Archivio del Tag ‘memoria’
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Elezioni da medioevo, vince la religione del debito pubblico
“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.I pricipi sono chiari e anche semplici da comprendere, hanno una loro logica, ma sono fondati su presupposti mistificanti della realtà: “Lo Stato è come una famiglia/azienda, non può spendere più di quello che guadagna”, oppure (soprattutto in Italia): “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”, la celebre metafora della cicala e della formica, oppure ancora, la frase che apre questo articolo, riportata urbi et orbi da politicanti, pennivendoli, intellettualoidi vari ed eventuali. Una questione, dunque, religiosa, come precedentemente anticipato: abbiamo il Dio Mercato, la dottrina (che ha assunto una dimensione sacrale) e i suoi sacerdoti, che professano la fede e offrono sull’altare della divinità le (tante) vittime sacrificali, al fine di alimentare il sistema. Questa dinamica, in atto da più di 40 anni, è andata avanti lentamente ed inesorabilmente, con un’accelerazione improvvisa e preoccupante nel corso dell’ultimo decennio (dalla “crisi dei mutui subprime” in poi). Inoltre, il sistema di “Inquisizione 2.0” condanna tutti coloro che si azzardano a proporre politiche economiche “anti-cicliche” di stampo keynesiano, poiché la spesa a deficit “graverà sulle spalle dei nostri figli”.Il tutto ignorando le grandi lezioni della Storia. Ignorando, anzi, cancellando totalmente, la memoria collettiva relativa alla Grande Depressione (o crisi del ‘29) e tutto il periodo post-bellico – definito Liberal Consensus – in cui partiti di destra, moderati e di sinistra condividevano sostanzialmente le ricette ispiratrici del New Deal di rooseveltiana memoria (e del boom economico successivo), cancellando le teorie di politica economica di Keynes, anzi rendendole addirittura anti-costituzionali in Italia (con la recente approvazione dell’articolo 81 della Costituzione, sul pareggio di bilancio), e cancellando anche il concetto di Welfare State teorizzato da William Beveridge. Cancellando, in ultima analisi, la dimensione umana, in favore di una visione economicistica della società, che ignora volutamente il diritto degli individui a vivere una vita dignitosa e li costringe a fare sacrifici per espiare colpe che non hanno. Ci troviamo, dunque, nell’epoca del Neoliberal Consensus, in cui partiti di destra, moderati e di sinistra (con la condivisione, da parte di questi ultimi, della “Third Way” di Anthony Giddens) condividono lo stesso paradigma.Per “Liberal” si intende quell’ideologia democratica, social-liberale, progressista, attenta alle istanze di giustizia sociale e ai diritti civili e politici di tutti: parola usata per la prima volta, in questi termini, da Franklin Delano Roosevelt, in contrapposizione a “Conservative”. Per “Neoliberal”, invece, si intende “neoliberismo” (non “neoliberalismo”, che non significa nulla ed è frutto di un’errata traduzione dall’inglese), ovvero il “lassez-faire” portato alla sua radicalizzazione: in altre parole, il fondamentalismo del mercato, sotto forma di teologia dogmatica. Il Neoliberal Consensus prevede un consenso comune in merito a una serie di ricette, che possiamo riassumere così: privatizzazioni, austerity, deregulation finanziaria, riduzione della spesa pubblica, Stato minimo, concezione dello Stato paragonato a un’azienda, vera e propria isteria sui conti pubblici e sul debito pubblico e conseguente “feticismo” delle coperture economiche. Dunque, in conclusione, mentre un “contatore del debito pubblico” lampeggia sui maxi-led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, iniziativa di terrorismo psico-economico intrapresa dall’Istituto Bruno Leoni – il quale simpaticamente ci informa anche del fatto che abbiamo 40 mila euro di debito a testa – l’invito è quello di riflettere criticamente sui programmi economici presentati dai vari partiti e di riflettere sulle pressioni mediatiche e internazionali su determinati temi. Riflettere e sforzarsi di capire perché siamo in presenza di questa condivisione paradossale, che assottiglia le differenze tra “destra” e “sinistra” e le implicazioni nei rapporti con l’Unione Europea. Qualsiasi partito decidiate di votare.(Rosario Picolla, “Verso il 4 marzo: Orwell, il Neoliberal Consensus e le scemenze elettorali”, dal blog del Movimento Roosevelt del 1° marzo 2018).“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.
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Scie chimiche: “A Malpensa tutti lo sanno ma nessuno parla”
Aerei fantasma che spengono il Transponder e spariscono dai radar passivi delle torri di controllo. Voli civili che di colpo, varcato lo spazio aereo italiano, vengono configurati come voli militari. E ancora: velivoli che da qualche anno vengono caricati in modo anomalo, con i bagagli non più nelle stive di coda. Ma soprattutto: aerei che, una volta a terra, perdono liquidi strani, da misteriosi tubicini, appena il loro contenuto si scongela. Scie chimiche? Ebbene sì. Ne parla, in una clamorosa video-denuncia, un operatore aeroportuale di Milano-Malpensa. Si chiama Enrico Gianini, e sa che le sue dichiarazioni potrebbero costargli il posto di lavoro. E’ addetto al carico e scarico dei bagagli sugli aerei di linea. Si è convinto che i jet emettano scie chimiche, probabilmente miscelando acqua “addizionata” con cristalli minerali. Accusa: tutti sanno, a Malpensa. «Piloti, controllori di volo, meccanici. Persino la polizia aeroportuale». Tutti sanno, ma nessuno parla. Dice: ci sono di mezzo i servizi segreti, si rischia grosso. Premette: «Voglio fare un appunto a chi vedrà questo video e vorrà portarmi in tribunale. Noi lavoriamo 8 ore al giorno sotto quegli aerei. Siamo immersi in un bagno chimico, non sappiamo neanche di che cosa si tratta». Avverte: «Se qualcuno viene fuori con qualsiasi minaccia giuridica, io vi metterò in condizioni di dover spiegare, a tutti gli aeroportuali e al popolo italiano, come mai i vostri aerei sversano sostanze chimiche sul piazzale senza permesso. Non mi interessa il cielo: basta solo il piazzale».
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Biglino: Elohim biblici, Yahvè e soci oggi hanno paura di noi
Gli Elohim biblici spacciati per dèi, e uno di loro – Yahvè – presentato addirittura come Dio unico? «Non mi stupirei se quegli individui fossero ancora tra noi e ci comandassero, dato che il sistema finanziario che ci governa è quello illustrato nell’Antico Testamento: se presti denaro sei padrone, se contrai un debito sei schiavo». Ma attenzione: anche qualora gli Elohim fossero qui, non sarebbe più come ai tempi di Mosè: oggi avrebbero motivo di temerci. «Siamo sfuggiti al loro controllo, sia per capacità tecnologica che per numero: siamo sette miliardi». A parlare è Mauro Biglino, l’italiano che sta scardinando la vulgata teologica della Chiesa svelando il testo letterale della Bibbia, di cui ha tradotto 19 libri per le Edizioni San Paolo prima di venir scaricato dal circuito cattolico. Un fenomeno editoriale (Uno Editori, Mondadori) fatto di ormai 13 titoli puntualmente in classifica e decine di affollatissime conferenze in tutta Italia. Molti i volumi tradotti all’estero: imminente lo sbarco negli Usa. Proprio al pubblico americano è destinata l’ultima intervista di Biglino, realizzata in web-streaming con la blogger Sarah Westall. Domanda: il Vaticano non mai ha cercato di fermare il suo ex traduttore “impazzito”? Macché. «Forse, lassù, fa comodo che qualcuno come me cominci a dire certe cose, che prima o poi dovranno ammettere anche loro».Una su tutte? Yahvè – per la Bibbia – non è Dio: è solo un Elohim, “collega” di Kamòsh e Milcòm, a loro volta “signori” di altri confinanti clan ebraici, della stessa discendenza del mitico Abramo. «La Bibbia ne nomina almeno una dozzina: erano tanti. Molto longevi, ma non immortali né onnipotenti: ammesso che sia ancora vivo, Yahvè non è ancora riuscito a mantenere l’antica promessa fatta agli israeliti, cui aveva garantito vastissimi possedimenti, fino in Mesopotamia». Si sta sgretolando un muro di dogmi, fondato su traduzioni erronee o addirittura deliberatamente manipolate? Clamoroso il caso della Bibbia editata nel 2017 dalla Cei tedesca, che annulla – come anticipato da Biglino – la pretesa profezia messianica contenuta nel Libro di Isaia (17, 4-17): “La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele”. E’ l’appiglio biblico al quale i Vangeli si richiamano per dimostrare l’ascendenza veterotestamentaria della missione di Cristo. Peccato che quella traduzione fosse inventata di sana pianta: non c’è nessuna “vergine”, né alcun verbo al futuro. E’ scritto, testualmente: “La ragazza è incinta”. «Nessun mistero», chiarisce Biglino: «Isaia non parla di Maria di Nazareth, che ancora doveva nascere, ma di Abia, giovane moglie del re Achaz: semplicemente, gli israeliti si aspettavano che quel bambino, una volta cresciuto, potesse liberarli dalla condizione di schiavitù cui allora erano sottoposti».Un errore tenuto in vita per oltre duemila anni, che annulla il collegamento tra Vecchio e Nuovo Testamento? Colpa della traduzione, sostiene Biglino: il libro fu tradotto in latino attraverso un passaggio intermedio, in lingua greca. E il greco ha un unico termine, “pàrthenos”, che significa sia “ragazza” che “vergine”. «Quella di Isaia è solo una “almà”, una fanciulla. L’ebraico infatti ce l’ha, la parola che designa una vergine: ed è “betullah”, che però in Isaia non c’è». In più, il libro tradizionalmente attribuito al profeta biblico non usa nemmeno il verbo “concepire”: «Compare solo l’aggettivo “incinta”, dunque significa che quella ragazza – non vergine, tantomeno Maria – aveva già concepito: non Gesù, ma il futuro figlio del re Achaz». Ne tengono conto, nella loro nuova Bibbia, i vescovi tedeschi. In Italia, per ora, silenzio. Fino a quando? «Credo che la Chiesa si stia comunque preparando a prendere le distanze dall’Antico Testamento: sa che non potrà più ignorare a lungo le verità che stanno emergendo», sostiene Biglino, il cui lavoro è in linea con settori avanzati della ricerca scientifica internazionale, dall’archeologia alla bioingegneria. La tesi: i cosiddetti “libri sacri”, non solo la Bibbia ma anche i Veda indiani e testi sumerici (di cui l’Antico Testamento è una fotocopia) sembrano svelare il famoso “missing link” tra uomo e scimmia.Genetica, innanzitutto, e non solo animale: «Alimenti essenziali per l’umanità, come la patata e il grano, sono comparsi di colpo – senza diretti antenati genetici – all’epoca di cui parlano i testi antichi e proprio in quelle aree: cioè dove si presentarono quegli esseri temuti e potenti, che gli ebrei chiamarono Elohim e i sumeri Anunnaki». Tracce analoghe costellano le memorie di ogni civiltà, in tutto il mondo: gli “Spendenti”, i “Figli delle Stelle” venuti forse dalla costellazione di Orione? «Facciamo un gioco», propone Biglino: «Facciamo finta che i testi antichi – di cui peraltro non esistono fonti – raccontino fatti realmente accaduti. Sono coerenti? La risposta è sì». A cominciare dalla creazione, «che nella Bibbia non esiste: il verbo usato, “barà”, non significa “creare dal nulla” – concetto assente, nell’ebraico antico – ma solo “separare”: la terra, le acque, il cielo. Come se la Genesi narrasse, in realtà, la sistemazione di un territorio perché divenisse fertile». Quando fu clonata la pecora Dolly, tra lo scandalo dei teologi, i rabbini risposero in modo serafico: perché mai stupirsi? E’ la Bibbia la prima a parlare di clonazione. La Genesi non dice chi creò Adamo, ma solo Eva: testualmente, l’Adàm “fu posto in Gan-Eden”, cioè nel Gan (territorio agricolo protetto) situato nella regione geografica di Eden, tra il Mar Caspio e l’Eufrate. «Eva nacque per clonazione, dopo un’infinità di esperimenti fallimentari: quando la vide, Adamo rispose: finalmente ci siamo, questa sì che è carne della mia carne».Il peccato originale? «Inesistente, come ben sanno gli ebrei». La cacciata dall’Eden? «Un atto precauzionale, perché gli Adamiti avevano scoperto la possibilità di riprodursi: si stavano pericolosamente avvicinando alle pratiche dell’Albero della Vita, minacciando l’egemonia degli Elohim». Colpa – anzi, merito – del Serpente: «Che non era un rettile, ma un Elohim antagonista, in lizza coi signori del Gan-Eden: la Genesi lo chiama Nahàsh, che in ebraico vuol dire anche serpente, sinonimo di “sapiente”. In altre parole, il genetista». Fu proprio lui, continua Biglino, ad accoppiarsi per primo con Eva: da cui nacque un ibrido, Caino», il nostro vero progenitore. Dopo di allora, gli Adamiti presero a vivere anche per 900 anni, racconta la Bibbia. «Fino a quando non furono gli Elohim stessi a cessare di accoppiarsi con le femmine Adàm, proprio per impoverire il Dna della loro discendenza, riducendone la longevità». Questo, dice Biglino, è quello che – né più né meno – racconta la Bibbia. C’è da crederci? «Possiamo solo “fare finta” che sia tutto vero, controllandone la coerenza. Come noto, la Bibbia non ha fonti. Non si sa quando sia stata scritta, né da chi, né in che lingua: non in ebraico, comunque, perché non esisteva ancora. L’unica certezza, dicono i biblisti ebrei, è che la Bibbia attuale non è l’originale: si sono dati due secoli di tempo per ricostruire una Bibbia più attendibile, attraverso il “Bible Projetc” a cui lavorano i massimi studiosi».Secondo Biglino, l’ultima cosa che si può fare, con la Bibbia, è fondarvi delle religioni: «La natura tutt’altro che divina di Yahvè emerge ovunque: un guerriero avido e spietato, ma meno potente di altri Elohim. E per giunta neppure a capo di tutti gli ebrei, ma solo della famiglia di Giacobbe-Israele». Un piccolo, dispotico feudatario locale: «Come si fa a presentarlo come riferimento per l’intera umanità?». Un abbaglio durato oltre due millenni, la Bibbia? Sì e no, secondo Biglino: è insensata la derivazione religiosa, mentre gli indizi storici potrebbero reggere. Il vasto corpus dei libri biblici è a geometria variabile, non esiste una sola Bibbia. E, mentre ha libero corso ogni tipo di interpretazione – teologica, esoterica, simbologica, cabalistica – è praticamente scomparsa la traduzione letterale. «E’ giusto che la lettura del testo ebraico abbia, almeno, pari dignità». Spesso, insiste Biglino, chi cita la Bibbia a scopo religioso in realtà non l’ha mai letta: «Quanti vescovi conoscono l’ebraico antico? Se lo conoscessero, scoprirebbero che in quel testo non c’è traccia di trascendenza. Non esiste la base per alcun assunto teologico. Si parla solo di guerre, conquiste, punizioni e stragi efferate. Non c’è alcuna metafisica, non esiste il concetto di eternità. E quello di immortalità non vale neppure per Yahvè. Lo ricorda Elyon, il capo supremo, parlando agli Elohim: anche loro dovranno morire, proprio come gli Adàm».Un racconto «in ogni caso eloquente e persino affascinante», dice lo studioso: «Spesso la Bibbia è terribilmente esplicita, nella sua narrazione sempre concreta e assolutamente terrena: le implicazioni soprannaturali sono frutto di invenzioni teologiche, basate su traduzioni clamorosamente distorte». Nella Bibbia, gli angeli (dal greco “anghelòi”, messaggeri) si chiamano Malakhìm. Nelle traduzioni “appaiono” e “scompaiono”, svolazzando graziosamente, mentre nel testo originale «camminano, sfatti di fatica: sono individui in carne e ossa». Gabriele, quello dell’annunciazione? «E’ anche lui un Malàkh, e di alto rango. Ma il nome non designa un singolo individuo, bensì una categoria: il nome originario, Ghevèr-El, significa “alto ufficiale di un El”. Per la cronaca: sono tutte cose che gli ebrei sanno benissimo, così come sanno che i Keruvìm non sono gli alati Cherubini della tradizione cristiana, ma velivoli meccanici monoposto». Ben quattro “Cherubini”, scrive la Bibbia, stavano attaccati al Kavòd, l’aeromobile da guerra di Javhè. Traduzione cristiana: il Kavòd, letteralmente (arma) “pesante”, diventa “gloria”: «Così, dal Kavòd di Jahvè si arriva alla “gloria di Dio”». Fantastico, no? «Non siamo certi che la Bibbia dica il vero. Quel che è sicuro, invece, è che la teologia travisa la Bibbia per inventare di sana piana la sua versione, di cui nell’Antico Testamento non c’è la minima traccia».La Bibbia non spiega tutto, ma forse aiuta a capire. Quel che non si può ricavare direttamente dall’Antico Testamento, «dato il carattere frammentario e spesso contraddittorio del testo ebraico giunto fino a noi, continuamente manipolato fino all’epoca di Carlomagno», lo possiamo comunque compediare con altri testi, coevi e precedenti: «Testi ebraici non biblici e testi non ebraici, sumeri e in generale mediorientali», spiega Biglino all’americana Sarah Westall. Che idea si è fatto, il traduttore indipendente, di tutta questa storia? Ancora una volta, Biglino cita testi antichi, del Medio Oriente, per comporre un mosaico teoricamente credibile: grazie ai Sumeri sappiamo che quella misteriosa popolazione approdò sulla Terra – non sappiamo da dove – attratta dai minerali come l’oro, preziosi in ambito aerospaziale. Un giorno, stanchi di lavorare, gli Elohim-Anunnaki decisero di “fabbricare” una nuova “razza” di lavoratori, attraverso la clonazione, fondendo cioè il proprio Dna con quello degli ominidi allora presenti, Homo Habilis e Homo Erectus. Fu così che nacque l’Homo Sapiens, ed ecco spiegato il “missing link”. Gli Adamiti? Una ulteriore élite di lavoratori specializzati, successivamente ri-selezionati sempre per via genetica e destinati in esclusiva al Gan-Eden.Biglino la ritiene una storia plausibile, confermata dal racconto biblico. «Poi, attorno al 500 avanti Cristo, gli Elohim si fecero da parte: sorse la casta sacerdotale, come mediatrice dei loro ordini. Nacquero allora le grandi religioni: senza colpo ferire, si sperimentò uno straordinario strumento di dominio, basato sulla sola persuasione». Una possibile storia alternativa dell’umanità: dai genocidi a ripetizione ordinati da Yahvè, ossessionato dalla paura dell’insubordinazione dei sudditi, alla nuova obbedienza “dolce” imposta dal dogma e tuttora vigente, nel mondo. Ma erano tutti ostili e vendicativi come Yahvè, gli Elohim biblici? «Niente affatto: c’era anche chi era amante delle arti e della musica. Uno di loro, Baal Pehòr, concorrente del bellicoso Yahvè, predicava la diffusione del sesso libero». Fate l’amore, non la guerra? «Esatto. Solo che poi l’esegesi cristiana ha trasformato gli avversari politici di Yahvè in nemici di Dio: così Baal Pehòr è diventato il demonio Belfagor».Libere traduzioni, che suonano false come menzogne. Miracoli inesistenti, come il mitico attraversamento del Mar Rosso: «Quelli che Mosè portò via dall’Egitto – non sappiamo nemmeno se fossero ebrei o egiziani – non valicarono mai il mare, ma solo uno Yam Suf, un canneto paludoso», habitat diffusissimo nel delta del Nilo. E’ come se la Bibbia, riscritta mille molte e poi manipolata dalla religione, avesse riproposto una storia molto più antica, vista in ritardo e da lontano. Lo suggeriscono alcuni testi preesistenti, come quelli sumerici dove, ad esempio, si parla del Grande Diluvio. «A salvare il Noè sumero fu En-Ki, uno dei figli del capo dell’impero: fu lui a dirgli di costruire la barca per sovravvivere all’inondazione». Sumera anche l’origine della Genesi: «L’antenato mesopotamico “fabbricato” dagli Anunnaki si chiama, guardacaso, Adamu». Vengono le vertigini, a chi ha sempre sentito citare Bibbia solo in termini religiosi. A proposito: Dio che c’entra, in tutto questo? «Mi guardo bene dal parlarne: non ho neppure le certezze degli atei», ammette Biglino. «Dico solo che, nella Bibbia, non c’è nessun Dio». E scusate se è poco.Gli Elohim biblici spacciati per dèi, e uno di loro – Yahvè – presentato addirittura come Dio unico? «Non mi stupirei se quegli individui fossero ancora tra noi e ci comandassero, dato che il sistema finanziario che ci governa è quello illustrato nell’Antico Testamento: se presti denaro sei padrone, se contrai un debito sei schiavo». Ma attenzione: anche qualora gli Elohim fossero qui, non sarebbe più come ai tempi di Mosè: oggi avrebbero motivo di temerci. «Siamo sfuggiti al loro controllo, sia per capacità tecnologica che per numero: siamo sette miliardi». A parlare è Mauro Biglino, l’italiano che sta scardinando la vulgata teologica della Chiesa svelando il testo letterale della Bibbia, di cui ha tradotto 19 libri per le Edizioni San Paolo prima di venir scaricato dal circuito cattolico. Un fenomeno editoriale (Uno Editori, Mondadori) fatto di ormai 13 titoli puntualmente in classifica e decine di affollatissime conferenze in tutta Italia, ogni anno. Molti i volumi tradotti all’estero: imminente lo sbarco negli Usa. Proprio al pubblico americano è destinata l’ultima intervista di Biglino, realizzata in web-streaming con la blogger Sarah Westall. Domanda: il Vaticano non mai ha cercato di tappare la bocca al suo ex traduttore “impazzito”? Macché. «Forse, lassù, fa comodo che qualcuno come me cominci a dire certe cose, che prima o poi dovranno ammettere anche loro».
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Le foibe che ingoiano la verità: l’Italia sterminò gli jugoslavi
Ci sono foibe dove, ancora oggi, sparisce la verità: inghiottita dalla propaganda. Se il comunismo è morto, perché l’anticomunismo scoppia di salute? Forse per seppellire (nelle nuove foibe mediatiche) la memoria dell’antifascismo storico, inteso come impegno a lottare contro un sistema ingiusto e dispotico. Traduzione: il potere ha sempre ragione, e chi lo contesta è un delinquente. E’ la tesi di Angelo d’Orsi, impegnato con altri studiosi in un convegno a Torino. Gli storici hanno protestato formalmente con Mattarella per la dichiarazione rilasciata in occasione del 10 febbraio, “Giorno del Ricordo” dedicato alle vittime delle feroci rappresaglie, contro gli italiani, attuate alla fine della Seconda Guerra Mondiale dai partigiani di Tito nella Jugoslavia che prima era stata sottoposta alla feroce occupazione dell’esercito fascista (di cui nessuno parla). «Quella delle “foibe” è una vera e propria operazione politico-culturale, che ha contribuito a creare o consolidare un senso comune anticomunista, e anti-antifascista, volto a favorire una memoria contraffatta», afferma d’Orsi insieme ai colleghi Andrea Martocchia, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk e Davide Conti. «La menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune».«I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimento”, i docufilm, le pseudomemorie di pseudoreduci o pseudoesiliati, stanno realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna», scrive d’Orsi su “Micromega”. Il bilancio storico degli eccidi è tuttora incerto: secondo Wikipedia oscilla tra le 5.000 e le 11.000 vittime. Dal ‘43 al ‘45, negli inghiottitoi carsici finirono fascisti e italiani comuni, anche non aderenti al regime. Sempre Wikipedia riassume sotto la voce “crimini di guerra italiani” l’occupazione fascista di Slovenia e Croazia, Dalmazia e Montenegro. Villaggi bombardati, popolazione civile trucidata, partigiani torturati. Fra il 1941 e il 1943, secondo “Storia XXI Secolo”, le truppe italiane fecero oltre 13.000 vittime jugoslave: 4.000 persone fucilate (di cui 1.500 ostaggi civili), 187 individui morti sotto tortura e ben 7.000 persone decedute nei campi di concentramento (anche donne e bambini). Pagina particolarmente infame, quella dei lager italiani in Jugoslavia. Esiste dunque una drammatica “proporzione” fra le atrocità commesse dall’occupante italiano e la successiva, spietata rappreseglia jugoslavia (esecuzioni sommarie e seppellimento, nelle foibe, di esseri umani spesso ancora vivi). Ma non ve n’è traccia nella propaganda attuale: gli jugoslavi erano semplicemente “cattivi”, in quanto “comunisti”. Combattevano a casa loro, per difendersi? Meglio non ricordarlo, nel Giorno del Ricordo.«Si è parlato di pulizia etnica nei confronti degli italiani quando le documentazioni riguardanti gli scomparsi indicano chiaramente che la gran parte furono colpiti sulla base della loro adesione al fascismo», protesta la storica Alessandra Keservan, maltrattata da Bruno Vespa durante la trasmissione “Porta a Porta”. Per la Kersevan si dovrebbe «studiare e conservare la memoria di tutte queste vicende ma nella parte più lunga e soprattutto precedente, quella che ha visto le gravi violenze italiane e fasciste contro sloveni e croati e contro gli italiani antifascisti». Dati che a giudizio della Kersevan non vengono neppure accennati in occasione delle commemorazioni, «disattendendo, in questo modo, anche le finalità della legge che ha istituito il Giorno del Ricordo», scrive il quotidiano on-line “Next”. «Si tratta di una disattenzione dovuta non ad ignoranza», secondo la storica, che parla di «censure» e denuncia un «uso propagandistico fatto delle foibe come evento unico paragonabile alla Shoah». Un “frame” comunicativo, quello sulle foibe, dove si è prodotta una colossale mole di falsificazioni. Lo dimostra uno sconcertante dossier presentato da “Wu Ming Foundation”: moltissime foto d’epoca, esibite al pubblico per suscitare orrore, non riguardano affatto le vittime delle foibe. Spesso, al contrario, sono vittime – anche civili – della brutale violenza italiana.La foto più famosa? E’ quella di una fucilazione. Immagine riciclata mille volte, per le commemorazioni ufficiali del Giorno del Ricordo e persino in televisione, da Vespa. Mostra un plotone di esecuzione, inquadrato di spalle, che prende di mira cinque civili, anch’essi di spalle. Feroci partigiani titini contro poveri italiani? Macché: italiani sono i soldati, i killer, mentre le vittime sono ostaggi sloveni rastrellati nel villaggio di Dane, nella Loška Dolina, a sud-est di Lubiana. Foto scattata il 31 luglio 1942, e si conoscono pure i nomi dei fucilati. Altro orrore: civili sorvegliati da armati scavano la fossa che ospiterà i loro corpi, dopo la fucilazione. Persino il Tg3 la presenta a corredo del caso-foibe. Ma, di nuovo, si tratta di ostaggi jugoslavi che si stanno scavando la fossa, sotto lo sguardo dei loro giustizieri italiani. “Wu Ming” mostra un corredo fotografico – impropriamente usato – veramente imbarazzante: cumuli di corpi (jugoslavi fucilati da italiani) vengono presentati come “italiani vittime della violenza titina”. C’è un soldato che si accanisce sui prigionieri, prendendoli a calci: stanno andando alla fucilazione, ma in Montenegro (il soldato è italiano, e i civili sono jugoslavi). Seguono primi piani, crudeli, dei cadaveri fucilati: sono stati presentati come “vittime delle foibe” a Cernobbio.Ad Arezzo, viene spacciata per “strage titina” quella documentata da una foto, scattata in Slovenia, che mostra una fucilazione collettiva: carneficina perpetrata dalle truppe di occupazione italiane. Nel 2015, addirittura, lo stesso Vespa – parlando di foibe – ha trasmesso l’immagine, terribile, di un’impiccagione di massa (ma le vittime sono partigiani, giustiziati in Friuli dai nazifascisti). E ancora: il “Piccolo” di Trieste – in tema di foibe – ha pubblicato una foto che documenta la strage di Srebrenica del 1995. Errori e orrori, all’infinito: la copertina di un libro (“Una grande tragedia dimenticata, la vera storia delle foibe”, di Giuseppina Mellace, Newton Compton) mostra un’atroce esecuzione: tre carnefici sgozzano la vittima. Ma niente foibe, nemmeno qui: i carnefici sono miliziani cetnici, che uccidono un collaborazionista serbo. Nell’iconografia delle “vittime italiane di Tito” c’è anche la foto, spaventosa, di un uomo ridotto a uno scheletro. In realtà si tratta di un deportato croato nel campo di concentramento italiano dell’isola di Arbe. L’immagine è addirittura sulla copertina del libro di Alessandra Kersevan “Lager italiani, pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943”, edito da Nutrimenti.«Se il comunismo è finito, perché l’anticomunismo prospera?», si domanda Angelo d’Orsi su “Micromega”. «A Kiev come a Roma, a Budapest come a Varsavia, a Washington come a Berlino, in Brasile come in Cile, governanti, magistrati, politici, giornalisti e professori emanano leggi, accendono polemiche, aprono processi, creano norme amministrative o si spingono a riscrivere la storia in un senso diligentemente revisionistico, e rovescistico». Obiettivo: mandare alla sbarra «il comunismo, i suoi teorici, i suoi esponenti storici, i suoi dirigenti e militanti», ignorando deliberatamente «l’ansia di liberazione di centinaia di milioni di esseri umani, schiacciati dai grandi potentati economici e vilipesi da una ingiustizia mostruosa», cioè le motivazioni – drammaticamente concrete – che alimentarono la speranza di riscatto sociale agitata dal comunismo nel ‘900. «Quell’ansia di liberazione dei subalterni è stata moltiplicata dagli svolgimenti del turbocapitalismo nel senso della disuguaglianza, dell’oppressione, dell’ingiustizia. Delle nuove povertà per le classi medie, delle accresciute povertà per i poveri, delle accresciute ricchezze per i ricchi». A questo serve la memoria dolorosa delle foibe degradata a propaganda: ad assolvere i potenti di oggi.«Berlusconi, Salvini, Meloni e loro adepti, non esitano a richiamare lo spauracchio comunista, convinti che quel richiamo porterà voti», scrive d’Orsi. Lo stesso Vespa, «tradendo ogni deontologia professionale», in una puntata di “Porta a Porta” dedicata alle foibe «scatena il proprio demone anticomunista, contro ogni verità accertata». Mattarella? Cita solo di striscio l’ombra – nerissima e insanguinata – della feroce occupazione della Jugoslavia da parte dell’Italia. Vespa e Mattarella, secondo d’Orsi, «in fondo colpiscono nel “comunismo titino” qualsiasi idealità comunista, ossia ogni esigenza di giustizia». E che per farlo «offendano la verità storica», poco importa. «Poco importa che centri di ricerca accreditati abbiano prodotto monografie, saggi, articoli, in grado di smontare le balle spaziali sulle foibe. Poco importa che gli italiani occupanti abbiano seminato morte e distruzione nella Jugoslavia». Inutile ricordare che l’esercito partigiano di Tito contribuì in modo determinante alla liberazione dell’Europa. «Se si prova a opporre ragionamenti argomentati alle più truci invettive, dati reali e certificati ai dati inventati, vicende storiche accertate alla propaganda becera – conclude d’Orsi – allora si viene sommersi dall’ingiuria e additati, una volta di più, con la stentorea accusa: “Comunista!”. Parola che vorrebbe essere il culmine dell’infamia, ma forse, a maggior ragione se si guarda a chi la proferisce, diventa un titolo di merito».Ci sono foibe dove, ancora oggi, sparisce la verità: inghiottita dalla propaganda. Se il comunismo è morto, perché l’anticomunismo scoppia di salute? Forse per seppellire (nelle nuove foibe mediatiche) la memoria dell’antifascismo storico, inteso come impegno a lottare contro un sistema ingiusto e dispotico. Traduzione: il potere ha sempre ragione, e chi lo contesta è un delinquente. E’ la tesi di Angelo d’Orsi, impegnato con altri studiosi in un convegno a Torino. Gli storici hanno protestato formalmente con Mattarella per la dichiarazione rilasciata in occasione del 10 febbraio, “Giorno del Ricordo” dedicato alle vittime delle feroci rappresaglie, contro gli italiani, attuate alla fine della Seconda Guerra Mondiale dai partigiani di Tito nella Jugoslavia che prima era stata sottoposta alla feroce occupazione dell’esercito fascista (di cui nessuno parla). «Quella delle “foibe” è una vera e propria operazione politico-culturale, che ha contribuito a creare o consolidare un senso comune anticomunista, e anti-antifascista, volto a favorire una memoria contraffatta», afferma d’Orsi insieme ai colleghi Andrea Martocchia, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk e Davide Conti. «La menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune».
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Il teletrasporto? Non è più fantascienza: lo insegna la Cina
Addio petrolio e guerre? Fine dell’era delle auto e dei treni, delle navi e degli aerei? Sop all’inquinamento? La promessa – epocale, ai confini della realtà – si chiama teletrasporto. Per la precisione: entro 20 anni sarebbe possibile “teletrasportare” merci e perfino esseri umani. Non è pià fantascienza: «Il teletrasporto umano potrebbe presto diventare realtà», scrive Massimo Fenris su “Blasting News”. «Spostarsi da un punto all’altro del globo in maniera istantanea, poter essere dove si vuole in una manciata di secondi evitando le lunghe code in stazioni e aeroporti, poter lavorare ovunque non essendo costretti ad abbandonare i propri cari e le proprie radici: sarebbero solo alcuni dei vantaggi del teletrasporto». La grande sfida arriva direttamente dal Cremlino, con un progetto che richiederà un investimento miliardario. «Oggi sembra qualcosa di fantascientifico, ma a Standford ci sono riusciti con esperimenti molecolari. Se ci pensiamo, molta della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione è stata pensata dalla fantascienza 20 anni fa», afferma Alexander Galitsky, uno dei principali investitori russi in termini di tecnologie all’avanguardia. Ma la sfida coinvolge ovviamente gli Usa e la Cina, che è riuscita a “telatrasportare” fotoni dalla Terra a un satellite in orbita.Il progetto russo costerà oltre 2 trilioni di dollari, spiega “Blasting News”, e applicherà tutte le tecnologie all’avanguardia, come la computazione quantistica e interfacce neurali (il diretto collegamento tra macchina e cervello umano). «Fino ad ora, il teletrasporto umano ha sempre rappresentato qualcosa di impossibile per la complessità di informazioni che una macchina dovrebbe “ricordare” e riuscire a riassemblare esattamente in ogni singolo frammento, nel luogo di destinazione». In realtà, scrive Fenris, qualcosa del genere si è già realizzato, ma con particelle molto semplici. Nel 2014, gli scienziati della Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, hanno dimostrato che è possibile “teletrasportare” informazioni codificate in particelle sub-atomiche, a una distanza di tre metri con affidabilità del 100%. «Tra un essere umano e una particella sub-atomica c’è certamente una grande differenza, ma gli scienziati sono ottimisti e credono che presto tutto questo diventerà realtà». Secondo Elena Kovačič di “Sputink News”, gli scienziati dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca (Mfti) hanno capito che «in futuro sarà possibile percorrere lunghe distanze senza l’applicazione di forza fisica ed essere contemporaneamente in due posti. Ad esempio, a Pechino o Mosca o in Siberia e nelle isole della Nuova Zelanda. Non è escluso il teletrasporto per l’esplorazione dello spazio».Il cosiddetto “entanglement quantistico” è la capacità di due o più sistemi quantistici di comportarsi allo stesso modo, rimanendo inseparabili, anche se distanziati l’uno dall’altro. I fisici russi «hanno trovato un modo per preservare l’“entanglement quantistico” nella trasmissione delle informazioni ad una distanza considerevole», spiega uno dei ricercatori, Sergej Filippov. «C’è una correlazione, come nel caso di una bobina: per cui, ciò che succede a una estremità della bobina è collegato a quanto sta succedendo nell’altra. Queste correlazioni possono essere inviate. Anche le persone, spostate in questo modo ad una certa distanza, saranno comunque correlate». I fisici hanno eseguito una “crittografia quatistica” per la trasmissione di un segnale su fibra ottica, trovando un algoritmo per la trasmissione di qualsiasi cosa. «In un certo senso, questo “assemblaggio”, ricorda l’olografia, ossia l’immagine ricostruita di oggetti tridimensionali usando un laser. La differenza è che questo non è solo un particolare tipo di fotografia: qui c’è la riproduzione di “carne e sangue”, con tutte le caratteristiche e abilità specifiche». Per ora, la scienza non ha ancora la capacità di raggiungere questo obiettivo: finora, i fisici hanno “teletrasportato” fotoni. Ma la stessa tecnica, dicono, consentirà di trasportare materia complessa, fino all’uomo. E nel giro di pochi anni.Molto lusinghieri, in questo campo, i risultati ottenuti dalla Cina: la “Bbc” conferma che alcuni ricercatori cinesi sono riusciti a “teletrasportare” fotoni dal deserto del Gobi fino allo spazio, sul satellite “Micius” in orbita a un’altitudine dalla superficie terrestre che varia dai 500 ai 2.000 chilometri. Una vera e propria operazione fantascientifica, resa possibile grazie a quello che la fisica definisce “entanglement quantistico”, un processo in cui due diverse particelle che, pur non essendo in contatto fisico tra loro, reagiscono come una singola unità. «Prende così forma il concetto di “esistenza condivisa”, per cui qualsiasi alterazione sulla prima particella influenza lo stato della seconda. Già nel 1990, infatti, gli scienziati avevano capito che questo legame poteva essere usato per trasferire uno stato quantistico da un punto a un altro dell’universo», racconta “105.Net”. Dal punto di vista pratico, l’esperimento cinese è durato 32 giorni, durante i quali i ricercatori hanno inviato milioni di fotoni dalla Terra al satellite, ottenendo esiti positivi in 911 casi. «Un risultato straordinario, che permette alla Cina di battere il record per la distanza più grande mai coperta. I cinesi si mostrano dunque dominatori in un campo da sempre guidato da europei e statunitensi. Resta solo da capire quale sarà la prima contromossa dell’Occidente».Stati Uniti, Canada e Unione Europea sono già in gara con russi e cinesi, scrive Elena Dusi su “Repubblica”. «Due esperimenti sono stati appena pubblicati su “Nature Photonics”. Descrivono singoli fotoni capaci di “viaggiare” lungo una normale fibra ottica cittadina, per 6 chilometri a Calgary e 12 a Hefei, vicino a Shangai, “trasportando” le loro informazioni come in una linea Internet tradizionale». Altro che chilometri: i collegamenti quantistici precedenti (il primo realizzato nel 1993) non superavano i centimetri di un tavolo di laboratorio. Laddove si arrivò al record di 143 chilometri, aggiunge “Repubblica”, fu necessario allestire una trasmissione in uno spazio vuoto per non disturbare la corsa delle particelle: il mare fra due isole delle Canarie. «Per la prima volta, invece, a Calgary ed Hefei, il teletrasporto quantistico ha seguito le stesse strade che faremmo noi in auto o in motorino». Questo particolare fenomeno, spiega la Dusi, non ha nulla a che fare con la smaterializzazione e il trasferimento di persone od oggetti: «Lo spostamento infatti non riguarda le particelle in sé, ma le loro caratteristiche e coordinate. Più che a “Star Trek”, il teletrasporto quantistico assomiglia alla spedizione di un fax». In realtà si sfrutta il cosiddetto “entaglement quantistico”, cioè il legame tra due particelle nate da una stessa reazione.Le caratteristiche intrinseche di queste particelle sono legate indissolubilmente: se si modificano quelle dell’una, simultaneamente cambieranno anche quelle dell’altra. E la mutazione non dipende dalla distanza che le separa. Così, due fotoni legati da “entanglement” possono essere inviati al mittente e al destinatario di un messaggio criptato su Internet. Il mittente “modifica” il suo fotone e quindi quello in possesso del destinatario, che così potrà essere usato come chiave per decrittare il messaggio. «I vantaggi riguardano soprattutto la sicurezza», sostiene Francesco Marsili, ingegnere in forza alla Nasa. «Il teletrasporto quantistico non è necessariamente più veloce, semplicemente cancella il rischio di essere spiati. Comunicazioni finanziarie o militari sono le sue ovvie applicazioni». Non è un caso che il “teletrasporto”, dal campo della meccanica quantistica si sia trasferito a quello della geopolitica. La Commissione Europea ha lanciato il suo “Quantum Manifesto”, finanziandolo con un miliardo di euro in dieci anni. Washington ha già realizzato una piccola rete su cui testare le trasmissioni. Altrettanto ha fatto la Cina, con una “autostrada quantistica” di un migliaio di chilometri tra Shanghai e Pechino.Il gigante asiatico, in realtà, ha fatto anche di più, ammette “Repubblica”. «Lanciando il suo primo satellite per le trasmissioni quantistiche dallo spazio, a fine agosto, la Cina ha spostato la corsa all’Internet quantistico dalla Terra al cielo». Proprio sicuri che non sarà possibile – entro vent’anni, come dicono i russi – smaterializzare qualcuno e rimaterializzarlo a migliaia di chilometri di distanza? Un sogno che si sta avvicinando sempre di più alla realtà, «grazie a una serie di esperimenti che nel prossimo futuro potrebbero trasformare il teletrasporto in una pratica comune», scrive Daniele Uva sul “Giornale”, citando il recentissimo record cinese. Dal satellite Micius è partito un fascio laser che ha trasmesso le particelle di luce correlate tra loro alle diverse stazioni a terra, dove sono state misurate. «I fotoni, dopo aver viaggiato per lunghe distanze, hanno mantenuto il loro legame pur trovandosi a più di 1.200 chilometri gli uni dagli altri. Un primato senza precedenti». La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista specializzata “Science”, ha fatto gridare al miracolo: per la prima volta nella storia, qualcosa di molto simile al “teletrasporto” sembra aver funzionato.Nel 2016, aggiunge il “Giornale”, un gruppo di ricercatori dell’Esa – l’Agenzia Spaziale Europea – ha tentato un esperimento simile a quello cinese: «I due fotoni si trovavano, però, entrambi sulla Terra, e a una distanza di soli 140 chilometri». Sempre nel corso del 2016, ad aprile, alcuni scienziati dell’esercito americano «hanno raccontato di essere riusciti a trasferire un’intera squadra di militari da un centro di ricerca e sviluppo del Massachusetts a una zona di addestramento della Nato in Germania». La notizia è stata addirittura confermata attraverso il “Natick Soldier System Center” dell’esercito statunitense, «nonostante un certo inevitabile scetticismo da parte degli addetti ai lavori». Bisogna andare più indietro nel tempo, al 2004, per trovare un altro tentativo: una squadra americana del National Institute of Standards and Technology e una austriaca dell’università di Innsbruck «riuscirono a spostare, con la tecnica del teletrasporto quantico, alcune proprietà di atomi di berillio e calcio», ricorda Uva sul “Giornale”. Insomma, la ricerca non si ferma. «E la comunità scientifica è convinta che, in assenza di intoppi, entro una decina di anni si potrebbe arrivare a ottenere immagini e filmati quasi in tempo reale da Marte».Addio petrolio e guerre? Fine dell’era delle auto e dei treni, delle navi e degli aerei? Sop all’inquinamento? La promessa – epocale, ai confini della realtà – si chiama teletrasporto. Per la precisione: entro 20 anni sarebbe possibile “teletrasportare” merci e perfino esseri umani. Non è pià fantascienza: «Il teletrasporto umano potrebbe presto diventare realtà», scrive Massimo Fenris su “Blasting News”. «Spostarsi da un punto all’altro del globo in maniera istantanea, poter essere dove si vuole in una manciata di secondi evitando le lunghe code in stazioni e aeroporti, poter lavorare ovunque non essendo costretti ad abbandonare i propri cari e le proprie radici: sarebbero solo alcuni dei vantaggi del teletrasporto». La grande sfida arriva direttamente dal Cremlino, con un progetto che richiederà un investimento miliardario. «Oggi sembra qualcosa di fantascientifico, ma a Standford ci sono riusciti con esperimenti molecolari. Se ci pensiamo, molta della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione è stata pensata dalla fantascienza 20 anni fa», afferma Alexander Galitsky, uno dei principali investitori russi in termini di tecnologie all’avanguardia. Ma la sfida coinvolge ovviamente gli Usa e la Cina, che è riuscita a “telatrasportare” fotoni dalla Terra a un satellite in orbita.
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“Mai a Est”, così la Nato mentì a Gorbaciov. Ecco le prove
Prima di perdere il potere, Gorbaciov ricevette ampie e ripetute assicurazioni, tra il 1990 e il 1991, sul fatto che la Nato non sarebbe stata estesa ai paesi est-europei. È la verità che emerge dalla pubblicazione, all’inizio dello scorso dicembre, di documenti desecretati contenuti nell’archivio della Sicurezza Nazionale depositato nella George Washington University, spiega Giulietto Chiesa. «Qui è dimostrato che l’Occidente mentì, come si suol dire, per la gola», e cioè: promise ai dirigenti sovietici che la sicurezza nazionale dell’Urss non sarebbe stata minacciata, ma – una volta incassato il bottino politico – non tenne fede alla parola data. I documenti, resi pubblici da due ricercatori (Svetlana Savranskaja e Tom Blanton) svelano questa verità storica in modo inequivocabile: «Fu una congiura, perché a promettere non fu uno solo: lo fecero tutti». E questo, scrivono i due, «è basato sulla fondatezza di documenti scritti e di dispacci scambiati ai più alti livelli». Aveva dunque le sue ragioni Vladimir Putin quando, durante la conferenza di Monaco sulla sicurezza, nel 2007, chiese: «Cosa ne è delle assicurazioni che i nostri partner europei diedero dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Dove sono finite quelle dichiarazioni? Sembra che nessuno se ne ricordi, ma mi permetto di ricordare a questo pubblico ciò che venne detto allora».Putin, ricorda chiesa in un post su “Sputnik News”, citò una precisa dichiarazione del segretario generale della Nato di quel momento, Manfred Woerner. A Bruxelles, il 17 maggio 1990, Woerner aveva detto, testualmente: «L’Unione Sovietica ha una solida garanzia di sicurezza dal fatto che non siamo intenzionati a dislocare un esercito della Nato al di fuori del territorio tedesco». Davvero? «Dove sono oggi queste garanzie?», aveva esclamato Putin, tra lo scandalo dei massimi leader europei e americani. «Tutti sembravano avere dimenticato che già nel 1997 la Nato aveva offerto a Ungheria, Polonia e all’allora Cecoslovacchia di entrare nella Nato», annota Chiesa. Storica la frase che il segretario di Stato Usa, James Baker, rivolse a Gorbaciov il 9 febbraio 1990: «La Nato non si espanderà ad est nemmeno di un centimetro». Per la verità, scrive Giulietto Chiesa, Baker usò la misura inglese dell’inch, «ma adesso è noto che qualche miliardo di inches è già stato percorso a est dalle truppe e dagli armamenti della Nato». Una grande menzogna, fin dall’inizio: «L’elenco dei bugiardi che seguirono le orme, in inches, di James Baker è davvero lungo, a leggere gli archivi della Washington University. Ne fecero parte il presidente George Bush padre, il ministro degli esteri tedesco Genscher, il cancelliere Kohl, il presidente francese Mitterrand, Margaret Thatcher, il premier inglese John Major, il capo della Cia Robert Gates, il ministro degli esteri britannico Douglas Hurd».In base al trattato siglato con la sconfitta tedesca della Seconda Guerra Mondiale, Gorbaciov avrebbe avuto nelle sue mani il diritto di veto per impedire la riunificazione tedesca, ricorda Chiesa. E invece, grazie alle bugie sulla Nato, l’ultimo leader dell’Urss «fu indotto ad accettare un patto con l’Occidente, che l’Occidente non ha rispettato». E non si tratta soltanto di documenti d’archivio, precisa Chiesa: in alcuni casi c’è la testimonianza di partecipanti diretti, autori di quelle “promesse da marinaio”. Come Rodric Braithwaite, allora ambasciatore inglese a Mosca, che riferisce di un colloquio tra il premier britannico Major e lo stesso Gorbaciov, avvenuto il 5 marzo 1991, in cui il primo disse al secondo: «Io penso che i suoi sospetti sul ruolo della Nato nella presente situazione siano il risultato di un fraintendimento». Noi non stiamo pensando a un rafforzamento della Nato, giurò il diplomatico inglese: stiamo solo «coordinando gli sforzi per migliorare i rapporti tra l’Unione Europea e la Nato». Secondo le memorie di Robert Gates, allora assai critico verso il trattamento cui veniva sottoposto Gorbaciov, il leader sovietico fu «indotto a credere» alle promesse «mentre si stava preparando in gran fretta e in segreto l’estensione a est della Nato».Due le opzioni occidentali: attendere che l’Urss si afflosciasse da sola o costringerla subito alla resa. Giulietto Chiesa definisce la prima ipotesi «abbastanza sincera». Il suo più convinto sostenitore? Bush. «Non voleva accentuare le dimensioni del crollo sovietico, anche nel timore che una troppo grande umiliazione avrebbe potuto provocare contraccolpi nazionalistici in Russia». Meglio dunque «lasciare la Nato dove stava, accontentandosi di una Germania unificata dentro la Nato, ma senza andare oltre». Tesi che, peraltro, «Kohl e Genscher nettamente preferivano». L’altra opzione era invece «dettata dall’uso spregiudicato dei rapporti di forza», e dunque: rapido allargamento a Est della Nato. «Ma la differenza tra le due opzioni era assai labile», secondo Chiesa: «Era una questione di tempi di realizzazione dello stesso disegno», perché «quelli che oggi definiremmo i “moderati” dell’Occidente» erano semplicemente convinti che l’Unione Sovietica non sarebbe crollata così velocemente, come poi invece avvenne alla fine del 1991. «Erano disposti ad aspettare più a lungo, ma avrebbero fatto la stessa cosa che i secondi (i falchi di Washington) volevano fare subito». L’unico a dirlo a Gorbaciov fu Valentin Falin, dirigente del Pcus: «L’Occidente ci sta prendendo in giro». Avvertimento tardivo e inutile: «I rapporti di forza erano già definiti. E, quando l’Urss crollò, fu ovvio dimenticare le promesse fatte a Gorbaciov, che non era più sulla scena».Prima di perdere il potere, Gorbaciov ricevette ampie e ripetute assicurazioni, tra il 1990 e il 1991, sul fatto che la Nato non sarebbe stata estesa ai paesi est-europei. È la verità che emerge dalla pubblicazione, all’inizio dello scorso dicembre, di documenti desecretati contenuti nell’archivio della Sicurezza Nazionale depositato nella George Washington University, spiega Giulietto Chiesa. «Qui è dimostrato che l’Occidente mentì, come si suol dire, per la gola», e cioè: promise ai dirigenti sovietici che la sicurezza nazionale dell’Urss non sarebbe stata minacciata, ma – una volta incassato il bottino politico – non tenne fede alla parola data. I documenti, resi pubblici da due ricercatori (Svetlana Savranskaja e Tom Blanton) svelano questa verità storica in modo inequivocabile: «Fu una congiura, perché a promettere non fu uno solo: lo fecero tutti». E questo, scrivono i due, «è basato sulla fondatezza di documenti scritti e di dispacci scambiati ai più alti livelli». Aveva dunque le sue ragioni Vladimir Putin quando, durante la conferenza di Monaco sulla sicurezza, nel 2007, chiese: «Cosa ne è delle assicurazioni che i nostri partner europei diedero dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Dove sono finite quelle dichiarazioni? Sembra che nessuno se ne ricordi, ma mi permetto di ricordare a questo pubblico ciò che venne detto allora».
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“Non voto: non vi credo e non mi rassegno al meno peggio”
Li vedo ogni giorno, tutti. Li ascolto pure, li leggo, nonostante un forte istinto che mi spingerebbe a ignorali perché quello che dicono ce l’ho in memoria da anni. Sono prevedibili, anche se non mancano di fantasia. D’altra parte cosa mai possono dire se non quello che la gente vuole sentirsi dire? Cosa mai possono promettere se non quello che le persone desiderano? Adesso ci sono pure i mezzi per sondare meglio le aspettative, per misurare l’umore e per controllare il gradimento. Dunque è più che semplice impostare una campagna elettorale e presentare programmi per attirare preferenze ed è più che logico che l’unica maniera per sminuirsi a vicenda è promettere di più e più in fretta degli altri, anche se non è vero, anche se non sarà possibile, anche se ormai è talmente chiaro che, una volta seduti là, le promesse, e ci metto pure la buona fede di qualche raro purista, svanirà di fronte a qualcosa di più incisivo e determinante: il sistema. Quel sistema per il quale non possiamo esprimere né dissenso né consenso, quel sistema di cui siamo semplici ingranaggi e a cui non fa un baffo servirsi di questo o quell’altro per esprimere le sue potenzialità.
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Voto inutile, chiunque vinca: l’Italia non deve svegliarsi
La crisi è sistemica – europea, mondiale – mentre le elezioni restano un fenomeno soltanto atmosferico, stagionale: se piove, si apre l’ombrello in attesa che passi il maltempo (che non passerà). Nulla di importante è alla portata dell’elettore italiano informato e consapevole, rassegnato all’irrilevanza. Chi si candida a governare il paese non ha soluzioni alternative al declino, presentato come squallida normalità. Le liste che invece mettono il dito nella piaga – tantissime, di ogni colore – devono munirsi di telescopio: per avvistare non certo Palazzo Chigi (missione impossibile), ma solo il miraggio di un seggio in Parlamento, da cui eventualmente riproporre, col megafono, la loro denuncia destinata a non essere raccolta da nessuno, né aula né sui grandi media. Chi votare, dunque? E soprattutto: perché? Per quale motivo andare al seggio elettorale, già sapendo che – sondaggi alla mano – neppure la coalizione data in vantaggio, il centrodestra, raccoglie forze stabili e coese? Salvini e Meloni conservano almeno la memoria della loro critica alla gestione Ue, mentre il loro capo Berlusconi – che da un lato propone la Flat Tax – dall’altro rassicura Bruxelles: giura che non toccherà il mortale tetto di spesa del 3%, imposto dai burocrati del rigore, i maggiordomi agli ordini dei grandi poteri economici che hanno sprofondato l’Italia nel disastro della disoccupazione di massa, portandole via milioni di posti di lavoro e 450 milardi di euro in soli tre anni.Stessa musica a casa Pd, dove restano tabù i dogmi di Maastricht che sono all’origine della tragedia, la decadenza strutturale del made in Italy. Idem i 5 Stelle, che non sono corresponsabili della catastrofe ma si stanno attrezzando: propongono un taglio fantascientifico, l’amputazione del 40% del debito pubblico, cioè della spesa strategica per l’economia. Quali sono i paesi, storicamente, con il maggior debito statale? Stati Uniti e Giappone. Il problema è dunque il debito o la moneta in cui è denominato? La moneta, ovvio. Quindi i 5 Stelle cosa contestano, il debito o la moneta? Il debito, purtroppo: nulla deve cambiare. Deve restare in piedi il paradigma, falso, che vuole lo Stato in ginocchio, costretto a privatizzare per fare cassa, taglieggiando i contribuenti. Risparmi erosi, aziende senza crediti, dipendenti senza lavoro, studenti senza futuro, coppie senza figli. Ce lo chiede l’Europa: e noi all’Europa, ancora una volta, rispondiamo che va bene così. Siamo contenti di sprofondare. Felici, ancora una volta, di non poter scegliere – alle urne – nessuna opzione alternativa alla rassegnazione sistemica, alla resa di fronte a uno schema che punisce l’Italia come nazione, come società, come sistema produttivo, come partner europeo colpevole di esistere.L’Italia ha tante colpe, in effetti: è un paese ammirato, invidiato e detestato perché potenzialmente ricchissimo, creativo, ingegnoso, padrone di un giacimento culturale senza pari al mondo, proteso nel cuore strategico del Mediterraneo. Guai se dovesse svegliarsi, il paese che seppe risorgere dalle macerie della guerra per diventare la quarta potenza industriale del pianeta, nonostante i suoi tumori endemici (mafia, corruzione, evasione fiscale). Guai, se l’Italia risvegliata mandasse a stendere Bruxelles e il suo 3%, Francoforte e la sua moneta privata, Berlino e la sua cancelliera privatizzata. Per questo sono sempre così delicate, per l’oligarchia dominante, le elezioni italiane: è fondamentale che l’Italia resti in letargo, in coma farmacologico. Faccia come crede, purché voti Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il risultato, per Bruxelles, è già in cassaforte: chiunque prevalga, di quei tre, non impensierirà nessuno dei nemici dell’Italia. Il voto-contro, per chi alle fiabe non crede più? Niente paura: sarà disperso in mille rivoli, nessuno dei quali (dicono i sondaggi) raggiungerà neppure l’anticamera del Parlamento. In più, nessuno dei maggiori candidati avrà i numeri per governare. Due sole ipotesi: larghe intese o nuove elezioni. Nulla che, in ogni caso, riguardi gli italiani stanchi di dormire, e di vedere il loro paese trattato come un malato terminale ingombrante, in parte ancora ricco. Un malato da spolpare fino all’ultimo, da tenere in vita solo per evitare l’imbarazzo del funerale.La crisi è sistemica – europea, mondiale – mentre le elezioni sembrano un fenomeno innocuo e soltanto atmosferico, stagionale: se piove, si apre l’ombrello in attesa che passi il maltempo (che non passerà). Nulla di importante è alla portata dell’elettore italiano consapevole, rassegnato all’irrilevanza. Chi si candida a governare il paese non ha soluzioni alternative al declino, presentato come squallida normalità. Le liste che invece mettono il dito nella piaga – tantissime, di ogni colore – devono munirsi di telescopio: per avvistare non certo Palazzo Chigi (missione impossibile), ma solo il miraggio di un seggio in Parlamento, da cui eventualmente riproporre, col megafono, la loro denuncia fatalmente pletorica, destinata a non essere raccolta da nessuno, né in aula né sui grandi media. Chi votare, dunque? E soprattutto: perché? Per quale motivo trascinarsi fino al seggio elettorale, già sapendo che – sondaggi alla mano – neppure la coalizione data in vantaggio, il centrodestra, raccoglie forze stabili e coese? Salvini e Meloni conservano almeno la memoria della loro critica alla gestione Ue, mentre il loro capo Berlusconi – che da un lato propone la Flat Tax – dall’altro rassicura Bruxelles: giura che non toccherà il mortale tetto di spesa del 3%, cioè la camicia di forza imposta dai burocrati del rigore, i maggiordomi agli ordini dei grandi poteri economici che hanno sprofondato l’Italia nel disastro della disoccupazione di massa, portandole via milioni di posti di lavoro e 450 miliardi di euro in soli tre anni.
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Serve il coraggio politico di credere in un sogno realizzabile
E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.Inutile girarci attorno, inutile pensare di rimandare le prese di coscienza; per quante precauzioni e attenzioni del caso si possano prendere, la situazione è chiara: inquinamento alle stelle con conseguente deterioramento della salute e della qualità della vita, veloce esaurimento delle risorse, distruzione dell’ambiente, rischio desertificazione ed emergenza idrica, cambiamenti climatici fuori controllo che aggraveranno la situazione, cementificazione galoppante, persone sempre più prive di senso e stressate, in preda a mille paure e insicurezze dettate da un mondo che ha come unica direzione e obiettivo il vivere per i soldi e fregare il prossimo. E non si tratta di catastrofismo o allarmismo, è la situazione attuale, chiara e limpida, almeno per chi non crede ai telegiornali di regime e conseguente voce del padrone.Di fronte a questa situazione ci sono opportunità per invertire la rotta e fare del nostro paese un giardino fiorito e sono opportunità che danno le maggiori sicurezze e reali ricchezze. Ad oggi, conti alla mano, non c’è politica più lungimirante e foriera di risultati che puntare a quello di cui l’Italia ha potenzialità immense. Non ci sono campi di intervento e con garanzie di risultati maggiori di quelli del campo ambientale e nella fattispecie quelli legati alle energie rinnovabili, efficienza energetica e risparmio energetico. Puntando decisamente anche solo su questi settori, si riassorbirebbe gran parte della disoccupazione e si farebbe ripartire la vera economia che è quella che ha cura, non quella che distrugge. Ma con questi settori saremmo solo all’inizio; ci sarebbe poi il risparmio idrico, assolutamente fondamentale, poi l’agricoltura biologica da diffondere ovunque che è già uno dei pochi settori che scoppia di salute e che viene sempre più richiesto, con conseguente valorizzazione delle eccellenze locali che in Italia vuol dire agire dappertutto. Poi valorizzazione e salvaguardia del territorio che significa anche turismo di qualità ed inoltre riutilizzo, riuso, e recupero delle risorse in ogni forma e specificità per dare respiro ad una terra sempre più saccheggiata. Si tratta quindi di un vero e proprio progetto politico e culturale di rinascita con solide basi economiche e dalle grandi prospettive.Chiamatelo new deal verde, così è più cool, chiamatelo come vi pare ma da questa prospettiva non si scappa e prima ci si dirige velocemente e prima si salva il paese e si ottiene più consenso. Agire politicamente in questa direzione può spaventare solo i ladri, i disonesti o coloro a cui non interessa nulla nemmeno della sorte dei propri figli. Chiunque, onesto e serio, compresa anche la casalinga di Voghera, è in grado di capire e recepire la fattibilità e la lungimiranza di una politica in questo tipo poiché c’è tutto dentro. Ci sono i valori, c’è la salute, c’è l’occupazione, c’è l’economia, c’è il rispetto per l’ambiente e per gli altri, c’è la qualità della vita, c’è il senso di appartenenza e di comunità, c’è il genio italico, c’è la valorizzazione del territorio, c’è il non fare rimanere indietro nessuno, c’è la preservazione di quello che abbiamo per i nostri figli e nipoti, c’è la visione allargata che riesce ad abbracciare anche chi è lontano ma che può beneficiare delle conseguenze positive di quello che può fare un paese che si incamminasse decisamente in questa direzione, c’è la conservazione della memoria storica, c’è la salvaguardia e la valorizzazione del nostro immenso e meraviglioso patrimonio culturale. C’è tutto quello che può fare felici e serene le persone.Non si dica che è prematuro, che è troppo presto, che non è fattibile, che gli italiani non sono pronti, che non lo capirebbero, che si spaventerebbero, perché tanti lo hanno già capito e sono semmai sempre più spaventati davvero dal resto che hanno compreso li porterà dritti nel baratro. Quale infatti è l’alternativa a questa politica? Continuare a costruire in un paese già tutto cementificato e ad ogni alluvione piangere i morti? Continuare a costruire automobili e ad ogni statistica sull’inquinamento piangere i morti? Produrre e vendere oggetti e servizi superflui che impoveriscono le persone e non fanno che alimentare discariche e inceneritori e anche qui poi piangere i morti? Continuare ad inquinare tutto compreso il nostro meraviglioso mare? Dare lavori dannosi e insensati alle persone che le rendono infelici e preda di mutui e incombenze di ogni tipo, in grado di rovinare anche la famiglia più coesa? Non c’è nessuna prospettiva, tantomeno politica, nel percorrere una strada del genere. Tutto ciò non ha alcun futuro e sarà solo un infelice passato.(Paolo Ermani, “Il coraggio politico di credere a un sogno realizzabile”, da “Il Cambiamento” del 12 gennaio 2018).E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.
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Carpeoro: il potere dell’eggregora, energia esponenziale
Se qualcuno ci racconta che abbiamo le ali, forse è il caso di credergli. A patto che non dica di essere lui, a farcele spuntare. Mai sentito parlare di eggregore? Eccome, quasi sempre a sproposito. Sono energie sovrumane, ma non soprannaturali: «Si innescano durante le manifestazioni cerimoniali, quando molte persone pensano la stessa cosa, nel medesimo istante – non solo in un rito religioso, va bene anche un concerto di Vasco Rossi». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo, autore del saggio “Summa Symbolica”, a colloquio con Fabio Frabetti di “Border Nights” in diretta streaming su YouTube alla vigilia di Natale. A proposito: «Non sparate sul Natale, solo perché è diventato un festival del consumismo. Quello del Natale è un simbolismo affascinante: la nascita è la memoria ancestrale di come iniziamo a vivere». Francesco Saba Sardi, grande intellettuale triestino, fu scomunicato dopo aver scritto il libro “Il Natale ha 5.000 anni”? «Volendo, sono anche di più: Gesù è un simbolo universale, non un individuo figlio di Dio. E’ un archetipo, per il quale la divinità è in ognuno di noi». Le ali, appunto: sono roba nostra, fin dall’inizio, anche se poi qualcuno va dal “mago” a chiedere consigli, «come faceva Gianni Agnelli con Gustavo Rol».«Spero che nessuno mi denunci», premette Carpeoro, nel raccontare un risvolto finora inedito della vita dell’Avvocato: «Filmava i suoi incontri d’affari e poi mostrava a Rol le pellicole, chiedendogli di pronunciarsi sulla credibilità dell’interlocutore». Potere e chiaroveggenza, magia e divinazione? Su questo, Carpeoro ha più volte espresso il suo parere, che è nettissimo: la magia è illusionismo, puro strumento del potere. L’effetto magico? Non è mai il “mago” a innescarlo, ma il “cliente”, che però non ne è consapevole. Le religioni? Vittime, anch’esse, di una «deriva magica del pensiero». Inclusa la celebrazione del Natale, che può avere un effetto di grandissima suggestione: «La nascita di un bambino è per noi un momento di grande commozione, la stessa morte non commuove quanto una nascita». Ma attenzione: «Lasciamo perdere i dati folkloristici legati ai dogmi del Cristianesimo. Se esiste un Dio, per mostrarsi a noi ha dovuto necessariamente intervenire al momento della nostra nascita. E’ un evento immanente, irripetuto, incredibile, importante». L’effetto che ha su di noi? «E’ inconsapevole, ma solo per colpa nostra: siamo noi che vogliamo che sia inconsapevole. Anche il Natale fa parte di quelle aree di consapevolezza che, col tempo, ci siamo precluse».Per questo, è possibile che molte persone diano una interpretazione “magica” dell’effetto – teoricamente anche molto potente – delle cosiddette eggregore, le forme-pensiero suscitate da comunità di persone. Nessuna magia, assicura Carpeoro: quell’effetto esiste, ma dipende da precise leggi energetiche. Spiegazione: «Ognuno di noi è espressione anche di energie, che porta dentro. Per uno strano meccanismo – potrei dire coincidenza, Jung direbbe sincronicità, altri direbbero qualcos’altro – quando diventano assolutamente complementari l’una all’altra e viaggiano tutte in un’unica direzione, si sommano in un’unica energia: che nella maggior parte dei casi è addirittura superiore, come forza, all’addizione delle singole unità». Nel campo delle eggregore, aggiunge Carpeoro, «uno più uno non fa due – può fare tre, cinque, dieci». Il che non è “magico”, è “soltanto” sovrumano: sta al di sopra dell’ordinarietà. «Se tu una cosa la interpreti in senso magico avrai un tipo di conseguenza, se invece la interpreti in senso simbolico e laico, ne trai altre conseguenze». Generalmente, precisa Carpeoro, «di fronte a cose che abbiano un senso magico, la gente non deve sforzarsi di capire». Ovvero: «Quando una cosa ha un effetto magico – che poi si nasconda sotto una religione, una fascinazione – la gente non si preoccupa di capire, tant’è vero che uno dei principi della magia è la ripetizione astratta delle formule».Tutt’altro pianeta, invece, la dimensione – libera, seria, autonoma – del pensiero simbolico: «Quando tu alle cose dai un’interpretazione in senso simbolico, ti poni nella logica del capire il perché. Puoi anche non metterne in discussione l’effetto, ma sai che questo effetto risponde a delle leggi, a dei meccanismi che teoricamente noi siamo in grado di capire. Meccanismi che hanno una logica e, per la loro caratura, una caratteristica quasi scientifica». Secondo Carpeoro, nel caso delle eggregore «possono verificarsi effetti notevoli quando tutte le menti delle persone sono dirette verso un unico obiettivo». Uno dei casi più eclatanti di eggregora? «E’ quello delle manifestazioni cerimoniali. Chiamali concerti, eventi religiosi, Via Crucis del Papa, preghiere collettive. Chiamatele come volete: sono manifestazioni cerimoniali. E nelle manifestazioni cerimoniali – anche quelle della massoneria, tipo la Catena d’Unione – nel momento in cui tutte le menti riescono a essere rivolte verso un unico obiettivo, allora si crea quella forza, che non è più dovuta alla forza della somma delle singole menti, ma è una forza superiore. La sua durata? Dipende dall’obiettivo e dalle circostanze. E’ positivo partecipare a questo tipo di raduni? Non sempre».Generalmente, aggiunge Carpeoro, l’obiettivo non dev’essere mai individuale, né riguardare uno dei partecipanti: «Sarebbe un ostacolo, perché colui che è oggetto pensa diversamente dagli altri. I partecipanti devono essere in una posizione di tale complementarità che mi sembra impossibile che uno abbia un pensiero diverso e si individualizzi». Gli ultras allo stadio fanno un tipo di cerimoniale? «Può succedere, sì. Anche la diffusione di certe notizie può avere l’effetto di far concentrare le stesse persone, simultaneamente, su un unico obiettivo». La televisione invece «non può creare eggregore, ma solo sovrastrutture, mentre l’eggregora è un’energia. E la televisione può creare dicerie, dogmi, luoghi comuni e pregiudizi, ma non può creare energie». Ammette Carpeoro: «Un paio di volte queste eggregore hanno consentito la mia purificazione, rispetto a stati di agitazione o di torpidità momentanea che mi avevano coinvolto. Uno degli effetti positivi di un’eggregora può essere il fatto che ne esci completamente purificato da determinate cose». Ma anche qui, attenzione: «Non è l’eggregora a toglierti la negatività. L’hai eliminata tu stesso. Bisogna smetterla di spostare tutto fuori: è tutto dentro. Ogni cosa si verifica sempre al nostro interno. La stessa negatività fa parte di noi, è una nostra componente».Prima ancora di essere individui, cosa siamo? «Siamo parte di qualcosa di più grande. Oppure “non siamo”; ma, anche “non essendo”, siamo parte di qualcosa di più grande. Quindi, l’eggregora cosa fa? Restituisce un’integrazione». Nell’eliminare la tua individualità, continua Carpeoro, puoi avere conseguenze positive o negative. «Quando tu, reintegrandoti in una comunità particolare, in un organismo più grande, elimini l’individualità con conseguenze positive, vuol dire che poi, quando ne esci, tutta una serie di problemi legati all’ego li hai in qualche modo eliminati, rimossi». Domanda: è da respingere con forza la credenza in base alla quale altre persone ci possano inculcare delle negatività? «Dipende sempre da te», risponde Carpeoro: «Se io sono un soggetto pensante, non ci riesce». Chi pensa, in sostanza, non è manipolabile. «E’ che noi, in certi casi, non pensiamo. Pensare significa: avere l’aspirazione di capire tutto quello che ti succede. In realtà, il 90% delle cose che ci succedono e che ci troviamo a fare, il 90% delle nostre scelte, le facciamo non pensando. E questo è frutto del pensiero magico, che è un non-pensiero».Sicché noi possiamo “creare” la realtà, se circoscriviamo l’ego? «Noi siamo realtà», sottolinea Carpeoro: «Possiamo essere consapevoli della realtà che siamo». Poi, appunto, ci sono anche le eggregore. Una rockstar come Vasco? Ne ha create di enormi, secondo il suo pubblico anche molto positive: «Sicuramente, tramite le parole e alcune sue canzoni, ha mosso delle energie in un’unica direzione». Può farlo anche una messa cattolica? «Se il celebrante è bravo, sì». In altre parole: ci sono straordinarie concentrazioni di energia, che possono raggiungerci. Esistono dimensioni invisibili, ma non per questo non naturali o non fisiche. E ci sono leggi che tuttora ci sfuggono: «Una cosa che mi capita quasi quotidianamente – racconta Carpeoro – è che, se penso intensamente a qualcuno, un amico che non sento da tempo, nel giro di pochi secondi mi telefona. Mi succede quasi ogni giorno, con una frequenza che a volte mi disorienta». Ipotesi: «Secondo me sono messaggi che noi mandiamo e che automaticamente il destinatario è in grado di recepire, e quindi poi chiama. Il fatto che questo non avvenga nella consapevolezza non significa che non sia possibile», conclude Carpeoro. «La cosa in sé non mi meraviglia: me ne meraviglia la frequenza».Se qualcuno ci racconta che abbiamo le ali, forse è il caso di credergli. A patto che non dica di essere lui, a farcele spuntare. Mai sentito parlare di eggregore? Eccome, quasi sempre a sproposito. Sono energie sovrumane, ma non soprannaturali: «Si innescano durante le manifestazioni cerimoniali, quando molte persone pensano la stessa cosa, nel medesimo istante – non solo in un rito religioso, va bene anche un concerto di Vasco Rossi». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo, autore del saggio “Summa Symbolica”, a colloquio con Fabio Frabetti di “Border Nights” in diretta streaming su YouTube alla vigilia di Natale. A proposito: «Non sparate sul Natale, solo perché è diventato un festival del consumismo. Quello del Natale è un simbolismo affascinante: la nascita è la memoria ancestrale di come iniziamo a vivere». Francesco Saba Sardi, grande intellettuale triestino, fu scomunicato dopo aver scritto il libro “Il Natale ha 5.000 anni”? «Volendo, sono anche di più: Gesù è un simbolo universale, non un individuo figlio di Dio. E’ un archetipo, per il quale la divinità è in ognuno di noi». Le ali, appunto: sono roba nostra, fin dall’inizio, anche se poi qualcuno va dal “mago” a chiedere consigli, «come faceva Gianni Agnelli con Gustavo Rol».
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Il pensiero positivo? Nato da Stalin, copiato da Hitler e Usa
La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.Quindi la critica non è permessa, è intesa come un esempio di psicosi. Vai in manicomio perché hai detto che c’era qualcosa su cui non eri d’accordo: hai pensato negativo. Stalin l’ha fatto, facendo sparire dalla Russia intere classi sociali – contadini, borghesi, militari. E il primo che l’ha preso seriamente in considerazione è stato Hitler. Al tempo del “Mein Kampf” no, negli anni Venti non ancora: Hitler allora era sempre incazzato e andava forte, cresceva tanto. Ma, una volta arriavato al potere, ha messo in moto il pensiero positivo staliniano con i tedeschi, dicendo: cari tedeschi, voi siete spaventati, terrorizzati, istupiditi dalla crisi economica, ma sbagliate, state pensando negativo. Pensiamo positivo: noi siamo il popolo superiore del mondo, non per motivi ideologici (come quei bastardi dei russi), ma per motivi razziali. Noi siamo gli ariani, siamo meglio di chiunque altro, e qualsiasi cosa sia ariana va bene. Questo è pensiero positivo – un misto di pensiero positivo e di autostima. In questo modo Hitler è riuscito ad avere un controllo formidabile su un popolo, e l’ha esteso ai minimi dettagli. Per esempio, cosa c’era scritto all’ingresso di diversi campi di concentramento? “Arbeit macht frei”, il lavoro fa diventare liberi. Cosa voleva dire? Dentro, mica lavoravano. Però uno scendeva dal treno, vedeva scritto “arbeit macht frei” e poteva pensare, vabbè, è un posto civile. Era un modo, quello lì, che poi gli americani hanno teorizzato e capito bene.Quando sono arrivati i russi, ad Auschwitz, hanno visto il campo di concentramento e han detto: sono dilettanti, non si fa così, la gente la si ammazza “normale”. Gli americani, invece – ingenui, ma pratici – vedono e contano: quanti prigionieri ci sono? Dodicimila. E quante guardie? Cento, e con anche una piscina per loro (quindi le guardie stavano rilassate). E pensano: come han fatto? Ci interessa. Come han fatto, in cento, a tenerne a bada dodicimila, che peraltro non avevano nessuna speranza di sopravvivere e quindi, in qualsiasi momento, potevano ammazzare quei cento, prendendosi almeno la soddisfazione? Si son detti: qui bisogna chiamare gli organizzatori. Presi, prelevati, arrivati in America insieme a un sacco di scienziati. E lì è venuto fuori il “positive thinking”. Però gli americani gli han detto: sentite, noi non siamo come voi pazzi, che usate queste cose per sterminare le persone. A noi interessa solo vendere. Ci interessano tre cose: vendere tanto, non avere comunisti tra i piedi e far sopportare alla gente l’inquinamento – non quello delle auto, quello radioattivo, che sta crescendo a livelli esponenziali.Nei bollettini meteorologici degli anni ‘50, in America, c’era scritto: per oggi è prevista pioggia, la temperatura sarà questa, il livello di radiazioni oggi sarà tollerabile. Uno legge questa roba e dice: «Voi siete pazzi. Livelli di radiazioni? Siete matti». Invece, dicono gli americani agli ex nazisti, noi vogliamo che i nostri concittadini siano contenti. Potete aiutarci? Sennò tornate in galera. E loro: eccoci pronti. Tanti sociologi ne hanno parlato – Adorno, Marcuse. L’idea era proprio: qui bisogna convincerli che tutto va bene. E la teoria che c’è dietro è bellissima. Rispetto a “Good”, l’espressione “Bad” vale cinque volte tanto, a livello energetico: per bilanciare un’esperienza “Bad” occorrono cinque esperienze “Good”. Quindi, se vuoi dominare un popolo, gli dai esperienze belle. Come si faceva, nei campi di concentramento, quando torturavano qualcuno? Chiamavano l’orchestrina. Non per coprire le urla: per abbassare l’energia. Se tu tieni la gente a livello “Good” per 10-15 anni, dopo puoi fargli quello che vuoi, perché sono tutti diventati deboli. Gli dai esperienze “Bad”? Non puoi fargli pagare le tasse al 73%, come adesso. In Francia non puoi, ti spaccano tutto. Il francese, dicono, è un italiano arrabbiato. Si permette esperienze “Bad”, non per niente ha fatto la rivoluzione – l’italiano no. Ma “Bad” non vuole dire cattivo, brutto. Vuol dire: difficile.Una cosa che colpisce, nel pubblico italiano, è che – a tutti i livelli – salta fuori qualcuno che dice: questo libro è difficile, cioè è “Bad”, ha un coefficiente di avversità alto. Dice: preferisco il libro “Good”. Ma non è vero che lo preferisce, è che non ce la fa più, non ci arriva più. A forza di esperienze “Good”, è cambiato in Italia il livello di attenzione, nell’arco di una sola generazione. Provate a guardare, su YouTube, un qualsiasi Carosello degli anni Sessanta. Dura tre minuti, erano 15 minuti in tutto e c’erano 5 Caroselli. Non riesci a seguirlo: non ce la fai, ti distrai. “La stella di Negroni vuol dire qualità”. Lo vedevano tutti, anche i bambini. Dopo, cos’è successo? “Good”, “Good”, “Good”, e l’energia cala. Ti do un libro “Bad”? Non ce la faccio più, non reggo. Devi fare un libro “Good”, perché la gente non ce la fa più. Ecco il prodotto del pensiero “Good”. Autostima, uguale: pensiero “Good”, applicato al singolo individuo. Se uno si autostima, cosa vuoi che desideri? Se per di più pensa positivo è già a posto, no? Ci mancherebbe che uno che si autostima avesse un’esperienza “Bad” come un desiderio.Il desiderio è un’esperienza “Bad”, perché vuol dire che tu dichiari che nella tua vita, alla tua età, ti manca ancora quella roba lì. E’ “Bad”, perché ammetti che ti manca. Ti spiace, riconosci questa mancanza. Gli altri ce l’hanno, quella cosa, e tu no. Ma, se hai dentro questa esperienza “Bad”, hai un desiderio: e allora la tua vita comincia a salire. Se invece sei abituato al “Good”, ti fermi. Pensi: non mi serve niente, ho già tutto. Naturalmente, uno che pensa positivo e ha un sacco di autostima, a un certo punto vede che qualcun altro esprime desideri. Allora ci prova anche lui, per evitare di avere un’esperienza “Bad”. Ma sono desideri finti, non sono cose davvero desiderate: sono cose copiate, e se non si realizzano non gliene frega niente. Ricordate Gesù? Due tizi salirono al tempio a pregare. Uno era un fariseo, e diceva quella bella preghiera farisaica che era tutta pensiero positivo: ti ringrazio, mio Signore, d’avermi fatto nascere ebreo, ricco e maschio. Si complimentava con Dio, per averlo creato bene. Invece l’altro era un pubblicano, cioè un mafioso, un delinquente, che diceva: che merda, mi sa che quando vengo qui a Te dà fastidio, Ti volti dall’altra parte, che brutta roba che sono… Chi dei due sarà piaciuto di più a Dio? Esatto: meglio l’esperienza “Bad” dell’esperienza “Good”.Autostima e pensiero positivo sono utilissimi nelle negoziazioni. C’è un aspirante suicida, in bilico sul cornicione al ventesimo piano, a un passo dal trovare il tremendo coraggio di lanciarsi nel vuoto? Cosa usa, nei suoi confronti, il negoziatore della polizia? Pensiero positivo e autostima. Un così bel ragazzo, perché vuoi buttarti giù? Non vedi che belle prospettive hai davanti? Via via che il negoziatore parla, gli fa calare l’energia. Alla fine, l’aspirante suicida ha talmente paura, che rientra. Gli cala l’energia, non ha più il coraggio di uccidersi. Se sei un suicida, ovviamente, pensiero positivo e autostima sono utilissimi – ma se non sei un suicida, no. Vuol dire che hai paura. Di cosa? Di quello che succede se cominci a desiderare – cioè a uscire dal “sidera”, dalle tue “stelle” prestabilite. Vengono fuori delle parti di te che sono spiazzanti, impreviste. Perché, se mollo il guinzaglio, salta fuori l’altro problema grosso, che è la paura. Non c’è praticamente mai, nella nostra vita, ma è il più grosso dei problemi che abbiamo. Se fai un testacoda, in macchina, ti ricordi che in quel preciso momento eri calmissimo; la paura è sopraggiunta dopo, quando eri già al sicuro. Ma quella non è paura, è paura derivata: paura di aver paura.La paura della paura ti tranquilizza: tu non ci sali, sul trampolino da dieci metri. Però vedi gli altri, in piscina, che invece ci salgono. E pensi: quasi quasi ci salgo anch’io. E senti che la tua “paura della paura” diventa un po’ agitata. E allora ricorri a un’altra cosa ancora: la paura della paura della paura. E’ il fatto che, in piscina, non ti volti mai verso il trampolino da dieci metri. E così finisci per non andarci neppure più, in piscina. Perché hai paura della paura di aver paura. E questo è il sentimento più diffuso, nel mondo occidentale. Uno molto coraggioso ha paura: arriva in certi stati in cui ha paura. Non che sia questa gran cosa, la paura: è energia frenata. Il topolino che spia il tuo frigorifero, quando scappa o lotta, non ha paura. E’ astuto e ride, o ringhia, o piange – però non ha paura. La paura è quando tu non puoi fare delle cose che sai fare: quella è paura, energia frenata. Produce una serie di ormoni, che girano nel cervello limbico: una serie di reazioni fisiche sono innescate da ormoni precisi, che scattano quando sei impedito nel fare qualcosa. Per cui una persona coraggiosa, che prova la paura, la prova per pochissimi istanti – se è libera. La prova giusto il tempo di accorgersi della sua energia frenata: allora la mette in moto e, da quel momento, non ha più paura. Poi gli resta la memoria di quella paura che ha avuto, che gli produce la paura della paura.Se fai un testacoda, hai una scarica di adrenalina forte che per un po, rimane in circolo. Ti spingerebbe, dopo un quarto d’ora, a fare un’altra cavolata. Non puoi farla, allora freni l’energia e viene fuori la paura, quando ormai sei al sicuro. Proprio per la paura di aver paura, quanti trampolini non vedi, durante il giorno? Quanta parte della tua vita non frequenti più, per paura della paura? Tanta. Naturalmente, “consideri”. Poi vedi che tutti gli altri fanno uguale, e allora dici: sono normale, va bene così. E no, che non va bene: perché poi ti accorgi che il desiderio non ce l’hai più. E formuli quel pensiero tremendo: se vengo via, non vado più a lavorare. Nelle lingue dell’Europa nord-occidentale, ma anche in latino e in greco, sono due le parole che indicano “lavoro”: in inglese sono “work” e “job”. In italiano ce n’è una sola, dal latino “labor”, che vuol dire: lavoro degli schiavi. In inglese, se dici “I work” non è “I have a job”. “Job” è sgobbare, suona anche uguale. “Work” è: fare delle opere, che ti piacciono. Le volte che trovo un bambino incustodito, gli dico: mi raccomando, tu non lavorare mai. E questo lo capisce al volo.Secondo la Bibbia, il lavoro è la piaga principale dell’umanità. La parola che indica “lavoro”, nella Bibbia, è la stessa che indica “schiavitù”, tale quale all’italiano “labor”, lavoro di schiavo, e al francese “travail”, nonché allo spagnolo “trabajo”. Il travaglio era uno strumento di tortura medievale, una gabbia fatta di travi. C’è gente che vive di “travaglio”, e poi dice: “Io, nel mio tempo libero”, e non si accorge mai di cosa sta dicendo. Nel tuo tempo libero fai le scemate e guardi Facebook? Ma tu sei pazzo. Tempo libero? E il resto del tempo cos’è? Tempo lavorativo. Il tempo dello schiavo, del travagliante. Ecco, se si comincia a mettere in discussione questo, si sa da dove di parte ma non dove si arriva. E’ lo stesso principio dell’Esodo: molliamo l’Egitto per andare dove? Si va verso di te, naturalmente. Però quel “tu” verso cui vai dà una bella preoccupazione – e poi vaglielo a spiegare, a casa, quando comincia ad andarvi stretto un po’ tutto, dal guardaroba al colore delle pareti, fino al coniuge…(Igor Sibaldi, estratto da YouTube della conferenza di presentazione del libro “Il mondo dei desideri”, sottotitolo “101 progetti di libertà”, edito da Tlön nel 2016).La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.
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Michele Proclamato: i segni del Dio che ci parla, da sempre
Ogni volta che posso, ricordo con piacere a chi mi avvicina che “Il Genio Sonico” è un libro, tra quelli che ho scritto, molto particolare: vale la pena di essere letto, poiché dimostra, anche attraverso immagini chiare e ben precise, come e quanto uno dei maestri ufficiali della scienza e della tecnica utilizzasse in tutte le sue opere il sapere dell’Ottava. Ho provato sulla mia pelle come, in Italia, determinati personaggi siano stati cooptati dall’ufficialità, tanto da non permettere nessun altro tipo di interpretazione al vero senso della loro stupefacente e immensa opera creativa. A meno che l’input conoscitivo, spesso molto sbiadito e discutibile, ma sorretto da una campagna pubblicitaria ineccepibile per mezzi e bibliografia, non arrivi dall’estero. Io ho dimostrato che, per creare, Leonardo da Vinci usava il sapere senza tempo, posto per ultimo all’interno dei Cerchi nel Grano, ma magistralmente utilizzato, a determinati livelli, da tutte le civiltà del passato, fino ad arrivare, grazie a personalità uniche, a tutto il Rinascimento. Eppure, nessuna associazione che si professa dedita alla diffusione della sua opera ha avuto il coraggio di invitarmi, quantomeno a un contraddittorio, auspicato e auspicabile ai fini della comprensione.Altra cosa è parlare del mio libro “Quando le stelle fanno l’amore”, dove occuparsi di uno scienziato capace di trasformare in equazioni insuperabili i suggerimenti onirici di una dea indiana è stato, come dire, veramente interessante e coinvolgente. Ma soprattutto, l’essermi occupato di processi cognitivi non formali e di “intuizione”, mi ha fornito lo spunto per poter affrontare con grandissimo interesse la mia nuova fatica dedicata a Giordano Bruno, forse il più grande rappresentante del “mio” sapere. Sostanzialmente, attraverso l’Ottava, posso occuparmi di quasi tutto, con la coscienza di chi sa che sulla Terra di segreti non ce ne sono molti: anzi, probabilmente solo uno, che volendo si potrebbe riassumere con soli due numeri: 5 e 8. Cosa mi ha spinto ad affrontare in un certo modo questi argomenti anche spirituali? Forse la voglia di possedere una verità che potesse soddisfarmi, che potesse dare alla mia vita un senso migliore, più nobile, capace di rendere ogni mia giornata degna di essere vissuta, al di fuori da una realtà oggi per me completamente indegna. Ma probabilmente non direi esattamente il vero, se non ammettessi che, nel momento in cui osservai per la prima volta il Rosone di Collemaggio, “qualcuno” con un’arma insuperabile, non mi avesse aiutato a scegliere la mia nuova vita.Sapete, una volta anche in Occidente si credeva agli dèi, alla loro presenza e al loro operato, e fra questi uno era particolarmente indicato per creare nuove strade, attraverso l’amore. Ebbene, Cupido con me si è comportato, come sempre, in modo piuttosto dispettoso: prima mi ha fatto innamorare di una meravigliosa frequenza in pietra, posta sulla facciata di una basilica unica. Poi ho capito che quell’amore era diretto a Dio. E così oggi so che l’Ottava non è altro che la codifica di una creazione divina, dove non c’è posto per le civiltà incapaci di creare senza distruggere. La codifica del Rosone di Collemaggio e del suo Labirinto, il sapere dell’Ottava, Celestino V, Giordano Bruno. E ancora: Pitagora, i cinque intervalli di quinta, la lista dei Re sumerica, i numeri di Fibonacci e lo zodiaco di Dendera. Qual è il filo conduttore che lega questi grandi pensatori ed opere che si distanziano tra di loro di millenni? Tutti questi popoli e grandi pensatori sapevano che il suono, il numero, la geometria, il tempo, la luce, il movimento, il colore e il calore, ma soprattutto la forma, sono tutte espressioni del pensiero divino. Tutti sapevano che la realtà è “puro pensiero divino vivente”, cimaticamente concepito in modo geometrico, ma spiralicamente in grado di diventare realtà.L’Ottava è questo: è la codifica della “mente di Dio”, una mente dotata di enorme immaginazione e intuito, temperata da un ordine. E’ puro Dna codificato e donato a noi, in tempi imprecisati e imprecisabili, utile a creare qualsiasi cosa, a tutti i livelli dello sviluppo umano. E’ chiaramente qualcosa che va oltre le possibilità umane. Quale potrebbe essere il collegamento tra la Basilica di Collemaggio, Celestino V e i Templari in un quadro gnostico? Vi dico solo questo: a Collemaggio c’è un labirinto fatto dalle tre Ottave; intorno ad esse sono disposti 6 Graal, e per Graal ne intendo davvero l’immagine più classica. Secondo voi, Celestino V, che volle e costruì la basilica dove sarebbe diventato Papa, avrebbe disposto per caso, intorno a tre 8, un simbolo del sapere assoluto come il Graal? E, visti i suoi contatti con i Templari, questi ultimi, data la loro storia, potevano non sapere che l’uomo da sempre dispone di una “scienza” in grado di creare civiltà? Tutti, a certi livelli, sapevano. Hanno sempre saputo e hanno bramato il “segreto dell’Ottava”: ovunque, in tutto il mondo. Le piramidi egizie sono state fatte da una civiltà che nulla ha a che fare con le nostre, anche se millenarie. Una civiltà in grado di utilizzare la scienza platonica, di cui sono una delle più lampanti dimostrazioni.Cosa penso del prossimo futuro? L’uomo, in qualsiasi momento, può e potrà cambiare il suo destino, poiché i modi con cui l’universo dialoga con lui sono molti, diretti e indiretti. Dialoga in modo diretto, quando suoi figli “altri”, qui da sempre, tanto si danno da fare per proteggere il pianeta, anche attraverso “cerotti” di migliaia di metri quadri, volgarmente chiamati Cerchi nel Grano: veri e propri talismani, in grado di curare un essere umiliato e ferito come il nostro pianeta e di risvegliare migliaia di persone al sapere degli dèi. In modo indiretto dialoga quando, psichicamente, interviene su di noi, per esempio attraverso un semplice sogno fatto da una sintesi numerica ben precisa, come può essere questa: 8 – 12 – 24 – 36 – 48 – 72, eccetera, in grado di mettere in moto l’anima di tutti, verso un Dio e delle civiltà che per noi trepidano, operano e si disperano da millenni. Il problema, oggi, non è posto nel numero-soglia ottenibile, bensì nel tempo che ci resta per ottenerlo.David Wilcock e Nassim Haramein sono due studiosi che sanno collaborare, utilizzando ogni strada utile per ottenere il sapere con magnifici risultati conoscitivi. Ma, come al solito, noi in Italia esprimiamo singolarmente delle capacità di apprendimento non formale a volte superiori alle loro. Il tutto, però, viene vanificato dalla lingua e dal nostro assurdo provincialismo autodistruttivo. L’Italia è una terra unica, speciale: lo è sempre stata, a tutti i livelli. E se le prossime generazioni riusciranno a “cambiare canale”, forse potremo ancora esprimere personalità speciali e invidiate da tutto il mondo, come un tempo. Era dell’Acquario, inversione dei poli magnetici, precessione degli equinozi, profezie Hopi, calendario Maya… L’uomo sta già cambiando, e queste date e ricorrenze precessionali, che ciclicamente si ripresentano, non solo altro che trampolini disponibili all’uso di chi vuole un livello di autocoscienza superiore, sostenuto dai meccanismi stessi di rinnovamento universale. Ma le cose non succedono per tutti a allo stesso modo, alcuni uomini saranno sempre più consci della loro appartenenza, divina e non. Il nostro Dna è preparato a questo e altro: siamo stati creati per appartenere a questo cosmo e ai suoi compleanni solari, tutto qui. Altre interpretazioni, spesso ingiustamente catastrofiche, servono solo a “vendere”.Ho scritto “La storia millenaria dei cerchi nel grano”, attraverso il quale faccio passare il messaggio della loro presenza da sempre. Qual è la loro origine e perchè da sempre la vita degli esseri umani è accompagnata da questi fenomeni? Capiamoci. Il “sapere” dei cerchi è sempre stato sulla Terra. Si è espresso in migliaia di modi, creando civiltà, cultura, tecnologia, arte e spiritualità. La sua origine è quanto di più enigmatico e lontano si possa concepire, a meno che non si eccepisca una costante presenza “altra”, di una o più civiltà, in grado di domare il tempo, codificare Dio, superare con successo la dicotomia scienza–spiritualità e…viaggiare. La pseudoscienza cimatica? L’ho definita così, perché ufficialmente la cimatica non è diventata una scienza. Vero è che può darci un’idea di come un essere androgino possa geometricamente prepararsi a diventare tutto, attraverso 8 frequenze temporali ben precise. Il pianeta Nibiru? Posso solo dire che riuscii a codificare il Rosone di Collemaggio attraverso il Piatto del Pinches, un reperto di cui Sitchin parlava con dovizia di particolari, proprio nell’ambito della tecnologia mesopotamica, secondo lui di chiara provenienza Anunnaki.Molti pensatori, come Edgar Cayce e Gustavo Rol, anche definiti chiaroveggenti, hanno da sempre sostenuto che il pianeta Terra ha una sua memoria, una vibrazione energetica fatta di ricordi ove tutto è registrato. In questa memoria, definita Akascica, si sostiene sia possibile leggere tutto ciò che è avvenuto dal momento della creazione. Giordano Bruno definiva i pianeti e le stelle “animali”, poiché dotati di anima. Quindi, esseri dotati di un’anima e di un livello di autocoscienza simile a quello di un pianeta, hanno tutti i numeri per avere anche una memoria trasmissibile a degli esseri come noi che, chiaramente, si dimostrano inferiori al loro stato animico. L’Akasha può esistere: è trasmissibile a livello planetario e universale. Viviamo in modo frattale in un immenso essere vivente – capace esprimersi, come noi, attraverso tutta una serie di capacità mentali. Ci si può aiutare a vivere diversamente, frequentando luoghi preposti da secoli alla crescita dell‘animo. Oggi ci siamo dimenticati di come il simbolo, il numero, l’immaginazione, l’intuito, possano diventare un modo per rapportarsi con luoghi in grado di parlare “la lingua di Dio”. Vogliamo vivere diversamente? Io conosco solo un modo. Ho amato e riamato una basilica nella quale la geometria ancora integra di un pavimento sussurrò al mio intuito come tutto, intorno a noi, è vivo e parlante. E come nulla, davvero nulla, sia stato fatto per caso, nel creato. Quel sussurro silente, per alcuni attimi, mi ha permesso di “smettere di pensare”. E finalmente mi ha dato il modo di “essere” – ora, adesso – seguendo una cosa sola: “La luce, che tutte le conosceneze contiene”.(Michele Proclamato, dichiarazioni rilasciate alla redazione di “Altrogiornale” in un post ripreso da “La Crepa nel Muro” il 12 dicembre 2017).Ogni volta che posso, ricordo con piacere a chi mi avvicina che “Il Genio Sonico” è un libro, tra quelli che ho scritto, molto particolare: vale la pena di essere letto, poiché dimostra, anche attraverso immagini chiare e ben precise, come e quanto uno dei maestri ufficiali della scienza e della tecnica utilizzasse in tutte le sue opere il sapere dell’Ottava. Ho provato sulla mia pelle come, in Italia, determinati personaggi siano stati cooptati dall’ufficialità, tanto da non permettere nessun altro tipo di interpretazione al vero senso della loro stupefacente e immensa opera creativa. A meno che l’input conoscitivo, spesso molto sbiadito e discutibile, ma sorretto da una campagna pubblicitaria ineccepibile per mezzi e bibliografia, non arrivi dall’estero. Io ho dimostrato che, per creare, Leonardo da Vinci usava il sapere senza tempo, posto per ultimo all’interno dei Cerchi nel Grano, ma magistralmente utilizzato, a determinati livelli, da tutte le civiltà del passato, fino ad arrivare, grazie a personalità uniche, a tutto il Rinascimento. Eppure, nessuna associazione che si professa dedita alla diffusione della sua opera ha avuto il coraggio di invitarmi, quantomeno a un contraddittorio, auspicato e auspicabile ai fini della comprensione.