Archivio del Tag ‘Mohammed Bin Salman’
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Usa e Israele ricattano l’Italia, pavida e disonesta con l’Iran
Dilaga la disonestà intellettuale. Per avventura ho partecipato a una trasmissione televisiva dove un invitato e la conduttrice non sapevano niente di Iran e delle sanzioni imposte dagli Usa alla Repubblica islamica, distorcendo i fatti e la realtà. In onda si perde tempo a correggere errori marchiani di gente che per ignoranza o evidenti motivi ideologici – demonizzare l’Iran e sostenere Usa e Israele – non sa neppure la sequenza degli eventi. È la propaganda del nostro regime mediatico, asservito a Washington e a Israele, sostenuto dai cosiddetti sovranisti con la complicità di una sinistra ufficiale inesistente. Soprattutto adesso che l’Europa – con Gran Bretagna, Francia e Germania – contesta agli iraniani la violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 in seguito alla ripresa dell’arricchimento dell’uranio che è seguita all’uccisione da parte di Trump del generale Qassem Soleimani. Riepiloghiamo i fatti. L’accordo, un trattato internazionale supervisionato dall’Onu, entra in vigore alla fine del 2015 e con molte difficoltà l’Iran rientra nel circuito degli scambi internazionali. In realtà neppure con Obama era facile: le banche occidentali erano costantemente bersaglio del Tesoro americano se aprivano linee di credito con Teheran.L’Italia che aveva 30 miliardi di euro di commesse con l’Iran dovette rinegoziare con il governo iraniano arrivando a un accordo per una linea di credito da 5 miliardi di euro, che doveva coprire le nostre esportazioni. Il governo Gentiloni aspettò la vigilia delle elezioni nel 2018 e non fece mai il decreto attuativo perché messo sotto pressione di Usa e Israele. Così abbiamo perso altri soldi e posti di lavoro. Nel 2018 Trump straccia l’accordo sul nucleare ma per un anno l’Iran non vìola nessuna delle regole del trattato e non arricchisce l’uranio. Il governo del moderato Hassan Rohani, tenendo a freno i falchi del regime, aspettava che l’Europa mettesse a punto un sistema, definito Instex, per l’aggiramento delle sanzioni. A questo sistema, voluto da Gran Bretagna, Francia e Germania, aderiscono oggi sei nazioni europee ma l’Italia non vi partecipa ancora. Ufficialmente perché lo sta studiando, in realtà in quanto ha subito nuove pressioni americane e israeliane, anche da parte dei sovranisti della Lega che al governo con i Cinquestelle sostenevano soprattutto Israele e non gli interessi nazionali. I Cinquestelle, prima ancora della rottura con la Lega, hanno adottato le stesse posizioni con Conte e Di Maio nonostante una parte del movimento fosse contrario.Il sistema Instex comunque non ha ancora funzionato e il governo iraniano si è così trovato strangolato da continue sanzioni: ecco perché Teheran, sotto attacco di Trump, ha ripreso l’arricchimento dell’uranio. Il presidente americano continua falsamente a dire di essere pronto a negoziare una nuova intesa con Teheran che comprenda anche i missili balistici, non solo il nucleare. Ma invece di incoraggiare il negoziato prima fa assassinare il vero numero 2 del regime poi impone altre sanzioni giugulatorie. Trump non vuole negoziare con Teheran ma strangolarla, e spingere se possibile verso un cambio di regime sfruttando le piazze e le laceranti divisioni interne. Senza naturalmente sapere bene chi mettere al posto degli ayatollah, magari aprendo altre voragini come è accaduto in Iraq o in Libia o come stava per accadere in Siria. È parso evidente che Trump in Medio Oriente ha a cuore soltanto le sorti di Israele e quelle dell’Arabia Saudita, il suo maggiore cliente di armi. Il prossimo G-20 a Riad sancirà la piena assoluzione del principe ereditario Mohammed bin Salman, mandante, anche secondo la Cia, dell’assassinio del giornalista Jamaal Kashoggi.In questo ultimo anno Trump ha riconosciuto l’annessione israeliana di Gerusalemme e del Golan e sarebbe pronto a farlo anche per la Cisgiordania: contro tutte le risoluzioni Onu. Trump odia i trattati multilaterali e la legalità internazionale: li considera un impedimento all’uso della forza. Gli europei devono stare bene attenti. Ora Trump bastona arabi e iraniani, poi toccherà anche a noi europei. Anzi ha già iniziato, praticamente sciogliendo la vecchia Nato e consentendo a un suo membro, la Turchia, di acquistare armi dalla Russia, di fare una strage di curdi siriani, i nostri maggiori alleati contro il terrorismo e l’Isis, e di tentare l’avventura libica con soldati e mercenari jihadisti. La Nato gli serve soltanto per mettere i soldati italiani ed europei al posto dei marines in Iraq se gli americani se ne dovessero andare o ridurre le truppe: carne da cannone per avere mano libera nei raid con i droni. Ma la cieca propaganda dei media italiani e in parte europei fa sì che andremo al macello senza lamentarci. Non come agnelli sacrificali di biblica memoria ma come asini felici di essere bastonati. Anzi, meno ancora degli asini, perché ogni tanto pure loro si ribellano e mollano quale calcione. E i media dietro, a tirare il carro della propaganda. Che stampa, bellezza!(Alberto Negri, “Sull’Iran dilaga la disonestà intellettuale”, dal “Manifesto” del 17 gennaio 2020; articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).Dilaga la disonestà intellettuale. Per avventura ho partecipato a una trasmissione televisiva dove un invitato e la conduttrice non sapevano niente di Iran e delle sanzioni imposte dagli Usa alla Repubblica islamica, distorcendo i fatti e la realtà. In onda si perde tempo a correggere errori marchiani di gente che per ignoranza o evidenti motivi ideologici – demonizzare l’Iran e sostenere Usa e Israele – non sa neppure la sequenza degli eventi. È la propaganda del nostro regime mediatico, asservito a Washington e a Israele, sostenuto dai cosiddetti sovranisti con la complicità di una sinistra ufficiale inesistente. Soprattutto adesso che l’Europa – con Gran Bretagna, Francia e Germania – contesta agli iraniani la violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 in seguito alla ripresa dell’arricchimento dell’uranio che è seguita all’uccisione da parte di Trump del generale Qassem Soleimani. Riepiloghiamo i fatti. L’accordo, un trattato internazionale supervisionato dall’Onu, entra in vigore alla fine del 2015 e con molte difficoltà l’Iran rientra nel circuito degli scambi internazionali. In realtà neppure con Obama era facile: le banche occidentali erano costantemente bersaglio del Tesoro americano se aprivano linee di credito con Teheran.
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Sapelli: la resa all’Ue ci farà spazzare via dalla recessione
«La resa del governo all’Ue ci farà spazzare via dalla recessione». Per il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, l’Italia è esposta alle peggiori bufere: da un lato subisce senza anestesia il rigore di Bruxelles, dall’altro starebbe per perdere anche la protezione a distanza finora assicurata dalla presidenza Trump, qualora il presidente Usa venisse sabotato dall’impeachment. Un indizio clamoroso, per Sapelli, è la decisione del Senato statunitense di sospendere lo storico appoggio militare all’Arabia Saudita, fornito dai tempi di Obama per condurre una spietata guerra contro lo Yemen, di cui i media non parlano mai. Su proposta dei democratici Bernie Sanders e Mike Lee (e il sostegno di Lindsey Graham), scrive Sapelli sul “Sussidiario”, il Senato ha deciso di approvare una risoluzione che chiede la fine del coinvolgimento americano nella campagna militare saudita contro lo Yemen e una mozione che dichiara il principe ereditario Mohammed Bin Salman responsabile dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Ahmad Khashoggi, assassinato lo scorso 2 ottobre nell’ambasciata saudita di Istanbul, in Turchia. «Si tratta del primo voto in 45 anni in cui il Senato fa riferimento al War Power Act, legge approvata dal Congresso Usa durante la presidenza Nixon per far ritirare le forze statunitensi dal Vietnam».Quella legge, del 1973 – aggiunge Sapelli – aveva dato ai deputati e ai senatori il potere di dichiarare guerra e ritirare le truppe nel caso di mancata autorizzazione, restringendo dunque l’autorità di un presidente, costretto a passare per il Parlamento. Legge poi scavlcata regolarmente da Obama, che per i finanziamenti e le armi ai sauditi aveva sempre bypassato l’aula. Tutto questo, spiega Sapelli, mette in crisi Trump, finora sostenitore del governo gialloverde contro l’oligarchia franco-tedesca che ha in pugno l’Ue. È stata la Cia a relazionare al Senato sulla tragedia umanitaria yemenita, e questa relazione «si aggiunge alla rottura esistente tra il segmento dell’establishment Usa favorevole a Trump e tutto il resto del Deep State nordamericano, che vede l’Fbi capofila nella richiesta di ritornare in fondo all’era Bush e Obama», cioè a un’epoca «di pericolosissimo unilateralismo, quando l’Occidente è stato diviso dalla guerra in Iraq con Francia e Germania che si rifiutarono di partecipare a quel disastroso intervento che segnò l’inizio del terrorismo di massa wahabita e jihadista e diede poi il fuoco alle polveri con il discorso di Obama al Cairo».Il bilateralismo di Trump e il suo tentativo di una “entente cordiale” internazionale per assicurare un “roll back” contro la Cina, «paese che si sta armando e che sta dilavando le fonti tecnologiche occidentali», secondo Sapelli «è stato messo in discussione da un ritorno, di fatto, alle ideologie dei seguaci di Leo Strauss, i “neocon”, che facevano dipendere le scelte di politica estera dai principi morali, secondo, del resto, una secolare tradizione Usa che risale ai padri fondatori». Trump rischia l’impeachment? «Sì, se ne farà un processo lungo e terribile». Tutto questo colossale sbandamento internazionale, aggiunge Sapelli, dipende sostanzialmente «dalle radici degli alberi della foresta Usa, ma altresì dalla savana dell’Unione Europea, che da circa trent’anni si dedica metodicamente a sradicare con la sua gramigna gli alberi europei, distruggendo con il principio della dipendenza monetaria funzionale da divieto del debito pubblico le fondamenta stesse della grandiosa foresta costruita nei secoli e nei secoli dagli europei dopo la morte di Carlo Magno e dopo il Trattato di Verdun dell’843».Di quella “foresta”, avverte Sapelli, non sta più rimanendo nulla: «Crolla con fragore in Francia, sotto la disgregazione sociale che fa seguito al potere verticale presidenziale che si trova incapace di adempiere ai principi auspicati con l’elezione di un presidente con il solo 26% degli aventi diritto al voto», ed evidenzia «una necessità di far saltare ogni parametro ordoliberista, alias Fiscal Compact». Di lì il disvelamento – storico, quanto la dichiarazione del Senato Usa – dei rapporti di potenza che la tecnocrazia eurocratica non riesce a nascondere. Sapelli si riferisce alle dichiarazioni del commissario Moscovici: «Un patriota francese che è occasionalmente commissario europeo e che dichiara candidamente che le regole che valgono per l’Italia rispetto al famoso debito non valgono per la Francia». Notizia che «non stupisce uno studioso serio e non prezzolato, che sa che il funzionalismo non ha fatto altro che nascondere e non eliminare gli squilibri di potenza nazionali». Questo fatto è forse «quello più rilevante dell’intero 2018, per coloro che vogliono ritornare all’analisi scientifica e non ideologica della realtà europea».In questo contesto, prosegue Sapelli nella sua analisi, emerge un altro evento importante: «La diffusività comprovata della capacità dell’ordoliberismo di cooptare seguaci, catturando ideologicamente per la pressione dell’ambiente gli “homines novi” dal basso per farli salire su su nella cuspide del potere». Il che avviene per effetto di motivi «non pecuniari, ma precipuamente culturali, ossia di “soft power”: è ciò che pare capiti ai primi ministri italiani con una continuità impressionante» Vengono sostanzialmente cooptati dall’egemonia neoliberista. «Il pericolo è che, nonostante le reazioni sempre più esplicite della borghesia nazionale contro la manovra (sbagliata perché troppo poco incentrata sulla creazione di capitale fisso e quindi sulla crescita), la compagine governativa italiana non ingaggi con Bruxelles la vera battaglia: quella della negoziazione dei parametri del Fiscal Compact (peraltro già scaduto, come trattato) e si abbandoni così alla tremenda ondata d’urto che verrà dalla prossima recessione per debito cinese e per debito “corporate” Usa». Recessione, assicura Sapelli, «che si unirà alla deflazione secolare e disgregherà ancor più il nostro sistema sociale».In questo “tramonto della ragione”, conclude Sapelli, non sorge «la stella polare che deve guidare ciò che rimane della borghesia nazionale: lavorare con le borghesie nazionali tedesche, convincere quelle classi politiche della necessità di rivedere le politiche economiche europee e riscrivere in tal modo la storia d’Europa». La Brexit, quella storia, «la sta già scrivendo da parte sua, dimostrando l’ignavia, l’ignoranza di una intera classe dominante politica e tecnocratica dell’Unione Europea, che invece di aprire un varco al primo ministro del Regno Unito lo stringe sempre più in un cul-de-sac per sgretolamento del sistema politico inglese». Domanda: «Dove sono finiti gli ammiratori sfegatati del modello Westminster?». Pervicace e violenta, la tecnocrazia europea «non è consapevole dei rischi che corre l’intero rapporto di potenza mondiale, se il Regno Unito entra in convulsione». Usa e Uk in crisi: «Una tragedia che il mondo, non l’Ue – non solo l’ Ue – non può permettersi, pena l’entropia. Ed è invece l’entropia mondiale che la cuspide del potere europeo sta producendo senza sosta in una pazzia inarrestabile».«La resa del governo all’Ue ci farà spazzare via dalla recessione». Per il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, l’Italia è esposta alle peggiori bufere: da un lato subisce senza anestesia il rigore di Bruxelles, dall’altro starebbe per perdere anche la protezione a distanza finora assicurata dalla presidenza Trump, qualora il presidente Usa venisse sabotato dall’impeachment. Un indizio clamoroso, per Sapelli, è la decisione del Senato statunitense di sospendere lo storico appoggio militare all’Arabia Saudita, fornito dai tempi di Obama per condurre una spietata guerra contro lo Yemen, di cui i media non parlano mai. Su proposta dei democratici Bernie Sanders e Mike Lee (e il sostegno di Lindsey Graham), scrive Sapelli sul “Sussidiario”, il Senato ha deciso di approvare una risoluzione che chiede la fine del coinvolgimento americano nella campagna militare saudita contro lo Yemen e una mozione che dichiara il principe ereditario Mohammed Bin Salman responsabile dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Ahmad Khashoggi, assassinato lo scorso 2 ottobre nell’ambasciata saudita di Istanbul, in Turchia. «Si tratta del primo voto in 45 anni in cui il Senato fa riferimento al War Power Act, legge approvata dal Congresso Usa durante la presidenza Nixon per far ritirare le forze statunitensi dal Vietnam».