Archivio del Tag ‘musica’
-
Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka
Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità. Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano.Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Ma non solo. Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina? Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato.La mascherina è inevitabilmente associata al totalitarismo sanitario imposto nei mesi scorsi, con le sue restrizioni della libertà più elementari e dei diritti primari: la prigionia domestica, il coprifuoco e la segregazione precauzionale. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi. Sul piano geoetnico la mascherina evoca altri mondi diversi dal nostro, italiano, europeo e occidentale; cancella la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Anche se persona in origine significa maschera, da noi la maschera ha una connotazione negativa o al più grottesca. Mascherato è il rapinatore, il killer o il carnevale. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose.La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici dei cinesi in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste. Poi c’è la realtà. Al di là della contesa simbolica e ideologica di cui è stata caricata la mascherina vale l’utilità pratica di indossarla, magari il minimo indispensabile, evitandola laddove siamo soli, nelle nostre auto o all’aperto, lontani da ogni assembramento. E cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza in luoghi o situazioni che la richiedono. Perché la mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un osceno baratto, dopo quello tra convivialità e salute: la pelle in cambio della faccia.(Marcello Veneziani, “L’ideologia mascherata e il burka della salute”, dal numero 38 di “Panorama”, settembre 2020).Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.
-
Distanziamento eterno: Conte dichiara guerra alla scuola
«Se non si ribellano di fronte allo scempio della scuola, di fronte a cos’altro dovrebbero ribellarsi, i genitori italiani?». Gianfranco Carpeoro ha le idee chiarissime: «Distruggere l’insegnamento fa comodo, a questo potere: una scuola disastrata produrrà cittadini più deboli». Bambini e ragazzi spaventati e soli, nella scuola-horror ridisegnata dall’incapace Lucia Azzolina. Aprite gli occhi: c’è una colossale fregatura, dietro all’enfasi del governo Conte per la riapertura delle aule, dopo il lunghissimo lockdown imposto ad alunni e studenti, insegnanti e famiglie. «I nuovi banchi monoposto, insieme ai tablet di cui è stato improvvisamente dotato ogni istituto scolastico, espongono i ragazzi a una minaccia insidiosa: un distanziamento permanente, a prescindere dal virus, aggravato dalla sua dimensione digitale. Stiamo parlando di piattaforme private, a cui la scuola italiana – insegnanti e allievi – dovrà fornire tutti i dati, che resteranno proprietà privata delle piattaforme stesse». Lo denuncia una giornalista come Monica Soldano (già attiva a “L’Espresso”, poi a “Radio Radicale”) nella rubrica “Ad Occhi Aperti” che apre la video-chat su YouTube “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Domanda: a chi stiamo consegnando la nostra scuola (e i nostri bambini e ragazzi) con il pretesto del coronavirus?Esponente del Movimento Roosevelt come lo stesso Carpeoro, Monica Soldano ha coordinato il servizio di supporto legale fornito in modo gratuito, da tanti avvocati italiani, per assistere cittadini colpiti da sanzioni ingiuste, durante il lockdown. «Un servizio con il quale il Movimento Roosevelt ha inteso esprimere la sua vicinanza concreta, nei confronti degli italiani intimiditi dalle misure d’emergenza introdotte dal governo». Oggi, sentiti presidi e insegnanti, la stessa Monica Soldano descrive una scuola allo sbando, alla vigilia della riapertura: «I direttori scolastici e gli stessi docenti sono intimoriti: a causa della scarsa chiarezza del ministero, temono che sarà loro addossata la responsabilità per la salute degli allievi, dato che sarà in vigore l’obbligo di non avere la febbre». Il rischio è palese: «Al primo problema, è facile pensare che andremo incontro a veri e propri lockdown scolastici, con conseguenze catastrofiche per i genitori che lavorano, costretti a tenere i figli a casa». Precisa ancora Monica Soldano: «Non sono certo luddista, non ho mai avuto paura del computer: ma non posso non pensare alla solitudine dei bambini, senza più compagni di banco, lasciati in balia della sola strumentazione digitale».Attenzione: le misure previste colpiranno al cuore la socialità dei ragazzi, ingrediente imprescindibile dell’età scolare. «E chi è solo, è più debole». Come non sospettare che questa subdola “guerra” contro la scuola, varata in silenzio dal governo Conte cogliendo al volo l’occasione del Covid, non nasconda un piano – che viene da lontano – per “costruire” cittadini isolati e spaventati, tenuti lontani dai libri, e quindi futuri lavoratori docili e super-sfruttati? Le lezioni a distanza sono speculari al telelavoro (l’”home schooling” e lo “smart working”, introdotti con la pandemia). «Il lavoro da casa lo adotterei solo in parte, evitando soluzioni drastiche: viceversa, avremo ragazzi senza più compagni di scuola e adulti senza più colleghi di lavoro», dice Carpeoro, che sullo sfascio della scuola esprime un giudizio nettissimo e severo: «In Italia abbiamo smesso da tempo di pensare alla scuola come a un ambito centrale, nella formazione dei giovani: viceversa non l’avremmo lasciata degradare, non avremmo eliminato materie fondamentali come la musica, e avremmo impedito che gli edifici scolastici cadessero a pezzi».Se il governo Conte è scandalosamente inguardabile, gli stessi italiani hanno però le loro responsabilità: «Siamo gente che ha voluto vaccinare i bambini dal morbillo: mia nonna invece mi portò apposta a prendermelo, il morbillo». In altre parole: «Non siamo in grado di assumerci le nostre responsabilità: non sappiamo come agire, di fronte a un’epidemia – quella del coronavirus – molto meno letale di altre pandemie del passato, di fronte alle quali non adottammo nessun lockdown». Mentre la nuova scuola di Conte e Azzolina imporrà l’obbligo quotidiano della mascherina, Carpeoro è fra quanti contestano molte misure di contenimento, a partire dal durissimo “coprifuoco” imposto in Italia per quasi tre mesi, con effetti catastrofici sull’economia: «Il virus circola comunque tranquillamente, pensare di fermarlo è illusorio: bisogna capire che oggi il Covid è curabile, e quindi occorre tornare a vivere e a lavorare». Subiranno anche questo, gli italiani? L’atto finale della storica “guerra” contro la scuola? I ragazzi confinati sui seggioloni a rotelle, senza spazio per i libri, e intere classi ridotte a ostaggio della paura, alla prima febbriciattola?«Se non si ribellano di fronte allo scempio della scuola, di fronte a cos’altro dovrebbero ribellarsi, i genitori italiani?». Gianfranco Carpeoro ha le idee chiarissime: «Distruggere l’insegnamento fa comodo, a questo potere: una scuola disastrata produrrà cittadini più deboli». Bambini e ragazzi spaventati e soli, nella scuola-horror ridisegnata dall’incapace Lucia Azzolina. Aprite gli occhi: c’è una colossale fregatura, dietro all’enfasi del governo Conte per la riapertura delle aule, dopo il lunghissimo lockdown imposto ad alunni e studenti, insegnanti e famiglie. «I nuovi banchi monoposto, insieme ai tablet di cui è stato improvvisamente dotato ogni istituto scolastico, espongono i ragazzi a una minaccia insidiosa: un distanziamento permanente, a prescindere dal virus, aggravato dalla sua dimensione digitale. Stiamo parlando di piattaforme private, a cui la scuola italiana – insegnanti e allievi – dovrà fornire tutti i dati, che resteranno proprietà privata delle piattaforme stesse». Lo denuncia una giornalista come Monica Soldano (già attiva a “L’Espresso”, poi a “Radio Radicale”) nella rubrica “Ad Occhi Aperti” che apre la video-chat su YouTube “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Domanda: a chi stiamo consegnando la nostra scuola (e i nostri bambini e ragazzi) con il pretesto del coronavirus?
-
Veneziani: sogniamo a occhi aperti e viviamo a occhi chiusi
Abbiamo scambiato il giorno con la notte. Sogniamo a occhi aperti, viviamo a occhi chiusi. Non riusciamo a sognare e non riusciamo a vivere la realtà. Due osservazioni di segno opposto, ricorrenti e veritiere per descrivere la vita presente. La chiave per comprendere perché due verità così divergenti hanno un comune fondo di verità è nel loro campo d’applicazione: come succede ai lattanti, abbiamo scambiato il giorno con la notte. Ovvero applichiamo alla veglia le categorie del sogno e al sogno le categorie della veglia. Da un verso cresce la paura della vita e della realtà. Paura della violenza, dello straniero, del razzista, delle malattie, del contagio, del buio, dell’inquinamento. E paura di far figli, di perdere il tenore di vita, paura del futuro ma anche del passato. Allora si cerca rifugio nelle illusioni, nella mitologia secondaria o d’asporto, nel fumo, nelle trasgressioni, nella vacanza, nel video, nella cuffia, nei carrelli della spesa. Non è una novità aggrapparsi alle illusioni: cambiano i veicoli, gli oggetti usati, non gli effetti. In un passato anche recente, le illusioni furono le utopie rivoluzionarie, le ideologie che promettevano paradisi in terra e società perfette. Le illusioni degli uni erano le paure degli altri, il terrore, la violenza.C’era chi bruciava i sogni dopo aver incendiato la realtà e chi faceva il contrario. I disagi, le violenze, le paure del presente sono passate con gli anni dalla sfera pubblica e storica alla sfera intima e privata, ma rivelano la stessa tendenza a scambiare il sogno con la veglia. Quando dovremmo vivere la realtà quotidiana alla luce del sole, fare i conti con ciò che siamo davvero, con il mondo concreto che ci circonda, con la nostra vita, i suoi limiti e le sue imperfezioni, ci rifugiamo nei desideri, inseguiamo chimere, viviamo di universi fittizi, mondi perfetti, società inesistenti, fughe nella realtà virtuale; incapaci di vivere, ci abbandoniamo ai sogni, compreso il sogno della merce. E quando invece dovremmo sognare, lasciare il campo alla libera immaginazione, all’incanto o all’irruzione del mito, allora ci barrichiamo nelle ferree leggi della ragione, nella contabilità, nella tecnica e nei bisogni materiali. Così l’amore è ridotto alla libido, la religione è ridotta a transfert nei cieli dei nostri bisogni e delle nostre paure, l’arte è ridotta all’audience e alle condizioni socio-economiche, le idee ai rapporti di produzione e consumo, la cultura al potere culturale.Ci snaturiamo quando dovremmo vivere secondo natura e ci aggrappiamo alla natura quando dovremmo liberare i sogni soprannaturali. Funzionano a pieno regime le fabbriche dei sogni, dalla fiction all’astrologia: Theodor Adorno in “Stelle su misura” analizzò questo trasloco nella veglia delle allucinazioni oniriche e delle psicosi notturne. L’inversione tra il giorno e la notte, tra il sogno e la veglia, trovò nel surrealismo e poi nel ’68 una formula di successo: l’immaginazione al potere. Il risultato fu rovesciare l’uomo, farlo camminare con la testa e pensare con i piedi, cioè con la praxis, ribaltando così il rapporto col cielo e la terra. I malesseri del presente – come i dolorosi furori del passato – hanno quella stessa matrice: sogniamo quando dovremmo vivere, viviamo quando dovremmo sognare. Dormienti di giorno, insonni di notte, apriamo gli occhi quando è buio, li chiudiamo quando c’è il sole. Pesanti nella leggerezza e leggeri nella gravità.Gli psicanalisti, come Hethan Watters, raccontano cosa succede quando si perdono i sogni di notte e la realtà di giorno. È la chiave più giusta per spiegare la malattia occidentale: la pretesa di calcare il cielo con i piedi e di camminare con la testa. Così i nostri dei e i nostri miti sono pedestri, all’altezza delle nostre suole, o al più dell’inguine, e la nostra vita terrena si perde nel cervello, in quella tirannia dell’immaginazione sulla realtà, del cervello sulla vita concreta che Paul Celàn, prima di suicidarsi, chiamava psicocrazia. I miti caduti in terra si chiamano malattie. Viviamo bene in stato di sospensione e di incoscienza, da automi e fruitori dell’attimo. Quando viviamo male, i sogni si fanno incubi e la realtà si fa maledizione inflitta da altri. Così la vita diventa una confortevole patologia. La via d’uscita, facile a dirsi e ardua a realizzarsi, è restituire i sogni alla notte e la veglia al giorno, ridare il cielo agli dei e la terra agli uomini, ripristinando il duplice bisogno di miti e di realtà che ci rende uomini, mai scambiandoli di posto e di momento.(Marcello Veneziani, “Sogniamo a occhi aperti, viviamo a occhi chiusi”, dal libro “Alla luce del mito”, edito da Marsilio nel 2017; estratto proposto dal sito di Veneziani).Abbiamo scambiato il giorno con la notte. Sogniamo a occhi aperti, viviamo a occhi chiusi. Non riusciamo a sognare e non riusciamo a vivere la realtà. Due osservazioni di segno opposto, ricorrenti e veritiere per descrivere la vita presente. La chiave per comprendere perché due verità così divergenti hanno un comune fondo di verità è nel loro campo d’applicazione: come succede ai lattanti, abbiamo scambiato il giorno con la notte. Ovvero applichiamo alla veglia le categorie del sogno e al sogno le categorie della veglia. Da un verso cresce la paura della vita e della realtà. Paura della violenza, dello straniero, del razzista, delle malattie, del contagio, del buio, dell’inquinamento. E paura di far figli, di perdere il tenore di vita, paura del futuro ma anche del passato. Allora si cerca rifugio nelle illusioni, nella mitologia secondaria o d’asporto, nel fumo, nelle trasgressioni, nella vacanza, nel video, nella cuffia, nei carrelli della spesa. Non è una novità aggrapparsi alle illusioni: cambiano i veicoli, gli oggetti usati, non gli effetti. In un passato anche recente, le illusioni furono le utopie rivoluzionarie, le ideologie che promettevano paradisi in terra e società perfette. Le illusioni degli uni erano le paure degli altri, il terrore, la violenza.
-
Enrico Ruggeri: l’emergenza Covid sfruttata per tenerci zitti
Ho vissuto con difficoltà questo momento, nel quale una società che si vuole vedere e raccontare come evoluta, ha deciso di barattare la libertà con la salute, o, peggio, con una rassicurante idea di salute. Giuro di dire la verità: anche se mi trovassi in punto di morte per Covid-19 sarei disposto a ripetere quanto sto per dire. Ho più volte rischiato la vita, negli anni, e sono sempre rimasto lucido, come lo sono ora: credo che l’uomo sia per sua natura propenso a ricercare la libertà. Altrimenti saremmo come lo scarafaggio della “Metamorfosi” di Kafka, un essere che pensava di colpo solo a mangiare e a salvarsi, pronto a nascondersi nel caso si accendesse la luce nella stanza. Noi non siamo fatti così: siamo uomini. E nello specifico io sono un artista, e l’idea di arte che ho non è certo quella di dover cercare il consenso per il consenso, tanto più se a repentaglio c’è l’idea stessa di libertà. Lo slogan #IoRestoACasa? I dittatori hanno sempre imposto regole, anche assurde, che negavano ogni fondamento di libertà, sempre spacciandole come decisioni fatte per il bene del popolo. Neanche Stalin ha mai detto che faceva quel che faceva per cattiveria o tirannia, ma per amore del popolo russo.In questo, credo, ci siamo trovati di colpo a vivere in una condizione dittatoriale, seppur una dittatura che non è passata per un esercito ma attraverso una comunicazione di tipo vagamente terroristico. Ci mettevano paura e poi ci offrivano la scappatoia per salvarci, rinunciare alla nostra libertà, appunto. Intendiamoci: non voglio mica dire che qualcuno, magari i dieci potenti della Terra di cui cantavamo nella canzone “L’Anticristo” dei Decibel, da qualche parte ha deciso tutto questo. È successo, c’è stata un’emergenza, ma mi sembra evidente che l’emergenza è stata abbondantemente sfruttata a livello globale da chi ci guida e ci comanda per tenerci sotto, buoni e zitti. E gli artisti, in questo, si sono ancora una volta dimostrati tutti molto impauriti e pronti a seguire la scia: ce ne fosse stato uno che, a rischio di prendersi critiche, si sia esposto. Guarda, alzo il tiro: dopo aver citato Stalin vado oltre. Pensiamo ai partigiani, quelli per ricordare i quali, il 25 aprile, in tanti hanno cantato “Bella Ciao” dal balcone, perché durante il lockdown usava così: pensate che quei giovani sarebbero andati sui monti a rischiare di morire, in alcuni casi proprio a morire se avessero messo la loro salvaguardia, la loro salute, prima del valore sacro della libertà?Io non sono esperto di virus, quindi non ambisco a poter dire la mia riguardo la pandemia né riguardo la gestione medica della pandemia, anche se da quel che sta emergendo è chiaro che si sono fatti tanti passi falsi, errori anche molto gravi; ma mi sembra evidente che il coronavirus sia stato preso come una palla al balzo per tenerci ulteriormente sotto, più di quanto già non si facesse in precedenza. Se affacciandoti alla finestra, durante il lockdown, ti è capitato di vedere un’ambulanza a sirene spiegate che procede con calma a quaranta all’ora in una strada deserta, magari, il dubbio che ci sia una volontà di terrorizzarci c’è. Non sono in grado di dire chi ha deciso che tutto ciò dovesse accadere: parlo del tenerci tutti sotto, zitti, ma che sia accaduto mi sembra evidente. Se poi pensate che, in tutto questo, gli unici ambiti rimasti ancora al palo (dopo le discoteche piene, la movida, le spiagge disposte esattamente come l’anno scorso e quello prima ancora) sono l’istruzione e la cultura. lo spettacolo, qualche domanda devi per forza fartela.Perché i miei colleghi se ne stanno tutti zitti? Perché non c’è una presa di coscienza comune di quel che sta accadendo e di come questa situazione potrebbe davvero portare all’implosione di tutta la filiera? È così da tempo, diciamo da quando esistono i social. Sono tutti conformi, omologati: hanno paura di dire la propria perché altrimenti perdono followers, ricevono critiche pubbliche, rendono esiguo il proprio pubblico. E dire che l’arte dovrebbe essere per sua natura sovversiva, porre domande – volendo, dovrebbe essere anche oltraggiosa. Sono anni che veniamo visti, e di conseguenza trattati, con accondiscendenza, come si potrebbe parlare di un bambino, di un animale da compagnia. Nessuno ha provato mai a fare qualcosa per tutelare il nostro mondo prima, figuriamoci se ha senso farlo ora, che tutto sta crollando a pezzi. Solo che a vedere quelle fotografie, le discoteche piene zeppe di persone, le spiagge dove si fatica a trovare la sabbia tanta è la gente che ci sta, viene da chiedersi davvero se il tenerci tutti zitti, anche quelli che comunque direbbero qualcosa di rassicurante e assolutamente integrato, non sia parte di un discorso più ampio nel quale, ahinoi, non siamo altro che contorno.(Enrico Ruggeri, dichiarazioni rilasciate a Michele Monina per l’intervista “L’emergenza Coronavirus sfruttata da chi comanda per tenerci zitti”, pubblicata da “Tpi” il 20 luglio 2020).Ho vissuto con difficoltà questo momento, nel quale una società che si vuole vedere e raccontare come evoluta, ha deciso di barattare la libertà con la salute, o, peggio, con una rassicurante idea di salute. Giuro di dire la verità: anche se mi trovassi in punto di morte per Covid-19 sarei disposto a ripetere quanto sto per dire. Ho più volte rischiato la vita, negli anni, e sono sempre rimasto lucido, come lo sono ora: credo che l’uomo sia per sua natura propenso a ricercare la libertà. Altrimenti saremmo come lo scarafaggio della “Metamorfosi” di Kafka, un essere che pensava di colpo solo a mangiare e a salvarsi, pronto a nascondersi nel caso si accendesse la luce nella stanza. Noi non siamo fatti così: siamo uomini. E nello specifico io sono un artista, e l’idea di arte che ho non è certo quella di dover cercare il consenso per il consenso, tanto più se a repentaglio c’è l’idea stessa di libertà. Lo slogan #IoRestoACasa? I dittatori hanno sempre imposto regole, anche assurde, che negavano ogni fondamento di libertà, sempre spacciandole come decisioni fatte per il bene del popolo. Neanche Stalin ha mai detto che faceva quel che faceva per cattiveria o tirannia, ma per amore del popolo russo.
-
Paura Infinita: il piano della destra che oggi governa l’Italia
Come previsto, dopo la pausa consumistica ferragostana, contentino governativo per non affossare completamente la nostra economia, deludere gli esercenti incazzati e non licenziare nell’immediato migliaia di lavoratori, ecco che tornano i media in prima linea con la campagna terroristica dei contagi. Nonostante non ci siano più morti e la carica virale del Covid in questo momento sia praticamente nulla, è giunto il momento del terrore. Tornano i provvedimenti liberticidi e autoritari della destra governativa (Pd-5 Stelle), tornano le mascherine obbligatorie all’aperto, le ricette antisociali (ma a targhe alterne, si è contagiosi in base all’ora del giorno), chiudono le discoteche ma ci si può “contagiare” liberamente nei ristoranti, nei bar e nei selfie di gruppo (l’importante siano di vip), tornano tutte le demenziali proposte, inutili, idiote e pericolose, per salvare questo governo che ha capito come utilizzare strumentalmente la paura del popolino ignorante e sottomesso per continuare a procrastinare il proprio micro-regno, ad alimentare le sue mafie interne, i suoi interessi economici, le proprie posizioni di rendita, rendendosi malleabile ad essere a sua volta strumento della sovragestione, che opera nel silenzio e cavalca i tempi moderni, necessitando di un’ulteriore accelerazione.La cosa che colpisce di più, per gli osservatori più attenti e meno conformisti, è che i bersagli sono sempre i momenti della nostra vita ricreativa, creativa e sociale. L’arte, la musica sono pericolose, i ristoranti e i mercati no. Queste distinzioni già ci mostrano tutte le fallacie logiche anche partendo dal punto di vista ufficiale. Non vengono colpiti gli assetti della grande industria e delle corporation, dove lavoratori sottopagati spesso lavorano in condizioni da fame e senza nessuno presidio sanitario (non solo per il coronavirus), i bersagli rappresentano sempre e comunque le relazioni in tutte le loro declinazioni. Il virus da abbattere è appunto l’aspetto relazionale, quello deve essere bandito e fatta accettare mediaticamente la presa in cura dei sudditi, questo come panacea a tutti i mali del mondo, perché non penserete mica che questo delirio finisca con il Covid-19? In Inghilterra, la City of London ha già dichiarato che lo smartworking sarà il futuro con o senza virus, e ovviamente i costi bancari e assicurativi per i clienti non diminuiranno se non in rari casi e solo in apparenza, mentre diminuiranno i salari dei nuovi lavoratori, ma aumenteranno massivamente i profitti padronali.La forbice della disuguaglianza aumenta grazie alle pandemie eteropilotate, dove qualcuno è più uguale degli altri, e l’emergenza è il nuovo must per fare metabolizzare strategie in atto e controllarle emozionalmente come in un comando pavloviano. Sempre in Inghilterra, come in Australia e in altri paesi sotto il controllo della Corona (sempre di un “corona” si tratta), si stanno prospettando scenari sulla scuola del futuro realizzata esclusivamente da casa, a prescindere da virus attuali o prossimi venturi. Esiste tutta una realtà in fermento che potrà finalmente attuare i propri paradigmi modernisti pensati, scritti e progettati decenni fa. La scuola è tra i bersagli preferiti del transumanesimo che avanza e, quando anni fa scrivevo che il futuro avrebbe nel tempo previsto un Grande Fratello come maestro (in Australia ci sono già state sperimentazioni alcuni anni fa e senza pandemia), non andavo tanto lontano. Le implementazioni fantapolitiche, leggi neorealiste, si stanno realizzando in punta di piedi, giorno dopo giorno, con il ricatto morale della sanità che gli stessi Stati neoliberisti mondiali hanno smantellato nei decenni passati. Gli stessi epigoni prezzolati dal potere oggi si straccerebbero le vesti, preoccupati sella salute dei loro sudditi, dopo aver distrutto Stato Sociale, diritti del lavoro, privatizzato servizi e chiuso ospedali?Io ingenuamente continuo a meravigliarmi della stupidità, dell’ignoranza e del qualunquismo dei miei concittadini, pronti ad accettare qualsiasi volontà antidemocratica, senza comprenderne il significato simbolico, senza capire che questo precedente mondiale potrà in futuro permettere all’autorità qualsiasi scelta antidemocratica e reazionaria. Questo a prescindere dalla pericolosità di un virus o di qualsiasi altra sciagura. Stanno cancellando dalla memoria collettiva delle persone il ricordo e la paura di malattie ben più letali, come per esempio i tumori. Il male nasce con il Covid: esiste un mondo prima e un mondo dopo il Covid, come in certi film post-atomici. E’ in atto una riformulazione del pensiero e della percezione generale, attraverso l’oracolo mediatico che ha sostituito in toto l’antico ruolo del sacerdote.Poi è subentrata la paura, la coercizione e la minaccia, il mantra dell’”o con noi o contro di noi”, dell’ufficialista o del negazionista, del ribaltamento del significato delle parole, della nuova grammatica a metà strada tra buonismo, politicamente corretto e fascismo liquido. Juve o Milan? Stiamo tornando in un clima dogmatico, in una liturgia digitale cavalcata dallo scientismo d’accatto, dai virologi star, bolliti come brodo Star; ci sono i radicali fanatici e quelli più laici, tutti sono lo specchio della società in una dicotomia che non trova soluzione. La guerra per la costituzione della modernità è combattuta dalle varie fazioni belligeranti non solo a livello nazionale, ma soprattutto internazionale e sovranazionale, in tutti campi dello scibile umano. I vari paesi riflettono le scelte e le strategie che il potere ha assunto, e oggi si inseguono all’interno dello stesso gioco virtuale, proponendo gli stessi schemi e gli stessi paradigmi, anche perché sovente i nostri leader sono scelti, promossi o bocciati dai rispettivi casati sovramassonici e dai cosiddetti poteri forti, con le loro logiche, spesso trasversali, labirintiche e più complesse di quanto si immagini.Il Covid colpisce ancora? Terminato per incanto il problema planetario dell’Isis, come per magia e nel silenzio generale, la sovragestione ha scoperto la gallina dalle uova d’oro, una gallina malefica e mediatica a senso unico, il maledetto virus, che potrà essere questo, la sua vendetta o altro ancora più pericoloso. Una gallina concentrata a covare uova lucenti in onore al Big Pharma e agli interessi delle corporazioni, nell’attuale guerra tra case farmaceutiche per la scoperta di un vaccino inutile (chi arriva per primo vince una bambolina di carne), dannoso e cavallo di troia dello step successivo, che i maghi avveniristici prospettano danni sull’ibridazione uomo-macchina e sulla riprogrammazione del Dna. Orwell ed Huxley sono diventati libretti di istruzioni, più che romanzi distopici; la distopia è il nuovo neorealismo, il film è realtà e la vita è fiction. Ci sono in ballo interessi geopolitici, si ristabiliscono i ruoli in campo delle superpotenze, si rinnova il pantheon della modernità incarnata dall’ideologia del postumano, e questo lo si compie attraverso la joint venture tecnologica e farmaceutica, sempre più alleate e contigue, attraverso emergenze e innovazioni infinite per la presa in cura della loro creatura, ovvero il bambino-popolo, attraverso un terrorismo e un allarmismo perpetuo, procrastinato all’infinito.Un eterno presente senza possibilità di redenzione, di cambiamento, che rinnova se stesso; una sorta di cerchio magico chiuso e circolare con le sue leggi e le sue credenze, un incantesimo, una favola nera per grandi e per piccini. Il transumanesimo, la nuova ideologia, ansima con la bava alla bocca, dall’alto del suo altare ci osserva e si diverte come durante la finale di Champions, però senza fischio di fine partita per prolungare l’orgasmo. Il nuovo Moloch necessita il sacrificio delle oramai obsolete e decadenti democrazie che garantivano quel minimo sindacale di libertà, di orizzontalità e di pensiero critico: tutto deve cambiare perché tutto resti come prima e più di prima. Infatti il nuovo adagio del sempre eterno memento mori è: “Da oggi nulla sarà come prima…!!!” (cit.).(”Il Covid colpisce ancora, nel governo senza fine”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 19 agosto 2020, curato da Simone Galgano).Come previsto, dopo la pausa consumistica ferragostana, contentino governativo per non affossare completamente la nostra economia, deludere gli esercenti incazzati e non licenziare nell’immediato migliaia di lavoratori, ecco che tornano i media in prima linea con la campagna terroristica dei contagi. Nonostante non ci siano più morti e la carica virale del Covid in questo momento sia praticamente nulla, è giunto il momento del terrore. Tornano i provvedimenti liberticidi e autoritari della destra governativa (Pd-5 Stelle), tornano le mascherine obbligatorie all’aperto, le ricette antisociali (ma a targhe alterne, si è contagiosi in base all’ora del giorno), chiudono le discoteche ma ci si può “contagiare” liberamente nei ristoranti, nei bar e nei selfie di gruppo (l’importante siano di vip), tornano tutte le demenziali proposte, inutili, idiote e pericolose, per salvare questo governo che ha capito come utilizzare strumentalmente la paura del popolino ignorante e sottomesso per continuare a procrastinare il proprio micro-regno, ad alimentare le sue mafie interne, i suoi interessi economici, le proprie posizioni di rendita, rendendosi malleabile ad essere a sua volta strumento della sovragestione, che opera nel silenzio e cavalca i tempi moderni, necessitando di un’ulteriore accelerazione.
-
Politica e Covid: la prevalenza dell’Intelligente Asintomatico
E’ in corso qualcosa di inaudito, mostruoso e sinistro, ma l’Intelligente Asintomatico insiste nel voler occultare le sue sinapsi, come se volesse fingersi politicamente cerebroleso: preferisce rifugiarsi nel rassicurante tifo calcistico – buoni contro cattivi – anziché affrontare la scomodità del ragionamento, la lucidità dell’analisi, il nudo linguaggio dei fatti. L’Italia si candida a essere la capitale europea del Covid, unico paese del vecchio continente ad auto-proclamarsi patria della nuova peste, nell’estate in cui i militari in assetto da guerra spaventano i bagnanti sulle spiagge e la ministressa della pubblica istruzione sconcerta genitori e alunni collaudando in televisione le seggiole-banco a rotelle: aggeggi grotteschi che secondo ogni previsione metteranno nel freezer l’infanzia, trasformando i bambini in degenti cronici del nuovo manicomio-scuola, futuri clienti dello psicologo e pazienti dei medici specializzati in patologie psicosomatiche. Eppure va tutto bene, sembra dirsi l’Intelligente Asintomatico, per far rima con lo slogan demenziale che preparò lo storytelling della catastrofe, “andrà tutto bene”. E visto che va tutto così bene, anzi benissimo, è normale che il governo-apocalisse proroghi l’aberrante stato d’eccezione, così come è normale che la sedicente opposizione – al netto dei proclami gridati – di fatto permetta (grazie alle provvidenziali assenze tattiche) che anche l’ultimo decreto-vergogna venga infine approvato, al Senato, sia pure per un solo voto di scarto. Tutto questo non potrebbe accadere, senza la prevalenza – nell’opinione pubblica – dell’Intelligente Asintomatico.Questo esemplare, così diffuso, sembra appartenere a una vasta zoologia politica che predilige le vie spicce, eventualmente anche l’insulto, e pretende di vedere in campo uomini della provvidenza, risolutori fulminei, fuoriclasse a chiacchiere. Quelli di trent’anni fa agitarono i valori della sinistra storica e dell’Europa Unita per meglio affossare la sinistra sociale dei diritti e l’idea stessa di solidarietà europea. Giocarono la partita fingendo di contrastare il collega Berlusconi, impresentabile socio collaterale del medesimo indirizzo antipopolare, prono agli stessi decisori internazionali. Gli Intelligenti Asintomatici si divisero a lungo, attingendo al carburante dell’odio, per scannarsi tra di loro in una guerra imbarazzante, visto che bianchi, rossi e verdi giocavano tutti nella stessa squadra. Poi vennero risolutori ancora più spicci, rivoluzionari ancora più fasulli: da una parte Renzi, dall’altra Grillo e i 5 Stelle. Ultimo nato, nella scuderia dell’illusionismo, il prode Salvini: trasformato prontamente in una sorta di eroe nazionale o, a scelta, in epocale pericolo pubblico. Di svista in svista, eccoci agli incresciosi record inanellati dall’oscuro “avvocato del popolo”: l’Italia è l’unico grande paese europeo messo ko dall’epidemia di coronavirus, l’unico ad aver attuato un coprifuoco suicida, “cinese”, come quello imposto a Wuhan. Il nostro è l’unico paese rimasto senza mezzi finanziari, l’unico costretto a mendicare elemosine tardive e ingannevoli come l’accordo-capestro sul Recovery Fund: pochi spiccioli, e fuori tempo massimo, solo a patto che si svenda quel che agli italiani è rimasto.Il piano, spudorato, punta a sabotare definitivamente lo Stato per mettere le mani sul vero bottino, l’ingente risparmio privato e il patrimonio immobiliare, che è il maggiore d’Europa: a questo mirano gli sciacalli nell’ombra che manovrano burattini come l’ipocrita Mark Rutte, piccolo feudatario del paradiso fiscale chiamato Olanda, vero e proprio Stato-canaglia (perfettamente tollerato dall’Ue) che sta letteralmente spolpando l’erario italiano, risucchiando offshore le contribuzioni delle grandi aziende del Belpaese. Ma tutto questo sembra non interessare l’Intelligente Asintomatico, nelle due versioni (il talebano che idolatra “Giuseppi”, l’hooligan che applaude il “Capitano”). Nella sua apparente pigrizia e indolenza intellettuale, è raro che l’Intelligente Asintomatico si produca in ragionamenti pubblicamente offerti: preferisce parassitare le idee altrui, le esternazioni altrui, spesso limitandosi a commentare in modo sbrigativo e provocatorio, sui social media, le riflessioni di chi si sforza di pensare in proprio, documentandosi faticosamente. L’Intelligente Asintomatico non si domanda come mai i giornaloni stanno letteralmente facendo a pezzi il leghista Fontana per la vicenda dei camici lombardi e dei conti svizzeri, trascurando completamente i 14 milioni di euro che il piddino Zingaretti ha fatto spendere al Lazio per mascherine mai arrivate. Buoni e cattivi, ancora e sempre: falsi amici, falsi nemici.Imbevuto com’è della narrazione ufficiale, quella secondo cui va tutto benissimo, dal momento che era stato promesso che sarebbe andato tutto bene, l’Intelligente Asintomatico tende a squalificare chiunque osi mettere in discussione gli assiomi propalati dal nuovo regime politico-televisivo, che si tratti di mascherine e distanziamenti, guanti o vaccini, untori presunti e involontari macellai come i poveri medici che, per loro stessa ammissione, lo scorso marzo causarono la morte – per iper-ventilazione – dei pazienti in realtà affetti da trombo-flebite polmonare. C’è chi si domanda (e domanda per iscritto anche all’autorità giudiziaria) quante persone sarebbero ancora vive, oggi, se il governo non avesse prima scoraggiato le autopsie, e poi emarginato i sanitari che per primi, già ad aprile, avevano inutilmente segnalato al ministero le terapie efficaci per trasformare il Covid in una malattia curabilissima. Dati oggettivi, che però l’Intelligente Asintomatico si rifiuta di registrare, per paura di veder crollare il governicchio in carica: come se la controparte (gli opposti Intelligenti Asintomatici e i loro rispettivi eroi politici) avessero sollevato la questione. Errore ottico: la strage è avvenuta senza che l’opposizione muovesse un dito per denunciarla e contrastarla.E’ la stessa sedicente opposizione che non ha fatto nulla per impedire che nel paese venisse sospesa la democrazia. Ma non importa: ancora oggi, all’Intelligente Asintomatico pare che basti dare del cornuto, del complottista e del negazionista a chiunque invochi un brandello di obiettività, foss’anche il cantante Andrea Bocelli, prontamente sottoposto a fascio-bastonatura mediatica e olio di ricino. Il mondo intero è preda di una sindrome inquietante e inaudita, che tradisce i segni evidentissimi di un tenebroso totalitarismo, ma l’Intelligente Asintomatico difende l’indifendibile Conte per proteggerlo da Salvini, o a scelta si schiera con l’altrettanto indifendibile Salvini per avversione verso Conte (come se lo stesso Salvini avesse lasciato supporre che, di fronte all’emergenza, si sarebbe comportato in modo diverso da Conte). Forse il bilancio della situazione sarebbe differente, se gli Intelligenti – più o meno Sintomatici – mettessero finalmente una pietra sopra alle loro divisioni di cartapesta, di fronte alla minaccia comune, riscoprendo l’importanza del valore supremo – la verità – che notoriamente non ha padroni. L’infinita stupidità dell’odio, il più facile degli ingredienti “magici” della manipolazione, è dosata oculatamente dai gestori di ogni crisi. Storia antichissima: lo spiega un intellettuale prestigioso ma quasi sconosciuto, in Italia, come Francesco Saba Sardi, in una riflessione intitolata “L’istituzione dell’ostilità”. A questo serve, il falso nemico fabbricato all’occorrenza: a smettere di pensare, in modo che a vincere sia sempre il banco (e che a perdere siamo noi, tutti quanti, Sintomatici e non).(Giorgio Cattaneo, “La prevalenza dell’Intelligente Asintomatico”, dal blog del Movimento Roosevelt del 30 luglio 2020).E’ in corso qualcosa di inaudito, mostruoso e sinistro, ma l’Intelligente Asintomatico insiste nel voler occultare le sue sinapsi, come se volesse fingersi politicamente cerebroleso: preferisce rifugiarsi nel rassicurante tifo calcistico – buoni contro cattivi – anziché affrontare la scomodità del ragionamento, la lucidità dell’analisi, il nudo linguaggio dei fatti. L’Italia si candida a essere la capitale europea del Covid, unico paese del vecchio continente ad auto-proclamarsi patria della nuova peste, nell’estate in cui i militari in assetto da guerra spaventano i bagnanti sulle spiagge e la ministressa della pubblica istruzione sconcerta genitori e alunni collaudando in televisione le seggiole-banco a rotelle: aggeggi grotteschi che secondo ogni previsione metteranno nel freezer l’infanzia, trasformando i bambini in degenti cronici del nuovo manicomio-scuola, futuri clienti dello psicologo e pazienti dei medici specializzati in patologie psicosomatiche. Eppure va tutto bene, sembra dirsi l’Intelligente Asintomatico, per far rima con lo slogan demenziale che preparò lo storytelling della catastrofe, “andrà tutto bene”. E visto che va tutto così bene, anzi benissimo, è normale che il governo-apocalisse proroghi l’aberrante stato d’eccezione, così come è normale che la sedicente opposizione – al netto dei proclami gridati – di fatto permetta (grazie alle provvidenziali assenze tattiche) che anche l’ultimo decreto-vergogna venga infine approvato, al Senato, sia pure per un solo voto di scarto. Tutto questo non potrebbe accadere, senza la prevalenza – nell’opinione pubblica – dell’Intelligente Asintomatico.
-
Dylan, Draghi e l’inferno Covid. Magaldi: presto la verità
«Forse gli italiani se lo meritano, un governo che li chiude in casa per un allarme gonfiato, poi li rovina economicamente lasciandoli senza soldi e li prende in giro fino alla fine, con promesse favolose, fino al miracolo (inesistente) dei mitici aiuti dell’Unione Europea: poche briciole che costeranno un prezzo salatissimo, e che arriveranno – forse – tra un anno, a piccole rate, quando ormai il peggio ci sarà crollato addosso, a partire dalle prossime settimane». Tanta amarezza, da parte di Gioele Magaldi, viene dall’impietosa fotografia degli ultimi mesi, che si prolunga nel cuore dell’estate: «Vedo ancora in giro gente con indosso la mascherina: c’è chi se la mette per passeggiare all’aperto, e chi la tiene sul viso mentre guida l’auto, da solo». Follia? E’ il risultato della micidiale manipolazione messa in atto, a tambur battente, dallo scorso febbraio. La paura di un virus ormai spento e debellato dai medici con terapie efficaci, ma tuttora presentato come minaccia invincibile. «C’è chi insiste nell’evocare “seconde ondate”, anche se persino il telegiornale di “Sky” ha ammesso che l’epidemia è praticamente finita». Gli italiani? «In maggioranza, hanno accettato di subire restrizioni spesso assurde, non motivate da alcuna ragione medica».
-
Medico: miserabili, hanno trasformato il Covid in catastrofe
«Sono questi vuoti d’aria. Questi vuoti di felicità. Queste assurde convinzioni. Tutte queste distrazioni. A farci perdere. Sono come buchi neri. Questi buchi nei pensieri. Si fa finta di niente. Lo facciamo da sempre. Ci si dimentica. Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena. Ognuno ha i suoi diritti. Ognuno ha la sua schiena. Per sopportare il peso di ogni scelta. Il peso di ogni passo. Il peso del coraggio…» (“Il peso del coraggio” Fiorella Mannoia). Spesso gli artisti dipingono la realtà molto meglio degli scienziati. Credevo fino a poco tempo fa che tra un obbligo vaccinale a scopo diagnostico, un limite di 15 minuti per un rapporto sessuale, l’obbligo di mascherine antisalutari all’aperto, guanti che trasportano infezioni, proposte di apertura delle scuole alle 7.00, le parole di Ennio Flaiano sulla situazione politica italiana “grave ma non seria”, fossero appropiate. Purtroppo ora assistiamo a qualcosa di mostruosamente spaventoso; parole che non avrei mai pensato di commentare. Lo scorso 5 luglio, il nostro pallido, improvvido e impreparato ministro della salute rilascia la seguente dichiarazione: «Sto pensando a un Trattamento Sanitario Obbligatorio per delimitare il contagio». Luca Zaia ha affermato, per poi parzialmente ritrattare l’indomani, che «è fondamentale che ci sia un Tso obbligatorio qualora si rifiuti un ricovero»; tutto questo per 5 nuovi contagi ma nessuna vittima in Veneto per il coronavirus nelle ultime 24 ore.
-
Dylan parla dal futuro: sconfiggeremo tutto questo orrore
“Ho attraversato il Rubicone il quattordicesimo giorno, nel mese più pericoloso dell’anno, nel momento peggiore dei giorni più brutti. E’ tutto quello che vedo qui, ho fatto un voto così posso pregare il dio greco di mandare l’alba…”. C’è un senso di pericolo imminente, di stordimento collettivo ma anche di spietata difesa del proprio passato, dell’esperienza di un’intera esistenza, in “Rough and Rowdy Ways”, nuovo album di Bob Dylan (uscito il 19 giugno). Il titolo è un warning, un avvertimento ai poveri di spirito, agli arroganti, agli artisti, politici, intellettuali che non accettano cambi di guardia: i miei modi saranno ruvidi e turbolenti. E “Crossing the Rubicon” è uno di questi passaggi, con l’immagine terribile e solenne di “un fiume dove molte ceneri fluttuano nelle correnti”. Non era facile prevedere il Dylan del suo 79° anno, perché non siamo più abituati a una visione enciclopedica, a trovare la strada, il filo d’Arianna in un mondo prossimo al crollo, più per incapacità a reagire che per difetti strutturali. Crisi economica, pandemia, razzismo non giustificano per Dylan l’abdicazione a qualsiasi principio morale: “Io posso redimere il mio tempo, tempo così sprecato che alla fine potrei durare”.Armatevi di pazienza, un vocabolario, uno smartphone multifunzione, soprattutto astenetevi dall’improvvisarvi esperti in cultura, animatori dei sogni altrui: in dieci canzoni rugginose e fluenti come i grandi fiumi, Dylan spiega perché sapere e studiare, questa è per i più giovani, è l’unica difesa al dilagare di corruzione, violenza, odio. Non siamo più alle battaglie per i diritti civili di sessant’anni fa, e al “New York Times” Dylan confessa tutto il suo orrore per George Floyd «torturato a morte in quel modo». Si dice «nauseato». E proprio alla sua generazione, quella che doveva arginare le derive autoritarie e di totale disprezzo per l’individuo, raccomanda uno scatto d’orgoglio perché proprio le nuove generazioni «non vivendo alcun passato, tendono a credere a qualsiasi cosa. Il punto è che fra venti, trent’anni saranno in prima linea». È il punto centrale di questo album magistrale, irripetibile anche per un Nobel alla Letteratura negli anni a venire: quanto pesa il tempo e come condividerlo con più generazioni?“Rough and Rowdy Ways” non è un disco da esporre in un museo e far ascoltare a un singolo individuo per volta. La cultura non è mai divisiva, al contrario è una traversata del deserto; “Dio, sono in lotta, Dio, potrei sbagliarmi, viaggio nella luce e sono lento a tornare a casa”, canta in “Mother of Muses”, è il coraggio di mostrare debolezze e furori esemplari. “Questo è il regno della potenza e della gloria”, annuncia in “Goodbye Jimmy Reed”: “Racconta la vera storia, raccontala senza fronzoli, nelle ore mistiche quando le persone sono deboli”. Dylan non pubblicava un album di inediti da otto anni, quando “Tempest” si impose come una delle sculture guerriere tipiche di un amante di arti figurative. E il presagio di un mondo più debole che sfortunato faceva allusione al Titanic piuttosto che a John Lennon. Oggi Dylan esclude che le piaghe capitali che affliggono l’umanità, senza limiti geografici, abbiano un riferimento biblico. «Vorrebbe dire che ci tocca una punizione divina», afferma Dylan. «Certo, l’arroganza più estrema può generare effetti disastrosi. Forse siamo arrivati a un’epoca di distruzione, ma rimango convinto che tutto passerà».Ho qualche dubbio che operatori culturali da fast food, produttori e discografici assillati da picchi di follower e febbre gialla da social riescano a comprendere il tesoro inestimabile di “Rough and Rowdy Ways”, annunciato in pieno lockdown da “Murder Most Foul”, 17 minuti di ballata sulla morte di John F. Kennedy proiettata come un drone al primo posto in classifica, e poi da “I Contain Multitudes”, titolo di una splendida poesia di Walt Whitman, quindi da “False Prophet”. Tutto on line, mentre da noi i padri della patria della canzone, per non dire dei confusi nipotini rapper, non riuscivano proprio a cantare il loro tempo. Come se il tempo non te lo debba conquistare, per il semplice fatto che sei davvero un poeta. O un cantautore. O, appunto, una voce del futuro. Ma per avere un futuro, devi sapere come stare in equilibrio. Solo così puoi scrivere “il mio cuore è come un fiume, un fiume che affonda… vedo il sorgere del sole, vedo il tramonto”. E rimanere nell’arena a batterti. Però di Bob Dylan ne esiste uno solo.(Renato Tortarolo, “Ruvido e impetuoso, così Bob Dylan ci rimette in riga”, dal “Secolo XIX” del 13 giugno 2020. «Di questi giorni non ci sono buone notizie», ha dichiarato Dylan al “New York Times”. «Le buone notizie nel mondo di oggi sono come un fuggiasco, trattato come un bandito e messo in fuga. Per questo dobbiamo ringraziare i media: agitano la gente con pettegolezzi e biancheria sporca. Cattive notizie che deprimono e creano orrore». Quanto alla pandemia, per Dylan è «il precursore di qualcos’altro che sta per venire», ma non necessariamente una piaga biblica: «Significherebbe che nel mondo sta arrivando un castigo divino. L’estrema arroganza che porta punizioni disastrose. Forse siamo alla vigilia della distruzione. Ci sono molti modi per pensare al virus. Io penso che occorra lasciargli fare il suo corso»).“Ho attraversato il Rubicone il quattordicesimo giorno, nel mese più pericoloso dell’anno, nel momento peggiore dei giorni più brutti. E’ tutto quello che vedo qui, ho fatto un voto così posso pregare il dio greco di mandare l’alba…”. C’è un senso di pericolo imminente, di stordimento collettivo ma anche di spietata difesa del proprio passato, dell’esperienza di un’intera esistenza, in “Rough and Rowdy Ways”, nuovo album di Bob Dylan (uscito il 19 giugno). Il titolo è un warning, un avvertimento ai poveri di spirito, agli arroganti, agli artisti, politici, intellettuali che non accettano cambi di guardia: i miei modi saranno ruvidi e turbolenti. E “Crossing the Rubicon” è uno di questi passaggi, con l’immagine terribile e solenne di “un fiume dove molte ceneri fluttuano nelle correnti”. Non era facile prevedere il Dylan del suo 79° anno, perché non siamo più abituati a una visione enciclopedica, a trovare la strada, il filo d’Arianna in un mondo prossimo al crollo, più per incapacità a reagire che per difetti strutturali. Crisi economica, pandemia, razzismo non giustificano per Dylan l’abdicazione a qualsiasi principio morale: “Io posso redimere il mio tempo, tempo così sprecato che alla fine potrei durare”.
-
Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende
Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?Lo scorso 26 aprile l’Italia ha perso uno dei suoi osservatori più scomodi, Giulietto Chiesa: emarginato come complottista, quasi che i complotti non esistessero. Davvero? La Guerra del Vietnam esplose dopo l’incidente del Golfo del Tonchino; nel 1964, gli Usa accusarono la marina nordvietnamita di aver attaccato l’incrociatore statunitense Uss Maddox. Ci ha messo quarant’anni, la verità, a emergere: nel 2005, tramite la Nsa, l’intelligence di Washington ha finalmente ammesso che quello scontro navale non era mai avvenuto: era solo una fake news, per inscenare il casus belli. Molto più recentemente, siamo stati capaci di invadere l’Iraq, disastrando un’area che poi sarebbe diventata il brodo di coltura del cosiddetto terrorismo “islamico”, grazie alla maxi-bufala mondiale delle inesistenti armi di distruzione di massa in dotazione a Saddam Hussein. Era anche quella un’invenzione, rilanciata in mondovisione dalla “fialetta di antrace” agitata all’Onu da Colin Powell.La preparazione della realtà virtuale da somministrare al pubblico era stata accuratissima, come sempre. Il britannico Tony Blair, in primis, si era dato da fare per accreditare la bufala, in collaborazione con l’intelligence (anche italiana) che fabbricò la falsa pista del Nigergate, in base alla quale il regime di Baghdad – già armato dagli Usa contro l’Iran, anni prima – avrebbe cercato di approvvigionarsi di uranio in quel paese africano. Non che qualcuno possa rimpiangere (a parte molti iracheni, forse) un regime dispotico come quello di Saddam. Ma possibile che loro, i “padroni del discorso”, debbano ricorrere in modo sistematico alla manipolazione, fondata su clamorose menzogne, per ottenere il consenso necessario a supportare grandi cambiamenti? Non potrebbero autorizzare i nostri governanti a dire semplicemente la verità, ancorché sgradevole? Gliene manca il coraggio?Retropensiero: se tanto impegno viene profuso per raccontare il contrario del vero, non viene il sospetto che la nostra opinione in fondo conti parecchio, nonostante si cerchi di declassarla a fenomeno irrilevante? Certo, votiamo inutilmente: i partiti – tutti – poi si piegano sempre a direttive sovrastanti. Parla da sola la vicenda incresciosa dei 5 Stelle, che hanno tradito per intero le loro promesse elettorali. Idem, la storia tutta italiana dei recenti referendum: regolarmente celebrati, ma poi ignorati; il risultato quasi mai applicato, spesso annacquato se non aggirato e sostanzialmente azzerato. Eppure: se il cosiddetto potere ormai scavalca impunemente la democrazia, mortificandola e sterilizzandola nei suoi effetti, perché si affanna così tanto a imporci la sua narrazione disonesta? Non sarà che teme, nonostante tutto, che prima o poi possa insorgere una reazione, da parte del pubblico?Negli anni Ottanta, agli italiani è stato raccontato che era meglio che Bankitalia smettesse di finanziare direttamente lo Stato, a costo zero: era più trendy avvalersi della finanza privata speculativa, pagandole i salatissimi interessi che fecero esplodere di colpo il famoso debito pubblico. Negli anni Novanta, i medesimi narratori hanno cantato le magnifiche sorti e progressive della sottospecie deforme di Unione Europea fabbricata a Maastricht, quella che oggi impedisce all’Italia – devastata dalle conseguenze del lockdown – di rimettere in piedi le aziende che non riescono a riaprire o che chiuderanno tra poco, quelle che licenzieranno i dipendenti in autunno, quelle che scapperanno all’estero o, meglio ancora, si svenderanno agli attuali committenti esteri, specie tedeschi, prima di cedere il timone al capitale cinese o alla mafia nostrana, che già pregusta il banchetto.Tutti a ridere, nel 2020, quando Giulietto Chiesa scrisse – per primo – che non era possibile credere alla versione ufficiale dell’11 Settembre. Ora la voglia di ridere è passata, dopo che i pompieri di New York hanno cercato di far riaprire le indagini, in base alle loro testimonianze personali e alle evidenze scientifiche schiaccianti fornite dai tremila ingegneri e architetti americani del comitato “Verità sull’11 Settembre”: le torri di Manhattan non potevano crollare in quel modo, su se stesse e in pochi secondi, se non fossero state “minate” ben prima dell’impatto degli aerei. Una cosa però è la verità, e un’altra il suo sdoganamento. Tanto per cominciare, certe verità sono troppo indigeste: se anche venissimo scoperti, dicevano i nazisti, nessuno crederà mai che siamo stati capaci di inventarci una cosa come Auschwitz. E’ un fatto che la mente umana, semplicemente, non accetta. La prima risposta è invariabile: non può essere vero, mi rifiuto di crederlo.Il tempo è galantuomo, si dice; solo che se la prende comoda. Caso classico: John Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963. Tuttora, le fonti manistream – da Wikipedia in giù – seguitano a incolpare Lee Harvey Oswald, presentato come una specie di squilibrato solitario, confinando nelle “ipotesi cospirazionistiche” la nuda verità dei fatti, fiutata da subito ma emersa solo quando l’allora numero due della Cia, Howard Hunt, scomparso nel 2007, ha confessato in punto di morte che quello di Dallas fu un complotto del Deep State, attuato attraverso varie complicità: la Cia, l’Fbi, la manovalanza della mafia di Chicago e ben tre futuri presidenti degli Stati Uniti (Lyndon Johnson, Richard Nixon e George Bush). A sparare a Kennedy non fu Oswald, ma il mafioso Chuck Nicoletti. Ma a far saltare il cervello al presidente della New Frontier fu il killer di riserva, James Files: reo confesso, tuttora detenuto per altri reati e mai interrogato, su quei fatti, da nessun magistrato.Di Kennedy ha riparlato due mesi fa il grande Bob Dylan, con l’epico brano “Murder Most Foul”. L’omicidio di Dallas messo in relazione addirittura con il coronavirus: come se la pandemia che ha paralizzato il mondo nascesse da una regia occulta, direttamente ispirata dagli eredi dei criminali al potere che organizzarono il complotto costato la vita a Jfk. Il 19 giugno è finalmente uscito “Rough and Rowdy Ways”, il disco che contiene la denuncia kennedyana: non si contano gli elogi che la grande stampa profonde per quest’opera musicale del 79enne Premio Nobel per la Letteratura, ma nessun giornalista s’è peritato di scavare tra le righe per decifrare il codice esoterico attraverso cui Dylan lancia un’accusa esplicita, accennando al 33esimo grado che contrassegnava i massoni oligarchici e reazionari che vollero spegnere il sogno di un mondo libero, giusto mezzo secolo fa.Quanto ci vorrà, ancora, prima che un nuovo Howard Hunt confessi il suo ruolo nella strage dell’11 Settembre? Meno di quanto si pensi, forse, calcolando la velocità della crisi in corso e il prestigio dei personaggi che, in vario modo – da Dylan a Mario Draghi, fino a Christine Lagarde e Joseph Stiglitz – si stanno mettendo di traverso, rispetto al copione (emergenza, dunque crisi) messo in scena a livello planetario con la presunta pandemia frettolosamente dichiarata da una strana Oms, supportata dalla Cina. Proprio l’Oms ha provato a imporre ovunque il modello Wuhan, lockdown e coprifuoco, anche a paesi come l’Italia: non avendo più sovrantià finanziaria, a differenza di Pechino, noi non ce lo possiamo proprio permettere, un blocco di tre mesi che già quest’anno costerà 15 punti di Pil e chissà quanti milioni di disoccupati. Questo, almeno, è quello che sta finalmente emergendo, giorno per giorno, agli occhi di tutti: non è stato un affare, rinunciare a Bankitalia. E non era d’oro, la promessa europea che i super-privatizzatori come Prodi avevano fatto luccicare.Unire i puntini? Non è mai facilissimo, specie in mezzo al frastuono assordante di un mainstream che tace l’essenziale e ridonda di gossip politico irrilevante. In primo e piano, ora e sempre, la superficie epidermica della realtà: viene esibita la rozzezza retorica e spesso inaccettabile di Donald Trump, mettendo in ombra il cuore del fenomeno. Un vero e proprio incidente della storia, che ha proiettato alla Casa Bianca un outsider incontrollabile, capace di imporre uno stop alla super-globalizzazione che ha schiantato i lavoratori americani. Istrionico, ambiguo, già aggregato ai democratici, nel 2016 Trump s’è travestito da repubblicano sui generis, riuscendo a fermare il pericolo pubblico numero uno, Hillary Clinton, grande sponsor della nuova guerra fredda contro la Russia. Poi Trump – teoricamente, “di destra” – ha fatto cose che la sinistra (americana ed europea) si poteva solo sognare, negli ultimi decenni: ha dimezzato le tasse e raddoppiato il deficit. Risultato: disoccupazione azzerata. Infine, ha imposto uno storico stop – con i dazi – alla creatura preferita dei globalizzatori atlantici più reazionari e guerrafondai: la Cina.Manco a dirlo, l’emergenza Covid è esplosa a Wuhan un minuto dopo il “niet” inflitto da Trump a Xi Jinping, facendo dilagare la crisi giusto alla vigilia delle presidenziali americane. Come dire: è in gioco qualcosa di enorme, due versioni del mondo. La prima ce l’hanno fatta intravedere anche i prestanome italiani del governo Conte, peraltro non ostacolati minimamente dall’altrettanto farsesca opposizione: lockdown e niente aiuti, repressione orwelliana, distanziamento, mascherine, panico amplificato (bare sui camion militari) e cure efficaci contro il Covid regolarmente oscurate, emarginando i medici che per primi erano riusciti a sconfiggere il nuovo morbo, trasformandolo in malattia normalmente curabile. La seconda ipotesi di mondo – quella per la quale morì Kennedy – è tutta da difendere e da ricostruire, dopo il “golpe” mondiale della finanza neoliberista che s’è inventata persino l’eurocrazia stracciona che impoverisce i popoli e oggi li avvelena, mettendoli l’uno contro l’altro. Di Nuova Frontiera, probabilmente, si può riparlare solo se rivince Trump: se invece perde, prepariamoci a farci spiegare da Bill Gates come sarà la nostra vita domani.(Giorgio Cattaneo, “Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 giugno 2020).Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?
-
Il disastro del lockdown e i valori dei poeti del vino italiano
Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.Tutto sta a rimboccarsi le maniche, ancora una volta? Lo assicura un genio del marketing come Oscar Farinetti, che in mezzo a quei vigneti è cresciuto. Ha ragione? Solo a metà: giusto attingere all’ottimismo della volontà, mobilitando risorse anche morali per fronteggiare una crisi paurosa, cercando di trasformarla in un’occasione per riconvertire l’economia, premiando il profilo anche ecologico del “food & wine”. Ma forse i conti sarebbe meglio farli con l’oste, cioè con il convitato di pietra della grande depressione: la macroeconomia, questa sconosciuta. Se privatizzi il pianeta, appaltando la politica a piccoli mestieranti locali, puoi scordarti che lo Stato abbia il potere – aiutando, agevolando, detassando – di far decollare l’economia privata. Il visionario patron di Eataly – che ha fatto davvero moltissimo, per far brillare il sistema-Italia nel mondo, e pure in anni difficili – viene da una tradizione socialista: il padre partigiano, poi vicesindaco di Alba. L’Italia che seppe rimboccarsele davvero, le maniche, era quella del dopoguerra: miracolata dal Piano Marshall e poi trainata dall’economia mista alimentata dal colosso Iri, il più grande complesso industriale d’Europa. Un sistema smantellato in modo brutale prima con la “privatizzazione” del debito pubblico e poi con la svendita dei maggiori asset pubblici, strategici per il Made in Italy.Per un capriccio della storia, proprio nel periodo più buio per l’Italia – la grande precarizzazione, le delocalizzazioni selvagge, la folle austerity imposta dall’Ue – ha potuto fiorire, di colpo, il paradiso del vino. Anno dopo anno, i numeri di Vinitaly hanno stracciato ogni record, facendo volare l’intero sistema vinicolo italiano, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, con fenomeni-mostro come il Prosecco e i suoi 800 milioni di bottiglie vendute in tutto il pianeta. La festa sembrava non dovesse finire mai, nelle colline piemontesi – Langhe, Monferrato – ora elevate al rango di patrimonio paesaggistico dell’umanità sotto la tutela delle Nazioni Unite, attraverso l’Unesco. Un volano formidabile: paesini fino a ieri sconosciuti, trasformati all’improvviso in mete internazionali, con un indotto virtuoso e declinato a livello “glocal”, all’insegna della valorizzazione dell’ambiente e della genuinità delle filiere corte. In questo piccolo paradiso, c’è un’area Unesco quasi altrettanto nota – il Roero, sulla riva sinistra del Tanaro proprio di fronte ad Alba e Barbaresco – che di bottiglie ne produce solo 8 milioni, cioè la centesima parte del potenziale di fuoco di Treviso e Valdobbiadene. Un mondo di artigiani: il loro passaporto per gli Stati Uniti si chiama Arneis, un bianco che tradizionalmente era il meno prestigioso, tra i vitigni coltivati su quelle colline.Nomi che hanno fatto storia, nel Piemonte vinicolo – Ceretto, Negro – hanno ripescato l’Arneis dall’oblio contadino, facendone un signor vino, modernissimo, a suo agio sulle migliori tavole di Tokyio e di Los Angeles. E anche l’Arneis – insieme al Barolo – ha contribuito a trasformare il periferico Piemonte, a lungo rassegnato a languire come entroterra dell’universo Fiat, in un attore di primissima grandezza, nel mondo (felicemente globalizzato, in questo caso) delle degustazioni per veri indenditori. Oggi, anche il sistema-Piemonte piange le amare lacrime del maledetto coronavirus: il Monferrato, patria della Barbera, sconta una contrazione delle vendite che viaggia attorno al 40%. Una specie di ecatombe, da cui non si sa come uscire: c’è chi propone addirittura di mandare al macero il vino invenduto per distillarlo e ricavarne alcol, così da recuperare almeno i costi di produzione. Se nelle Langhe del Barolo il grande silenzio della primavera 2020 resterà negli annali come immane sciagura memorabile, forse il piccolo Roero soffre meno: con la sua economia differenziata (agricoltura mista, tanta frutta), è meno dipendente dal turismo internazionale. «Però anche qui la batosta è stata forte: paragonabile alla grandine che, quarant’anni fa, avrebbe fatto saltare la vendemmia, facendoci perdere un anno intero di lavoro, e quindi di entrate vitali per la famiglia».A parlare è Sergio Marchisio, un autentico pioniere: il primo a spumantizzare l’Arneis, il primo a vinificare il Nebbiolo in anfora. Un’azienda modello, certificata biologica, e con un debole per la biodonamica di Rudolf Steiner. Missione: scommettere innanzitutto sul recupero della fertilità naturale del suolo. «Dopo dieci anni il risultato lo senti nel bicchiere, in termini di pienezza e ampiezza di profumi». La sua cantina, a Castellinaldo d’Alba, sembra uno scrigno di silenziosa energia alchemica: nel ventre della terra riposano anfore panciute, contrassegnate dall’effigie del benefico serpente che avvolge l’uovo primordiale. Impatto zero, pannelli fotovoltaici e verdissimi filari che avvolgono l’officina delle delizie. «Certo, la processione dei turisti venuti da lontano si è interrotta anche qui. Ma non per questo ci scoraggiamo: i nostri valori sono più grandi, più forti del coronavirus». A proposito di valori: se c’è qualcosa di eroico, nel sistema-vino che negli ultimi decenni ha tenuto alta nel mondo l’eccellenza italiana, è la sua capacità di offrire bellezza raffinata, worldwide, attingendo con notevole coraggio alla passione, tipica del miglior Made in Italy, nutrito di praticità artigiana. Il paese crollava – Pil, disoccupazione – e le cantine conquistavano il pianeta, imparando l’inglese e sbalordendo pubblico e critica.Una storia che per certi aspetti sembra dar ragione all’incrollabile ottimismo di Farinetti. E che oggi – di fronte alle macerie del lockdown, tra mercati che franano – fa capire quando può essere feroce questo disastro, che è risucito a spiazzare persino gli invincibili, appassionati guerrieri del grande vino italiano. «Personalmente – confessa Sergio Marchisio – a cambiare il mio modo di vivere e di pensare è stata una frase di Steiner: quella in cui invita a riflettere sul fatto che l’uomo, in fondo, è l’unico abitante del pianeta che riesce ad avvelenare il cibo di cui si nutre». Se è per questo, siamo riusciti ad avvelenare l’acqua, i terreni, i cieli. «Esatto. Ecco perché, se le viti hanno nostalgia del sole, anziché usare prodotti chimici le accontento con semplici micro-cristalli di quarzo, minerale specchiante che conserva in sé la memoria della luce e del calore». Filosofi e poeti, tra i filari? Un amico e collega di Marchisio – Paolo Carlo Ghislandi di Cascina I Carpini, maestro del Timorasso (super-bianco dei Colli Tortonesi) – sa che ai suoi filari piace ascoltare la musica classica: Rachmaninov, di preferenza. E cita una poetessa francese, Colette: «Nel regno vetegale, la vite è l’unica che rende intellegibile, all’uomo, il valore della terra». Quando saremo usciti dall’incubo che ci è piovuto addosso, sarà naturale ripensare a loro, i pensatori-contadini che, custodendo le loro verdissime colline, sembrano rinnovare una specie di promessa, prodigiosamente alchemica. Viene che il sospetto che non si tratti solo di vino: come se in qualche modo, in punta di piedi, lavorassero anche per l’armonia dell’universo.(Giorgio Cattaneo, 21 giugno 2020).Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.
-
Magaldi: avviso a Conte, in autunno la Rivoluzione Italiana
E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».«E’ vero, le élite le progettano: ma poi le rivoluzioni le fa la gente, se capisce che deve scendere in strada al momento giusto. Che nel nostro caso si sta rapidamente avvicinando», assicura Magaldi. «Parlo di un riscatto nazionale, civile ed economico: in palio c’è l’Italia, esattamente come nel Risorgimento, di cui il 20 settembre 1870 rappresenta l’epilogo, con la conquista di Roma». Premessa: il presidente del Movimento Roosevelt, entità metapartitica nata nel 2015 per tentare di rimettere insieme i cocci della politica italiana, di massoneria se ne intende. «Il mondo in cui viviamo è stato interamente progettato da massoni: lo Stato diritto, le istituzioni laiche, il suffragio universale. La democrazia non ce l’ha portata la cicogna: è stata un’idea dei massoni che nel ‘700 rovesciarono l’Ancien Régime, in Francia e in America, dando inizio alla modernità politica». Queste cose, Magaldi le ha ricordate nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Un bestseller italiano, trasformatosi in long-seller e – dice l’autore – costato il trono a Giorgio Napolitano, nientemeno, indicato come appartenente alla superloggia “Three Eyes”.Grande regista, Napolitano, dell’imbarazzante operazione (interamente massonica) che portò il “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi con l’incarico di inguaiare il paese, tagliando la spesa sociale e quindi determinando deliberatamente una crisi terribile, tale da far crollare il gettito fiscale fino a far esplodere il debito pubblico. Obiettivo: rendere l’Italia sempre più debole, facile preda dei suoi avidi “becchini”. Francia e Germania? «Non esattamente: si tratta di gruppi apolidi, supermassonici, che usano in modo cinico le istituzioni – Ue, singoli paesi – per i loro scopi inconfessabili, speculativi e privatistici. E’ un’élite sovranazionale, economicamente neoliberista e politicamente reazionaria, post-democratica». Di fronte a questo, avverte Magaldi, le antiche distinzioni ideali (destra-sinistra) non contano più niente, da quando – archiviate le ideologie – i politici della sinistra si sono rassegnati, proprio come quelli della destra, ad eseguire ordini impartiti dall’alto: dalla stessa élite senza patria che, dagli anni Settanta in poi, ha cominciato a “smontare” la democrazia sociale dei diritti in tutto l’Occidente, attraverso entità paramassoniche come la Trilaterale, fino ad arrivare, oggi, a guardare alla Cina come modello.Una società autoritaria, quella cinese, basata sulla sorveglianza orwelliana del cittadino-suddito. «Non a caso – fa osservare Magaldi – il disastro Covid è esploso a Wuhan all’indomani della cocente umiliazione inflitta a Xi Jinping dall’unico politico capace di opporsi al dilagare dell’egemonia di Pechino: Donald Trump, oggi infatti assediato dai manifestanti antirazzisti alla vigilia delle elezioni, e alle prese con la drammatica crisi economica indotta dal lockdown, che ha cancellato gli ottimi risultati ottenuti dalla Casa Bianca nel far volare l’economia americana». Beninteso: «Trump farebbe meglio ad ascoltare i manifestanti genuinamente indignati per lo scandalo del razzismo che serpeggia tra i poliziotti stratunitensi: una piaga rispetto alla quale, peraltro, lo stesso Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni non ha fatto assolutamente niente». Ma attenzione: «I manifestanti violenti sono manipolati: imputano assurdamente a Trump l’omicidio di George Floyd».Ecco perché, aggiunge Magaldi, sarebbe da ciechi non scorgere i manovratori: a loro, del razzismo non importa nulla. «Vogliono solo impedire che Trump venga rieletto, perché ha osato sfidare la loro “creatura”, la Cina, e anche l’opaca Oms foraggiata da Pechino, braccio operativo del “terrorismo sanitario” che ha usato il Covid come un’arma», con obiettivi plurimi: mettere ko l’economia per indebolire i politici, e confiscare – in modo inaudito, in Occidente – le libertà democratiche nelle quali siamo cresciuti. E’ una specie di inferno, quello che si sta spalancando: qualcuno sta cercando di far apparire “normale” il coprifuoco, il distanziamento, la chiusura irreparabile di aziende e negozi. Scenario che in Italia si sta traducendo nella morte civile di interi settori strategici, come il turismo. «E se domani qualcuno si inventa un altro virus, fabbricandolo in laboratorio? Che facciamo: richiudiamo tutto?». Il primo a sentire puzza di bruciato è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore (Premio Nobel per la Letteratura) a fine marzo ha messo in relazione la pandemia – e i “falsi profeti” del vaccino universale – con la cupola di potere che nel 1963 assassinò John Kennedy a Dallas. Addirittura?Ebbene sì. «Un’unica filiera – dice Magaldi – collega la fine dei Kennedy al manifesto “La crisi della democrazia”, promosso dalla Trilaterale di Kissinger: il primo a sdoganare il regime cinese con l’idea di farne un’alternativa, mostruosa, per un Occidente non più libero, e oggi infatti ricattato dalla paura grazie a un virus “cinese” che, in questo, è ancora più efficace del terrorismo “islamico”, anch’esso coltivato da menti massoniche». Magaldi sa di cosa parla: già “venerabile” della prestigiosa loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, oggi è il “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, circuito massonico progressista collegato con le superlogge sovranazionali più avanzate, sul piano dell’impegno sociale democratico, come la “Thomas Paine”. Altra notizia: a quel circuito appartiene lo stresso Dylan, «massone ultra-progressista, oggi sceso in campo in prima persona perché il pericolo che stiamo correndo è veramente grande: il mondo rischia di non essere più lo stesso, se gli oligarchi avranno mano libera nel gestire l’emergenza Covid a modo loro».La sensazione è che l’attacco sferrato – l’imposizione del lockdown “cinese”, l’avvento della nuova polizia sanitaria – sia un riflesso di autodifesa, da parte di un’élite che teme di perdere il potere. Parlano da sole le clamorose diserzioni in atto, ai piani alti, tutte annunciate con largo anticipo proprio da Magaldi: Mario Draghi e Christine Lagarde hanno abbandonato il fronte reazionario (dominio finanziario, privatizzazioni) e oggi parlano un’altra lingua, insieme alla stessa dirigenza del Fmi, fino a ieri schierata dalla parte del rigore. «Fine dell’austerity», raccomandò Draghi, a marzo, sul “Financial Times”: se non si inonda l’economia di miliardi a costo zero, che non si trasformino in debito, il nostro sistema produttivo crollerà. «Oggi, gli unici soldi veri che l’Italia sta ricevendo sono quelli della Bce assicurati dalla “sorella” Lagarde», sfidando i falchi tedeschi. E’ così l’importante, l’Italia? Eccome: «Ci crediate o meno, è il luogo in cui si combattono e si combatteranno alcune battaglie decisive per la democrazia e la libertà, per il futuro della globalizzazione», assicura Magaldi.Spiegazione: fuggita la Gran Bretagna, in Ue – a parte il Belpaese – restano solo due grandi player, Germania e Francia: ma i rigidi assetti politici di Berlino e Parigi non consentono margini di manovra. Che l’Italia fosse l’unico laboratorio possibile, per riformare la governance continentale, lo si era già visto nel 2018, col Parlamento nel caos dopo il voto: il boom dell’incognita 5 Stelle, il Pd umiliato tra le macerie del renzismo (riformatore solo a chiacchiere) e l’impennata della Lega, ad archiviare l’obsoleto centrodestra. Come sarebbe andata a finire lo si capì da subito: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare», proclamò l’eurocommissario tedesco Günther Oettinger, «massone reazionario», mentre lo spread saliva prontamente. Poteri forti: «Fu Bankitalia – dice Magaldi – a convincere Mattarella a negare il ministero dell’econonia a Paolo Savona, che era lì apposta per provare a cambiare le regole che ci penalizzano da decenni». Il resto è cronaca: lo stesso Salvini la buttò in caciara enfatizzando il problema-migranti, per nascondere il fallimento gialloverde. «Lui e Di Maio dovettero ingoiare il rospo: a loro, Bruxelles non concesse neppure un irrisorio incremento del deficit».Unico accenno di riforma, l’alleggerimento fiscale vagheggiato dal leghista Armando Siri, messo però fuori gioco da un semplice avviso di garanzia. «Salvini si arrese, staccando la spina». Elezioni? Macché: i 5 Stelle – pur di non perdere la poltrona – si aggrapparono al «partito di Bibbiano», abbracciando uno Zingaretti che, fino a tre giorni prima, giurava: «Mai, con quei populisti». Cambiarono i suonatori, ma non lo spartito: ancora e sempre rigore, vigilato dall’emissario di turno dei soliti poteri (Roberto Gualteri, Pd, forgiato dall’eterna tecnocrazia di Bruxelles). Obiettivo: tirare a campare, in un’Italia sempre più precaria e impoverita, senza nessuna speranza nell’unica svolta politico-economica ormai drammaticamente indispensabile: la rottamazione della grande bugia neoliberista, del debito pubblico come colpa nazionale. «Il “fratello” Draghi si è ricordato delle sue origini, citando il New Deal di Roosevelt: senza un massiccio intervento statale, l’economia frana nella spirale della crisi». E’ la lezione di Keynes, oggi rispolverata dal fronte massonico progressista che si oppone alle restrizioni catastrofiche imposte con l’alibi del Covid, tra le mille opacità della gestione italiana della pandemia più strana e più sospetta della storia. Un disastro, per gli italiani. Ma per “Giuseppi”, una grande occasione.Il piccolo, oscuro “avvocato del popolo” – mai sentito nominare da nessuno, prima del 2018 – si è trasformato di colpo in mini-dittatore, miracolato dal coronavirus proprio quando il suo governicchio incolore stava per cadere. «Conte ha sbagliato tutto quello che poteva: ha agito in ritardo nel creare zone rosse e ha permesso la grande “fuga” dalla Lombardia contaminata, poi ha chiuso gli italiani in casa facendo crollare l’economia e in più li ha lasciati senza aiuti: c’è ancora chi aspetta la cassa integrazione». Su che pianeta vive, il Conte che l’11 giugno si è stupito di essere accolto in piazza al grido di “buffone”? Ci tiene proprio, a replicare le gesta delle varie Maria Antonietta della storia? Non si era accorto, che l’esaperazione popolare sta per esplodere? Cattive notizie, per “Giuseppi”: un sondaggio di inizio giugno svela che è Mario Draghi l’italiano che oggi riscuote più fiducia. «Credo che a volte la storia sia sarcastica, ironica, beffarda», commenta Magaldi. «Il Conte che convoca gli Stati Generali, richiamando la Francia del ‘700, non sa che quell’assemblea portò direttamente alla rivoluzione contro chi l’aveva convocata?».«La storia dell’appello agli Stati Generali non andrà a finire bene nemmeno stavolta», dice Magaldi in web-streaming su YouTube. Una pessima suggestione storica: «Chi li aveva convocati nel 1789 credeva di poter manipolare il popolo, fingendo di concedere una consultazione vasta per il bene collettivo: in realtà si volevano propinare le solite ricette, che non concedevano significative riforme – economiche, politiche e sociali». La storia si ripete? «A un sempre più stralunato Giuseppe Conte (e ai suoi consigliori ancor più stralunati, tanto per le questioni comunicative che per quelle economiche e legislative), quella storia avrebbe dovuto consigliare di scegliersi un altro titolo, per questa convocazione», aggiunge Magaldi. «Ma credo ci sia una sorta di “cupio dissolvi”: ognuno persegue il proprio destino – e questo vale anche per Giuseppe Conte e i suoi, che avranno un destino di disfatta. Dunque, se ci sono gli Stati Generali, andranno a finire come nel caso della Rivoluzione Francese. E’ davvero uno scivolone clamoroso: significa quasi attribuirsi in partenza un esito catastrofico, come quello degli Stati Generali parigini».Magaldi annuncia un ultimatim che il Movimento Roosevelt presenterà a Conte entro una decina di giorni: «Faremo una proposta precisa, facile da attuare in tempi brevissimi, per ognuno degli attuali ministeri: c’è bisogno di sostenere gli italiani, subito, con azioni chiare e immediate». Precisa Magaldi: «Noi siamo laici, non “tribali”: non ci interessa chi fa le cose che servono, l’importante è che le faccia». Conte? «Deve liberarsi – testualmente – di tutte le pervicaci e rapaci cazzate che vengono anche dal piano Colao». Privatizzare quel che ancora ci resta: «Tutte storie già viste, stroncate molto bene da Giulio Sapelli, ottimo economista italiano che tiene alta la fiaccola keynesiana: Sapelli ha ricordato che le proposte di Colao assomigliano alle cose che si insegnano nelle scuole per manager, mal digerite e certamente poco adatte alla realtà concreta». Se il governo si libererà «dalle elaborazioni irrisorie che verranno da questi Stati Generali», tanto meglio: «Non ci sarà bisogno, il 5 ottobre, di scendere in piazza». Il problema è anche come affrontarla, la piazza: Magaldi sta creando la Milizia Rooseveltiana, qualcosa che in Italia non sè ancora visto.«Sarà un teatro nonviolento ma fermo, scomodo e inflessibile nel denunciare quello che non va e nel proporre soluzioni ragionevoli». Milzia? Ovvio il riferimento, autoironico, al fascismo delle origini, specularmente capovolto a partire dallo slogan: “Dubitare, disobbedire, osare”, anziché “Credere, obbedire e combattere”. «Mobilitare il popolo è un’operazione complicata, difficile: la maggior parte dei manifestanti sono irrisori, nelle loro dimostrazioni di piazza». Magaldi pensa ai Gilet Arancioni di Pappalardo: «I media li sfottono, come se ormai fosse una follia il solo fatto di protestare civilmente. Ma gli obiettivi che indicano – riforme costituzionali, uscita dall’Ue e dalla Nato – richiedono decenni, a prescindere da come li si giudichi». Sul fronte opposto, c’è l’increscioso modello-Sardine: «Molto rumore per nulla: proposte irrisorie se non pericolose per la democrazia, come la pretesa della censura sui social per i ministri». Magaldi ha le idee chiare: «Non è più tempo di analisi, ma neppure di manifestazioni inutili: si sfila e si intonano cori, ma non si porta a casa niente. Vedrete: finiranno nel nulla anche le manifestazioni contro Trump».Da dove deriva, Magaldi, le sue sicurezze? Ovvio, dalle informazioni riservate di cui dispone: il back-office del grande potere, che oggi è spaccato in due. Da una parte il “partito del lockdown” e della polizia sanitaria, dall’altra i partigiani della democrazia. Gli uni hanno usato il sistema-Cina per forzare la mano e deformare l’Occidente, mentre i loro avversari hanno investito sul più impensabile degli alleati – l’orco Donald Trump – per sfrattare dai piani alti i supermassoni “golpisti”, travestiti da democratici. Esempi? I Clinton: Bill ha relagato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act (voluto da Roosevelt mezzo secolo prima) che impediva alla finanza speculativa di mettere in pericolo in risparmio privato. Quanto a Hillary, ha orchestrato le bolle di sapone dei vari Russiagate, obbedendo al “partito della guerra”. Di mezzo c’è stata la strategia della tensione planetaria gestita, secondo Magaldi, dalla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush: roba loro, l’11 Settembre. Bottino: il saccheggio del Medio Oriente, grazie all’alibi del terrosismo islamico.«Osama Bin Laden – ricorda Magaldi – fu reclutato da Zbigniew Brezisinski in funzione antisovietica ai tempi dell’invasione dell’Afghanistan. Quello che pochi sanno – aggiunge l’autore di “Massoni” – è che Bin Laden fu iniziato alla superloggia “Three Eyes”, la stessa di Brzesinki e Kissinger». Poi i Bush lo dirottarono nella “Hathor”, «che più tardi affiliò anche Abu-Bakr Al Baghdadi, a cui venne dato il compito di mettere in piedi l’Isis, le stragi in Iraq e in Siria, i sanguinosi attentati in Europa». Fu lì, dice sempre Magaldi, che la piramide del potere occulto iniziò a incrinarsi: allo stesso saggio “Massoni”, forte di 6.000 pagine di documenti riservatissimi, hanno contribuito “grandi pentiti” del fronte oligharchico. Massonicamente, Magaldi li comprende: «Se sei consapevole del fatto che è stata la tua organizzazione, a fondare la modernità a colpi di rivoluzioni, un bel giorno puoi anche pensare di farne quello che vuoi, del mondo che hai fabbricato». Grave errore: «Noi progressisti li chiamiamo contro-iniziati: hanno tradito l’impegno massonico, che è per il bene di tutti, non di pochi. La loro è una filosofia: si sentono appartenenti a una sorta di “aristocrazia dello spirito”, si credono gli unici autorizzati a decidere i destini dell’umanità».Per questo, Magaldi li definisce neoaristocratici: «Vorrebbero ereditare il potere assoluto dell’aristocrazia di un tempo, che proprio i massoni abbatterono – in Francia, peraltro, anche con il contributo di elementi della stessa aristocrazia, e persino del clero: le logge del ‘700 erano davvero interclassiste». Discorsi che potrebbero sembrare lunari, non avessimo di fronte un tizio come “Giuseppi”, che qualcuno continua a scambiare per un politico dotato di un qualche spessore, e che ora s’è messo in testa di convocare a settembre gli Stati Generali, come quelli che nel 1789 scavarono la fossa alla corte di Parigi. Magaldi è drasticamente esplicito: «C’è un lavoro possente, condotto ai piani alti: aspettatevi di tutto, nelle prossime settimane». Qualcosa, a dire il vero, s’è già visto: in tempo di pace, non sarebbero mai circolate intercettazioni come quelle che imbarazzano Renzi (i servizi italiani utilizzati per fabbricare prove false contro Trump per il Russiagate) e che travolgono il capo dell’Anm, Palamara, impegnato a trescare col Pd per tagliare le gambe a «quella merda di Salvini», in una palude maleodorante di favori. Ma il bello deve ancora arrivare, assicura Magaldi: crolleranno pezzi interi di establishment.La partita italiana ha rilievo mondiale, insiste Magaldi: solo da qui si può pensare di scardinare l’attuale euro-sistema, che lascia Conte in mutande e gli italiani in bolletta persino di fronte al Covid. «Il governo va incalzato con proposte che non potrà rifiutare: soluzioni ragionevoli, da attuare subito». Giorno per giorno, gli italiani vedono la reale dimensione del dramma: il Mes è un piccolo imbroglio, il Recovery Fund resta un miraggio. Serve qualcuno che, finalmente, prenda il toro per le corna e pretenda quello che ci spetta: miliardi, per uscire dal coma. E non solo: va sfidato, una volta per tutte, il regime bugiardo dell’austerity. Nessuna legge economica vita di metter mano a una super-spesa pubblica, in tempi di crisi. Occorre agire. Se non ora, quando? «Il 5 ottobre, se Conte non ci avrà ascoltato, scenderà in campo la Milizia Rooseveltiana», annuncia Magaldi. «Le nostre idee devono camminare sulle baionette (nonviolente) della nostra capacità rivoluzionaria, pacifica e gandhiana, che però si esercita in piazza».«Occorre mobilitare sempre più persone, in modo costante e veemente, che gridino il loro “basta”. Persone accigliate, severe. Persone che non hanno più voglia di ridere, perché c’è poco da ridere. Questo è un momento gravissimo, per le sorti dell’umanità e del popolo italiano». Non è più tempo di blog e video su YouTube, di manifestazioni innocue e velleitarie, di analisi acute e controcorrente. «Il punto vero è che poi, queste cose, devono diventano azione (nonviolenta), perché solo nell’azione ci si unisce, e si diventa popolo sovrano». L’azione vera – scandisce Magaldi – è quella di chi dice, «di fronte al potere, al popolo e a quei giornalisti che hanno ancora la schiena diritta», quali sono le cose che si potrebbero fare in uno, due o tre mesi. «La soluzione, oggi, non è nell’infinita analisi e nell’infinito racconto: arriva un momento, che è quello dell’azione». Per inciso: mezzo mondo sta osservando l’Italia, che finora a subito ogni imposizione ma sta cominciando ad agitarsi. Gli Stati Generali a settembre? Brutta storia: per Conte e Colao finirà malissimo, profetizza Magaldi. A una condizione: che a scendere in campo, finalmente, siano gli italiani. Non bastano, le élite democratiche: serve il popolo, per rivoluzionare la governance. Per chi non l’avesse ancora capito: la sgangherata Italia è l’epicentro di questo terremoto mondiale.E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».