Archivio del Tag ‘Mario Monti’
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“Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra
Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».
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C’era una volta Bagnai: farà l’acchiappa-dissenso, pro Silvio
La Lega, vivendo all’ombra e sotto il cappello di Berlusconi – uomo Nato, piduista, miliardario e ancora utile alla sovrastruttura atlantista – essendo un partito liberista con ricette economiche padronali, è servito, nella sua prima fase costituente, a destrutturare il concetto di Stato sociale, di sovranità nazionale e di statalismo. E il suo finto separatismo d’accatto, in passato, è stato uno strumento utile allo schema di potere. Poi, nella “fase due”, la Lega è stata partito di governo, senza produrre nulla di utile e cambiando idea su tutti i fronti, a seconda delle esigenze elettorali. Quello è stato anche il periodo dei grandi scandali, della bancarotta, dei diamanti in Tanzania (della serie “aiutiamoli a casa loro, ma senza i loro diamanti”). Infine, arriviamo ai giorni nostri, dove la Lega svolge – per conto terzi – la “fase tre”, ovvero quella di contenitore del dissenso populista, e soprattutto quella di metabolizzatore della rabbia popolare. Il tutto alle dipendenze del centrodestra, parte politica che in passato ha votato euro, Trattato di Lisbona, Jobs Act, Fornero e guerre insieme al Pd, dopo aver sponsorizzato Renzi come finto antagonista. I contenitori di dissenso sono importanti, nello schema del potere, quando il Re è troppo svestito, e va spostato un bersaglio troppo visibile ai sudditi.Prima fu il Movimento 5 Stelle, che oggi pare abbia iniziato ad esaurire la sua spinta propulsiva originale: dopo l’abbandono di Grillo il partito – come previsto anni fa – inizerà a spappolarsi in diversi fronti, avendo esaurito il compito per il quale i suoi mentori occulti l’avevano plasmato, all’ombra del comico, nonostante oggi abbia candidato così tante persone, dalla cosiddetta società civile. Ma oggi è il turno della Lega, che (con Salvini) ha avviato il corso nazionalista sovranista: lui, l’ultimo araldo e baluardo per infinocchiare ancora una volta l’elettorato, dirigendolo verso bersagli comodi, lontano dai veri obiettivi, puntando come sempre sulla guerra tra poveri e alzando il tiro, rispetto ai più moderati pentastellati. Sono entrambi contenitori politici che servono a comprimere e metabolizzare il dissenso, ai quali il servo delega le proprie istanze e speranze, nel solco della tipica tradizione mariana italiana. Arriviamo al capolavoro di Salvini e soci: quello di aver sedotto definitivamente l’economista Bagnai, persona che stimo molto per le sue battaglie e competenze tecniche, e che domani si candiderà (come indipendente) in un partito che lo ha strumentalmente e fortemente voluto. Bagnai porterà voti dissidenti e, andando nell’alleanza con Berlusconi, annullerà – volente o nolente – proprio quel paradigma rivoluzionario che lo contraddistingueva.La Lega l’ha voluto per due motivi fondamentali: uno, attirare voti sovranisti; due, annullare i sovranisti in un contenutore “forno alchemico”, trasformandoli da oro in merda. Mossa intelligente, quella di Salvini: come un esperto giocatore di poker ha fatto bene i suoi calcoli, e ha previsto in anticipo le mosse. Bravo Salvini. Forza Lega – anzi: Forza Italia. Bagnai usa le colpe della sinistra come scusante per la sua, di colpa. L’essere passato a destra è, di fatto, un tradimento politico: se era la lotta di classe, che gli stava a cuore, scoprirà che – come non la fa la sinistra – non la fa neppure la destra. In lui hanno prevalso aspetti legittimamente più egoici, dopo tanti rifiuti dalla sinistra, che ancora una volta presenta un conto salato ai suoi (forse, domani) ex elettori. Per la proprietà transitiva, Bagnai diventa di proprietà di Silvio – ergo, delle forze piduiste e atlantiste che l’hanno “piazzato”, e che anche se qualcuno pensava fosse sotto attacco (ma quando mai?!) ancora ne usufruiranno, per scopi diametralmente opposti a quelli per i quali Bagnai ha deciso di scendere in campo. La Lega, avendo candidato proprio i dissidenti sovranisti, li ha – per così dire – metabolizzati, annullandone l’impatto rivoluzionario e dirompente di contrapposizione al sistema. Aprite gli occhi.(“Lega e Salvini, finti antagonisti e nuovi contenitori del dissenso”, nota firmata da “Maestro di Dietrologia” nella puntata 259 di “Border Nights”, 30 gennaio 2018).La Lega, vivendo all’ombra e sotto il cappello di Berlusconi – uomo Nato, piduista, miliardario e ancora utile alla sovrastruttura atlantista – essendo un partito liberista con ricette economiche padronali, è servito, nella sua prima fase costituente, a destrutturare il concetto di Stato sociale, di sovranità nazionale e di statalismo. E il suo finto separatismo d’accatto, in passato, è stato uno strumento utile allo schema di potere. Poi, nella “fase due”, la Lega è stata partito di governo, senza produrre nulla di utile e cambiando idea su tutti i fronti, a seconda delle esigenze elettorali. Quello è stato anche il periodo dei grandi scandali, della bancarotta, dei diamanti in Tanzania (della serie “aiutiamoli a casa loro, ma senza i loro diamanti”). Infine, arriviamo ai giorni nostri, dove la Lega svolge – per conto terzi – la “fase tre”, ovvero quella di contenitore del dissenso populista, e soprattutto quella di metabolizzatore della rabbia popolare. Il tutto alle dipendenze del centrodestra, parte politica che in passato ha votato euro, Trattato di Lisbona, Jobs Act, Fornero e guerre insieme al Pd, dopo aver sponsorizzato Renzi come finto antagonista. I contenitori di dissenso sono importanti, nello schema del potere, quando il Re è troppo svestito, e va spostato un bersaglio troppo visibile ai sudditi.
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L’Italia è malata di cancro, per colpa della vera mafia: l’Ue
«Non mi ero scordato della profezia Montanelli sull’Italia che avrebbe dovuto immunizzarsi da Berlusconi», dice Paolo Barnard, che oggi propone di “immunizzarsi” dai 5 Stelle (votandoli) che il giornalista considera un’autentità calamità nazionale per inadeguatezza e impreparazione, inaudita suddistanza al padre-padrone Grillo e al vertice del “partito-azienda” incarnato dalla struttura dei Casaleggio. L’anziano Montanelli, irritato per la “discesa in campo” del Cavaliere nel ‘94? «L’impianto teorico dell’immunizzazione era giustissimo», ma il direttore del “Giornale” sbagliò bersaglio: «Il motivo per cui l’Italia non s’immunizzò da Berlusconi fu che Berlusconi è stato, delle due, una cura per l’Italia. Montanelli – che fu socialmente miope come una talpa incappucciata quando credette che l’Italia ‘bene’ l’avrebbe seguito fuori dal “Giornale” – fu trascinato dalla bestiale ondata Travaglio-Vajont la cui narrativa era che il Cavaliere rappresentava la porno-Nutella della mafia a Palazzo Chigi, cioè il peggio mai conosciuto dall’Italia di Calamandrei». Per Barnard, il tragico errore di quel postulato montanelliano «fu nella sua totale incomprensione di cosa sia una vera mafia e di cosa sarebbe stato il peggio mai conosciuto dall’Italia».«La vera mafia, cioè una cupola non eletta e mirante a spolpare vivo senza pietà il popolo italiano, non stava affatto a Palermo, ma a Bruxelles», scrive Barnard nel suo blog. «La mafia di Palermo, dai tempi di Garibaldi in poi, mai ebbe (e mai avrà) il potere di ridurre quello che era il settimo più ricco paese del pianeta a un maiale (Piigs) d’Europa». Un “maiale” «ridicolizzato dal mondo, bastonato e rapinato dalla Germania, e tutto ciò in meno di 11 anni». Insiste, Barnard: «Bruxelles con la sua vera mafia c’è riuscita, ha avuto questo potere». Quanto alla politica italiana, «chi era di casa a Palermo era Berlusconi», mentre «chi era di casa a Bruxelles erano Amato, Ciampi, Padoa Schioppa, Visco, D’Alema», fino ai “salvifici” tecnocrati come Vittorio Grilli e Pier Carlo Padoan. «E guardatevi intorno come ci hanno ridotti. Goldman Sachs nel suo Global Outlook 2017 boccia nell’imbarazzo una sola nazione europea: l’Italia delle riforme dei sopraccitati criminali collusi, oggi ultima in Ue sotto la Spagna e la Grecia come proiezioni di crescita». Il peggio mai conosciuto dall’Italia? «Fu di fatto, e per 16 anni filati, contrastato (almeno un minimo) solo da Silvio Berlusconi, «che per questo fu deposto nel golpe finanziario del novembre 2011 (Trichet-Monti-Napolitano)», che Barnard per primo denunciò «con grafici e prove» in televisione, a “Matrix” (“Canale 5”) e poi a “L’Ultima Parola” e “La Gabbia” (La7).Una «criminale opera di distrazione di massa, divenuta distruzione», secondo Barnard è stata condotta da «speculatori come Travaglio, Luttazzi, Biagi, Santoro, la Guzzanti, Gomez e il codazzo poi nato, anche con Mediobanca e De Benedetti», Quella violenta propaganda contro Berlusconi impedì (e oggi impedisce) a tre quarti del paese di pervenire all’orribile verità. Montanelli? «Ci chiese d’immunizzarci dal sudore, cosa inutile e impossibile, mentre un melanoma micidiale stava invadendo la pelle di tutta l’Italia col Trattato di Maastricht». Giunti a questo punto, cioè alla farsa conclamata delle elezioni 2018 (promesse-fotocopia e nessun accenno alle vere cause Ue della crisi), Barnard ribadisce che voterà proprio per i detestati grillini, che a suo dire «rappresentano una tripla voragine». Ovvero: «L’allucinante speculazione della CasaleggioForProfit su 60 milioni di noi», nonché «la più intimidatoria cultura dell’omertà-terrore in un partito, dal fascismo a oggi», e infine «la mortale impreparazione di chiunque lì dentro a governare un paese quasi morto fra Usa, Cina ed Emergenti». Il Movimento 5 Stelle? «Davvero è come la peste», scrive Barnard. Per cui, conclude, «dobbiamo “ammalarci di loro”, e sperare nella immunizzazione per sempre dal peggior partito italiano dai giorni di Calamandrei».«Non mi ero scordato della profezia Montanelli sull’Italia che avrebbe dovuto immunizzarsi da Berlusconi», dice Paolo Barnard, che oggi propone di “immunizzarsi” dai 5 Stelle (votandoli) che il giornalista considera un’autentità calamità nazionale per inadeguatezza e impreparazione, inaudita sudditanza al padre-padrone Grillo e al vertice del “partito-azienda” incarnato dalla struttura dei Casaleggio. L’anziano Montanelli, irritato per la “discesa in campo” del Cavaliere nel ‘94? «L’impianto teorico dell’immunizzazione era giustissimo», ma il direttore del “Giornale” sbagliò bersaglio: «Il motivo per cui l’Italia non s’immunizzò da Berlusconi fu che Berlusconi è stato, delle due, una cura per l’Italia. Montanelli – che fu socialmente miope come una talpa incappucciata quando credette che l’Italia ‘bene’ l’avrebbe seguito fuori dal “Giornale” – fu trascinato dalla bestiale ondata Travaglio-Vajont la cui narrativa era che il Cavaliere rappresentava la porno-Nutella della mafia a Palazzo Chigi, cioè il peggio mai conosciuto dall’Italia di Calamandrei». Per Barnard, il tragico errore di quel postulato montanelliano «fu nella sua totale incomprensione di cosa sia una vera mafia e di cosa sarebbe stato il peggio mai conosciuto dall’Italia».
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Renzi sicuro perdente, e l’astensionismo minaccia i 5 Stelle
Quanti astenuti in più ci saranno e che partiti “puniranno”? Quanti astenuti invece torneranno alle urne? E chi voteranno? C’è chi teme l’esito delle regionali siciliane, con oltre il 50% di astensionismo. I sondaggi oscillano, danno il non-voto attorno al 35% e giurano che a disertare le urne saranno soprattutto i giovani. Per Aldo Giannuli, è probabile (ma non certo) che i “disertori” colpiranno in particolare il Pd ed il M5S, perché ad astenersi «è un elettore deluso da un determinato partito», un cittadino «che non trova sulla scheda un simbolo che possa rappresentare la sua protesta». Difficile che questo sia l’indentikit dell’elettore del centrodestra, oggi «in pieno rilancio». L’area del non-voto «potrebbe alimentarsi di elettori che non gradiscono il candidato uninominale (magari un leghista che si trova un ex alfaniano o uno di Forza Italia, o viceversa) e questo trova nel carattere molto composito della coalizione un possibile varco, ma è presumibile che si tratti di flussi abbastanza circoscritti». Un po’ più consistenti, sostiene Giannuli, sono i rischi del Pd, «su cui pesa la delusione per i cinque anni di governo (e aggiungendo l’anno di Monti che va messo sul conto del Pd)». Magari a incrociare la braccia è un elettore «che ha votato “no” al referendum, che dà per persa la partita, e che però non se la sente di votare per il M5S o per il centrodestra».Questo elettore ex-Pd ha però «la carta di riserva di Leu», per cui questo flusso in uscita, «ragionevolmente più consistente di quello del centrodestra», potrebbe dividersi tra chi si astiene e chi invece vota “Liberi e Uguali”. Ma il più insidiato dall’astensione, secondo Giannuli, è certamente il Movimento 5 Stelle «per due ottime ragioni: in primo luogo perché si tratta di voti di protesta che non riesce a intercettare (e quindi questo compromette una eventuale crescita), in secondo luogo perché potrebbe riguardare elettori che hanno votato quel movimento nel 2013 ma poi ne sono stati delusi». Perfettamente spiegabile: basta sommare «l’elettore più anti-sistema che trova troppo moderata l’offerta di Di Maio, quello romano deluso dalla gestione della Raggi, quello che non apprezza il candidato uninominale che si trova, quello escluso dalle “parlamentarie” (o quello che sosteneva un escluso)». Ex grillini, «che non si sentono di votare altri partiti». Le elezioni europee del 2014, ricorda Giannuli, riservarono una cattiva sorpresa al M5S: i pronostici lo davano vincente, e invece arretrò di 4 punti. «Quel risultato conteneva un avvertimento: il M5S ha uno zoccolo duro che resiste e non si sposta», e che probabilmente comprende, almeno per ora, la parte maggiore del suo elettorato, «ma ha anche una fascia che oscilla verso l’astensione: e infatti nel 2014 l’astensione crebbe, e in misura maggiore, dove il M5S perdeva di più».Dunque, continua il politologo, i 5 Stelle devono guardare con molta attenzione a questo lato, che rappresenta la loro principale incertezza, «mentre non sembrano molti i rischi di elettori che passino ad altri partiti (forse qualche piccolo flusso verso “Leu” e un altro, altrettanto piccolo, verso la Lega)». E i flussi di rientro dall’astensione? Prima di tutto potrebbero dirigersi proprio verso i grillini, per la loro contiguità all’elettorato astensionista, e poi verso il centrodestra, «che negli ultimi anni ha visto forti flussi verso l’astensione e che oggi potrebbero rientrare per effetto del nuovo Berlusconi vincente». Viceversa, non sembra probabile che il Pd possa giovarsene molto: «Difficilmente i partiti di governo uscenti intercettano voto ex-astensionista, a meno di un clamoroso consenso alle sue politiche di governo», di cui però non c’è traccia nel caso dell’odierno Pd. Infine, la terza incognita: come giocherà il “voto utile”? «Il Pd, sino ad oggi, si è costantemente giovato del “voto utile” che, detto altrimenti, è il “voto contro”: forse io non sono quello che vorresti, ma se non vuoi far vincere quello che ti piace ancor meno, devi votare per me». Questa volta, però, la dinamica del “voto utile” gioca a sfavore del Pd: «L’elettore che proprio non vuole un altro governo Berlusconi (o come si chiamerà il suo prestanome) è indotto a votare 5 Stelle (come è successo in Sicilia, dove il candidato presidente del M5S ha preso ben l’8% in più della lista di partito) e, viceversa, quello che vede i 5 Stelle al governo come una irrimediabile iattura è indotto a votare per il centrodestra». Conclude Giannuli: «Più la campagna sarà un duello fra centrodestra e 5 Stelle, e più il Pd perderà voti».Quanti astenuti in più ci saranno e che partiti “puniranno”? Quanti astenuti invece torneranno alle urne? E chi voteranno? C’è chi teme l’esito delle regionali siciliane, con oltre il 50% di astensionismo. I sondaggi oscillano, danno il non-voto attorno al 35% e giurano che a disertare le urne saranno soprattutto i giovani. Per Aldo Giannuli, è probabile (ma non certo) che i “disertori” colpiranno in particolare il Pd ed il M5S, perché ad astenersi «è un elettore deluso da un determinato partito», un cittadino «che non trova sulla scheda un simbolo che possa rappresentare la sua protesta». Difficile che questo sia l’indentikit dell’elettore del centrodestra, oggi «in pieno rilancio». L’area del non-voto «potrebbe alimentarsi di elettori che non gradiscono il candidato uninominale (magari un leghista che si trova un ex alfaniano o uno di Forza Italia, o viceversa) e questo trova nel carattere molto composito della coalizione un possibile varco, ma è presumibile che si tratti di flussi abbastanza circoscritti». Un po’ più consistenti, sostiene Giannuli, sono i rischi del Pd, «su cui pesa la delusione per i cinque anni di governo (e aggiungendo l’anno di Monti che va messo sul conto del Pd)». Magari a incrociare la braccia è un elettore «che ha votato “no” al referendum, che dà per persa la partita, e che però non se la sente di votare per il M5S o per il centrodestra».
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Ma la bufera sulle logge non sfiora la massoneria che conta
«Aboliamo la massoneria», titola “L’Espresso”, di fronte all’offensiva della commissione antimafia guidata da Rosy Bindi, dopo la denuncia di una trentina di massoni calabresi “dissidenti”, usciti allo scoperto in seguito a un’indagine su riciclaggio e narcotraffico. «Un’inchiesta politica e giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 mette sotto scacco il mondo degli incappucciati», scrive il settimanale di De Benedetti. « E la commissione antimafia vuole i nomi degli affiliati: era ora, ma non basta». Il reportage di Gianfrancesco Turano, che documenta l’attività investigativa allora in corso, risale a una anno fa e fotografa alla perfezione il clamore suscitato dalla Bindi, a mezzo stampa: «C’è da sperare che venga rieletta: in politica farebbe comunque meno danni che all’università, dove tornerebbe a insegnare», commenta sarcastico il massone Gianfranco Carpeoro, saggista, già a capo dell’autodisciolta Gran Loggia Serenissima di Piazza del Gesù. Carpeoro (al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso) è uno spietato giudice dei grembiulini nazionali: «Quella italiana è la peggior situazione massonica al mondo: quando va bene, entrare in una loggia oggi significa perdere il proprio tempo». Ancora più caustico un altro massone progressista, Gioele Magaldi, che contesta l’ipocrisia del sistema politico-mediatico: «Se la prendono sempre con le logge provinciali, fingendo di non sapere che i massimi vertici dello Stato militano nelle Ur-Lodges sovranazionali che hanno imposto all’Italia la tragedia dell’austerity».«Ci vogliono mettere il triangolo rosso come ai tempi delle persecuzioni naziste», protesta il gran maestro del Goi, Stefano Bisi, a capo di 23.000 affiliati distribuiti in oltre 800 logge. Sull’“Espresso”, Turano sostiene che le nuove indagini «hanno stretto i liberi muratori in una morsa politico-giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 (marzo 1981) quando Licio Gelli, il “venerabile” per eccellenza, gestiva un potere occulto, alternativo allo Stato democratico, raccogliendo un’oligarchia di deputati, ministri, generali, imprenditori e criminali che si erano sottratti alle leggi della Repubblica». Il giornale cita lo storico Aldo Mola, secondo cui la P2 non era affatto una loggia coperta, ma una cellula speciale regolarmente affiliata al Goi, con tre caratteristiche. «Primo: l’iniziazione non avveniva in loggia. Secondo: non c’era diritto di visita, ossia altri fratelli non potevano visitare la loggia. Terzo: non c’era obbligo di riunioni. Infatti la P2 non si è mai riunita». La loggia di Gelli, afferma Mola, era una replica della loggia Propaganda, costituita nel 1877 «come vetrina e fiore all’occhiello del Goi, tanto che i fratelli erano dispensati dal pagare le quote». Peraltro, si trattava di “capitazioni” ridicole: «Il cantante Claudio Villa versava 2 mila lire all’anno e lo scrittore Roberto Gervaso 60 mila. Erano somme piccole anche negli anni Settanta».Finisce lì, l’analisi sulla P2 offerta dall’“Espresso”. Secondo Gioele Magadi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere) la P2 non era altro che il braccio operativo della superloggia sovranazionale “Three Eyes”, fondata da Kissinger e Rockefeller, “mente” storica della supermassoneria globalista neo-reazionaria, che avrebbe affiliato – tra gli altri – Giorgio Napolitano. Un circuito potentissimo, quello delle Ur-Lodges di ispirazione neo-aristocratica, che terrebbe insieme politici e tecnocrati, da Monti a Draghi passando per D’Alema e per il governatore Visco di Bankitalia, inclusi tutti i recenti ministri dell’economia (da Siniscalco a Grilli, da Saccomanni a Padoan), ridotti a cinghie di trasmissione dei diktat neoliberisti del super-potere globalista, quello delle crisi finanziarie e della disoccupazione di massa. Lo stesso Carpeoro, che nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione) svela i retroscena ben poco islamici degli attentati europei firmati Isis (chiamando in causa settori dell’intelligence Nato), sostiene che la P2 di Gelli serviva a “coprire” il vero ponte di comando del potere: «Si tratta della loggia P1, mai scoperta ufficialmente, responsabile della “sovragestione” che ha eterodiretto in Italia la strategia della tensione e poi la crisi degli ultimi anni».Fatevi qualche domanda, insiste Carpeoro: «Non è strano che nessun giornale, nemmeno per sbaglio, abbia mai evocato la P1?». La lettera P, come scrive lo stesso Mola, sta per “propaganda”: doveva essere una vetrina di iscritti prestigiosi, destinati a dare lustro al Grande Oriente. «E allora che senso ha, poi, fare la P2 e tenerla nascosta?». In proposito, Carpeoro ha le idee chiare: «Un tempo, ogni anno, la massoneria apriva le porte delle logge alla cittadinanza, ricordando i massoni illustri che avevano fatto qualcosa di meritevole per la loro città». Dal canto suo, Magaldi contesta il farisaismo della politica italiana: «Questo è uno Stato nato dalla massoneria risorgimentale», e non solo: era notoriamente massone Meuccio Ruini, capo della commissione per la Costituente, così come il giurista Pietro Calamandrei, uomo simbolo dell’antifascismo e della rinascita democratica del paese. Era massone – trentatreesimo grado del Rito Scozzese – lo stesso Giacomo Matteotti, martire antifascista, come ricorda Carpeoro nel saggio “Il compasso, il fascio e la mitra” (Uno Editori), che documenta lo strano “inciucio” tra massoneria e Vaticano all’origine del regime di Mussolini – col placet del sovrano Vittorio Emanuele III, che in cambio avrebbe intascato una maxi-tangente petrolifera dalla Sinclair Oil della famiglia Rockefeller.Grandi poteri, non beghe di cortile: il reportage dell’“Espresso” cita solo di striscio il drammatico caso Mps, che ha coinvolto il Goi nelle recenti inchieste. «Politica e giornali hanno attaccato il gran maestro Stefano Bisi – protesta Magaldi – guardandosi bene dal citare Anna Maria Tarantola e Mario Draghi, cioè i due tecnocrati allora ai vertici di Bankitalia che avrebbero dovuto vigilare sulle azioni del Montepaschi». Peggio: sul caso incombe la strana morte di David Rossi, alto funzionario della banca senese, precipitato da una finestra. Un suicidio da più parti ritenuto inverosimile, che secondo Carpeoro (intervistato da Fabio Frabetti di “Border Nights”) lascia pensare a una guerra inframassonica senza esclusione di colpi, tutta interna all’ala destra della supermassoneria internazionale oligarchica: «Da una parte il gruppo di Draghi, e dall’altra i suoi antagonisti, che probabilmente vogliono metterlo in difficoltà – con la tempesta su Mps – per poi arrivare a sostituirlo». Carpeoro e Magaldi, massoni entrambi (il primo uscito dal circuito delle logge, il secondo fondatore del Grande Oriente Democratico, che punta a creare una massoneria trasparente) sono tra i pochissimi a spiegare, in modo convincente, un mondo di cui sui giornali continua a non esservi traccia.Lo stesso libro “Massoni” (sottotitolo, “La scoperta delle Ur-Lodges”), dopo infinite ristampe che ne hanno fatto un bestseller italiano è stato recensito soltanto dal “Fatto Quotidiano”, nel silenzio assordante della grande stampa mainstream, quella che poi si scatena sulle inchieste che coinvolgono le periferie massoniche provinciali. «Come tutte le associazioni umane, anche la massoneria si degrada se smarrisce lo scopo iniziale e si riduce a essere una struttura, che poi diventa inevitabilmente appetibile per il potere», sintetizza Carpeoro: «L’architetto Christopher Wren, capo della massoneria inglese incaricato di ricostruire Londra dopo l’incendio che la distrusse nel 1666, riprogettò tutti i maggiori edifici tranne uno, il tempio massonico. Il 1717 è ufficialmente la data di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della sua morte». Magaldi non concorda appieno: «Dobbiamo a quella massoneria la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Americana e persino la Rivoluzione d’Ottobre che abbattè lo zarismo. Lo Stato laico, la democrazia elettiva: valori che oggi diamo per scontati, ma che nascono dalla libera muratoria del ‘700».Per questo, sostiene Magaldi, è assolutamente disonesto sparare sulla massoneria tout-court. E lo dice uno che l’ha messa in croce, per iscritto, la supermassoneria oligarchica “contro-iniziatica” che ha letteralmente inquinato l’Occidente, sabotandone il percorso democratico. Nel suo libro, Magaldi ascrive alle Ur-Lodges reazionarie il colpo di Stato del massone Pinochet in Cile (contro il massone Allende) e il doppio omicidio di Bob Kennedy e del massone Martin Luther King, nonché i tentativi di golpe nell’Italia del dopoguerra, orchestrati con la collaborazione della P2 di Gelli su mandato della “Three Eyes”. Capolavoro europeo dell’offensiva neo-oligarchica, l’omicidio del premier svedese Olof Palme, assassinato nel 1986 alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu, come segretario generale. «Socialista democratico – sottolinea Carpeoro – Palme era un trentatreesimo grado del Rito Scozzese». Poco prima del delitto, Gelli inviò un telegramma negli Usa per avvertire che «la palma svedese» sarebbe stata abbattutta. «Il telegramma – scrive Carpeoro – era destinato a Philip Guarino, parlamentare allora vicino al politologo Michael Ledeen, massone e membro del B’nai B’rit sionista, negli anni ‘80 vicino a Craxi e poi a Di Pietro, quindi a Renzi ma al tempo stesso anche a Di Maio e Grillo».«Se Olof Palme fosse rimasto in campo, mai e poi mai avremmo visto nascere questo obbrobrio di Unione Europea», scommette Carpeoro, intenzionato – con Magaldi e il Movimento Roosevelt – a promuovere un convegno, a Milano, proprio sulla figura del leader svedese, «l’uomo che creò il miglior welfare europeo e scongiurò la disoccupazione impegnando direttamente lo Stato nelle imprese in crisi: la sua missione dichiarata era “tagliare le unghie al capitalismo”, contenerlo e limitarne l’egemonia». Non poteva non sapere, Olof Palme, che all’inzio degli anni ‘80 l’intera comunità delle potentissime Ur-Lodges, comprese quelle di ispirazione progressista, aveva firmato lo storico patto “United Freemasons for Globalization”, che diede il via alla mondializzazione definitiva dell’economia, archiviando decenni di diritti e conquiste democratiche. Era scomoda, la “palma svedese”: andava “abbattuta”. Per mano di fratelli massoni? «Nella ritualistica, l’iniziazione del maestro rievoca l’uccisione del mitico architetto Hiram Abif, assassinato proprio da due confratelli», sottolinea Carpeoro. «Lo stesso organizzatore del delitto Matteotti, il massone Filippo Naldi, fece in modo – con estrema perfidia – che fossero massoni i killer del leader socialista, massone anche lui».Analisi e retroscena, spiegazioni, ragionamenti in controluce che permettono di rileggere la storia da un’altra angolazione. Nulla che si possa rintracciare, tuttora, nella stampa mainstream. «Di certo Gelli, a poco più di un anno dalla sua morte, sembra avere seminato anche troppo bene», si limita a scrivere Turano sull’“Espresso”. «Come alla fine dell’Ottocento, è tornato di moda il motto del garibaldino e deputato Felice Cavallotti: “Non tutti i massoni sono delinquenti, ma tutti i delinquenti sono massoni”». Garibaldi, passato alla storia (spesso agiografica) come “l’eroe dei due mondi”, fu il primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Un altro massone, Cavour, fu il “cervello” del Risorgimento: se non fosse morto prematuramente, sostiene Carpeoro, non avremmo vissuto in modo così drammatico l’Unità d’Italia, con il Sud martizizzato dal militarismo di La Marmora e Cialdini e l’esodo di milioni di migranti. Massoni “delinquenti”? «Erano massoni anche Gandhi, Papa Giovanni XXIII e Nelson Mandela», protesta Magaldi. Problema: la storia ufficiale non ne fa cenno. Risultato: per il potere, il miglior massone resta il massone occulto, segreto. E per la gran parte dell’opinione pubblica italiana, la massoneria resta un mondo opaco e borderline, tra le indagini antimafia e il fantasma di Gelli. Anche per questo, grazie al silenzio dei media, la massoneria mondiale – quella vera – continuerà a stabilire a tavolino cosa deciderà il prossimo G20, che politica farà la Bce, come agirà Macron in Francia e cosa dichiarerà il Fondo Monetario Internazionale sulle pensioni italiane, a prescindere dalle prossime elezioni.«Aboliamo la massoneria», titola “L’Espresso”, di fronte all’offensiva della commissione antimafia guidata da Rosy Bindi, dopo la denuncia di una trentina di massoni calabresi “dissidenti”, usciti allo scoperto in seguito a un’indagine su riciclaggio e narcotraffico. «Un’inchiesta politica e giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 mette sotto scacco il mondo degli incappucciati», scrive il settimanale di De Benedetti. « E la commissione antimafia vuole i nomi degli affiliati: era ora, ma non basta». Il reportage di Gianfrancesco Turano, che documenta l’attività investigativa allora in corso, risale a una anno fa e fotografa alla perfezione il clamore suscitato dalla Bindi, a mezzo stampa: «C’è da sperare che venga rieletta: in politica farebbe comunque meno danni che all’università, dove tornerebbe a insegnare», commenta sarcastico il massone Gianfranco Carpeoro, saggista, già a capo dell’autodisciolta Gran Loggia Serenissima di Piazza del Gesù. Carpeoro (al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso) è uno spietato giudice dei grembiulini nazionali: «Quella italiana è la peggior situazione massonica al mondo: quando va bene, entrare in una loggia oggi significa perdere il proprio tempo». Ancora più caustico un altro massone progressista, Gioele Magaldi, che contesta l’ipocrisia del sistema politico-mediatico: «Se la prendono sempre con le logge provinciali, fingendo di non sapere che i massimi vertici dello Stato militano nelle Ur-Lodges sovranazionali che hanno imposto all’Italia la tragedia dell’austerity».
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Di Maio: votare Pd o Berlusconi è uguale, finiranno insieme
Non sono d’accordo su niente, tranne che sulle poltrone: per questo si preparano a “sgovernare” insieme ancora una volta, come ai tempi di Mario Monti, dopo aver raccontato solo frottole ai loro elettori. Pd e Forza Italia «si propongono sotto mentite spoglie», solo per tentare di fare il pieno di seggi facendo credere di essere l’un contro l’altro armati. «In questa storia c’è una alleanza alla luce del sole, che però è finta, e una alleanza all’oscuro di tutti, che però è vera», scrive Luigi Di Maio sul “Blog delle Stelle”. «La finta alleanza è quella del centrodestra. Salvini e Berlusconi non hanno nulla in comune nel programma. Berlusconi dice di voler rispettare tutti i vincoli europei a partire da quello del 3%. Salvini invece dice di volerlo sforare e ha candidato il professore no-euro Bagnai. Berlusconi dice di non voler abolire la Fornero e possiamo credergli perché lui, assieme alla Meloni, l’ha votata. Salvini dice di volerla abolire». E l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito, perché «non sono d’accordo su nulla». La loro, sostiene il candidato grillino, «non è un’alleanza programmatica, ma poltronistica», cioè tattica, per interpretare a loro vantaggio l’ennesima legge elettorale inguardabile, il Rosatellum, appositamente “fabbricata” per impedire che qualcuno vinca davvero, creando così le condizioni per “l’inciucio” che nessuno ammette.Con questa legge elettorale, scrive Di Maio, «l’unica possibilità che hanno questi partiti di raccattare qualche poltrona in più di quella che gli darebbe la vera percentuale che hanno (ben al di sotto del 20%) è puntare ai collegi uninominali dove si ottiene un parlamentare prendendo anche un solo voto in più rispetto agli altri, soprattutto in Lombardia, in Veneto e da qualche parte al Sud». Visto che, sondaggi alla mano, in molte zone d’Italia il Movimento 5 Stelle da solo è al di sopra delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra, «se tutti i partiti si presentassero da soli, nessuno avrebbe possibilità di vincere neppure un collegio uninominale: li prenderebbe tutti il Movimento 5 Stelle». Per questo, «si mettono insieme con decine di partiti dallo zerovirgola, pur non avendo nulla in comune, per fregarsi la poltrona e poi, passata la festa (il voto), gabbato lo santo (l’elettore). Sia Berlusconi sia Salvini hanno tutto l’interesse a portare avanti questo metodo – aggiunge Di Maio – perché in questo momento si stanno spartendo i collegi uninominali che potrebbero vincere con questo metodo fraudolento: uno a te, uno a me. Poi, quando andranno in Parlamento, ognuno di loro si farà i fatti propri come hanno sempre fatto: nessun governo sarà possibile perché non sono d’accordo su nulla e ci rimetterà solo l’elettore».La vera alleanza, insiste Di Maio, è quella di Forza Italia con il Pd. Se ci fate caso, scrive il leader grillino, ogni giorno Berlusconi tesse le lodi di Gentiloni e ogni giorno Gentiloni fa altrettanto con lui. «Non chiamerei Berlusconi un populista», ha detto Gentiloni. Ma allora perché non si alleano fin da subito? Semplice: «Farlo ora non conviene a nessuno. Se il Pd si alleasse con Forza Italia arriverebbe in un attimo al 2%. Se Forza Italia si presentasse al voto con il Pd dovrebbe rinunciare a tutti i collegi uninominali che riuscirebbe a conquistare con la finta alleanza con la Lega. Sarebbe quindi un danno per entrambi: meno soldi e meno poltrone per tutti». Quello che propongono ufficialmente «è falso, è una vera e propria truffa». Gentiloni e Berlusconi? «Sperano di fare “bingo” in questo modo». L’obiettivo «quasi impossibile» del Pd renziano «sarà quello di non sprofondare sotto il 20%», mentre Forza Italia cercherà voti «fregando gli elettori», cioè vendendosi come alternativa a Renzi. E quale sarebbe il programma di Pd e Forza italia uniti? «Quello degli ultimi 20 anni», che li hanno visti governare «alternati o assieme», come nel governo Monti, «la più grande sciagura che ci potesse capitare». L’eventuale Gentiloni-bis sostenuto dal Cavaliere «sarà un nuovo governo Monti, per di più senza una maggioranza stabile». Morale: «Votare centrodestra o centrosinistra è esattamente la stessa cosa».Non sono d’accordo su niente, tranne che sulle poltrone: per questo si preparano a “sgovernare” insieme ancora una volta, come ai tempi di Mario Monti, dopo aver raccontato solo frottole ai loro elettori. Pd e Forza Italia «si propongono sotto mentite spoglie», solo per tentare di fare il pieno di seggi facendo credere di essere l’un contro l’altro armati. «In questa storia c’è una alleanza alla luce del sole, che però è finta, e una alleanza all’oscuro di tutti, che però è vera», scrive Luigi Di Maio sul “Blog delle Stelle”. «La finta alleanza è quella del centrodestra. Salvini e Berlusconi non hanno nulla in comune nel programma. Berlusconi dice di voler rispettare tutti i vincoli europei a partire da quello del 3%. Salvini invece dice di volerlo sforare e ha candidato il professore no-euro Bagnai. Berlusconi dice di non voler abolire la Fornero e possiamo credergli perché lui, assieme alla Meloni, l’ha votata. Salvini dice di volerla abolire». E l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito, perché «non sono d’accordo su nulla». La loro, sostiene il candidato grillino, «non è un’alleanza programmatica, ma poltronistica», cioè tattica, per interpretare a loro vantaggio l’ennesima legge elettorale inguardabile, il Rosatellum, appositamente “fabbricata” per impedire che qualcuno vinca davvero, creando così le condizioni per “l’inciucio” che nessuno ammette.
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Povera Europa, plaude alle “lezioni” del suo killer: la Merkel
Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremo a memo (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha visto crollare il suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra teologica al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.Una vera festa, la spettacolare crisi italiana, per l’industria tedesca che ha fatto shopping a prezzi di saldo accaparrandosi quote rilevanti dell’eccellenza del “made in Italy”, altro classico esempio di “cooperazione” ordoliberista di stampo teutonico. «La Germania è un problema cronico e fisiologico per l’Europa», sostiene Paolo Barnard, «proprio a causa del suo tipo di economia sbilanciato verso l’export». Il che significa compressione dei salari in patria (gli scandalosi mini-job da 450 euro mensili) e aggressività competitiva verso i paesi confinanti, trattati come colonie a cui rubare fatturato e sottrarre la miglior forza lavoro di formazione universitaria avanzata, dando vita al flagello della “fuga dei cervelli”. «I personaggi come la “sorella” Angela Merkel, esponente della Ur-Lodge reazionaria Golden Eurasia, sono i veri nemici dell’Europa unita, i veri e irriducibili antieuropeisti», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela i retroscena supermassonici del vero potere neoliberista. «Quelli che vengono spacciati per statisti sono in realtà pedine di interessi esclusivamente privati, che traggono i massimi profitti proprio dalla distruzione dell’unità europea: assistiamo infatti a una spietata concorrenza fra Stati, di cui il neo-mercantilismo tedesco è l’espressione più tristemente significativa».Sempre la Germania, racconta l’economista Nino Galloni (vicepresidente del Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi) ottenne – dalla Francia di Mitterrand, in cambio della rinuncia al marco – il via libera per la deindustrializzazione progressiva dell’Italia, cioè del massimo antagonista del sistema manifatturiero tedesco. E’ questa la motivazione di fondo – squisitamente industriale e concorrenziale – dietro alle politiche di austerity dell’Ue a trazione tedesca, che hanno tentato ininterrottamente di demolire il sistema economico italiano. E’ il Belpaese il vero bersaglio degli eurocrati tedeschi come Angela Merkel, ai piedi dei quali si sono genuflessi i vari Letta, Renzi e Gentiloni, dopo il “ko tecnico” procurato a Monti e Napolitano, commissari italiani del super-potere che tiene in scacco l’Europa utilizzando Berlino come cane da guardia. Per questo, le affermazioni della cancelleria a Davos suonano sincere quanto le parole del killer al funerale della propria vittima: «Nel mondo c’è tr6oppo egoismo nazionale», scandisce la professoressa. «Fin dai tempi dell’Impero Romano e della Grande Muraglia sappiamo che limitarci a rinchiuderci non aiuta». Viste dalla Grecia ridotta alla fame, queste parole – in una ipotetica, seconda Norimberga – assicurerebbero ad Angela Merkel una fucilazione di prima classe, con tutti gli onori che spettano ai grandi traditori.Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremmo a meno (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha assistito al crollo epocale del suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra “teologica” al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.
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Barnard: voto i 5 Stelle, sono la peggior peste. Vacciniamoci
Vaccinarsi dall’orrore? Votare per il partito che più si teme, per immunizzare il corpo elettorale. «Non scherzo, non provoco», assicura Paolo Barnard, che annuncia che voterà per Grillo. E cita Tucidide, “La peste ad Atene”: a curare gli infetti erano gli ex malati, sopravissuti e ormai immuni. La triste realtà, premette Barnard, è che il 4 marzo «non siamo chiamati a poter decidere un’accidenti di democrazia o economia». La novità? Sarebbe la possibilità di «sbarazzarci una volta per tutte dal più micidiale partito politico dal 1948, e sono i 5 Stelle». Sbarazzarcene come? Votandoli, è la ricetta di Barnard: prima andranno al potere, e prima gli italiani capiranno, “immunizzandosi”. Secondo il giornalista, «il M5S è ormai un’epidemia di psicosi nazionale, ha la forza di penetrazione infermabile della peste in Europa del 1346. Sfonda ovunque col fideismo impazzito di milioni di farneticanti febbricitanti pazzi chiamati grillini, cioè il brand che ha stracciato in allucinata irrazionalità Scientology e il culto di Kim Jong-un in Nord Korea». E quindi, conclude, «per guarire l’Italia dal partito-azienda più falsario e dittatoriale della sua storia repubblicana dobbiamo “ammalarci” di 5 Stelle, cioè portarli a Palazzo Chigi, patire la strage civica per qualche anno ma poi guarire con l’immunizzazione: solo così la storia guarisce l’umanità dalle catastrofi».Barnard parla di «abietto pericolo insito in questa psicosi di massa chiamata 5 Stelle» a partire dall’azienda di Casaleggio «che è l’unica al mondo assieme a Mediaset ad avere i suoi lobbysti seduti in Parlamento». Beppe Grillo? «E’ riuscito a vendere un ‘ultra nazismo’ protocollare in pieno III millennio in un paese occidentale: 100.000 euro di multa agli espulsi o ai migranti politici». Ricorda, dice Barbard, il Saddam che «faceva sparare nelle ginocchia degli allenatori iracheni della nazionale se perdeva la partita». Secondo il saggista più imprevedibile d’Italia, autore de “Il più grande crimine”, il paese «sta segnando il suo secondo marchio d’infamia nella storia moderna dopo quei bei record di Mussolini e Berlusconi, per cui ancora siamo sbeffeggiati nel mondo (Andreotti era un criminale, ma era uno statista)». Scrive, Barnard: «Ho documentato in molti articoli quanto impostori siano Grillo e i Casaleggio, uomini che hanno cavalcato in modi diversi i Tronchetti Provera e i Colaninno a lor comodo. Ma qui, davvero, ciò che è peggio è che non esiste un eletto che abbia competenze per gestire una friggitoria, altro che il paese Italia: trovatemi una singola figura all’altezza, fra i 5 Stelle».Politiche monetarie e operazioni monetarie dello Stato, della banca centrale, del Tesoro. E poi gestione di assets, equity markets, “currency swaps” internazionali, “commodity markets” e ora blockchain e cryptovalute. Dove sono i 5 Stelle? Cosa ne sanno dell’ambiente “startup”, che ha bisogno di attirare i “venture capitals” internazionali? E poi: diplomazia del commercio e regole mondiali presso il Wto nei suoi intricatissimi ma vitali negoziati. Padronanza degli accordi (bilaterali e multilaterali) di “free-trade”. Politica estera e geostrategie legate alla sicurezza nazionale e alla razionalizzazione delle risorse? Peggio che andar di notte. Ancora: «Conoscenza vera dello sviluppo finanziario nelle energie rinnovabili. Comprensione dei nuovi “ecosystems” industriali, le piattaforme, e non quella cretinata dell’industria 4.0». Inoltre: «Analisi del rapporto fra interesse pubblico, potere sovrano e nuove super-tech & “artificial intelligence”. La nostra disperata necessità d’investimenti in ricerca, su cosa esattamente, ma soprattutto pagata da chi. L’agonizzante arretratezza del sistema Italia nell’era dalla IoT e delle “abstractions”, come padroneggiarla, pena la fine del paese come membro del G8».Mai sentito dai 5 Stelle qualcosa che lasci intravedere una visione geopolitica «per proteggere davvero l’Italia dalla crisi migrazione» con piani di risoluzione sistemica delle tensioni da cui si origina? «Statura e pedigree diplomatici necessari». Per esempio: «Voi sapete che razza di calibro è il Ceo dell’Eni Claudio Descalzi? Un Rex Tillerson gli può forse tenere testa. Ma voi ve l’immaginate il teatrino di Di Maio, Grillo e Casaleggino seduti davanti a Descalzi? Se li mangia vivi in 11 minuti, li rigira da fargli venire la labirintite mentre con la mano destra telefona a Igor Sechin di Rosneft. Ma non sto scherzando, c’è di mezzo la nostra vita, Cristo». E tutti i settori citati sopra? «Mario Monti è una bestia umana, ma Monti in mezza giornata fa e pensa quello che tutti i vertici 5S messi assieme fanno e pensano in sei mesi». Fico e la Taverna coi diplomi aziendali? «Io e l’insider di Wall Street per 30 anni, Warren Mosler, incontrammo a Roma alcuni deputati 5 Stelle della commissione bilancio: si doveva parlare di macroeconomia dello Stato, e ’sti ragazzini bofonchiavano proposte per modificare la partita doppia».Obiezione corrente: saranno degli sprovveduti, come del resto anche gli altri politici italioti; se non altro, i 5 Stelle almeno loro sono onesti. «Tutto sbagliato», sentenzia Barnard. «Il pericolo più micidialmente insidioso del Movimento 5 Stelle è che sono dei travestiti, tutti». Ovvero: «Non solo sono dei totali incompetenti come gli altri, ma sono omertosi perché sanno benissimo cosa sia la porcata del loro partito-azienda: cioè sanno dove i CasaleggioForProfit vogliono andare a parare, a spese di 60 milioni d’italiani, fra amicizie americane e banchieri dell’Ambrosetti. Sanno che Grillo è marcio fino al collo, ma, al contrario dei piddini o dei leghisti, i 5 Stelle vivono nello stesso ricatto della prostituta moldava schiava, a cui i papponi hanno sequestrato il passaporto e che se sgarra spaccano poi le ossa alla sua famiglia a casa. Questo è. E ’sti tizi si sono spacciati per “la speranza”. Ma ormai ci sono, si moltiplicano come l’E.coli nell’intestino». E allora ok, «ammaliamoci di 5 Stelle per qualche anno, ma poi almeno saremo immunizzati». Parola di Tucidide. O meglio di Paolo Barnard. Che a marzo, giura, ai 5 Stelle farà il peggior dispetto possibile: votarli.Vaccinarsi dall’orrore? Votare per il partito che più si teme, per immunizzare il corpo elettorale. «Non scherzo, non provoco», assicura Paolo Barnard, che annuncia che voterà per Grillo. E cita Tucidide, “La peste ad Atene”: a curare gli infetti erano gli ex malati, sopravvissuti e ormai immuni. La triste realtà, premette Barnard, è che il 4 marzo «non siamo chiamati a poter decidere un’accidenti di democrazia o economia». La novità? Sarebbe la possibilità di «sbarazzarci una volta per tutte dal più micidiale partito politico dal 1948, e sono i 5 Stelle». Sbarazzarcene come? Votandoli, è la ricetta di Barnard: prima andranno al potere, e prima gli italiani capiranno, “immunizzandosi”. Secondo il giornalista, «il M5S è ormai un’epidemia di psicosi nazionale, ha la forza di penetrazione infermabile della peste in Europa del 1346. Sfonda ovunque col fideismo impazzito di milioni di farneticanti febbricitanti pazzi chiamati grillini, cioè il brand che ha stracciato in allucinata irrazionalità Scientology e il culto di Kim Jong-un in Nord Korea». E quindi, conclude, «per guarire l’Italia dal partito-azienda più falsario e dittatoriale della storia repubblicana dobbiamo “ammalarci” di 5 Stelle, cioè portarli a Palazzo Chigi, patire la strage civica per qualche anno ma poi guarire con l’immunizzazione: solo così la storia guarisce l’umanità dalle catastrofi».
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Bagnai: Moscovici mente sul deficit, Parigi spende più di noi
C’è ancora qualche pazzo che può credere alle farneticazioni di Pierre Moscovici, secondo cui tagliare la spesa e contenere il debito significa favorire la crescita? La barzelletta dell’austerità “espansiva” è stata coniata da pseudo-guru neoliberisti come Kenneth Rogoff e poi rottamata persino dal Fmi. Eppure tiene ancora banco: perlomeno, i governanti fingono di crederci. Lo stesso Gentiloni avverte: una follia tagliare le tasse e fare investimenti a deficit, meglio continuare a tirare la cinghia. Dunque funziona ancora, la super-menzogna del rigore spacciata per legge economica. A rilanciarla, pensando alla campagna elettorale italiana è lo stesso commissario Ue all’economia. Moscovici non è un malato di mente: sa benissimo che i tagli producono solo crisi. Oltre a mentire sapendo di mentire, il super-tecnocrate di Bruxelles sta anche barando in modo spudorato: mentre chiede all’Italia di contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil, finge di non sapere che Roma è da anni in regola con Maastrich, mentre il suo paese – la Francia – quella linea rossa l’ha oltrepassata alla grande, spendendo ben più dell’Italia. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino», sintetizza l’econimista Alberto Bagnai.Portare il deficit oltre il 3% del Pil «sarebbe un controsenso», questo perché il tetto del 3% avrebbe un significato preciso, quello di evitare che il debito slitti ulteriormente, e quindi le elezioni italiane provocherebbero un «rischio politico» dato che da noi alcuni partiti si stanno interrogando sulla fondatezza di queste regole? Le dichiarazioni di Moscovici «sono non solo inopportune politicamente (come perfino Tajani è stato costretto ad ammettere, dando prova di buon senso e di un minimo di orgoglio nazionale), ma del tutto infondate sotto il profilo economico e anche storico», scrive Bagnai su “Goofynomics”. Tanto per cominciare, «prima di fare lezioncine, bisognerebbe verificare di essere stati coerenti con i principi che si sbandierano a beneficio degli altri paesi (ma che in patria ci si è guardati bene dall’applicare)». Bagnai esibisce un grafico eloquente, che mostra numeri impietosi: «Numeri che la nostra stampa, molto sensibile e accondiscendente verso interessi esterni al nostro paese, naturalmente non vi dà». Nel 2009 la spesa pubblica italiana rappresentava il 5% del Pil nazionale, mentre quella francese superava il 7%.Parigi è stabilmente sopra Roma, nel volume di spesa: anche in regime di austerity, a partire dal 2012, il deficit pubblico francese è sopra il 4%, mentre quello italiano è inchiodato al 3%. Di più: grazie alla “cura” dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, l’Italia della disoccupazione-record (milioni di persone senza più un lavoro) dal 2015 è scesa al di sotto del 3% (dati ufficiali Fmi), mentre la Francia resterà al di sopra di quella soglia anche nel 2019. Un grafico esauriente, quello mostrato da Bagnai: «Potrete inciderlo su una lastra di piombo, da arrotolare e sbattere sul musetto dei botoli ringhiosi dell’austerità». I francesi «sono sempre stati sopra a noi, e sempre oltre il parametro di Maastricht, con in più il fatto che il divario fra loro e noi è destinato ad aumentare». Secondo il Fondo Monetario Internazionale «saremo sempre più “virtuosi” di loro, oltre che in regola con Maastricht già da sei anni». Attenzione: «Sei anni di sacrifici che l’Europa ci riconosce così, sberteggiandoci». L’Italia, conclude Bagnai, «sarà un paese libero quando un giornalista vi darà i numeri che trovate qui».C’è ancora qualche pazzo che può credere alle farneticazioni di Pierre Moscovici, secondo cui tagliare la spesa e contenere il debito significa favorire la crescita? La barzelletta dell’austerità “espansiva” è stata coniata da pseudo-guru neoliberisti come Kenneth Rogoff e poi rottamata persino dal Fmi. Eppure tiene ancora banco: perlomeno, i governanti fingono di crederci. Lo stesso Gentiloni avverte: una follia tagliare le tasse e fare investimenti a deficit, meglio continuare a tirare la cinghia. Dunque funziona ancora, la super-menzogna del rigore spacciata per legge economica. A rilanciarla, pensando alla campagna elettorale italiana è lo stesso commissario Ue all’economia. Moscovici non è un malato di mente: sa benissimo che i tagli producono solo crisi. Oltre a mentire sapendo di mentire, il super-tecnocrate di Bruxelles sta anche barando in modo spudorato: mentre chiede all’Italia di contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil, finge di non sapere che Roma è da anni in regola con Maastrich, mentre il suo paese – la Francia – quella linea rossa l’ha oltrepassata alla grande, spendendo ben più dell’Italia. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino», sintetizza l’econimista Alberto Bagnai.
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Magaldi: cara Bonino, più Europa? Non questa, degli zombie
Cosa c’è sotto il turbante di Emma Bonino? Possibile che, nel 2018, ci sia ancora qualcuno – radicale, per giunta – che crede alle favole del più decrepito neoliberismo thatcheriano? «Pensate ad una famiglia già super-indebitata, che continua a indebitarsi sempre più, pagando interessi sempre più onerosi alle banche: arriverà un giorno la bancarotta, che si lascerà ai figli», recita la campagna elettorale di “+Europa”. Parole che sembrano arrivare dall’oltretomba della politica, dalla notte dei morti viventi ravvivata dal fantasma di Mario Monti. «Il vero problema italiano è il debito pubblico al suo massimo storico», nientemeno. E certo: il debito, la famiglia. «Come se la famiglia fosse dotata di sovranità monetaria: per lei, come per l’azienda, il debito è certamente un problema», dice Marco Moiso, coordinatore del Movimento Roosevelt, in chat su YouTube con Gioele Magaldi. Incredulo, di fronte all’uscita della Bonino: com’è possibile, dopo il disastro dell’austerity europea, “bersi” ancora il dogma del neoliberismo che finge di non sapere che lo Stato, dotato di sovranità monetaria, ha una capacità di spesa (e di indebitamento) virtualemente illimitata? «Non è da radicali, appiattirsi su un dogmatismo così desolante, allineato all’ignoranza economica e all’insipienza generale del mainstream, politico e mediatico, affollato di presunti esperti del calibro di Alberto Alesina, in realtà un comico, che insieme a Francesco Giavazzi non ne ha azzeccata una, in tutti questi anni».
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Odiavano Silvio, hanno sfasciato l’Italia e oggi tifano per lui
Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?E come mai tutto questo ben di Dio dovrebbe costituire un argine ai populisti, Frau Merkel, e aggiungiamo noi, a una crescita spropositata del debito pubblico italiano? Raccontiamoci tutte le fregnacce che vogliamo, dai, ma almeno non prendiamoci per i fondelli: Berlusconi oggi è molto peggio di quanto non lo fosse nel 1994, nel 2001, nel 2006, nel 2008 e nel 2013 e un suo ritorno a Palazzo Chigi, da king o da kingmaker, sarebbe una tragedia in qualunque paese con un minimo di serietà. Allora aveva una classe dirigente, piacesse o meno, con titoli e competenze per prendere in mano il timone di un paese; oggi è costretto a improvvisare un nome come quello dell’ex generale Gallitelli come possibile presidente del Consiglio, o Maurizio Gasparri come presidente del Senato o della Regione Lazio. Allora aveva una piattaforma programmatica perlomeno coerente e proporzionata, ancorata a un principio di realtà, oggi accatasta proposte che nemmeno Trump. Allora, perlomeno a sprazzi, aveva la volontà di cambiare il paese a immagine e somiglianza della sua visione del mondo, oggi è mosso solo dal desiderio di mettere al sicuro Mediaset e di garantire un happy ending alle sue aziende, per evitare vengano spolpate vive appena lui e Confalonieri non saranno più in grado di occuparsene. Allora vi faceva schifo, oggi è un simpaticone. Molto bene.Anzi no, non va bene un bel niente. Fatevelo dire da chi anti-berlusconiano non è mai stato. L’unica differenza, cari nostri, è che oggi Berlusconi vi serve come l’aria. Perché con le sue sparate è l’argine perfetto a Salvini e Di Maio. Perché pensate che se la gente si beve le sue sparate, meglio ancora se sono patacche, non si berrà le loro. Perché siete convinti che potrà fare solo da stampella, non certo tornare a comandare. Perché avete la certezza, sotto sotto, che sia solo una carcassa di Caimano, vecchio, stanco, incapace di fare danni. Una notizia: i danni li state facendo voi, a questo giro, e sono più grandi di quel che potete immaginare. Perché i prossimi saranno anni di sacrifici e lo sapete benissimo. Perché la gente è stupida finché volete, ma si accorge se la state fregando e se una volta al governo Berlusconi non farà quel che ha promesso, o non gli sarà concesso di farlo dai vincoli di bilancio che oggi tutti fingono di non vedere, ci penseranno Grillo e Salvini ad accogliere a braccia aperte tutti i delusi dal Cavaliere. Perché state distruggendo tutta la poca o tanta credibilità che vi ha accompagnato per vent’anni abbondanti, investendola, tutta in una volta sola, nella speranza (vana?) di cinque anni tranquilli. Perché il prezzo che dovrete pagare sarà ciò contro cui avete combattuto per un quarto di secolo, quel conflitto d’interessi vulnus primordiale del vostro feroce anti-berlusconismo. Perché anche prendendo il 15-20% Berlusconi stravincerà la sua lunga partita politica. Perché tutta questa melassa ipocrita è un distillato purissimo di doppia verità, ancora peggio del venticinquennale perbenismo moralista che ha accompagnato Re Silvio come un’ombra. E no, non servirà a nulla, se non a lui.(Francesco Cancellato, “Berlusconi è diventato ‘buono’? La peggiore bugia di questa campagna elettorale”, da “Linkiesta” dell’11 gennaio 2018).Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?
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De Benedetti, Repubblica e l’equivoco della diversità morale
Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».In più continua Feltri, De Benedetti ha attaccato Scalfari in una intervista sul “Corriere della Sera”, definendo le sue posizioni «un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di “Repubblica”, me compreso». Scalfari, che ha troncato ogni rapporto, gli ha risposto RaiTre a “Cartabianca”, il salotto di Bianca Berlinguer, dicendo che uno arrivato a 94 anni «se ne fotte» di quello che pensa De Benedetti. Ultima, ma solo in ordine di tempo, la vicenda della speculazione di Carlo De Benedetti grazie alle informazioni avute da Matteo Renzi e dalla Banca d’Italia. Questa, come ha detto l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, è come minimo «sconveniente», a prescindere dal fatto che sia o meno un reato. Intanto, premette Stefano Feltri, De Benedetti «ha accesso a Renzi e alla Banca d’Italia non tanto perché è (stato) un finanziere di successo – l’impero economico l’ha passato da tempo ai figli – ma in quanto editore di giornali rilevanti. Il non detto di questi rapporti è che il politico o l’uomo delle istituzioni coltiva le simpatie dell’editore convinto di ottenere, per questa via, un trattamento di favore dai giornalisti. E quando poi il giornale dovesse invece dimostrarsi completamente autonomo, si genera la spiacevole telefonata del tipo “Ma come, pensavo fossimo in buoni rapporti…”».In questo, conclude Feltri, si vede che Renzi «non è diverso dagli altri politici che voleva rottamare», se infatti «corteggia gli editori nella speranza di avere trattamenti di favore dai giornali». E De Benedetti, per contro, «non ritiene che invitare a cena ministri e presidenti del Consiglio possa complicare la vita ai suoi direttori ed editorialisti». Secondo: Carlo De Benedetti, che ha consolidato la sua carriera da finanziere «in un’Italia in cui l’uso di informazioni privilegiate per fare operazioni di Borsa non era neppure reato», rivendica la correttezza del proprio operato con questa argomentazione: se avessi saputo davvero qualcosa di specifico, non avrei investito solo 5 milioni ma almeno 20. «Autodifesa che diventa ammissione dell’assenza di ogni vincolo etico». Renzi, da parte sua, «ha dimostrato di non avere alcun filtro, alcuna prudenza nel gestire provvedimenti e informazioni con un impatto sui mercati». Negli anni 2014-2015, ricorda Stefano Feltri, «a Palazzo Chigi c’era un vorticoso ricambio di consulenti, amici del premier, collaboratori più o meno ufficiali che discutevano di Telecom, Eni, Banca Etruria, riforma delle Popolari e delle banche di credito cooperativo. Ora abbiamo chiaro con quale prudenza e quale riservatezza. Chissà quanti “casi De Benedetti” ci sono stati di cui non sappiamo».Terzo profilo sconveniente, nella vicenda Renzi-De Benedetti, «quello più rilevante: la reazione del sistema a tutela del potere costituito». Renzi e De Benedetti «fanno qualcosa, a gennaio 2015, che può essere reato o non esserlo, che può portare a sanzioni o meno». Tutto dipende dalla valutazione che ne viene fatta. La Consob indaga e decide, nel collegio dei commissari, di non sanzionare. La Procura di Roma, a quanto emerge, praticamente non indaga affatto ma chiede subito l’archiviazione dell’unico indagato, il povero broker che esegue l’ordine d’acquisto di azioni di banche popolari arrivato da De Benedetti. La vicenda esce una prima volta sui giornali dopo gli attacchi di Renzi alla Consob di Giuseppe Vegas, e riesplode ora che, con grande fatica, i parlamentari della commissione d’inchiesta sulle banche sono riusciti ad avere una parte dei documenti dalla Procura di Roma. I punti critici sono vari, riassume Feltri: per quasi tre anni, in troppi hanno saputo che incombeva questa bomba su Renzi (incombe ancora, visto che l’inchiesta non è stata archiviata). «Non è mai una cosa sana quando un politico sa di essere potenzialmente ricattabile». Ma perché la Procura di Roma ha mantenuto tanta riservatezza? «Perché il procuratore Pignatone considera grave che il contenuto delle carte sia filtrato dalla commissione banche? Non lo ha mai spiegato».E quando Vegas è andato allo scontro con il governo, dopo la sua mancata riconferma al vertice della Consob, rivelando gli interessamenti di Maria Elena Boschi su Etruria, «sapeva di avere nel cassetto l’arma segreta: tutte le carte di quello che i suoi uffici avevano classificato come insider trading, prima che la commissione lo archiviasse». Vegas “sapeva”, come lo stesso Renzi: «Chi doveva sapere sapeva, e tutti si sono comportati di conseguenza». E i grandi giornali? Sono «parte non irrilevante di questa storia», scrive Feltri. Il giorno in cui esce la trascrizione della telefonata di De Benedetti con il suo broker, “Repubblica” non ha la notizia. «Diciamo che è stato uno scoop della concorrenza, anche se di questa fanno parte praticamente tutti i giornali italiani incluso “La Stampa”, testata dello stesso gruppo editoriale». Il giorno dopo viene dato conto solo del “caso politico” intorno alla telefonata. Poi il “Sole 24 Ore” pubblica sul proprio sito web in modo quasi integrale il verbale di De Benedetti in Consob, dove l’editore di “Repubblica” si difende e rivela i suoi rapporti con Renzi, Boschi, Padoan, Visco, e rivendica perfino di essere stato il primo ispiratore del Jobs Act. «Non una riga esce oggi su “Repubblica” di tutto questo. E, cosa ancora più singolare, solo un francobollo sul “Sole 24 Ore” cartaceo, che invece spesso ha ospitato gli editoriali di De Benedetti. Scelta bizzarra, questa di regalare lo scoop on line ma di non valorizzarlo nell’edizione a pagamento».Gli imprenditori della Confindustria, «che ricevono ogni mattina la copia del giornale che hanno portato vicino al disastro», non hanno così potuto leggere – su quelle pagine – il verbale del loro collega De Benedetti. Lo stesso “Corriere della Sera” dedica al caso un semplice colonnino. Ma non è sempre stato così, annota Stefano Feltri: negli archivi del “Corriere” si trovano ampi e completi articoli, per esempio, su quando alcuni familiari di De Benedetti sono stati sanzionati dalla Consob per 3,5 milioni per un insider trading su Cdb Web Tech, all’epoca uno dei veicoli finanziari dell’Ingegnere. Nel libro “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi, ripubblicato in allegato a “Repubblica”), Francesco Piccolo racconta la storia di una conversione politica, «quella di preferire una sinistra del compromesso, pragmatica e disposta a sporcarsi nella pratica quotidiana del potere rispetto a quella che invece rivendica la superiorità morale, una diversità antropologica, che considera chi vota Berlusconi moralmente disprezzabile». E’ la storia di come Francesco Piccolo ha scelto l’Enrico Berlinguer del compromesso storico al posto di quello della “questione morale” e della diversità comunista. E di come ha accettato di essere italiano, nel bene e nel male, invece che considerarsi sempre diverso, una persona un po’ migliore degli italiani raccontati dalla tv, quelli che votavano prima Democrazia Cristiana e poi Forza Italia.«Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” – continua Feltri – sono stati per quarant’anni gli alfieri e la voce di un’Italia che si riteneva migliore della media, che rivendicava il diritto a fare una gerarchia di valori, a inseguire qualche ideale invece che rassegnarsi al “così fan tutti”, che guardava Silvio Berlusconi e il suo stile di vita e poteva permettersi di criticarlo». Illusioni? «Non esiste una Italia migliore e una peggiore», scrive Stefano Feltri: «Gli uomini, visti da molto vicino, sono tutti uguali», o in ogni caso «nessuno ha titolo di giudicare il suo prossimo». Però, aggiunge Feltri, quell’illusione qualcuno è servita: «Ha dato alla politica (soprattutto alla sinistra), agli elettori e soprattutto ai lettori una tensione etica, ha trasmesso il messaggio che poteva esistere un paese migliore». Un paese «magari un po’ tromboneggiante e moralista, talvolta noioso, spesso più conformista di quello che era disposto ad ammettere, ma migliore». E invece, per citare Francesco Piccolo, Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” hanno realizzato il loro inconfessato e inconfessabile “desiderio di essere come tutti”, quindi non criticabili da nessuno. «Hanno dissipato ogni illusione di alterità. E se sono tutti uguali, allora non c’è differenza tra De Benedetti e Berlusconi, tra Renzi e D’Alema, tra Salvini e Di Maio. Senza illusioni e senza questione morale restano soltanto il cinismo e l’antipolitica», sostiene Feltri. «Quando, dopo le elezioni di marzo, commentatori e politologi vorranno spiegare il tracollo del Pd e l’inspiegabile tenuta del Movimento Cinque Stelle nonostante le mille prove di dilettantismo, sarà bene considerare tra le variabili rilevanti il crepuscolo della galassia Espresso-Repubblica».Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».