Archivio del Tag ‘naif’
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La Gruber al Bilderberg, Mazzucco: davvero ve ne stupite?
Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.Nulla che, ovviamente, possa sperare di perforare il muro di gomma della cosiddetta informazione televisiva, nonostante il ruolo anche istituzionale del politico maltese – europarlamentare dal 2013. Ma appunto: qualcuno si aspetta, davvero, che Lilli Gruber e soci si mettano, di punto in bianco, a raccontare qualcosa che assomigli alla verità? Certo che no, rispondono ormai 3 italiani su 4: secondo l’ultimo sondaggio targato Pew Research, l’Italia è il paese europeo con meno fiducia, in assoluto, nei propri media mainstream, cartacei e radiotelevisivi. I soloni di “Repubblica” e del “Corriere”? Possono, appunto, continuare a pontificare a reti unificate nei salotti come quelli della Gruber, ma il prestigio dei loro giornali è in caduta libera, così come loro vendite. Secondo i ricercatori statistici, ormai l’Italia “gialloverde” la verità se la cerca altrove: il 50% del campione ammette di informarsi direttamente sul web, se vuol tentare di capire cosa sta succedendo nel paese e nel resto del mondo. Un italiano su due – come confermato platealmente dal risultato elettorale – sa benissimo che non può più fidarsi della “fabbrica delle fake news” denunciata magistralmente da Marcello Foa, nel saggio “Gli stregoni della notizia” che smaschera le bufale “vendute”, una dopo l’altra, dai grandi media.La Gruber al Bilderberg? Siamo seri, sottolinea Mazzucco: se il più malfamato club finanziario del mondo pubblica le liste degli invitati e pure l’ordine del giorno per il summit di Torino, significa che poi tanto segreto non è. «Esistono, le vere società segrete? Certamente. E in quanto tali, appunto, agiscono nella massima segretezza: non c’è caso che possiamo venire a sapere quello che combinano». Ma attenzione, avverte Mazzucco: «Il fatto che qualcuno provi a cambiare il mondo segretamente, non significa che poi ci riesca». Il nuovo ordine mondiale? Un progetto in pieno corso, ma non lineare: ci sono complotti, provocazioni, forzature. Ma non è un’unica piramide: anche ai vertici, ci sono spaccature profonde. «E poi esistono contropoteri, popoli, elezioni. Nel nostro piccolo ci siamo anche noi, che – facendo informazione – possiamo fare la nostra parte per limitare i danni provocati dalla manipolazione». La tesi della “massoneria buona” opposta a quella “cattiva”? «Perfettamente coerente con la divisione fondamentale dell’umanità: da una parte chi vuol tenere tutto per sé, e dall’altra chi tende, per indole e per cultura, a essere più generoso e democratico». L’importante, dice Mazzucco, è non dimentare mai che la storia non procede per linee rette. E comunque, nella storia, ci siamo anche noi.Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.
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Davide Casaleggio, poco o nulla di fronte a problemi epocali
La recente convention di Ivrea, fatta per ricordare Casaleggio senior e lanciare i lineamenti di visione della società da parte di Casaleggio junior, è sembrata, a molti osservatori non certo pro Pd, piuttosto deludente. Visto il filo conduttore della giornata di Ivrea, il futuro, non si può dire però che questa dimensione temporale sia stata fatta intravedere agl italiani. Non è venuta fuori un’idea di società, verso la quale un eventuale governo M5S tenderebbe, quanto una serie di immagini da proporre a differenti segmenti di pubblico. Niente di male, solo che qui non si cerca di proporre una nuova serie di paste da cucina (gli spaghetti a un tipo di pubblico, le pennette lisce ad un altro e il brand per tutti) ma si è davanti a una crisi economica storica, ad un Pil in declino da un trentennio ad una società con problemi drammatici ed inediti. Un’idea di futuro invece deve connettere, e mobilitare, un’intera società. Non per il rispetto dell’etichetta ma perché il M5S vuol governare da solo e che, per farlo secondo la legge elettorale attuale, deve raggiungere il 40% ovvero almeno 1/3 in più in più dei voti attuali. Sempre, s’intende, seguendo le stime delle attuali intenzioni di voto.Per arrivare a questo risultato la mobilitazione deve essere inedita, almeno per questi anni, e per ora questo non si è visto. La stessa definizione che Davide Casaleggio dà del Movimento 5 Stelle («siamo Netflix, mentre i partiti sono ancora Blockbuster») non pare adatta a suscitare questa mobilitazione. Confonde, infatti, l’immaginario dell’impresa della comunicazione con quello dell’impresa tout court e quello dell’impresa tout court con quello della società. L’idea di futuro di una impresa e quello di una società, per quanto intrisa di aziendalismo come la nostra, vanno separate. Lo stesso Berlusconi, che scese in campo portandosi dietro un immaginario di ricchezza non comparabile con quello della Casaleggio, per prendere voti di massa a livello di opinione dovette ricorrere alla coltivazione, reiterata, di un immaginario di maschio-alfa che stava molto più nel profondo della società italiana di quello dell’impresa. Cercare di costruire un futuro con un immaginario da start-up è, infatti, prepararlo allo stesso rischio di fine precoce che corrono questo tipo di aziende.Davide Casaleggio aveva poi aperto, sul “Corriere della Sera”, all’interrogativo principale della giornata di Ivrea: la rivoluzione robotica e il suo impatto nella società. Roba un po’ schematica, sulla velocità della rivoluzione tecnologica ci sarebbe più da ragionare che fare marketing, ma che sicuramente tocca la struttura della società italiana: dall’organizzazione del lavoro a quella dell’amministrazione dello Stato, della formazione, della ricerca scientifica e del diritto. Per non parlare del tipo di economia che si vuole, e in che modo produce ricchezza (e che tipo di ricchezza produce), in una società a forte tasso di invecchiamento. Questioni da far tremare i polsi, sulle quali non si è visto un lineamento di risposta, sempre tenute sullo sfondo grazie alla questione del “come” finanziare il reddito di cittadinanza. Quella del possibile impatto – sociale, economico, amministrativo – di questa misura rimane invece taciuta. E, essere generico su questi temi, non è solo un difetto di Casaleggio ma anche di tanta sinistra: pensare che il reddito di cittadinanza, misura comunque inevitabile, sia una sorta di derivato della carità (che una volta assolta fa sentire la società uguale a prima solo piu’ solidale) o una misura che riguarda comunque la periferia del corpo sociale.Non siamo più nel ‘900: il reddito di cittadinanza, se erogato davvero, non è una misura di equilibrio sociale che sta tra welfare e mercato. Di fronte a una rivoluzione tecnologica, che distrugge strutturalmente più posti di lavoro di quanti ne produce (a differenza, appunto, del ‘900), il reddito di cittadinanza ha un impatto fortissimo sul mercato del lavoro, sulla forma delle istituzioni e dell’amministrazione. Fa uscire strutturalmente dal lavoro, se è reddito di cittadinanza, non più una nicchia ma una parte consistente di società. In maniera inedita dalla rivoluzione industriale. Presupponendo cambiamenti tali da mettere in discussione anche la presa della forma impresa nelle pieghe della società e nella estrazione della ricchezza. È uno dei motivi, oltre al fatto che la ricchezza in Europa va nei paesi “core” come finiva nel nord ricco dell’Italia postunitaria, per cui questo paese non ha mai trasformato la propria struttura di welfare consociativo, tra le parti sociali come si era configurato nella sua epoca matura, in welfare di cittadinanza. Sarebbe saltata la struttura del potere reale tanto che gli attori in campo hanno preferito trasformare, di volta in volta, il welfare consociativo in uno strumento, in parte borbonico in parte neoliberista, di allineamento alle esigenze di sviluppo della Ue e dell’Eurozona. Insomma, problemi epocali ai quali è impossibile rispondere con un immaginario da start-up. Ma quando ti nutri, in modo totemico, del sapere dell’impresa certi salti in avanti non li puoi fare.Oltretutto, quando in tv Casaleggio jr. si è trovato davanti alla classica domanda, sul come finanziare il reddito di cittadinanza come antidoto alla disoccupazione tecnologica, ha risposto non cercando di conquistare nuovo pubblico ma parlando a quello già conquistato. Ha parlato infatti di «partire dal taglio delle pensioni d’oro», eccetera, ovvero la già vincente retorica sugli sprechi che, anche se fosse praticata allo spasimo, non arriverebbe mai a finanziare una posta di spesa così grande. Segno, perlomeno, di grande confusione, prima di tutto su cosa fare dopo l’evento epocale (e lo è) della rivoluzione tecnologica. Segno che, nonostante i desideri sul futuro, non si arriva a produrre novità politiche e non resta che parlare il solito linguaggio della “casta che ruba”. Davide Casaleggio ha anche aggiunto che, sul finanziamento del reddito di cittadinanza, in fondo, è una questione dei tecnici. Nel migliore dei casi siamo alla visione naif della politica che traccia un’idea e i tecnici la praticano. Quando invece ogni “dettaglio” tecnico porta, nel momento in cui va risolto, a drammatiche scelte politiche, oltretutto quando il provvedimento è destinato a produrre (complesse) ondate di impatto sulla struttura sociale e amministrativa.Qui ci vogliono non i tecnici ma idee di indirizzo politico chiare, e robustamente organizzate, per arrivare a praticare una riforma del welfare, dell’amministrazione e degli obiettivi dello Stato, tale è il reddito di cittadinanza altro che misura “tecnica”, che entrerebbero sicuramente in conflitto con Bruxelles e Francoforte (per non dire Berlino). Insomma, l’evento dell’associazione Gianroberto Casaleggio, che è distinta dal Movimento 5 Stelle, si è impantanato nei difetti della solita convegnistica di impresa che un giorno tocca l’idea di banda ultralarga e l’altro di Industria 4.0: un po’ di spettacolo, un tema di fondo magari azzeccato e tanta genericità a contorno dell’evento. L’invito al Ceo di Google Italia, al direttore della Trilateral e a quello del Tg7 (nonché a qualche sociologo che questa convegnistica se l’è fatta tutta in area Pd-Bassolino), da parte di Casaleggio, stavano in questa cornice. Il problema è che questo genere di convegnistica è fatta, soprattutto, per sviluppare il capitalismo di relazione in settori specializzati. Se il format viene riproposto per delineare il futuro di un paese, le crepe si vedono tutte. La forma start-up non è in grado di rappresentare la profondità di un paese come il nostro. Ma difficile che su quelle rive si cambi idea.Certo se dall’associazione Casaleggio c’è questa confusione in campo 5 Stelle, e ci riferiamo alla politica monetaria, le turbolenze non mancano. Il referendum, previsto come consultivo dal M5S, sulla permanenza nell’euro o meno assumerebbe, in questa cornice, i tratti della più spettacolare manna dal cielo per la speculazione finanziaria (che le borse “banchino” i referendum ormai è prassi consolidata) e quello della paralisi delle politiche di un paese in attesa del risultato. Sicuramente in tutto questo c’è molta propaganda ma anche occhi molto smaliziati stentano a trovarci coerenza e sostanza. Nessuno si augura un domani di riveder di nuovo pascolare i Gentiloni, i Renzi, gli Alfano, le Camusso. Ma bisogna anche essere consapevoli di cosa sta accadendo anche da altre parti della politica. Perché si sta preparando l’ennesima turbolenza per questo paese, comunque vada. E i convegni del genere “imprese per un paese che cambia” queste turbolenze non le governano, al massimo ne vengono governati. Oppure vengono spazzati via e avanti il prossimo.(“Davide Casaleggio, poco o nulla di fronte a problemi epocali”, da “Senza Soste” dell’11 aprile 2017).La recente convention di Ivrea, fatta per ricordare Casaleggio senior e lanciare i lineamenti di visione della società da parte di Casaleggio junior, è sembrata, a molti osservatori non certo pro Pd, piuttosto deludente. Visto il filo conduttore della giornata di Ivrea, il futuro, non si può dire però che questa dimensione temporale sia stata fatta intravedere agl italiani. Non è venuta fuori un’idea di società, verso la quale un eventuale governo M5S tenderebbe, quanto una serie di immagini da proporre a differenti segmenti di pubblico. Niente di male, solo che qui non si cerca di proporre una nuova serie di paste da cucina (gli spaghetti a un tipo di pubblico, le pennette lisce ad un altro e il brand per tutti) ma si è davanti a una crisi economica storica, ad un Pil in declino da un trentennio ad una società con problemi drammatici ed inediti. Un’idea di futuro invece deve connettere, e mobilitare, un’intera società. Non per il rispetto dell’etichetta ma perché il M5S vuol governare da solo e che, per farlo secondo la legge elettorale attuale, deve raggiungere il 40% ovvero almeno 1/3 in più in più dei voti attuali. Sempre, s’intende, seguendo le stime delle attuali intenzioni di voto.
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Addio al Marziano imbranato, ora a Roma tornano i politici
Il Marziano non è sopravvissuto: questa la notizia, mischiando l’ultimo Ridley Scott con l’eterno Ennio Flaiano. Ma le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma non sono solo l’esito scontato di un crescendo rossiniano di equivoci, inadeguatezze, errori e ciclopiche gaffes. Sono forse la pietra tombale sull’illusione che, fallita la classe politica, possa salvarci la Società civile. Perché di lì veniva il Marziano: e se ne parlo al passato, ci sarà un perché. Dal mondo delle professioni e delle competenze, tanto magnificato. Se non fosse che la politica ha pure lei le sue professionalità e le sue competenze, non necessariamente coincidenti con le altre. Invece, della mitica società civile Marino aveva la mentalità, le frequentazioni nazionali o internazionali, gli usi e costumi relativamente sofisticati, rispetto ai fagioli con le cotiche che passa il convento, e anche i vizi mediocri, rispetto alle crapule del berlusconismo d’antan. Tutta roba alla quale uno deve fare il tagliando, ormai, se proprio decide di entrare in quella fossa dei serpenti che è la politica italiana in genere, e quella capitolina in particolare.E non bastano le buone intenzioni, che nessuno discute, e la sostanziale estraneità dell’uomo alla suburra degli affaroni e affaracci romani: ci vuole anche il senso delle opportunità, per non parlare del senso del ridicolo. Che si trattasse davvero di un marziano, invece, l’avevamo capito da tempo. Sindaco dal giugno 2013, dopo aver prevalso su quel Marchini, erede di una dinastia di costruttori rossi, che ora si candida alla sua successione, aveva esordito con la storia della Panda rossa parcheggiata alla evvivailparroco, e relative multe. E tutti noi, commentatori benpensanti, a difenderlo, adducendo che uno così era troppo manifestamente naif per poterlo considerare un mascalzone. Mascalzone no, in effetti, ma un po’ fesso sì: e giudichi il lettore cos’è peggio. Passino le vacanze e/o gli impegni internazionali, fra i quali non sempre si vedeva la differenza. Passino il degrado, le buche, i bambini caduti nella metropolitana: con lui che, se non era dall’altra parte del pianeta, arrivava subito e ci metteva la faccia – cosa che Renzi, per dire, si è sempre ben guardato dal fare – così beccandosi, Marino dico, anche le contumelie che sarebbero toccate a ben altri.Dopo il suo predecessore Alemanno, che festeggia se non l’accusano di associazione mafiosa, passi pure questa fissa di indossare la fascia da sindaco ovunque: anche a Filadelfia, dove si autoinvita a proprie spese, dice lui, in occasione del viaggio del Papa. Passi persino – in un’escalation da comica finale, sullo sfondo del definitivo inabissamento dell’immagine della Capitale sui giornali di tutto il mondo – farsi sbugiardare dal Pontefice in persona: una cosa che resterà nella storia dei rapporti Stato-Chiesa, appena un gradino sotto lo Schiaffo di Anagni. Ma ci si può dimettere, alla fine, per una storia di scontrini, una peculiarità italiana dalla quale il M5S avrebbe dovuto averci definitivamente vaccinato? Ci si può far smentire, oltre che da una lunga sequenza di preti e di organizzazioni benefiche, anche dall’ambasciatore del Vietnam, e per cene con la moglie e con la madre, neppure con l’amante, che tutto sommato sarebbe stato più dignitoso? A proposito: speriamo che il prossimo sindaco di Roma sia un politico, abbia l’amante e un metro di pelo sullo stomaco, ma che almeno sappia fare il suo mestiere.(Mauro Barberis, “Il Marziano se ne va, che tornino i politici”, da “Micromega” del 09 ottobre 2015).Il Marziano non è sopravvissuto: questa la notizia, mischiando l’ultimo Ridley Scott con l’eterno Ennio Flaiano. Ma le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma non sono solo l’esito scontato di un crescendo rossiniano di equivoci, inadeguatezze, errori e ciclopiche gaffes. Sono forse la pietra tombale sull’illusione che, fallita la classe politica, possa salvarci la Società civile. Perché di lì veniva il Marziano: e se ne parlo al passato, ci sarà un perché. Dal mondo delle professioni e delle competenze, tanto magnificato. Se non fosse che la politica ha pure lei le sue professionalità e le sue competenze, non necessariamente coincidenti con le altre. Invece, della mitica società civile Marino aveva la mentalità, le frequentazioni nazionali o internazionali, gli usi e costumi relativamente sofisticati, rispetto ai fagioli con le cotiche che passa il convento, e anche i vizi mediocri, rispetto alle crapule del berlusconismo d’antan. Tutta roba alla quale uno deve fare il tagliando, ormai, se proprio decide di entrare in quella fossa dei serpenti che è la politica italiana in genere, e quella capitolina in particolare.