Archivio del Tag ‘mistificazione’
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Tulsi Gabbard, l’unica politica non complice del Deep State
Mentre succede di tutto, in America…. Mentre l’impunito Israele bombarda la Siria un giorno sì e l’altro pure, nel compiacimento generale e con i russi zitti; mentre forse l’accordo tra Usa e Taliban, che taglia fuori i fantocci corrotti del teatrino di Kabul, pone fine (malvista dal “Manifesto”: “le donne!”) a 19 anni di stragi Usa-Nato di civili afghani e di maxi-produzione di eroina per l’Occidente; mentre non passa giorno che gli Usa non facciano stragi di civili in Somalia, “effetti collaterali” dei bombardamenti sugli Shabaab; mentre le milizie Isis allevate da Usa, Israele, Erdogan e petrotiranni terrorizzano Siria, Egitto, Libia, Africa, Europa; mentre l’Occidente sostiene il regime golpista di Al Serraj in Libia, tenuto in piedi dalla peggiore feccia jihadista di Misurata, garante anche del traffico Ong di sradicati africani ma caro alle nostre sinistre imperiali e di destra; mentre un virus, trasformato da normale influenza in peste bubbonica, serve a satanizzare la Cina, bloccare la Via della Seta, sperimentare stati d’assedio e di neutralizzazione sociale… mentre succede tutto questo, qualcuno inizia a fare il tifo per l’uno o l’altro candidato nelle primarie del Partito Democratico statunitense.Burattini di Bilderberg sul campo: ci si divide tra un supermiliardario, 9° al mondo per ricchezza, Bloomberg, che le primarie e, forse, la presidenza, se le compra a suon di milionate, a dispetto delle sue performance Tv da brocco azzoppato, e una “liberal”, Warren, che però è simpatica al Pentagono e da Wall Street è la più foraggiata. Oppure tra uno scaturito sindaco di un villaggio dell’Indiana, Buttigieg, che sembra un fumetto da Cocco Bill, epperò per tutta la vita ha bazzicato più i servizi segreti che non il saloon del paese e quindi ha i voti della Cia, e un totalmente rincoglionito malvivente, Biden, che ricattava, lui sì, il governo ucraino perché non processasse il figliolo lestofante, e però gode del consenso afroamericano, dato che è stato vice di un presidente nero. La crème de la crème delle primarie democratiche: pian piano i nostri sinistri imperialisti di destra, “Manifesto” in testa, devono – il distintivo esibito lo impone– rassegnarsi ad abbandonare queste ipotesi, pur viste finora con simpatia, e schierarsi con il sinistro vero, socialdemocratico, forse addirittura socialista, sconfitto nel 2016 da Hillary a forza di trucchetti sporchi del Comitato Nazionale Democratico (Dnc). Che non è altri che il 77enne Sanders. Bernie, per i fan.Sanders, il neocon sociale! Dice, ma come? Ma se questo Sanders, dopo aver chiesto sanità per tutti e aumenti salariali, s’è detto pronto (al “New York Times”) ad appoggiare un attacco preventivo a Iran e Corea del Nord? Ma come, se ha concluso, con Pompeo e tutti i neocon, che Putin è un farabutto e che ha messo le zampe sulle elezioni americane di ieri e di oggi e fa da sgabello a Trump? Ma come, se – pur dopo aver affermato che Netanyahu é uno zotico – dichiara che tutto il resto di Israele gli sta bene e che l’ambasciata Usa deve restare trasferita a Gerusalemme? Cosa rispondono i sinistri imperiali su questo vecchietto in piena sintonia con l’imperialismo neocon e dello Stato Profondo? Ma cosa devono rispondere, se la pensano come lui! Dopo il ticket Bloomberg-Hillary, allucinazione apocalittica di cui qualcuno però già vocifera e lei non smentisce, cosa ci sarebbe di meglio del “socialista” Sanders? Ma c’è un’altra concorrente alle primarie, anche se non va ai battibecchini Tv. L’avete mai sentita nominare?Si chiama Tulsi Gabbard, senatrice dell’Alaska; è giovane e bella, ma è già una veterana di ripetute missioni militari in Iraq da ufficiale della Guardia Nazionale. Dalle quali ha tratto l’unica posizione anti-guerra e antimperialista di tutto il cucuzzaro democratico-repubblicano che concorre alla presidenza. Ha compiuto l’indicibile: è andata da Bashar al Assad, presidente della Siria in resistenza da 10 anni, e ha detto che ha ragione. Ha detto che è una vergognosa mistificazione chiamare i terroristi Isis e Al Qaida “ribelli” e cianciare di “guerra civile”. Ha detto che tutte le guerre e tutti gli ammazzamenti Usa devono finire. E ha sbagliato ancora una volta, definendo il vecchio compare degli Usa nell’allevamento dei ratti terroristi e neo-alleato in Nato grazie ai massacri compiuti in Idlib, «dittatore turco aggressivo, integralista ed espansionista», e intimando a Trump di «non farsi trascinare in una guerra contro la Russia». Tutto il contrario di quanto da parte degli altri bravi candidati si auspica. Non ha perso l’attimo, Hillary, per sentenziare (per questo da Tulsi querelata) che la senatrice Gabbard non è altro che un arnese dei russi. Come tutti quelli fuori dal giro euro-atlantico. Soros l’ha definita la massima sciagura che possa capitare agli Usa e al mondo. Una garanzia, per noi. E non volete che campioni del giornalismo indipendente, come “New York Times”, “Washington Post” e Cnn, non abbiano subito rilanciato l’infamante, incapacitante anatema? Ora sapete perché in Italia non se ne parla. Men che mai sul “Manifesto”.(Fulvio Grimaldi, “Altro che Sanders o altri fasulloni: zitti zitti, negli Usa spunta un’antimperialista vera”, dal blog “Mondocane” del 1° marzo 2020. Nel frattempo, alcuni candidati citati – Bloomberg, la Warren, Buttigieg – si sono ritirati, ma l’analisi di Grimaldi offre un ritratto impietoso dei candidati scesi in campo per arginare Trump).Mentre succede di tutto, in America…. Mentre l’impunito Israele bombarda la Siria un giorno sì e l’altro pure, nel compiacimento generale e con i russi zitti; mentre forse l’accordo tra Usa e Taliban, che taglia fuori i fantocci corrotti del teatrino di Kabul, pone fine (malvista dal “Manifesto”: “le donne!”) a 19 anni di stragi Usa-Nato di civili afghani e di maxi-produzione di eroina per l’Occidente; mentre non passa giorno che gli Usa non facciano stragi di civili in Somalia, “effetti collaterali” dei bombardamenti sugli Shabaab; mentre le milizie Isis allevate da Usa, Israele, Erdogan e petrotiranni terrorizzano Siria, Egitto, Libia, Africa, Europa; mentre l’Occidente sostiene il regime golpista di Al Serraj in Libia, tenuto in piedi dalla peggiore feccia jihadista di Misurata, garante anche del traffico Ong di sradicati africani ma caro alle nostre sinistre imperiali e di destra; mentre un virus, trasformato da normale influenza in peste bubbonica, serve a satanizzare la Cina, bloccare la Via della Seta, sperimentare stati d’assedio e di neutralizzazione sociale… mentre succede tutto questo, qualcuno inizia a fare il tifo per l’uno o l’altro candidato nelle primarie del Partito Democratico statunitense.
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Magaldi: altro che Global Compact, serve una rivoluzione
Global Compact? “Ma mi faccia il piacere”, avrebbe detto Totò. Chi dovrebbe globalizzarli, i diritti? L’élite neoliberista che ha imbrogliato i francesi imponendo loro un ducetto come Macron, al quale infatti oggi la Francia si ribella? Non è più tempo di buonismi pelosi, o di dichiarazioni di principio altisonanti e destinate a restare lettera morta. Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, c’è poco da scherzare: l’Italia gialloverde traballa ingloriosamente sotto la scure dell’Ue, proprio mentre i Gilet Gialli paralizzano Parigi e almeno 7 francesi su 10 parteggiano per la rivolta di strada. E’ lo specchio perfetto, dice Magaldi, del vero volto della globalizzazione-canaglia, a senso unico, messa in piedi a esclusivo beneficio delle multinazionali finanziarie. La stessa élite vorrebbe imporre l’accoglienza illimitata dei migranti col patrocinio dell’Onu? Ridicolo, anche perché le Nazioni Unite non sono più una cosa seria. «Hanno fallito, come prima di loro la Società delle Nazioni». Che fare? «Per esempio creare una Organizzazione Mondiale delle Democrazie, capace di gestire il mondo rimettendo al centro la politica». Sogni? Sì e no: dipende da quali meccanismi si mettono in moto. «E la situazione, oggi, per molti aspetti è pre-rivoluzionaria, non solo nella Francia di Macron».In una conversazione a ruota libera su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” all’indomani della “resa” di Macron alle richieste dei Gilet Gialli, che chiedono che il governo annulli tutte le misure di austerity annunciate, Magaldi parte proprio dalle polemiche sul Global Compact. Un’intesa solo pletorica e fondata su impegni non cogenti, peraltro già boicottata da vari pesi massimi della politica mondiale. Eppure c’è chi la indica come pericoloso cavallo di Troia dell’élite neoliberista, che promuove l’emigrazione di massa per abbassare il costo del lavoro in Occidente a spese dei lavoratori autoctoni. Sdoganare l’emigrazione come fenomeno fisiologico? Mai e poi mai, protesta – sempre in web-streaming con Frabetti – un altro “roosveltiano” come Gianfranco Carpeoro: «Vorrei vedere nelle nostre strade solo studenti africani e turisti africani, non africani che abbiamo costretto a scappare dai loro paesi». Magaldi concorda: il potere che oggi difende l’esodo di massa è il primo responsabile dell’impoverimento di milioni di persone, nel cosiddetto terzo mondo. L’immigrazione va controllata, è ovvio. Ma per scoraggiarla serve una riconversione globale della politica, ad esempio mettendo fine al saccheggio dell’Africa. A patto comunque che non si pretenda di alzare muri: impensabile isolare le popolazioni entro le gabbie nazionali, in un pianeta ormai completamente interconnesso (e spesso felicemente, grazie al contatto tra culture diverse).Il problema semmai è nel manico, insiste Magaldi: è impossibile far applicare un qualsiasi Global Compact, così come gli stessi innumerevoli trattati sul clima, perché manca un potere decisionale democratico mondiale. Manca, per lo spesso motivo per cui finora la mondializzazione non è stata certo democratica: è stata finora condotta da oligarchie private, ricorda Magaldi, a partire dall’inizio degli anni ‘90, subito dopo il crollo dell’Urss e la nascita dell’Ue, e poi con la deregulation finanziaria e l’ingresso del colosso cinese nel Wto. Ad oggi abbiamo visto solo una globalizzazione di merci e capitali. «La libera circolazione delle persone? Si è favorita un’immigrazione incontrollata, creando competizione tra poveri e abbassamento del costo della manodopera». Altri danni, ai sistemi sociali occidentali (leggasi: lavoratori) sono stati provocati dalle delocalizzazioni industriali. Fermare tutto e tornare ai dazi nazionali degli uni contro gli altri? Pessima idea: «In passato, le politiche protezionistiche sono sfociate in guerre sanguinose. E oggi si avrebbero comunque guerre economiche cruente, alla fine non convenienti per nessuno».Per Magaldi, serve «una globalizzazione di diritti, opportunità e democrazia». Facile a dirsi, certo. Ma intanto, chi lo dice, nel mainstream politico dominato da polemiche sempre più accese? «In Italia – aggiunge Magaldi – l’immigrazione rischia di diventare solo un mezzo, strumentale, per creare tensioni sociali (e in questo caos, poi, sappiamo che le solite “manine” si muovono in termini opachi)». Che fare? Semplice, in teoria: dobbiamo «mettere all’ordine del giorno mondiale una rivalutazione della politica, che deve tornare a essere il centro decisionale di ogni cosa che riguardi i livelli locali e globali». E cioè: «Ripensare gli interessi globali, valorizzando gli equilibri e le risorse locali». Sarebbe la migliore risposta a questa globalizzazione, «sorretta dall’ideologia neoliberista e gestita soprattutto da poteri privati». Al contrario, bisogna «puntare una globalizzazione gestita, a livello apicale, da poteri politici globali». Dovevano farlo prima la Società delle Nazioni e poi l’Onu. Due fallimenti storici. Una cosa è certa: così non si andrà lontano. Meglio allora «pensare a una trasformazione dell’Onu, verso una nuova politica democratica che abbia l’ultima parola nei grandi processi decisionali».Sbaglia, chi pensa di poter contrastare poteri sovranazionali e apolidi (cioè incarnati da avventurieri senza patria), rintanandosi «nel fittizio calduccio delle comunità nazionali». Quelle stesse comunità, sostiene Magaldi, le vedremmo «sempre scosse da poteri più ampi, di natura globale: che vanno contrastati e ricollocati nella loro giusta dimensione da poteri politici altrettanto globali». Poteri che – a quel punto – potrebbero anche costruire democraticamente un vero Global Compact, ben diverso da questa aleatoria dichiarazione d’intenti non vincolante («molto rumore per nulla, salvo enunciazioni sottoscrivibili, a favore dell’estensione dei diritti umani, se non sapessimo che sono soltanto parole»). In altri termini: «Se vogliamo essere concreti, bisogna che gli organi preposti ad attuare questi principi abbiano un potere cogente, però democratico e non calato dall’alto». Premessa: «Dobbiamo essere capaci di riflettere sulla natura del mondo che vogliamo». Prima di scrivere qualsiasi Global Compact, cioè, occorrerebbe disporre di una vera Organizzazione Mondiale delle Democrazie, «che sostituisca l’attuale Onu ed escluda anche dal circuito commerciale delle merci e dei capitali i paesi privi di standard democratici, premendo su di essi – anche con sanzioni economiche – perché i loro regimi evolvano verso forme democratiche».La verità, insiste Magaldi, è che questo tipo di globalizzazione – l’unica vista finora – ha deluso molti, perché al primo posto non c’è la diffusione mondiale della democrazia e dei diritti. Ultima cartina di tornasole: i francesi. «Alle elezioni sono stati obnubilati dalla mistificazione mediatica: bastava guardare cos’era Macron, consulente economico di Hollande e poi ministro del governo Valls voluto da Hollande». Appunto: «In che modo poteva rappresentare una soluzione di continuità rispetto a Hollande che, eletto a furor di popolo per rappresentare il campione anti-austerity e anti-Merkel in Europa, aveva tradito tutte le aspettative? Le ha tradite anche Macron». Al primo turno, Macron aveva ottenuto solo pochi decimali più dei concorrenti, «poi al ballottaggio contro Marine Le Pen avrebbe vinto chiunque». Oggi la democrazia francese appare bloccata: «Fintanto che un certo tipo di opposizione si radicalizzerà in gruppi politici infecondi, l’altro candidato avrà sempre la meglio». Vincerà sempre il più “moderato”, si sarebbe detto un tempo. Non è più vero: «In Francia come altrove, oggi la parola “moderazione” non significa più nulla», se è vero che Macron – dietro l’apparenza – era il candidato dell’élite economica più pericolosamente estremista, come dimostra l’esasperazione di massa dei Gilet Gialli.Insurrezione, la loro – non proprio rivoluzione, «che però ha un enorme valore per lo spirito messo in evidenza», sottolinea Magaldi: «Qui c’è un popolo, un’avanguardia popolare largamente sostenuta dal paese, che dice basta: denuncia l’insostenibilità di salari che, al netto delle tasse, non consentono di arrivare alla fine del mese. Ed è la fotografia, appunto, di una cattiva globalizzazione, dove i ricchi sono sempre più ricchi, mentre per la gran parte della popolazione la fetta da spartire si è ridotta, e la classe media è stata compressa persino nella ricca e opulenta Francia». Qualunque economista, oggi, ammette che è cresciuta enormemente la disuguaglianza: si è fatto enorme il divario tra ricchi e poveri, in questa «iniqua e stupida modalità di gestire la globalizzazione». Stupida ma, beninteso, «figlia di un’impostazione raffinata, perversa e intelligente nel produrre i suoi effetti, che spero – dice Magadi – saranno l’occasione per produrre una grande rivoluzione democratica».La stupidità di questi globalizzatori, spiega il presidente del Movimento Roosevelt, sta «nel pensare che si poteva impunemente gestire la globalizzazione in questi termini, e che in Francia – dopo il bluff e la delusione di Hollande – si poteva impunemente imporre al popolo francese un damerino, un cicisbeo inconsistente come il fratello massone Macron, fintamente progressista e fintamente europeista». Un personaggio che invece di proporsi come presidente della Francia, «propinando ricette economiche analoghe a quelle del suo più modesto alter ego italiano Matteo Renzi», avrebbe fatto meglio a «rimanere nella sua vita privata di collaboratore bancario», uomo di fiducia della filiera Rothschild. «Oggi più che mai – aggiunge Magaldi – gestire il futuro dell’Europa è un compito che richiede persone con uno spessore molto diverso. Purtroppo invece abbiamo una classe dirigente europea che è fatta di cialtroni e di mediocri. E infatti, «da bravo cialtrone», dopo aver sbagliato «adesso Macron fa atto di contrizione e torna sui suoi passi», rimangiandosi i provvedimenti che hanno provocato la rivolta dei Gilet Gialli.«Io credo che Macron dovrebbe invece dimettersi», taglia corto Magaldi. E già che c’è, all’ex enfant prodige dell’Eliseo converrebbe «confessare che stessa costruzione della sua presidenza è figlia di una visione sbagliata dei rapporti sociali ed economici». Lo stesso Magaldi ne approfitta per citare il filosofo statunitense John Rawls, massone progressista come i Roosevelt, i Kennedy e lo stesso Keynes, tutti sostenitori del libero mercato integrato nel welfare: «Non c’è niente di male nell’arricchirsi, purché non si tolga agli altri l’essenziale per una vita dignitosa e felice. Invece, la pretesa perversa che ha guidato sin qui la globalizzazione e la stessa Europa, sia a livello di tecnocrazie continentali che di singoli governi, è che i ricchi possano arricchirsi a dismisura, mentre masse di diseredati si debbono contendere le periferie e la stessa classe media, ormai scomparsa, vede ridotta sempre di più la propria capacità di spesa, in un mondo occidentale che peraltro è ricco di opulenza – altro che penuria di risorse! – ma sono sempre di meno quelli che possono approfittarne in modo adeguato». Questa, aggiunge Magaldi, «è la pretesa, la hybris, l’arroganza infingarda» dell’attuale élite neoliberista.Quanto ai Gilet Gialli, «sebbene questa non credo sia una rivoluzione ma un’insurrezione ancora scomposta», il clima generale – francese, ma anche europeo e mondiale (senza contare l’Italia, dove si gioca una partita importante) – secondo Magaldi «è quello che in qualche modo precede una rivoluzione, spero pacifica e democratica». Il governo italiano, fra l’altro, «ha il dovere di guardare a quello che accade in Francia, e di capire che – così come ha deluso le aspettative Macron – rischia di deludere le aspettative del popolo italiano (e anche di altri popoli, che guardano all’Italia come a una possibile avanguardia)». Stiano attenti, i gialloverdi: «Con una spallata potrebbero abbattere questo Mago di Oz collettivo, di cui Macron era parte». O meglio: “potevano”, con una spallata, «tener davvero fede a quell’atteggiamento muscolare che Salvini realizza soltanto a chiacchiere». E invece l’Italia «sta come uno scolaretto che si fa prendere per le orecchie e si fa riscrivere la manovra per restare dentro quegli stessi parametri astratti che adesso Macron, campione di quei parametri e di quella cattiva Europa, si appresta a violare in modo netto». Ora è “pentito” e “contrito”, Macron: ma se farà quello che oggi promette, cioè quello che chiedono i Gilet Gialli, andrà ben oltre i limiti imposti dall’Europa all’Italia. In altre parole: ne vedremo delle belle. Insiste Magaldi: fidatevi, tutto è in rapida evoluzione. E clima lascia presagire esiti rivoluzionari.Global Compact? “Ma mi faccia il piacere”, avrebbe detto Totò. Chi dovrebbe globalizzarli, i diritti? L’élite neoliberista che ha imbrogliato i francesi imponendo loro un ducetto come Macron, al quale infatti oggi la Francia si ribella? Non è più tempo di buonismi pelosi, o di dichiarazioni di principio altisonanti e destinate a restare lettera morta. Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, c’è poco da scherzare: l’Italia gialloverde traballa ingloriosamente sotto la scure dell’Ue, proprio mentre i Gilet Gialli paralizzano Parigi e almeno 7 francesi su 10 parteggiano per la rivolta di strada. E’ lo specchio perfetto, dice Magaldi, del vero volto della globalizzazione-canaglia, a senso unico, messa in piedi a esclusivo beneficio delle multinazionali finanziarie. La stessa élite vorrebbe imporre l’accoglienza illimitata dei migranti col patrocinio dell’Onu? Ridicolo, anche perché le Nazioni Unite non sono più una cosa seria. «Hanno fallito, come prima di loro la Società delle Nazioni». Che fare? «Per esempio creare una Organizzazione Mondiale delle Democrazie, capace di gestire il mondo rimettendo al centro la politica». Sogni? Sì e no: dipende da quali meccanismi si metteranno in moto. «E la situazione, oggi, per molti aspetti è pre-rivoluzionaria, non solo nella Francia di Macron».
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Il Corsera: solo lo spread è reale, il popolo è un’invenzione
Il “Corriere della Sera”, in un editoriale di Angelo Panebianco, è arrivato a sostenere che lo spread è reale, mentre il popolo è un’astrazione, non esiste, se non nella propaganda sovranista. Panebianco rispondeva a una semplificazione demagogica, ma la conclusione a cui portava era questa: il popolo è un’invenzione dei populisti; lo spread, invece, è vero e vivo nel regno della finanza, quindi esiste quasi in natura… Ecco come capovolgere la realtà che ci dice esattamente l’inverso: le difficoltà della gente, il carovita, i disagi popolari, la forte pressione fiscale, la mortificazione delle sovranità popolari e nazionali sono cose reali e realmente vissute, mentre quel coefficiente finanziario è un’entità fittizia, che appare e scompare a comando, usata per colpire i governi sgraditi e non allineati. Tutti i precedenti governi avevano indebitato il paese e sforato i limiti ma solo ad alcuni suona il campanello d’allarme dello spread. Arrivo a dire che lo spread diventa reale, acquista vita, quando si abbatte su un’entità vera, fatta di carne e sangue, che è il popolo.Ma per i cosiddetti giornaloni, compreso un autorevole e solitamente realista politologo come Panebianco, il popolo è una diceria dei populisti, una vanteria dei sovranisti. In ogni caso la vita reale dei popoli è subordinata all’assetto contabile della finanza. Anzi, è considerata retorica fascista evocare il popolo, è un’entità fittizia. Invece l’umanità, la donna, le classi, i gender, i migranti sono reali?… Anche l’Italia è per loro un’astrazione, una truffa retorica e fascistoide; invece l’Europa, la modernità, il progresso, no, perdio, quelle sono Verità Assolute e Incontestabili. Ora a noi la manovra economica che si va profilando non piace, almeno sul versante grillino, e in alcuni tratti – dal reddito di cittadinanza alle pensioni – ci appare veramente odiosa e immorale, quasi un incubo da cui vorremmo svegliarci.Ma un conto è diffidare di chi parla in nome di entità generali, di chi non considera le differenze in seno al “popolo”, di chi fa demagogia egualitaria o di chi crede all’utopia pericolosa dell’autogoverno del popolo; un altro è ritenere che ogni universale, ogni entità generale sia fittizia, mentre la finanza sia la vita autentica. Addio democrazia, politica, città, nazioni allora e addio pensiero, scienza e fede: sono tutte astrazioni universali, di vero c’è solo il debito o il differenziale coi bund tedeschi… Il popolo non esiste mentre lo spread si, perché così hanno stabilito le oligarchie tecno-finanziarie. E il popolo deve pagare anche se non esiste… Ma paga come singolo contribuente. Siamo alla mistificazione assoluta e alla prevaricazione senza appello. Come quando si dice che le nazioni non esistono più da quando c’è l’Unione Europea, salvo poi accollare all’Italia il peso degli sbarchi… Poi vi meravigliate se crescono i populisti.(Mercello Veneziani, “Lo spread esiste, il popolo no”, da “Il Tempo” del 17 ottobre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il “Corriere della Sera”, in un editoriale di Angelo Panebianco, è arrivato a sostenere che lo spread è reale, mentre il popolo è un’astrazione, non esiste, se non nella propaganda sovranista. Panebianco rispondeva a una semplificazione demagogica, ma la conclusione a cui portava era questa: il popolo è un’invenzione dei populisti; lo spread, invece, è vero e vivo nel regno della finanza, quindi esiste quasi in natura… Ecco come capovolgere la realtà che ci dice esattamente l’inverso: le difficoltà della gente, il carovita, i disagi popolari, la forte pressione fiscale, la mortificazione delle sovranità popolari e nazionali sono cose reali e realmente vissute, mentre quel coefficiente finanziario è un’entità fittizia, che appare e scompare a comando, usata per colpire i governi sgraditi e non allineati. Tutti i precedenti governi avevano indebitato il paese e sforato i limiti ma solo ad alcuni suona il campanello d’allarme dello spread. Arrivo a dire che lo spread diventa reale, acquista vita, quando si abbatte su un’entità vera, fatta di carne e sangue, che è il popolo.
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“Vaccinare” i bambini da una religione che li mette in croce
L’idea di un rapporto sui danni della dottrina cattolica è recente, nella forma di divulgazione popolare. Nella mia attività professionale e clinica ho avuto modo di verificare e raccogliere una serie di connessioni tra modalità formative che tendono a deprimere l’identità psico-affettiva nella costituzione evolutiva della persona e le inevitabili conseguenze nella determinazione del destino individuale e sociale dell’uomo. Il mondo reale è, infatti, una rappresentazione di ciò che è stato impresso nella fase costituente dell’Io. Alice Miller, per esempio, ne “La persecuzione del bambino” cerca con ansia di mettere in guardia gli educatori dagli effetti della pedagogia nera della religione. Ma la stessa razionalità è utile solo se possiamo educare a riconoscere gli stili formativi che producono un accumulo di cattiveria, di distruttività e di infelicità nell’uomo. L’insegnamento cristiano è falsamente improntato all’amore universale: basta guardare il simbolo genetico del cristianesimo, il crocifisso e ciò che esso rappresenta, per capire la componente di ambivalenza sadica e masochista che questo “amore” veicola nell’inconscio dei bambini.Il sacrificio come premessa, l’esordio della vita nella colpa, l’inquietante percezione di un uso distorto dell’autorità del genitore, equiparato a Dio, nell’espropriare il corpo del figlio e nel farne l’oggetto da distruggere per le proprie incarnazioni mistiche. Quale amore ha bisogno di sacrifici umani? Può la salvezza dell’umanità derivare dalla disgrazia procurata a un incolpevole? Si tratta di perversione, di cannibalismo affettivo e domestico! Come può accadere che una tale deviazione della coscienza si affermi in modo così radicale nella cultura dell’Occidente? Perché l’intellettualità europea, salvo poche eccezioni, per lo più originate dall’ambiente di cultura ebraica, non sa rilevare l’evidenza di una tale incongruità con i precetti fondamentali del rispetto umano? Perché ci si ostina a ritenere degne di fede false acquisizioni razionali e a falsificare la storia stessa senza suscitare una opposizione netta tra coloro che si dicono laici? Ho cercato di dare le risposte a questi quesiti in due saggi: “Pinocchio eroe anticristiano. Il codice della nascita nei processi di liberazione” (Edizioni Sapere, Padova, 2000), e “Il furore di Nietzsche. La nascita dell’eroe e della differenza sessuale (Cleup, Padova, 2005).Ora, con l’estendersi dell’interesse su questi temi, al di fuori della tradizionale banalità dell’ateismo che cercava di dimostrare la non esistenza materiale di Dio, il gruppo dell’axteismo si è prefisso di registrare i danni della esistenza di Dio come categoria della mente e dell’educazione di massa. Dov’era Dio, si chiedono in tanti, mentre in Europa imperversavano i roghi crematori della Shoà? Il Dio cristiano e antigiudaico della tradizione era là! Logica conseguenza dell’odio che aveva seminato per secoli e anche, in quegli anni, sulle pagine dell’organo vaticano, la “Civiltà Cristiana”. Era assente solo sui banchi degli imputati a Norimberga, dove si è negata la verità inconfutabile che gli ebrei sono stati perseguitati in quanto tali – ebrei – da una identità culturale altra ed egemone: i cristiani!Mai il cristianesimo ha subito le conseguenze dei suoi insegnamenti ambigui, di un amore sadico, improntato alla sofferenza come valore e all’infelicità dell’esistenza reale. Da Annamaria di Cogne ai giovani assassini di Satana, la cronaca registra le forme del disagio radicato nelle istanze della religione che continua impassibile a rivendicare per sé il diritto all’egemonia sull’etica e sulla morale.E’ invece evidente che la presenza dei valori cristiani (sopportazione, peccato, sangue e demonio) è stata l’unica istituzione sempre garantita nei luoghi del degrado umano ed economico, non solo non riuscendo ad apportare modifiche strutturali alle cause della sofferenza, ma legandosi in modo complementare e ambivalente con le dinamiche stesse dell’ingiustizia e dell’ignoranza. Soluzioni? Al di là di un auspicabile risveglio della ragione di fronte alle palesi deformità introdotte dalla religione cristiana, cattolica in particolare, nelle basilari nozioni di igiene degli affetti e del rispetto umano; al di là delle incredibilmente gravi (e in parte inesplorate) responsabilità storiche che un amore così immaturo ha inculcato nella soggettività dell’Occidente, resta ancora non risolto il nodo centrale della comprensione profonda di questo fenomeno. Non è sufficiente contrapporre il darwinismo al conato del creazionismo nelle tendenze regressive del presente. E’ necessario aprire gli armadi di una conoscenza così gravosa da recepire in termini estesi, da essere rifiutata largamente anche nelle fasce della popolazione “di sinistra” in Italia.Dietro la religione e i suoi dettami di crudeltà oggettiva nei rapporti pedagogici tra generazioni, si legittima il motore stesso dell’alienazione sessuale della donna (quindi dell’intera umanità), la sua esclusione da una completa individuazione e responsabilità sociale. La mistificazione di questo importantissimo tema è tale da riferire l’ambito delle discussioni unicamente al conflitto tra sessi. Niente di più sbagliato. Lo studio dell’esegesi analitica del mito, come accade con lo studio dei sogni e del simbolismo in generale applicato alla letteratura e all’arte, rivela nel racconto cristiano (eucaristia, spirito santo e pos-sesso sulla figlia Maria, negazione del ruolo del padre, incarnazione nel corpo dei figli con le stimmate sessuali femminili del sangue e del dolore) l’estensione in termini socializzati della psicologia della Grande Madre intesa nel senso junghiano (Erich Neumann, “Storia delle origini della coscienza”, Astrolabio).L’alienazione della donna madre, unitamente all’enorme potere neuro-affettivo che il mistero del parto-creazione comunque le conferisce (nella fisiologia dei mammiferi), connota l’identità dell’Eterna Fattrice di una attribuzione divina da sempre riconosciuta nelle culture di ogni epoca, a partire dalle più remote. La religione in genere, in Occidente la religione cristiana, è esattamente l’espressione più coerente della psicologia della Grande Madre. Da qui deriva l’invisibilità e la radicale impunibilità delle istanze anche sadiche (ma ammantate di profonda affettività) del cristianesimo. Da qui l’assoluta incongruenza tra buon senso, ragione e fede. La madre può sbagliare, essere immatura negli affetti, esigere tributi di sangue, e tuttavia conservare intatta la forza del suo potere che le deriva dall’aver “pettinato” i neuroni e l’identità affettiva dei nati da lei, uomini e donne. Dalla natività di un essere destinato al rito di sangue e martirio, al controllo delle istanze sessuali e di generazione, alle perversioni mistiche del corpo martoriato esposte dalla ginecologia religiosa dell’arte sacra, la religione non è solo un’istanza del potere politico o culturale: essa è innanzitutto la realtà di una inveterata e radicata violenza domestica, una affezione profonda perseguita con tenacia anche da chi non si dice praticante e tuttavia, difende il cristianesimo nella sua essenza.Per lo stesso motivo il cristianesimo ha resistito ad ogni critica razionale, anche se riconosciuta valida e dimostrata. Ma non è più lecito tollerare un uso anti-umano del potere degli affetti, diretto specialmente contro i bambini e la loro aspettativa di vita! Alla base di tutto ciò, c’è un paradosso intrinseco alla natura sessuale dell’umanità che evidenzia come solo la figlia, in quanto femmina, può divenire più grande e potente del suo creatore, che è la madre. Unicamente lei, non il maschio vezzeggiato, può procreare e mettere in mora il ruolo di potere generazionale della madre! Solo alla luce di questa premessa si possono comprendere i legami di senso che uniscono riti crudeli contro la giovane donna, che non è ancora madre, come l’infibulazione (rito di ingresso della giovane nel clan delle donne adulte), la cacciata con maledizione e colpa della figlia Eva dalla gratuità domestica per partorire con dolo e dolore, e – peggiore di tutte – lo spossessamento del corpo e della sessualità della figlia Maria da parte della madre spirito-santo, trinità cristiana che già incorpora il sistema intero di padre e figlio.Alcuni lessici del linguaggio comune rivelano la natura matriarcale della Chiesa: “Don” è contrazione di “donna”, è anche il suono del batacchio sotto la gonna-campana, iconologia della madre che in sé trattiene il figlio-fallo, nella fattispecie il prete; “duomo” è la fusione di donna-uomo: i frati recano il cordone ombelicale ancora non reciso alla vita, le suore il velo placentale segno di possesso della madre; il divieto all’uso della sessualità sottolinea la centralità e l’obbedienza all’unico sesso della madre. Nel caso del racconto dei Vangeli, la giovane donna semplicemente viene privata del diritto di succedere alla madre nel potere di una autonoma procreazione; l’infelicità che ne consegue si riverbera nel rapporto con l’uomo, nel masochismo congenito che la lega al persecutore, nella depressione post-partum o sterilità. Maria non ha sesso e non ha un amante, che invece la tradizione ebraica conferisce ad Eva. Lo stesso tema del conflitto tra matrigna e figlia viene trattato, ma risolto (!), nelle fiabe: Cenerentola, la Bella Addormentata, Biancaneve.L’entità unica matriarcale proposta dal modello cristiano imperversa, invece, nell’illusione di vivere due esistenze in una: la sua e quella della figlia che le appartiene per diritto di invidia (individia). Il figlio Cristo, esito nella figlia di questa mancanza di riconoscimento della proprietà sessuale, prodotto di un tale spossessamento, nato per caso inopinato (per virtù dello Spirito Santo e non di una libera scelta), non può che essere un… povero cristo! E tale sarà il suo destino. Sul suo corpo reso femminile con la ferita nel costato (da cui era nata Eva) e dagli attributi di innocenza, passività ed esclusione, convergono le istanze femminili irrisolte dell’infelicità e dell’immaturità affettiva. Lo scarico sul corpo mistico dell’uomo femminilizzato e mestruato (Cristo, Che Guevara o Padre Pio) costituisce il punto di saldatura e di scarico emotivo della innaturale fusione tra madre e donna (ma-donna), sempre a scapito della giovane e del rinnovo di generazione. Ecco che Cristo ha una funzione lenitiva attraverso la rappresentazione della sua morte nel ma-sacro (sacralità materna). In questo modo il cerchio mistico dell’incesto cristiano si alimenta di dolore, perversione e controllo.Guai a toccare questa figura sanguinante, avvolta nel sudario della placenta sindone! Si tollera l’intollerabile pur di non riconoscere il conflitto tra generazioni al femminile! Cosa si può fare per porre rimedio a questa barbarie nella civiltà degli affetti? Provate voi a spiegare alle masse di “credini” (credenti passivi) e “fedenti” (credenti in cattiva fede) quali istanze innaturali e contrarie alla naturale emancipazione della sessualità si riproducono nella formazione pedagogica cristiana. Noi da tempo combattiamo una battaglia impari contro le istituzioni alienate dello sfruttamento che, conseguentemente e coerentemente con la disumanità del credo, si sono stabilizzate in accordo e reciproco sostegno con la religione. Non è forse vero che, in economia, ogni Azienda Madre controlla e possiede le azioni delle sue filiali? Non è forse vero che il nazismo (primato di nascita e madre-patria) e il razzismo fondino le loro ragioni sul diritto di sangue e di appartenenza forzata, che sono attributi del codice materno? E i misfatti sanguinosi delle “nostre cose”, nella tragica epica di Cosa Nostra, non sono forse ascrivibili ad una affiliazione di mafia intorno al corpo centrale del “mammasantissima”?Non è semplice capire fino a che punto si estendano le implicazioni di una sub-cultura matriarcale degli affetti al tempo stesso potente, disumana e incontrollata. Essa confonde uomini e donne in una esistenza crudele e alienata. Chi riporta danni psicologici, in seguito a una certa dottrina, può essere recuperato? Occorre mettere in atto strategie di recupero e di consapevolezza in larghi strati della popolazione. Sempre Alice Miller dimostra la ineluttabile relazione tra formazione affettiva e qualità della vita. Tuttavia in Italia, non una sola ora di educazione alle ragioni della laicità è stata organizzata nei programmi scolastici nazionali! Eppure lo Stato italiano è nato su criteri di latinità pre-cristiana, la scienza (Giordano Bruno, Galilei) si è costituita intorno ad un nucleo anticristiano, il Rinascimento è stato possibile solo grazie alla riscoperta dei classici greci, l’antifascismo e la Liberazione non ha visto il Vaticano attivo contro i regimi, bensì schierato dall’altra parte.Il meglio prodotto in Italia (compresa l’arte sacra, che non era certo frutto di stinchi di santo) è stato ispirato da una visione laica e democratica della vita e del corpo. Proporre la necessaria questione della emarginazione del cristianesimo nel novero delle opzioni del privato incontra oggi una resistenza fortissima, in tutti i settori. Nella migliore delle ipotesi si tende a sminuire il problema e a lasciare intatte le contraddizioni. Non si pensi tuttavia che questa sia una battaglia di retroguardia: è la prima volta che si pone in modo cosciente e radicale la proposta concreta di rendere visibile al largo pubblico le responsabilità, non solo storiche, ma formative e causali del cristianesimo. Il problema è la fede in sé o l’apparato che ogni religione monoteista costruisce intorno al proprio credo? Il credo monoteista sta ad indicare la centralità del ruolo sessuale della madre (anche se incarna corpi maschili) nel costruire la dinamica degli avvenimenti della realtà. Perfino la storia recente dimostra che la religione è più efficace della politica nel determinare gli eventi; per questo è importante che si voglia sapere dei reali contenuti trasmessi.Di per sé la religiosità è un fattore umano compatibile con la civiltà, a patto che si sia consapevoli delle istanze che si veicolano nel racconto di fede che poi diviene prescrizione e istanza morale. Sarebbe altresì necessario che le rappresentazioni religiose e rituali rimanessero tali, ossia distinte dall’imposizione di un credo che confonde il simbolico con il reale. Per esempio, il fatto di celebrare la festa della nascita a dicembre con il rito dei doni da parte di Babbo Natale non deve imporre la necessità dell’inganno sulla reale esistenza di un personaggio della fantasia come se fosse reale! Una cosa è la naturale progressione che i bambini attuano nel distinguere la fantasia dalla realtà, altra cosa è la pelosa e deleteria attitudine degli adulti di vedere realizzate le proprie istanze di insoddisfazione infantile facendo credere per forza l’esistenza del falso. Forse che non si può giocare o godere di un rito gioioso sapendo che è un rito in quanto tale?Le religioni monoteiste non sono uguali negli effetti delle istanze da esse inoculate fin dalla più tenera età. Non sempre è facile riconoscere, nel confronto, il grado di pericolosità; infatti, concorrono altri fattori nelle società a influenzare gli effetti del credo. In Occidente la cultura laica e razionalista ha attenuato enormemente gli effetti già deleteri del cristianesimo; oltre alla secolare reclusione e sterminio degli ebrei, si pensi all’analogo scempio attuato nelle Americhe: è un vizio congenito al cristianesimo, la crudeltà. Nei paesi arabi l’islamismo non si giova di una analoga progressione sociale. L’ebraismo ha invece individuato le corrette radici del problema, proponendosi in termini di patto (Akedà) tra generazioni. Sempre la madre si pone nel ruolo di Dio (l’appartenenza ebraica è matrilineare), ma conferisce il potere della legge terrena (Dio verso Mosè) al ruolo paterno. L’esatto opposto della regressione cristiana, che rimanda il padre nella vacuità dei cieli o nel pleonasmo di un vecchio e sterile sposo. Nell’ebraismo la madre ideale è colei che è disposta a separarsi dal figlio purché egli viva (il giudizio di Salomone); nel cristianesimo la madre è entità globale, indistinta, inglobante e distruttiva, come la Grande Madre del clan o gregge pre-sociale.Ogni religione rimane comunque una opzione implicita della coscienza su temi che invece sono alla portata della comprensione umana. Meglio sarebbe una civiltà fondata sulla capacità di rappresentare, senza obbligo di fede, tutte le istanze dell’animo umano. La tradizione dei Greci in questo è maestra. Dibatterne pubblicamente? Personalmente non esito a rischiare attacchi personali o scomuniche di varia natura, poiché ritengo una battaglia di assoluta civiltà rendere visibili gli effetti dell’ignoranza e della malafede. Bisogna battersi in tutti i campi della società per affermare una civiltà ed una igiene degli affetti. So per certo che è possibile. Se qualcuno vuole reagire con la consueta violenza già riscontrata nella storia di fronte agli avanzamenti della coscienza e della società, è avvisato: noi siamo pronti. Esiste una minoranza numerica di individui che è già maggioranza qualitativa nel distinguere e rendere visibili i fantasmi dell’inconscio retaggio di una aggressività non risolta. Si tratta di individuare i percorsi di una emancipazione ulteriore per adeguare la consapevolezza umana allo sviluppo della tecnologia e all’inedito potere che essa conferisce all’uomo. Le nuove potenzialità richiedono una dilatazione della coscienza per far sì che ciò che abbiamo costruito non sia rivolto contro di noi, ma a vantaggio di una integrazione con la natura, di cui siamo e restiamo una cosciente emanazione.(Sergio Martella, dichiarazioni rilasciate a “Cristianesimo.it” per l’intervista “Tesi sull’oggettiva e palese pericolosità psichica dell’insegnamento cristiano”, ripresa dal blog “La Crepa nel Muro” dell’11 agosto 2014. Psicologo e psicoterapeuta, il professor Martella è docente presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Padova).L’idea di un rapporto sui danni della dottrina cattolica è recente, nella forma di divulgazione popolare. Nella mia attività professionale e clinica ho avuto modo di verificare e raccogliere una serie di connessioni tra modalità formative che tendono a deprimere l’identità psico-affettiva nella costituzione evolutiva della persona e le inevitabili conseguenze nella determinazione del destino individuale e sociale dell’uomo. Il mondo reale è, infatti, una rappresentazione di ciò che è stato impresso nella fase costituente dell’Io. Alice Miller, per esempio, ne “La persecuzione del bambino” cerca con ansia di mettere in guardia gli educatori dagli effetti della pedagogia nera della religione. Ma la stessa razionalità è utile solo se possiamo educare a riconoscere gli stili formativi che producono un accumulo di cattiveria, di distruttività e di infelicità nell’uomo. L’insegnamento cristiano è falsamente improntato all’amore universale: basta guardare il simbolo genetico del cristianesimo, il crocifisso e ciò che esso rappresenta, per capire la componente di ambivalenza sadica e masochista che questo “amore” veicola nell’inconscio dei bambini.
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Magaldi: imbecilli a reti unificate minacciano Lega e 5 Stelle
Imbecilli: lasciano credere che il debito dello Stato sia come quello della tabaccheria sotto casa, esposta con la banca. Imbecilli pericolosi: perché scrivono sui giornali e parlano ogni sera in televisione. Somari in buona fede, disastrosamente ignoranti, o vecchi marpioni in malafede? «Non so cosa sia peggio», dice Gioele Magaldi: una persona intelligente puoi sempre persuaderla, mentre di fronte a un cretino non ci sono speranze. Gli imbecilli di turno? Quelli che cercano di spaventare gli italiani, bocciando le “mirabolanti promesse” dell’ipotetico governo gialloverde di Salvini e Di Maio. Lega e 5 Stelle, in realtà, stanno terrorizzando solo l’establishment: i professori della catastrofe, i notai dell’infame declino del paese. Le loro ricette hanno devastato l’Italia, eppure insistono: bisogna tagliare redditi e consumi, senza capire che – per quella strada, se il Pil non cresce – poi a esplodere è proprio il debito, inevitabilmente. «Arriva a comprenderlo anche un mediocre studente di economia, ma non gli imbecilli che ci parlano ogni giorno sui giornali e in televisione», dice Magaldi, in una diretta web-streaming su YouTube con Marco Moiso, in cui rilancia un nome fortissimo per Palazzo Chigi: quello dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt.
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La stampa vile e bugiarda sulla vergogna di Israele a Gaza
«Ho appena sentito il Gr2 della Rai chiedere ad un “esperto” dell’università privata Luiss il suo autorevole parere sulla strage di palestinesi. Costui ha spiegato che i palestinesi, soprattutto quelli legati ad Hamas, fanno troppi figli e poi li mandano al massacro alle frontiere di Israele che, magari con qualche eccesso, si difende. Questo schifo è ciò che gran parte di stampa e Tv italiane dicono sulla strage». Così Giorgio Cremaschi commenta, su “Contropiano”, l’ultima mattanza commessa da Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, insorta dopo il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, neo-proclamata capitale dello Stato ebraico: 55 dimostranti uccisi e centinaia di feriti, abbattuti dai cecchini dell’esercito. «Se un massacro di ben lunga inferiore a questo ci fosse stato in uno dei paesi che l’Occidente considera nemici dei diritti e della democrazia – scrive Cremaschi, già leader sindacale Fiom e ora vicino a “Potere al Popolo” – noi saremmo bombardati da titoli di giornali e servizi tv di condanna. Invece Israele per la nostra stampa ha licenza di uccidere. Se uccide quotidianamente senza troppo clamore, allora si censura. Se il sangue deborda e la strage è colossale allora si mistifica».Per la stampa italiana, che Cremaschi definisce «vile e bugiarda», la colpa di tutto è la rabbia dei palestinesi, «naturalmente senza altre spiegazioni che la loro naturale cattiveria, fomentata dai terroristi di Hamas». Un orrore filmato, fotografato: «I soldati vili e criminali che dal sicuro dei loro nascondigli con fucili di precisione assassinano i manifestanti, adulti e bambini, non sono terroristi, ma “tutori dell’ordine”. Le bombe d’artiglieria e degli aerei, i gas, sì i gas sulla popolazione civile sono “legittima difesa”. I volti sorridenti nel mare di sangue della famiglia Trump e di Netanyahu non fanno orrore, essi sono “diplomazia amica”». Inutile sperare che un po’ di giustizia affiori, dal racconto mediatico quotidiano: «Tutto viene falsato, distorto, coperto. La stampa italiana diventa complice degli assassini di Israele nel modo più disgustoso. E tacciono i difensori di regime dei diritti umani, i Saviano e compagnia, che qui si tappano bocca, occhi, orecchie». Era già accaduto con la carneficina di “Cast Lead”, l’Operazione Piombo Fuso scatenata da Israele a cavallo tra 2008 e 2009, con bombe al fosforo bianco (armi illegali di distruzione di massa) lanciata sulla popolazione di Gaza: 1400 morti, secondo l’Onu, e settimane di inaudito silenzio da parte dei media mainstream.«Tutto questo a me provoca il vomito», protesta Cremaschi. «Per questo mi tappo la bocca, lo faccio contro la vergogna della stampa italiana e dei suoi maestri di pensiero». E aggiunge: «Nessuno che abbia coperto o attenuato i crimini di Israele ha più ragione morale di parlare di diritti e democrazia. Falsi e ipocriti, vergognatevi». Una condanna senza appello: «Mi tappo un attimo la bocca davanti al vostro schifo, ma poi riprenderò ad urlare: abbasso l’apartheid assassino di Israele, viva la Resistenza del popolo di Palestina». Artisti internazionali come Brian Eno e Roger Waters dei Pink Floyd hanno lanciato rumorose campagne civili contro “l’apartheid” israeliano che discrimina i palestinesi, ma nemmeno le rockstar sono riuscite a perforare il muro di omertà che protegge i crimini del governo di Tel Aviv, denunciati anche dall’isolato eroismo del movimento dei Refuseniks, gli obiettori militari israeliani (soldati che preferiscono il carcere alle missioni di bombardamento contro i quartieri della Striscia). Non c’è speranza che i Refuseniks – ultimo caso eclatante, quello del ventenne Udi Segal – possano “bucare” il piccolo schermo italiano, dominato da telegiornali-camomilla e talkshow occupati militarmente (quelli sì) dai cantori della nientologia politica corrente, asservita al regime che assegna ai banchieri della Bce l’unica sovranità rimasta all’ex Europa dei popoli, quella che esisteva prima dell’Unione Europea.«Ho appena sentito il Gr2 della Rai chiedere ad un “esperto” dell’università privata Luiss il suo autorevole parere sulla strage di palestinesi. Costui ha spiegato che i palestinesi, soprattutto quelli legati ad Hamas, fanno troppi figli e poi li mandano al massacro alle frontiere di Israele che, magari con qualche eccesso, si difende. Questo schifo è ciò che gran parte di stampa e Tv italiane dicono sulla strage». Così Giorgio Cremaschi commenta, su “Contropiano”, l’ultima mattanza commessa da Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, insorta dopo il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, neo-proclamata capitale dello Stato ebraico: 55 dimostranti uccisi e centinaia di feriti, abbattuti dai cecchini dell’esercito. «Se un massacro di ben lunga inferiore a questo ci fosse stato in uno dei paesi che l’Occidente considera nemici dei diritti e della democrazia – scrive Cremaschi, già leader sindacale Fiom e ora vicino a “Potere al Popolo” – noi saremmo bombardati da titoli di giornali e servizi tv di condanna. Invece Israele per la nostra stampa ha licenza di uccidere. Se uccide quotidianamente senza troppo clamore, allora si censura. Se il sangue deborda e la strage è colossale allora si mistifica».
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Magaldi: a casa, con Renzi, tutti i dirigenti dell’ipocrita Pd
E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale: «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».Le elezioni? Tutto come previsto: il grande sconfitto è Renzi, che ha solo finto di alzare la voce con l’Ue. L’altro perdente annunciato è Berlusconi, «quindi esce sconfitto quell’auspucio, caldeggiato anche da ambienti sovranazionali, che è stato uno dei moventi di questa legge elettorale». Sipario sul “Renzusconi”, cioè sulle larghe intese «convergenti verso questa melassa centrista infeconda che ha caratterizzato anche le passate legislature, da Monti in poi: esecutivi che hanno fatto tutti lo stesso mestiere, a quanto pare inviso agli italiani, che questa volta hanno dato una bella bastonata a questa prospettiva». Così Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio” il giorno dopo il voto. Una tornata ricca di conferme: «Come immaginato, nessuno ha vinto davvero: grandi exploit da Salvini e dai 5 Stelle, ma nessuno di loro ha i numeri per governare da solo». Terza previsione azzeccata: «Nulla sarà più come prima», ma siamo piombati in una palude: «E le paludi sono feconde, come il concime». Mattarella darà la precedenza al centrodestra, la coalizione meglio piazzata, o ai 5 Stelle primo partito? Un’alleanza tra grillini e Pd de-renzizzato «sarebbe un abbraccio singolare, dopo che il Pd ha demonizzato i 5 Stelle come fossero gli Unni». Eppure, «questa alleanza potrebbe vedere il favore di Mattarella, ed è quella verso cui si è mosso Di Maio». Per contro, escludere i 5 Stelle, cioè i più votati in assoluto, «sarebbe una beffa: impensabile, ai tempi della Prima Repubblica».Per Magaldi «cambieranno molte cose di giorno in giorno: ciò che oggi appare improbabile potrebbe mutare prospettiva, oltre questo scenario così ostico». Emergeranno soluzioni «difficili da concepire con gli schemi di prima del voto». Alla fine, «sulle difficoltà politiche prevarranno le possibilità numeriche». Molto dipenderà dal presidente della Repubblica: nel 2013, Napolitano dette a Bersani solo un incarico esplorativo ufficioso. «Constatando l’eccezionalità della situazione», aggiunge Magaldi, «anziché lasciare tutto all’interno nel Palazzo», il Quirinale potrebbe passare la palla al Parlamento, «per vedere chi ci sta, sulla base di un programma, a formare un governo». Certo, la “palude” è infida. Ma almeno, il voto ha stabilito una tendenza: ha reso chiaro «quello che gli italiani non vogliono». Ovvero: «C’è il desiderio di affrancarsi da un corso politico: direi che l’ingloriosa storia della Seconda Repubblica finisce qui». C’è da rivalutare semmai la tanto vilipesa Prima Repubblica, «in cui un paese in ginocchio dopo la guerra, dopo la sconfitta della barbarie nazifascista, in pochi decenni era diventato una grande potenza industriale». Ma c’era un paradigma vigente – la spesa pubblica strategica, chiave del successo storico del “made in Italy”: paradigma abbattuto dal ‘92 in poi. «E questi signori, che sono venuti a raccontarci le “magnifiche sorti e progressive” che con la Seconda Repubblica si sarebbero avverate in Italia e in Europa, oggi escono di scena», sintetizza Magaldi. «Compaiono altri attori, dalle prospettive incerte».Un voto “utile”, comunque, a ramazzare via gli orpelli polverosi. Come “Liberi e Uguali”, che Magaldi definisce «una follia pianificata». E spiega: «Solo l’immaginazione malsana e l’assenza di senso della realtà e lungimiranza di Bersani e D’Alema, Civati e Speranza, poteva immaginare che Grasso potesse essere il portavoce carismatico e ricco di appeal per un elettorato di sinistra critico verso il Pd». Se in Grasso e Bersani prevale l’ipocrisia, nel dirsi “di sinistra” sottoscrivendo il protocollo dell’euro-austerity, in Emma Bonino versione 2018 ha invece stravinto il delirio: «Sconcertante, la Bonino, nel venirci a proporre “più Europa”. Un messaggio thatcheriano: lo statista come il buon padre di famiglia che deve preoccuparsi di ripagare i debiti, come se il debito pubblico fosse il debito privato, che va ripagato perché c’è la cambiale che scade». In una macroeconomia, cioè in un sistema economico complesso, il debito pubblico – insieme all’inflazione, agli investimenti a deficit – è uno dei fattori da maneggiare con oculatezza, «sapendo che uno Stato con sovranità monetaria gestisce le cose non come una famiglia privata (che non può stampare i soldi in cantina): uno Stato più fare deficit per aumentare il Pil e diminuire così, anziché coi tagli alla sanità, il rapporto malsano tra debito e Pil».Da Emma Bonino abbiamo sentito assurdità mostruose: bloccare la spesa pubblica per i prossimi due anni, alzare l’Iva. «Questo è un paese martoriato dalle tasse, dove i consumi sono crollati e c’è l’esigenza di far circolare moneta e tenere più bassa la pressione fiscale», puntualizza Magaldi. «Soltanto dei pazzi potrebbero pensare di tagliare ancora la spesa e aumentare ulteriormente le tasse». E in campagna elettorale questo delirio ha avuto libero corso, «complice anche un linguaggio mediatico alterato». Già, infatti: «A che livello è scesa la comunicazione giornalistica, in Italia? Rappresenta le cose per come non sono. E’ lo stesso giornalismo che aveva fatto credere a Mario Monti di avere un consenso maggioritario nel paese, nel 2013, quando i giornaloni titolavano che finalmente l’Italia eta governata da illuminati professori. Monti e la Fornero ci sono stati proposti come sacerdoti del “vero” economico, per settimane, da quell’altro bel tomo di Giovanni Floris». Oltre al vecchio ceto politico, insiste Magaldi, «dovremmo rottamare un ceto mediatico corporativo, con giornalisti che si intervistano a vicenda, elevando la figura del giornalista a grande intellettuale e politologo – ma spesso è gente che non conosce nemmeno i rudimenti della storia patria, non parliamo dell’economia internazionale».Altra mistificazione: gli apostoli della Costituzione “più bella del mondo” che si professano nemici della massoneria – Di Maio in primis – dimenticando il massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigerne il testo (e il capo di gabinetto di Ruini era il grande economista Federico Caffè, insigne keynesiano). «Se vuole governare l’Italia – dichiara Magaldi – Di Maio dovrà affrancarsi dalle proprie fobie e immaturità illiberali e anticostituzionali. Nella lista di possibili ministri che ha presentato ci si richiama a John Maynard Keynes, altro notorio massone al pari di Franklin Delano Roosevelt: colonne portanti del mondo post-bellico, cioè di ciò che ha consentito il ritorno della libertà in Europa e nel mondo. Quindi merita riconoscenza quella corrente maggioritaria di massoneria che ha prima costruito e poi difeso le società aperte, liberali, parlamentarizzate e democratiche». Sono verità storiche che per Magaldi vanno finalmente acquisite, se si vuole fronteggiare davvero questa Disunione Europea «in cui vige il mercantilismo più spudorato da parte della Germania».Mercantilismo: dottrina econonica (superata dal libero mercato) secondo cui la ricchezza della nazione sta nel surplus di esportazioni. «La Germania ha violato anche i pessimi trattati vigenti, che pur essendo pessimi non consentirebbero il mercantilismo», insiste Magaldi. «Siamo al di là del pessimo: abbiamo una costruzione europea non democratica, nata dalla Dichiarazione Schuman scritta dall’ex progressista Jean Monnet convertito all’idea economicistica dell’Europa, sulle idee di Kalergi, ideatore di una costruzione quasi neo-feudale dell’Europa», a imitazione del feudalesimo carolingio. E’ un’Europa pericolosa, «fondata su un’idea di sfiducia verso la democrazia e verso la politica». Orrore: «O il potere spetta al popolo sovrano, oppure spetta a sedicenti illuminati – poco importa che utilizzino strumenti finanziari, diplomatici, militari, religiosi o mediatici. O il popolo è sovrano, o è sovrano qualcun altro», aggiunge Magaldi. «Dovremmo avere un Parlamento Europeo che rappresenta il popolo sovrano, con una potestà legislativa piena, con facoltà di fiduciare o sfiduciare un esecutivio europeo reale, al posto di questa barzotta Commissione Europea. Juncker e Tajani? Figure stucchevoli, a cui non lascerei gestire neppure un condominio, e invece sono ai vertici. Dovremmo avere un dipartimento del Tesoro e buoni del Tesoro europei che taglino alla radice qualunque cataclisma da spread, vero o presunto». Di Maio e Salvini presentati come antieuropeisti? Errore: «I veri antieuropeisti sono quelli che oggi infestano le cancellerie europee e gli organi tecnocratici di questa Unione Europea». Ma i neo-vincitori sapranno cambiare passo, verso Bruxelles?«Non vorrei che le istanze euro-critiche del Movimento 5 Stelle si andassero appannando, nel percorso politico che si avvia con queste consultazioni», dice Magaldi. «Mi piacerebbe che tutti gli schieramenti in Parlamento avessero un nuovo modo di guardare all’Europa». C’è anche un problema di legittima rappresentanza delle istanze nazionali: «L’Italia è un grande contraente dell’Ue e dell’Eurozona, eppure ha visto sfumare anche un riconoscimento simbolico come l’attribuzione dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. E’ finita in farsa, l’Italia è stata defraudata anche di questa piccola cosa. E il peggio è che si è vista la latitanza delle istituzioni italiane nel far valere le ragioni del nostro paese». Disunione Europea, appunto: «Un equilibrio di cancellerie, che perseguono scopi nazionali mascherati da un’impalcatura burocratica. Spero che tutti – non solo i vincitori relativi di queste elezioni – ripensino il modo in cui l’Italia deve stare in Europa». L’Italia? «Deve essere più autorevole: non lo è stata affatto quando è venuto il tecnocrate Mario Monti, inviato direttamente dai salotti buoni europei. L’elemento più sublime della sua narrazione era che dovessimo fare quel che ci diceva “l’Europa”, perché l’avevamo interiorizzato. Uno scenario da Grande Fratello orwelliano: abdicare al proprio libero pensiero critico e fare qualcosa che viene imposto da altri, perché eseguire senza discutere è cosa buona e giusta».Nei fatti, alla “teologia” dell’Ue si è sottomesso anche Renzi, che ora trasforma in farsa le sue dimissioni, dopo aver corso a capofitto verso la disfatta. «Sarebbe passato quasi per eroe – dice Magaldi – se solo avesse avuto il coraggio di inserire nel fatale referendum almeno il pareggio di bilancio in Costuzione, lasciando esprimere gli italiani». L’obbligo costituzionale del bilancio in pareggio, afferma Magaldi, «riporta il sedicente centrosinistra egemonizzato dal Pd alla destra storica di Quintino Sella, che conseguì il pareggio di bilancio nella seconda metà dell’800, quando al governo c’era il liberismo storico più bieco e spietato, che mandava Bava Beccaris a massacrare contadini, operai e povera gente che manifestava contro la tassa sul macinato e per le condizioni sociali allora davvero inique». Attenzione: su un tema come il pareggio di bilancio, di importanza capitale per la vita di tutti, non c’è stato uno straccio di dibattito mediatico: «Questo è un paese che parla a reti unificate solo di questioni irrisorie, mentre quando si votata il pareggio di bilancio gli eletti in Parlamento hanno agito come soldatini obbedienti, senza nessuna eccezione». Dov’era, il Pd? In aula, a votare: uso obbedir tacendo. «Via Renzi, il nuovo che avanza sarebbe Gentiloni, che ha fatto un governo renziano in linea con quelli di Monti e Letta? E gli altri che stanno nel Pd? Quando mai hanno levato la loro voce per proporre una traiettoria diversa? Sono tutti responsabili di questa bastosta. E’ una classe politica, quella del Pd, che deve andare a casa».Vale anche per l’Europa, aggiunge Magaldi: il Pd sta nell’alleanza dei socialisti democratici, e in tutta Europa «i socialisti sono chiaramente in regressione perché non hanno nessuna proposta socialista». Magaldi si definisce liberalsocialista: «L’elemento socialista ci deve essere: è la capacità di costruire un contesto di giustizia e mobilità sociale, in cui lo Stato abbia un ruolo dinamico e complementare a quello del libero mercato (e dove ci sia davvero libero mercato, senza monopoli, oligopoli e conflitti d’interesse)». Tutto ciò è mancato: poi qualcuno si lamenta se “la sinistra” è in estinzione. «E poi c’è il grande rimosso: John Maynard Keynes. Oggi, in tanti dicono che vogliono riscoprirlo: li aspettiamo al varco». L’eventuale Pd post-renziano? Può avere un senso solo a una condizione: che si dimetta, insieme a Renzi, chiunque abbia avuto un ruolo dirigente. «E se si deve eleggere un nuovo segretario, lo si faccia con un dibattito corale e democratico molto ampio, molto lungo e molto doloroso», perché la sincerità è una medicina amara. Sempre che ne valga la pena, di salvare il Pd: i tempi stanno cambiando velocemente. E Magaldi (promotore dell’ipotesi Pdp, Partito Democratico Progressista) è fra quanti pensano che forse sia il caso di «costruire qualcosa di nuovo, da offrire a un paese vistosamente lacerato».E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale. Il pareggio di bilancio? Lo fece Quintino Sella, all’epoca in cui la destra mandava Bava Beccaris a sparare sulla folla. «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».
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Elezioni da medioevo, vince la religione del debito pubblico
“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.I pricipi sono chiari e anche semplici da comprendere, hanno una loro logica, ma sono fondati su presupposti mistificanti della realtà: “Lo Stato è come una famiglia/azienda, non può spendere più di quello che guadagna”, oppure (soprattutto in Italia): “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”, la celebre metafora della cicala e della formica, oppure ancora, la frase che apre questo articolo, riportata urbi et orbi da politicanti, pennivendoli, intellettualoidi vari ed eventuali. Una questione, dunque, religiosa, come precedentemente anticipato: abbiamo il Dio Mercato, la dottrina (che ha assunto una dimensione sacrale) e i suoi sacerdoti, che professano la fede e offrono sull’altare della divinità le (tante) vittime sacrificali, al fine di alimentare il sistema. Questa dinamica, in atto da più di 40 anni, è andata avanti lentamente ed inesorabilmente, con un’accelerazione improvvisa e preoccupante nel corso dell’ultimo decennio (dalla “crisi dei mutui subprime” in poi). Inoltre, il sistema di “Inquisizione 2.0” condanna tutti coloro che si azzardano a proporre politiche economiche “anti-cicliche” di stampo keynesiano, poiché la spesa a deficit “graverà sulle spalle dei nostri figli”.Il tutto ignorando le grandi lezioni della Storia. Ignorando, anzi, cancellando totalmente, la memoria collettiva relativa alla Grande Depressione (o crisi del ‘29) e tutto il periodo post-bellico – definito Liberal Consensus – in cui partiti di destra, moderati e di sinistra condividevano sostanzialmente le ricette ispiratrici del New Deal di rooseveltiana memoria (e del boom economico successivo), cancellando le teorie di politica economica di Keynes, anzi rendendole addirittura anti-costituzionali in Italia (con la recente approvazione dell’articolo 81 della Costituzione, sul pareggio di bilancio), e cancellando anche il concetto di Welfare State teorizzato da William Beveridge. Cancellando, in ultima analisi, la dimensione umana, in favore di una visione economicistica della società, che ignora volutamente il diritto degli individui a vivere una vita dignitosa e li costringe a fare sacrifici per espiare colpe che non hanno. Ci troviamo, dunque, nell’epoca del Neoliberal Consensus, in cui partiti di destra, moderati e di sinistra (con la condivisione, da parte di questi ultimi, della “Third Way” di Anthony Giddens) condividono lo stesso paradigma.Per “Liberal” si intende quell’ideologia democratica, social-liberale, progressista, attenta alle istanze di giustizia sociale e ai diritti civili e politici di tutti: parola usata per la prima volta, in questi termini, da Franklin Delano Roosevelt, in contrapposizione a “Conservative”. Per “Neoliberal”, invece, si intende “neoliberismo” (non “neoliberalismo”, che non significa nulla ed è frutto di un’errata traduzione dall’inglese), ovvero il “lassez-faire” portato alla sua radicalizzazione: in altre parole, il fondamentalismo del mercato, sotto forma di teologia dogmatica. Il Neoliberal Consensus prevede un consenso comune in merito a una serie di ricette, che possiamo riassumere così: privatizzazioni, austerity, deregulation finanziaria, riduzione della spesa pubblica, Stato minimo, concezione dello Stato paragonato a un’azienda, vera e propria isteria sui conti pubblici e sul debito pubblico e conseguente “feticismo” delle coperture economiche. Dunque, in conclusione, mentre un “contatore del debito pubblico” lampeggia sui maxi-led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, iniziativa di terrorismo psico-economico intrapresa dall’Istituto Bruno Leoni – il quale simpaticamente ci informa anche del fatto che abbiamo 40 mila euro di debito a testa – l’invito è quello di riflettere criticamente sui programmi economici presentati dai vari partiti e di riflettere sulle pressioni mediatiche e internazionali su determinati temi. Riflettere e sforzarsi di capire perché siamo in presenza di questa condivisione paradossale, che assottiglia le differenze tra “destra” e “sinistra” e le implicazioni nei rapporti con l’Unione Europea. Qualsiasi partito decidiate di votare.(Rosario Picolla, “Verso il 4 marzo: Orwell, il Neoliberal Consensus e le scemenze elettorali”, dal blog del Movimento Roosevelt del 1° marzo 2018).“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.
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Potere terrorista: teme il nostro risveglio e sa che perderà
Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.In una lunga conversazione con David Gramiccioli ai microfoni di “Radio Roma Capitale”, già qualche anno fa, Carotenuto esponeva dati precisi: «Fino a vent’anni fa, a puntare consapevolmente sull’impulso a migliorare le cose era solo il 7-8% della popolazione, piccoli gruppi, nicchie, mistici. Oggi invece siamo alla riscoperta diffusa dell’ecologia, del cibo sano a chilometri zero, delle terapie alternative, dei “corpi sottili”. Fino a due o tre generazioni fa, un animale era soltanto cibo, per noi. E un albero era destinato solo a diventare un mobile, o legna da ardere». E’ cambiato tutto, alla velocità della luce, per almeno un essere umano su tre: «Si sta diffondendo una enorme cultura nuova. E’ l’ingresso dell’amore nel pensiero: si chiama coscienza. E questa rivoluzione avanza, cresce del 3% ogni anno». Attenzione: «Quella della coscienza non è l’unica rivoluzione che può cambiare il mondo: è l’unica che lo sta cambiando. Sta già avvenendo». Secondo Carotenuto, la “voglia di migliorare il mondo” è qualcosa di epocale: «E’ l’evento storico di massa più importante dell’umanità in duemila anni, anche se nessun talkshow ne parla. Al contrario: i media sono intasati di notizie infernali: crisi, guerra, terrorismo. Non a caso, secondo Carotenuto: «Il sistema dei poteri oscuri sta cercando di difendersi, mettendoci paura. Ma non ci riuscirà. E’ lui ad avere paura, perché vede benissimo quello che sta accadendo, e che i media non raccontano».Poteri oscuri: quelli per cui lo stesso Carotenuto ha lavorato, dapprima inconsapevolmente, per molti anni. Oggi, nella visione spiritualistica a cui è approdato, li chiama “forze dell’ostacolo”. E spiega: «In fondo, il male è una tattica del bene. In qualche modo ci aiuta a svegliarci. Se non avessimo qualcuno che ci dà il cattivo esempio, la nostra coscienza continuerebbe a dormire». Traduzione politico-spirituale: anche se l’élite “oscura” è ben lontana dal capirlo, «il ruolo ultimo di questa minoranza così cattiva, che ci governa da millenni, è proprio quello di svegliare la nostra coscienza». Un “training” involontario nonché spietato, feroce: «Dai campi magnetici, ai vaccini, alla politica: tutto è fatto per impedire il nostro risveglio». Ma i super-poteri sono in difficoltà: stanno verticalizzando i centri di controllo proprio per sottrarre sovranità e democrazia a questa nuova umanità “pericolosa”, che si starebbe svegliando. «Riducono i partiti, svuotano le Province, tolgono potere ai Comuni, alle Regioni. Ma è un’operazione difensiva: stanno perdendo pezzi. Questi poteri sono gli stessi che, ieri, controllavano le mafie, le lobby, la corruzione locale, i politici. Pur di verticalizzare, stanno obiettivamente combattendo lobby, mafie, scandali: per dare una ripulita, altrimenti la verticalizzazione non si può fare. Abbattono una classe politica corrotta, che era la loro, per sostituirla con una classe politica più pulita, più verticale e più forte contro le coscienze».Inforcando gli occhiali del suo vecchio mestiere, Carotenuto osserva l’evoluzione geopolitica in corso: «Hanno distrutto il laicismo nei paesi islamici. Iran, Egitto, Iraq, Siria, Tunisia, persino Libia. Obiettivo: radicalizzare l’Islam per fabbricare nemici, indispensabili per giustificare guerre e armamenti. Dopo il crollo dell’Urss dovevamo smontarla, la Nato. E invece quella struttura è cresciuta ancora, grazie a nemici artificiali: molti paesi islamici sono stati assegnati ai peggiori nemici dell’Occidente». L’ultima “invenzione” si chiama Isis. Serviva, «per rimpiazzare quella cosa ormai ridicola, non credibile, che era Al-Qaeda». Ma è tutto inutile, giura Carotenuto: «La gente, ad ogni latitudine, continua a svegliarsi giorno per giorno. Capisce che non può più fidarsi del mondo del potere. Si sta creando un mondo parallelo, solidale, senza più commistioni. Tutti ormai capiscono che il livello decisionale non è quello dei politici: la stanza dei bottoni è altrove». Il politico si limita a eseguire decisioni superiori, imposte da chi «decide di autorizzare un vaccino particolare, o un Ogm», anche con l’aiuto di «forme-pensiero orribili, devastanti», quotidianamente alimentate dal mainstream, «in trasmissioni come quelle di Bruno Vespa».Controllo dei circuiti e delle strategie: sono «coperture culturali, che poi vengono affiancate ai capi politici per guidarne i passi». Il frontman di turno magari si chiama Giuliano Amato o Romano Prodi, ma ha alle spalle «think-tanks politici, culturali e finanziari». Insiste Carotenuto: «Non se ne parla mai. Ma sopra il livello della politica c’è quello dei professori. Quando la politica viene ritenuta inadatta, si prende un professore e lo si mette a fare il politico. Ciampi, Prodi, Monti. In altri paesi si mette un Kissinger vicino a Nixon, un Brzezinski vicino a Carter. Proprio Brzeziznki l’ha detto chiaramente: il principale pericolo, per il potere, è il risveglio delle coscienze. E’ stato lucido: per la prima volta, una cosa così vera è stata affermata da un professore del potere», cioè del circuito universitario internazionale, «controllato da elementi religiosi e massonici», che svolge «un’operazione di fondo, molto forte, sulle forme-pensiero: e noi viviamo, in quelle forme-pensiero». Come sottrarsi alla morsa di questa manipolazione? «Basta guardarsi intorno, e dire: voglio migliorare la scuola dei miei figli, il parco vicino a casa. Voglio fare un’associazione che lo protegga, voglio alimentare il biologico. Mettiamo l’amore nella nostra vita quotidiana. Questa è l’unica arma per rivoluzionare veramente il mondo. E sta già funzionando: non facciamoci distrarre».Sul piano ufficiale e pubblico è una rivoluzione ben poco visibile, ammette Carotenuto: «Sui media non c’è, perché su questo c’è una congiura del silenzio. Non ci fanno talkshow, non ne parlano i giornali. Ma noi abbiamo occhi e orecchie. Se guardiamo le nostre famiglie, vediamo benissimo quanta gente ha cambiato orientamento o lo sta facendo. Anni fa, se facevi questi discorsi ti prendevano per matto. Adesso invece c’è sempre qualcuno che ti ascolta. Questa è la rivoluzione». Il risveglio è così forte, dice Carotenuto, da spingere i poteri a cercare in ogni modo di controllarlo. E’ stato fatto fin dall’inizio, infiltrando le associazioni pionere, portatrici di valori positivi. «Hanno detto: facciamole noi, le organizzazioni che si occupano dei loro temi. E così, appena nato l’ecologismo, hanno preso il principe Filippo (cacciatore) e il principe Bernardo d’Olanda (fondatore del Bilderberg, commerciante d’armi, piduista, petroliere Shell) e gli hanno fatto fondare il Wwf nel 1961».Carotenuto poi accende i riflettori su una «figura stranissima» come quella di Maurice Strong, grande petroliere canadese, «condannato negli Usa perché voleva appropriarsi di risorse idriche». Bene, quel signore è stato al vertice per 30-40 anni dell’ecologismo in sede Onu: è stato lui a organizzare le conferenze sul clima, da Kyoto a Stoccolma. Sono tutte fallite? «Logico: erano state create apposta per fallire. Per indurre l’idea che gli Stati sono incapaci. Per risolvere i grandi problemi, dicono, serve il super-Stato mondiale, il loro vero obiettivo». Sempre Strong ha redatto anche la Carta della Terra insieme a Gorbaciov, «che tutti considerano un santo», e di cui invece Carotenuto fornisce un profilo in controluce: «Era il pupillo di Andropov, ha messo ovunque uomini del Kgb trasformando l’Urss nel regno dei servizi segreti. Poi, con la Perestrojka, ha dato loro – privatamente – le risorse del paese. Adesso chi governa la Russia? Putin, che era un uomo del Kgb. Questa è stata l’operazione di Gorbaciov, e gli hanno dato il Nobel per la Pace».Gorbaciov se non altro ha “liberato” l’Est Europa, contribiendo ad archiviare l’incubo della guerra fredda. Ma il Nobel per la Pace l’hanno dato anche a Obama, «che per la pace nel mondo non ha fatto assolutamente niente». La vera funzione del Nobel? «Creare dei “santi” laici, con una credibilità fittizia». Il problema sta nel manico: Alfred Nobel, l’industriale della dinamite, aveva pessima fama. «Si era sparsa la voce, falsa, che fosse improvvisamente morto. Lui lesse i “coccodrilli” sui giornali: l’avevano trattato malissimo. Così, con l’Accademia di Stoccolma istituì il premio, per “ripulire” la propria immagine. Quindi il Nobel, in partenza, nasce da una non-verità». E’ l’ennesima maschera dei lupi che si travestono da agnelli: il potere che si accaparra il monopolio dei buoni sentimenti. Dal Nobel ai grandi think-tanks, stessa dinamica: centralizzare il futuro, sottrarlo alle persone comuni. Aurelio Peccei, braccio destro di Vittorio Valletta, esportò la Fiat nell’Urss. Poi negli anni ‘70 venne incaricato di fondare il Club di Roma. Tanti professori, grandi esponenti politici. E spuntò la tesi del super-Stato mondiale.«Verticalizzare il potere per frenare le coscienze, vecchia storia», osserva Carotenuto. «Dalla Prima Guerra Mondiale si uscì con la Società delle Nazioni, che non funzionò. Dalla Seconda si uscì con l’Onu. Il Club di Roma disse: non ce la faremo, la sovrappopolazione esplode, i consumi esauriranno le risorse della Terra in pochi anni. Ne avessero azzeccata una… Così, avendo sbagliato tutte le previsioni, si sono dedicati ad altro: il mutamento climatico, con Al Gore, uno dei loro». Beninteso: «Non è che questi problemi non esistano, sono importanti. Ma vengono forzati nel ragionamento: catastrofe assicurata, se in pochi anni non si arriva al super-Stato mondiale». Cioè la tattica in apparenza autolesionista di Maurice Strong all’Onu: far fallire le conferenze sul clima. Il guaio è che «il potere è in tutti i poteri», sintetizza Carotenuto. «Più è centrale e multinazionale, e più è facile che lobby, massonerie e congreghe varie riescano a determinare le nomine, figurarsi a livello di Ue. Ma voi Van Rompuy l’avete mai conosciuto? E Barroso? Chi sono? Perché stavano lì? Sono stati imposti da poteri che non si possono definire chiari».Peccano di scarsa chiarezza, secondo Carotenuto, anche movimenti che sembrano trasparenti come quello di Grillo: «I militanti sono bravi ragazzi, vorrebbero davvero migliorare il mondo. Ma non vedono che la “casa” del loro leader non è di vetro. E il non chiaro, il non conosciuto, è sempre lo spazio di una coscienza che non è la tua, ma è quella di qualcun altro». Certo il Belpaese è un po’ un caso a parte: «L’Italia è veramente un rebus, per il mondo dei poteri, perché è quasi incontrollabile. Gli italiani hanno una immensa risorsa, che è la fantasia». In qualche modo, sono riusciti a sopravvivere anche all’attacco più duro, l’omicidio di Aldo Moro, che per Carotenuto «era rimasto il coagulo di quello straordinario gruppo di uomini usciti dalla Resistenza, gli artefici della Costituzione: tutto volevano, tranne che svendere l’indipendenza dell’Italia, la sovranità e la dignità umana». Eliminato Moro, «c’è stato il dilagare dei poteri oscuri, che volevano togliere di mezzo l’indipendenza e la dignità italiana, la dignità umana in Italia». Hanno vinto? No, perché «tutti noi, oggi, siamo in grado di raccogliere quel messaggio: sempre di più vediamo chi sono questi poteri. E quindi la risposta è: mettiamo più amore in quello che facciamo».Non è una passeggiata: «Una delle cose che vogliono questi poteri è suscitare l’odio. Se uno odia, pensa che la colpa è sempre degli altri, e non fa mai niente. Pensa sempre di essere migliore, e non si migliora. E così il suo livello di coscienza rimane basso». La soluzione più semplice? «Amare di più, intorno a sé. E questo distrugge il mondo del potere, veramente». Un grande intellettuale dissidente come il linguista Noam Chomsky si chiede spesso: cosa possiamo fare? «La differenza rispetto a me – dice Carotenuto – è che Chomsky non ha una visione spirituale, quindi non ha speranza, in fondo. Io ho più di una speranza: ho una certezza. Perché il risveglio è già in corso. L’amore sta già trasformando il mondo: ce ne dobbiamo solo accorgere. E organizzarlo un po’ alla volta, senza la pretesa di abbattere il potere: perché il potere si scioglie dal di dentro». Qual è la base delle grandi piramidi di potere? Siamo noi: «Sono le nostre stesse scelte quotidiane, in favore del potere: compro il prodotto sbagliato, esprimo il voto sbagliato». Il rimedio? La crescita della coscienza: «Man mano che noi cresciamo, le piramidi crollano. E i grandi poteri lo sanno: per questo hanno paura, e stanno diventando sempre più violenti. Basta non farsi impressionare dal loro frastuono: stanno per cadere a pezzi, travolti dalla nostra rivoluzione inarrestabile, fondata sulla consapevolezza». Conclude Carotenuto: l’arma segreta si chiama amore, ed è invincibile: «Amore significa: voler fare un bene che ancora non c’è. E’ una forza inarrestabile, che silenziosamente sta già trionfando».Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.
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Scalfari sdogana l’oligarchia e i dogmi dell’élite reazionaria
L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).La democrazia – almeno in via di principio – afferma il diritto da parte di tutti di concorrere per una carica politica (elettorato passivo), così come il diritto di voto universale (elettorato attivo). Le oligarchie, invece, il governo “dei pochi”, non contemplano la partecipazione popolare alle decisioni collettive. Possono essere manifeste, occulte, agiscono dentro e/o fuori dalle strutture preposte all’esercizio del potere e, a seconda dei casi, si basano su un diritto divino di governare le masse (oligarchie religiose: ad es. caste sacerdotali), su uno “status d’ascrizione” (aristocrazie di sangue), sulla gestione della governance economica globale (oligarchie finanziarie: banche d’affari, multinazionali, conglomerati vari), su una gestione burocratica dei processi politico-economici e sociali (oligarchie tecnocratiche: Bce, Commissione Europea) o su una presunta superiorità spirituale (oligarchie iniziatiche: società misteriosofiche/esoteriche varie; in primis la massoneria, in riferimento alle sue declinazioni interne di stampo conservatore, neo-aristocratico e reazionario, lontane dall’ideale democratico-progressista).La questione, poi, si fa ancora più sottile e malefica, se pensiamo che negli ultimi 40 anni in Occidente c’è stato questo tentativo (riuscito, ad oggi) di piegare la democrazia, lasciandola nelle forme ma svuotandola nella sostanza – dopo quello fallito di eliminarla ovunque, anche dal punto di vista formale, con l’esperimento nazifascista – facendola diventare una “oligarchia de facto”. Come? Delegittimando la politica e il ruolo dello Stato e, contemporaneamente, legittimando il mercato; grazie alle sue leggi (domanda-offerta, “mano invisibile”, ecc), una comunità di individui sarebbe in grado di auto-regolarsi, senza il bisogno di un intervento governativo. Idea, questa, che sta alla base di una vera e propria teologia dogmatica – il neoliberismo – intrinsecamente anti-democratica, neo-oligarchica e falsamente liberale. Dunque, nel momento in cui Eugenio Scalfari accomuna i due concetti sopra esposti, non solo dice qualcosa di non vero, ma è anche in malafede.Egli, infatti, cerca – in maniera assai subdola – non tanto e non solo di screditare la democrazia, quanto soprattutto (e qui sta la chiave del discorso) di legittimare – da un punto di vista filosofico – oltre che difendere, l’oligarchia stessa. Che è, in sostanza, la modalità di governo attualmente dominante in Occidente. Almeno finché la democrazia non verrà smantellata anche nelle sue forme. Prima di chiudere, riprendo un attimino la citazione iniziale e vi sottopongo una riflessione: l’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Non sentite anche voi puzza di “teorie trioculari”? Questa citazione non vi ricorda – almeno vagamente – le affermazioni contenute in “The Crisis of Democracy”, famigerato rapporto della Trilateral Commission redatto nel 1975? A me sì.(Rosario Picolla, “Scalfari, l’oligarchia e la democrazia”, dal blog del “Movimento Roosevelt” del 14 ottobre 2016).L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).
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Svetlana Alexievic, Premio Nobel alla Banalità Letteraria
I conflitti tra gli agenti strategici sono una caratteristica fondamentale delle società umane. Sono gli esiti di questi scontri a determinare i differenziali di potere tra i gruppi che si disputano il dominio nelle organizzazioni umane, all’interno di ogni sfera societaria. Da tali scontri nascono le stratificazioni in verticale dei ruoli e delle funzioni degli individui e dei raggruppamenti collettivi (la scala dei rapporti di forza interni tra drappelli che si contendono la supremazia nazionale, anche attraverso la sottomissione dei settori più deboli e numerosi come quelli detti popolari) e le segmentazioni in orizzontale (la scala dei rapporti di forza esterni tra formazioni che gareggiano per il primato globale o per uno più localizzato). Ovviamente, una lotta di potere in una nazione dominante o con una sensibile proiezione regionale (come gli Usa o la Russia), benché scaturente in un contesto apparentemente limitato, produce degli scossoni su pezzi importanti della scacchiera planetaria, dove si allungano le sue influenze.Se tali diatribe scoppiano in un contesto periferico gli effetti generati SONO sono più contenuti, anche se non inessenziali per gli equilibri internazionali. Spesso il peso specifico di uno Stato dipende, oltre che dalla sua forza intrinseca, anche dalla posizione che si trova ad occupare nell’orizzonte storico degli eventi, cioè della fase geopolitica in corso. Se un paese è in grado di approfittare di questa rendita posizionale può anche modificare i suoi destini ma deve avere una classe dirigente all’altezza del compito. Dunque, questa legge ferrea del conflitto strategico tra gruppi decisori, quasi sempre coperto alla vista da istituzioni dissimulanti la partecipazione pubblica o il coinvolgimento della società civile, opera ovunque e con gli stessi mezzi (sotterfugi, inganni, complotti, screditamenti, ammazzamenti ecc. ecc.) per l’unico fine del comando sugli apparati decisionali, politici ed economici (con predilezione per quelli deputati all’ordine e alla “coercizione”).Tuttavia, esiste una grande narrazione, molto in voga nell’area democratica occidentale, che fa coincidere l’impiego di tali mezzi spregiudicati e violenti esclusivamente con le usanze di luoghi ameni e barbarici, dove emergono dittatori senza scrupoli e tiranni assetati di sangue. Forse, in alcuni di questi territori si va un po’ più per le spicce, in mancanza di sistemi non così perfezionati di nascondimento e mistificazione della realtà profonda del potere, ma i combattimenti per l’egemonia condividono la medesima “natura”, da Washinton a Mosca, da Parigi a Pechino. Con uno sguardo analitico serio si può andare oltre l’epidermide sociale, dove regnano schede elettorali e diritti umanitari, e accedere all’intimità del potere dove trame e strategie la fanno da padrone. Al mondo libero piace far credere il contrario, affinché la pagliuzza negli occhi del nemico attiri l’attenzione più della trave nei suoi. Oggi, per esempio, è stato conferito il Nobel per la letteratura ad una donzella bielorussa che ha conquistato popolarità raccontando simili favole per deficienti. Costei ha descritto la Russia come l’impero del male e Putin come un sanguinario. Tanto è bastato ai giudici svedesi per premiarla. Hannah Arendt, che un Nobel lo avrebbe meritato, purtroppo non aveva capito nulla. Non è il male ad essere banale, è il banale ad essere un male. Eccone un’altra prova provata.(Gianni Petrosillo, “Premio Nobel alla Banalità Letteraria”, dal blog “Vox Populi” dell’8 ottobre 2015).I conflitti tra gli agenti strategici sono una caratteristica fondamentale delle società umane. Sono gli esiti di questi scontri a determinare i differenziali di potere tra i gruppi che si disputano il dominio nelle organizzazioni umane, all’interno di ogni sfera societaria. Da tali scontri nascono le stratificazioni in verticale dei ruoli e delle funzioni degli individui e dei raggruppamenti collettivi (la scala dei rapporti di forza interni tra drappelli che si contendono la supremazia nazionale, anche attraverso la sottomissione dei settori più deboli e numerosi come quelli detti popolari) e le segmentazioni in orizzontale (la scala dei rapporti di forza esterni tra formazioni che gareggiano per il primato globale o per uno più localizzato). Ovviamente, una lotta di potere in una nazione dominante o con una sensibile proiezione regionale (come gli Usa o la Russia), benché scaturente in un contesto apparentemente limitato, produce degli scossoni su pezzi importanti della scacchiera planetaria, dove si allungano le sue influenze.
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Ancora menzogne sulla Grande Guerra, odissea nell’orrore
Certo non si può dire che da Marcello Veneziani l’apologia della Grande Guerra non ce la si potesse aspettare. È in fondo un intellettuale della nuova destra, lo stesso che alla vigilia del 70mo anniversario del 25 aprile aveva riaffermato: «Non celebriamo il 25 aprile perché non è una festa», perché – a suo dire – sarebbe considerata una ricorrenza divisiva, che non è stata concepita «all’insegna della veritas e della pietas». Aveva, Veneziani, anche rincarato la dose, sostenendo che sarebbe «cresciuta l’enfasi per i 70 anni della Liberazione parallelamente a una minore attenzione per i 100 anni della Prima Guerra Mondiale». Se si considera però che Veneziani, giornalista e scrittore, autore di saggi storici e filosofici, è oggi anche membro del comitato scientifico che si occupa degli anniversari della storia d’Italia (istituito a Palazzo Chigi e dal 2013 presieduto da Franco Marini), le sue prese di posizione sulla storia del paese – visto il ruolo “istituzionale” che ricopre – non possono lasciare indifferenti. Così come non lascia indifferenti lo spazio che il “Corriere della Sera” del 20 maggio 2015 ha concesso ad un suo intervento-appello a fare del 24 maggio, almeno quello di quest’anno, l’occasione per una celebrazione istituzionale.Nel suo intervento Veneziani rispolvera tutto l’armamentario ideologico che a proposito della Grande Guerra è stato usato nell’ultimo secolo, riadattato ovviamente ad una sensibilità meno incline di una volta a celebrare l’ardimento e l’eroismo, la guerra e l’annientamento del “nemico”. E infatti Veneziani precisa subito che «ricordando l’entrata in guerra dell’Italia non si vuole certo celebrare l’amore per la guerra». E però, insiste, «col 24 maggio si vuole commemorare la nascita di una nazione con una mobilitazione popolare senza precedenti e un rito di sangue che fu un’ecatombe. Ricordare quel centenario significa ripensare l’Italia, riproporre il tema dell’identità nazionale nello scenario presente e proiettarsi a pensare il futuro senza cancellare o smantellare le storie e le culture nazionali. L’intervento nella Prima Guerra Mondiale portò a compimento, come allora si disse, il Risorgimento, non solo perché ricondusse all’Italia Trento e Trieste, quanto perché coinvolse per la prima volta il paese intero, da nord a sud, popolo e borghesia, e lo indusse a sentirsi nazione e comunità di destino, fino a donare alla patria la propria vita».«Quella conquista unitaria, dovuta nel secolo precedente a una minoranza, diventò con la mobilitazione totale e la leva obbligatoria, patrimonio sofferto di un popolo intero. Non mancarono episodi di valore, un’epica popolare che coinvolse le famiglie italiane, i nostri nonni». Ecco, questo è il senso comune che viene ancora una volta dispensato alle nuove come alle vecchie generazioni, condannate a non avere accesso, sui mezzi di comunicazione mainstream, a strumenti che gli consentano di riflettere in maniera critica sulle vicende che hanno caratterizzato, in maniera spesso drammatica, la storia individuale come quella collettiva. Pochi i testi che tentano di contrastare la retorica mistificatoria del “mito” della Grande Guerra, seppure edulcorato e reso più adatto al contesto di generale, quanto spesso ipocrita, esaltazione della pace, che viene sparso a piene mani; e che trova la sua sintesi forse più brillante nelle drammatiche poesie dal fronte di Ungaretti, lette dal poeta stesso in età avanzata e riproposte in questi giorni dalla Rai col sottofondo della marcetta della “Canzone del Piave”.Tra i testi di fresca pubblicazione che possono costituire uno strumento utile per demistificare in maniera documentata e puntuale tale retorica, ce n’è uno particolarmente interessante. Si tratta del libro scritto di recente da Valerio Gigante, Luca Kocci e Sergio Tanzarella, insegnati e redattori dell’agenzia di stampa Adista i primi due, storico del cristianesimo ed ex deputato nelle file degli indipendenti di sinistra il secondo. “La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima Guerra Mondiale” (Dissensi editore) non è certo l’unico volume attualmente in circolazione ad avere un taglio “critico” di assoluto rigore rispetto agli eventi considerati. Esso ha però il pregio di essere specificamente destinato ad un pubblico di non specialisti, cui gli autori propongono una serie di brevi ma documentati saggi (completi di riferimenti storico-critici, bibliografici, documenti e foto) che cercano di indagare aspetti che della Prima Guerra Mondiale sono certamente noti a cultori, specialisti e studiosi di storia contemporanea ma non al grande pubblico. Fatti che sono però di fondamentale rilievo se si vuole restituire alla Grande Guerra il suo volto più tragico e vero.Gli autori spiegano le ragioni dell’incredibile percorso che in pochi mesi porta forze politiche, grandi giornali ed intellettuali a schierarsi dal neutralismo più convinto all’interventismo più acceso. Il ruolo giocato dalle forze industriali e dai poteri finanziari nel periodo che va dalla fine del 1914 al maggio del 1915. Raccontano l’uso di armi terribili durante i combattimenti, quali l’iprite, uno dei gas impiegati nella guerra chimica, o le mazze ferrate utilizzate dai fanti per finire i nemici agonizzanti, in genere proprio in seguito a un attacco con quel gas. Viene inoltre descritta la capillare organizzazione della prostituzione che lo Stato Maggiore dell’esercito offriva ai fanti ed agli ufficiali – in maniera ovviamente diversa, dal momento che tutta la guerra, come ben emerge da questo lavoro, viene combattuta secondo una rigida concezione classista della vita militare. Una sorta di “sfogo risarcitorio” nei confronti della disumanizzante esperienza del fronte, con il conseguente, brutale sfruttamento delle donne e dei loro corpi, sistematicamente ed istituzionalmente perpetrato.Gli autori svelano poi i casi di patologie mentali diffusi nelle trincee, l’uso sistematico della repressione per impedire che si diffondesse tra i soldati il rifiuto o il dissenso nei confronti della prosecuzione della guerra: il francescano padre Agostino Gemelli, medico e psicologo, collaborò con lo Stato Maggiore nell’individuare le strategie più efficaci per mantenere il consenso e la disciplina tra i soldati. E proprio dal punto di vista del ruolo della Chiesa cattolica nel grande massacro, il libro analizza come – al di là della posizione (sostanzialmente isolata e comunque neutralizzata da parte della gerarchia ecclesiastica) di Benedetto XV – sia stato fondamentale il ruolo dei cappellani militari. Quest’ultimi distribuivano nelle trincee materiale devozionale (di cui nel libro vengono pubblicati alcuni esempi) teso ad esaltare l’eroismo di coloro che si erano immolati per la patria, rappresentavano Gesù nell’atto di accogliere in paradiso i caduti o di incitare i soldati ad andare all’assalto; benedicevano i gagliardetti militari e le truppe lanciate contro il nemico, intonando Te Deum di ringraziamento per le stragi compiute.Eppure, anche dentro questo desolante quadro e nel contesto di una martellante ideologia mistificatoria, si faceva largo una coscienza delle reali ragioni della guerra: ecco allora i capitoli dedicati alle lettere (censurate) dei soldati al fronte; gli appelli di donne ed uomini al re affinché fermasse la strage; le canzoni che raccontavano la realtà di classe della guerra, il cinema che già prima della pace di Versailles aveva cominciato a raccontare cosa quella guerra fosse realmente. Come fa questo libro che, scrivono gli autori nella loro introduzione, intende creare “una solida coscienza critica del perché fu orrore quella guerra, come e più di altre guerre. E suscitare ugualmente orrore nei confronti della ‘grande menzogna’ attraverso la quale ancora oggi molti vorrebbero continuare a ricordarla, nonostante devastazioni, lutti, torture, prigionie, ruberie, deportazioni”.(Giovanni Avena, “Oltre la retorica, l’orrore della Grande Guerra”, da “Micromega” del 22 maggio 2015. Il libro: Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio Tanzarella, “La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima Guerra Mondiale”, Dissensi editore, 170 pagiene, euro 13,90).Certo non si può dire che da Marcello Veneziani l’apologia della Grande Guerra non ce la si potesse aspettare. È in fondo un intellettuale della nuova destra, lo stesso che alla vigilia del 70mo anniversario del 25 aprile aveva riaffermato: «Non celebriamo il 25 aprile perché non è una festa», perché – a suo dire – sarebbe considerata una ricorrenza divisiva, che non è stata concepita «all’insegna della veritas e della pietas». Aveva, Veneziani, anche rincarato la dose, sostenendo che sarebbe «cresciuta l’enfasi per i 70 anni della Liberazione parallelamente a una minore attenzione per i 100 anni della Prima Guerra Mondiale». Se si considera però che Veneziani, giornalista e scrittore, autore di saggi storici e filosofici, è oggi anche membro del comitato scientifico che si occupa degli anniversari della storia d’Italia (istituito a Palazzo Chigi e dal 2013 presieduto da Franco Marini), le sue prese di posizione sulla storia del paese – visto il ruolo “istituzionale” che ricopre – non possono lasciare indifferenti. Così come non lascia indifferenti lo spazio che il “Corriere della Sera” del 20 maggio 2015 ha concesso ad un suo intervento-appello a fare del 24 maggio, almeno quello di quest’anno, l’occasione per una celebrazione istituzionale.