Archivio del Tag ‘militari’
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Silurato Arcuri: Draghi vuole uscire dall’emergenza
«Il rapporto fra Domenico Arcuri e Giuseppe Conte andrà studiato dai cultori della scienza politica come esempio di ciò che può portare la scaltrezza e l’acciecamento del potere in un contesto di istituzioni deboli». Sul “Corriere della Sera”, Federico Fubini parla di equivoci, errori e scarichi di responsabilità, per inquadrare la caduta di Arcuri, nominato da “Giuseppi” super-commissario per l’emergenza Covid e silurato senza complimenti da Mario Draghi un anno dopo, il 1° marzo 2021. Al posto di Arcuri ora c’è un militare, Francesco Paolo Figliuolo, generale di brigata esperto in logistica. E’ la seconda testa a cadere, in pochi giorni, dopo quella del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, sostituito con Fabrizio Curcio. Difficile, scrive “Dagospia”, che la rovinosa caduta di Arcuri (ormai lambito da troppe inchieste sulle forniture per l’emergenza) non colpisca, sul piano politico, lo stesso Conte, covinto da Beppe Grillo a impegnarsi come zattera di salvataggio per i naufraghi di un Movimento 5 Stelle ormai allo sbando.Sul “Corriere”, Fubini descrive Arcuri come «manager pubblico da sempre vicino alla tradizione del Pd». La sua missione: colmare le voragini del governo Conte, colto di sorpresa dalla prima esplosione (lombarda) della pandemia. Arcuri si è formato alla scuola militare della Nunziatella a Napoli, per poi laurearsi alla Luiss e avviare una carriera da manager: prima l’Iri, quindi Deloitte e infine Invitalia. Tra i primi compiti di Arcuri, un anno fa: procurarsi mascherine e organizzarne una produzione italiana, procacciare respiratori per le terapie intensive e, man mano, qualunque cosa gli venisse richiesta: dai banchi a rotelle alle siringhe per i vaccini, fino alla fornitura di fiale (Pfizer, Moderna e AstraZeneca), organizzando anche la somministrazione delle dosi. Conte ha dato mostra di non fidarsi di nessun altro, «quasi che l’Italia intera non avesse altro talento gestionale se non quello di Arcuri», scrive Fubini. Tra i due si era instaurato «un legame sempre sul limite del cortocircuito istituzionale», relegando in un cono d’ombra la stessa Protezione Civile.Rendendo Arcuri «il dominus dell’emergenza», scrive ancora il “Corriere”, Conte ne aveva fatto anche il parafulmine per qualunque cosa dovesse andare storta: «Lo scudo umano perfetto, per il governo e per l’inquilino di Palazzo Chigi». In molti, a un certo punto, hanno iniziato a pensare che fosse proprio Arcuri, sia pure a nome di Conte, a prendere le decisioni su come gestire la pandemia. Tanti gli errori commessi, come ricordato da Milena Gabanelli sempre sul “Corriere”: in settembre ha fatto comprare per 100 milioni di euro mascherine «a prezzi irrealistici» da un’impresa a controllo cinese incorporata in Olanda, che non aveva altri clienti «se non la struttura commissariale di Roma». Attorno all’operato dei collaboratori di Arcuri, intanto, sono in corso inchieste: l’ormai ex commissario non risulta personalmente indagato, ma certo la sua immagine si è progressivamente appannata in modo grave. Di fronte all’ultimo fallimento, l’operazione-vaccini con le costosissime “primule” nelle piazze, è arrivato l’alt di Mario Draghi: l’uscita dall’emergenza non sarà più appannaggio di un commissario che per un anno ha lavorato per un governo (e un premier) interessato a prolungarla all’infinito, l’emergenza, pur di restare in sella.«Il rapporto fra Domenico Arcuri e Giuseppe Conte andrà studiato dai cultori della scienza politica come esempio di ciò che può portare la scaltrezza e l’acciecamento del potere in un contesto di istituzioni deboli». Sul “Corriere della Sera”, Federico Fubini parla di equivoci, errori e scarichi di responsabilità, per inquadrare la caduta di Arcuri, nominato da “Giuseppi” super-commissario per l’emergenza Covid e silurato senza complimenti da Mario Draghi un anno dopo, il 1° marzo 2021. Al posto di Arcuri ora c’è un militare, Francesco Paolo Figliuolo, generale di brigata esperto in logistica. E’ la seconda testa a cadere, in pochi giorni, dopo quella del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, sostituito con Fabrizio Curcio. Difficile, scrive “Dagospia”, che la rovinosa caduta di Arcuri (ormai lambito da troppe inchieste sulle forniture per l’emergenza) non colpisca, sul piano politico, lo stesso Conte, covinto da Beppe Grillo a impegnarsi come zattera di salvataggio per i naufraghi di un Movimento 5 Stelle ormai allo sbando.
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Post antisemita: Torino, s’indigna l’impero delle bugie
Non una riga sulle grandi manovre della dinastia Agnelli-Elkann, ma fiumi di inchiostro per lo scivolone “antisemita” di una consigliera comunale di Torino, che veicola incautamente un post nel quale si associa l’antica spazzatura nazi-razzista alla (sacrosanta) denuncia della mega-concentrazione editoriale nelle mani del sempre più potente gruppo Gedi. Succede nell’Italia del 2021, reduce da un anno di lavaggio del cervello – teoria e pratica del terrorismo sanitario, grazie alla banda Conte – in cui, a parte il totalitarismo informativo sul virus, la casata torinese ha compiuto atti epocali, nel silenzio generale: la storica cessione dell’ex Fiat ai francesi e la trattativa per sbolognare anche Iveco (ai cinesi), dopo aver incassato i miliardi ottenuti da “Giuseppi” col pretesto della crisi pandemica, in realtà utilizzati da Exor per confluire in Stellantis. Da notare, soprattutto, la clamorosa requisizione del gruppo “Espresso”, a cominciare da “Repubblica”, senza il minimo accenno di allarme da parte della politica, o dallo stesso Ordine dei Giornalisti con le sue articolazioni sindacali, un tempo vigili di fronte alla creazione di trust dominanti come quello berlusconiano.
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Giù le mani dall’Iveco: catastrofe, se ora finisce alla Cina
Giù le mani dall’Iveco: guai se finisce alla Cina anche l’azienda leader del trasporto pesante. L’Iveco è tutt’altro che decotta: è strategica anche per l’esercito italiano e i bus elettrici del futuro. «E quindi: è necessario che lo Stato italiano intervenga, per evitare che sia ceduta», dice Marco Ludovico, dirigente del Movimento Roosevelt, che si appresta a presentare il caso-Iveco al nuovo governo che sarà guidato da Mario Draghi. I “rooseveltiani” hanno appena lanciato una raccolta di firme su “Change.org”, per ribadire l’urgenza di un intervento pubblico, in un’Italia che sembra in via di smantellamento, con quasi un milione di nuovi disoccupati. «Gli stabilimenti Iveco – ricorda Ludovico – danno lavoro a migliaia di persone nei territori di Brescia, Bolzano, Suzzara e Piacenza, oltre ad alimentare l’economia dell’indotto automobilistico in tutta Italia». La proposta? Far entrare Cassa Depositi e Prestisti nel capitale di Iveco e poi anche nella holding Stellantis, cui l’ex Fiat ha ceduto il comando, dopo aver incassato dal governo Conte ben 6,5 miliardi di euro, concessi per la crisi innescata dalla pandemia-Covid.Dell’ex gruppo Fca si continua a parlare pochissimo, sui giornali, nonostante abbia sostanzialmente passato ai francesi di Psa il settore auto. Ha anche venduto la storica Magneti Marelli, e ora intende cedere Iveco al colosso statale cinese Faw, col rischio di veder delocalizzati gli stabilimenti. «L’Italia è in saldo al miglior offerente, da anni, e l’elenco è infinito: Pirelli, Parmalat, Merloni, Lamborghini, Gucci. Dopo le decine di acquisizioni dei marchi più importanti nel settore dell’alimentare, della moda e degli elettrodomestici nel totale disinteresse della politica, oggi sulla lista della spesa ci sono i settori strategici dell’auto, della chimica, dell’energia e della meccanica», denuncia il Movimento Roosevelt, presieduto da Gioele Magaldi. «Le aziende italiane sono state colpite per prime dalla pandemia e dalla recessione, e quindi sono facile preda dei voraci capitali esteri, che non vedono l’ora di banchettare sul Made in Italy». Parla da solo il caso dell’Ilva di Taranto, spolpata dalla concorrente indiana Arcelor-Mittal secondo uno schema classico: una volta acquisiti i contratti, si porta il lavoro fuori dall’Italia, dove costa meno.«Imbarazzante ora la vicenda caso dell’ex Fiat, finanziata per decenni dallo Stato: per aumentare il valore delle azioni e controllare meglio la società, il gruppo Fca ha spostato la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra. Sarebbe una catastrofe, se l’Iveco venisse trasferita in Cina». Osserva Ludovico: «Da decenni, l’Italia ha abbandonato ogni strategia di politica industriale, intervenendo con capitali pubblici solo in aziende in forte perdita, e dopo che gruppi privati hanno goduto dei profitti. Francesi e cinesi, invece, continuano a perseguire i propri interessi nazionali: perché siamo gli unici, noi italiani, ad averli abbandonati?», si domanda Ludovico. Il disastro, ovviamente, è dietro l’angolo: «Come possiamo lasciare ai nostri figli un deserto industriale, consegnando il paese all’arretratezza e all’irrilevanza?». Un allarme che il Movimento Roosevelt si appresta a recapitare al nascituro governo Draghi. «Iveco potrebbe essere il motore dei trasporti puliti e del lavoro qualificato che vogliamo: non possiamo abbandonare i lavoratori italiani, inclusi quelli dell’indotto».Tra le proposte da sottoporre al governo, quella di esercitare il “golden power” sull’acquisizione di Iveco da parte di Faw. Utile, per i “rooseveltiani”, l’ingresso di Cassa depositi e Prestiti nel capitale di Iveco, in modo da garantire l’occupazione e vigilare sulle strategie aziendali, affinché non danneggino gli stabilimenti italiani. Non solo: «Al governo chiediamo anche l’ingresso nel capitale azionario di Stellantis da parte di Cdp, in misura pari alle garanzie pubbliche rilasciate da Sace». Qualora le operazioni di vendita fossero completate senza esercitare il “golden power” – conclude Ludovico – occorre creare un tavolo al Mise (con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti e di fondi privati) per creare «un campione nazionale nella produzione di bus e camion ecologici, aggregando le aziende italiane presenti sul mercato, al fine di soddisfare almeno la domanda interna».Nonostante la crisi, ricorda il Movimento Roosevelt nel testo della petizione affidata a “Change.org”, l’Unione Europea ha siglato un accordo di libero scambio con il governo cinese. «Alle grandi industrie automobilistiche tedesche e francesi, l’accordo garantisce la tutela per gli investimenti nel paese asiatico, in cambio di un accesso totale al mercato europeo». Timori scontati: «Quando un vaso di coccio si scontra con dei vasi di ferro, quello di coccio viene distrutto: Faw è una società a pieno controllo statale del governo cinese e agisce secondo le sue direttive». Nel recente piano quinquennale 2021-2025 – ricorda ancora Marco Ludovico – il governo cinese ha elaborato il concetto della “doppia circolazione”, cioè la crescita del loro mercato interno con la contemporanea espansione economica all’estero. Risultato: «Si crea una dipendenza delle industrie internazionali dalle forniture cinesi, ancor più vincolante di quanto non lo sia già oggi». In un quadro simile, l’Iveco è in pericolo: le fabbriche italiane sarebbero facilmente smantellate, a favore degli stabilimenti all’estero, dove si lavora con salari inferiori.«La Cina terrebbe il marchio e il clienti Iveco, mentre l’indotto italiano sarebbe sostituto nel medio termine dalla componentistica cinese». Attenzione: «Iveco macina innovazione ed è un vero e proprio orgoglio italiano: un gruppo globale, pioniere degli autobus elettrici e della combustione pulita, che rappresenta il futuro dei trasporti ecologici». Inoltre, la stessa Iveco produce veicoli speciali per l’esercito italiano. Il Movimento Roosevelt ricorda che, nel maggio scorso, l’ex Fiat ha ottenuto da Conte 6,5 miliardi, erogati dalle assicurazioni statali Sace (per via della crisi pandemica) e utilizzati per confluire nella nuova holding Stellantis, a guida francese: di fatto, a gennaio 2021 il gruppo Peugeot ha acquisito Fca, e all’interno di Stellantis (quotata a Parigi) la partecipazione italiana è sparita. «Se lo Stato francese è presente in Peugeot e lo Stato cinese controlla completamente Faw – sottolinea Marco Ludovico – la quota italiana dell’ex Fca è in mano alla finanziaria privata Exor della famiglia Agnelli». Insomma, brutte notizie: «Pezzo dopo pezzo, stiamo svendendo la ricchezza che l’ingegno e la fatica di tre generazioni avevano costruito. Non c’è altro tempo da perdere: l’industria è la spina dorsale di un paese che vuole almeno sopravvivere, in un’era di rapidissima evoluzione tecnologica».Giù le mani dall’Iveco: guai se finisce alla Cina anche l’azienda leader del trasporto pesante. L’Iveco è tutt’altro che decotta: è strategica anche per l’esercito italiano e i bus elettrici del futuro. «E quindi: è necessario che lo Stato italiano intervenga, per evitare che sia ceduta», dice Marco Ludovico, dirigente del Movimento Roosevelt, che si appresta a presentare il caso-Iveco al nuovo governo che sarà guidato da Mario Draghi. I “rooseveltiani” hanno appena lanciato una raccolta di firme su “Change.org”, per ribadire l’urgenza di un intervento pubblico, in un’Italia che sembra in via di smantellamento, con quasi un milione di nuovi disoccupati. «Gli stabilimenti Iveco – ricorda Ludovico – danno lavoro a migliaia di persone nei territori di Brescia, Bolzano, Suzzara e Piacenza, oltre ad alimentare l’economia dell’indotto automobilistico in tutta Italia». La proposta? Far entrare Cassa Depositi e Prestisti nel capitale di Iveco e poi anche nella holding Stellantis, cui l’ex Fiat ha ceduto il comando, dopo aver incassato dal governo Conte ben 6,5 miliardi di euro, concessi per la crisi innescata dalla pandemia-Covid.
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Bizzi: Draghi ostile al Great Reset dei padrini di Conte
Attenti agli equivoci: certo che Mario Draghi viene da una super-élite, ma non quella del Grande Reset (da cui, semmai, dipendeva il piccolo maggiordomo Giuseppe Conte). Un avvertimento firmato dallo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale nonché co-autore dell’esplosivo saggio “Operazione Corona: Colpo di stato globale”. Occhio a non confondersi, sottolinea Bizzi: Draghi non è certo una pedina qualsiasi, ma non appartiene al gruppo che, a Davos, ha progettato la distopia orwelliana che, attraverso l’epidemia di Wuhan, ha paralizzato il mondo proprio mentre la somma dei debiti straripava, e oggi infatti avrebbe raggiunto il 365% del Pil mondiale. Lo ricorda sul “Fatto Quotidiano” Luigi Manfra, responsabile dei progetti economico-ambientali Unimed e già docente di politica economica alla Sapienza. Memorabile il “testamento” di Draghi pubblicato un anno fa sul “Financial Times”: dalla crisi pandemica si esce solo ricorrendo ad aiuti finanziari epocali ma a fondo perduto, tagliando drasticamente i debiti. Dunque: attenzione a non parlare a vanvera, raccomanda Bizzi, pensando a chi cita (spesso a sproposito) entità come il Bilderberg.
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Putin a lezione di democrazia dal favoloso Tony Blinken
Un coraggio da leone, quello di Tony Blinken: l’uomo che impartisce lezioni di democrazia a Vladimir Putin, contestando la dura repressione delle manifestazioni pro-Navalny, è un tizio che oggi fa il segretario di Stato nell’amministrazione di Joe Biden, l’uomo che sostiene di essere stato eletto presidente degli Stati Uniti. E’ stato insediato col favore delle tenebre, grazie alla misteriosa sospensione notturna dello scrutino e al miracoloso afflusso di voti postali, anche fuori tempo massimo e in violazione delle norme elettorali previste dalla Costituzione di alcuni degli Stati in bilico. Un lavoretto completato dagli algoritmi della Dominion Voting Systems, che si sospetta siano stati taroccati in partenza e poi ri-tarati in corso d’opera, viste le inattese dimensioni della valanga di voti a favore del probabilissimo vincitore reale, Donald Trump, ultimo vero presidente degli Stati Uniti per la maggioranza degli americani (sondaggi Gallup) e primo nella storia ad aprire ora un Ufficio dell’Ex Presidente, in Florida. Ebbene: dall’alto di questo capolavoro di trasparenza squisitamente democratica, l’eterno scudiero di Sleepy Joe Biden – uno dei politici più mediocri e corrotti della storia politica americana – adesso si permette di ammonire lo Zar: non osi procedere oltre, nel fare strame delle libertà democratiche in Russia.Affabilmente, Giulietto Chiesa canzonò l’anziano Eugenio Scalfari per aver descritto Putin come “il capo del comunismo mondiale”, nientemeno, dimenticando il microscopico dettaglio rappresentato da un bruscolino come la Cina, il più esteso, popoloso e potente paese al mondo che sia mai stato retto da un partito comunista. Anni fa, lo studioso italiano Igor Sibaldi, di madre russa, espose la seguente tesi: già ai tempi dell’Urss, l’impero di Mosca era retto da una trentina di grandi famiglie, al di là della vernice cosmetica del Pcus. In piena sintonia con quella ristretta cerchia di oligarchi, secondo Sibaldi, il lungimirante Jurij Andropov – temendo l’inevitabile collasso socio-economico del “socialismo reale” – trasformò il vecchio Nkvd staliniano nel micidiale, efficientissimo Kgb, come nerbo irriducibile dell’élite, capace di sopravvivere all’eventuale disfacimento dell’Unione Sovietica. Non è un caso che venisse dal Kgb lo stesso Gorbaciov, storico pupillo di Andropov, né che provenga dai ranghi di quell’intelligence lo stesso Putin. Sono sempre quelle famose “trenta famiglie”, le detentrici del vero potere in Russia, al di là del ruolo che ha saputo ritagliarsi, di suo, uno statista di levatura mondiale come l’attuale uomo del Cremlino, da vent’anni ininterrottamente in sella?E’ noto che Putin fu chiamato in servizio quando il potere russo ne ebbe abbastanza dell’esausto Boris Eltsin, che aveva letteralmente svenduto il paese alle multinazionali americane. Qualcosa del genere, secondo uno schema invariabile, si ripeté nel 2014 con la finta “rivoluzione arancione” in Ucraina contro il corrotto presidente filorusso Yanukovic, accusato di aver truccato le elezioni dopo aver estromesso l’opposizione. All’arbitrio dell’autocrate ucraino si rispose gonfiando le piazze in modo pacifico, ma a un certo punto furono misteriosi cecchini a sparare sulla polizia, a Maidan, per provocare la repressione violenta che segnò la fine di Yanukovic e il passaggio di Kiev dall’orbita di Mosca a quella di Washington, secondo il più classico e opaco dei copioni, in mezzo a falangi di miliziani armati di fucili e bandiere neonaziste. Letteralmente automatica, a quel punto, la secessione dell’Est dell’Ucraina, il Donbass a maggioranza russa, e la scelta della Crimea di tornare sotto l’ala della madrepatria russa, di cui la penisola del Mar Nero aveva sempre fatto parte. Altrettanto scontata la reazione della “comunità internazionale”, alias Washington Consensus: dure sanzioni alla Russia (con anche gravissimi danni al made in Italy).Dettaglio non scontato, invece, la presenza della famiglia Biden nel ricco “affaire” ucraino: dopo gli infiniti viaggi a Kiev dell’allora vice di Obama, fu affidato a Hunter Biden l’opulento malloppo di Burisma, colosso del petrolio e del gas ucraino. Inutile aggiungere che l’attuale segretario di Stato americano, Tony Blinken, era già il braccio destro di Sleepy Joe (non così “addormentato”, a quanto pare, se si trattava di incassare cospicui dividendi, non solo politici). Lo stesso Blinken era accanto a Biden anche rispetto al teatro siriano, quando Obama – anche attraverso un falco come John McCain – favorì l’esplosione del bubbone Isis, a partire dall’Iraq, dove fu improvvissamente rilasciato un personaggio che poi si sarebbe fatto chiamare Abu Bakr Al-Bagdadi. Da quasi una decina d’anni, Vladimir Putin si trova di fronte lo stesso avversario, pronto a promuovere la guerra, che la scena si svolga in Ucraina o in Siria, dove è stata proprio la Russia a sgominare le bande di tagliagole dello Stato Islamico, che gli americani facevano finta di non conoscere.In questo, stando a Wikipedia, Tony Blinken è persino trasparente: «Non ho mai visto una decisione più coraggiosa presa da un leader», disse nel 2011, applaudendo il Barack Obama che aveva appena raccontato di aver fatto uccidere Osama Bin Laden, già operativo della Cia in Afghanistan, morto quasi certamente parecchi anni prima. Può sembrare ridicolo, almeno quanto la storiella dell’inabissamento in mare della presunta salma del redivivo Bin Laden, ma nessun tribunale statunitense ha mai potuto imputare legalmente al capo di Al-Qaeda alcuna responsabilità formale nel super-attentato che distrusse le Torri Gemelle, spalancando la strada al Nuovo Secolo Americano vagheggiato dai Bush con le loro guerre, approvate senza riserve dal democratico Joe Biden, presidente della commissione esteri del Senato. Gli era accanto sin da allora Tony Blinken, favorevole nel 2003 alla brutale invasione dell’Iraq motivata dalle (inesistenti) armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Blinken ha definito la determinazione a invadere l’Iraq «un voto per una diplomazia dura».Finita la prima parte del “lavoro”, scrive sempre Wikipedia, Tony Blinken «ha assistito Biden nella formulazione di una proposta al Senato per stabilire in Iraq tre regioni indipendenti, divise lungo linee etniche o settarie». Un orrore, trasformato in un fiasco: «La proposta è stata respinta in modo schiacciante in patria, così come in Iraq, dove il primo ministro si è opposto al piano di spartizione». Dal 2009 al 2013, Blinken è stato consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora vicepresidente Biden. Dal 2015 al 2017 è stato poi vicesegretario di Stato di John Kerry e viceconsigliere della sicurezza nazionale dal 2013 al 2015, sotto la presidenza Obama. Ruoli molto importanti, che gli hanno permesso di «contribuire a elaborare la politica statunitense su Afghanistan e Pakistan», con esiti letteralmente imbarazzanti. Lo stesso Blinken si è anche impegnato «sul programma nucleare dell’Iran», al quale si era fermamente opposto Donald Trump. Invano: oggi, la squadra di Biden è già al lavoro per ripristinare buone relazioni con Teheran.«Può usare Twitter anche l’Ayatollah, ma non Trump», ha protestato in questi giorni un parlamentare trumpiano, denunciando la scandalosa censura di Big Web praticata in modo unilaterale a vantaggio di “democratici” come Biden e Blinken, nell’ex “paese della libertà” che si sente in vena di dare lezioni alla Russia. Parla da solo, del resto, il vasto curriculum di Blinken: «Un profilo del 2013 lo descriveva come “uno degli attori chiave del governo nella stesura della politica sulla Siria”», il paese letteralmente fatto a pezzi dall’Isis, mentre le truppe Usa stavano a guardare. Un recidivo, Blinken: già nel 2011 aveva «sostenuto l’intervento militare in Libia e la fornitura di armi ai ribelli siriani». Tecnicamente: un professionista del Nuovo Disordine Mondiale, a suon di bombe. «Nell’aprile 2015, Blinken ha espresso sostegno all’intervento guidato dall’Arabia Saudita nello Yemen». Ha detto che «come parte di questo sforzo, abbiamo accelerato le consegne di armi, abbiamo aumentato la nostra condivisione di intelligence e abbiamo istituito una cellula di pianificazione del coordinamento congiunto nel centro operativo saudita».Questo sarebbe dunque il profilo essenziale del nuovo Mister America in funzione di ministro degli esteri. Un uomo accorto, di origine ebraica, membro del potentissimo Council on Foreign Relations, santuario paramassonico del massimo potere. Politica e affari, come il suo maestro Biden: nel 2017, Blinken ha co-fondato WestExec Advisors, una società di consulenza strategica politica. Tra i clienti figurano Jigsaw (Google), la società israeliana di intelligenza artificiale Windward e il produttore di droni di sorveglianza Shield Ai, che ha firmato un contratto da 7,2 milioni di dollari con l’Air Force. “The Intercept” ha descritto «il ruolo di WestExec nel facilitare i rapporti tra le aziende della Silicon Valley, il Dipartimento della difesa e le forze dell’ordine», un po’ come nel caso della storica Kissinger Associates. Così come altri membri del “transition team” di Biden, tra cui il neo-ministro della difesa Lloyd Austin, Blinken è partner della società finanziaria (”private equity”) Pine Island Capital Partners, socio strategico della stessa WestExec. «Il presidente di Pine Island è John Thain, l’ultimo presidente di Merrill Lynch prima della sua vendita a Bank of America».«Blinken – precisa ancora Wikipedia – è andato “in congedo” da Pine Island nell’agosto 2020 per unirsi alla campagna di Biden come consulente senior di politica estera. Ha detto che si sarebbe liberato della sua partecipazione in Pine Island, se confermato per una posizione nell’amministrazione Biden». Salvare le forme: non suona bene, l’espressione “conflitto d’interessi”. Lo scorso autunno, Pine Island ha raccolto 218 milioni di dollari «per una società di acquisizione di scopo speciale (Spac)», un’offerta pubblica per investire in «difesa, servizi governativi e industrie aerospaziali», nonché sulla gestione dell’emergenza Covid, considerata redditizia in quanto il governo Trump «si rivolgeva ad appaltatori privati per affrontare la pandemia». A dicembre, persino il “New York Times” ha sollevato domande sui potenziali conflitti d’interesse tra i dirigenti di WestExec, i consulenti di Pine Island (incluso Blinken) e loro ruolo nell’amministrazione Biden.«I critici hanno chiesto la piena divulgazione di tutte le relazioni finanziarie di WestExec e Pine Island, la cessione della proprietà di partecipazioni in società che fanno offerte per contratti governativi o godono di contratti esistenti», raccomandandosi che Blinken e altri «si ritirino dalle decisioni che potrebbero avvantaggiare i loro precedenti clienti». E’ questo, dunque, il background del Blinken che vorrebbe mantenere a Gerusalemme l’ambasciata americana in Israele e critica giustamente la Cina come feroce tecno-autocrazia: Blinken si schiera con le proteste di Hong Kong e si dichiara pronto a difendere Taiwan con ogni mezzo, di fronte alle minacciose provocazioni anche militari di Pechino. Non che gli antichi vizi siano scomparsi: lo stesso Blinken ha ribadito il suo sostegno a mantenere aperta la porta della Nato per la Georgia, destabilizzando così la frontiera con la Russia e violando gli storici accordi stupulati ai tempi di Gorbaciov. Fu George W. Bush a far precipitare la situazione nel Caucaso, incoraggiando il sanguinoso bombardamento della capitale dell’Ossezia del Sud, Tskhinvali, rimasta filo-russa. Gente dal grilletto facile, quella tornata alla Casa Bianca? Niente paura: sempre Wikipedia ci informa che Tony Blinken suona la chitarra e ha persino tre canzoni disponibili, su Spotify, con l’alias ABlinken (pronunciate come “Abe Lincoln”). Queste sì, sono notizie confortanti.Un coraggio da leone, quello di Tony Blinken: l’uomo che impartisce lezioni di democrazia a Vladimir Putin, contestando la dura repressione delle manifestazioni pro-Navalny, è un tizio che oggi fa il segretario di Stato nell’amministrazione di Joe Biden, l’uomo che sostiene di essere stato eletto presidente degli Stati Uniti. E’ stato insediato col favore delle tenebre, grazie alla misteriosa sospensione notturna dello scrutino e al miracoloso afflusso di voti postali, anche fuori tempo massimo e in violazione delle norme elettorali previste dalla Costituzione di alcuni degli Stati in bilico. Un lavoretto completato dagli algoritmi della Dominion Voting Systems, che si sospetta siano stati taroccati in partenza e poi ri-tarati in corso d’opera, viste le inattese dimensioni della valanga di voti a favore del probabilissimo vincitore reale, Donald Trump, ultimo vero presidente degli Stati Uniti per la maggioranza degli americani (sondaggi Gallup) e primo nella storia ad aprire ora un Ufficio dell’Ex Presidente, in Florida. Ebbene: dall’alto di questo capolavoro di trasparenza squisitamente democratica, l’eterno scudiero di Sleepy Joe Biden – uno dei politici più mediocri e corrotti della storia politica americana – adesso si permette di ammonire lo Zar: non osi procedere oltre, nel fare strame delle libertà democratiche in Russia.
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Fango: l’amara lezione che sta sommergendo tutto
Luce fredda di lampeggianti, pioviggine. Da qualche parte, lontano, ecco i parlamentari: spalano fango, curvi e sordi. Voci si spengono nel buio dei monitor parlanti, dentro una notte eterna di desolazioni che ormai è vano raccontare, articolando segni. Nero il destino che declina ciance vuote, in una recita spettrale di pagliacci. Morto il talento, il cuore, il canto di chi tenta, sapendo di poter sbagliare e di fallire, ma dopo aver lottato. Morte le idee, insieme ai desideri. Morte le parole. Nell’aria scialba, galleggiano le formule grigiastre del mendicare attimi. Notorietà ingloriosa, in mezzo a una palude di mediocrità invincibile: come una malattia senza speranza, da troppo tempo libera di seminare orrori sapientemente travisati e mascherati da normalità. Una lunghissima, inesorabile discesa. Si scivola nel fango, poco alla volta rinunciando a tutto, dopo la morte lenta della verità.
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Ex Cia: brogli via Italia, spiazzati dal trionfo di Trump
«I due 007 che hanno manipolato i voti delle presidenziali americane ora sono in pericolo di vita: saranno uccisi, perché in questi casi è così, che funziona». L’appello arriva da un ex dirigente della Cia, Bradley Johnson, che ai due operatori dell’intelligence rivolge un pressante appello: «Affrettatevi ad autodenunciarvi e mettetevi al riparo presso le uniche autorità che possono proteggervi, cioè il Dipartimento di Giustizia». I due, sostiene Johnson in una video-intervista a “Detoxed.info”, sono due agenti dell’Mi6, il servizio segreto inglese. «Non li abbiamo ancora identificati, ma è solo questione di tempo: una foto li ritrae davanti all’ambasciata americana di Roma, nei giorni delle presidenziali Usa». Proprio la sede diplomatica statunitense nella capitale italiana, secondo Bradley, sarebbe stata la centrale operativa dei maxi-brogli “invisibili” con cui sarebbe stata costruita, a tavolino, la falsa vittoria di Joe Biden. Una frode che, per le sue dimensioni, sembra non avere precedenti nella storia delle elezioni americane: «Sono stati truccati, per via digitale, i risultati delle elezioni nei 6 Stati che per ore sono stati considerati “in bilico”, ma dove in realtà Donald Trump era da subito apparso il notevole vantaggio, con un distacco incolmabile per Biden».«Proprio l’entità della vittoria a valanga di Trump – afferma Johnson – ha costretto i manipolatori a rivedere precipitosamente l’algoritmo che era stato inizialmente programmato per far vincere Biden: non bastava più, a causa dell’enorme vantaggio di Trump, non previsto in quella misura». E’ per questo, aggiunge l’ex capostazione Cia, che nella notte dello spoglio le operazioni di scrutinio sono state misteriosamente interrotte, per due ore: «Ai manipolatori serviva tempo per riprogrammare l’algoritmo che avrebbe spostato i voti da Trump a Biden». L’ex dirigente dei servizi segreti statunitensi ricostruisce la filiera della frode: i dati elettorali affluivano in tempo reale via web a un server a Francoforte, visto che le macchine elettorali di Dominion erano effettivamente connesse in Rete. Dalla Germania i dati finivano all’ambasciata americana di Roma, dove venivano manipolati da agenti britannici: anche per questo, il governo di Boris Johnson potrebbe essere travolto dallo scandalo. Ultimo passaggio: i dati (truccati) venivano re-immessi nelle macchine elettorali di Dominion, cioè nei seggi americani, attraverso un satellite militare criptato dell’azienda Leonardo, strettamente controllata dal governo italiano.«Non giurerei sulla sopravvivenza politica di Giuseppe Conte», dice Bradley Johnson: «Trump lo aveva chiamato già prima delle elezioni, dopo aver avuto sentore del fatto che l’Italia poteva essere coinvolta in qualcosa di poco chiaro, rispetto alle elezioni». Non solo: «Sappiamo – dice Johnson – che i servizi segreti italiani (che rispondono a Conte) non hanno puntualmente avvisato le autorità Usa delle attività in corso, da parte degli agenti inglesi, che i colleghi italiani stavano certamente monitorando». Imbarazzante, poi, la concessione del satellite di Leonardo per la trasmissione in America dei dati truccati. Emergerà qualcosa, di tutto questo? Johnson non sa cosa rispondere, vista la cortina di silenzio che avvolge la scandalosa manipolazione delle elezioni americane. Si è parlato a vanvera dell’ipotetico raid per sequestrare i server di Francoforte, ma era una falsa pista: «Quei server sono stati sequestrati, ma senza nessun blitz. Inoltre, hanno solo registrato un’altissima intensità di trasmissione di dati, ma non contengono prove». Un depistaggio, per proteggere gli inglesi e gli italiani? Nel dubbio, Johnson insiste: chiede ai due agenti britannici di consegnarsi, onde evitare che possano essere uccisi per cancellare i testimoni e qundi le prove dell’ipotetico, epocale misfatto.«I due 007 che hanno manipolato i voti delle presidenziali americane ora sono in pericolo di vita: saranno uccisi, perché in questi casi è così, che funziona». L’appello arriva da un ex dirigente della Cia, Bradley Johnson, che ai due operatori dell’intelligence rivolge un pressante appello: «Affrettatevi ad autodenunciarvi e mettetevi al riparo presso le uniche autorità che possono proteggervi, cioè il Dipartimento di Giustizia». I due, sostiene Johnson in una video-intervista a “Detoxed.info“, sono due agenti dell’Mi6, il servizio segreto inglese. «Non li abbiamo ancora identificati, ma è solo questione di tempo: una foto li ritrae davanti all’ambasciata americana di Roma, nei giorni delle presidenziali Usa». Proprio la sede diplomatica statunitense nella capitale italiana, secondo Bradley, sarebbe stata la centrale operativa dei maxi-brogli “invisibili” con cui sarebbe stata costruita, a tavolino, la falsa vittoria di Joe Biden. Una frode che, per le sue dimensioni, sembra non avere precedenti nella storia delle elezioni americane: «Sono stati truccati, per via digitale, i risultati delle elezioni nei 6 Stati che per ore sono stati considerati “in bilico”, ma dove in realtà Donald Trump era da subito apparso il notevole vantaggio, con un distacco incolmabile per Biden».
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Evviva: il mondo libero festeggia la sconfitta del demonio
Ora è tutto chiaro: gli Stati Uniti sono popolati da 75 milioni di “terroristi interni”, che però sono stati finalmente sgominati dai cavalieri virtuali di Dominion Voting System, a volte rappresentati in forma umana, a beneficio dei fedeli, dall’ologramma di Joe Biden. L’ora è grave: a nulla è valsa l’eroica resistenza dei 7-8 poliziotti schierati a Washington davanti al Parlamento, per arginare quella che si annunciava come una manifestazione oceanica. Sicché i barbari hanno potuto agevolmente commettere l’empio sacrilegio: sono penetrati nel Tempio della Democrazia, mettendo fine (prima ancora che cominciassero) alle procedure di contestazione delle presidenziali 2020, inclusa la richiesta di una commissione d’inchiesta per esaminare, una buona volta, le migliaia di prove a suffragio dell’accusa. Prove che finora le autorità giudiziarie si sono sempre rifiutate di analizzare, accampando dinieghi solo formali e procedurali. La buona notizia è che le Forze del Bene hanno infine prevalso, schiacciando la coda del Serpente e togliendogli la parola, il microfono e l’accesso ai social, dopo avergli già tolto la stampa, la televisione e infine la Casa Bianca.Va tutto bene, è giusto così: succede sempre, quando il Bene prevale sul Male. Accadde già nel 1963, a Dallas, quando fu prontamente assicurato alla giustizia Lee Harvey Oswald, che aveva assassinato John Kennedy su ispirazione di Batman e dell’Uomo Ragno. A volte il Bene, per scatenarsi, ha bisogno che le coscienze si risveglino, anche attraverso eventi traumatici: accadde l’11 settembre 1973, quando in Cile fu rovesciato e ucciso il presidente Salvador Allende per mano del generale Augusto Pinochet, assistito spiritualmente da Mazinga Zeta e altre divinità infere. Accadde anche nel 2001 (casualmente, in un altro 11 settembre), quando a New York i due grattacieli più indistruttibili del mondo, per la cui demolizione il Comune aveva previsto l’impiego della bomba atomica, furono rasi al suolo da due Boeing pilotati da scolaretti: i velivoli eseguirono manovre da jet militari a velocità folle, e fu la stessa Boeing ad ammettere che – a quella quota, a 8-900 chilometri all’ora – le ali avrebbero dovuto staccarsi dalla fusoliera. Ma niente può fermare il Male, quando si manifesta, secondo l’oscuro disegno che poi porta, infine, al trionfo del Bene.La trama provvidenziale si dipanò negli anni seguenti, quando Moloch, Ahriman e George Walker Bush mossero guerra contro la più grave minaccia per il mondo libero, i Talebani, e subito dopo riuscirono ad annientare le micidiali Armi di Distruzione di Massa che si celavano in Iraq, ora trasformato nel paese più felice del pianeta. La stessa mano divina guidò il successore, l’impavido Barack Obama, che riportò la giustizia sulla Terra mettendo fine all’Impero di Wall Street e alla vita di migliaia di “terroristi esterni”, meticolosamente assassinati con i droni, settimana dopo settimana, attraverso ordini esecutivi firmati ogni lunedì. Gli eroici sforzi di Bush e Obama, è vero, non debellarono del tutto la minaccia rappresentata dalle incarnazioni del Male, prima Al-Qaeda e poi l’Isis. Ma si sa, le vie del Signore sono imperscrutabili. Nel 2016, infatti, il Male abbandonò il Medio Oriente e le città europee (fino ad allora devastate dagli attentati) per insediarsi direttamente a Washington, alla Casa Bianca. Da allora, il Bene ingaggiò una lotta senza quartiere per liberare il mondo dal più grave pericolo che fosse mai sorto, nella storia dell’umanità: il demonio chiamato Donald Trump.Da allora, i cavalieri alati hanno dato battaglia senza risparmiarsi: tanto per cominciare hanno svelato che è la Russia, in realtà, a stabilire chi vince le elezioni in America. E’ vero, Donald Trump aveva smesso di fare guerre nel resto del mondo: ma si sa che il demonio conosce mille trucchi. La sua perfidia è illimitata: può arrivare a far scomparire la disoccupazione, a resuscitare l’economia, a moltiplicare il benessere diffuso. E’ un inganno: lo hanno dimostrato gli arcangeli di Antifa, anche incendiando interi quartieri – e sparando, e uccidendo – mentre la polizia stava a guardare. Il demonio comunque dilagava, nei sondaggi: la sua rielezione era data per scontata. Fu allora che si manifestò la Volontà Divina nella sua potenza, con due fenomeni miracolosi: l’Influenza Cinese e l’epifania metafisica del Voto Postale, celestialmente corroborato dal pallottoliere elettronico di Dominion.Ora, fortunatamente, l’incubo è finito: la vittoria del Bene è di portata storica. Onore quindi ai nuovi eroi della virtù, ai soavi censori di Facebook e Twitter, agli algoritmi di Google, ai sabotatori che oscurano puntualmente i video che i seguaci del demonio provano ancora a pubblicare su YouTube. Il Male va rimosso alla radice: deve tacere, scomparire. Può godersi, al massimo, lo spettacolo spensierato del capodanno di Wuhan, mentre tutti gli altri bipedi (saggi e prudenti) se ne stanno rintanati come topi. Il Bene parla chiaro: parla da Pechino, la nuova patria della civiltà, spiegando che i frutti avvelenati del demonio – la libertà, i diritti, la salute, la serenità – erano solo squallide illusioni, quelle di cui è lastricata la strada per l’inferno, come l’effimera felicità terrena e la certezza dello Stato di diritto, l’umana dignità, l’impegno a esercitare a mezzo stampa l’arte della verità, della sincerità. Sgombrato il campo dai “terroristi interni”, finalmente si festeggia: Batman e l’Uomo Ragno brindano con Dominion, in una sala delle cerimonie in cui – se state attenti – in fondo, potrebbe anche apparire il premio più gradito, l’incarnazione del soprannaturale: l’ologramma del tenero Joe Biden.Ora è tutto chiaro: gli Stati Uniti sono popolati da 75 milioni di “terroristi interni”, che però sono stati finalmente sgominati dai cavalieri virtuali di Dominion Voting System, a volte rappresentati in forma umana, a beneficio dei fedeli, dall’ologramma di Joe Biden. L’ora è grave: a nulla è valsa l’eroica resistenza dei 7-8 poliziotti schierati a Washington davanti al Parlamento, per arginare quella che si annunciava come una manifestazione oceanica. Sicché i barbari hanno potuto agevolmente commettere l’empio sacrilegio: sono penetrati nel Tempio della Democrazia, mettendo fine (prima ancora che cominciassero) alle procedure di contestazione delle presidenziali 2020, inclusa la richiesta di una commissione d’inchiesta per esaminare, una buona volta, le migliaia di prove a suffragio dell’accusa. Prove che finora le autorità giudiziarie si sono sempre rifiutate di analizzare, accampando dinieghi solo formali e procedurali. La buona notizia è che le Forze del Bene hanno infine prevalso, schiacciando la testa del Serpente e togliendogli la parola, il microfono e l’accesso ai social, dopo avergli già tolto la stampa, la televisione e infine la Casa Bianca.
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Binney: frode storica: 13 milioni di voti ‘inventati’ per Biden
I conti non tornano: l’operazione-Biden potrebbe aver “rubato” (o meglio, “fabbricato”) qualcosa come 13 milioni di voti, trasformando le presidenziali 2020 nelle elezioni americane più corrotte della storia. Lo afferma un popolare divulgatore statunitense come Bill Binney, sul canale “The Gateway Pundit”, vicino a Trump. In tutta la nazione – è la tesi di Binney – avrebbero votato più persone di quante avessero diritto al voto. Lo riporta Nicola Zegrini sul blog “UnUniverso”, che segue attentamente i convulsi sviluppi della devastante controversia attorno al futuro della Casa Bianca. Che la partita sia tutt’altro che chiusa, a quasi due mesi dal voto, lo conferma Roberto Mazzoni, osservatore speciale dello scenario americano in veste di giornalista indipendente, basato in Florida. Preso atto che la Corte Suprema non intende pronunciarsi in tempo utile in merito ai presunti, colossali brogli – riasssume Mazzoni sul canale “MazzoniNews” – l’attenzione è puntata sul 6 gennaio, quando i parlamentari apriranno le buste dei grandi elettori (compresi quelli di Trump). Prima notizia: i repubblicani rifiuteranno di riconoscere Biden vincitore, avviando un lungo iter parlamentare in cui affioreranno molte prove a sostegno delle accuse di frode, già ora esibite in una speciale commissione istituita dal Senato.Nel frattempo – aggiunge Mazzoni – un colpo di scena potrebbe giungere da John Ratcliffe, capo della direzione nazionale dell’intelligence: nell’atteso rapporto, potrebbero emergere evidenze fornite dai servizi segreti, riguardo alla manipolazione informatica che avrebbe “gonfiato” l’apparente bottino elettorale di Biden, falsando il risultato. Che ci sia qualcosa nell’aria lo conferma lo scandalo SolarWinds: si apprende che un software (grazie ad hacker cinesi?) avrebbe violato, dalla scorsa primavera, i sistemi digitali che sovrintendono alla gestione di tutte le infrastrutture strategiche degli Stati Uniti. La relazione di Ratcliffe potrebbe quindi far scattare la procedura d’emergenza dell’Insurrection Act, prevista per proteggere le elezioni da ingenenze straniere. La sensazione, aggiunge Mazzoni, è che gli eventuali sviluppi in questa direzione potrebbero deflagrare appena dopo Natale: se esplodesse uno scandalo di quella portata, è ovvio che l’evento avrebbe un impatto decisivo anche sulla seduta parlamentare del 6 gennaio. Intanto, da Rudolph Giuliani si apprende che la strategia legale di Trump si starebbe spostando sull’acquisizione delle macchine elettorali di Dominion, nel tentativo di dimostrare la frode algoritmica che sarebbe stata programmata per truccare le elezioni. Saranno sequestrati, i dispositivi elettronici di Dominion?A farlo – sostiene “Brighteon”, in un post ripreso sempre da Zegrini – potrebbe essere l’avvocato Sidney Powell, appena nominata “consigliere speciale” del presidente Trump. La Powell ha avuto un lungo incontro alla Casa Bianca con il generale Michael Flynn e lo stesso Rudy Giuliani. Il giorno prima, Trump aveva avuto un lungo colloquio riservato con il nuovo ministro della difesa, Christopher Miller. Se Flynn ha chiesto apertamente Trump di ricorrere all’Insurrection Act per far ripetere le elezioni – sotto il controllo delle forze armate – nei 6 Stati dove i brogli avrebbero ribaltato i risultati, è stato lo stesso Trump a definire “fake news” le voci sul possibile intervento dei militari nella gravissima crisi politica e istituzionale che sta scuotendo l’America, dove i sondaggi confermano che la maggioranza degli statunitensi si sia convinta che le elezioni sarebbero state “rubate”. Esplosivo, in questo senso, lo scandalo SolarWinds: le macchine elettorali della Dominion potrebbero essere state violate durante le elezioni a causa della vulnerabilità della “backdoor” di SolarWinds.A confermare un’enorme alterazione dei numeri è lo stresso Bill Binney. L’analista sottolinea che, secondo il “Washington Post”, le presidenziali 2020 hanno registrato la più alta affluenza alle urne, da oltre un secolo. Ma è proprio vero? «Se tiriamo le somme, scopriamo un grosso problema», sostiene Binney su “Brighteon”, che spiega: «Gli elettori registrati negli Usa sono 213,8 milioni, e di questi risulta aver votato il 66,2% (cioè 141,5 milioni di votanti). Ma se Trump ha avuto 74 milioni di voti, rimangono solo 67,5 milioni di voti per Biden. Ciò significa che 13 milioni di schede sono state “create” – duplicate o inventate – in modo da essere contate per Biden». Secondo “The Gateway Pundit”, «Biden ha commesso frodi in ogni modo immaginabile, ma il grande furto è stato in milioni di voti fraudolenti che sono stati creati per rubare le elezioni». Milioni di voti, addirittura? «Questa è matematica: matematica molto semplice, che anche quelli di sinistra dovrebbero essere in grado di capire. Il team di Biden ha chiaramente commesso una frode di altissimo livello».I conti non tornano: l’operazione-Biden potrebbe aver “rubato” (o meglio, “fabbricato”) qualcosa come 13 milioni di voti, trasformando le presidenziali 2020 nelle elezioni americane più corrotte della storia. Lo afferma un popolare divulgatore statunitense come Bill Binney, sul canale “The Gateway Pundit”, vicino a Trump. In tutta la nazione – è la tesi di Binney, già dirigente della Nsa – avrebbero votato più persone di quante avessero diritto al voto. Lo riporta Nicola Zegrini sul blog “UnUniverso“, che segue attentamente i convulsi sviluppi della devastante controversia attorno al futuro della Casa Bianca. Che la partita sia tutt’altro che chiusa, a quasi due mesi dal voto, lo conferma Roberto Mazzoni, osservatore speciale dello scenario americano in veste di giornalista indipendente, basato in Florida. Preso atto che la Corte Suprema non intende pronunciarsi in tempo utile in merito ai presunti, colossali brogli – riasssume Mazzoni sul canale “MazzoniNews” – l’attenzione è puntata sul 6 gennaio, quando i parlamentari apriranno le buste dei grandi elettori (compresi quelli di Trump). Prima notizia: i repubblicani rifiuteranno di riconoscere Biden vincitore, avviando un lungo iter parlamentare in cui affioreranno molte prove a sostegno delle accuse di frode, già ora esibite in una speciale commissione istituita dal Senato.
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Usa, Mazzoni: ipotesi legge marziale, con elezioni da rifare
«Si può arrivare a una legge marziale parziale, dove le elezioni vengono rifatte sotto la supervisione dell’esercito. Oppure: se emergono situazioni di tradimento (intesa con paesi stranieri per modificare il risultato), allora la questione può essere dibattuta nei tribunali militari». Lo afferma Roberto Mazzoni, giornalista indipendente di stanza negli Usa, esplorando il più clamoroso dei possibili esiti delle controverse presidenziali 2020: accadrebbe nel caso in cui Trump attivasse l’ordine esecutivo predisposto il 12 settembre 2018 a protezione della sicurezza nazionale, nel caso emergessero ingerenze straniere nel voto americano. La notizia: interrogato dal Parlamento del Michigan (Stato in cui una perizia forense ha accertato margini di errore fino al 68%, attraverso i sistemi elettorali elettronici), l’amministratore delegato di Dominion ha ammesso, per la prima volta, che i computer elettorali sono stati connessi via Internet. Il che avvalora le accuse dell’ex colonnello Phil Waldron, specializzato in guerra informatica, secondo cui i sistemi elettronici di Dominion sarebbero facilmente violabili anche dall’estero. Per Waldron, nelle presidenziali del 3 novembre si sarebbero registrare interferenze da Cina, Iran e altri paesi.A rendere ufficiale l’accusa potrebbe essere l’attesa relazione di John Ratcliffe, direttore dell’intelligence nazionale. In altre parole: «Non è così stretta, la strada per Trump verso la riconferma alla Casa Bianca». Intervistato da “ByoBlu” il 17 dicembre, Mazzoni fornisce un quadro preciso della situazione negli Usa, strettamente monitorata: un’evoluzione rapida, anche se ignorata dai grandi media. «I sondaggi d’opinione confermano che i cittadini americani, in maggioranza, si sono convinti che le elezioni siano state truccate a vantaggio di Biden». Il candidato democratico, inoltre, si sta indebolendo a vista d’occhio a causa dello scandalo montante attorno al figlio, Hunter, accusato di traffico internazionale di valuta con la complicità della Cina. «Sono gli stessi esponenti democratici, ormai, a pretendere – in molti casi – che la famiglia Biden faccia chiarezza, su quelle accuse». Non solo: la Corte Suprema deve ancora pronunciarsi sulle nuove cause depositate dall’avvocato Sindey Powell sui presunti brogli negli Swing States, dove il risultato è stato improvvisamente ribaltato, in una notte, a favore di Biden, dopo che i funzionari avevano stranamente sospeso lo spoglio delle schede, per riprenderlo qualche ora dopo.L’Alta Corte ha sul tavolo anche l’analoga denuncia di Rudolph Giuliani, che rilancia le accuse del Texas e di altri 17 Stati: i giudici avevano rigettato in prima battuta l’opposizione del Texas, sostenendo che uno Stato non avesse titolo per contestare altri Stati, ma ora la denuncia (brogli estesi e decisivi, favoriti da regole improvvisate) è stata ripresentata a nome dei cittadini degli Stati pro-Trump, che – oltre ai brogli – accusano gli Swing States di aver cambiato in modo arbitrario e incostituzionale, all’ultimo minuto, gli stessi regolamenti elettorali. Poi c’è l’incognita parlamentare: «Il 6 gennaio verranno aperte le schede dei grandi elettori che il 14 dicembre hanno votato per Biden, ma anche quelle dei grandi elettori che, in parallelo, hanno votato per Trump», riassume Mazzoni. «La parola, a quel punto, passerebbe al Parlamento: è successo anche nel 1960, quando Nixon – apparso vincente a novembre – fu invece battuto da Kennedy a gennaio». Tra le ipotesi, anche la scelta di far eleggere il presidente dai parlamentari, facendoli votare “Stato per Stato”: «In quel caso vincerebbe probabilmente Trump, dato che i repubblicani controllano la maggior parte degli Stati».Secondo Mazzoni, la concretezza di questi possibili scenari emergerà giorno per giorno, costringendo anche i media a prendere atto di quello che l’opinione pubblica ha già intuto: e cioè che le presidenziali 2020 sarebbero state pesantemente inquinate da brogli così estesi da ribaltare letteralmente il risultato. Anche con l’intervento di paesi stranieri? Questa è di gran lunga l’opzione più pericolosa, che innescherebbe per legge lo stato d’emergenza. Phil Waldron, ricorda Mazzoni, ha esaminato i sistemi Dominion negli ultimi due anni: i problemi erano emersi già nelle elezioni di medio termine del 2018, al punto che Stati come il Texas si erano rifiutato di adottare Dominion. Per Waldorn, il sistema è facilissimo da penetrare dall’esterno: «Posso dimostrare – ha detto – che nelle presidenziali 2020 ci sono stati accessi da Cina, Iran e altri paesi». Secondo l’ufficiale, l’interferenza straniera c’è dunque stata. «Fino all’altro ieri, Dominion aveva sostenuto che le macchine elettorali non erano collegate a Internet, quindi non potevano essere penetrate dall’esterno», sottolinea Mazzoni. «E invece l’amministratore delegato di Dominion, John Poulos, comparso il 15 dicembre davanti al Parlamento del Michigan che lo ha interrogato in materia, ha ora confermato che le macchine vengono collegate, anche se per brevi periodi, tramite uno smartphone». Quindi, secondo Mazzoni, Poulos ha confermato indirettamente quanto detto da Waldron: se collego una macchina a Internet anche solo per dieci minuti, questa può essere manipolata. In più, «ci sono evidenze che confermano che i voti venivano tabulati dal sistema Dominion, e poi trasferiti a un server all’estero (si dice che fosse a Francoforte), dove il dato elettorale veniva ulteriormente elaborato».Waldron ha anche descritto ulteriori funzioni del software, che permettono l’accesso nel server dall’esterno in modo invisibile, o comunque non controllabile dall’amministratore ufficiale, e attraverso il server permettono di accedere anche alle singole macchine locali di raccolta dei voti. «Per un hacker, Dominion è come Babbo Natale: tutte le porte sono aperte, è possibile manipolare a distanza le informazioni», sintetizza il giornalista. «Vedremo se ora le intelligence confermeranno ufficialmente l’analisi di Waldron, comprese le intelligence militari». Il direttore generale delle 16 agenzie dei servizi segreti statunitensi, John Ratcliffe, ha già anticipato di aver “visto” l’interferenza straniera. Le relazioni di intelligence, su questo aspetto, subiranno un probabile ritardo, rispetto alla scadenza inizialmente prevista (18 dicembre). «Ma siamo già sulla rampa di lancio dell’ordine esecutivo, che ha a che fare con la sicurezza nazionale: il discorso non è più solo limitato al fatto che un partito avrebbe barato, facendo votare anche i morti e persone inesistenti, o conteggiando fino a 8 volte le stesse schede». La domanda diventa: un paese straniero, in modo premeditato e dimostrabile, ha davvero interferito con le elezioni? E’ intervenuto sul sistema e ha modificato i risultati? «Già la possibilità di accesso al sistema costituisce un rischio».E’ chiaro, aggiunge Mazzoni, che una mossa di questo genere – impugnare l’ordine esecutivo – innescherebbe forti reazioni: «Quindi è necessario fare prima tutti i passi possibili, legali e politici, per risolvere la questione in altro modo». D’altro canto, prosegue Mazzoni nella sua analisi, Trump sembra totalmente determinato a non lasciar correre: «Nel momento in cui i sondaggi dicono che più della metà della popolazione è convinta che questa è stata un’elezione fasulla, nessuno ci assicura che non lo sarà anche la prossima. Anzi, se questa è stata così, la prossima potrebbe essere anche peggiore: si tratta quindi di riaffermare la credibilità del sistema democratico negli Usa, e anche di riaffermare l’efficacia dello stesso sistema giudiziario (finora totalmente assente: i giudici non hanno fatto altro che dire “non è di mia competenza”, “è troppo tardi”, evitando cioè di pronunciarsi nel merito, sugli eventuali brogli)». Per Mazzoni «è necessario ricostruire la fiducia nelle istituzioni, nel tessuto democratico del paese, visto che più della metà della popolazione è convinta di esser stata imbrogliata».Quanto a Joe Biden, «nessuno crede che sarà lui a governare, anche se dovesse arrivare alla presidenza: sappiamo che a decidere sarebbe Kamala Harris, così come era Dick Cheney a governare quando presidente era George W. Bush». Le indagini esplose su Hunter Biden (riciclaggio di denaro, con la complicità della Cina) mettono Joe Biden in grave imbarazzo. Le notizie di stampa su Hunter Biden – aggiunge Mazzoni – sono probabilmente un autogol: facevano parte del piano iniziale per screditare Biden e spalancare le porte della Casa Bianca a Kamala Harris, candidata di Obama supportata da Wall Street, ma i “registi” dell’operazione (che hanno incoraggiato i media a “sparare” sul figlio di Biden) sarebbero stati troppo precipitosi: avrebbero cioè “dato per morto” troppo presto Trump, che invece è tutt’altro che fuori gioco. «Non è affatto scontato che Biden venga certificato vincitore: la strada per Trump non è così stretta come tendono a dipingerla i grandi media». Nel caso invece venisse davvero eletto Biden, comunque, «dopo un po’ Kamala Harris assumerebbe anche ufficialmente il comando, divenendo presidente, con Nancy Pelosi alla vicepresidenza». Mazzoni però si mostra perplesso, su questo esito: le quotazioni di Trump sarebbero in continua crescita.«Nel partito repubblicano una porzione sempre maggiore di esponenti si sta schierando con Trump, compresi i politici che all’inizio non erano allineati col presidente: si stanno compattando, nella convinzione di poter arrivare alla vittoria». Nel frattempo, aggiunge sempre Mazzoni, è emerso che il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha speso 500 milioni di dollari per creare un’infrastruttura elettorale parallela a quella degli Stati: «Clamoroso, vuol dire che le elezioni vengono “privatizzate” da Facebook e per giunta usando illegalmente soldi esentasse, visto che Zuckerberg li ha tratti dal budget destinato a donazioni caritative?». In pratica, «Facebook avrebbe costretto i funzionari elettorali a seguire le sue regole, negli Swing States dove già erano state alterate le regole elettorale statali con il pretesto del Covid». Uno spettacolo che, al Pentagono, dev’esser stato valutato come ben poco edificante. «Siamo quindi di fronte a una situazione che vede una buona parte delle forze armate allineate con Trump, benché si voglia evitare il più possibile l’intervento dei militari», conclude Mazzoni. E l’intelligence? «Se Ratcliffe si è già pronunciato sull’interferenza, significa che le cose possono svilupparsi in modo favorevole, per Trump. Il presidente ha detto: ora vediamo chi è con noi e chi è contro, e diamo il tempo a chi è stato contro di noi redimersi, se vuole. Ha ancora qualche per giorno, per farlo: poi si tireranno le somme».«Si può arrivare a una legge marziale parziale, dove le elezioni vengono rifatte sotto la supervisione dell’esercito. Oppure: se emergono situazioni di tradimento (intesa con paesi stranieri per modificare il risultato), allora la questione può essere dibattuta nei tribunali militari». Lo afferma Roberto Mazzoni, giornalista indipendente di stanza negli Usa, esplorando il più clamoroso dei possibili esiti delle controverse presidenziali 2020: accadrebbe nel caso in cui Trump attivasse l’ordine esecutivo predisposto il 12 settembre 2018 a protezione della sicurezza nazionale, nel caso emergessero ingerenze straniere nel voto americano. La notizia: interrogato dal Parlamento del Michigan (Stato in cui una perizia forense ha accertato margini di errore fino al 68%, attraverso i sistemi elettorali elettronici), l’amministratore delegato di Dominion ha ammesso, per la prima volta, che i computer elettorali sono stati connessi via Internet. Il che avvalora le accuse dell’ex colonnello Phil Waldron, specializzato in guerra informatica, secondo cui i sistemi elettronici di Dominion sarebbero facilmente violabili anche dall’estero. Per Waldron, nelle presidenziali del 3 novembre si sarebbero registrare interferenze da Cina, Iran e altri paesi.
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Facci: non siamo sudditi, disobbedire può essere un dovere
Primum vivere, secundis disobbedire. Perché la disobbedienza non è né giusta né sbagliata: la disobbedienza è un fatto acclarato, accettato, interpretato ogni giorno dalla totalità della popolazione italiana. No, non si parla del fisco o dei limiti di velocità, ma della sopravvivenza italiana al tempo del Covid. Un paese dove il governo (figurati questo) non è il maestro e il cittadino non è lo scolaro: non quello a cui insegnare le cose per come dovrebbero funzionare in un paese normale, talvolta europeo, un paese dove le regole si rispettino e quindi sia normale obbedirvi. La nostra realtà è un’altra: questo governo fa schifo come nessuno mai, il cittadino medio è civilmente acerbo e avvezzo ad arrangiarsi, e soprattutto da lassù – da qualche palazzo occupato da parvenu – nessuno ha più di tanto da insegnarci. Non è anti-politica, o, se lo è, è un anti-politica ad personam che si specchia nel nostro quotidiano vivere. Quindi andiamo con Margherita Hack: «La disobbedienza civile è necessaria quando le leggi sono contro la democrazia e la libertà. C’è il dovere di opporsi a una legge sbagliata». Proseguiamo con Indro Montanelli: «Più che comandare io preferisco disobbedire», eco di quanto già scrisse Jean-Jacques Rousseau: «Sarà difficile ridurre all’obbedienza chi non ama comandare».Scendiamo di qualche gradino (deve perdonarci) col buon Attilio Fontana, che l’altro ieri su “Libero” ha detto che comprende chi disobbedisce alle regole, perlomeno quelle palesemente assurde e cambiate continuamente, tipo il divieto di visitare parenti che abitano a pochi chilometri di distanza ma risultano in un altro Comune; tipo il divieto di circolare tra regioni dal 21 dicembre, tipo il non creare assembramenti dentro i negozi lasciando però che si creino nelle file fuori; tipo chiudere i ristoranti ligi alle regole. Ma è inutile e fuorviante fare degli elenchi, ora: di principio, occorre obbedire a tutte le regole, ma solo nella consapevolezza che l’unico semaforo che regolerà la realtà resterà appunto il senso di realtà, il principio di sopravvivenza. E qui ci permettiamo una citazione di Sergio Moroni, il deputato socialista che si suicidò il 2 settembre 1992 lasciando una lettera in cui ricordava «una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire i comportamenti che violano queste regole». La differenza è che a definire regole e leggi, nel 1992, era una classe politica comunque autentica, benché spazzata via dal ciclone giudiziario.Certo, il dovere civico viene sempre prima di tutto: anche prima di se stessi e prima della propria indole. Ma chi lo pensa – chi ritiene che il dovere sia al di sopra di tutto – ha bisogno di essere comandato essenzialmente dalla propria coscienza, se ne ha una. Chi lo pensa – che il dovere sia al di sopra di tutto – in genere però non si arroga anche il diritto di comandare ai propri simili, di additarli, rompergli i coglioni perché c’è un pezzo di naso che spunta dalla mascherina. Non obbedire ciecamente alla stupidità è quasi un dovere civico, ormai; la propensione a obbedire e bersi qualsiasi cazzata ministeriale, facendo pure da delatore contro il vicino di casa, è invece ciò che trasforma il cittadino in suddito. Solo i sudditi, per inciso, si faranno spiegare nel dettaglio come potranno passare il Natale. In concreto, dunque, che cosa abbiamo? Abbiamo ciò che concretamente vediamo (e ufficialmente non vediamo) tutti i giorni: migliaia di auto che non vanno tutte al lavoro, dove non tutti hanno la “giustificazione”, o se ce l’hanno spesso è farlocca, anche risibile, come lo è l’improvviso e irresistibile impulso di fare un pezzetto di spesa ogni giorno, andare in farmacia tutti i giorni, dal tabaccaio anche se non fumi, e dal barbiere, a trascinare il famoso cane ormai stremato, a fare jogging praticamente da fermi; insomma, quello che sappiamo, quello che vediamo.Notarella personale: vivo vicino a Milano Due, che ufficialmente è nel Comune di Segrate per una decina di metri: credete che chi vi abita, quotidianamente, non sconfini perché gliel’ha detto Giuseppe Conte? Non c’è da nascondere la mano, né c’è da fare esibizionismo della propria devianza. Già capitò allo scrivente di annunciare che sarebbe uscito nonostante i divieti: lo feci mettendomi mascherina e guanti (all’epoca guai se non mettevi i guanti, oggi guai se li indossi) per andare in una lontana montagna dove avrei rischiato di incontrare al massimo una capra; lo facevo in spregio a un governo indegno e cialtrone che si illudeva di poter giocare a tempo indeterminato con le mie libertà individuali e con il mio diritto di parola e di espressione. Lo facevo continuando a rispettare le distanze come tutti i cittadini dovrebbero fare, e come dovranno fare ancora per parecchio. Lo facevo tuttavia rifiutando di mettere “app” sul telefono perfettamente inutili (come si è rivelato) e lo facevo, e ancora faccio, senza affollare autostrade e raccordi e domeniche agostane dopo che il governo aveva sin troppo cambiato le regole, ma non aveva cambiato un buonsenso che è solo nostro e non possiamo ricondurre banalmente a obbedire o non obbedire. Il buonsenso è quello che ti fa rispettare sempre e comunque le forze dell’ordine. Il buonsenso è di chi si prende le responsabilità delle proprie violazioni formali.Il buonsenso è di chi non canta canzoni al balcone come un esibizionista deficiente, non appende bandiere conformiste: ma pensa con la propria testa e si confronta con regole che possono essere sacrosante o perfettamente idiote. Il vero pericolo è chi non disobbedisce per principio (mai) e accetta indiscriminatamente anche le regole di uno Stato che ha fatto i veri danni. Le regole del «siamo prontissimi» e «abbraccia un cinese», le regole di chi ha fatto ridicole gare Consip che hanno fatto perdere tempo decisivo, le regole di chi ha emesso decreti al rallentatore che hanno fatto partire per il Sud mezza Italia, di chi ha dato il tempo agli Stati confinanti di non venderci più neanche una mascherina, di chi ha fatto zone rosa, poi rosso annacquato, mandato in militari in Val Seriana salvo dirottarli altrove, di chi ha diviso le regioni per colori, di chi ha rinchiuso i bambini in casa ma ha liberato i cani, e poi non ha fatto assolutamente nulla per un’intera estate: salvo scrivere – il ministro della sanità – il libro “Perché guariremo”, sullo sfondo di un’Italia che ora sta morendo. Un’Italia dove c’è chi non ha realmente da mangiare, non ha risparmi, e ora non dovrebbe avere neanche le libertà fondamentali sulla base dell’ultima luna, dell’ultimo provvedimento, dell’ultimo cialtrone appiccicato alla poltrona con la scorta per sé e per la fidanzata. Obbedire è un dovere. Disobbedire, all’occorrenza, anche.(Filippo Facci, “Quando disobbedire è un dovere”, da “Libero” del 10 dicembre 2020).Primum vivere, secundis disobbedire. Perché la disobbedienza non è né giusta né sbagliata: la disobbedienza è un fatto acclarato, accettato, interpretato ogni giorno dalla totalità della popolazione italiana. No, non si parla del fisco o dei limiti di velocità, ma della sopravvivenza italiana al tempo del Covid. Un paese dove il governo (figurati questo) non è il maestro e il cittadino non è lo scolaro: non quello a cui insegnare le cose per come dovrebbero funzionare in un paese normale, talvolta europeo, un paese dove le regole si rispettino e quindi sia normale obbedirvi. La nostra realtà è un’altra: questo governo fa schifo come nessuno mai, il cittadino medio è civilmente acerbo e avvezzo ad arrangiarsi, e soprattutto da lassù – da qualche palazzo occupato da parvenu – nessuno ha più di tanto da insegnarci. Non è anti-politica, o, se lo è, è un anti-politica ad personam che si specchia nel nostro quotidiano vivere. Quindi andiamo con Margherita Hack: «La disobbedienza civile è necessaria quando le leggi sono contro la democrazia e la libertà. C’è il dovere di opporsi a una legge sbagliata». Proseguiamo con Indro Montanelli: «Più che comandare io preferisco disobbedire», eco di quanto già scrisse Jean-Jacques Rousseau: «Sarà difficile ridurre all’obbedienza chi non ama comandare».
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Della Luna: brevetti già dal 2006 per vaccinare i “Covidioti”
A furia di lockdown e di paura alimentata dalle istituzioni col gonfiare il numero dei morti e col nascondere i veri dati (quasi nessuno muore di Covid-19, l’età media dei morti è 82 anni – Istituto Superiore di Sanità), il popolo è stato portato ad agognare il vaccino per esasperazione e senza pensare. Eppure ci sarebbe molto, su cui riflettere. Voci insistenti, ovviamente dichiarate ‘fake’, di un brevetto americano (US7888102B1-2[i]) per il Covid-19 nel 2006, e anche di uno europeo per il suo vaccino (EP 3172319B1) – controllate voi stessi! – entrambi legati a Pfizer, Glaxo, Gates, Pirbright Foundation, che ritroviamo con l’Oms e lo Usaid nel famoso laboratorio di Wuhan. Un forte dubbio che tutto sia stato programmato oltre 10 anni fa, che tutto si svolga come da copione. Un vaccino dagli ignoti effetti collaterali, perché non testato: ci vorrebbero 10 anni per quelli normali, ma questo è il primo che agisce su Rna e Dna, modifica il nostro Dna in modo che produca le proteine del virus, che scatenano le difese immunitarie contro di noi – un alto rischio di autodistruzione, secondo alcuni medici. E diversi esperti, persino Burioni, ammettono che non se lo inietteranno o aspetteranno un anno (intanto si vedrà che cosa succede a chi lo riceve).Il rischio primario sono malattie degenerative, tumori e demenze in testa, nonché autoimmuni – un rischio che si potrà verificare solo fra 10 anni: è una vaccinazione sperimentale, proibita dal Trattato di Norimberga. Un pensiero unico, o storytelling, obbligato e difeso con la censura e l’oscuramento del dissenso: da radiazioni ai medici che parlano; da una classe di scienziati che, per i fondi e per la carriera, dipendono da Big Pharma; dalla grande finanza; dalla politica; dal militare. Quindi non sono indipendenti né affidabili. Non disponiamo di esperti indipendenti dal business. Dobbiamo perciò valutare e decidere in base alle nostre capacità personali. Una classe politica che vive di corruzione e un’industria farmaceutica abituata a corromperla per guadagnare (De Lorenzo, Poggiolini – ricordate?) e con una lunghissima fedina penale (anche per stragi compiute con vaccini), che non esiterebbe, per lucro, a sabotare la salute della gente onde aumentare gli acquisti di farmaci, e a pagare i parlamentari per rendere i vaccini obbligatori per legge.Un Parlamento che non rappresenta più l’elettorato e ha sospeso la Costituzione, che appoggia golpe governativi a ripetizione, dominato da un partito, il M5S, che conserva la poltrona facendo il contrario di ciò che aveva promesso per farsi eleggere, e da un altro, il Pd, storico braccio politico del capitalismo finanziario globale e predatore; due partiti pronti a togliere diritti costituzionali a chi non si lascerà vaccinare. Un popolo ancora ignaro del disastro economico che lo aspetta in primavera, e in gran parte ormai ammaestrato con la paura e con l’inganno a richiudersi in casa a comando, come le galline, rinunciando ai diritti fondamentali civili e politici e al principio di legalità, per non parlare della dignità. Un mondo che scoppia di inquinamento e di sovrappopolazione, con un’economia automatizzata e finanziarizzata che ha bisogno di sempre meno gente come lavoratori e consumatori, e non sa dove mettere i disoccupati. Se la popolazione va ridotta, allora meglio eliminare chi si vuole vaccinare… Confesso che quello sopra era il mio pensiero finché non ho ascoltato governi seri, come quello britannico, quello giapponese, quello statunitense, dichiarare ufficialmente di aver accertato che i vaccini sono efficaci e persino innocui. Non è la parola di Faraone o Speranza o Conte: ora possiamo fidarci, quando verrà il nostro momento di subire la vaccinazione.(Marco Della Luna, “Covidioti di tutto il mondo, vaccinatevi!”, dal blog di Della Luna del 4 dicembre 2020).A furia di lockdown e di paura alimentata dalle istituzioni col gonfiare il numero dei morti e col nascondere i veri dati (quasi nessuno muore di Covid-19, l’età media dei morti è 82 anni – Istituto Superiore di Sanità), il popolo è stato portato ad agognare il vaccino per esasperazione e senza pensare. Eppure ci sarebbe molto, su cui riflettere. Voci insistenti, ovviamente dichiarate ‘fake’, di un brevetto americano (US7888102B1-2[i]) per il Covid-19 nel 2006, e anche di uno europeo per il suo vaccino (EP 3172319B1) – controllate voi stessi! – entrambi legati a Pfizer, Glaxo, Gates, Pirbright Foundation, che ritroviamo con l’Oms e lo Usaid nel famoso laboratorio di Wuhan. Un forte dubbio che tutto sia stato programmato oltre 10 anni fa, che tutto si svolga come da copione. Un vaccino dagli ignoti effetti collaterali, perché non testato: ci vorrebbero 10 anni per quelli normali, ma questo è il primo che agisce su Rna e Dna, modifica il nostro Dna in modo che produca le proteine del virus, che scatenano le difese immunitarie contro di noi – un alto rischio di autodistruzione, secondo alcuni medici. E diversi esperti, persino Burioni, ammettono che non se lo inietteranno o aspetteranno un anno (intanto si vedrà che cosa succede a chi lo riceve).