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Io faccio così: diario dall’Italia che ha voltato pagina
Il futuro, questo sconosciuto. Da una parte la faccia dura della crisi, l’Europa-zombie che sembra stata creata apposta per non funzionare, se non a scapito di milioni di sventurati senza più lavoro né diritti. Sopravvive benone solo la cosiddetta casta: partiti e istituzioni, banche e finanzieri, ex industriali convertiti alla finanza speculativa. Ma il sistema sembra ora sul punto di crollare, schiantato da una globalizzazione senza paracadute. Un disastro, che sta già travolgendo l’altra Italia, quella che ancora presidia i territori, li difende dalle “grandi opere inutili” e prova a resistere al deserto della deindustrializzazione. E’ rabbia, che sfila in corteo e chiede giustizia e democrazia. Ma soprattutto sovranità. Che in fondo significa: tornare padroni della propria vita. E’ quello che, in silenzio, migliaia di italiani hanno cominciato a fare, completamente ignorati dai grandi media. Una foresta che cresce, e che sta gettando semi. Giovani e famiglie che, semplicemente, hanno cambiato vita. Si sono rimboccati le maniche, inventandosi un nuovo lavoro. Un nuovo modo di stare al mondo. «E funziona?». «Sì, certo: guarda, io faccio così».Ne è testimone Daniel Tarozzi, reduce da un “giro d’Italia” di sette mesi, alla guida del suo camper, lungo i paesaggi dell’Italia in cambiamento. Tutte e 20 le Regioni dello Stivale, isole comprese. Migliaia di contatti, centinaia di storie. Tutte diverse e tutte simili. «Quando avete cominciato, a vivere così?». Risposta invariabile: «Cinque, sei anni». Cioè da quando la Grande Crisi ha affondato le zanne nel tessuto socio-economico: gli sciacalli della speculazione, Wall Street, il rigore imposto dall’Eurozona. Ovvero: la certezza matematica che sarebbe crollato, con la recessione, un sistema peraltro insopportabile e insostenibile come quello basato sui consumi inutili, drogati dalla pubblicità. Vite in scatola? No, grazie. «La scoperta – racconta Daniel Tarozzi – è che si sta creando una rete diffusa, dal nord al sud, di micro-economie che valorizzano il territorio e le competenze delle persone, spesso promuovendo lavori che le statistiche nemmeno rilevano».Succede anche in città, non solo in campagna, per iniziativa di gruppi organizzati ma anche di singoli “pionieri” convertiti alla sostenibilità, al risparmio e alla qualità della vita. Parola d’ordine: ridurre le dipendenze. Autocostruzione, energia pulita e autoprodotta, cibo di stagione assicurato tutto l’anno dall’orto sotto casa, grazie alla pratica della permacoltura. E’ una rivoluzione culturale, che spinge le persone a cooperare tra loro riscoprendo il valore spontaneo della solidarietà. «Io credo che dobbiamo passare dal “vinco io, perdi tu” al “vinciamo tutti”», sintetizza Michela Scibilia, di Venezia. E non è solo un orizzonte per nuovi contadini. Ci sono anche inventori, imprenditori, manager. E artigiani, neolaureati, artisti. «Le loro storie non fanno più parte dell’aneddotica, ma ormai costituiscono una realtà che va raccontata e fotografata. E dimostrano che un altro Pil, più vero e di qualità, è possibile». Ci sono tantissime realtà italiane in movimento, conferma l’altoatesino Hans Schmieder, promotore dell’Accademia dei Colloqui di Dobbiaco, Bressanone. «Il problema è che queste realtà sono invisibili: dobbiamo lavorare per farle vedere».E’ quello che ha fatto Daniel Tarozzi, col suo diario “on the road” pubblicato da “Chiarelettere”. «L’idea di questo viaggio e poi di questo libro – dice – è nata da un’esigenza fortissima che sentivo da dieci anni». Da giornalista, direttore del newsmagazine “Il Cambiamento”, si è sempre occupato di sostenibilità, decrescita e transizione. «Tutti questi movimenti e queste realtà, solo apparentemente piccoli, non solo sono attivi sul territorio, ma riescono a incidere concretamente e positivamente nel cambiare, nel raggiungere i propri obiettivi. E la cosa bella è che queste persone alla fine riescono nel loro intento». “Io faccio così”, il leit-motiv di tanti incontri, è diventato il titolo del libro, anticipato da un blog sul “Fatto Quotidiano”. Fotogrammi da un popolo in marcia. Il cambiamento richiede pazienza, ammette un religioso come don Gianni Fazzini, promotore dell’iniziativa “Bilanci di giustizia”, per aiutare le persone bisognose a risparmiare. L’importante, però, è non perdere mai di vista un fatto decisivo: «Il bene più prezioso è un bene immateriale: il tempo». Pazienza e fiducia. «C’è un’Italia che non molla, che va avanti e crede nel futuro».Dal centro di Bologna alla trincea degradata di Scampia, si moltiplicano iniziative solidali che diventano attività organizzate e sostenibili. Nel libro di Daniel Tarozzi, abbondano i paesaggi extraurbani. E il ritorno alla terra è un richiamo potente. «Vogliamo convincere le amministrazioni a inserire gli orti nei loro piani regolatori», dicono Gianfranco Bettega e Adriana Stefani dello Slow Food di Trento, ideatori del progetto “orto in condotta”, nelle scuole. «E’ andato molto bene: ci cercano in tantissimi, non riusciamo a star dietro a tutte le chiamate». Cristina Tagliavini, di “Accesso alla Terra”, sta realizzando una cooperativa aperta a tutti, che acquisti terreni abbandonati o destinati all’edilizia, per affidarli a chi voglia iniziare a coltivare la terra. «Vogliamo seguire i neo-contadini offrendo assistenza e formazione, mettendoli in rete tra loro». Buone notizie da tutta Italia. «Oggi in Puglia c’è un ritorno di tanti giovani che erano emigrati e che – spesso per mancanza di lavoro – decidono di riprovare a costruirsi un futuro qui», racconta Virginia Meo di “Ressud”, sodalizio che mette in contatto le realtà di economia solidale dall’Abruzzo alla Sicilia. «Sono davvero tante – dice Daniel Tarozzi – le persone che, in questo momento di crisi e senza neppure avere le spalle coperte, si licenziano e cercano di costruire una vita diversa». Motivo: «Contestano il sistema in cui vivono, e i suoi falsi valori». Ebbene sì: «C’è davvero un’Italia che cambia, ed è quella che ho cercato di raccontare».(Il libro: Daniel Tarozzi, “Io faccio così”, Chiarelettere, 368 pagine, euro 14,50).Il futuro, questo sconosciuto. Da una parte la faccia dura della crisi, l’Europa-zombie che sembra stata creata apposta per non funzionare, se non a scapito di milioni di sventurati senza più lavoro né diritti. Sopravvive benone solo la cosiddetta casta: partiti e istituzioni, banche e finanzieri, ex industriali convertiti alla finanza speculativa. Ma il sistema sembra ora sul punto di crollare, schiantato da una globalizzazione senza paracadute. Un disastro, che sta già travolgendo l’altra Italia, quella che ancora presidia i territori, li difende dalle “grandi opere inutili” e prova a resistere al deserto della deindustrializzazione. E’ rabbia, che sfila in corteo e chiede giustizia e democrazia. Ma soprattutto sovranità. Che in fondo significa: tornare padroni della propria vita. E’ quello che, in silenzio, migliaia di italiani hanno cominciato a fare, completamente ignorati dai grandi media. Una foresta che cresce, e che sta gettando semi. Giovani e famiglie che, semplicemente, hanno cambiato vita. Si sono rimboccati le maniche, inventandosi un nuovo lavoro. Un nuovo modo di stare al mondo. «E funziona?». «Sì, certo: guarda, io faccio così».
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In piazza l’Italia più vera, sfidando la disinformazione
Disinformazione a parte, quella del 19 ottobre è stata una delle più belle e più grandi manifestazioni di massa degli ultimi anni. E anche una vera manifestazione di popolo, dice Giorgio Cremaschi: un corteo con svariate decine di migliaia di giovani, di migranti, di donne e di militanti dei movimenti sociali e di quelli ambientali, di lavoratori e pensionati. Se la si collega con quella del 18 ottobre per lo sciopero dei sindacati di base, come del resto proposto dagli stessi promotori, vediamo finalmente delineato «un possibile blocco sociale antagonista, che rompe le barriere tra generazioni», gli steccati «tra lavoro, precarietà, disoccupazione e reddito, tra diritti sociali e ambiente». E così «si comincia a sentire anche una maturazione di obiettivi politici, con la rivendicazione democratica di decidere mentre si individuano come avversari diretti l’Europa dell’austerità e i suoi governi, da noi quello voluto da Giorgio Napolitano».Chi condivide molti obiettivi sociali e politici di questi movimenti ma non ha voluto sfilare nella capitale «per settarismo o supponenza aristocratica», farà bene a dirsi che ha sbagliato, aggiunge Cremaschi in un post su “Micromega”, perché il 19 ottobre 2013 – col sommarsi di molte voci nel bagno di folla che ha attraversato il centro di Roma – può diventare una data storica, uno spartiacque: fino a ieri a subire la durezza della crisi c’era un’Italia spesso anonima, costretta a restare ai margini, priva di una vera rappresentanza democratica, delusa dai partiti e dai grandi sindacati vicini all’establishment. E’ l’Italia del lavoro che non c’è più, dei diritti confiscati, delle verità negate, dell’economicidio decretato dalla Troika europea col Fiscal Compact, espressione della dittatura dell’euro che impone di riscattare il debito pubblico senza più potere sovrano di spesa pubblica. Quell’Italia si è messa in marcia e ha parlato forte e chiaro, nonostante la pesantissima disinformazione dei media.«C’è da ridere nel vedere la vergogna della grande informazione italiana, davvero ridicola espressione del palazzo», osserva Cremaschi. «Tutti i grandi mass media hanno annunciato la manifestazione del 19 ottobre come un mattinale della questura. Poi, nonostante ci siano stati meno incidenti che in una normale partita di calcio, han cancellato la forza, la bellezza, la freschezza di una manifestazione, ove per la prima volta le famiglie dei migranti sfilavano con i bambini, e han gonfiato all’inverosimile piccolissimi episodi». Ancora una volta, aggiunge l’ex dirigente della Fiom, «la grande informazione si conferma come parte della crisi della nostra democrazia». Eppure, la grande prova offerta dalla manifestazione del 19 ottobre dimostra che si può ripartire lo stesso: «Senza esaltarsi troppo e consapevoli di tante difficoltà, si riparte». Obiettivo: costringere la politica a mettere in agenda la verità della crisi, verso soluzioni che profumino finalmente di democrazia e sovranità popolare.Disinformazione a parte, quella del 19 ottobre è stata una delle più belle e più grandi manifestazioni di massa degli ultimi anni. E anche una vera manifestazione di popolo, dice Giorgio Cremaschi: un corteo con svariate decine di migliaia di giovani, di migranti, di donne e di militanti dei movimenti sociali e di quelli ambientali, di lavoratori e pensionati. Se la si collega con quella del 18 ottobre per lo sciopero dei sindacati di base, come del resto proposto dagli stessi promotori, vediamo finalmente delineato «un possibile blocco sociale antagonista, che rompe le barriere tra generazioni», gli steccati «tra lavoro, precarietà, disoccupazione e reddito, tra diritti sociali e ambiente». E così «si comincia a sentire anche una maturazione di obiettivi politici, con la rivendicazione democratica di decidere mentre si individuano come avversari diretti l’Europa dell’austerità e i suoi governi, da noi quello voluto da Giorgio Napolitano».
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Roma: la protesta tradita dallo spettacolo della paura
Ce l’hanno fatta anche stavolta: i soliti violenti – poche decine di teppisti travestiti da normali manifestanti – insieme ai loro alleati di fatto (i media) hanno trasformato la “lunga marcia” dell’Italia più sofferente in un rodeo televisivo a beneficio delle telecamere, appostate nei punti sensibili del percorso nell’attesa di veder finalmente divampare provocazioni, fiamme e scontri. Imbarazzanti i collegamenti in diretta, come per un evento sportivo: l’unica “notizia” è stata, per ore, il carattere pacifico della manifestazione, corredata con dettagli asfissianti sull’imponente dispositivo di sicurezza a protezione dei palazzi governativi. Sfilavano decine di migliaia di persone – oltre 70.000, secondo gli organizzatori – portando nelle strade la voce delle principali trincee sociali italiane – No-Tav, No-Muos, disoccupati e precari, senza-casa, orfani del welfare – ma non una frase è riuscita a permeare il vero scudo schierato nella capitale, quello delle televisioni, trincerato dietro la muraglia di agenti antisommossa come se Roma fosse invasa dagli Unni.“Più tensione che scontri”, alla fine, riconosce il “Fatto Quotidiano”, che riassume: “Bombe carta contro i ministeri, cariche della polizia e della finanza, 8 feriti non gravi tra gli esponenti delle forze dell’ordine, 15 fermati tra i manifestanti: è un bilancio meno grave del previsto quello registrato dopo la giornata di altissima tensione vissuta a Roma per la manifestazione degli antagonisti”. Il corteo del 19 ottobre ha riunito sindacati di base, movimenti contro le grandi opere, precari e sfrattati. In altre parole: l’Italia, quella più colpita dalla crisi. O meglio: quella parte di Italia che alla crisi ha finora cercato di reagire, sui territori, contestando l’establishment in modo frontale, senza fare sconti a partiti e sindacati. «Alzare il livello dello scontro» oggi non significa scagliare sassi contro la polizia, ma «costringere la politica a dare risposte», annunciava una ragazza col megafono, ripresa da “RaiTre”.Buio totale, invece, da “RaiNews24”: i corrispondenti disseminati lungo il tragitto del corteo si sono limitati al “bollettino di guerra”, al 99% rimasto in bianco: niente scontri – come nel più banale dispaccio meteo, quello che annuncia “precipitazioni assenti”. Massima enfasi, dai media, nei soli tre brevi episodi di scontro, per fortuna incruenti: il contatto sfiorato con i “ragazzi di Casapound” tempestivamente bloccati dalla polizia prima che potessero raggiungere il corteo, l’improvviso agguato agli agenti della Guardia di Finanza schierati davanti al ministero dell’economia – sassi, petardi, sprangate, cassonetti incendiati per coprire la ritirata – e i tre rudimentali ordigni, pericolosamente armati con chiodi, scovati all’approdo finale della manifestazione, attorno a Porta Pia. E i tele-giornalisti? Sempre a distanza di sicurezza, lontanissimi dalle voci autentiche della manifestazione. Lo scoop del secolo, filmato quasi sempre da lontano: niente barbari in piazza, ma italiani normali.«Ci sono anche famiglie, anziani, bambini», diceva il reporter di guerra della rete “all news” di Stato, quella che – ai tempi di Roberto Morrione – aveva presidiato in modo esemplare il delirio del drammatico G8 di Genova, con collegamenti continui dal cuore vivo dei cortei. Era il 2001, mille anni fa, con in prima fila il movimento no-global ad avvertire che sarebbe scoppiata una crisi storica, provocata da una selvaggia globalizzazione del business a scapito dei diritti. E ora che l’inferno è arrivato, sotto forma di Eurozona – rigore cieco e tagli al welfare, recessione e disoccupazione di massa – i politici asserragliati nel palazzo, agli ordini dell’élite finanziaria privatizzatrice, sono gli stessi di dodici anni fa. E i loro media – con l’aiuto dei soliti provvidenziali imbecilli muniti di passamontagna – hanno gioco facile, ancora una volta, nell’evitare di raccontare la realtà, facendosi schermo con lo scudo più ancestrale, il più comodo: quello della paura.Ce l’hanno fatta anche stavolta: i soliti violenti – poche decine di teppisti travestiti da normali manifestanti – insieme ai loro alleati di fatto (i media) hanno trasformato la “lunga marcia” dell’Italia più sofferente in un rodeo televisivo a beneficio delle telecamere, appostate nei punti sensibili del percorso nell’attesa di veder finalmente divampare provocazioni, fiamme e scontri. Imbarazzanti i collegamenti in diretta, come per un evento sportivo: l’unica “notizia” è stata, per ore, il carattere pacifico della manifestazione, corredata con dettagli asfissianti sull’imponente dispositivo di sicurezza a protezione dei palazzi governativi. Sfilavano decine di migliaia di persone – oltre 70.000, secondo gli organizzatori – portando nelle strade la voce delle principali trincee sociali italiane – No-Tav, No-Muos, disoccupati e precari, senza-casa, orfani del welfare – ma non una frase è riuscita a permeare il vero scudo schierato nella capitale, quello delle televisioni, trincerato dietro la muraglia di agenti antisommossa come se Roma fosse invasa dagli Unni.
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Susan George: poteri occulti, la Terra è sotto scacco
Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la stessa sicurezza finanziaria, la vostra e quella della vostra famiglia, così come le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, ci sono pessime notizie: un gruppo di golpisti ha preso il potere e ormai domina il pianeta. Legalmente: perché le nuove leggi che imbrigliano i popoli, i governi e gli Stati se le sono fatte loro, per servire i loro smisurati interessi, piegando le democrazie con l’aiuto di “maggiordomi” travestiti da politici. La grande novità si chiama: “ascesa di autorità illegittima”. Parola di Susan George, notissima sociologa franco-statunitense, già impegnata nel movimento no-global e al vertice di associazioni mondiali come Greenpeace. I governi legali, quelli regolarmente eletti, ormai vengono di fatto «gradualmente soppiantati da un nuovo governo-ombra, in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana». L’Europa è già completamente nelle loro mani, tramite i tecnocrati di Bruxelles, i subdoli “inventori” dell’aberrante euro. Ma anche nel resto del mondo la libertà ha le ore contate.I nuovi oligarchi, spiega la George nell’intervento pronunciato al Festival Internazionale di Ferrara, ottobre 2013, possono agire attraverso le lobby o oscuri “comitati di esperti”, attraverso organismi ad hoc che ottengono riconoscimenti ufficiali. Talvolta operano «attraverso accordi negoziati in segreto e preparati con cura da “executive” delle imprese al più alto livello». Sono fortissimi, arrivano ovunque: «Lavorano a livello nazionale, europeo e sovranazionale, ma anche all’interno delle stesse Nazioni Unite, da una dozzina di anni nuovo campo di azione per le attività delle “corporate”». Attenzione, averte la George: «Non si tratta di una sorta di teoria paranoica della cospirazione: i segni sono tutti intorno a noi, ma per il cittadino medio sono difficili da riconoscere». Questo, in fondo, è il “loro” capolavoro: «Noi continuiamo a credere, almeno in Europa, di vivere in un sistema democratico». Non è così, naturalmente. Le sole lobby ordinarie, rimaste «ai margini dei governi per un paio di secoli», ormai «hanno migliorato le loro tecniche, sono pagate più che mai e ottengono risultati».Negli Stati Uniti, le lobby devono almeno dichiararsi al Congresso, dire quanto sono pagate e da chi. A Bruxelles, invece, «c’è solo un registro “volontario”, che è una presa in giro, mentre 10-15.000 lobbysti si interfacciano ogni giorno con la Commissione Europea e con gli europarlamentari». Che fanno? «Difendono il cibo-spazzatura, le coltivazioni geneticamente modificate, prodotti nocivi come il tabacco, sostanze chimiche pericolose o farmaci rischiosi». In più, «difendono i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra», oltre naturalmente ai loro clienti più potenti: le grandi banche. Meno conosciuti delle lobby tradizionali, cioè quelle favorevoli a singole multinazionali, sono in forte crescita specie nel comparto industriale le lobby-fantasma, solitamente definite “istituti”, “fondazioni” o “consigli”, spesso con sede a Washington. Sono pericolose e subdole: pagano esperti per influenzare l’opinione pubblica, fino a negare l’evidenza scientifica, per convincere i consumatori del valore dei loro prodotti-spazzatura.A Bruxelles il loro dominio è totale: decine di “comitati di esperti” preparano regolamenti dettagliati in ogni possibile settore. «Dalla metà degli anni ’90 – accusa Susan George – le più grandi compagnie americane dei settori bancario, pensionistico, assicurativo e di revisione contabile hanno unito le forze e, impiegando tremila persone, hanno speso 5 miliardi dollari per sbarazzarsi di tutte le leggi del New Deal, approvate sotto l’amministrazione Roosevelt negli anni ’30», tutte leggi «che avevano protetto l’economia americana per sessant’anni». Un contagio: «Attraverso questa azione collettiva di lobbying, hanno guadagnato totale libertà per trasferire attività in perdita dai loro bilanci, verso istituti-ombra, non controllati». Queste compagnie hanno potuto immettere sul mercato e scambiare centinaia di miliardi di dollari di titoli tossici “derivati”, come i pacchetti di mutui subprime, senza alcuna regolamentazione. «Poco è stato fatto dopo la caduta di Lehman Brothers per regolamentare nuovamente la finanza. E nel frattempo, il commercio dei derivati ha raggiunto la cifra di 2 trilioni e 300 miliardi di dollari al giorno, un terzo in più di sei anni fa».Quello illustrato da Susan George, nell’intervento tenuto a Ferrara e ripreso da “Come Don Chisciotte”, è un viaggio nell’occulto. «Ci sono organismi come l’International Accounting Standards Board, sicuramente sconosciuto al 99% della popolazione europea». E’ una struttura di importanza decisiva, di cui non parla mai nessuno. Nacque con l’allargamento a Est dell’Unione Europea, per affrontare «l’incubo di 27 diversi mercati azionari, con diversi insiemi di regole e norme contabili». Ed ecco, prontamente, l’arrivo dei soliti super-consulenti, provenienti dalle quattro maggiori società mondiali di revisione contabile. In pochi anni, il gruppo «è stato silenziosamente trasformato in un organismo ufficiale, lo Iasb». E’ ancora formato dagli esperti delle quattro grandi società, ma adesso sta elaborando regolamenti per 66 paesi membri, tra cui l’intera Europa. Attenzione: «Lo Iasb è diventato “ufficiale” grazie agli sforzi di un commissario Ue, il neoliberista irlandese Charlie MacCreevy». Commissario dell’Ue, cioè: “ministro” europeo, non-eletto da nessuno. E per di più, egli stesso esperto contabile. Naturalmente, ha potuto agire sotto la protezione di Bruxelles, cioè «senza alcun controllo parlamentare». L’alibi? Il solito: la Iasb è stato presentato come un’agenzia «puramente tecnica». La sua vera missione? Organizzare, legalmente, l’evasione fiscale dei miliardari.«Fino a quando non potremo chiedere alle imprese di adottare bilanci dettagliati paese per paese, queste continueranno a pagare – abbastanza legalmente – pochissime tasse nella maggior parte dei paesi in cui hanno attività». Le aziende, aggiunge la sociologa, possono collocare i loro profitti in paesi con bassa o nessuna tassazione, e le loro perdite in quelli ad alta fiscalità. Per tassare in maniera efficace, le autorità fiscali hanno bisogno di sapere quali vendite, profitti e imposte sono effettivamente di competenza di ciascuna giurisdizione. «Oggi questo non è possibile, perché le regole sono fatte su misura per evitare la trasparenza». E quindi: «Le piccole imprese nazionali o famigliari, con un indirizzo nazionale fisso, continueranno a sopportare la maggior parte del carico fiscale». Susan George ha contattato direttamente lo Iasb per chiedere se una rendicontazione dettagliata, paese per paese, fosse nella loro agenda. Risposta: no, ovviamente. «Non c’è di che stupirsi. Le quattro grandi agenzie i cui amici e colleghi fanno le regole, perderebbero milioni di fatturato, se non potessero più consigliare i loro clienti sul modo migliore per evitare la tassazione».L’altro colossale iceberg che ci sta venendo addosso, dal luglio 2013, si chiama Ttip, cioè Transatlantic Trade and Investment Partnership. In italiano: protocollo euro-atlantico su commercio e investimenti. «Questi accordi definiranno le norme che regolamenteranno la metà del Pil mondiale – gli Stati Uniti e l’Europa». Notizia: le nuove regole di cooperazione euro-atlantica «sono in preparazione dal 1995», da quando cioè «le più grandi multinazionali da entrambi i lati dell’oceano si sono riunite nel Trans-Atlantic Business Dialogue», la maggiore lobby dell’Occidente, impegnata a «lavorare su tutti gli aspetti delle pratiche regolamentari, settore per settore». Il commercio transatlantico ammonta a circa 1.500 miliardi di dollari all’anno. Dov’è il trucco? In apparenza, si negozierà sulle tariffe: ma è un aspetto irrilevante, perché pesano appena il 3%. Il vero obiettivo: «Privatizzare il maggior numero possibile di servizi pubblici ed eliminare le barriere non tariffarie, come per esempio i regolamenti e ciò che le multinazionali chiamano “ostacoli commerciali”». Al centro di tutti i trattati commerciali e di investimento, c’è «la clausola che consente alle aziende di citare in giudizio i governi sovrani, se la società ritiene che un provvedimento del governo danneggi il suo presente, o anche i suoi profitti “attesi”». Governi sotto ricatto: comandano loro, i Masters of Universe.Il Trans-Atlantic Business Dialogue, la super-lobby che ha incubato il trattato euro-atlantico, ora ha cambiato nome: si chiama Consiglio Economico Transatlantico. E non si nasconde neppure più. Ammette qual è la sua missione: abbattere le regole e piegare il potere pubblico, a beneficio delle multinazionali. Si definisce apertamente «un organo politico», e il suo direttore afferma con orgoglio che è la prima volta che «il settore privato ha ottenuto un ruolo ufficiale nella determinazione della politica pubblica Ue-Usa». Questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc, includerà modifiche decisive sui regolamenti che proteggono i consumatori in ogni settore: sicurezza alimentare, prodotti farmaceutici e chimici. Altro obiettivo, la “stabilità finanziaria”. Tradotto: la libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso. «I governi – aggiunge la George – non potranno più privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto», e il processo negoziale «si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini».E come se non bastasse l’infiltrazione nel potere esecutivo, in quello legislativo e persino nel potere giudiziario, le multinazionali ora puntano direttamente anche alle Nazioni Unite. Già nel 2012, alla conferenza Rio + 20 sull’ambiente, i super-padroni formavano la più grande delegazione, capace di allestire un evento spettacolare come il “Business Day”. «Siamo la più grande delegazione d’affari che mai abbia partecipato a una conferenza delle Nazioni Unite», disse il rappresentante permanente della Camera di Commercio Internazionale presso l’Onu. Parole chiarissime: «Le imprese hanno bisogno di prendere la guida e noi lo stiamo facendo». Oggi, conclude Susan George, le multinazionali arrivano a chiedere un ruolo formale nei negoziati mondiali sul clima. «Non sono solo le dimensioni, gli enormi profitti e i patrimoni che rendono le Tnc pericolose per le democrazie. È anche la loro concentrazione, la loro capacità di influenzare (spesso dall’interno) i governi e la loro abilità a operare come una vera e propria classe sociale che difende i propri interessi economici, anche contro il bene comune». E’ un super-clan, coi suoi tentacoli e i suoi boss: «Condividono linguaggi, ideologie e obiettivi che riguardano ciascuno di noi». Meglio che i cittadini lo sappiano. E i politici che dovrebbero tutelarli? Non pervenuti, ovviamente.Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la stessa sicurezza finanziaria, la vostra e quella della vostra famiglia, così come le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, ci sono pessime notizie: un gruppo di golpisti ha preso il potere e ormai domina il pianeta. Legalmente: perché le nuove leggi che imbrigliano i popoli, i governi e gli Stati se le sono fatte loro, per servire i loro smisurati interessi, piegando le democrazie con l’aiuto di “maggiordomi” travestiti da politici. La grande novità si chiama: “ascesa di autorità illegittima”. Parola di Susan George, notissima sociologa franco-statunitense, già impegnata nel movimento no-global e al vertice di associazioni mondiali come Greenpeace. I governi legali, quelli regolarmente eletti, ormai vengono di fatto «gradualmente soppiantati da un nuovo governo-ombra, in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana». L’Europa è già completamente nelle loro mani, tramite i tecnocrati di Bruxelles, i subdoli “inventori” dell’aberrante euro. Ma anche nel resto del mondo la libertà ha le ore contate.
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Curzio Maltese: il Nulla al governo, decide tutto Draghi
«L’Italia è un’espressione geografica», senza valore politico. La celebre frase di Metternich si potrebbe oggi usare per l’Europa, non fosse che l’Europa non è nemmeno un’espressione geografica e non ha neppure una lingua o una cultura comuni. Da un punto di vista geografico siamo solo l’Ovest dell’Asia; da quello politico, l’Est degli Stati Uniti. Il resto è soltanto una parziale unità monetaria e doganale. La larga vittoria di Merkel e l’affermarsi un po’ ovunque di grandi coalizioni eterodirette dalle banche centrali riconfermano il modello di questa unione debole, di questa fusione fredda. Le alternative a questo modello disastroso di Europa, lontano ormai anni luce dai sogni dei fondatori, è rappresentata da movimenti populisti poco credibili. Quindi si andrà avanti sulla strada sbagliata, verso il nulla. Eppure è questo nulla che da due anni governa l’Italia, attraverso governi commissariati dalle banche centrali. E continuerà a governarci chissà per quanto, perfino a dispetto di eventuali elezioni.Una volta festeggiata la fine del berlusconismo con la ridicola sconfitta al Senato sulla sfiducia, bisogna prendere atto che il governo Letta, sopravvissuto al bluff del Cavaliere, è soltanto la continuazione del governo Monti, con gli stessi risultati depressivi sull’economia. L’unica vera differenza, ma importante, è che questo è un governo politico e sta ponendo le basi per durare a lungo. Monti aveva sognato un grande centro, clamorosamente bocciato dagli elettori. Ma siccome gli elettori e le elezioni ormai contano poco, il grande centro si è formato lo stesso e oggi governa. A dispetto del voto, il Pd si sta trasformando in un partito neocentrista e progetta di governare, insieme a Monti e a un pezzo neocentrista dell’ex corte berlusconiana, per molti anni.Un (vero) governo di sinistra oggi dovrebbe scontrarsi con la politica imposta dalla Banca europea e da Berlino, e la sinistra italiana non ha né il coraggio né la volontà di farlo. A questo punto si tratta soltanto di prendere ordini da Draghi, e dunque che senso ha preoccuparsi di alleanze, programmi, leader? Meglio noi degli altri, è il ragionamento. Andrebbe tutto bene, se non che la politica delle banche centrali sta distruggendo l’industria italiana. Per l’Europa naturalmente non è un problema se le imprese italiane falliscono o si trasferiscono altrove. Affari degli italiani, che per vent’anni hanno inseguito un pagliaccio. Ma per noi, e ancora di più per i nostri figli, il problema è colossale. La ricetta di Draghi non ha funzionato con Monti e non sta funzionando con Letta. Ma l’alternativa dov’è? Il nuovo Pd di Renzi, il vaffa di Grillo? Lo status quo va benissimo anche a loro.«L’Italia è un’espressione geografica», senza valore politico. La celebre frase di Metternich si potrebbe oggi usare per l’Europa, non fosse che l’Europa non è nemmeno un’espressione geografica e non ha neppure una lingua o una cultura comuni. Da un punto di vista geografico siamo solo l’Ovest dell’Asia; da quello politico, l’Est degli Stati Uniti. Il resto è soltanto una parziale unità monetaria e doganale. La larga vittoria di Merkel e l’affermarsi un po’ ovunque di grandi coalizioni eterodirette dalle banche centrali riconfermano il modello di questa unione debole, di questa fusione fredda. Le alternative a questo modello disastroso di Europa, lontano ormai anni luce dai sogni dei fondatori, è rappresentata da movimenti populisti poco credibili. Quindi si andrà avanti sulla strada sbagliata, verso il nulla. Eppure è questo nulla che da due anni governa l’Italia, attraverso governi commissariati dalle banche centrali. E continuerà a governarci chissà per quanto, perfino a dispetto di eventuali elezioni.
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Barnard: sveglia grillini, il vostro leader è un figurante
«Ho chiamato Beppe e gli ho detto che Mosler voleva incontrarlo, mi ha detto che già lo conosceva e conosceva le sue teorie, mi ha chiesto di dire a Mosler di non chiamarlo, ma di mandargli una mail e che comunque non se ne sarebbe occupato lui direttamente ma avrebbe passato tutto a Casaleggio. Più di così non so che dirvi, con Casaleggio non ho contatti». Così la senatrice 5 Stelle Elena Fattori agli attivisti Mmt, Modern Money Theory, che – attraverso Paolo Barnard – avevano offerto al M5S l’assistenza di Warren Mosler per una ricetta economica anti-crisi fondata sulla sovranità monetaria. «Il Re è nudo», commenta Barnard, e il movimento di Grillo «è un partito-azienda comandato da un non-eletto, Mr. Casaleggio, che neppure ha rapporti con i suoi senatori. C’è bisogno di commentare?». Almeno, aggiunge Barnard, Berlusconi è stato votato dagli italiani. Casaleggio invece no, e ora dispone di una potenziale lobby, in Parlamento, che potrebbe promuovere leggi ad personam, anche se i grillini sono restii ad ammetterlo: «Hanno un Tirannosauro in salotto e non lo vedono. Questa è una tragedia italiana».Durissimo, Barnard, sulla visione economica di Grillo, che “non capisce” il debito pubblico, considerandolo un problema. I miliardi di euro di debito statale, insiste l’ex giornalista di “Report”, sono in realtà «credito in mano agli italiani che l’hanno comprato». E questi italiani «sono famiglie ma anche istituti finanziari che detengono il risparmio, pensioni integrative, polizze vita o assicurative di quelle famiglie». In altre parole, al 99% il debito è in realtà «l’attivo di milioni di cittadini italiani», cioè il denaro che lo Stato spende per loro in termini di servizi necessari. Se vuole ridurre il debito, Grillo «vuole ridurre drammaticamente l’attivo e i risparmi di milioni di italiani. Vuole cioè tassarli per centinaia di miliardi di euro. Roba da far impallidire Monti e il Fondo Monetario Internazionale». Perché tagliare il debito, secondo Barnard, significa proporre «il più imponente aumento di tasse per gli italiani dal 1948 a oggi».L’ex comico genovese, continua Barnard, «affonderà l’Italia nell’inflazione e senza creare un singolo posto di lavoro». Il M5S vorrebbe il “reddito di cittadinanza”? «E’ come dire ai bambini “gelato per tutti, votatemi”». Populismo catastrofico, secondo Barnard, perché nell’Italia di oggi – coi bilanci «bloccati e paralizzati nella gabbia della Troika europea» a – i grillini non troverebbero «neppure 10.000 euro da distribuire». Tagliando i soli sprechi della casta, «non raccoglierebbero neppure l’1% del fabbisogno per il reddito di cittadinanza». E attenzione: “regalare” soldi ai cittadini senza collegarli all’aumento della produzione «causerebbe un’immane massa monetaria in surplus che vaga per l’Italia devastandola di inflazione», dal momento che all’improvviso aumento di liquidità non corrisponderebbe altrettanta produzione di beni e servizi.Per il 90%, il “reddito di cittadinanza” («cioè una montagna di miliardi di euro») per Barnard sarebbe speso «a fronte di una base invariata di prodotti, portando i prezzi alle stelle». Risultato: «Inflazione africana, e senza creare un singolo posto di lavoro in più, anzi, causando una catena di licenziamenti, come in tutti i fenomeni inflattivi». Una follia. Se invece, come prescrive il programma Mmt, la medesima spesa pubblica venisse impiegata per un programma di piena occupazione, l’aumento dei consumi sarebbe supportato dall’incremento del Pil e da investimenti strategici per stabilizzare la società italiana terremotata dalla crisi. Molto meglio che «seppellire scienza e cervello», gridare “gelato per tutti!” e finire «dritti in Kosovo», seguendo alla cieca il leader dei grillini.«Ho chiamato Beppe e gli ho detto che Mosler voleva incontrarlo, mi ha detto che già lo conosceva e conosceva le sue teorie, mi ha chiesto di dire a Mosler di non chiamarlo, ma di mandargli una mail e che comunque non se ne sarebbe occupato lui direttamente ma avrebbe passato tutto a Casaleggio. Più di così non so che dirvi, con Casaleggio non ho contatti». Così la senatrice 5 Stelle Elena Fattori agli attivisti Mmt, Modern Money Theory, che – attraverso Paolo Barnard – avevano offerto al M5S l’assistenza di Warren Mosler per una ricetta economica anti-crisi fondata sulla sovranità monetaria. «Il Re è nudo», commenta Barnard, e il movimento di Grillo «è un partito-azienda comandato da un non-eletto, Mr. Casaleggio, che neppure ha rapporti con i suoi senatori. C’è bisogno di commentare?». Almeno, aggiunge Barnard, Berlusconi è stato votato dagli italiani. Casaleggio invece no, e ora dispone di una potenziale lobby, in Parlamento, che potrebbe promuovere leggi ad personam, anche se i grillini sono restii ad ammetterlo: «Hanno un Tirannosauro in salotto e non lo vedono. Questa è una tragedia italiana».
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Europee 2014, gli elettori voteranno contro Bruxelles
L’affermazione del partito anti-euro in Germania, la crescita dell’estrema destra in Austria, la pressione degli eurofobi di Nigel Farage sui conservatori britannici e il disastro elettorale del partito di governo alle elezioni amministrative portoghesi a causa delle misure di rigore rappresentano una sorta di introduzione alla campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2014, che rischia di essere caratterizzata dai gruppi ostili all’ortodossia di Bruxelles. Ai tradizionali voti contro l’immigrazione e contro Bruxelles, che hanno alimentato le campagne euroscettiche in occasione delle precedenti elezioni, si aggiunge un voto anti-Merkel e anti-troika rafforzatosi con la crisi dell’euro e con i successivi piani di rigore. Spesso questi fronti anti-Europa si mescolano tra di loro. Da un lato gli euroscettici sono preoccupati dello sviluppo dell’immigrazione, dall’altro il rigore alimenta il rifiuto di un’Europa liberista.Mentre i partiti di governo sono più preoccupati per elezioni nazionali che per quelle europee a scarsa partecipazione, queste forze “contro” vogliono capitalizzare i loro voti sull’elezione del 22 e del 25 maggio 2014 per rafforzare la loro influenza. Inoltre questo movimento arriva nel momento in cui il Parlamento europeo ottiene poteri più importanti, in particolare sulla scelta del presidente della Commissione. Il presidente del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip) Nigel Farage ha fatto delle elezioni europee il suo principale obiettivo per imporsi nel Regno Unito e cambiare il rapporto di forza a Bruxelles. Questa è anche la priorità dei Veri Finlandesi o del Fronte Nazionale (Fn) francese, così come di Beppe Grillo in Italia o di Syriza, il principale partito di opposizione in Grecia. Tutte queste forze politiche sperano di raccogliere i voti “contro”, che si esprimono più facilmente in questo genere di elezioni. «Le europee sono tradizionalmente favorevoli ai partiti periferici», spiega il politologo Dominique Reynié. «Sono a scrutinio proporzionale e l’astensione è molto forte, soprattutto fra i moderati».Gli ingredienti del cocktail sono noti: l’immigrazione, la burocrazia e il rigore. E quando vengono mescolati possono diventare esplosivi. La polemica sui Rom in Francia mostra che l’immigrazione – sia verso l’Europa che all’interno dell’Unione – sarà uno dei temi della campagna elettorale. Questo è uno dei cavalli di battaglia dell’estrema destra, dalla Danimarca alla Grecia, dai Paesi Bassi all’Austria o alla Francia. Si tratta di un argomento spesso trattato dagli euroscettici dell’Ukip o da parte del nuovo partito anti-euro “Alternativa per la Germania” (Afd). Una parte degli europei preoccupati dalla crisi vede la libera circolazione come una minaccia per l’occupazione. Il lavoratore romeno o bulgaro sta sostituendo l’idraulico polacco. L’euroscetticismo approfitta della crisi. Alle critiche nei confronti della burocrazia di Bruxelles si aggiunge la cattiva gestione della tempesta finanziaria. «Dopo la crisi del debito i paesi del sud sono persuasi che quello che succede loro è colpa di Berlino, mentre i paesi del nord ritengono che è colpa di Bruxelles se devono dare del denaro al sud», spiega il deputato del Partito popolare europeo (Ppe) Alain Lamassoure.I Veri Finlandesi vedono nell’aiuto alla Grecia la giustificazione del loro euroscetticismo, così come il Partito della Libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi, che nei sondaggi raggiunge il 30 per cento. Accanto a queste due opposizione tradizionali, la crisi ha dato vita a un fronte anti-Merkel e anti-troika molto attivo nell’Europa meridionale, tanto a sinistra quanto a destra. In Grecia, Syriza e il partito populista dei Greci Indipendenti vogliono approfittare del rifiuto delle misure imposte da Bruxelles e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per imporsi a Strasburgo. In Spagna il movimento degli Indignados vuole presentare delle liste alle elezioni di maggio. Finora l’estrema destra e i movimenti euroscettici, molto divisi, hanno avuto un’influenza limitata al Parlamento Europeo. «Il progetto europeo corre un grave pericolo», riconosce Anni Podimata, vicepresidente del Parlamento ed esponente del Partito socialista greco (Pasok). «L’avversione all’Europa è sempre più forte. Questo deve spingere i partiti a farsi carico di un messaggio europeista».I deputati dell’Fn non sono iscritti, mentre gli altri movimenti si ritrovano nel gruppo “Europa libertà democrazia” intorno a Nigel Farage e ai membri della Lega Nord. Il sogno dell’Fn è quello di creare un gruppo con l’Fpö austriaco, che ha superato il 20 per cento alle elezioni politiche del 29 settembre. «Tra un quarto e un terzo dei deputati voterà “no” a tutto, ma questo non impedirà al Parlamento di funzionare. L’intesa fra il Ppe e i socialdemocratici sarà più necessaria che mai», sostiene Lamassoure. I due partiti hanno annunciato che faranno una campagna destra-sinistra, ma l’inizio della campagna elettorale dei socialdemocratici è coincisa con la decisione dell’Spd di partecipare al governo Merkel.(Alain Salles, “Elezioni europee 2014, la minaccia del voto di protesta”, intervento pubblicato da “Presseurop” e ripreso da “Globalist” il 7 ottobre 2013).L’affermazione del partito anti-euro in Germania, la crescita dell’estrema destra in Austria, la pressione degli eurofobi di Nigel Farage sui conservatori britannici e il disastro elettorale del partito di governo alle elezioni amministrative portoghesi a causa delle misure di rigore rappresentano una sorta di introduzione alla campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2014, che rischia di essere caratterizzata dai gruppi ostili all’ortodossia di Bruxelles. Ai tradizionali voti contro l’immigrazione e contro Bruxelles, che hanno alimentato le campagne euroscettiche in occasione delle precedenti elezioni, si aggiunge un voto anti-Merkel e anti-troika rafforzatosi con la crisi dell’euro e con i successivi piani di rigore. Spesso questi fronti anti-Europa si mescolano tra di loro. Da un lato gli euroscettici sono preoccupati dello sviluppo dell’immigrazione, dall’altro il rigore alimenta il rifiuto di un’Europa liberista.
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Delors e l’euro, la moneta-mostro ideata da Goldman Sachs
Alle elementari avevo un maestro perverso. Questo bruto dalla chioma fiammeggiante si divertiva a colpire i suoi allievi con due canne di vimini scuro, che aveva battezzato Katie e Maggie, però quando Mr C. non stava frustandoci il palmo delle mani, ci teneva delle dotte lezioni per spiegarci tutti i motivi che non ci dovevano mai indurre ad usare la violenza. Ecco José Manuel Barroso, mi ricorda proprio Mr C. – anche se i due uomini non hanno nessuna somiglianza fisica tra di loro. Il capo della Commissione Europea sta tenendo le fila di un esperimento sadico che ha inflitto sofferenze a milioni di persone che non avevano avuto niente a che vedere con la crisi finanziaria, oggi però vuol farci credere di aver trovato una sua coscienza sociale. Questo mese Barroso e soci stanno presentandoci un cinico esperimento di austerità – addolcita. Un nuovo documento politico emesso dalla Commissione ricorda che ci dovrebbe essere un maggior controllo sulle politiche occupazionali nei paesi della zona euro.
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La cena segreta: Draghi da Scalfari con Letta e Napolitano
«Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì», racconta Paolo Guzzanti sul “Giornale”. Metti una sera a cena: con Napolitano, Letta e nientemeno che sua maestà Mario Draghi. Dove? A casa di Eugenio Scalfari, il fondatore di “Repubblica”. Che, tra un colloquio e l’altro col Pontefice, trova anche il tempo di occuparsi del destino della nazione. Non in qualità di giornalista, come forse ci si aspetterebbe, e neppure di “consigliere del principe”. Anche perché in questo caso i principi sono addirittura tre. E il consigliato è lui, che riceve precise istruzioni da trasmettere alla plebe dei lettori. Loro, gli italiani incorreggibili che dimostrano «l’incapacità della massa di fare progressi» e cedono di fronte all’altro grande male che affligge il paese, «la caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso». Un racconto lunare, quello che offre “Dapospia” attingendo al “Fatto Quotidiano”, sulla famosa cena (ovviamente informale, dunque top secret) del 20 settembre: la folla di agenti in borghese e l’inattesa processione di auto blu in piazza della Minerva, nel cuore di Roma, alla vigilia del tremebondo ricatto berlusconiano contro il governo Letta.«Non sapremo mai cosa si sono detti», ma possiamo desumerlo dall’articolo in cui Scalfari, due giorni dopo, “spiega” che il governo Letta, così come l’esecutivo Monti, non è stato una scelta, ma solo «il prodotto necessario d’una situazione priva di alternative». Napolitano, Letta e Draghi? Sono «lo scudo Italia-Europa». Cioè «i nostri tre punti di forza, che hanno l’Europa come obiettivo preminente per l’avvenire di tutti». Ben più drastica, e di segno diametralmente opposto, l’interpretazione di “Movisol”, il movimento internazionale per i diritti civili presieduto da Liliana Gorini: «L’Ue trama un altro golpe in Italia per prorogare lo “stato di necessità”». Enrico Letta, sostiene “Movisol” nel suo sito, ha superato il voto di fiducia alle Camere anche grazie ai meccanismi di “stabilizzazione” politica messi in atto da Bruxelles per «assicurare che saranno prese decisioni conformi allo “stato di necessità”» decretato dall’Unione Europea. Traduzione: «Le elezioni vanno evitate a tutti i costi e il golpe avviato con la nomina di Mario Monti deve proseguire, per assicurare che gli italiani si immolino per salvare l’euro».“Movisol”, che si richiama all’economista statunitense Lyndon LaRouche, più volte candidato alla presidenza Usa e autore di una proposta per la ristrutturazione democratica del sistema finanziario mondiale, attribuisce grande importanza al vertice informale del 20 settembre, nel quale include anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, eletta in Parlamento dal partito di Vendola. Scalfari e i suoi commensali? «Tutti membri della corrente spinelliana del “partito britannico”». Chiari i riferimenti al padre nobile del federalismo europeo, l’intellettuale antifascista Altiero Spinelli, e ad un’altra famosa cena, tristemente nota: quella del ’92 in cui, a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, l’allora direttore del Tesoro, Mario Draghi, fu messo a parte del primo grande piano di privatizzazioni selvagge ai danni del patrimonio pubblico italiano. Sul vascello dei reali inglesi, insieme a Draghi, il gotha della finanza anglosassone: è lo stesso super-clan planetario – oggi Gruppo dei Trenta, Bilderberg, Goldman Sachs – di cui allora l’opinione pubblica non aveva praticamente mai sentito parlare.«Ciò che il partito britannico teme – scrive “Movisol” – è che il sentimento anti-austerità nella popolazione italiana (che Berlusconi sicuramente sfrutta per salvarsi, ma questo è solo una complicazione per gli smarriti) possa sfociare in un definitivo voto anti-euro in caso di nuove elezioni». Attenzione: il fronte anti-euro si sta finalmente organizzando su scala pan-europea. Il 23 settembre a Roma si è tenuto il primo incontro degli euroscettici del nord e del sud del continente. Presenze importanti: da Hans-Olaf Henkel dell’università di Mannheim, già capo della Confindustria tedesca, a Brigitte Granville, economista della Queen Mary University di Londra. Fra gli italiani, oltre a Carlo Borghi e Alberto Bagnai, anche l’ex ministro Giuseppe Guarino, secondo cui la politica “zero deficit” dell’Ue non solo è sbagliata, ingiusta e suicida, ma è pure illegale persino per la stessa normativa comunitaria.«Per giustificare l’illegalità – sostiene “Movisol” – l’Ue ha costantemente usato l’argomentazione dello “stato di necessità”, che secondo Karl Schmitt autorizza a sospendere la Costituzione». In realtà, «lo stato di necessità è dettato dall’imperativo di salvare il sistema oligarchico», e nell’estate 2011 Bruxelles lo ha imposto all’Italia «manipolando il valore dei suoi titoli di Stato: la Bce ha prima lasciato cadere i titoli, ed è intervenuta successivamente ad acquistarli per sostenere il governo Monti». Si ripeterà il giochetto con Letta? Altra domanda: è questo che Draghi ha discusso nella “cena delle trame”? E il suo annuncio al Parlamento Europeo che la Bce è pronta ad un’altra mega-iniezione di liquidità per le banche (Ltro) ha a che fare con questo? Ma soprattutto: Draghi cosa avrebbe chiesto, in cambio, ai suoi illustri commensali? «Il Financial Stability Assessment del Fmi per l’Italia, rilasciato il 27 settembre – conclude “Movisol” – raccomanda l’applicazione del bail-in (prelievo forzoso) per soccorrere le banche italiane. È quanto ha chiesto Draghi? O si è limitato a sollecitare le privatizzazioni, in consueto “stile Britannia”?». Magari lo si potrebbe chiedere a Scalfari, se solo facesse ancora il giornalista.«Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì», racconta Paolo Guzzanti sul “Giornale”. Metti una sera a cena: con Napolitano, Letta e nientemeno che sua maestà Mario Draghi. Dove? A casa di Eugenio Scalfari, il fondatore di “Repubblica”. Che, tra un colloquio e l’altro col Pontefice, trova anche il tempo di occuparsi del destino della nazione. Non in qualità di giornalista, come forse ci si aspetterebbe, e neppure di “consigliere del principe”. Anche perché in questo caso i principi sono addirittura tre. E il consigliato è lui, che riceve precise istruzioni da trasmettere alla plebe dei lettori. Loro, gli italiani incorreggibili che dimostrano «l’incapacità della massa di fare progressi» e cedono di fronte all’altro grande male che affligge il paese, «la caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso». Un racconto lunare, quello che offre “Dapospia” attingendo al “Fatto Quotidiano”, sulla famosa cena (ovviamente informale, dunque top secret) del 20 settembre: la folla di agenti in borghese e l’inattesa processione di auto blu in piazza della Minerva, nel cuore di Roma, alla vigilia del tremebondo ricatto berlusconiano contro il governo Letta.
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Giorno: Napolitano riceva sindaci e parlamentari No-Tav
«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone con alte cariche istituzionali, esponenti di primo piano dei partiti, “grand commis” dello Stato che dalle poltrone di comando di imprese pubbliche graziosamente trasformate in SpA usano i beni e i denari comuni come fossero propri.Il presidente della Repubblica, trascinato letteralmente nel suo secondo settennato da una faida senza precedenti del suo partito che stava “suicidando” uno dopo l’altro tutti i candidati a succedergli, richiama i cittadini della valle di Susa che si ostinano a non accettare il colpo definitivo alla residua abitabilità della loro terra «al superamento di ogni tolleranza e ambiguità nei confronti di violenze di stampo ormai terroristico». Molti dei cittadini cui è stato rivolto il suo vibrante monito hanno l’età che aveva lui quando aderì alla Gioventù Universitaria Fascista, ma sono tra i più giovani e attivi iscritti alle locali sezioni dell’Anpi. Altri hanno l’età di quando lui – nel 1957, come ha ammesso di recente in una apprezzabile autocritica scritta a due mani con un altro grande vecchio che si atteggia a papa laico – Eugenio Scalfari – plaudeva all’ingresso in Budapest dei carri armati sovietici, i cui cingoli grondavano del sangue di coloro che avevano osato sperare che nel paradiso stalinista potesse essere garantito il diritto all’autogoverno democratico del paese.Ma la maggior parte di coloro che hanno dato vita – un quarto di secolo fa – a un «profilo di pacifico dissenso e movimento di opinione» appartiene a fasce di età che arrivano fino a quella dello stesso presidente, e qualcuno di loro non si limita ad avere la tessera dell’associazione dei partigiani, ma ha partecipato in prima persona alla lotta di Liberazione. Averli avuti e averli tuttora accanto ci da un conforto che nessuna “scomunica” può appannare. Chi tra loro ha ancora recentemente parlato ai più giovani della loro esperienza di Resistenza lo ha fatto in modo autorevole, equilibrato, responsabile: lo ha ricordato anche Erri De Luca ieri sera a Susa in uno dei suoi passaggi più applauditi: c’è un abisso tra l’oppressione di un popolo da parte di un regime dittatoriale ed esterno e il tentativo di imporre (anche attraverso l’uso della forza) un uso del territorio che chi vi risiede non vuole dover subire.Ma ci sono anche delle analogie che autorizzano a richiamarsi a quel diritto-dovere di opporsi a decisioni che possono anche scaturire da percorsi di democrazia formale ma che hanno violato la democrazia sostanziale. Decisioni che comportano (qui come a Taranto, oggi, o nel Vajont ieri) il venir meno di quel principio di precauzione che dovrebbe presiedere a qualunque scelta progettuale, prima ancora di una analisi costi-benefici che però – come sappiamo – è negativa persino circa la desiderabilità di quest’opera per l’intera comunità nazionale (senza contare le perplessità riscontrate in ambito europeo verso un intero programma di grandi opere che sembrano avvantaggiare soltanto il circuito finanziario, che vi individua redditività e garanzie che solo un uso scellerato del denaro pubblico può assicurare ad istituzioni peraltro privatizzate in modo assai discutibile).Annotiamo infine che – stando a quanto scrive “La Stampa” – il presidente Napolitano avrebbe un filo diretto con l’architetto Mario Virano, che in val di Susa ha svolto (su nomina di un gruppo d’impresa coinvolto nella realizzazione e gestione di grandi opere infrastrutturali) l’ad dell’autostrada del Fréjus prima di diventare, per nomina governativa, presidente dell’Osservatorio che doveva stabilire l’utilità dell’opera, e poi commissario per la sua realizzazione. Si tratta di un personaggio certamente informato, ma non per questo in grado di fornire una descrizione obiettiva delle dinamiche in atto, non fosse altro perché la deriva da lui stesso denunciata certifica il fallimento del suo ruolo.Ne discenderebbe il diritto per i cittadini e il dovere per il Capo dello Stato di ascoltare almeno anche le nostre ragioni e “il nostro racconto” della situazione, direttamente o attraverso i nostri sindaci democraticamente eletti. Ma visto che lo stesso presidente oggi in carica si è più volte rifiutato di farlo (e quando non c’erano neanche le avvisaglie di un possibile inasprimento del confronto e quindi nessun “alibi”) potrebbe almeno “sforzarsi” di ricevere i parlamentari eletti nel nostro collegio, che sono motivatamente contrari all’opera. In fin dei conti, dovrebbe essere garante della loro agibilità politica almeno al pari di quella di chi rappresenta le forze di governo.(Claudio Giorno, “Immodesto e non deferente giudizio su un Presidente e le sue iniziative”, 7 ottobre 2013. Ambientalista valsusino già candidato al Parlamento, Giorno è un esponente del movimento No-Tav).«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone
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Tav, bombe e menzogne: storia di una vergogna nazionale
Massimo Numa, destinatario di un misterioso pacco-bomba recapitatogli alla redazione della “Stampa”, è il giornalista più noto in valle di Susa, e il più temuto. Nella rovente estate 2011, gli attivisti lo accusarono direttamente: sostennero che proprio dal suo computer era partita una email-fantasma, firmata “Alessio”, nella quale si tentava di sostenere che un militante No-Tav, gravemente ferito al volto da un lacrimogeno il 23 luglio, fosse in realtà finito all’ospedale per essere semplicemente “caduto da solo”. Lo stesso Numa ammise che quella velenosa mail, palesemente destinata a inquinare la verità, era stata davvero inviata dal suo ufficio, anche se – disse – non era stato lui a spedirla. Nonostante questo increscioso episodio, non solo Numa è rimasto regolarmente in servizio alla redazione della “Stampa”, ma il direttore del giornale, Mario Calabresi, gli ha consentito di continuare a occuparsi quotidianamente della drammatica vertenza della valle di Susa, come se nulla fosse accaduto.
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No-Tav, Giunti: e se Napolitano ascoltasse i valsusini?
Montaigne ci ha insegnato a distinguere tra gli uomini politici e le cariche che temporaneamente ricoprono. E’ quindi con il massimo rispetto per la Presidenza della Repubblica italiana che la lettera spedita ieri al direttore de “La Stampa” merita qualche riflessione, amara ma deferente. Giorgio Napolitano ha scritto perché Massimo Numa ha ricevuto una busta anonima con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene i NoTav autori della spedizione. Dunque l’accostamento è come minimo prematuro o arbitrario. Altri poteri dello Stato, come la magistratura e la Corte dei Conti, hanno investigato sulle imprese e sui bilanci che ruotano attorno al sistema Av italiano. Alcune sentenze hanno stabilito responsabilità rilevanti, tutte a carico di funzionari e politici, privati e pubblici. E’ giusto attendere gli esiti di inchieste appena iniziate, come a Firenze, ma le notizie disponibili descrivono una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone.