Archivio del Tag ‘mercato unico’
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Patuelli: Draghi farà la storia, epocale taglio delle tasse
Se un uomo attento e prudente come Antonio Patuelli, imprenditore e banchiere ravennate con master in usi, costumi e virtù della società e dell’economia nostrana alza il telefono per soffiare sulle vele dell’ottimismo, significa che la nave Italia sta tappando le sue falle. Lo scrive Pietro Senaldi su “Libero”, intervistando il presidente dell’Abi. Segnali di ripresa, dopo la rivoluzione copernicana che il Covid ha imposto all’Europa? «La situazione è a un bivio, siamo molto scottati dall’esperienza dell’autunno scorso, quindi prudenti. Le prossime settimane saranno decisive sotto il profilo economico e sotto quello sanitario», annuncia Patuelli, secondo cui «Draghi farà molto, in questi mesi». Insiste: «Stiamo vivendo un momento simile a un immediato dopoguerra; forse per questo sono tornati di moda i valori del grande economista Federico Caffè, maestro di Draghi, e di Luigi Einaudi. Siamo alla vigilia di una fase decisiva», che per Patuelli (lo si indovina tra le righe) si avvarrà della grande competenza dell’ex capo della Bce.
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Moiso: l’illusione del sovranismo, funzionale al neoliberismo
E’ grazie agli amici sovranisti che, oggi, si sente parlare di neoliberismo: dalle parti della sedicente sinistra non si sono proprio accorti di cosa sta succedendo nel mondo. Soprattutto non hanno visto la relazione che c’è tra democrazia ed economia, e come certi modelli economici possano ostacolare i processi democratici. Ma è interessante anche vedere l’analisi che gli amici sovranisti fanno del neoliberismo. Cos’è il neoliberismo? E’ una dottrina economica che poi diventa ideologia, con dogmi quasi religiosi, e – a cascata – una serie di conseguenze a livello valoriale e sociale. E’ una teoria che nasce dall’austriaco Friedrich von Hayek nel dopoguerra. Von Hayek ha un interesse nobile: non ritiene che la politica e gli Stati possano evitare le guerre. Cerca di dare questa responsabilità a dei processi economici: vuole una teoria economica che si sostituisca ai governi nel garantire la pace tra gli Stati. Ma non fa i conti con quello che questo comporta a livello di democrazia, di sovranità popolare sostanziale. Il suo erede sarà Milton Friedman, dell’università di Chicago. Al neoliberismo di von Hayek si oppone un altro pensiero economico: quello liberale tradizionale, dell’inglese John Maynard Keynes (uno dei suoi maggiori allievi è stato John Kenneth Galbraith).E il pensiero keynesiano, di fatto, è quello su cui è stato fondato il benessere della società occidentale. Dal dopoguerra agli anni ‘70, la società occidentale si è sviluppata grazie al pensiero di Keynes e di persone come William Beveridge, che hanno organizzato in Inghilterra il Welfare State poi replicato in tutto il mondo. Quel pensiero rovesciò l’analisi dei fattori che contribuiscono a un’economia florida. Fino a quel momento si pensava che la cosa più importante fossero i mezzi di produzione. Da Keynes in poi il ragionamento si inverte: il grande economista britannico è il primo a mettere l’accento sull’importanza che ha il potere d’acquisto, il consumo, nel determinare il benessere di un’economia. Queste teorie sono quelle su cui si è basato il mondo occidentale fino agli anni Settanta. Poi dai Settanta succede qualcos’altro: partendo dall’Africa, come spiega molto bene Ilaria Bifarini, si cominciano a testare le teorie economiche neoliberiste, che poi sono arrivate in Europa negli anni ‘90. E sono teorie che vedono un ruolo sovraordinato dei mercati rispetto alla politica. Von Hayek dice: le ideologie servono a far capire alle persone che è nel loro interesse utilizzare lo Stato per mantenere il controllo per esempio sui beni pubblici e sull’industria, sulla siderurgia (pensiamo all’Ilva), sull’agricoltura. E dice: questa cosa va eliminata, i mercati devono essere liberi. E lo Stato non si deve più intromettere nell’economia.Oggi sentiamo spesso ripetere che le ideologie sono morte. Guardate che la definizione di ideologia nel dizionario Treccani è interessante: un’ideologia non è altro che un sistema di valori che serve a ordinare il pensiero. Senza un’ideologia, come si fa a valutare se le idee politiche sono buone o no? Se non c’è uno schema di riferimento, non abbiamo nulla da utilizzare per valutare la bontà delle nostre idee. Ovvio: solo chi pensa che la politica non debba svolgere un ruolo all’interno della società può dire che le ideologie non servono, perché dev’essere il mercato a dettare l’intero funzionamento della società. Dico questo pensando agli amici sovranisti, per parlare di Europa: è von Hayek che teorizza un’Europa esattamente come quella che esiste oggi. Lui dice: bisogna creare un mercato unico, in modo che la politica degli Stati nazionali venga depotenziata. In sostanza: creato il mercato unico, entrano in competizione le forze produttive e il mercato del lavoro di diverse nazioni; gli Stati non possono più agire sulla società, e così creiamo le condizioni migliori per liberare il mercato.L’argomento di Hayek, poi ripreso dalla Thatcher, è questo: non bisogna sostituire gli Stati nazionali con un sovra-Stato, cioè un nuovo contenitore politico. Bisogna lasciare che i popoli vengano amministrati a livello territoriale dai governi locali, mentre l’economia deve viaggiare a livello comunitario. In alternativa, aggiunge Hayek, in caso di problemi sociali bisogna tornare al ruolo degli Stati sovrani: perché ormai l’economia si è globalizzata, e uno Stato sovrano non avrebbe comunque più i sistemi e le leve per combattere le dinamiche dei mercati globali. Addirittura la Thatcher, nel suo libro “Statecraft” del 2002, usa molto bene gli argomenti classici che oggi sentiamo utilizzare dai sovranisti. Dice: in Europa parliamo lingue diverse, abbiamo culture diverse, abbiamo economie diverse, e quindi non dobbiamo creare gli Stati Uniti d’Europa. Questo risponde sempre alla visione neoliberista, che non vuole uno Stato che si intrometta nell’economia per tutelare gli interessi dei popoli. Questa è esattamente la visione neoliberista.Tutto il pensiero sovranista, quindi, è strumentale al pensiero neoliberista – al punto che è stato proprio teorizzato da loro, da von Hayek, dalla Thatcher, da Friedman. Se ne parla in tutti gli scritti di filosofia economica degli autori neoliberisti: o l’Europa diventa un mercato unico, con gli Stati nazionali al di sotto di esso, incapaci di tutelare gli interessi del popolo, o in alternativa si deve ritornare agli Stati nazionali, a quel punto costretti a competere con dinamiche sovranazionali, verso le quali non possono fare nulla. Lo si capisce perfettamente leggendo l’economista belga Philippe Van Parijs, che ha avuto una fitta corrispondenza con John Rawls. Discutevano di questo: come combattere il neoliberismo su scala globale. E Parijs parla proprio di un’Europa federale, che deve servire a dimostrare la validità di un diverso modello economico. Dice Van Parijs: se oggi vogliamo creare una società prospera, in Europa, dobbiamo tornare a politiche keynesiane (post-keynesiane), e soprattutto rivendicare la sovranità dei popoli, e la sovranità del popolo all’interno delle istituzioni europee. E in questo modo potremo anche dimostrare che altre teorie economiche sono credibili e realizzabili su scala globale.Agli amici sovranisti vorrei solo dire che, nonostante siano gli unici ad aver analizzato negli ultimi tempi il pensiero neoliberista, in realtà continuano a proporre soluzioni che sono proprio strumentali all’affermazione dei valori e del modello neoliberista. Forse bisogna rivalutare il tema della differenza di lingua e di cultura. Chiunque abbia viaggiato sa bene che i popoli europei sono molto simili, perché hanno una cultura profondamente umanistica. Al centro delle nostre priorità noi mettiamo ancora l’uomo: non l’economia, non il profitto, non la collettività in senso aleatorio. E questo è il cardine che deve guidare il cambiamento: l’idea di uno Stato sociale e della rappresentatività della volontà popolare, che sono peculiarità dell’eredità dei popoli europei. E questo è un collante fortissimo, che va usato per lanciare un progetto alternativo per il futuro.(Marco Moiso, “Il sovranismo nazionalista è strumentale al neoliberismo”, video-intervento pubblicato sul canale YouTube del Movimento Roosevelt il 18 novembre 2019).E’ grazie agli amici sovranisti che, oggi, si sente parlare di neoliberismo: dalle parti della sedicente sinistra non si sono proprio accorti di cosa sta succedendo nel mondo. Soprattutto non hanno visto la relazione che c’è tra democrazia ed economia, e come certi modelli economici possano ostacolare i processi democratici. Ma è interessante anche vedere l’analisi che gli amici sovranisti fanno del neoliberismo. Cos’è il neoliberismo? E’ una dottrina economica che poi diventa ideologia, con dogmi quasi religiosi, e – a cascata – una serie di conseguenze a livello valoriale e sociale. E’ una teoria che nasce dall’austriaco Friedrich von Hayek nel dopoguerra. Von Hayek ha un interesse nobile: non ritiene che la politica e gli Stati possano evitare le guerre. Cerca di dare questa responsabilità a dei processi economici: vuole una teoria economica che si sostituisca ai governi nel garantire la pace tra gli Stati. Ma non fa i conti con quello che questo comporta a livello di democrazia, di sovranità popolare sostanziale. Il suo erede sarà Milton Friedman, dell’università di Chicago. Al neoliberismo di von Hayek si oppone un altro pensiero economico: quello liberale tradizionale, dell’inglese John Maynard Keynes (uno dei suoi maggiori allievi è stato John Kenneth Galbraith).
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Rinaldi fuori onda: cialtroni, hanno impiccato l’Italia all’euro
Questi ci hanno veramente incastrato di brutto. Ormai siamo in una situazione tale per cui o si esce… ma non è più possibile recuperare nulla. Si poteva recuperare forse 10, 15 anni anni fa. Ormai, mi dispiace, i tedeschi hanno di fatto vinto la Terza Guerra Mondiale senza neanche sparare un colpo di cerbottana. Parliamoci chiaro: questo è quello che è avvenuto – e soprattutto, con la stupidità dei personaggi che ci hanno guidato: non hanno fatto gli interessi del paese, erano ubriacati di questo europeismo. Anch’io sono un europeista, però attenzione: un conto è l’Europa, e un conto è l’unione monetaria. Sono due concetti molto diversi. Nell’Unione Europea coesistono nazioni con l’euro e nazioni senza euro. Lo prevedono gli articoli 139 e 140 del Trattato di Lisbona (paesi con deroga e paesi senza deroga). Guardiamo la Polonia: parliamoci chiaro, sta prendendo il posto industriale dell’Italia. E continua ad avere il suo zloty, che ha svalutato ripetutamente. Quando l’Electrolux ha detto “signori, se non svalutare i salari me ne vado in Polonia”, l’ha fatto perché la Polonia fa parte dell’Unione Europea, quindi ha tutti i vantaggi del mercato unico, però ha mantenuto la propria moneta, che le consente di avere quel margine di manovra per poter essere competitiva (cosa che a noi è preclusa completamente).Soprattutto, i polacchi possono portare avanti delle iniziative di politica economica tarate perfettamente per la loro economia. Noi no: a noi c’hanno veramente incastrato. Noi abbiamo il cappio al collo, non possiamo più far nulla. In Italia ci siano i famosi europeisti, che poi alla fine sono i veri antieuropeisti, perché sono quelli che alla fine condanneranno l’Europa, per questa cecità. Sono quelli che dicono: ah, ma il modello da seguire è quello tedesco. Ed è lì che sbagliano. Il modello tedesco va bene per i tedeschi, non per noi. Non tutti nascono alti, biondi e con gli occhi azzurri. Se va bene per loro, non va bene per noi. E questi non l’hanno capito, erano ubriacati. Ciampi diceva: entriamo in Europa a tutti i costi. E non ha capito che ci saremmo fregati con le nostre mani. Lo stesso Prodi, e lo stesso Amato. Diciamocela, la verità: questi non avevano capito niente – o se avevano capito sono ancora più colpevoli, per quello che hanno fatto. I casi sono due. Questo non significa condannare per sempre il popolo italiano, con la sua cultura e la sua storia. Io mi rifiuto, veramente, di essere annientato. Ma lo faccio per rispetto dei miei padri e per rispetto dei miei figli.Tsipras in Grecia è stato ricattato? Sicuramente, dietro ci sono delle cose che non sappiamo e forse sapremo chissà quando. E’ quantomai strano il fatto che tutta la sua campagna elettorale sia stata orientata sul no all’austerity, e poi invece è andato a firmare un accordo che è praticamente il distillato dell’austerity. Pure Varoufakis se n’è andato: evidentemente lì c’è stato qualche grossissimo contrasto interno. La situazione in Grecia è veramente drammatica, nel vero senso della parola. La Grecia è stata un po’ un esperimento. Prima hanno fatto l’esperimentino a Cipro, poi l’esperimento in Grecia, e poi? Diciamocela tutta: ma se questi cialtroni dell’Unione Europea non sono riusciti a gestire la situazione di un paese che esprime il 2% del Pil dell’Europa, che cosa riusciranno a non-fare quando ci saranno problemi (che ci saranno) in paesi come l’Italia, la Francia, la Spagna? Viene già tutto. Questa gente è veramente uno zero. O c’è dietro quello della Spectre, che decide…Questi sono dei pupazzi: l’attuale presidente della Commissione Europea, l’ex primo ministro lussemburgese Juncker, non mi sembra un’aquila. Pure lui è un pupazzo? Molto probabilmente lo è: questi mettono, a ricoprire dei ruoli, delle persone assolutamente non in grado di poter gestire. Li mettono proprio per questo? Difatti Varoufakis, un negoziatore vero, in Grecia ha gettato la spugna. E non scordiamoci che dietro a Varoufakis c’era Galbraith, non l’ultimo arrivato. C’era il famoso Piano-B, che poi è uscito. Chissà cos’è successo dopo, che ricatti. Non lo sappiamo, ma prima o poi uscirà fuori tutto. Una cosa è certa: attualmente, la conduzione dell’Unione Europea è insostenibile. L’euro è insostenibile. Arriverà il momento del redde rationem. Siamo preparati? Ce l’abbiamo, un Piano-B per un’uscita ordinata e concordata? Perché altrimenti è una carneficina, un bagno di sangue. Questo è il vero problema: la nostra classe politica è in grado di capirlo? La Banca d’Italia ha predisposto un Piano-B?Guardate che quando ci fu la rottura dell’accordo di Bretton Wood del 15 agosto 1971 (la non convertibilità del dollaro, lo sganciamento della moneta Usa) c’era, un Piano-B: l’avevano predisposto, e il passaggio è stato abbastanza morbido. Senza, sarebbe stato peggio. Per l’esperimento dell’euro, la Banca d’Italia e le istituzioni hanno un Piano-B? Me lo auguro. Perché, se non ce l’hanno, sono veramente irresponsabili. Ai politici dico: ci state pensando? Lo volete rimettere al centro dell’interesse, questo benedetto cittadino? Perché l’Europa sta facendo di tutto, tranne questo. Vediamo che succesde. Sennò, l’ultima speranza si chiama Francia: andranno in piazza, non guarderanno il colore della maglietta (come hanno sempre fatto), e dopo qualche giorno, se non interrompono Internet, in piazza andremo anche noi – e ci scorderemo di essere di destra o di sinistra, ma saremo solo cittadini a cui è stato scippato il proprio diritto al voto e la propria democrazia, è stato scippato tutto.(Antonio Maria Rinaldi, “fuori onda” con Claudio Messora risalente al 30 settembre 2015, quando Rinaldi, economista post-keynesiano, non era ancora stato eletto al Parlamento Europeo, come candidato indipendente nelle liste della Lega. Il video è rilanciato su “ByoBlu” e su YouTube).Questi ci hanno veramente incastrato di brutto. Ormai siamo in una situazione tale per cui o si esce… ma non è più possibile recuperare nulla. Si poteva recuperare forse 10, 15 anni anni fa. Ormai, mi dispiace, i tedeschi hanno di fatto vinto la Terza Guerra Mondiale senza neanche sparare un colpo di cerbottana. Parliamoci chiaro: questo è quello che è avvenuto – e soprattutto, con la stupidità dei personaggi che ci hanno guidato: non hanno fatto gli interessi del paese, erano ubriacati di questo europeismo. Anch’io sono un europeista, però attenzione: un conto è l’Europa, e un conto è l’unione monetaria. Sono due concetti molto diversi. Nell’Unione Europea coesistono nazioni con l’euro e nazioni senza euro. Lo prevedono gli articoli 139 e 140 del Trattato di Lisbona (paesi con deroga e paesi senza deroga). Guardiamo la Polonia: parliamoci chiaro, sta prendendo il posto industriale dell’Italia. E continua ad avere il suo zloty, che ha svalutato ripetutamente. Quando l’Electrolux ha detto “signori, se non svalutare i salari me ne vado in Polonia”, l’ha fatto perché la Polonia fa parte dell’Unione Europea, quindi ha tutti i vantaggi del mercato unico, però ha mantenuto la propria moneta, che le consente di avere quel margine di manovra per poter essere competitiva (cosa che a noi è preclusa completamente).
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Fassina: solo la destra sa che la politica deve proteggerci
Penso che il Ddl firmato da 5 Stelle e Lega sulla Banca d’Italia sia parte della ricostruzione del primato della politica sull’economia. La politica monetaria è uno degli strumenti politici più importanti. E ritenere che la politica debba rimanere fuori dalla politica monetaria è stato un errore, frutto di un pensiero unico che si è affermato in modo assolutamente trasversale. Il disegno di legge che hanno presentato i capigruppo di Lega e 5 Stelle al Senato è sostanzialmente un passo avanti; non è che finisca l’indipendenza di Bankitalia, c’è un richiamo esplicito ai trattati europei. Si introduce il meccanismo previsto per la Bundesbank, quindi non una misura nord-coreana. E cioè: il governo nomina presidente e direttore generale, un membro del direttorio (vicepresidente), e altri due membri del direttorio (anch’essi vicepresidenti) vengono nominati uno dalla Camera e l’altro dal Senato. E’ esattamente il modello vigente in Germania. E solo una sinistra che ha completamente smarrito un minimo di autonomia culturale può considerare eversivo e inaccettabile questa proposizione, che a mio avviso invece fa fare un passettino avanti, alla politica, nel governo di uno strumento fondamentale come quello della politica monetaria.
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Sinistra-fantasma, non ci ha difeso da Berlino né dall’euro
Proseguendo con le politiche di austerity l’Eurozona è destinata a deflagrare. Per questo, una sinistra degna di questo nome avrebbe il dovere di ragionare anche sulle modalità di uscita dalla moneta unica, per non lasciare il campo soltanto alle destre. Nel 2011 fui invitato a Parigi dal Partito socialista europeo a presentare lo “standard retributivo”, una proposta per interrompere la gara al ribasso tra i salari dei paesi membri dell’Unione. Ma i tedeschi si opposero. Di quella, come di altre ipotesi di coordinamento europeo, anche le più blande, non se ne fece nulla. Anzi, da allora i conflitti tra paesi sono aumentati. Sotto l’influenza del governo tedesco, a Napoli il recente vertice Bce ha ribadito che i singoli Stati nazionali dovranno restare fedeli alla linea dell’austerity. Inoltre, dal vertice è emerso un altro elemento che getta nuove ombre sul futuro dell’Eurozona. Draghi ha annunciato che la Bce immetterà sul mercato nuova liquidità per un ammontare complessivo fino a 1.000 miliardi in due anni. Sembrano tanti soldi, eppure da molti è stato considerato un intervento insufficiente.Il motivo possiamo comprenderlo facendo un confronto con altre banche centrali, ad esempio la Federal Reserve. Dall’inizio della crisi, la banca centrale statunitense ha effettuato acquisti di titoli e conseguenti emissioni di moneta per un ammontare tale da quintuplicare il suo bilancio. La Bce, invece, non lo ha nemmeno raddoppiato. Questo raffronto chiarisce che dovremmo sfatare l’opinione comune secondo cui Draghi sarebbe pronto a fare “tutto ciò che è necessario” per stabilizzare l’Eurozona. In realtà, messi a confronto con quelli di altre istituzioni, i suoi interventi sono stati abbastanza modesti. Nell’Eurozona registriamo da tempo un dissidio sulle interpretazioni dei vincoli europei, che vede la Germania e i suoi satelliti da un lato e l’Italia e gli altri Stati del Sud Europa dall’altro. Adesso nel conflitto viene coinvolta apertamente anche la Francia, che per un certo periodo si era tenuta un po’ in disparte ma che adesso inizia anch’essa a patire gli effetti dell’austerity. Temo però che non esistano le condizioni politiche per convincere il governo tedesco ad accettare finalmente una svolta negli indirizzi europei.Non vedo svolte di politica economica all’orizzonte. La mia opinione è che i paesi del Sud Europa avrebbero dovuto insistere sul fatto che in gioco è il futuro non solo della moneta unica ma anche del mercato unico europeo. Solo così, forse, avremmo potuto persuadere i tedeschi. Ma una trattativa del genere non è mai nemmeno iniziata. Ora mi sembra tardi. Il problema è che, come è stato ormai evidenziato dalla più autorevole letteratura scientifica, insistere con le politiche di austerity e di precarizzazione significa accrescere i divari tra paesi forti e paesi deboli. A lungo andare, come segnala il “monito degli economisti”, la forbice risulterà insostenibile e ai decisori politici non resterà altro che una scelta tra modi alternativi di uscita dall’Eurozona, ognuno dei quali può avere effetti diversi sulle diverse classi sociali. Sarebbe ora che tale punto entrasse nell’agenda politica delle forze politiche e sociali che si considerano eredi, più o meno degne e dirette, della tradizione del movimento dei lavoratori. Le destre nazionaliste, reazionarie e al limite xenofobe, appaiono prontissime a cogliere l’occasione di una crisi dell’euro. Le sinistre europee, invece, sembrano del tutto imbambolate. Verso una débacle storica.L’ex viceministro Pd Stefano Fassina parla di “disintegrazione caotica della moneta unica” e di “insostenibilità dell’euro”? Se si volesse far sul serio, bisognerebbe ripartire dai fondamenti. Per lungo tempo a sinistra ha prevalso un’idea astratta e retorica della globalizzazione e dell’europeismo. Un’idea basata sul convincimento che l’indiscriminata apertura ai mercati globali e l’unificazione monetaria europea potessero creare le condizioni per una maggiore convergenza tra lavoratori di diversi paesi, e quindi per un nuovo internazionalismo del lavoro. Ma la realtà si è rivelata molto più complessa. Basti notare che dall’introduzione dell’euro i differenziali salariali tra i diversi paesi non sono diminuiti ma al contrario sono aumentati. Anche questo ha reso difficile l’avvio di qualsiasi forma di coordinamento europeo della contrattazione. La sinistra, se ne esiste ancora una, dovrebbe partire da una revisione critica di quell’europeismo retorico e privo di aderenza ai fatti che per tanti anni l’ha caratterizzata. L’uscita dall’euro un salto nel buio? Abbiamo mostrato, dati alla mano, che i nemici della moneta unica sottovalutano i problemi di una eventuale uscita dall’Eurozona, per esempio riguardo ai salari o alle possibili acquisizioni estere di capitali nazionali. Questi problemi evidenziano che una uscita dall’euro andrebbe accompagnata da opportune politiche di salvaguardia, in primo luogo dei lavoratori. Ma i difensori dell’euro, che agitano il pericolo del salto nel buio, sono talvolta capaci di errori analitici anche più gravi.Prendiamo ad esempio il rischio di fughe di capitali. La verità è che queste già avvengono dentro l’Eurozona. I capitali sono fuggiti dalla Grecia nel 2010, da Italia, Spagna e Irlanda nel 2011, e più di recente le fughe di capitale hanno colpito Cipro, dove per arginarle è stato persino ipotizzato un ripristino dei controlli sui movimenti di capitale. Un tipico errore in malafede degli apologeti dell’euro è quello di evocare lo spettro di quel che succederebbe fuori senza considerare che i disastri che già si stanno già verificando dentro l’Eurozona. Intanto la Troika detta le politiche di austerity che portano a maggiore flessibilità, privatizzazioni e smantellamento di quel che resta dello Stato sociale. In Italia, il governo giustifica il Jobs Act sostenendo che occorre rendere il mercato del lavoro italiano più flessibile, più equo e più simile a quello della Germania. In realtà i dati Ocse mostrano che le riforme Treu, Biagi e Fornero hanno determinato una caduta delle tutele dei lavoratori italiani che è stata addirittura tripla rispetto alla riduzione delle protezioni che nello stesso periodo si è registrata in Germania.Gli indici dell’Ocse mostrano che ormai i lavoratori a tempo indeterminato in Italia sono meno protetti che in Germania. Inoltre, quando si parla di “apartheid” del mercato del lavoro, cioè di un divario tra protetti e precari, bisognerebbe ricordare che in Germania quel divario è triplo rispetto all’Italia. Infine, bisognerebbe smetterla con questa litania secondo cui una maggiore precarizzazione del mercato del lavoro riduce la disoccupazione. Questa tesi è stata seccamente smentita da vent’anni di ricerche empiriche. Dunque il Jobs Act si fonda su tesi false e per questo andrebbe respinto al mittente. Quanto al Tfr in busta paga, è un’anticipazione che rischia solo di deteriorare ulteriormente i risparmi dei lavoratori e che avrà effetti sulla crescita risibili. E’ l’ennesima dimostrazione che quella di Renzi non è una politica definibile tradizionalmente di “centro”: in realtà il governo segue una linea demagogica e populista.(Emiliano Brancaccio, estratti delle dichiariazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “L’Ue è fallita, la sinistra ragioni sull’euro”, pubblicata da “Micromega” il 7 ottobre 2014).Proseguendo con le politiche di austerity l’Eurozona è destinata a deflagrare. Per questo, una sinistra degna di questo nome avrebbe il dovere di ragionare anche sulle modalità di uscita dalla moneta unica, per non lasciare il campo soltanto alle destre. Nel 2011 fui invitato a Parigi dal Partito socialista europeo a presentare lo “standard retributivo”, una proposta per interrompere la gara al ribasso tra i salari dei paesi membri dell’Unione. Ma i tedeschi si opposero. Di quella, come di altre ipotesi di coordinamento europeo, anche le più blande, non se ne fece nulla. Anzi, da allora i conflitti tra paesi sono aumentati. Sotto l’influenza del governo tedesco, a Napoli il recente vertice Bce ha ribadito che i singoli Stati nazionali dovranno restare fedeli alla linea dell’austerity. Inoltre, dal vertice è emerso un altro elemento che getta nuove ombre sul futuro dell’Eurozona. Draghi ha annunciato che la Bce immetterà sul mercato nuova liquidità per un ammontare complessivo fino a 1.000 miliardi in due anni. Sembrano tanti soldi, eppure da molti è stato considerato un intervento insufficiente.