Archivio del Tag ‘montature’
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Magaldi: fango sulla Marogna, vogliono ucciderla in carcere
Vogliono “suicidare” in carcere Cecilia Marogna, dopo che la stampa nazionale l’ha dipinta a reti unificate come fatua e disonesta millantatrice. Vero obiettivo: minacciare l’ex capo dei nostri 007 (ora presidente di Leonardo), in modo che taccia sull’infame business dei rapimenti e delle lucrose liberazioni degli ostaggi italiani in Africa. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista internazionale. Forte di solide relazioni coi servizi segreti, italiani e non solo, Magaldi denuncia «la squallida montatura (giudiziaria e mediatica) che ha colpito la donna arrestata a Milano, che in realtà aveva scoperto come riscattare con poca spesa padre Pierluigi Maccalli, sequestrato in Mali, per la cui liberazione invece sono stati appena spesi 10 milioni di euro». L’improvviso arresto della Marogna, diffamata come “la dama del cardinale Becciu”, per Magaldi è un avvertimento di stampo mafioso rivolto al generale Luciano Carta, di cui la Marogna è stata strettissima collaboratrice. Obiettivo: indurre l’ex direttore dell’Aise a non rivelare nulla sulla verminosa speculazione che si organizza regolarmente dilatando i tempi di rilascio degli ostaggi, allo scopo di aumentare il prezzo del riscatto.«In questa operazione i veri bersagli sono tanti: nel mirino c’è anche Papa Francesco, che aveva nominato il cardinale Giovanni Angelo Becciu come “numero due” della Segreteria di Stato vaticana. Ma quello più grosso – assicura Magaldi – è costituito da un’impresa prestigiosa come Leonardo SpA, punta di lancia dell’hi-tech italiano nel mondo e, ormai, unico soggetto in grado di svolgere un po’ di politica estera per conto del nostro paese, vista l’assenza di ministri all’altezza (e anzi, la presenza alla Farnesina di emeriti imbecilli)». Il presidente roosvetiano lancia quindi un’accusa gravissima: dietro al «polverone mediatico-giudiziario» scatenato contro Cecilia Marogna, valente operatrice collegata all’intelligence italiana e vaticana (presentata invece come un’avventuriera dalle mani bucate) c’è un preciso avvertimento, di stampo intimidatorio, rivolto proprio al generale Luciano Carta, passato dall’Aise a Leonardo: guai, se si lascia scappare qualcosa riguardo al lucroso business che ruota attorno agli italiani rapiti in Africa. «Funziona così: rapitori e liberatori si mettono d’accordo sulla durata del sequestro, in modo da far lievitare la cifra pattuita per il loro rilascio».Magaldi è lettaralmente furibondo con il sistema mediatico italiano: il 13 ottobre, la trasmissione “Fuori dal coro” (Rete 4) non ha mandato in onda una sua intervista, in cui chiariva i retroscena inconfessabili dell’arresto di Cecilia Marogna, fermata il 15 ottobre a Milano su mandato di cattura internazionale emesso dal Vaticano. «E non è tutto: l’agenzia “Adn Kronos” ha pubblicato solo una parte (quella meno rilevante) dell’intervista che ho concesso il 19 ottobre, omettendo quindi gli aspetti sostanziali delle mie rivelazioni». Per questo, annuncia Magaldi l’indomani, nella diretta web-streaming su YouTube condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, il presidente del Movimento Roosevelt denuncerà la direzione dell’”Adn Kronos” all’Ordine dei Giornalisti e anche in altre sedi, comprese quelle giudiziarie. «Lo stesso – aggiunge – accadrà se il “Corriere della Sera” ostacolerà la pubblicazione dell’intervista concessa all’ottimo Ferruccio Pinotti, che ho scoperto essere in possesso di informazioni concordanti con le mie». Magaldi segnala – come “voce nel deserto”, finora – il reportage pubblicato da Luca Fazzo il 15 ottobre sul “Giornale”, dal titolo “La guerra tra spie dietro Lady Vaticano”: «Un articolo imperfetto, ma che almeno non si beve la storiella della “dama del cardinale”: eppure, è rimasto lettera morta».Attenzione, avverte Magaldi: nel caso accadesse qualcosa di irreparabile, a Cecilia Marogna, i «giornalisti cialtroni» ne sarebbero moralmente corresponsabili: «Non hanno indagato sul vero ruolo di quella donna, appassionata di intelligence e preparatissima in materia di questioni geopolitiche». Al contrario: «L’hanno dipinta come una millantatrice anche un po’ ladruncola, che avrebbe estorto mezzo milione di euro al Vaticano: come se la Segreteria di Stato fosse una comitiva di babbei, a cominciare dal cardinale Becciu». Di più: «Mezzo milione di euro in cinque anni, tra compensi e spese operative, in quel modo sono un’inezia: e Cecilia Marogna – rivela Magaldi – era arrivata a un passo dalla liberazione di padre Pierluigi Maccalli, detenuto in Mali. Liberazione che invece è poi stata ritardata deliberatamente per far salire il prezzo del riscatto, 5 milioni di euro a carico del governo italiano e altri 5 sborsati direttamente dal Vaticano».E’ questo – afferma Magaldi – il verminaio per coprire il quale è stata arrestata e messa alla gogna la Marogna, e non solo lei: «Di questo disegno fa parte anche la recentissima condanna, per una questione legata al caso Mps, di Alessandro Profumo, attuale amministratore dell’ex Finmeccanica», galassia cui appartiene la stessa Leonardo. «Anziché straparlare di come la Chiesa di Francesco scialacquerebbe l’obolo dei fedeli – dichiara Magaldi – ai cialtroni come Mario Giordano di “Fuori dal coro” consiglio di controllare i “balletti” di Borsa subiti in questi giorni dal gruppo Leonardo-Finmeccanica, che evidentemente si vuole intimorire». L’arma di ricatto? «Le tangenti che ogni operatore internazionale di qual calibro deve normalmente versare, purtroppo, se vuole lavorare in paesi senza democrazia». Soldi che passano di mano in mano, tra politici africani, 007 e «sedicenti terroristi», quelli che tengono in piedi «l’industria dei sequestri, che colpisce anche religiosi (da qui l’inevitabile coinvolgimento del Vaticano, per cui operava Cecilia Marogna, agendo in stretto contatto con il capo dell’intelligence italiana all’estero)».Secondo Magaldi, la donna è ora in pericolo di vita: «Se da San Vittore venisse estradata Oltretevere, dove la giustizia è meno trasparente di quella italiana, c’è chi pensa che potrebbe venir “suicidata”: c’è infatti un “progettino”, per far fare anche a lei la stessa fine già toccata a tanti altri, in passato, anche nelle carceri italiane». Facilissimo, oggi, inscenare una sua disperazione da “peccatrice pentita”, «dopo l’infame trattamento a cui l’hanno sottoposta i giornali, senza un minimo di pudore e di scrupolo professionale». Giornali che alle inchieste serie preferiscono le “veline” di regime e il facile scandalismo, che produce solo disinformazione (in questo caso addirittura criminale, se finisse per mettere a repentaglio la vita della detenuta). «Troppi giornalisti si guardano bene dal fare i necessari collegamenti, che consentirebbero loro di domandarsi, per esempio, chi trae vantaggio dall’attacco condotto in Borsa contro il gruppo Leonardo-Finmeccanica». Ma attenzione, avverte Magaldi: «Cecilia Marogna non è sola: c’è chi vigila sulla sua incolumità personale». E non è tutto: «I manipolatori sono avvisati: monitoriamo le loro mosse, daremo loro battaglia e li cacceremo a pedate».Vogliono “suicidare” in carcere Cecilia Marogna, dopo che la stampa nazionale l’ha dipinta a reti unificate come fatua e disonesta millantatrice. Vero obiettivo: minacciare l’ex capo dei nostri 007 (ora presidente di Leonardo), in modo che taccia sull’infame business dei rapimenti e delle lucrose liberazioni degli ostaggi italiani in Africa. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista internazionale. Forte di solide relazioni coi servizi segreti, italiani e non solo, Magaldi denuncia «la squallida montatura (giudiziaria e mediatica) che ha colpito la donna arrestata a Milano, che in realtà aveva scoperto come riscattare con largo anticipo e con meno denaro padre Pierluigi Maccalli, sequestrato in Mali, per la cui liberazione invece sono stati poi spesi 10 milioni di euro». L’improvviso arresto della Marogna, diffamata come “la dama del cardinale Becciu”, per Magaldi è un avvertimento di stampo mafioso rivolto al generale Luciano Carta, di cui la Marogna è stata strettissima collaboratrice. Obiettivo: indurre l’ex direttore dell’Aise a non rivelare nulla sulla verminosa speculazione che si organizza regolarmente dilatando i tempi di rilascio degli ostaggi, allo scopo di aumentare il prezzo del riscatto.
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Christine Lagarde: la macellaia della Grecia a capo della Bce
«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.Non è invece una montatura il ruolo che l’Fmi ebbe nella crisi della Grecia. Pur avendo preso avvio prima del suo insediamento, l’intervento si è concretizzato sotto la presidenza Lagarde. Con i risultati che tutti conosciamo. La Troika era sì composta, oltre che dal Fondo, anche da Unione Europea e Bce. Marchiani furono però gli errori commessi in sede di analisi da parte del primo, che sottostimò clamorosamente i moltiplicatori fiscali (a livello 0,5: erano fra tre e cinque volte più alti), imponendo misure draconiane che riuscirono persino a peggiorare una già drammatica situazione. Il Pil si è così contratto di oltre il 20% in più rispetto alle previsioni e la disoccupazione, che non doveva superare il 15%, è schizzata al 25%. L’Fmi ha scontato, scrisse l’editorialista economico del “Daily Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchars, un “pregiudizio pro-euro” che l’ha portato di fatto a «sacrificare la Grecia per salvare l’euro e le banche del Nord Europa». Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire. Al quale dobbiamo aggiungere il tentativo esperito nel 2011 per tentare di costringere l’Italia ad accettare un intervento finanziario. In cambio ovviamente delle solite “riforme”. Berlusconi e Tremonti si opposero, ma il commissariamento arrivò comunque a novembre di quell’anno con la crisi speculativa sui nostri titoli di Stato e l’insediamento di Mario Monti alla presidenza del Consiglio.Con la piena benedizione di Emmanuel Macron, Christine Lagarde arriva così fino al vertice dell’Eurotower. Non un fulmine a ciel sereno, dato che il suo nome era fra quelli papabili. Ma che dice molto sui nuovi equilibri che regneranno in Europa: a questo giro l’ha spuntata la Francia, riuscendo in qualche modo a ridimensionare una Merkel (la quale ha comunque un’ottima stima della Lagarde) sempre meno leader indiscusso. Tandem Christine Lagarde – Ursula von der Leyen? Se le nomine dovessero essere confermate dal Parlamento Ue, ai vertici delle istituzioni comunitarie siederanno così due donne. Detto delle esperienze della Lagarde, non va meglio con quelle di Ursula von der Leyen. Tedesca, classe 1958, ininterrottamente dal 2005 ha rivestito per tre volte la carica di ministro nel governo federale tedesco. Torniamo di nuovo all’annus horribilis 2011. Proprio mentre Lagarde premeva per il nostro commissariamento, la von der Leyen si spingeva oltre, proponendo di legare eventuali aiuti ai membri in crisi dell’Eurozona in crisi con la richiesta di depositare beni in garanzia. Nello specifico, il nostro oro o le nostre aziende strategiche. L’unione di intenti fra le due nuove “teste” dell’Ue condurrà al disastro? Nonostante i “precedenti”, infatti, già da qualche anno l’Fmi ha iniziato, sia pur timidamente, a ripensare i propri modelli.Se prima l’austerità e le riforme strutturali erano l’unica via da percorrere, oggi la musica sembra in minima parte cambiata. E’ quindi estremamente probabile che, seguendo la nuova trama, che Christine Lagarde possa riprendere in mano il “bazooka” lanciato da Draghi con il nome di Quantitative Easing. Modificandolo, dandogli forse una diversa taratura. Ma certo non riponendolo in soffitta. Altro ossigeno, insomma, per un’Eurozona che è e rimane disastrata e preda delle contraddizioni intrinseche di una moneta unica architettata male e realizzata peggio. Un effetto placebo che, come già dimostrato fino ad oggi (nonostante l’invasione di liquidità l’inflazione, zavorrata da una crescita che resta asfittica, di salire non ne vuol proprio sapere) rischia solo di procrastinare la nostra agonia. Evitando forse manovre lacrime e sangue. Ma non per questo affrontando qui problemi talmente connaturati all’euro dal non poter essere in alcun modo risolti. A meno di non voler dare una nuova forma all’unione monetaria, magari iniziando a discutere di trasferimenti monetari dalle zone più ricche a quelle più in difficoltà. Scelta di politica economica standard in condizioni “normali”, ma che la Germania non accetterà mai. E anche qualora si dimostrasse aperta all’ipotesi, chiederebbe in cambio di scrivere – insieme a Bruxelles e alla Bce stessa – direttamente le nostre finanziarie. Sarebbe desiderabile?(Filippo Burla, “La macellaia della Grecia a capo della Bce: ecco chi è Christine Lagarde”, da “Il Primato Nazionale” del 3 luglio 2019. Laureato in scienze politiche ed economia aziendale, Burla è un analista economico del giornale, indipendente, ascrivibile all’area culturale della nuova destra sovranista italiana. Quanto alla Lagarde, nel saggio “Massoni” edito da Chiarelettere, Gioele Magaldi svela che la presidente uscente del Fmi milita stabilmente in svariate Ur-Lodges, come le superlogge “Three Eyes” e “Pan-Europa”, espressione dell’ala reazionaria e oligarchica del supremo potere massonico mondiale).«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.
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Greta, Guaidò, Imane: già scomparsi. Media senza memoria
Nel giornalismo esiste una regola, che si chiama follow-up. Il termine inglese significa letteralmente “proseguire, dare seguito”, e si riferisce al fatto che per ogni evento importante sia buona regola, dopo un certo tempo, dare al pubblico un aggiornamento della situazione. Se in un certo luogo del mondo c’è stato un disastro naturale, si dà subito la notizia del disastro, e poi dopo un po’ di tempo si torna sull’argomento, e si riassume la situazione per come si è evoluta nel tempo: quanti sono gli sfollati e i senzatetto, quale è la conta definitiva delle vittime, quali sono le conseguenze che quel disastro ha portato sul tessuto sociale della zona, ecc. In questo modo il lettore non solo rimane aggiornato, ma riesce anche a dare un senso temporale alla vicenda. Nell’arco di tempo trascorso fra l’evento iniziale e la disamina delle sue conseguenze, infatti, il lettore riesce a trarre la sua lezione personale: le autorità locali si sono comportate bene, si sono comportate male, il disastro si poteva evitare oppure è stato una fatalità, la comunità internazionale ha agito prontamente oppure non lo ha fatto, chi è intervenuto quali interessi aveva nel farlo, ecc ecc.Il lettore cioè ragiona sui fatti avvenuti, li vede nel loro arco temporale, e trae e sue conclusioni personali. Il lettore impara dalla storia. Ma oggi questa sana abitudine sta scomparendo. Ormai ci stiamo abituando sempre di più alle notizie usa-e-getta. Che fine ha fatto ad esempio Greta Thunberg? Solo venti giorni fa ci facevano una testa così sul nuovo fenomeno della lotta ambientalista, e oggi non sappiamo più niente di lei. E’ tornata a scuola, il venerdì, o continua imperterrita a fare lo sciopero davanti al Parlamento? Ha organizzato un movimento stabile e ben strutturato, oppure è rimasta una voce isolata? Niente, di Greta Thunberg non sappiamo più niente. E’ come se non fosse mai esistita. Un altri esempio è Juan Guaidò. Fino all’altro ieri era su tutti i telegiornali. Sapevamo dove andava a mangiare, dove teneva i suoi comizi, venivamo aggiornati ogni 5 minuti su cosa dicesse e dove si spostasse. Poi di colpo più niente. E’ ancora in Venezuela? Lo hanno arrestato? E’ ancora in Parlamento? Può circolare liberamente? Gli americani hanno rinunciato a sostenerlo? Nulla, Juan Guaidò non esiste più.Idem per il caso Imane, la ragazza del caso Berlusconi morta di colpo in un ospedale di Milano. Doveva esserci un’autopsia. C’è stata? Non c’è stata? L’hanno rimandata? Perchè non la fanno? Cosa dicono i legali? Cosa dicono i genitori? Nulla. Nessuno si ricorda più di lei, la sua storia è finita nel nulla. Il follow-up non esiste più. E non è certamente un caso che sia così. Quando di un fatto esiste un follow-up, ovvero un collegamento fra un prima e un dopo, il lettore può fare i suoi ragionamenti su quello che successo nel frattempo. Se oggi il normale lettore si rende conto che Greta è tornata regolarmente a scuola e mangia bistecche tutti i giorni, potrebbe dedurre che il suo caso non fosse genuino, ma fosse solo una grande montatura mediatica di cui lei era solo il burattino. Se oggi il normale lettore si rende conto che Juan Guaidò vive in libertà vigilata, e non può più nemmeno andare a pisciare senza il permesso di Maduro, potrebbe dedurre che Guaidò non fosse affatto un fenomeno genuino e popolare, ma fosse semplicemente un “expendable” che è stato usato dalla Cia e poi gettato alle ortiche nel momento in cui l’operazione è fallita.Se oggi il normale lettore si rende conto che sul caso Imane è improvvisamente calato il buio più assoluto, potrebbe dedurre che esistono dei poteri in grado di zittire la nostra magistratura, e di mettere sotto silenzio anche un caso scandaloso e potenzialmente devastante come questo. La memoria fra il prima e il dopo è ciò che ci permette di ragionare, ci permette di trarre le nostre conclusioni, ci permette di imparare dalla storia. Mentre un popolo senza memoria è un popolo che smette di ragionare. Ecco perchè la caduta in disuso del follow-up non è affatto casuale. Fa parte di un disegno ben preciso, nel quale si vuole togliere alla popolazione ogni qualunque capacità di analisi critica. L’appiattimento dei media sul pensiero unico da un lato, e la palese volontà di non dare un senso compiuto agli eventi dall’altro, evitando di porli nella loro giusta prospettiva storica, annienteranno in pochissimo tempo ciò che ancora rimane al mondo della sua capacità di ragionare.(Massimo Mazzucco, “Anni senza memoria”, dal blog “Luogo Comune” del 15 aprile 2019).Nel giornalismo esiste una regola, che si chiama follow-up. Il termine inglese significa letteralmente “proseguire, dare seguito”, e si riferisce al fatto che per ogni evento importante sia buona regola, dopo un certo tempo, dare al pubblico un aggiornamento della situazione. Se in un certo luogo del mondo c’è stato un disastro naturale, si dà subito la notizia del disastro, e poi dopo un po’ di tempo si torna sull’argomento, e si riassume la situazione per come si è evoluta nel tempo: quanti sono gli sfollati e i senzatetto, quale è la conta definitiva delle vittime, quali sono le conseguenze che quel disastro ha portato sul tessuto sociale della zona, ecc. In questo modo il lettore non solo rimane aggiornato, ma riesce anche a dare un senso temporale alla vicenda. Nell’arco di tempo trascorso fra l’evento iniziale e la disamina delle sue conseguenze, infatti, il lettore riesce a trarre la sua lezione personale: le autorità locali si sono comportate bene, si sono comportate male, il disastro si poteva evitare oppure è stato una fatalità, la comunità internazionale ha agito prontamente oppure non lo ha fatto, chi è intervenuto quali interessi aveva nel farlo, ecc ecc.
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Carpeoro: siamo nei guai, grazie ai soliti italiani traditori
“Siamo nella merda”. Così Paolo Villaggio firmò, per Mondadori, le sue ultimissime “pillole di saggezza di una vecchia carogna”. Ricorre allo stesso concetto Massimo Mazzucco, nel vedere il governo gialloverde ridotto a mendicare un accordo (ben poco dignitoso) con l’Unione Europea, per evitare la procedura d’infrazione per eccesso di deficit, dopo essersi rimangiato il 2,4% strombazzato settimane fa. E non è ancora detto che fili liscia, aggiunge Gianfranco Carpeoro: non è ancora finita, la partita con Bruxelles, e non è affatto scontato che l’Italia non venga costretta all’esercizio provvisorio di bilancio. In web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Mazzucco sintetizza: «Teoricamente, Lega e 5 Stelle erano i nostri “centravanti”, gli unici possibili: se hanno fallito loro, nel difendere l’Italia di fronte all’Ue, non c’è nessun altro che possa farlo». Sempre in video-chat con Frabetti, Carpeoro rincara la dose: forse, non abbiamo ancora visto niente. Domani potremmo persino assistere alla nuova vita di Giuseppe Conte, l’attuale mediatore con Bruxelles: domani, il premier potrebbe essere chiamato a guidare un governo ridisegnato e ancora più allineato ai diktat del potere europeo, coi gialloverdi più defilati e magari altri appoggi, non esattamente nobili, come quelli dei “responsabili” che Berlusconi e il Pd starebbero cercando di mettere in piedi, incoraggiando leghisti e pentastellati dissidenti.Un pericolo del quale, secondo Carpeoro, Di Maio e Salvini sono perfettamente al corrente: alla montatura giudiziaria dei 49 milioni di cui si chiede conto alla Lega salviniana si è infatti aggiunto lo scandaletto del padre di Di Maio, accusato di utilizzare lavoratori in nero. «E’ ovvio che si tratta di avvertimenti preliminari, dietro ai quali poi potrebbero uscir fuori storie anche più “simpatiche”», sostiene Carpeoro. L’unica notizia è che i leader gialloverdi si sono, tecnicamente, arresi. E l’hanno fatto prima ancora di cominciare a combattere. Carpeoro l’aveva annunciato: contro i sovragestori di Bruxelles, l’Italia può spuntarla solo se resta unita. E invece: «Nei 5 Stelle sta crescendo la fronda interna contro Di Maio. E nella Lega, anche se ancora non se ne parla, sta montando l’opposizione intestina contro Salvini, al quale la vecchia guardia – capitanata da Bossi – rimprovera di non aver ottenuto abbastanza soldi per il Nord». Ma questo è niente, secondo Carpeoro: «Il fatto è che l’opposizione – destra e sinistra – pur di contrastare il governo in carica si è prontamente coalizzata, come al solito, con i nemici della patria. A qual punto, Di Maio e Salvini si saranno chiesti perché mai andare allo scontro con Bruxelles, se poi l’Italia è questa qui».Niente di nuovo sotto il sole: «Era già così nel Rinascimento: una signoria si metteva d’accordo con potenze straniere per combattere contro la signoria rivale». Ed è andata avanti così per tutta la Prima Repubblica: «Persino nella Dc e nel Psi c’erano esponenti pronti ad allearsi con stranieri pur di far fuori i leader in carica». Grande occasione perduta, quella gialloverde? Secondo Carpeoro, sì: «L’Italia non è la Grecia. Tutti, a Bruxelles, sapevano perfettamente che non avrebbero mai potuto fare carne di porco, dell’Italia, così come invece è stato fatto della Grecia». Solo che, appunto, servivano coraggio e coesione: la capacità di tener duro, innanzitutto a tutela degli italiani. Una vertenza condotta fino in fondo a testa alta avrebbe fatto da apripista, in Europa, per contribuire ad abbattere il Muro di Bruxelles, il dogma del rigore impugnato dall’élite neoliberista. Invece, paradossalmente, sembra aver ottenuto più risultati, in Francia, la rivolta di strada dei Gilet Gialli. L’Italia è stata rapidamente rimessa in riga. E secondo Carpeoro, la “purga” non è ancora finita. Dipenderà da quali accordi verranno presi, più o meno sottobanco. E magari da quali altre garanzie lo stesso Conte arriverà a fornire, ai sovragestori dell’Ue, che sono riusciti a domare il governo italiano dopo aver azzoppato Di Maio e minacciato lo stesso Salvini.“Siamo nella merda”. Così Paolo Villaggio firmò, per Mondadori, le sue ultimissime “pillole di saggezza di una vecchia carogna”. Ricorre allo stesso concetto Massimo Mazzucco, nel vedere il governo gialloverde ridotto a mendicare un accordo (ben poco dignitoso) con l’Unione Europea, per evitare la procedura d’infrazione per eccesso di deficit, dopo essersi rimangiato il 2,4% strombazzato settimane fa. E non è ancora detto che fili liscia, aggiunge Gianfranco Carpeoro: non è ancora finita, la partita con Bruxelles, e non è affatto scontato che l’Italia non venga costretta all’esercizio provvisorio di bilancio. In web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Mazzucco sintetizza: «Teoricamente, Lega e 5 Stelle erano i nostri “centravanti”, gli unici possibili: se hanno fallito loro, nel difendere l’Italia di fronte all’Ue, non c’è nessun altro che possa farlo». Sempre in video-chat con Frabetti, Carpeoro rincara la dose: forse, non abbiamo ancora visto niente. Domani potremmo persino assistere alla nuova vita di Giuseppe Conte, l’attuale mediatore con Bruxelles: domani, il premier potrebbe essere chiamato a guidare un governo ridisegnato e ancora più allineato ai diktat del potere europeo, coi gialloverdi più defilati e magari altri appoggi, non esattamente nobili, come quelli dei “responsabili” che Berlusconi e il Pd starebbero cercando di mettere in piedi, incoraggiando leghisti e pentastellati dissidenti.
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Lo 007 disse alla moglie: tra poco mi uccidono. E così fu
Il 4 marzo 2018, in Inghilterra, viene trovato accasciato su una panchina l’agente segreto russo Sergeij Skripal, insieme a sua figlia. Entrambi sarebbero stati avvelenati da un gas nervino appartenente a un tipo sviluppato e prodotto dall’esercito russo (denominato A234). L’agente segreto sarebbe stato avvelenato perché avrebbe fornito informazioni ai servizi segreti di altri paesi facendo il doppio gioco e quindi tradendo Mosca. A seguito di questo fatto, assistiamo alla lapidazione del presidente russo Putin per un fatto senza senso né logica, e assistiamo alla cacciata dei diplomatici russi dalle varie ambasciate (un vero e proprio atto di guerra). Questo fatto mi ricorda una vicenda della mia infanzia, quando il padre di un mio amico del liceo, funzionario dei servizi segreti, pochi giorni prima di essere trovato morto su una panchina del paese di Bracciano, in provincia di Viterbo, disse alla sua famiglia: «Fra pochi giorni mi uccideranno; non credete alle bugie che racconteranno su di me, sappiate che sarò morto in servizio, perché nel mio lavoro funziona così. Non ci sono licenziamenti, liquidazioni, preavvisi, indennità… semplicemente, ci uccidono». E chiese alla moglie di fare una battaglia legale, per far dichiarare non il suicidio ma la “morte in servizio”. Da quel giorno, ovverosia dal giorno in cui la moglie vinse la battaglia legale con lo Stato, facendosi riconoscere la morte per stato di servizio, è invalsa nel linguaggio del servizio segreto l’espressione “è stato suicidato” per indicare un omicidio travestito da suicidio.Ora, premesso che: l’uccisione di agenti segreti è un fatto che è sempre avvenuto in tutti i tempi e in tutti i paesi, e nessuno si è mai sollevato e indignato per questo; gli agenti segreti vengono assassinati non solo dalle potenze avversarie, ma dagli stessi governi per i quali essi lavorano: quando un agente/collaboratore/consulente/funzionario è scomodo, viene semplicemente ucciso. La vita degli agenti segreti, per i governi dei vari Stati, non vale nulla (come la vita dei cittadini, del resto). Tanto meno vale la vita dei familiari, che viene spesso utilizzata come strumento di ricatto verso gli agenti stessi, per intimidirli, costringerli a determinate azioni, ecc. Basti pensare – tra i casi di cui ci siamo occupati nel nostro sito – al caso di Davide Cervia; al caso Nicola Calipari; all’assassinio di Mario Ferraro, trovato impiccato al portasciugamani del suo bagno; a Giovanni Aiello detto “faccia da mostro”; a Luciano Petrini, ucciso a colpi di portasciugamano mentre stava facendo una perizia informatica sulla morte del colonnello Ferraro… Tutti agenti o collaboratori dei servizi segreti, uccisi perché, molto semplicemente, erano diventati scomodi. Per uccidere un uomo, ci sono decine se non centinaia di modi, alcuni invisibili, altri più eclatanti, come le armi da sparo, ma molto più sicuri (vedi il nostro articolo “Come uccidere un uomo senza lasciare traccia”); ci sarebbe da domandarsi perché Putin abbia scelto un mezzo così eclatante per un’operazione del genere; e perché proprio adesso (dato che il doppio gioco di Skripal era noto da anni ai russi, tanto è vero che nel 2004 aveva subito un procedimento penale proprio per alto tradimento).La domanda da farsi quindi è: cosa cela veramente questa vicenda? Dal momento che i fatti veicolati dai mass media nascondono in realtà messaggi tra vari poteri, il cui contenuto possiamo intuirlo dal tipo di parole e messaggi utilizzati nella veicolazione delle varie informazioni, la domanda che possiamo porci è: premesso che Putin ha da poco concluso con la Germania un accordo (North Stream 2) per la costruzione di un gasdotto, e tale accordo è mal visto dagli Usa, dato che nelle notizie relative alla spia russa si parla di “gas”, è possibile che questa vicenda nasconda una serie di messaggi intimidatori a Putin, proprio per la vicenda del gasdotto? La nostra è solo una domanda, e forse siamo anche fuori strada, trattandosi solo di un’intuizione. Ma certamente non siamo fuori strada nel capire che questa vicenda è solo una montatura, e Putin non c’entra probabilmente nulla con l’assassinio della spia. A Londra, come a qualunque altro governo, non interessa certamente la vita di un agente segreto, per giunta appartenente ad un altro governo. La vicenda è quindi solo il pretesto ufficiale, per condurre un altro tipo di guerra per interessi che non possono essere esplicitati alle masse.(Paolo Franceschetti, “Caso Skripal, perché si uccide un agente segreto”, dal blog “Petali di Loto” del 30 marzo 2018).Il 4 marzo 2018, in Inghilterra, viene trovato accasciato su una panchina l’agente segreto russo Sergeij Skripal, insieme a sua figlia. Entrambi sarebbero stati avvelenati da un gas nervino appartenente a un tipo sviluppato e prodotto dall’esercito russo (denominato A234). L’agente segreto sarebbe stato avvelenato perché avrebbe fornito informazioni ai servizi segreti di altri paesi facendo il doppio gioco e quindi tradendo Mosca. A seguito di questo fatto, assistiamo alla lapidazione del presidente russo Putin per un fatto senza senso né logica, e assistiamo alla cacciata dei diplomatici russi dalle varie ambasciate (un vero e proprio atto di guerra). Questo fatto mi ricorda una vicenda della mia infanzia, quando il padre di un mio amico del liceo, funzionario dei servizi segreti, pochi giorni prima di essere trovato morto su una panchina del paese di Bracciano, in provincia di Viterbo, disse alla sua famiglia: «Fra pochi giorni mi uccideranno; non credete alle bugie che racconteranno su di me, sappiate che sarò morto in servizio, perché nel mio lavoro funziona così. Non ci sono licenziamenti, liquidazioni, preavvisi, indennità… semplicemente, ci uccidono». E chiese alla moglie di fare una battaglia legale, per far dichiarare non il suicidio ma la “morte in servizio”. Da quel giorno, ovverosia dal giorno in cui la moglie vinse la battaglia legale con lo Stato, facendosi riconoscere la morte per stato di servizio, è invalsa nel linguaggio del servizio segreto l’espressione “è stato suicidato” per indicare un omicidio travestito da suicidio.