Archivio del Tag ‘media’
-
Franceschetti: ma avete visto quanta figa c’è in giro?
Qualche giorno fa parlavo con una persona accusata di omicidio ingiustamente. Parlava, mi raccontava, e ogni tanto commentava “e allora è entrato il giudice… avvocato, vedesse che figa… una figa da paura”. Una volta parlavo con uno a cui avevano ucciso la figlia. “E poi l’avvocatessa mi ha detto… avvocato… vedesse che figa questa avvocatessa, una vestita cosi e cosà”. Anni fa un deputato con cui stavo discutendo una proposta di legge (eravamo in Parlamento) interrompeva spesso il discorso quando vedeva passare una collega donna, commentando i costumi sessuali di tutti quelli che passavano, di cui lui sapeva vita morte e miracoli. Spesso mi è capitato di andare a riunioni di lavoro, anche con persone sconosciute o comunque conosciute poco, che dopo il saluto e la stretta di mano invece di approcciare con un generico “bella giornata, eh?” o “come è andato il viaggio”, ti dicono “quanta figa c’è in giro, vero?”.Quando torno dalla Florida, dove vado ormai quasi tutti gli anni,se riesco, a trovare dei miei amici e a godermi un’aria diversa, alcuni la prima cosa che mi domandano è: “Quanta figa c’è in Florida?”, e quando rispondo “ma che cazzo me ne fotte di quanta figa c’è in Florida??? Che è pure un paese di pensionati e gente obesa”, mi rispondono stupiti: “Ah, come sarebbe… non ti guardi in giro per vedere quanta figa c’è?”. Il top però fu quando, pochi giorni prima che Mariapaola morisse, andai a trovare nella stanza a fianco alla sua un malato terminale di tumore, ormai ultranovantenne; appena entrai e gli chiesi come stava rispose “con certe fighe come infermiere come farei a non star bene? Guarda questa qui, per esempio, che culo che ha…”. Inutile dire che non tornai più a trovarlo perchè mi pareva che la non avesse eccessivo bisogno di conforto spirituale e dialogo. Perlomeno non aveva bisogno del mio dialogo.Da piccolo pensavo che il fenomeno fosse dovuto agli ormoni in eccesso dei mei coetanei, e pensavo di essere io in difetto, ma adesso che ho 50 anni e mi accorgo che questo intercalare ogni discorso, anche il più serio, con commenti sulla figa, è diffuso ad ogni livello sociale e ad ogni età, capisco che il problema è proprio una patologia diffusa, credo dipendente da un’errata educazione sessuale che ci inculcano fin da piccoli. Intendiamoci, pure molte donne si comportano allo stesso modo, ma credo che il fenomeno sia meno frequente, dal punto di vista statistico. Non ce la vedo una donna di novant’anni in punto di morte a dire “con tutti questi cazzi in giro per l’hospice non posso che sentirmi benissimo”, né riesco a pensare ad una madre che mentre discute con un avvocatessa della morte del figlio le fa “senta un po’ avvocato, ma lei se lo scoperebbe quel giudice?”.Ho cercato di difendermi da questi attacchi di demenza negli anni provando tattiche del tipo “guardi, non ne frega molto… sa, sono omosessuale”. Ma niente, non c’era nulla da fare la maggior parte degli uomini per un impulso incoercibile insiste nel descriverti le mirabolanti prestazioni che vorrebbe provare ad ottenere se avesse tra le mani la sconosciuta in questione, aggiungendoci commenti del tipo “non sai che ti perdi…”. Allora ho provato con “guardi, sono impotente, purtroppo questi discorsi con me non attaccano”, ma la maggior parte continua imperterrita.A 50 anni purtroppo questa cosa continua a rimanere per me un mistero più insondabile di quello della Rosa Rossa, pari all’altro fenomeno che ho sempre guardato con una certa curiosità, di milioni di persone che si appassionano al calcio, alla bicicletta, all’automobilismo o al motociclismo e poi non sono mai saliti su una moto, e lo sport non lo praticano mai e l’unica sportività se la concedono rifiutando categoricamente di acquistare un’auto col cambio automatico perchè altrimenti “perdono il piacere della guida”. Che cazzo di piacere ci sarà nello stare imbottigliati nel traffico di Roma in una Punto, sfrizionando in continuazione non l’ho mai capito. Boh. Uno dei motivi per cui mi piace andare in giro da solo in Florida è che non capisco la lingua e non sento le cazzate della gente.(Paolo Franceschetti, “Ma quanta figa c’è in giro, vero”, dalla pagina Facebook di Franceschetti del 3 novembre 2015, ripresa da “Come Don Chisciotte”).Qualche giorno fa parlavo con una persona accusata di omicidio ingiustamente. Parlava, mi raccontava, e ogni tanto commentava “e allora è entrato il giudice… avvocato, vedesse che figa… una figa da paura”. Una volta parlavo con uno a cui avevano ucciso la figlia. “E poi l’avvocatessa mi ha detto… avvocato… vedesse che figa questa avvocatessa, una vestita cosi e cosà”. Anni fa un deputato con cui stavo discutendo una proposta di legge (eravamo in Parlamento) interrompeva spesso il discorso quando vedeva passare una collega donna, commentando i costumi sessuali di tutti quelli che passavano, di cui lui sapeva vita morte e miracoli. Spesso mi è capitato di andare a riunioni di lavoro, anche con persone sconosciute o comunque conosciute poco, che dopo il saluto e la stretta di mano invece di approcciare con un generico “bella giornata, eh?” o “come è andato il viaggio”, ti dicono “quanta figa c’è in giro, vero?”.
-
Chi pilota l’Isis ha il terrore che smettiamo di avere paura
«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».Non un giorno a caso, ma quello in cui – spiega Carpeoro – nel lontano 1307 un gruppo di Templari riuscì a lasciare Parigi sfuggendo alle persecuzioni ordinate da Filippo il Bello: quei Templari riapararono in Scozia, dove si unirono a logge massoniche, all’epoca ancora “operative”, professionali (dedite cioè alla costruzione di cattedrali) per poi dar vita, in seguito, alla massoneria moderna. Già avvocato, pubblicitario e scrittore, eminente studioso di linguaggio simbolico nonché ex “sovrano gran maestro” della massoneria italiana di rito scozzese, Carpeoro ha aderito al “Movimento Roosevelt” fondato da Magaldi per contribuire al “risveglio” della politica italiana in chiave anti-oligarchica. Su Parigi la pensa come Carotenuto e lo stesso Magaldi: è semplicemente impossibile, sul piano tecnico, che i commando di jihadisti in azione nella capitale francese abbiano potuto agire da soli, senza la copertura decisiva di settori “infedeli” delle forze di sicurezza. In più, Carpeoro ravvisa la possibile applicazione del modulo standard concepito dalla Cia per attuare la strategia della tensione, basato su tre direttrici simultanee: due attentati strategici (uno principale, l’altro di riserva) e un terzo obiettivo, tattico-diversivo, per sviare la polizia e centrare più facilmente il “bersaglio grosso”.Secondo questo copione, sistematicamente attuato, il presidente Hollande potrebbe esser stato addirittura all’oscuro del complotto, sostiene Carpeoro: probabilmente il “bersaglio grosso” doveva essere lui, insieme agli altri spettatori allo stadio. «Poteva essere una strage ben peggiore, con persone uccise dall’esplosivo e altre dal caos scatenato dal panico, sugli spalti. Ma qualcosa è andato storto, perché qualcuno ha intercettato i kamikaze fuori dallo stadio. Solo a qual punto, quindi, i terroristi potrebbero aver ricevuto l’ordine di sterminare il pubblico del teatro Bataclan. Le sparatorie nel centro di Parigi? Solo un diversivo per distogliere le forze di polizia, ignare dell’operazione in corso». Obiettivo comunque raggiunto grazie al Piano-B, la strage nel teatro: terrore diffuso, insicurezza, bisogno di protezione e quindi maggiore disponibilità ad accettare strette repressive e persino la prospettiva della guerra. Retroscena: «Bisogna capire con chi parlò Hollande nei giorni precedenti, tenendo conto che negli ultimi anni, si veda la Libia ma non solo, è stata sempre la Francia a dare il via ai grandi sconvolgimenti geopolitici». Qualcuno potrebbe aver proposto a Hollande di aprire le danze anche stavolta (un mese fa, il capo dell’Eliseo annunciò di voler bombardare l’Isis in Siria), in cambio di un allentamento della stretta di Bruxelles sulla finanza pubblica francese.Non a caso, il governo di Parigi ha risposto all’attentato con massicci blitz dell’aviazione in Siria accanto alla Russia, e ha annunciato che per questo motivo la Francia sforerà il tetto europeo per la spesa pubblica. Se Magaldi ricorda quanto già rivelato un anno fa nel suo libro esplosivo – il ruolo della superloggia segreta “Hathor Pentalpha” dietro alla strategia della tensione (internazionale) avviata con l’11 Settembre – un ex stratega dell’intelligence come Carotenuto, ora impegnato sul fronte opposto anche attraverso il network “Coscienze in rete”, non usa giri di parole: «Per distruggere l’Isis in tre settimane non serve neppure una bomba, basta chiudere i rubinetti: bloccare via terra, cielo e mare i rifornimenti che l’Isis riceve ogni giorno, come le centinaia di Tir che varcano regolarmente il confine turco». Finora si è lasciato fare? Inutile stupirsene: «Non esiste terrorismo, e nemmeno strapotere mafioso, senza una protezione diretta da parte dei vertici. Come dimostra la storia delle Br, a lungo “imprendibili” e poi liquidate, lo Stato è infinitamente più forte di qualsiasi avversario di quel genere: se gli attentati hanno successo, è solo perché qualcuno, dall’interno, ha collaborato coi terroristi».L’ultima cosa che manca, oggi, è la manovalanza: «Non si può pensare che milioni di persone si rassegnino ad avere fame per sempre», dice ancora Carpeoro: «Questo sistema economico, radicalmente ingiusto, alla lunga non può che produrre rivoluzioni». Proprio per questo, dice ancora l’ex “sovrano gran maestro” della massoneria non-allineata di Palazzo Vitelleschi, gli elementi più lucidi della super-massoneria interazionale anglosassone hanno iniziato a opporsi all’élite oligarchica. Magaldi conferma: proprio a loro, oltre che all’opinione pubblica europea, è rivolto il terrorismo di Parigi, concepito come monito nei confronti dell’élite democratica, «in fase di riorganizzazione dopo decenni di dominio da parte dell’ala neo-aristocratica e reazionaria del massimo potere». Proprio quei poteri, chiosa Carotenuto, hanno operato ininterrottamente nella medesima direzione, la guerra, a partire dall’11 Settembre: Iraq e Afghanistan, Somalia, Yemen, poi le «finte primavere arabe» che hanno destabilizzato paesi come Egitto e Tunisia, fino alla doppia carneficina della Libia e della Siria. «Identico l’obiettivo: creare il caos, e in quel caos fra crescere la manovalanza del terrore, ieri Al-Qaeda e oggi Isis». Movente: «Solo in condizioni di evidente emergenza l’opinione pubblica occidentale più accettare la guerra e, entro i propri confini, decisive restrizioni della libertà che consegnano ancora più potere ai soggetti dominanti».Per Carpeoro, dietro a tutto questo non c’è neppure una grande visione, sia pure distorta: «C’è solo brama di potere, di dominio: se il 50% dell’energia di cui ho bisogno proviene da uno di quei paesi, non posso tollerare che vi si instauri una democrazia», in grado di insediare un governo che cambi le carte in tavola e pretenda diritti. Forse, sotto questo aspetto, la strage di Parigi – che è un’esibizione minacciosa – può essere anche un segnale di debolezza: gli egemoni ricorrono alla legge della paura perché temono di perdere terreno? Per Carotenuto, non è neppure questione di geopolitica o banche: «Al-Qaeda e l’Isis sono soltanto strumenti. Il vero obiettivo è dominare la nostra mente, condizionandola in eterno per renderci inoffensivi e rassegnati». Guai a dare la caccia ai fantasmi, insiste Carpeoro: si rischia solo di credere alla fiaba dell’Uomo Nero, proprio come vorrebbero gli egemoni. «Il potere è uno schema», non una piramide: «Puoi abbattere il vertice, e il giorno dopo i peggiori leader sono sostituiti con altri, identici. Il problema siamo noi, che accettiamo un sistema senza valori, che prevede che qualcuno stia meglio se altri stanno peggio: dobbiamo svegliarci, rifiutare questo tipo di società». E’ possibile che il “risveglio” sia già partito, ai piani alti? Lo spaventoso massacro di Parigi ne sarebbe una conferma: l’élite stragista comincia ad avere paura, al punto da scatenare l’orrore in mondovisione?«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».
-
Giovanilismo e donnismo, l’imbroglio della post-sinistra
Sottoscrivo in toto questo articolo di Andrea Bajani pubblicato sul “Manifesto”, “Il giovane Gallino e il vecchio Renzi”. Scrive testualmente Bajani in un passo all’inizio del suo articolo: «Con Luciano Gallino, a cui oggi Torino darà l’ultimo saluto, se ne va via la dimostrazione più evidente di quanto la retorica della gioventù sia farlocca e demagogica. L’anagrafe non è garante di nulla, se non di una, peraltro solo statistica, salute migliore. L’essere giovani non è una patente di intelligenza». Parole non sagge, di più, se non fosse per il fatto che Bajani omette o dimentica di dire che a costruire questi falsi miti è stata in primis proprio la sinistra. Al “giovanilismo” dobbiamo infatti affiancare il “donnismo”. L’essere donna, ancor più che l’essere giovani, costituisce da tempo per la sinistra una sorta di valore aggiunto. Se poi si è giovani (e magari pure di bell’aspetto) e donne nello stesso tempo, allora si è fatto veramente bingo e la strada per essere elette da qualche parte è sicuramente in discesa, quote rosa o non quote rosa.Quante volte abbiamo sentito ripetere dai leader della sinistra (anche della destra, per la verità) nei comizi, nelle pubbliche assemblee e soprattutto in televisione lo slogan “Siamo dalla parte dei giovani, delle donne, dei lavoratori e dei pensionati”? Passi per i lavoratori (con questo termine ci si riferisce agli operai, agli impiegati, ai precari e ai lavoratori salariati in generale, non ai top manager) e per i pensionati (anche in questo caso nel linguaggio comune si intendono quelli a reddito basso o medio basso, non i cosiddetti “pensionati d’oro”); in tal senso l’utilizzo dei termini “lavoratori e pensionati” fa riferimento, anche dal punto di vista linguistico e concettuale, ad una logica di classe o comunque di difesa dei ceti sociali meno abbienti. Ma parlare di “giovani e donne” non ha veramente senso, dal momento che è evidente a tutti/e che ci sono giovani e donne ricchi/e e privilegiati/e o comunque benestanti (indipendentemente dall’appartenenza sessuale) e giovani e donne che non lo sono affatto.Che senso ha quindi dire di stare dalla parte dei “giovani e delle donne”, come se fossero degli ordini professionali o dei gruppi (classi) sociali o addirittura delle categorie filosofiche? E allora perché non anche “uomini”? Per la semplice ragione che non avrebbe nessun senso. Tanto varrebbe allora dire che si sta dalla parte dell’umanità intera. La qual cosa, politicamente parlando (ma non solo),sarebbe priva di ogni fondamento e di ogni senso, direi anche decisamente ridicola. E’ vero che ormai, nell’era della morte della Politica con la P maiuscola e del trionfo della “politica spettacolo” (al servizio del Mercato), le vecchie categorie politiche sono state gettate nella spazzatura. Però è vero anche che la Politica, da che mondo è mondo, è parziale per definizione. Non si può infatti stare dalla parte di tutti e di tutte. E’ oggettivamente impossibile perché la Politica è scelta. Politica significa dire dei sì e dire dei no, significa schierarsi da una parte piuttosto che da un’altra, anche e soprattutto se si ha a cuore il cosiddetto “interesse generale”.La difesa dell’“interesse generale” di roussoviana memoria non può infatti che passare attraverso il concetto di parzialità, perché è solo attraverso la dialettica (delle parti in conflitto) che si può addivenire ad una sintesi o ad un equilibrio più avanzato, come si soleva dire una volta in gergo politico (proprio quella che non c’è più oggi dal momento che il Mercato e il Capitale sono egemoni e occupano tutto lo spazio politico, da destra a sinistra). Chi lo nega è in malafede oppure è meglio che non si occupi di politica. Ergo, parlare di “giovani” e di “donne” è assolutamente privo di significato. Ha quindi perfettamente ragione Bajani che però (non dimentichiamo che l’articolo è stato pubblicato sul “Manifesto”, in seconda posizione, forse, e dico forse, solo alla “Repubblica” in fatto di femminismo…) si limita ad affrontare il primo aspetto e non indaga il secondo. Va anche detto che l’articolo voleva essere il ricordo di un intellettuale vero come Luciano Gallino (ci uniamo sinceramente al cordoglio) e non era il momento per aprire una riflessione di questo genere (solo l’autore è in grado di sapere se in altre circostanze l’avrebbe aperta, ma questo non ci riguarda).Ma in realtà c’è una “logica” nel “giovani” e soprattutto nel “donne” e non anche “uomini” (oltre all’evidente aporia cui facevo cenno sopra). Nell’immaginario comune infatti, costruito in decenni di sistematico e quotidiano bombardamento psico-mediatico, donna è diventato sinonimo di vittima, di oppressa, di discriminata. Gli uomini, secondo la ricostruzione femminista della storia, eletta ormai a Verità Universale, sono comunque dei privilegiati in virtù della loro appartenenza sessuale. Come è stato scritto più volte e da più parti (non faccio i nomi perché non voglio fargli pubblicità più di quanta già non ne abbiano), “i maschi, indipendentemente dalla loro condizione sociale, sperimentano fin dalla primissima età, i vantaggi e i privilegi che gli derivano dall’essere maschi in una società dominata dalla cultura maschilista e patriarcale”.Questo viene concepito e proposto come un vero e proprio postulato che, come tale, è stato accettato e sposato più o meno da tutti. Se quindi il famoso “largo ai giovani” trova la sua giustificazione in una sorta di archetipo da sempre storicamente radicato nella mente di tutti (chi è che potrebbe dire o anche concepire “chiudiamo gli spazi ai giovani”; non avrebbe neanche senso, oltretutto…), il “largo alle donne” trova la sua giustificazione nella lettura femminista, eretta a Verità Universale e penetrata ormai nell’immaginario comune, in base alla quale le donne sono comunque dei soggetti in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini, indipendentemente dalla loro condizione e/o collocazione sociale. Il che è evidentemente assurdo e anche un po’ demenziale e grottesco, per quanto mi riguarda, oltre che profondamente sessista e interclassista. Ma tant’è. A mio parere, anche e soprattutto questi fenomeni sono significativi dell’impoverimento politico, ideale e culturale complessivo dei nostri tempi. L’attuale “sinistra” non solo non è estranea a tale processo di impoverimento ma ci sta dentro fin sopra i capelli. E anche questo è un fatto evidente, per lo meno per chi scrive.(Fabrizio Marchi, “Giovanilismo e donnismo, le nuove bandiere della postmodernità capitalista”, da “L’Interferenza” del 12 novembre 2015).Sottoscrivo in toto questo articolo di Andrea Bajani pubblicato sul “Manifesto”, “Il giovane Gallino e il vecchio Renzi”. Scrive testualmente Bajani in un passo all’inizio del suo articolo: «Con Luciano Gallino, a cui oggi Torino darà l’ultimo saluto, se ne va via la dimostrazione più evidente di quanto la retorica della gioventù sia farlocca e demagogica. L’anagrafe non è garante di nulla, se non di una, peraltro solo statistica, salute migliore. L’essere giovani non è una patente di intelligenza». Parole non sagge, di più, se non fosse per il fatto che Bajani omette o dimentica di dire che a costruire questi falsi miti è stata in primis proprio la sinistra. Al “giovanilismo” dobbiamo infatti affiancare il “donnismo”. L’essere donna, ancor più che l’essere giovani, costituisce da tempo per la sinistra una sorta di valore aggiunto. Se poi si è giovani (e magari pure di bell’aspetto) e donne nello stesso tempo, allora si è fatto veramente bingo e la strada per essere elette da qualche parte è sicuramente in discesa, quote rosa o non quote rosa.
-
Magaldi: dietro al terrore, menti massoniche e 007 traditori
«Le menti e le mani che hanno prima pianificato ed effettuato gli attentati a “Charlie Hebdo” e poi le terribili stragi di venerdì 13 novembre 2015 sono le stesse, identiche. E sono menti e mani che amano particolarmente le simbologie della tradizione esoterica e massonica occidentale… in modo impressionante», afferma Gioele Magaldi, segnalando una sinistra coincidenza storica: «Non ho ancora sentito nessuno, a livello di mainstream mediatico, ricordare che il venerdì 13 ottobre del 1307, proprio in Francia, il re Filippo il Bello ordinò l’arresto dei Templari. Da allora, quella data ha assunto una rilevanza fondamentale in determinati ambienti appunto esoterici e massonici, e persino nella produzione letteraria e filmografica». Autore del bestseller “Massoni. Società a responsabilità illimitata”, Magaldi ha denunciato già nel 2014 i piani criminali della superloggia “Hathor Pentalpha”, creata dai Bush reclutando anche leader come Blair, Sarkozy ed Erdogan per una sorta di strategia della tensione (mondiale) inaugurata l’11 Settembre con l’attacco alle Torri, che diede il via alla “guerra infinita”.«I tragici fatti di Parigi, sia del 7 gennaio che dello scorso 13 novembre 2015, sono anzitutto opera di coloro che hanno creato a tavolino prima Al Qaeda e poi l’Isis», insiste Magaldi, intervistato da Lorenzo Lamperti per “Affari Italiani”. «Chi ha voluto realizzare la strage di Parigi, facendola compiere proprio un venerdì 13, ha mandato un segnale preciso di natura infra-massonica». Magaldi, già “gran maestro” della loggia Monte Sion e poi leader del Grande Oriente Democratico, si riserva di spiegare in seguito di che “segnale infra-massonico” si tratti e perché, «al lume delle notizie riservate che mi sono pervenute», dice, «sia stato scelto egualmente l’autunno per questo attentato, ma non il mese di ottobre, bensì quello di novembre». Magaldi afferma di annoverare «diversi amici fraterni onesti e scrupolosi, tra i quadri e i dirigenti dei servizi d’intelligence (di diverse nazioni) operanti in Francia e in particolare a Parigi». Gli hanno “suggerito” che «senza una falla grossa come una casa nell’operato degli stessi servizi segreti occidentali e francesi (qualche agente infedele che, evidentemente, ha “collaborato” con i terroristi, tradendo con infamia i propri doveri e la propria dignità di uomo e di servitore dello Stato), quello che è accaduto venerdì 13 novembre non sarebbe mai potuto accadere».Troppo facile, il “lavoro” dei killer: «Ma stiamo scherzando? Terroristi che arrivano indisturbati a pochi passi da dove si muove il presidente della Repubblica e che vanno a fare il più atroce attentato in un locale che avrebbe dovuto essere scientificamente guardato a vista da servizi d’intelligence e sicurezza, in quanto già attenzionato in precedenza per possibili atti di terrorismo e violenza? Senza la connivenza di apparati deviati dell’intelligence militare e civile, tutto ciò non sarebbe stato assolutamente possibile». Puntuali, i riflessi politici dopo la strage: il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, ha detto che “dobbiamo esser pronti a cedere una parte delle nostre libertà” di comunicazione. Un Patriot Act all’italiana? «Se Franco Roberti si è espresso cosi, il Movimento Roosevelt, entità politica metapartitica da me presieduta, chiederà ufficialmente le sue dimissioni», avverte Magaldi. Dimissioni «per manifesta incompatibilità ideologica con i principi e i fondamenti di quelle istituzioni democratiche e liberali che egli, con le strutture da lui guidate, dovrebbe difendere dalle minacce del terrorismo e della malavita organizzata».Magaldi ricorda che il massone progressista Benjamin Franklin, uno dei massimi padri della nascita della prima Repubblica costituzionale e democratica al mondo, gli Stati Uniti d’America, soleva affermare: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza». E dire che la soluzione, quella vera, sarebbe a portata di mano: «Se solo si volesse (ma non si vuole, perché lo show del terrorismo hollywoodiano a cura dell’Isis fa comodo a molti), si dovrebbe procedere con un’azione militare poderosa, per via aerea ma soprattutto via terra, concertata tra tutte le maggiori potenze almeno nominalmente democratiche, preferibilmente sotto l’egida dell’Onu». Un’azione risoluta, «per spazzare via il cosiddetto Califfato dell’Isis dalla faccia della terra». Se solo si volesse, aggiunge Magaldi, in poco tempo i miliziani dell’Isis sarebbero travolti. «Solo che, per essere credibile, legittimato, giustificabile e ben accetto, al presente come per il futuro, un tale intervento militare, una volta conseguita la vittoria, dovrebbe essere seguito rapidamente e seriamente dalla costruzione di infrastrutture materiali e immateriali, culturali, istituzionali ed economiche».Se si vuole la pacificazione occorre un colossale investimento, quindi, per «trasformare quei territori martoriati medio-orientali (ora dominati dal Califfato) in società libere, democratiche, laiche, con un grande dispendio di risorse per aiutare la popolazione locale». Attenzione: «Non si tratta di fingere di “esportare la democrazia”, come volevano far credere all’opinione pubblica mondiale i farabutti massoni contro-iniziati che, tramite la superloggia sovranazionale Hathor-Pentalpha (si legga il primo volume della serie di “Massoni”, per capire di che si tratti), andarono a mettere a ferro e fuoco l’Iraq nei primi anni ‘2000 e altri territori in tempi successivi». Per Magaldi si tratta di costruirla davvero una vita democratica, libera, laica, pluralista e pacifica in quello che ora è l’habitat totalitario, integralista e ierocratico dell’Isis, ma anche nel resto del Medio Oriente. «E per farlo, occorre che i governi delle maggiori potenze democratiche mondiali collaborino con gli ambienti islamici più laici e moderati dell’area nord-africana e medio-orientale».C’è il rischio che ora, in Europa, prendano sempre più forza i populismi e gli estremismi, come Le Pen in Francia o Salvini in Italia? Falso allarme: «E’ uno spauracchio, questo della possibile avanzata dei movimenti populistici ed estremistici, agitato strumentalmente da coloro che poi, per far fronte a questa eventuale avanzata, propongono governi consociativi che, per loro natura, annullano la normale dialettica democratica tra forze politiche alternative». Governi consociativi come quello di Mario Monti, che poi favoriscono l’approvazione, quasi sempre con scarso dibattito politico-mediatico, di misure legislative contrarie all’interesse del popolo sovrano ma assai utili ad interessi privati sovranazionali e apolidi: «Si ricordi l’approvazione totalitaria e silenziata del funesto Fiscal Compact, ad opera del governo Monti, in Italia, e altri provvedimenti simili presi in tutta Europa». Magaldi non tifa certo per i populismi e gli estremismi, tanto più se di natura neo-nazionalistica, ma osserva che «i gruppi dirigenti di questi movimenti, solitamente, quando vanno al governo, si dimostrano del tutto docili e subalterni a quegli stessi poteri apolidi che di consueto si servono di maggioranze consociative e formalmente “moderate”».Magaldi punta il dito contro la regia occulta una certa massoneria internazionale, ma coi dovuti distinguo: «Non bisogna confondere il carattere cinico e apolide delle élites massoniche neoaristocratiche e reazionarie, cui mi sto riferendo, e che in alcuni loro segmenti sono responsabili dell’atroce strage di Parigi del 13 novembre scorso, dal positivo cosmopolitismo dei gruppi massonici progressisti, per i quali la patria non è la propria nazione, ma ogni luogo dove occorra combattere per la democrazia, la libertà e i valori racchiusi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata all’Onu il 10 dicembre 1948, grazie al “matrocinio” della libera muratrice Eleanor Roosevelt». Proprio nel nome dei Roosevelt, Eleanor e il marito Franklin Delano, promotore del New Deal che resuscitò l’America dalla Grande Depressione sulla base delle ricette macro-economiche di un altro massone, il grande economista John Maynard Keynes, ha dato vita al suo movimento italiano. Missione: democratizzare la politica, sfidando l’egemonia culturale dell’élite che terremota gli Stati con “armi di distruzione di massa” come l’austerity, basata sul taglio dell’investimento pubblico per dare mano libera all’oligarchia finanziaria. Dietro all’economia c’è un vertice politico occulto, insiste Magaldi, dominato da elementi massonici di stampo neo-feudale. E’ un disegno preciso, che avanza tra macerie e vittime. E va fermato nel solo modo possibile: con la democrazia.«Le menti e le mani che hanno prima pianificato ed effettuato gli attentati a “Charlie Hebdo” e poi le terribili stragi di venerdì 13 novembre 2015 sono le stesse, identiche. E sono menti e mani che amano particolarmente le simbologie della tradizione esoterica e massonica occidentale… in modo impressionante», afferma Gioele Magaldi, segnalando una sinistra coincidenza storica: «Non ho ancora sentito nessuno, a livello di mainstream mediatico, ricordare che il venerdì 13 ottobre del 1307, proprio in Francia, il re Filippo il Bello ordinò l’arresto dei Templari. Da allora, quella data ha assunto una rilevanza fondamentale in determinati ambienti appunto esoterici e massonici, e persino nella produzione letteraria e filmografica». Autore del bestseller “Massoni. Società a responsabilità illimitata”, Magaldi ha denunciato già nel 2014 i piani criminali della superloggia “Hathor Pentalpha”, creata dai Bush reclutando anche leader come Blair, Sarkozy ed Erdogan per una sorta di strategia della tensione (mondiale) inaugurata l’11 Settembre con l’attacco alle Torri, che diede il via alla “guerra infinita”.
-
Prima dell’acqua potabile, Messina avrà il plastico del Ponte
Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.Non ci sarebbe stato bisogno in realtà di nessun Vatileaks per sapere che la Chiesa Cattolica è una delle multinazionali più avide e corrotte del pianeta. E la gestione delle attrazioni e dei flussi turistici è sempre stata una delle sue specialità. Renzi è un animatore turistico, e fare dell’Italia il suo villaggio probabilmente è proprio il compito che gli è stato assegnato. Perché il progetto in realtà non è soltanto berlusconiano. Questa è anche l’idea che le classi dirigenti d’Europa e del resto del mondo hanno dell’Italia: un resort di loro proprietà dove venire ad ammirare panorami, monumenti, e culi, al dolce canto dei tenorini di Sanremo.Quindi il premier che gli serve in Italia è un curatore, un commissario, come Monti, ma con un’immagine mediatica più accattivante. Un commissario cazzaro. E gli serve una Costituzione truccata come una Volkswagen apposta per mantenere il Commizzaro al suo posto il più possibile.Secondo gli ultimi sondaggi, in un eventuale ballottaggio il Movimento 5 Stelle batterebbe il Pd. L’Italicum sarà quindi modificato in modo che assegni la maggioranza assoluta dei seggi al perdente. Poi il Team Expo sostituirà Camera e Senato con due padiglioni. Alla maggioranza del resto degli italiani resteranno i ruoli di cameriere stagionale, sguattero precario, guida turistica abusiva. Pizzaiolo. Cubista. Sfondo da selfie. Agli intellettuali, quello di posteggiatori. Meno i turisti capiranno l’italiano, più apprezzeranno i loro stornelli. Messina avrà il plastico del ponte prima dell’acqua potabile. Mentre il Commizzaro s’impegnerà a dimostrare ai Casamonica d’essere un giostraio più abile di loro.(Alessandra Daniele, “Il Comizzaro”, da “Carmilla online” dell’8 novembre 2015).Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.
-
E così compriamo dall’Isis i capolavori distrutti per finta
Poche settimane fa Paolo Gentiloni e Dario Franceschini, rispettivamente ministri degli Esteri e dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, celebravano il “successo” per il “sì” del Consiglio esecutivo dell’Unesco alla proposta italiana di istituire meccanismi per l’uso dei “caschi blu della cultura”. Una task force internazionale dunque che dovrà intervenire laddove il patrimonio dell’umanità viene messo a rischio da catastrofi naturali o da attacchi terroristici. La decisione è infatti arrivata dopo i video pubblicati dallo Stato Islamico sulla distruzione dei siti archeologici (Nimrud, Hatra, Khorsabad, Palmira) in Iraq e in Siria da parte dei suoi miliziani. Peccato però che gli indignati non fanno altro che rinsaldare la strategia mediatica e le casse del Califfato invece che impedire questo scempio. In realtà dietro alla furia iconoclasta si nasconde un business da milioni di dollari. A rivelarlo è stata l’archeologa francolibanese Joanne Farchakh, intervistata dal giornalista Robert Fisk per l’“Independent”.«L’Isis prima vende le statue, i reperti, qualunque cosa richiesta dai compratori sul mercato internazionale», racconta al quotidiano inglese: «Prende il denaro e poi fa saltare in aria il tempio da cui queste cose provenivano così da distruggere tutte le prove». Da un lato dunque le riprese possono essere vere e proprie messe in scena per nascondere questo commercio di statue, ceramiche, mosaici, bassorilievi, monete, frontoni di pietra e affreschi; dall’altro può accadere che la demolizione avviene solo parzialmente così da non far sapere quali pezzi sono stati venduti dopo il saccheggio. La scoperta di questo traffico occulto che coinvolge Stato Islamico, compratori privati delle capitali del mondo dell’arte e gruppi organizzati della criminalità turca, i quali permetterebbero il transito verso l’Europa e gli Stati Uniti, è stato ampiamente documentato da diversi esperti. Tra questi Mark Altaweel, archeologo americano di origini irachene nonché docente all’Università College di Londra, il quale in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva “Russia Today” ha mostrato i siti di antiquariato inglesi che vendono a prezzi stratosferici resti artistici provenienti da Siria e Iraq.Altaweel è una figura molto autorevole, tanto che il quotidiano “The Guardian” si era fatto portare quest’estate a spasso nella regione per svolgere un’inchiesta volta a scoprire il luogo di provenienza di molti oggetti sparsi nel mercato occidentale dell’antiquariato. Le sue conclusioni vanno nella stessa direzione di quelle di Joanne Farchakh che nell’intervista ha spiegato come «l’Isis ha saputo imparare dai suoi errori, quando iniziò a distruggere i siti in Siria e in Iraq, arrivarono con i martelli, gli autocarri, distrussero ogni cosa più velocemente possibile e ne fecero un filmato brevissimo. Nimrud venne fatta saltare in aria in un giorno, ma il filmato che ne uscì fu di soli 20 secondi. Non so quanta sia l’attenzione che si può catturare con un video così breve». Ora però che ci sono i compratori è cambiata la strategia. L’arte è un business raffinato quanto quello del petrolio e delle armi.Adesso infatti – spiega l’archeologia francolibanese – «l’evento viene annunciato da una grande esplosione, poi arrivano, frammentate, le sequenze dettagliate di quello che è avvenuto». Come con la distruzione di Palmira, dove sono state documentate prima le esecuzioni dei soldati siriani nel tempio romano, poi sono stati mostrati gli esplosivi legati attorno alle antiche colonne, ancora la decapitazione del coraggioso custode in pensione del tempio e soltanto alla fine la distruzione del sito. Un evento costruito ad arte sia per i media, che ormai si erano rifiutati di mandare in onda altro sangue, sia per i mercanti d’arte, perché “più a lungo dura la devastazione, più salgono i prezzi dei reperti rubati”. Insomma i “caschi blu della cultura” più che recarsi nelle aree minacciate dallo Stato Islamico dovrebbero seguire il traffico occulto che conduce nelle principali capitali occidentali.(Sebastiano Caputo, “Dietro alla furia iconoclasta dell’Isis un business da milioni di dollari”, da “Il Giornale” del 9 novembre 2015).Poche settimane fa Paolo Gentiloni e Dario Franceschini, rispettivamente ministri degli Esteri e dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, celebravano il “successo” per il “sì” del Consiglio esecutivo dell’Unesco alla proposta italiana di istituire meccanismi per l’uso dei “caschi blu della cultura”. Una task force internazionale dunque che dovrà intervenire laddove il patrimonio dell’umanità viene messo a rischio da catastrofi naturali o da attacchi terroristici. La decisione è infatti arrivata dopo i video pubblicati dallo Stato Islamico sulla distruzione dei siti archeologici (Nimrud, Hatra, Khorsabad, Palmira) in Iraq e in Siria da parte dei suoi miliziani. Peccato però che gli indignati non fanno altro che rinsaldare la strategia mediatica e le casse del Califfato invece che impedire questo scempio. In realtà dietro alla furia iconoclasta si nasconde un business da milioni di dollari. A rivelarlo è stata l’archeologa francolibanese Joanne Farchakh, intervistata dal giornalista Robert Fisk per l’“Independent”.
-
Il massacro di Parigi e le rivelazioni-choc di Gioele Magaldi
Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi – col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il “nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”, quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle 36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.“Hathor” è l’altro nome della dea egizia Iside, e non è un caso – per Magaldi – che si chiami proprio Isis l’armata di tagliagole del “califfo” Al-Baghdadi, terroristi e miliziani sostenuti da Turchia e Arabia Saudita, appoggiati da settori dell’intelligence Usa e impiegati in diversi teatri, sempre con la medesima missione: destabilizzare gli assetti statali, generare terrore e caos, ingaggiare l’Occidente in una sorta di Terza Guerra Mondiale che ha come obiettivo strategico il depotenziamento della Cina, vero competitor mondiale dell’egemonia del dollaro, e il suo alleato più potente, l’indocile Russia di Putin. Analisi sviluppate in questi anni da decine di osservatori internazionali, ma solo da Magaldi integrate anche con le lenti dell’élite massonica planetaria. Già “gran maestro” della loggia Monte Sion aderente al Grande Oriente d’Italia, Magaldi rivendica orgogliosamente la sua appartenza libero-muratoria e, nel libro, insiste sulla paternità massonica della modernità: «Lo Stato laico, la democrazia e il suffragio universale non li ha portati la cicogna». Rivoluzione Francese, Rivoluzione Americana. Persino la Rivoluzione d’Ottobre: «Prima di far nascere l’Urss, Lenin fondò a Ginevra la superloggia Joseph De Maistre». Inutile stupirsi più di tanto: «E’ comprensibile che il soggetto storico che ha introdotto la modernità poi cerchi anche di pilotarla a suo piacimento».Nei libri di storia, però, di massoneria si accenna, al massimo, tra le pagine dedicate al Risorgimento italiano – essendo massoni Mazzini, Garibaldi e Cavour, anch’essi appartenenti a una corrente impegnata in una lotta secolare contro l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo vaticano. Fuoriuscito dal Grande Oriente d’Italia per fondare una sua associazione, il Grande Oriente Democratico, Magaldi è stato affiliato anche a una storica Ur-Lodge progressista anglosassone, la “Thomas Paine”. E ora ha fondato un organismo politico-culturale, il Movimento Roosevelt, che si richiama al lascito dei Roosevelt, entrambi massoni progressisti: il presidente Franklin Delano, fautore del New Deal, e sua moglie Eleanor, promotrice all’Onu della Dichirazione universale dei diritti dell’uomo. Un orizzonte liberal-socialista, nutrito di idee keynesiane, quelle che ispirarono lo storico piano elaborato da George Marshall per far risorgere l’Europa dalle macerie del dopoguerra. Tradotto oggi: fine dell’austerity disposta dall’Ue ed estensione della spesa pubblica espansiva, verso la piena occupazione. Anche qui: si parla spessissimo di Keynes e del Piano Marshall, evitando però di ricordare che l’insigne economista inglese e il famoso generale erano entrambi massoni progressisti. Magaldi rivela che il loro ultimo “discendente”, il celebre sociologo Arthur Schlesinger Jr., elemento di punta della super-massoneria progressista anglosassone, è l’uomo a cui l’Italia deve il fallimento dei tentativi di colpi di Stato rapidamente succedutisi, promossi da elementi della super-massoneria reazionaria.«L’Italia è sempre stato un paese-laboratorio, un campo di battaglia decisivo dove attuare esperimenti democratici oppure autoritari», spiega Magaldi: «Non a caso, in Portogallo la Rivoluzione dei Garofani del 1974 venne fatta scoccare il 25 aprile, anniversario della Liberazione italiana, per rispondere al golpe dei colonnelli in Grecia». Come sempre, anche oggi l’Italia è nel mirino: nel 2011 è stata investita in pieno dalla potenza di fuoco dell’élite tecnocratica europea, dopo la lettera della Bce con cui la Troika disarcionò Berlusconi, firmata da Jean-Claude Trichet e dal “fratello” Mario Draghi, cui rispose il “fratello” Napolitano insediando a Palazzo Chigi il “fratello” Mario Monti. Le informazioni contenute nel suo libro, assicura Magaldi, sono tutte documentate in 5.000 pagine di archivio, che l’autore si è sempre dichiarato pronto a esibire in caso di contestazioni. Ma non ce n’è stato bisogno: “Massoni, la scoperta delle Ur-Lodges” è stato accolto nel modo più comodo, cioè con la congiura del silenzio da parte di tutti, nel mainstream politico-editoriale. Troppe rivelazioni scomode, per troppi personaggi ancora al potere, da Draghi in giù.Silenzio anche dagli storici, presi in contropiede dalla sconcertante rilettura magaldiana del ‘900: il massone Pinochet contro il massone Allende in Cile, il sostegno della massoneria progressista a John Kennedy, lo “scudo massonico” organizzato per tentare di proteggere Bob Kennedy e Martin Luther King, dalle cui uccisioni scaturì una drammatica rottura. Dagli anni ‘70 si affermò l’ala destra, incarnata da leader come Kissinger e Brzezinski, destinati a mettere all’angolo i leader della corrente progressista. Segreti, misteri e contorsioni anche inattese: l’attentato a Reagan promosso dai sostenitori occulti di Bush e l’attentato (speculare e simmetrico) a Papa Wojtyla, orchestrato dall’élite massonica che aveva sostenuto Reagan. La stessa oligarchia del regime di Bruxelles è interamente massonica, sostiene Magaldi, e appartiene alla corrente neo-conservatrice. Per questo oggi siamo arrivati alla recessione strutturale, alla disoccupazione-record, alla depressione storica di un paese come l’Italia. Loro, i neo-aristocratici, hanno colonizzato il pianeta (e l’Europa) col pensiero unico neoliberista: lo Stato deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, rassegati a ridiventare sudditi. Per Magaldi non è solo un attentato alla democrazia, è anche il tradimento della più autentica vocazione massonica.Nel suo saggio, Magaldi rilegge gli eventi epocali che hanno determinato la situazione di oggi, a partire da libri-evento come “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e asservirlo ai diktat delle grandi lobby multinazionali.Nulla di tutto ciò è avvenuto per caso, avverte Magaldi, che nell’esplosiva appendice del suo lavoro editoriale fa dire al massone oligarchico “Frater Kronos” che qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli nel 1980 dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita alla «inquietante, pericolosa e sanguinaria» superloggia denominata “Hathor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy, incluso il turco Erdogan. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge sempre nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro il paravento della “primavera araba”. Ultimo bersaglio, la Russia di Putin. Ma la “geopolitica del caos” si avvale sempre di più della più grottesca creatura dell’intelligence, il fondamentalismo islamico: nel lontano 2009, i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Oggi, Al-Baghdadi è l’uomo che minaccia l’Europa e fa strage di innocenti a Parigi, e c’è chi se ne stupisce: politici e giornalisti esibiscono sconcerto e raccapriccio, come se brancolassero nel buio. Eppure, tra le pagine di “Massoni”, era tutto in qualche modo già scritto. Ma non c’è pericolo che le analisi di Magaldi emergano al punto da affacciarsi in prima serata sul mainstrem televisivo, e neppure sulle pagine sempre reticenti della grande stampa.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi – col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il “nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”, quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle 36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.
-
Gallino ha smascherato questo regime estremista e bugiardo
Ho conosciuto personalmente Luciano Gallino in un dibattito a Torino nei primi anni ‘90 del secolo scorso. Avevo letto molti suoi scritti, ma non lo avevo mai incontrato. Ero da poco diventato segretario della Fiom regionale e fui invitato ad un confronto con lui ed altri sul lavoro. Mi lasciai andare ad una filippica contro quegli intellettuali, in particolare gli studiosi di scienze sociali, che – usai questa metafora – non guardavano mai l’altra faccia della luna, cioè descrivevano i cambiamenti in atto nel lavoro solo dal punto di vista delle direzioni d’impresa. Erano gli anni del trionfo del toyotismo all’italiana lanciato dalla Fiat di Cesare Romiti, che trovava il suo magnificato modello nel nuovo stabilimento di Melfi. In realtà nasceva un nuovo sistema di comando autoritario sul lavoro, che faceva passare per partecipazione quella che in realtà era solo la ricerca della sottomissione totale del lavoratore all’impresa.Gallino si offese molto per quella mia frase impertinente, anche se, come era suo costume, nel dibattito usò solo analisi sociale e cortesia torinese. Pochi giorni dopo mi arrivò in ufficio un pacco di libri e riviste di sociologia. Era una piccola antologia di testi di Luciano Gallino, accompagnati da una sua lettera molto gentile, ma che nella sostanza mi invitava a documentarmi meglio prima di esprimere giudizi. Aveva ragione. L’intellettuale ed il ricercatore olivettiano è diventato il primo critico in Italia del modello liberista, sia per il lavoro, sia per tutta la società. E questo suo percorso non è nato da una improvvisa folgorazione sulla via di Damasco, ma dal rigore con il quale sin dall’inizio della sua opera si è misurato con la realtà del lavoro, con l’altra faccia della luna.Gallino era uno scienziato sociale che credeva nel processo riformatore. Non uso la parola riformista, perché essa oggi è diventata sinonimo di trasformismo e di politiche liberiste. Luciano Gallino provava un rigetto culturale morale per il riformismo attuale. Lui che era stato formato dalla stagione delle riforme dei primi anni ‘60 e dall’organizzazione del lavoro veramente partecipativa della Olivetti di Ivrea, sentiva sempre di più la necessità di smascherare l’imbroglio politico ed intellettuale di chi oggi adopera quegli stessi termini, riforme e partecipazione, per fare l’esatto contrario. Per questo Gallino aveva sempre più radicalizzato la sua collocazione politica. Non perché avesse cambiato il suo punto di vista riformatore, ma perché non era disposto a farlo assorbire da un sistema di potere che andava nella direzione opposta a ciò che riteneva giusto.Fernando Santi, il leader storico dei socialisti della Cgil, quando il Psi di Nenni si orientò su posizioni che cominciò a criticare come troppo moderate, fu accusato di scivolare verso il massimalismo. Con una fulminate battuta allora il sindacalista rispose: non è vero che io sono diventato un estremista, io sono il riformista di sempre, sono gli altri che mi hanno scavalcato a destra. È una risposta che vale anche per Luciano Gallino. Mentre una generazione di intellettuali e politici di origine comunista, operaista, radicale, si innamorava della flessibilità del lavoro e della globalizzazione e ne diventava apologeta, egli si faceva rigoroso e implacabile contestatore dei “tempi moderni”. Il sociologo olivettiano diventava no global senza cambiare di un millimetro il suo impianto culturale originale. E così ha condotto una dura, infaticabile lotta culturale contro l’egemonia del pensiero unico liberista, un impegno che lo ha collocato controcorrente rispetto al dogmatismo trionfante, ma che ne ha fatto il riferimento culturale di tutte le lotte contro le precarietà e il dominio autoritario del lavoro, contro la diseguaglianza sociale e le privatizzazioni.Con i suoi scritti Gallino faceva lotta di classe, quella lotta di classe che denunciava essere diventata lo strumento dei ricchi contro i poveri, di chi ha il potere contro chi lo subisce. Ma nel suo impegno Gallino manteneva sempre il rigore dello scienziato sociale, le conclusioni giungevano sempre alla fine di rigorose e dimostratissime analisi dei fatti. Per questo erano così fastidiose per un potere che vende senso e ideologia per cancellare i fatti, che vuol convincere che la ripresa economica è dietro l’angolo non perché sia vero, ma perché l’ottimismo economico aumenta i profitti. Gallino entrava sicuramente nella categoria non foltissima dei grandi professori integri, categoria tanto odiata dai giovani arrampicatori renziani formatasi negli spettacoli televisivi. Luciano Gallino era un gufo, saggio, acutissimo, che naturalmente vedeva lontano.Nel suo ultimo libro, che non sapevamo sarebbe stato il suo testamento, Gallino scrive ai suoi nipoti e descrive la Doppia Crisi, economica ed ecologica del capitalismo. È un messaggio assolutamente radicale quello che manda alle nuovissime generazioni. Ha vinto il capitalismo peggiore, quello raccontato nel Tallone di Ferro di Jack London. Non ci son aggiustamenti possibili all’orizzonte, ma bisogna perseguire cambiamenti radicali nel nome dell’eguaglianza sociale, della vita umana e della natura. L’Unione Europea è una dittatura finanziaria che ha distrutto le costituzioni democratiche e lo stato sociale europeo e l’euro è lo strumento del dominio liberista. Gallino è così diventato NoEuro dopo un’analisi concreta della situazione concreta, grazie alla quale ha concluso che giuste riforme sociali possano realizzarsi solo con una profonda rottura del sistema attuale. Già venti anni fa mi ero scusato con Luciano Gallino per quella mia polemica ingiusta nei suoi confronti. Abbiamo poi avuto un lungo impegno comune e solidale, ma ora voglio scusarmi di nuovo e ringraziare il grande scienziato sociale, sempre integro e per questo assolutamente radicale.(Giorgio Cremaschi, “Gallino, uno scienziato sociale rigororo e radicale”, da “Micromega” del 10 novembre 2015).Ho conosciuto personalmente Luciano Gallino in un dibattito a Torino nei primi anni ‘90 del secolo scorso. Avevo letto molti suoi scritti, ma non lo avevo mai incontrato. Ero da poco diventato segretario della Fiom regionale e fui invitato ad un confronto con lui ed altri sul lavoro. Mi lasciai andare ad una filippica contro quegli intellettuali, in particolare gli studiosi di scienze sociali, che – usai questa metafora – non guardavano mai l’altra faccia della luna, cioè descrivevano i cambiamenti in atto nel lavoro solo dal punto di vista delle direzioni d’impresa. Erano gli anni del trionfo del toyotismo all’italiana lanciato dalla Fiat di Cesare Romiti, che trovava il suo magnificato modello nel nuovo stabilimento di Melfi. In realtà nasceva un nuovo sistema di comando autoritario sul lavoro, che faceva passare per partecipazione quella che in realtà era solo la ricerca della sottomissione totale del lavoratore all’impresa.
-
Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.«La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.Sorta nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush, dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair, l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan, appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a scopo di potere – e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13, nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.La maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come “la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai», aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente la strategia: coinvolgere l’Europa nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001, ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi” come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste, completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei bombardieri di Putin.Non era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa – l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita, dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti (una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».E siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio 2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi. Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi. Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla pentola?».E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.
-
Crisi senza fine? La previde vent’anni fa il “profeta” Craxi
Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.Rivelazioni che «spiegano con parole mirate e incisive i fatti degli ultimi anni ed odierni, ancora oggi tristemente e quotidianamente sotto gli occhi del tutto ignari della quasi totalità» del pubblico, che magari vota Renzi e ha di Craxi un pessimo ricordo. Un libro, quello dell’ex leader del Psi, definito (oggi) da diversi giornalisti “profetico”, “sorprendente”, “agghiacciante”, “al limite della preveggenza”. Lo Stato è a pezzi, così come l’idea di nazione? «La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata», scrive Craxi. «Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali». Al contrario, «cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». E attenti: «Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare».Da Mani Pulite, Craxi fu liquidato come “capo di una banda di ladri” per via del finanziamento illecito ai partiti, compreso il suo? «I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico – scrive l’ex leader socialista – sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira, evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla».Possibile che sul finanziamento illecito non avesse niente da dichiarare il Pci? «D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico», scriveva Craxi. «Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”». E’ storia, ormai: «Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra e adottato da tutti, anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio».“Serviva”, quel coperchio, per legittimare una “nuova” classe dirigente europeista, usa obbedir tacendo. «Il regime avanza inesorabilmente: lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato», scriveva Craxi quasi vent’anni or sono. «La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza». Il regime, continua Craxi, «avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante». A proposito di “sottocultura”, Bellisario ricorda il recentissimo attacco «violento, squallido e di bassissimo profilo» sferrato da Luciana Littizzetto contro il Movimento 5 Stelle nientemeno che dalla tribuna televisiva di Fabio Fazio, sulla Rai (in compenso, all’epoca, dalla televisione di Stato fu cacciato Beppe Grillo, colpevole di mettere alla berlina di socialisti “ladri”: anche di quello si occupava, Craxi, anziché esternare sui pericoli della globalizzazione privatizzatrice in arrivo).«Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici», scrisse più tardi, da Hammamet, il segretario del Psi. «A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione», che è sempre «presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca: una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale». Parole sante, col senno del poi? Non si direbbe: la Grande Privatizzazione continua anche ora e più che mai, con Renzi, che mette all’asta persino un modello di impresa pubblica in super-attivo, Poste Italiane.Facile dire che vedeva lungo, Craxi: «La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza». Chissà cos’avrebbe detto, oggi, di fronte agli ultimi orrori, a comiciare dal Ttip, il Trattato Transatlantico Usa-Ue che rade al suolo ogni residua sovranità economica. Per non parlare del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio inserito addirittura in Costituzione, a certificare la morte clinica dello Stato come garante della comunità nazionale. Ai tempi, quando i Prodi e i Ciampi magnificavano il dorato avvenire promesso da Bruxelles, Craxi scriveva: «I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti». E l’andamento di questi anni «non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori: la situazione odierna è diversa da quella sperata».Ogni trattato, aggiungeva Craxi, può e deve essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali e alle nuove esigenze: «Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà», lontano cioè dall’autismo dogmatico dei tecnocrati e dei loro cantori più o meno prezzolati, distribuiti in ogni paese. «Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione». La “scelta della crisi”, dunque, da cui la “conseguente disoccupazione”. L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Ed era solo la fine degli anni ‘90. L’Italia non era ancora finita nel girone infernale della Bce: recessione e crollo del Pil, super-tassazione, licenziamenti e fallimenti, erosione dei risparmi, disperazione sociale, rassegnazione al declassamento dell’Italia Così parlava il “profeta” Craxi. Rileggerlo oggi? Scomodo, per troppi personaggi in pista già allora. Uomini che però, anziché ad Hammamet, sono fini alla Bce, al Fondo Monetario e all’Ocse, a Bankitalia, alla Goldman Sachs. E naturalmente a Palazzo Chigi, e al Quirinale.Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.
-
Expo, fiasco segreto: affari loro, e indovinate chi pagherà?
L’Expo? Un affarone per tanti, a cominciare da Pd e Compagnia delle Opere. Molto meno per gli italiani, che dovranno pagare per la voragine (oscurata dai media) dei mancati introiti: biglietti venduti a 20 euro e poi a 10 anziché a 30, a una ventina di milioni di visitatori, contro i 29 previsti. La grande kermesse è stata di un terzo al di sotto delle aspettative, accusa Mario Vitiello su “Comune-Info”, sottolineando «le innumerevoli ferite che si devono ancora rimarginare», dopo la maxi-speculazione organizzata alla periferia di Milano. La proprietà delle aree è di Arexpo Spa, la società che ha comperato il milione di metri quadri su cui si è svolto l’evento: «Li ha acquistati da Cabassi, da Fondazione Fiera e da Poste Italiane, pagandoli uno sproposito (grazie ad una speculazione tipo “mani sulla città” garantita dalla giunta Moratti), indebitandosi con le banche (principalmente Intesa San Paolo per circa 160 milioni) e con la stessa Fondazione Fiera (per circa 50 milioni di euro)». E ora? «La gara indetta negli scorsi mesi per trovare un compratore per le aree del sito è andata deserta, e in molti stanno pensando a cosa fare di queste aree, che per il momento sembrano interessare a tutti ma che nessuno vuole».Expo Spa è la società che ha costruito la maxi-installazione per gestire lo show. I suoi compiti? Organizzare e gestire l’evento, redigere il piano finanziario delle opere essenziali, gestire i finanziamenti pubblici degli enti finanziatori, stipulare i contratti relativi alla gestione operativa dell’evento e acquisirne i proventi. Expo Spa ha realizzato il sito, stipulato i contratti con i paesi ospiti, gestito il management, incassato i proventi di pubblicità e merchandising nonché quelli dei biglietti. «Ad oggi non è chiaro a nessuno quale sia il bilancio definitivo di Expo Spa», scrive Vitiello. «Certo è che erano attesi 29 milioni di visitatori, e forse si arriverà a 20 milioni», nella conta finale. «Il masterplan prevedeva che l’accesso costasse 30-32 euro, mentre fin dal mese di aprile erano sul mercato biglietti a 20 euro, che diventavano 10 euro per le scuole». In più, dal mese di giugno i visitatori serali (comunque contati nel conto complessivo) sono entrati pagando solo 5 euro. «Molti paesi non stanno pagando i creditori, tra cui gli Stati Uniti». Morale: «Si può affermare, senza timore di grosse smentite, che Expo produrrà un importante passivo che dovrà essere ripagato dall’unico soggetto capace di una operazione di questo genere e portata: il ministero dell’economia, cioè lo Stato, tramite Cassa Depositi e Prestiti».Questa voragine, aggiunge Vitiello, avrà sicuramente ripercussioni sul bilancio del Comune di Milano, sull’economia dell’intera regione e, in generale, sul “sistema paese”. «Sul piano politico (e delle politiche) Expo è una specie di buco nero», continua Vitiello. «Tutti si sono improvvisamente scoperti “expottimisti”, a partire ovviamente dal Pd e dalla giunta del sindaco Pisapia, che ha ereditato l’Expo quando ne avrebbe volentieri fatto a meno ma che non ha saputo dire l’unico “no” che avrebbe dato un senso al suo mandato». L’euforia da Expo «è stata venduta con gran dispiegamento di forze», e alla fine il mantra che ripete ossessivamente “Expo è un successo” «si è affermato con modalità orwelliane». Attenzione: «La saldatura tra Comunione e Liberazione e Pd nella gestione di tutta l’area metropolitana è oramai definitiva». Sotto i profilo culturale, poi, l’Expo si è rivelato «esattamente quello che molti avevano sempre temuto: la materializzazione di una specie di Disneyland in versione padana, con una dose rilevante di kitch e una enorme capacità di imporre il pensiero unico dell’”Expo felice”».Non è un caso che il grande evento sia stato accolto dai media col tappeto rosso: «Ha dato una grossa mano il contribuito di (pare) circa 50 milioni elargito da Expo alle maggiori testate e giustificato sotto la voce “comunicazione istituzionale”», scrive Vitiello. Boom turistico? Sì, certo: ma solo per l’Expo, non per Milano. Weekend intasati e code chilometriche, ma soltanto a Rho. A Milano città, «molti ristoratori lamentano un calo delle presenze in centro, molti esercizi commerciali fuori dalle rotte-Expo non hanno registrato alcun incremento di clientela». In compenso, «sul piano della legalità Expo ha avuto il pregio di far emergere il peggio del peggio della corruzione, della connivenza tra settori dello Stato, con manager incaricati di gestire la cosa pubblica, e criminalità organizzata». Soprattutto ha dimostrato, per quanto fosse già chiaro, che «la macchina del “grande evento”, così come è pensata, genera un diffuso agire criminale». Ormai è chiaro: «Non esiste una “grande opera” sana e pulita, le grandi opere per definizione sono un precipitato di criminalità e di connivenza tra impresa, Stato e organizzazioni malavitose, tanto da rendere difficile distinguere i confini tre questi soggetti».Il dopo-Expo? «Per ora assomiglia a qualcosa a metà tra un film con Fantozzi e un film di Fellini», continua Vitiello. «Sicuramente subiremo con violenza la narrazione del successo di Expo, e si userà il numero di visitatori per giustificarlo. Invece i numeri reali del bilancio verranno tenuti nascosti almeno per tutta la campagna elettorale, che si svolgerà nella prossima primavera». L’unico soggetto che ne uscirà bene sarà Ffm, Fondazione Fiera Milano, «che venderà la sua quota in Arexpo allo Stato, incasserà le plusvalenze e non dovrà nemmeno preoccuparsi delle bonifiche, delle dismissioni e di qualsiasi cosa riserverà il dopo-sito». L’area di Expo, infatti, «rischia di rimanere abbandonata a se stessa per i prossimi mesi e forse per i prossimi anni», perché «tutti resteranno fermi in attesa che vengano definiti gli accordi tra i poteri forti», che per l’area milanese in questa fase significano l’intreccio tra Fondazione Fiera, Ferrovie dello Stato (che «sta per trasformare gli ex scali ferroviari in nuove speculazioni edilizie»), Aler (che «procederà con la svendita del patrimonio immobiliare pubblico») e l’università, che «tenterà di diventare l’ennesimo agente del Real Estate».Uno scenario ad elevato rischio di bolla speculativa, insiste Vitiello, perché «a Milano non esiste nessun bisogno reale, cioè capace di suscitare mercato, di nuove edificazioni o di nuovi interventi, che finiranno per moltiplicare i fallimenti di Santa Giulia o di City Life». Infine si devono considerare i progetti infrastrutturali, che trovano nuova forza dallo “Sblocca Italia” e incombono sull’area metropolitana (in particolare sul Parco Sud: trivelle, discariche e stoccaggi di idrocarburi). Questi progetti «confermano la gigantesca menzogna di Expo rispetto al tema dell’esposizione: cibo, filiera corta, alimenti a km zero, agricoltura sostenibile e periurbana», e dimostrano «l’inutilità della Carta di Milano, spacciata come “High Agreement” quando in realtà nessuno sa cosa ci sia scritto e finirà dimenticata». Expo? «E’ stato e sarà un furto alla collettività. È stato realizzato con risorse pubbliche che hanno drenato le casse del Comune, della Regione e domani anche dello Stato». Il maxi-evento, inoltre, «non ha ridistribuito ricchezza». Ha generato «limitatissimi ritorni economici diffusi», mentre ha prodotto «enormi plusvalenze per pochi soggetti, collocati in posizione strategica». Per Vitiello, quella di Milano 2015 «è stata la vittoria della logica emergenziale, violenta e privatistica di concepire l’economia e più in generale i rapporti sociali in questa fase di crisi», dove tutto è stato “blindato” da Fiera e Compagnia delle Opere.L’Expo? Un affarone per tanti, a cominciare da Pd e Compagnia delle Opere. Molto meno per gli italiani, che dovranno pagare per la voragine (oscurata dai media) dei mancati introiti: biglietti venduti a 20 euro e poi a 10 anziché a 30, a una ventina di milioni di visitatori, contro i 29 previsti. La grande kermesse è stata di un terzo al di sotto delle aspettative, accusa Mario Vitiello su “Comune-Info”, sottolineando «le innumerevoli ferite che si devono ancora rimarginare», dopo la maxi-speculazione organizzata alla periferia di Milano. La proprietà delle aree è di Arexpo Spa, la società che ha comperato il milione di metri quadri su cui si è svolto l’evento: «Li ha acquistati da Cabassi, da Fondazione Fiera e da Poste Italiane, pagandoli uno sproposito (grazie ad una speculazione tipo “mani sulla città” garantita dalla giunta Moratti), indebitandosi con le banche (principalmente Intesa San Paolo per circa 160 milioni) e con la stessa Fondazione Fiera (per circa 50 milioni di euro)». E ora? «La gara indetta negli scorsi mesi per trovare un compratore per le aree del sito è andata deserta, e in molti stanno pensando a cosa fare di queste aree, che per il momento sembrano interessare a tutti ma che nessuno vuole».
-
L’Ue odia ciò che amiamo, proprio come la vecchia Urss
«Se controlli il significato de “il bene” e possiedi illimitate risorse propagandistiche e il controllo sulla stampa, nonchè il controllo di forze armate e forze di polizia, puoi edificare una nuova società in tempi relativamente brevi. Puoi spazzare via secoli di tradizioni in poche decadi. Se hai pure il sistema dell’istruzione nelle tue tasche poi, puoi persino cancellare la memoria di ciò che è esisitito. Nessuno ricorderà e a nessuno interesserà. Sta già succedendo in Europa, dove l’ignoranza è ormai forza» (John Rappoport, “The Underground”). Uno dei principi cardine del globalismo elitario è: fine dei confini, cessare l’esistenza di nazioni separate e distinte. L’Unione Europea fu concepita a tale scopo ed edificata, a piccoli passi, a partire dalle macerie della seconda guerra mondiale: una superburocrazia ed un sistema di gestione politica per l’intero continente. Ma questo non era ancora abbastanza. Doveva esserci pure un modo di demolire nazioni diverse tra loro e sovrane fino a lasciare una tabula rasa, un modo di alterarare radicalmente il paesaggio. Aprire i confini, lasciare che i territori nazionali fossero inondati da migranti.“Sostituire le popolazioni”, flussi di gente che non ha la minima intenzione di accettare costumi e stili di vita in voga nelle loro nuove case. Il risultato finale? Una riconfigurazione di fatto delle popolazioni nazionali, al punto che, guardando all’Europa tra vent’anni potremo dire: «Perchè mai parliamo di Germania, Francia o Inghilterra? Non esistono realmente. L’intera Europa è un miscuglio non omogeneo di vari migranti, l’Europa oggi è una sola nazione, è tempo di cancellare tutti questi confini artificiali». A un certo punto anche solo pronunciare parole quali “svedesi, norvegesi, tedeschi, francesi, olandesi” sarà considerata una più o meno micro, o macro, aggressione contro “le genti d’Europa”. Chiaramente una volta raggiunto questo stadio a ciò si accompagnerebbe un certo quantitativo di caos e violenza. La Ue sta scommettendo sulla sua capacità di gestire il disordine, di reprimerlo quando necessario, e consolidare e mantenere lo status di unica forza di governo effettiva in Europa.Ad un livello culturale, nomi come Locke, Shakespeare, Goethe, Mozart, Beethoven, Bach, Lorca, Goya, Cézanne, Monet, Van Gogh, Michelangelo, Rembrandt, Dante, Galileo, Faraday e persino nomi “moderni” come Bartok, Stravinsky, Rimbaud, Orwell e Camus non resteranno che vaghi fantasmi polverosi in grado di provocare null’altro che sguardi di incomprensione. “Il passato è morto”. “Ma non c’è nulla da temere, quel che conta è che ogni persona che vive in Europa è cittadino europeo e gode dei benefici che ne derivano. E’tutto molto umano, questo è il Bene, il trionfo dello Stato benevolo. Nient’altro conta”. Tutte le lingue europee cadranno progressivamente in disuso. Chi ha il diritto di esprimersi con parole che la maggioranza non è in grado di capire? Questo schizzo che sto tracciando descrive la griglia che sta per essere lanciata sull’Europa. E chiaramente, dal momento che l’automazione galoppa, molti “cittadini-lavoratori d’Europa” diventeranno inutili. Persino grandi multinazionali crolleranno, perchè non potranno più vendere i loro prodotti alle popolazioni impoverite. Non fanno che sperare che milioni di asiatici, Cina e India in testa, gli regaleranno nuovi mercati.Su questo sfondo l’essere umano individuale sarà considerato, dall’alto, come una cifra, una astratta unità buona per “modelli e algoritmi”. La domanda è: quanti individui abboccheranno e accetteranno di vedere se stessi come semplici parti interscambiabili nel sistema generale? Quanti getteranno via ogni speranza e accetteranno il futuro solo come una funzione di quello che lo Stato è disposto a concedere e che dallo Stato possono ottenere gratis? In quanti realizzeranno che il loro potere come individui è inconsequenziale, o meglio pura illusione? Come mai ho avuto voglia di far salire a galla cose simili? Perchè, nonostante la prevalente mentalità collettivistica, propagandata, promossa e sfruttata al livello dell’élite, la repressione di Stato, a tutti i suoi livelli, colpisce ogni individuo. Se il concetto stesso di individuo viene spezzato via, cosa ne resta? Nel 1859 John Stuart Mill scrisse: «Se ci fosse coscienza del fatto che il libero sviluppo dell’individualità è un fattore essenziale al benessere non ci sarebbe alcun rischio che l’importanza della libertà sia sottovalutata». Contrariamente, dove il libero sviluppo dell’individualità non è preoccupazione di nessuno, la libertà è destinata a morire.Boris Pasternak, lo scrittore e poeta Russo, che certamente sapeva un paio di cosette sulla repressione politica, scrisse (nel 1960): «Loro (i burocrati sovietici) non pretendono molto da te. Soltanto di odiare le cose che ami e amare le cose che odi». Questa inversione viene riproposta oggi, in Europa. I dissidenti della vecchia Urss lo riconosceranno in un lampo, dal momento che ci sono già passati. La versione europea ci tiene ad apparire più morbida e gentile, ma non è altro che questione di strategia. La cultura se la stanno cuocendo a fuoco lento. Ma il semplice fatto che non abbiamo la polizia segreta che bussa alle nostre porte nel mezzo della notte per eseguire arresti di massa non è di per sé garanzia che la libertà individuale regna. Parecchi politici europei dicono ai loro elettori: «Non avete il diritto di opporvi in nessun modo alla marea di migranti in arrivo. Dichiarare pubblicamente ostilità ai migranti è offensivo». Suona familiare?Il sogno segreto di ogni collettivista sta divenendo realtà. Tutto il potere accentrato al vertice; e totale conformità (definita “unità”) ad ogni altro livello. La nuova Urss. Ai vecchi tempi la polizia della Germania Est aveva un fascicolo su ogni cittadino e seminava per la popolazione spie e informatori. Il moderno Stato di sorveglianza ha rimpiazzato questi sistemi, cercando piuttosto i “nodi del malcontento”. I collettivisti possono, a parole, anche denunciare all’occorrenza i rischi di uno stato di polizia, ma ogni volta che questi sistemi sono usati per sbarazzarsi di qualcuno che possiede la visione di un mondo migliore di quello basato, tra le altre cose, sull’assenza di confini allora è soltanto “il Bene” imposto a chi non sa riconoscere il bene da solo. Se un tale nobile scopo umanitario ha bisogno di qualche spintarella per essere inculcato, perchè no?Per colletivisti fatti e finiti, la libertà non è solo un fastidioso blocco stradale, peggio, è una illusione irrilevante, non è mai esistita. Tutti gli esseri umani funzionano per come sono programmati a farlo, sin dalla nascita. Quindi, basta installare un programma migliore, inculcalo con ogni mezzo a disposizione, purchè si producano i desiderati “uomini-bambino”. E’un imperativo sia politico che tecnologico. Confini aperti ed immigrazione illimitata sono un ottimo caso-prova. Per la gente che pensa gli venga imposta la frammentazione delle proprie comunità, che si sentono personalmente minacciate, che abbiano la percezione che sia una operazione coperta per trasformare l’Europa in una nuova Urss, urge rieducazione al livello più profondo possibile. Per il loro bene, perchè certamente questa gente soffre di gravi disturbi. I loro circuiti sono bruciati, dev’esserci qualche difetto hardware del cervello, sono incapaci di vedere le cose correttamente.Tra le cose che non potrebbero vedere ad esempio ad esempio, è la saggezza in queste parole di Zbigniew Brzezinski, ovvero l’alter ego di David Rockefeller, che nel 1969 scriveva: «Lo Stato nazione, inteso come unità fondamentale nella vita organizzata dell’uomo ha cessato di rappresentare la principale forza creativa: le banche internazionali e le corporazioni multinazionali agiscono e pianificano in termini che scavalcano ed eludono i concetti politici delllo Stato-nazione». Qui vediamo il tattico globalista in azione, un uomo che apparentemente odia la vecchia Urss ma che in realtà punta all’istallazione del medesimo collettivismo attraverso altri mezzi. Se Lenin fosse vivo oggi, guardando all’Europa sarebbe d’accordo che la sua agenda è in pieno corso e gode di ottima salute. Potrebbe obiettare solamente per il passo relativamente lento a cui procede. Potrebbe sostenere che serve maggiore violenza. Ma non potrebbe non riconoscere come i suoi successori hanno scoperto un bel po’ di utili trucchetti nuovi. Approverebbe dell’“altruismo umanitario”, il modo in cui viene presentato e manipolato, in modo che l’edificio del “Bene” appaia come una luce che brilla nell’oscurità. Gran film. Bel lavoro di produzione. Le lacrime sulle gote degli spettatori. Le menti ridotte a una sola costante: dobbiamo interessarci a chi è meno fortunato di noi. Milioni di migliaia di migliaia di dollari spesi per instillare il sentimento, indipendentemente dalle circostanze o dalle vere intenzioni malevole sottostanti, o le indicibili sinistre intenzioni degli artisti elitari della realtà.(Jon Rappoport, “Il piano per la fine dell’Europa: la nuova Urss”, dal blog di Rappoport del 21 ottobre 2015, post tradotto da “Come Don Chisciotte”).«Se controlli il significato de “il bene” e possiedi illimitate risorse propagandistiche e il controllo sulla stampa, nonchè il controllo di forze armate e forze di polizia, puoi edificare una nuova società in tempi relativamente brevi. Puoi spazzare via secoli di tradizioni in poche decadi. Se hai pure il sistema dell’istruzione nelle tue tasche poi, puoi persino cancellare la memoria di ciò che è esisitito. Nessuno ricorderà e a nessuno interesserà. Sta già succedendo in Europa, dove l’ignoranza è ormai forza» (Jon Rappoport, “The Underground”). Uno dei principi cardine del globalismo elitario è: fine dei confini, cessare l’esistenza di nazioni separate e distinte. L’Unione Europea fu concepita a tale scopo ed edificata, a piccoli passi, a partire dalle macerie della seconda guerra mondiale: una superburocrazia ed un sistema di gestione politica per l’intero continente. Ma questo non era ancora abbastanza. Doveva esserci pure un modo di demolire nazioni diverse tra loro e sovrane fino a lasciare una tabula rasa, un modo di alterarare radicalmente il paesaggio. Aprire i confini, lasciare che i territori nazionali fossero inondati da migranti.