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Moncalvo: Loggia Ungheria? Ma la stampa tace su tutto
Per capire in che paese viviamo, basta vedere come sono messi oggi i 5 Stelle: secondo il tribunale di Cagliari, il loro legale rappresentante non è Crimi o qualche altro parlamentare, men che meno Giggino Di Maio (ospite di Boris Johnson agli esclusivi tavoli di Annabelle’s a Mayfair, alla faccia degli italiani) ma è il simpatico avvocato Silvio De Murtas, che ironicamente dice di essere uno che alleva “trenta pecore e qualche maiale”. In qualità di legale rappresentante del movimento fondato da Grillo e Casaleggio, vedremo mai l’avvocato Murtas ospite del Quirinale o della signora Gruber, vera rappresentante del pluralismo giornalistico di questo paese insieme a Scanzi, alla signora Berlinguer e all’eroe nazionale Floris? Cosa pensa, l’avvocato Murtas? Come parla, cosa dice? Faccio una scommessa: sono pronto ad amputarmi il braccio destro, se qualcuno dei nostri anchorman lo inviterà in qualche talkshow, ora che tecnicamente è il nuovo capo dei grillini.Come funziona il sistema mediatico lo capii anni fa, quando a Napoli fui invitato da un editore che intendeva affidarmi la direzione del quotidiano “L’Indipendente”, qualora fosse stato fatto rinascere. Avrei dovuto coabitare con l’allora giovane Gennaro Sangiuliano, ora direttore del Tg2. Con Sangiuliano ebbi un cordiale incontro, al bar. Mi mostrò le prove di un vero e proprio scoop, le foto di Pier Ferdinando Casini – al tempo, non ancora presidente della Camera ma già tra i leader del centrodestra – in compagnia dell’allora fidanzata “clandestina”, la ventenne Azzurra Caltagirone. Sangiuliano scriveva sul “Roma”, storico quotidiano partenopeo. «Cosa aspetti a pubblicare quelle foto?», gli domandai. E lui: «Ma che, sei matto? Io quelle foto non le pubblico: anzi, le ho mandate all’onorevole Casini, per conquistare la sua perenne gratitudine». Al che, finito l’incontro con Sangiuliano, tornai dall’editore, gli raccontai tutto e gli dissi che non avrei mai potuto avere Sangiuliano come vicedirettore. L’editore si mise a ridere: «Ha ragione, Moncalvo».Siamo il paese dei Ferragnez, della professoressa D’Urso e di Enrico Letta, che tace sulla Superlega ma in compenso si inventa una nuova formula per la Coppa Italia. Cioè: non pago delle proposte appena formulate su temi cruciali e irrinunciabili, per gli italiani – dallo ius soli al voto ai sedicenni – ora si mette a parlare anche di calcio, anziché occuparsi di politica. E a proposito: avete mai sentito Letta dire una parola contro Andrea Agnelli, quando gli è venuta la sciagurata idea della Superlega? Quella semmai sarebbe stata una battaglia da fare: tutelare il calcio povero, contro le squadre ricche. Macché: non c’è pericolo che un politico italiano osi criticare un Agnelli, giammai. Quanto al Pd, ormai è un partito esclusivamente romano, dominato da figure come Letta e Bettini. Mettersi a parlare di Coppa Italia? Ma questi sono da trattamento sanitario obbligatorio.Ora siamo alle prese con una curiosissima gara, che vede schierato il fior fiore del giornalismo italiano: “Repubblica”, il “Fatto”, Mentana. La segretaria di Piercamillo Davigo ha trovato sul tavolo un dossier sulla presunta Loggia Ungheria (entità massonica con magistrati, prefetti, comandanti dei carabinieri) e lo ha spedito ad alcuni giornali. E cos’hanno scritto? Niente. E questo, nonostante il plico contenesse le dichiarazioni messe a verbale dall’avvocato Piero Amara, a lungo legale dell’Eni. Di fronte a notizie simili, il giornalista italiano – specie se di alto livello – non fa un tubo. Eppure, era facile verificare: bastava chiedere conferma ad Amara di esser stato effettivamente interrogato, dai magistrati. E invece no: silenzio, dai direttori “tromboni”, che poi magari si vantano di dire “tutta la verità” sulla mafia. Stavolta si sono fatti bagnare il naso da Emiliano Fittipaldi, del quotidiano “Domani” (di De Benedetti) che invece il suo dovere l’ha fatto e la notizia l’ha data.Bella figura, per i presunti depositari della verità: i Mentana, i Travaglio. Mentana ha ammesso: sì, a febbraio gli erano arrivati elementi di questa storia (Amara, i legami tra Acqua Marcia e Conte) ma non vi diede alcun seguito. Capito, come gira il mondo? Tanti anni fa, quando “La7″ era di proprietà di Telecom, quindi di Marco Tronchetti Provera, Gad Lerner – allora in forza alla rete – ricevette un dossier, con anche una videocassetta, che dimostrava un presunto caso di spionaggio, un lavoro commissionato da Telecom a un’agenzia di investigazioni contro un loro concorrente brasiliano. E Gad Lerner cosa ha fatto, di quella busta? Ha verificato se le informazioni del dossier fossero vere? Nossignore: ha richiuso la busta e l’ha consegnata a Tronchetti Provera. Poi, vi chiedete come mai sono stati liquidati con miliardi di lire – lui, Fabio Fazio e altri, che allora erano a “La7″ al tempo di Tronchetti Provera – ora la risposta ce l’avete. Come chiamare, questo? La presa per i fondelli dei lettori, dei telespettatori, del popolo bue.Quando nacque l’Auditel, per truccare gli ascolti a scopo pubblicitario, il patto era tra Gianni Letta (per Mediaset) e Biagio Agnes (direttore generale della Rai). Adesso, a trent’anni di distanza, sempre lui – lo zio di Enrico Letta – ha proposto come nuovo presidente della Rai la figlia di Biagio Agnes, Simona: e questa è la quadratura del cerchio. Siamo il paese in cui Matteo Renzi spiega di aver incontrato a febbraio, in un autogrill, un uomo dei servizi segreti come Marco Mancini, “chiarendo” che Mancini doveva consegnargli i “babbi al cioccolato” (meravigliosi wafer di Cesena) che non era riuscito a recapitagli per Natale. Siamo il paese in cui l’editore deve ritirare dalle librerie “Il sistema”, libro-intervista di Sallusti e Palamara, perché un magistrato – Armando Spataro – ha trovato inappropriati alcuni passaggi che lo riguardano: così si scopre che anche Palamara è un quacquaracquà.Io sono stato vittima di un tentativo di censura preventiva da parte di Jacaranda Falck Caracciolo di Melito, figlia adottiva di Carlo Caracciolo, mentre stavo per dare alle stampe il mio libro “I Caracciolo”. Prima ancora che il libro uscisse, per l’editore Rubbettino, lei e l’avvocato mi scrissero chiedendomi di non farlo uscire, quel libro. Io risposi con un pernacchione, l’editore si rifiutò di pubblicarmi ma il libro uscì lo stesso, da me pubblicato su Amazon. Curioso, poi, scoprire che Jacaranda Falck Caracciolo oggi figura tra i primi azionisti di “Repubblica” e dell’intero gruppo Gedi: posso immaginare quale concezione abbia, del giornalismo, questa signora della censura preventiva, di fronte a cui i suoi giornalisti si appecoronano. Qualcosa del genere deve avvenire a Mediaset: dalla pagina web delle “Iene” è letteralmente sparita un’intera parte che riguardava i voli di Stato della presidente del Senato, Elisabetta Casellati.Un altro libro ormai famoso, quello di Roberto Speranza (”Perché guariremo”), benché sia stato ritirato dalle libreire italiane è però regolarmente acquistabile sul sito francese di Amazon. Possibile che ci dobbiamo pensare noi, ad acquistare il libro facendolo arrivare dalla Francia, per poterlo divulgare? Speranza è al centro delle cronache: possibile che i giornaloni non ne parlino? Lo ha fatto solo il sito “Linkiesta”. E i grandi giornali? La notizia è doppia: il libro lo ha scritto il ministro, ed è stato ritirato dal commercio. Forse ormai si è perso il concetto stesso, di notizia: secondo i giornalisti italiani, la notizia è una cosa che non esiste più, così come la curosità. Sono tutti lì con la D’Urso e con il capo della cupola, cioè Maria De Filippi, che è “il marito” di Maurizio Costanzo. Tornando alla Loggia Ungheria, mi torna in mente una frase di Gianfranco Funari: «Se andiamo a cena noi due, con anche tua moglie e la mia compagna, passiamo una bella serata in allegria. Se invece vanno a cena un magistrato, un ufficiale dei carabinieri, un notaio, un commercialista e un avvocato, non è per fare quattro risate, ma per inchiappettare qualcuno o per fare qualche affare».(Gigi Moncalvo, dichiarazioni rilasciate il 6 maggio 2021 nella trasmissione web-streaming “Silenzio stampa” su “Forme d’Onda”, con Rudy Seery e Stefania Nicoletti).Per capire in che paese viviamo, basta vedere come sono messi oggi i 5 Stelle: secondo il tribunale di Cagliari, il loro legale rappresentante non è Crimi o qualche altro parlamentare, men che meno “Giggino” Di Maio (ospite di Boris Johnson agli esclusivi tavoli di Annabelle’s a Mayfair, alla faccia degli italiani) ma è il simpatico avvocato Silvio Demurtas, che ironicamente dice di essere uno che alleva “trenta pecore e qualche maiale”. In qualità di legale rappresentante del movimento fondato da Grillo e Casaleggio, vedremo mai l’avvocato Demurtas ospite del Quirinale o della signora Gruber, vera rappresentante del pluralismo giornalistico di questo paese insieme a Scanzi, alla signora Berlinguer e all’eroe nazionale Floris? Cosa pensa, l’avvocato Demurtas? Come parla, cosa dice? Faccio una scommessa: sono pronto ad amputarmi il braccio destro, se qualcuno dei nostri anchorman lo inviterà in qualche talkshow, ora che tecnicamente è il nuovo capo dei grillini.
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Stop al Great Reset: due morti sfiorano il principe Carlo
«Il principe Carlo ne ha perso un altro», dice Angela Merkel. «Sono due», conferma Vladimir Putin, al telefono con la cancelliera. «Il primo era il suo preferito, lo sai», aggiunge la Merkel. «Sì, sono stato informato». La tedesca: «Non è una coincidenza». «Sappiamo anche questo», chiosa il russo. Ma chi erano, i due morti menzionati? Il ceco Petr Kellner e il britannico Sir Richard Sutton, beniamini di Carlo d’Inghilterra e descritti come uomini-chiave del cosiddetto Grande Reset. Sono scomparsi nei giorni scorsi a distanza di pochissime ore: il primo caduto insieme al suo elicottero, il secondo accoltellato nella sua abitazione. E il favoloso colloquio telefonico tra Merkel e Putin? Lo pubblica “Mitt Dolcino”, sia pure prendendolo con le molle: lo definisce “report apodittico”, e lo attribuisce a «una Sorcha Faal in maschera», lasciando intendere che l’autrice del post (sul blog “What Does It Mean”) si avvalga di fonti d’intelligence.Né deve stupire la possibilità di una telefonata confidenziale come quella, tra Mosca e Berlino, dato che i capi dei due paesi militano nella stessa superloggia, la “Golden Eurasia”, dai tempi della Germania Est. Sia pure senza prove, e per di più «in un volutamente pessimo inglese», scrive Franco Leaf su “Mitt Dolcino”, il post di “Sorcha Faal” «riafferma il legame Merkel-Putin», e soprattutto «ci parla di una strana moria fra gli alti esponenti del Great Reset». La cosa più interessante di quella trascrizione, però, è lo scambio fra il presidente Putin e la cancelliera Merkel sulle loro rispettive posizioni, per come sono state articolate al World Economic Forum di Davos. Se la Merkel ha definito la pandemia «il disastro del secolo», che ha messo a nudo «le debolezze della nostra società», secondo Putin «è del tutto pleonastico sostenere che non ci siano paralleli diretti nella storia: alcuni esperti – e io rispetto la loro opinione – stanno paragonando la situazione attuale a quella degli anni Trenta».Putin, poi, sottolinea «le negative conseguenze demografiche della crisi sociale», nonché «la crisi dei valori, che potrebbe portare alla perdita dell’eredità civile e culturale di interi continenti». Durante questo scambio – scrive Sorcha Faal”- Putin e la Merkel hanno discusso a lungo l’agenda di Davos. La parte più sorprendente sembra mostrarla la trascrizione (dal tedesco) sulle due “perdite” attribuite a Carlo d’Inghilterra, «nelle vesti di uno dei principali sostenitori del programma socialista-globalista “The Great Reset”». Due dei suoi più stretti alleati per lo sviluppo di questo programma – si legge su “What Does It Mean” – erano l’uomo più ricco della Gran Bretagna, Sir Richard Sutton, e Petr Kellner, l’uomo più ricco della Repubblica Ceca». Il principe Carlo incontrò Kellner per la prima volta quando visitò la Repubblica Ceca nel 1991 e, nel 2009, guidò lo sforzo per farlo selezionare come il “giovane leader globale” del World Economic Forum, si ricorda nel post ripreso da “Mitt Dolcino”.«Due settimane fa, il 27 marzo, Petr Kellner è morto in un misterioso incidente d’elicottero in Alaska», disastro aereo «analogo a quello di Olivier Dassault», industriale e parlamentare francese, erede dell’impero familiare (Dassault, un colosso dell’aviazione: dai jet privati Falcon ai caccia Mirage e Rafale). Classe 1964, Petr Kellner è deceduto in Alaska sulle montagne a circa 80 chilometri da Anchorage, dove era andato per fare eliski. Kellner ha perso la vita assieme ad altre cinque persone, tra le quali due guide locali e il pilota dell’elicottero. Alla guida del fondo d’investimento Ppf, Kellner era stato protagonista della stagioni della grande privatizzazione nell’allora Cecoslovacchia post-sovietica. Un operatore di primissimo piano: banche e assicurazioni, energia, immobiliare e grande distribuzione, con interessi anche in Slovacchia, Russia e Bielorussia, Cina, Vietnam e Kazakhstan. Dal 2007 al 2011 era anche entrato a far parte, in Italia, del Cda delle Generali.L’inglese Richard Sutton, un baronetto di 83 anni, è stato invece aggredito il 7 aprile all’interno della sua villa vicino a Gillingham, nel Dorset (una dimora valutata oltre due milioni di euro). Sutton era un imprenditore che gestiva molte proprietà e alberghi importanti del Regno Unito, come l’Athenaeum Hotel di Mayfair e lo Sheraton Grand London di Park Lane. Figurava nella lista del “Sunday Times” delle persone più facoltose del paese, al 453esimo posto, e il suo patrimonio era valutato in oltre 300 milioni di sterline (quasi 350 milioni di euro). A queste due morti misteriose s’è aggiunta la notizia che – sempre il 9 aprile – il padre di Carlo, il principe Filippo di Edimburgo, è morto in ospedale all’età di 99 anni.Durante una conversazione con la “Deutsche Press Agentur”, come riportato dal tabloid “Express”, trent’anni fa il principe Filippo ebbe a dire: «Nel caso in cui mi reincarnassi, vorrei tornare come un virus mortale, per contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione». Una battuta di spirito, che oggi assume un retrogusto quasi inquietante: ricorda i moniti del Club di Roma, che per mezzo secolo ha parlato della crescita demografica come di una calamità planetaria, ben prima che spuntassero i teorici della decrescita e poi i personaggi come Greta Thunberg, profeti di sventura trasformati in fenomeni mediatici mondiali.«L’importanza di quanto si son detti il presidente Putin e la cancelliera Merkel – entrambi d’accordo sul fatto che le morti misteriose degli alleati del principe Carlo, Sir Richard Sutton e Petr Kellner, non siano una coincidenza – è monumentale», sottolinea “Sorcha Faal” nel post citato da “Mitt Dolcino”. Il contatto tra Mosca e Berlino, secondo “What Does It Mean”, «suggerisce fortemente che queste morti siano in realtà degli omicidi mirati: un messaggio rivolto a chi sostiene il “Great Reset”». Secondo il post, c’era da aspettarselo: «A fronte dell’agenda socialista-globalista volta a “resettare” il mondo intero, le potenti forze che vi si oppongono non permetteranno mai che ciò accada». E’ ancge il motivo, sempre secondo “Sorcha Faal”, per il quale «il presidente Putin ha avvertito quei pericolosi idioti del Wef che il percorso che stanno percorrendo è esattamente come quello degli anni Trenta», che portò fatalmente alla Seconda Guerra Mondiale.«Il principe Carlo ne ha perso un altro», dice Angela Merkel. «Sono due», conferma Vladimir Putin, al telefono con la cancelliera. «Il primo era il suo preferito, lo sai», aggiunge la Merkel. «Sì, sono stato informato». La tedesca: «Non è una coincidenza». «Sappiamo anche questo», chiosa il russo. Ma chi erano, i due morti menzionati? Il ceco Petr Kellner e il britannico Sir Richard Sutton, beniamini di Carlo d’Inghilterra e descritti come uomini-chiave del cosiddetto Grande Reset. Sono scomparsi nei giorni scorsi a distanza di pochissime ore: il primo caduto insieme al suo elicottero, il secondo accoltellato nella sua abitazione. E il favoloso colloquio telefonico tra Merkel e Putin? Lo pubblica “Mitt Dolcino“, sia pure prendendolo con le molle: lo definisce “report apodittico”, e lo attribuisce a «una Sorcha Faal in maschera», lasciando intendere che l’autrice del post (sul blog “What Does It Mean”) si avvalga di fonti d’intelligence.
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Zuesse: Bannon sfida Soros ma non fidatevi, vuole l’Europa
Scrive Eric Zuesse, su “Strategic-culture.org”, che due schieramenti politici – uno guidato da George Soros e l’altro creato dal nuovo arrivato, Steve Bannon – sono entrati in competizione per il controllo politico dell’Europa. Soros ha guidato a lungo i grandi capitalisti liberal americani verso l’egemonia europea, mentre Bannon sta ora organizzando una squadra di miliardari (altrettanto conservatori) per strappare la vittoria ai liberal attraverso la leva del populismo sovranista. Lo scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, sintetizzando la panoramica geopolitica fornita da Zuesse, scrittore e analista statunitense. Bannon contro Soros? Attenzione: «Nessuno di loro è progressista o populista di sinistra», avverte Zuesse. «L’unico populismo che attualmente ogni capitalista promuove è quello della squadra di Bannon. Comunque – aggiunge Zuesse – entrambe le squadre si demonizzano a vicenda, sia per il controllo del governo degli Stati Uniti che, a livello internazionale, per il controllo del mondo intero, opponendo due diverse visioni del mondo: liberale e conservatrice, o meglio globalista e nazionalista». Entrambi dicono di sostenere la democrazia? Sì, ma magari con le rivoluzioni colorate di Soros (Ucraina, Medio Oriente) o le guerre “democratiche” (Iraq) e i “regime change” (Egitto, Tunisia, Libia, Siria).