’operazione Macron?Il neo-inquilino dell’Eliseo, che ha voluto celebrare la vittoria elettorale «ai piedi della piramide del Louvre fatta erigere dal massone Mitterrand», è senz’altro figlio di un’operazione massonica raffinata, conferma Magaldi: si tratta però di capire di quale segno sia, anche se la storia del suo mentore, il supermassone reazionario Jacques Attali, tra gli architetti dell’oligarchia Ue, si è finora mosso in una direzione non certo progressista. Che Macron sia massone, comunque, non è un segreto (né un problema) per nessuno, in Francia, dove la massoneria – dai tempi di Napoleone, che importò da Charleston il Rito Scozzese e dall’Egitto la simbologia delle piramidi – si confronta apertamente con la politica: «I candidati alle presidenziali vanno tranquillamente a fare audizioni nella sede del Grande Oriente di Francia, e una volta eletti – quando non sono massoni – tributano il loro omaggio ai vertici delle comunioni massoniche francesi, talvolta dichiarando di essersi consultati con loro anche per decisioni importanti dal punto di vista geopolitico, strategico, economico». Il tutto, alla luce del sole: «Negli Usa, nel Regno Unito e in altre democrazie occidentali, il discorso pubblico sulla massoneria è molto più sereno e pacato». Il problema, ribadisce Magaldi, è l’Italia: «Da noi c’è questo verminaio, perché l’opinione pubblica di massoneria non sa nulla, i giornalisti ancor meno, e gli intellettuali, gli editori, i direttori di giornali – che invece ne sanno – fanno finta di non sapere».«Ferruccio De Bortoli dimostra ancora una volta una grande ipocrisia: conosce benissimo i mondi massonici, sia quelli caserecci che quelli sovranazionali. Lui stesso, come Renzi, ha cercato più volte, senza riuscirci, di essere ammesso ai salotti massonici di alto profilo». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges, superlogge internazionali, che funzionano da “back-office” del vero potere. «Sia chiaro, non è affatto un disonore cercare di essere accolti in quei circoli», premette Magaldi, intervistato da Gianluca Fabi ai microfoni di “Radio Cusano Campus”. Il problema, semmai è la mancanza di franchezza: nel suo libro “Poteri forti, o quasi”, l’ex direttore del “Corriere della Sera” e del “Sole 24 Ore” parla di massoneria e banche, da Mps a Banca Etruria, da cui la polemica su Maria Elena Boschi, che avrebbe interessato Unicredit per tentare di salvare la banca toscana di cui il padre era vicepresidente. «Giusto parlare di conflitto d’interessi quando si compie qualcosa di sbagliato, non quando si cerca di tutelare risparmiatori e posti di lavoro», taglia corto Magaldi, che rimprovera a De Bortoli di “fare le pulci” ai toscani senza però rivelare nulla sui suoi rapporti con la vera massoneria di potere, il mondo delle Ur-Lodges.
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Bastardi senza gloria, Tarantino e i valorosi cavalieri del Tav
“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile della storia del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.Non sarà mai un set di Tarantino, il Parlamento. Lo conferma il tenore dei commenti dei lettori del “Fatto Quotidiano” all’indomani del voto, a cui si sono inutilmente opposti i 5 Stelle, agitando in aula i fazzoletti NoTav. Il clima è quello che è logico attendersi dopo il referendum del 4 dicembre e il bluff di Pinocchio-Renzi sul suo addio alla politica. Scrive “Così è se vi pare”: «Scusate, ma dopo le dimissioni di Renzi, l’unica priorità della nazione non era la legge elettorale e poi tutti al voto?». E Mara: «Fra 20 anni saranno tutti lì a condannare la schifosa mangianza politica su un’opera già inutile in partenza. Tanto paghiamo noi. E il Pd, al solito, fa la parte del pescecane». La cosa più divertente, scrive Francesco, «è che la Francia non ritiene prioritaria l’opera, non ha nemmeno fissato una data di avvio lavori (ad oggi sono partiti solo i lavori esplorativi) e a quanto pare li avvieranno solo in vista della saturazione della linea attuale…. Cioè, probabilmente, mai». Scherza Mario Poillucci: «Non siate così drastici e intransigenti nei vs commenti!! Bisogna capirli! Le mafie hanno fame! Senza il banchetto luculliano delle olimpiadi cosa resta?».«Vergognosi», sentenzia “Viva Sankara”. «Poi fomentano casi come quello di Roma cercando di mettere in cattiva luce la Raggi e il M5S. Quelli di “sinistra” sono ormai il trastullo delle mafie più patetiche. Ma la colpa di tutto ciò è della base Pd che non si ribella». E, intanto, come andiamo dalle parti di Amatrice? «Ai terremotati quanti soldi?», domanda “Luca Z”. E Andrea Magnaghi, sul traforo in valle di Susa: «Solo 8 miliardi? Se ne spendiamo 15 siamo fortunati». Dunque, fa eco “Zio68”, «tipo il Mose che doveva costare 1 e siamo a 6?». Risponde “Bquadro”: «Costi stimati: 8,3 miliardi. A fine lavori saranno 25!». Ribadisce “Giftzwerg”: «La Tav non serve, l’Italia non lavora, non c´è piú niente da esportare. Hanno esportatto le aziende». E Luca: «Vediamo il lato positivo. I piddins potrebbero prendere questo treno per andarsene a fare danni in un altro paese una volta perse le prossime elezioni». Chiosa Riccardo Revilant: «Questa è l’Italia, un paese con le pezze al culo che non disdegna di spendere miliardi in opere “assolutamente irrinunciabili” ma casualmente con sistematiche infiltrazioni mafiose, costi esorbitanti mai pianificati a dovere e sempre lievitati, studi “contro” che dimostrano l’assurdità dell’opera che verrà comunque fatta».“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.
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La fine del mondo per il Pd, l’Italia in crisi a sua insaputa
La fine del mondo, ovvero: l’assemblea nazionale del Pd che incorona in trionfo il suo sovrano, Matteo Renzi, già tornato in cabina di regia dopo aver solennemente promesso che avrebbe lasciato la politica, in caso di sconfitta al referendum. Proprio la speranza di cancellarlo dagli schermi, trasversale a vari settori dell’elettorato, cominciando dai giovani, era stata la molla principale, per milioni di elettori, decisi a votare No. Tutto inutile, come da copione: Gentiloni a Palazzo Chigi insieme alla Boschi, e Renzi ancora lì. Soprattutto: è ancora lì il Pd, straordinario autoscatto di quest’Italia in crisi “a sua insaputa”. Dal palco romano dove si alternano i relatori è perfettamente inutile sperare di ascoltare parole utili al paese, a parte le rituali e irrilevanti autocritiche sulle difficoltà del partito come macchina di consenso. Qualche accento sullo stato dell’arte proviene da esponenti come Cuperlo e Damiano, ma l’unico che fornisce una visione prospettica è il dinosauro Piero Fassino: la nostra, dice, è stata una sinistra cresciuta nel ‘900, nel fordismo, e oggi non difende più nessuno, non serve più. Fassino sfiora addirittura la verità dell’euro e dell’Ue, ma solo per ricordare quanto fu brava, la sinistra prodiana, a mobilitare gli italiani per convincerli ad affrontare i sacrifici necessari a entrare nel club della moneta unica.A chi chiede timidamente se sia il caso di celebrare un congresso, creando così lo spazio necessario per sviluppare una riflessione profonda, Renzi risponde che non è ancora tempo di congressi, perché l’agenda richiede altre urgenze, la legge elettorale, le elezioni anticipate. Non è più epoca di congressi, da tempo: Forza Italia ha sempre e solo inscenato assemblee plebliscitarie, celebrative del Capo, e Grillo non è mai andato oltre i Vaffa-Day o le consultazioni online. Niente congressi, niente confronto di idee, nessuna analisi indipendente. Meglio correre, ferocemente divisi, nella stessa direzione: il baratro. Lo dimostra, una volta di più, la mancanza di timonieri alla guida del grosso barcone del Pd, una ciurma di naufraghi spaventati da quello che chiamano populismo, senza però riuscire a spiegarsi l’origine del fenomeno che – riconoscono – sta scuotendo come un brivido l’intero Occidente. Di tutto è lecito di parlare, tranne che di politica. Lo dice lo stesso Renzi, l’unico politico capace di auto-accusarsi di aver “politicizzato” il voto («la mia colpa non è stata la personalizzazione del referendum», dice, «ma la sua politicizzazione»).«Con questi dirigenti non vinceremo mai», sentenziò Nanni Moretti nel 2002, un milione di anni fa, pensando alla sua squadra di brocchi – D’Alema, Veltroni – e alla corazzata da battere, quella del Cavaliere. Ben lungi, Moretti, dall’intuire che il problema non era nemmeno la squadra, ma il campionato. Ci sono voluti anni, ma poi l’allenatore il suo campione l’ha messo in campo: solo che al massimo vince Renzi, non l’Italia. E Renzi è uno che vince comunque, anche quando perde, visto che di fronte non ha più nessuno. Non mantiene mai la parola data? Vero, ma anche questo è secondario: Renzi non ha mai nemmeno lontanamente sfiorato, neppure a parole, la verità nella quale è sprofondata l’Italia dopo che la sua classe dirigente, come ricorda Fassino, l’ha iscritta nel prestigioso campionato europeo del rigore e dell’austerity, dell’agonia del welfare, della morte della sovranità e quindi dell’economia. Nel Renzi-day, il Pd attacca la crisi romana dei grillini, il collasso politico della capitale dove – nessuno lo ricorda – fu proposto l’ingresso in municipio di un economista eretico come Nino Galloni, con in testa (lui sì) una soluzione per uscire dalla grande crisi inutilmente evocata da Fassino, la crisi che sta travolgendo l’Italia “a sua insaputa”, o almeno a insaputa di un partito che ancora acclama Renzi, così come i grillini acclamano Grillo. Il problema è ancora e sempre il leader, la squadra, e non il campionato? Se è così, i sabotatori dell’Italia possono dormire sonni tranquilli.La fine del mondo, ovvero: l’assemblea nazionale del Pd che incorona in trionfo il suo sovrano, Matteo Renzi, già tornato in cabina di regia dopo aver solennemente promesso che avrebbe lasciato la politica, in caso di sconfitta al referendum. Proprio la speranza di cancellarlo dagli schermi, trasversale a vari settori dell’elettorato, cominciando dai giovani, era stata la molla principale, per milioni di elettori, risoltisi a votare No. Tutto inutile, come da copione: Gentiloni a Palazzo Chigi insieme alla Boschi, e Renzi ancora lì. Soprattutto: è ancora lì il Pd, straordinario autoscatto di quest’Italia che sarebbe in crisi “a sua insaputa”. Dal palco romano dove si alternano i relatori è perfettamente inutile sperare di ascoltare parole spendibili per il paese, a parte le rituali e irrilevanti autocritiche sulle difficoltà del partito come macchina di consenso. Qualche accenno allo stato dell’arte proviene da esponenti come Cuperlo e Damiano, ma l’unico che fornisce una visione prospettica è il dinosauro Piero Fassino: la nostra, dice, è stata una sinistra cresciuta nel ‘900, nel fordismo, e oggi non difende più nessuno, non serve più. Fassino sfiora addirittura la verità dell’euro e dell’Ue, ma solo per ricordare quanto fu brava, la sinistra prodiana, a mobilitare gli italiani per convincerli ad affrontare i sacrifici necessari a entrare nel club della moneta unica.
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Travaglio: spiegate a Renzi che aveva promesso di sparire
Tra i tanti fiaschi collezionati da Renzi nei tre anni della sua avventura politica nazionale, il più bruciante per lui è la scoperta che nessuno l’ha mai preso sul serio (a parte i lacchè e sciuscià della cosiddetta informazione, che peraltro hanno già messo a riposo le lingue in attesa del successore). In qualunque altro paese, un premier che per mesi giura di ritirarsi a vita privata, andare a casa, lasciare la politica e cambiare mestiere in caso di vittoria del No al referendum, sarebbe assediato dal suo e dagli altri partiti, dai suoi e dagli altrui elettori, e ovviamente dai media, con domande del tipo: “Perché ha mentito al popolo italiano? Con quale credibilità pensa di presentarsi alle prossime elezioni? Che aspetta a tornarsene a Pontassieve e a scomparire per sempre dalla circolazione?”. Invece niente: evidentemente tutti, mentre pronunciava quei solenni giuramenti, già sapevano che erano tutte balle. Il che, per uno che voleva cambiare la politica, l’Italia, l’Europa, ma non riesce a cambiare mestiere (forse perché non ne ha mai avuto uno), è il peggiore dei fallimenti.E così per la sua corte dei miracoli e miracolati. Pensate al discredito che travolgerebbe Cameron se, dopo aver promesso il ritiro in caso di Brexit, fosse rimasto alla guida dei conservatori con la scusa che il Remain ha avuto il 48,1% dei voti. E alle risate che seppellirebbero la Clinton, se fosse ancora lì che rompe perché ha preso più voti di Trump. Ma quelli sono paesi seri. In Italia si dà per scontato che il premier sia un pagliaccio. Infatti si trova normale che Renzi si appropri del 40% dei Sì e che al suo governo Renzi segua un Renzi-bis (patrocinato per giorni dai giornaloni) e, tramontato quello, che il premier uscente ma non uscito faccia le consultazioni a Palazzo Chigi manco fosse Mattarella e pretenda di scegliere i ministri-chiave del nuovo governo, di ricicciare addirittura la Boschi e di imbullonare il suo clone Lotti alla poltrona di sottosegretario per governare i servizi segreti, l’editoria e i dossier “sensibili”. Ora, probabilmente, nascerà un governicchio Gentiloni con la stessa maggioranza (l’unica possibile in questo Parlamento illegittimo di nominati e voltagabbana). È la soluzione non migliore (il meglio non ha più cittadinanza in Italia da decenni), ma meno peggiore.Paolo Gentiloni è un brav’uomo tendenza sughero, un galleggiante che non disturba, non sporca, dove lo metti sta. Più che un premier, una pianta grassa. L’ideale per la decantazione dopo tante risse fra e nei partiti, soprattutto il Pd. Purché non sia un prestanome e duri poco. Oltre giugno non sarebbe igienico andare, per due motivi: a) questo è il quarto governo nato all’insaputa degli elettori in cinque anni; b) prima di sei mesi è improbabile che il Parlamento faccia la legge elettorale. È vero che i governi non possono avere date di scadenza. Ma, vista la situazione eccezionale, i partiti dovranno trovare il modo di dargliene una, entro la quale dovranno fare senza tante discussioni ciò che va fatto subito. Che, attenzione, non è la legge elettorale: quella non è compito del governo, ma del Parlamento, su proposta della maggioranza, ma coinvolgendo le opposizioni o almeno parte di esse. Di leggi elettorali fatte dai governi per far perdere gli avversari ne abbiamo avute due in 10 anni, il Porcellum e l’Italicum, e sappiamo come sono finite. Sconsiglieremmo di riprovarci.(Marco Travaglio, estratto dell’editoriale pubblicato dal “Fatto Quotidiano” l’11 dicembre 2016, ripreso da “Dagospia”).Tra i tanti fiaschi collezionati da Renzi nei tre anni della sua avventura politica nazionale, il più bruciante per lui è la scoperta che nessuno l’ha mai preso sul serio (a parte i lacchè e sciuscià della cosiddetta informazione, che peraltro hanno già messo a riposo le lingue in attesa del successore). In qualunque altro paese, un premier che per mesi giura di ritirarsi a vita privata, andare a casa, lasciare la politica e cambiare mestiere in caso di vittoria del No al referendum, sarebbe assediato dal suo e dagli altri partiti, dai suoi e dagli altrui elettori, e ovviamente dai media, con domande del tipo: “Perché ha mentito al popolo italiano? Con quale credibilità pensa di presentarsi alle prossime elezioni? Che aspetta a tornarsene a Pontassieve e a scomparire per sempre dalla circolazione?”. Invece niente: evidentemente tutti, mentre pronunciava quei solenni giuramenti, già sapevano che erano tutte balle. Il che, per uno che voleva cambiare la politica, l’Italia, l’Europa, ma non riesce a cambiare mestiere (forse perché non ne ha mai avuto uno), è il peggiore dei fallimenti.
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Galloni: referendum inutile, se il padrone resta Bruxelles
Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.La inaspettata partecipazione e l’atteso No, interpretato come un’espressione di forte protesta, «testimoniano di un popolo assai consapevole e che non ha votato solo di pancia contro il governo renziano o di cuore a difesa della Costituzione, ma anche di testa per impedire una deriva che avrebbe peggiorato le condizioni sociali, economiche, politiche del paese», scrive Galloni su “Scenari Economici”. La controprova? «Sta nelle tre regioni dove il Sì ha prevalso: Toscana, Emilia Romagna, Trentino; le regioni dove si vive meglio e dove ha prevalso, quindi, quell’opportunismo pessimistico che ha consentito di accettare 35 anni di peggioramenti nel timore di perdere quello che si aveva». Finalmente il Centro-Sud «ha invece rialzato la testa», mentre le altre regioni del Nord – cioè «quelle che hanno vissuto, in questi decenni, la perdita del primato industriale» – hanno «segnato la vera sconfitta della controriforma boschiana». Contraccolpi devastanti? «Lo spread non si alzerà se la Bce continuerà a fare il suo normale lavoro; viceversa se tradisse, allora dovremo scendere in piazza qualora non ci fosse sufficiente consapevolezza in questo Parlamento, per ottenere soluzioni di difesa delle nostre istituzioni, ben diversamente da quanto accadde in Grecia (a causa della impreparazione a fronteggiare la situazione)».Ma, se al dunque, i cosiddetti “mercati” e la Bce attenueranno (come pare) le conseguenze del voto, nonostante l’evidente conflitto con questa Europa e la grande finanza, per Galloni rimane aperto un interrogativo di più largo respiro. Da una parte, «l’attuale assetto europeo ha sospeso il giudizio sull’Italia dando a intendere che, in caso di vittoria del Sì, ci sarebbe stata una mano leggera»; dall’altra, Renzi «aveva inaugurato una stagione almeno apparentemente nuova, per le scelte più importanti: flessibilità per le spese di accoglimento dei migranti, sforamento dei parametri per terremoti e altre emergenze, resistenza al “bail in” in nome del prevalere del problema titoli tossici sull’andamento delle cosiddette sofferenze bancarie». L’ultimo Renzi, dunque, «aveva cominciato a muoversi controcorrente e a dire cose interessanti, ma l’appoggio alla controriforma lo ha travolto». Ora, il punto è: impedire che, ancora una volta, si soffochi una corretta lettura dello scenario: l’Italia non può riallinearsi ai diktat Ue, deve invece imporre un cambio radicale di politica, rivendicando spazi vitali di sovranità. Viceversa, dalla crisi non si uscirà. E il referendum non sarà servito a niente.Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.
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Questo è un golpe di fatto, e va fermato con il nostro No
Mentre Obama sbaracca, la pacchiana cena di propaganda alla Casa Bianca conclude la sua disastrosa presidenza su una nota particolarmente squallida. Come Verdini e Alfano anche Obama sostiene la riforma renziana. L’appoggio del Supercazzaro degli Stati Uniti uscente, anzi ormai quasi uscito, potrebbe però essere controproducente per il sì almeno quanto quelli della Merkel, e della finanza internazionale. La riforma renziana, che sapeva chiaramente di sóla fin dall’inizio, adesso ha la stessa credibilità d’un farmaco consigliato da una ditta di pompe funebri. Non ci sono più dubbi su chi siano i mandanti di Renzi: abbiamo le rivendicazioni. Anche il fronte opposto ha purtroppo qualche Captain Boomerang, Monti, D’Alema, Brunetta, la Suicide Squad del no: un gruppo di bastardi costretti dalle circostanze a combattere dalla parte giusta, contro un bastardo ancora peggiore. Per quanto sia difficile immaginarsi Giorgia Meloni nei panni di Harley Quinn, la vittoria del no rimane comunque più che mai necessaria.L’endorsement di Obama al sì di Renzi è infatti direttamente condizionato all’impegno militare italiano in Libia e in Lettonia. Il no alla truffaldina riforma renziana è quindi anche un indispensabile no alla dissennata deriva neocoloniale. Un no alla guerra. Non a caso una delle modifiche, della quale il governo non parla, riguarda proprio l’articolo 78, che cambierebbe così: «Art. 78. – La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Con l’Italicum, il partito che vince il ballottaggio ottiene automaticamente la maggioranza assoluta alla Camera, quindi sia il governo, che il potere esclusivo di dichiarare guerra indisturbato come un monarca assoluto. Questo è un golpe di fatto, e deve essere fermato.Per la prima volta da anni un nostro voto potrà davvero fare la differenza. E non certo per merito dell’attuale classe dirigente, è la Costituzione che vuole rottamare a prevedere questo obbligatorio passaggio referendario, un fail safe che Renzi non è riuscito ad aggirare, benché ci abbia provato col Patto del Nazareno. Per la prima, e probabilmente ultima volta abbiamo l’occasione di scaraventare la Boschituzione – Costituzione Boschi – nel cassonetto dell’indifferenziata al quale appartiene, e liberarci d’un governo di cazzari arroganti, incapaci, guerrafondai, completamente asserviti alla finanza internazionale e all’industria bellica, che è diventato anche fisicamente pericoloso. Perdere questa occasione per noi sarebbe il vero suicidio.(Alessandra Daniele, “Sbarack Oboomerang”, da “Megachip” del 23 ottobre 2016)Mentre Obama sbaracca, la pacchiana cena di propaganda alla Casa Bianca conclude la sua disastrosa presidenza su una nota particolarmente squallida. Come Verdini e Alfano anche Obama sostiene la riforma renziana. L’appoggio del Supercazzaro degli Stati Uniti uscente, anzi ormai quasi uscito, potrebbe però essere controproducente per il sì almeno quanto quelli della Merkel, e della finanza internazionale. La riforma renziana, che sapeva chiaramente di sóla fin dall’inizio, adesso ha la stessa credibilità d’un farmaco consigliato da una ditta di pompe funebri. Non ci sono più dubbi su chi siano i mandanti di Renzi: abbiamo le rivendicazioni. Anche il fronte opposto ha purtroppo qualche Captain Boomerang, Monti, D’Alema, Brunetta, la Suicide Squad del no: un gruppo di bastardi costretti dalle circostanze a combattere dalla parte giusta, contro un bastardo ancora peggiore. Per quanto sia difficile immaginarsi Giorgia Meloni nei panni di Harley Quinn, la vittoria del no rimane comunque più che mai necessaria.
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Formica: Renzi asfaltato dai No, poi deciderà il Vaticano
«Il referendum sarà una bomba, sarà come quello sulla Repubblica. Scaverà nel tempo e porrà il problema della post-democrazia dei partiti: senza democrazia o con più democrazia?». Domanda lancinante, e Rino Formica non ha dubbi: vincerà il No. Il socialista più volte ministro, uomo dalle celeberrime definizioni fulminanti («la politica è sangue e merda») è presidente onorario del comitato dei “socialisti per il No”. «La contro-riforma Renzi-Boschi rende irreversibile l’effetto disastroso dell’erosione del principio di rigidità costituzionale», dichiara a Daniela Preziosi che l’ha intervistato per il “Manifesto”. Il rischio: si torna allo Statuto Albertino, «una costituzione flessibile, che poteva essere modificata con legge ordinaria e che consentì di cambiare la forma di Stato, tant’è che con lo Statuto Albertino morì lo Stato liberale e s’impose il fascismo». La contro-riforma renziana punta a demolire le «norme valoriali» della Carta, che «vincola i governi all’equità nella distribuzione, a una politica fiscale progressiva». Formica non ha dubbi: vincerà il No, data «la somma delle difficoltà del paese». Ma non ci sarà il caos, come paventa Confindustria: dopo Renzi «ci sarà un governatore papalino».La “grandezza” della Chiesa starebbe nell’intercambiabilità dei personaggi: «Quello che viene dopo non è mai in continuità con quello di prima perché è la scelta ad hoc per il tempo», dice Formica, nell’intervista ripresa da “Dagospia”. E Renzi? «Viene da un mondo minore, di periferia. I toscani sono, senza offesa, i napoletani del centro-nord. Sono imbroglioni, mercanti e banchieri, massoni e cattolici, guelfi e ghibellini». Quanto ai laici, «devono avere l’intelligenza di usare la risorsa di recupero di fiato che offre la Chiesa». Per recuperare consenso in vista del referendum, domanda Daniela Preziosi, Renzi farà una finanziaria elettorale? «Alla storia degli elettori che si vendono per una mancia credo poco», risponde l’ex ministro. Sicché il Pd cambierà gestione, in caso di sconfitta renziana? «Bersani oggi rappresenta l’area degli ingiustamente umiliati. E come diceva Che Guevara, gli umiliati sono una forza indomabile», sostiene Formica. «Ma la vittoria del No aprirà la riorganizzazione di tutto il sistema politico. Tutta la realtà umiliata nel Pd e soprattutto quella, grande, stomacata. Che è la realtà vera dei 5 Stelle. Gli stomacati di tutto il sistema, e anche della sinistra larga».Per ora però questa sinistra larga è una galassia dispersa, divisa e rissosa, osserva il “Manifesto”. Ma per Formica non è un problema: «Il No sarà una sveglia. Non un fulmine ma un suono di campane. Gli ufficiali si vedranno sul campo». E il Renzi che ora parla di Ponte sullo Stretto non fa venire in mente Berlusconi o Craxi? «Ma no, Craxi era inorganico ai poteri costituiti. Renzi invece sceglie disinvoltamente tutti i giorni un potere da accattivarsi. Non ha il senso dello Stato, è un premier che va a dire “caro Pietro” al presidente di un’azienda che è in causa con lo Stato. Ormai crede di essere un Re Sole. Perché chi non è intelligente va a Palazzo Chigi ed è preso dalle vertigini dell’altezza. Perché tutti fanno capo lì, tutti vogliono qualcosa. E siccome lui non è in condizione di selezionare, sceglie secondo le convenienze. Oggi con i sindacati è finita, poi ha bisogno del consenso, allora riapre la Sala Verde. Poi la richiuderà». Renzi passerà come è passato Berlusconi, che oggi ha ottant’anni? «Berlusconi è stato un traghettatore dalla politica dogmatica alla politica fru-fru dello spettacolo. Ma era uno spettacolo simpatico. Quello di oggi, invece – chiosa Formica – è uno spettacolo triste perché è sfacciatamente sprezzante nei confronti degli imbrogliati. Ma certo Berlusconi è il padre di Renzi, un figlio venuto male, un monello di strada».«Il referendum sarà una bomba, sarà come quello sulla Repubblica. Scaverà nel tempo e porrà il problema della post-democrazia dei partiti: senza democrazia o con più democrazia?». Domanda lancinante, e Rino Formica non ha dubbi: vincerà il No. Il socialista più volte ministro, uomo dalle celeberrime definizioni fulminanti («la politica è sangue e merda») è presidente onorario del comitato dei “socialisti per il No”. «La contro-riforma Renzi-Boschi rende irreversibile l’effetto disastroso dell’erosione del principio di rigidità costituzionale», dichiara a Daniela Preziosi che l’ha intervistato per il “Manifesto”. Il rischio: si torna allo Statuto Albertino, «una costituzione flessibile, che poteva essere modificata con legge ordinaria e che consentì di cambiare la forma di Stato, tant’è che con lo Statuto Albertino morì lo Stato liberale e s’impose il fascismo». La contro-riforma renziana punta a demolire le «norme valoriali» della Carta, che «vincola i governi all’equità nella distribuzione, a una politica fiscale progressiva». Formica non ha dubbi: vincerà il No, data «la somma delle difficoltà del paese». Ma non ci sarà il caos, come paventa Confindustria: dopo Renzi «ci sarà un governatore papalino».