Archivio del Tag ‘neofascismo’
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L’emergenza apre ogni decennio, e spegne il dissenso
Le convulsioni del costituzionalismo liberale che sono andate in scena in questi giorni offrono materiali spettacolari (nel senso debordiano del termine) per una riflessione su eccezione e normalità. Negli Stati Uniti abbiamo assistito alla retorica imbarazzante della cerimonia di insediamento di un duo presidenziale in mano ai poteri forti. Hanno parlato di giustizia sociale, senza vergogna, dallo stesso palco dal quale i gorgheggi di cantanti miliardarie giungevano fisicamente alle orecchie delle migliaia di senza tetto, accampati sotto i palazzi del potere (documentati fotograficamente dallo splendido libro fotografico di Kike Arnal, “In the Shadow of Power”, all’ombra del potere). Biden invocava la “normalità”. In Italia, la stessa retorica al Senato, con un presidente del Consiglio pronto a promettere qualunque cosa pur di mantenere l’incarico, ad una girandola di ricattatori e voltagabbana, riportata come una notizia dai giornali mainstream, mentre la vera partita, quella sul “controllo” dei servizi segreti, restava nell’ombra.Nel centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, destinato a divenire il più grande (e conformista) di tutto il blocco atlantico, perfino il “Manifesto” (quotidiano comunista) apriva con le tifoserie italiote di Biden in prima pagina, a riprova, se necessario, della triste condizione semi-periferica e coloniale in cui siamo imprigionati a causa delle basi Nato, che ben pochi osano discutere a dispetto dell’articolo 11 della Costituzione. Alla faccia del centenario del Partito Comunista Italiano. Del resto, altrettanto pochi osano ricordare che il supremo garante dello stato di eccezione permanente, che deve essere interpretato da Conte anche nella sovversione delle più elementari certezze del diritto costituzionale, è il presidente Mattarella. Fu lui − da ministro della difesa nel primo governo guidato da un ex comunista − a macchiarsi, insieme a D’Alema, del bombardamento illegale − senza mandato dell’Onu − di una capitale Europea come Belgrado.A scopo “umanitario” furono eseguiti 2.300 attacchi aerei, usando uranio impoverito; furono distrutti 148 edifici, 62 ponti, danneggiate 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, 176 monumenti di interesse culturale e artistico, con un danno stimato di 30 miliardi di dollari, che nessuno è disposto a riconoscere e a risarcire. Ed è proprio l’Europa di Bruxelles, con la sua costituzione a-democratica by design, a costituire fin dall’Atto Unico del 1986 il supremo strumento di normalizzazione dell’eccezionale, facendosi garante dell’Asse atlantico. Tornerò su questo punto in un prossimo articolo. Per il momento sarà sufficiente osservare che quel bombardamento dei ponti di Belgrado, affollati di civili terrorizzati nell’estate del 1999, svolse, mutatis mutandis rispetto al corso del successivo decennio, la stessa funzione che le bombe fasciste di piazza Fontana del dicembre ’69 svolsero, per “normalizzare” gli anni Settanta, ripercorsi magistralmente da Geraldina Colotti in un recente intervento su “l’Antidiplomatico”.Il primo decennio del nuovo millennio fu infatti quello che, apertosi con le Torri Gemelle, segnò la nascita politica del capitalismo della sorveglianza (descritto nel celebre libro di Shoshana Zuboff). È come se, alla fine di ogni decennio, un evento di portata spettacolare (pensiamo alla caduta del Muro di Berlino dell’89, o alla crisi del 2008) marcasse quello successivo, costruendo un’emergenza la cui risoluzione deve essere priorità numero uno per tutti gli amici, costruendo come nemico chi si concede il lusso del dissenso. Del resto, insieme all’antitesi (non dialettica) fra amico e nemico va letta la teoria dello stato di eccezione schmittiana, quella utilizzata da un maestro come Giorgio Agamben, uno dei pochi intellettuali che, in una serie di interventi sul sito di “Quodlibet”, non si sono allineati, per leggere la pandemia Covid-19, con cui si è aperta la decade che stiamo vivendo. Lo stato di eccezione dichiarato dall’Oms ha infatti offerto l’assist ad ogni potere costituito per ristrutturare uno status quo ed una “normalità” che pareva messa in discussione dai rantoli (anche osceni) di una sovranità statale (sopratutto quella statunitense con Trump) restia ad arrendersi ai nuovi rapporti di forza globale, in cui il politico è controllato in ogni suo aspetto dal potere tecnologico e finanziario, concentrato nelle mani di pochissimi individui.È così che il decennio del centenario del fascismo al potere ha potuto essere interamente predeterminato alla lotta tecnologica nei confronti della pandemia, la quale passa attraverso la deportazione della vita sulla piattaforma online (Big tech), nonché la rinnovata ed incrollabile fede nella scienza così come interpretata da Big pharma. Il tutto ovviamente sotto la supervisione attenta della finanza, la vera governance autoritaria con cui un’oligarchia sempre più potente di capitalisti predatori si arricchisce senza vergogna ai danni della classe lavoratrice e dei beni comuni. L’araba fenice della normalità, unita alla paura per la nuda vita (spettacolarmente rappresentata dalla mascherina ostentata dai potenti anche quando palesemente inutile) segna nell’a-politica e nell’a-democrazia, il Dna del decennio che ci aspetta. Il nemico contro cui combattere per l’emancipazione mi pare chiaro.(Ugo Mattei, “Covid-19 strumento per la deportazione digitale dell’umanità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 gennaio 2021).Le convulsioni del costituzionalismo liberale che sono andate in scena in questi giorni offrono materiali spettacolari (nel senso debordiano del termine) per una riflessione su eccezione e normalità. Negli Stati Uniti abbiamo assistito alla retorica imbarazzante della cerimonia di insediamento di un duo presidenziale in mano ai poteri forti. Hanno parlato di giustizia sociale, senza vergogna, dallo stesso palco dal quale i gorgheggi di cantanti miliardarie giungevano fisicamente alle orecchie delle migliaia di senza tetto, accampati sotto i palazzi del potere (documentati fotograficamente dallo splendido libro fotografico di Kike Arnal, “In the Shadow of Power”, all’ombra del potere). Biden invocava la “normalità”. In Italia, la stessa retorica al Senato, con un presidente del Consiglio pronto a promettere qualunque cosa pur di mantenere l’incarico, ad una girandola di ricattatori e voltagabbana, riportata come una notizia dai giornali mainstream, mentre la vera partita, quella sul “controllo” dei servizi segreti, restava nell’ombra.
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Il coraggio civile di Pansa e l’omertà mafiosa che lo silenziò
Appena è morto, è cominciata la pansectomia; hanno fatto a pezzi Giampaolo Pansa, salvando il giornalista buono dallo storico cattivo. Ovvero il giornalista di sinistra dallo storico revisionista, che scopre gli orrori compiuti dalla Resistenza nel nome dell’antifascismo. Ma Pansa è stato l’uno e l’altro, e non si può cancellare l’uno per salvare l’altro, e questa la sua originalità e la sua forza. Pansa portò a fondo quel che Giorgio Bocca non ebbe il coraggio di fare. Anche lui, prima di lui, benché partigiano dei monti, ebbe un periodo revisionista nei primi anni Ottanta, scrisse di Mussolini socialfascista, rivide alcuni suoi giudizi d’epoca, dialogò con gente di destra, persino con Giorgio Almirante. Ma presto tornò all’ovile della Repubblica antifascista, anche per farsi perdonare la sua gioventù da fascista sfegatato. Dove finì Bocca, incominciò Pansa. Che il fascismo lo aveva conosciuto solo da bambino, ma scrisse una serie di formidabili opere, una vera e propria saga sul sangue dei vinti. Ed ebbe uno straordinario successo di pubblico che registrò un odio militante alla base e un’ostilità mafiosa nei giornali in cui lui stesso aveva scritto, con un ruolo primario.Il fatto che molte delle sue scoperte le avesse già fatte e scritte Giorgio Pisanò, e la pubblicistica neofascista, non sminuisce il coraggio di farle sue e l’amore aspro per la verità storica che lo contraddistinse. Con Giampaolo mai parlammo di un capitolo mancante al suo libro “La Grande Bugia”, o al suo libro sui “Gendarmi della memoria”, dedicati alle falsificazioni e omertà del conformismo sinistrorso nei suoi confronti. Riguardava la trasformazione del suo testo in racconto televisivo, in una fiction per la Rai. Pansa nel suo libro se la prendeva con Sandro Curzi, consigliere di Rifondazione comunista in Rai, che perlomeno alla luce del sole, senza peli sulla testa e sulla lingua, bocciò lo sceneggiato, invocandone altri politicamente corretti, come novene per estinguere il peccato di averlo solo pensato. Ma la storia è più ampia e merita di essere raccontata come un’appendice, o un’appendicite, del viaggio di Pansa nella viltà carognesca e ideologica del nostro paese. Ne parlo con cognizione di causa, avendo io proposto, quando ero nel Consiglio della Rai, di tradurre il “Sangue dei vinti” in sceneggiato Tv.L’emorragia postuma del “Sangue dei vinti” in versione televisiva avvenne in tre tappe. La prima. Per far passare uno sceneggiato sugli eccidi partigiani a guerra finita, furono portate al vaglio del consiglio della Rai, altre tre fiction che riguardavano i nazisti, anzi i nazifascisti, la persecuzione degli ebrei, le fosse ardeatine. Per ogni fiction considerata “revisionista” i medici della sinistra militante prescrivevano come protezione antibiotica tre ortodosse. E non fa niente se ripetevano cose già fatte, bisogna fare il lavaggio del cervello. Era già accaduto quando riuscimmo a varare la fiction sulle foibe che fu pesantemente controbilanciata e neutralizzata in parole, soggetti e testi. Ma andò ugualmente bene. Ma il terrore di quel successo aveva evidentemente allertato le caserme dei militanti. Il libro di Pansa era già esploso in libreria; se fosse esploso nelle case con la Tv, sarebbe stata una catastrofe. Bisognava correre ai ripari. Il secondo atto fu lo svuotamento e la deviazione dal libro di Pansa.Per cominciare furono proposti come sceneggiatori, consulenti e attori gente con rigoroso pedigree di sinistra e antifascista, magari militante. Come consulente storico del film non fu chiamato, come sarebbe stato normale, l’autore del libro ma uno dei suoi più acerrimi stroncatori e nemici, Claudio Pavone. Che di fronte agli eccidi a guerra finita e a fascismo sepolto come quelli descritti da Pansa, distinse tra violenza “per fini giusti” e “per necessità” e violenza fascista. Arrivando a dire, lui che non nascose mai la sua militanza e la sua partigianeria anche in tempo di pace, che il revisionismo storico è un fatto più politico che storiografico. Ma revisionisti sono stati definiti De Felice e i suoi allievi, i filosofi Del Noce e Nolte, gli storici Fest e Furet e molti rispettabili studiosi, assolutamente apolitici. Insomma il risultato fu una trama irriconoscibile, dove i massacri sparivano, il cattivo era comunque un ex fascista, i buoni erano naturalmente dalla parte opposta, e il male restavano comunque i nazisti. In Consiglio non proposi nessuna epurazione ma chiesi perlomeno una revisione del testo più fedele al libro da cui scaturiva la fiction e un riequilibrio dei consulenti con storici di estrazione defeliciana (come Giuseppe Parlato) e soprattutto con l’autore, Giampaolo Pansa che da me contattato, accolse l’invito. La cosa fu approvata. E poi? Silenzio.Terzo atto, il “Sangue dei vinti” scomparve dal palinsesto. Non se ne fece più nulla, mi pare. Il Consiglio andò via, ne arrivò un altro, l’oblio prevalse, misto a odio, anche se gli altri sceneggiati in programma, compresi quelli riparatori per bilanciare il “Sangue dei vinti”, poi si sono visti, eccome. Non andò più in onda il sangue dei vinti, ma lo sputo sui vinti. Ennesimo. Ecco come fu cancellato il sangue dei vinti, in tre atti gloriosi. Pansa perlomeno ha il privilegio di essere discusso e confutato, perché di sinistra, antifascista e coinquilino sui giornali dei medesimi accusatori. E non fu accusato di vittimismo e mania persecutoria. Agli altri si addice l’oblio e il disprezzo. E poi vi chiedete: ma perché non ci sono autori e storici di altra estrazione? Ma se vi mangiate vivi i vostri stessi amici, colleghi e compagni revisionisti, figuratevi gli altri. Oltre i gendarmi della memoria, c’erano pure gli agenti in borghese dell’oblio. Nella nostra epoca anemica, il sangue dei vinti non scorre più, ma il livore dei cretini scorre, eccome, nei titoli di testa e i veleni di coda.(Marcello Veneziani, “Giampaolo il buono, Pansa il cattivo”, da “La Verità” del 13 gennaio 2020; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Appena è morto, è cominciata la pansectomia; hanno fatto a pezzi Giampaolo Pansa, salvando il giornalista buono dallo storico cattivo. Ovvero il giornalista di sinistra dallo storico revisionista, che scopre gli orrori compiuti dalla Resistenza nel nome dell’antifascismo. Ma Pansa è stato l’uno e l’altro, e non si può cancellare l’uno per salvare l’altro, e questa la sua originalità e la sua forza. Pansa portò a fondo quel che Giorgio Bocca non ebbe il coraggio di fare. Anche lui, prima di lui, benché partigiano dei monti, ebbe un periodo revisionista nei primi anni Ottanta, scrisse di Mussolini socialfascista, rivide alcuni suoi giudizi d’epoca, dialogò con gente di destra, persino con Giorgio Almirante. Ma presto tornò all’ovile della Repubblica antifascista, anche per farsi perdonare la sua gioventù da fascista sfegatato. Dove finì Bocca, incominciò Pansa. Che il fascismo lo aveva conosciuto solo da bambino, ma scrisse una serie di formidabili opere, una vera e propria saga sul sangue dei vinti. Ed ebbe uno straordinario successo di pubblico che registrò un odio militante alla base e un’ostilità mafiosa nei giornali in cui lui stesso aveva scritto, con un ruolo primario.
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L’ennesimo anno disastroso, che stavolta ci aprirà gli occhi
Quali prove ci attendono, come umanità, per il 2020? Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali. Continueranno a sforzarsi di devastare la Natura, l’Arte, la Scienza, la Cultura, l’Economia, la Politica, il Diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane… E nel farlo continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte. Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza. Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan».Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017, nel 2018 e nel 2019. E certamente continuerà in questo modo nel 2020, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. Proprio i due fronti che stanno ora producendo la pericolosa crisi libica a due passi dalle nostre coste. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2020. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd e del 5 Stelle, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita massonico – sia pure ancora dominante – ha comunque delle forti incrinature. Indispensabili per il gioco del “divide et impera” dei grandi poteri oscuri, e quindi foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante. Come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione ed ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. I Trump e i Salvini svolgono proprio questa funzione. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2020.Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, ha cominciato nel 2018 e 2019 a mostrare alcune crepe. Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. E avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe.Una presidenza del Consiglio ed altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera, Grillo, ormai ridotta al silenzio o a incomprensibili deliri di parole vuote. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2020. Nel 2018-2019 queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico cinquestelle, hanno convissuto con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero. E hanno preparato il terreno per l’attuale stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si pone come guida della destra egoica e conservatrice e un M5S in decomposizione – insieme al Pd – come nuova sinistra fintamente progressista.Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici – anche a colpi di magistratura – pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea, entrato negli scorsi anni in una fase di crisi, cerca ora di riprendere la corsa alla centralizzazione anti-umana. L’uscita dei riottosi britannici dall’Ue e di Salvini dal governo favorisce la ripresa di un programma di verticalizzazione molto forte per i prossimi anni. Le spinte sovraniste non sono state sufficienti a determinare equilibri diversi nel nuovo Parlamento Europeo. Anche per l’evidente “tradimento” di alcuni partiti che si dicevano contrari al centralismo europeo, come il cinquestelle, e che ora ne sono diventati una importante stampella.I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie, mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo, mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente. Foriero di possibili crisi, perfino nucleari, con l’emergente potenza persiana.Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente i disastri creati dai loro stessi strumenti per evidenziare una emergenza climatica solo in piccola parte di origine antropica, volta a spingere la gente a sostenere la creazione di nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento di alcune particolari emergenze ambientali). Tutta l’attenzione viene e verrà rivolta ad un non problema, quello della anidride carbonica, sulla base del quale le grandi finanziarie e le multinazionali si apprestano a guadagnare migliaia di miliardi dei nostri soldi, sotto forma di grandi ed estesi cambi di tecnologie; mentre altre tecnologie elettromagnetiche (come il 5G), alimentari, farmaceutiche, industriali e mililtari, volute dagli stessi poteri e ancora più dannose, stanno per circondarci completamente.I soliti gruppi, con i loro strumenti (Onu, Club di Roma, Goldman Sachs) creano campagne planetarie di disinformazione (la povera Greta, etc), ed enormi capitali nostri verranno spesi con la scusa di riparare danni che non sono di origine antropica, invece di usarli per l’adattamento delle strutture e dell’economia umana ad un cambio climatico in gran parte naturale, del quale nessuno parla. L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel 2020, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta. Anche nel 2020 ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori.Faranno tutto questo, come nel 2019 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima volta nella storia umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della Natura, gli animali e gli altri esseri umani quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un terzo dell’umanità – cominci pensare che non siamo venuti qui per predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la Natura e volendo l’uno il bene dell’altro, cominciando finalmente ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Proprio per reazione alle nefandezze compiute contro di noi, anche nel 2020 altri cuori ed altre menti si apriranno alla voglia di bene. Come è avvenuto fino ad ora: i tentativi di bloccare i risvegli si sono spesso risolti per reazione in ulteriori ondate di prese di coscienza.(Estratto da “Come sarà il 2020?”, previsioni pubblicate il 30 dicembre 2019 da “Coscienze in Rete”, network fondato da Fausto Carotenuto, già analista geopolitico dell’intelligence Nato).Quali prove ci attendono, come umanità, per il 2020? Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali. Continueranno a sforzarsi di devastare la Natura, l’Arte, la Scienza, la Cultura, l’Economia, la Politica, il Diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane… E nel farlo continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte. Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza. Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan».
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Dezzani: l’Italia fu sabotata, partendo da piazza Fontana
A distanza di cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana, l’Italia è ancora sovrastata dalla stessa cappa di disinformazione: la “strategia della tensione” che, portata avanti dallo Stato o perlomeno da ampi settori dello Stato, avrebbe dovuto facilitare una “svolta a destra” della politica, fermando l’avanzata del Pci nel mondo bipolare della Guerra Fredda. La strage di Piazza Fontana fu invece l’inizio di una campagna destabilizzante contro l’Italia che, dalla Libia alla Somalia, stava guadagnando molte posizioni internazionali cavalcando il “terzomondismo”. Le bombe cessarono nei primi anni ‘90 perché, distrutti la Prima Repubblica e lo Stato imprenditore, non servivano più. Il 12 dicembre di cinquant’anni fa il salone della centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura fu devastato da un ordigno esplosivo: 17 morti ed un’ottantina di feriti segnavano l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo”. La strage di piazza ha tre livelli di interpretazione: salendo dall’uno all’altro, ci si avvicina sempre di più alla verità. Il primo livello, presto abbandonato già in quegli anni, è quello della strage “anarchica”, compiuta dal ballerino e bakuninista Pietro Valpreda.Il secondo livello è quello della strage “nera” compiuta da Ordine Nuovo, avvalendosi di ampie connivenze negli uffici dello Stato, in primis l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno con allora a capo Federico Umberto D’Amato. Tale livello è quello tuttora dominante: la cosiddetta “strategia della tensione”, per spaventare l’opinione pubblica, preparare il terreno per una svolta a destra (mai arrivata) e arrestare l’avanzata del Pci che, se fosse arrivato al potere, avrebbe messo in forse (ma sarà poi vero?) la collocazione dell’Italia nello schieramento occidentale, portando il paese fuori dalla Nato. Il terzo livello è quello su cui abbiamo più volte scritto, in primis ricordando la triste fine di Aldo Moro che, lungi dall’essere un apatico e rassegnato meridionale, era in realtà una delle mente più fini e audaci della politica estera italiana. Il terzo livello colloca infatti la strage di Piazza Fontana all’interno dello scenario internazionale dell’epoca: come Piazza Fontana, anche tutti gli altri “misteri di Italia” trovano la loro spiegazione razionale negli equilibri del periodo e, in particolare, nella condotta italiana tra Malta, Libia, Somalia e Urss.Questo sarà un lavoro veloce e quindi ricorreremo a tanti ritagli di giornale. Agosto 1969: Aldo Moro entra alla Farnesina, all’interno dell’esecutivo di Mariano Rumor. Agli esteri, Moro rimane per i tre anni successivi. Tre anni decisivi per la politica estera italiana, considerati che gli ultimi “dividendi” della politica di allora sono stati incassati fino al 2011, soltanto otto anni fa, quando Muammur Gheddafi è stato prima rovesciato con un intervento Nato e poi brutalmente assassinato. È infatti proprio in Libia che deve essere collocato l’inizio del “terzo livello” della strage di Piazza Fontana. Primi di settembre 1969: un colpo di Stato “filo-nasseriano” rovescia re Idris, installato sul trono di Libia dagli inglesi dopo la guerra. L’incruento putsch gode del pieno appoggio dell’Italia che, in quella fase, cavalca il nazionalismo arabo ed in particolare il nasserismo per guadagnare posizioni ai danni di inglesi e francesi. Una delle prime mosse dei “giovani ufficiali libici”, tra cui emerge ben presto un trentenne Muammur Gheddafi, è quella infatti di rescindere il trattato di sicurezza firmato con Londra nel 1953, obbligando gli inglesi a lasciare il paese.Gli americani fanno buon viso a cattivo gioco, vuoi perché la nuova Libia si mantiene equidistante tra i due blocchi, vuoi perché “la quarta sponda” è sempre stata marginale nella geopolitica del Mediterraneo, vuoi perché sono anni davvero difficili per la superpotenza americana, alle prese col Vietnam ed un’economia claudicante. L’Italia non lascia, ma raddoppia: a distanza di pochi mesi soltanto, la Somalia, che si stava spostando su posizioni sempre più filo-atlantiche, è teatro di un colpo di Stato: il presidente Abdirashid Shermarke è assassinato e tra le file dei “congiurati” emerge ben presto Mohammed Siad Barre, uscito dalla scuola allievi sottoufficiali carabinieri di Firenze.Come la Libia, anche la Somalia rientra dunque “nella sfera d’influenza italiana”, portandosi anch’essa su posizioni non allineate e ammiccando discretamente all’Urss. In neanche tre mesi l’Italia ha messo a segno due grandi risultati ed un terzo l’avrebbe conseguito negli anni successivi, sostenendo Dom Mintoff a Malta. Che fare? Semplice, si ricorre al terrorismo, per tarpare le ali alla risorgente Italia. E si noti, per uscire dal solito provincialismo che affligge la modestissima “intellighenzia” italiana, che la medesima “strategia della tensione” con fini destabilizzanti è usata anche contro Germania e Giappone che, però, possono vantare una solidità delle istituzioni ed una tenuta sociale sconosciute all’Italia. Si arriva così a Piazza Fontana, che avrebbe dovuto avere anche uno strascico di sangue nella capitale. E, si noti, l’attentato coincide con lo stesso giorno in cui si aprono a Mosca le trattative per il rinnovo dell’accordo commericiale italo-sovietico.Inizia quindi la strategia della tensione volta non a impedire la conquista del potere da parte del Pci, ma a tenere perennemente sotto scacco l’Italia che, forte di una classe dirigente di livello e dell’economia mista ereditata dal fascismo, proseguirà comunque la difesa degli interessi nazionali: nonostante il terrorismo “nero”, le Brigate Rosse, i “palestinesi”, Lotta Continua, etc. etc. Le bombe cesseranno solo nel 1993 quando, complice l’avvento del mondo unipolare, gli angloamericani saranno finalmente liberi di liquidare la Prima Repubblica (archiviando due correnti politiche, quella cattolica e quella socialista, che tanto avevano dato all’Italia) e smantellare lo Stato imprenditore. Se la Francia è stata oggetto di una violenta serie di attentati negli ultimi anni, tutto invece tace nel nostro paese: perché, semplicemente, non servono le stragi per indirizzare la navicella Italia verso la tempesta perfetta.(Federico Dezzani, “Quella sera in piazza Fontana, oltre la strategia della tensione”, dal blog di Dezzani del 12 dicembre 2019).A distanza di cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana, l’Italia è ancora sovrastata dalla stessa cappa di disinformazione: la “strategia della tensione” che, portata avanti dallo Stato o perlomeno da ampi settori dello Stato, avrebbe dovuto facilitare una “svolta a destra” della politica, fermando l’avanzata del Pci nel mondo bipolare della Guerra Fredda. La strage di Piazza Fontana fu invece l’inizio di una campagna destabilizzante contro l’Italia che, dalla Libia alla Somalia, stava guadagnando molte posizioni internazionali cavalcando il “terzomondismo”. Le bombe cessarono nei primi anni ‘90 perché, distrutti la Prima Repubblica e lo Stato imprenditore, non servivano più. Il 12 dicembre di cinquant’anni fa il salone della centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura fu devastato da un ordigno esplosivo: 17 morti ed un’ottantina di feriti segnavano l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo”. La strage di piazza ha tre livelli di interpretazione: salendo dall’uno all’altro, ci si avvicina sempre di più alla verità. Il primo livello, presto abbandonato già in quegli anni, è quello della strage “anarchica”, compiuta dal ballerino e bakuninista Pietro Valpreda.
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Barbero: pessima idea, equiparare il comunismo al nazismo
Pessima idea, equiparare il simbolo del comunismo – falce e martello – alla svastica hitleriana. A lanciare l’allarme è lo storico Alessandro Barbero, ospite dell’edizione 2019 del Festival Logos di Roma, il 24 ottobre. La tesi: il fascismo è riconducibile al faccione di Mussolini in Italia e l’orrore nazista della Germania è indentificabile in un periodo storico altrettanto circoscritto nel tempo e nello spazio. Al contrario, l’ideale comunista (poi tradito dal regime criminale dell’Urss stalinista) aveva infiammato i cuori di milioni di persone. E’ accaduto in ogni parte del pianeta, nell’arco di 150 anni, da Marx in poi, sulla base di un sogno: un mondo più giusto e migliore, per tutti. Barbero prende così le distanze dall’insidioso documento approvato il 19 settembre dal Parlamento Europeo: il testo condanna il comunismo in quanto sistema politico “totalitario”, equiparandolo al nazifascismo. Con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti, la controversa risoluzione sulla “memoria europea” getta nella spazzatura della storia l’intera esperienza comunista internazionale. Pericolo in vista: «Nella dimensione pratica – riassume “Radio Onda d’Urto – la risoluzione impegna a eliminare qualunque simbologia presente in Europa relativa al movimento comunista internazionale, dai monumenti ai nomi delle strade».Il documento propone una ricostruzione storica più che discutibile, che vede nel patto Molotov-Ribbentrop del 1939 (la spartizione della Polonia con cui Stalin cercò di guadagnare tempo, prima di subire l’invasione hitleriana) l’espressione di un progetto egemonico sull’Europa da parte della Germania nazista e dell’Unione Sovietica. In sostanza, accusando la Russia di non avere fatto i conti con il proprio passato, il Parlamento Europeo dimentica di ricordare che fu proprio l’Urss – a Stalingrado – a fermare l’esercito nazista, permettendo all’Europa occidentale di liberarsi dal terrore totalitario con il successivo aiuto militare degli Usa. A favore del testo, che condanna anche genericamente «tutte le organizzazioni politiche accusate di promuovere l’odio e la violenza politica», hanno votato a favore gli europarlamentari di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Pd. Nel sanzionare «gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari», si esprime «inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali», ricordando che «alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti».Attraverso il Parlamento Europeo sta dunque per calare sull’Europa una sorta di “post-verità orwelliana” destinata a mettere al bando, presto o tardi, il simbolo “falce e martello” clamorosamente equiparato alla svastica? A inquietare è il principio: la caccia alle streghe contro la simbologia comunista potrebbe essere l’antipasto di altre successive proibizioni. Vivaci, in Italia, le reazioni contrarie: lo storico dell’arte Tomaso Montanari parla di «squallore», perché è stato dimenticato il ruolo decisivo dell’Urss nella sconfitta del nazismo. Comunismo e nazismo posti sullo stesso piano? «Una falsificazione ignobile, quella della risoluzione votata dal Parlamento Europeo, come è ignobile che a votarla siano stati tanti sedicenti democratici nostrani», insorgono – come riporta “Repubblica” – Francesco Laforgia e Luca Pastorino, rispettivamente senatore e deputato di “Liberi e Uguali”. «Queste distorsioni – aggiungono – sono una pericolosa rilettura che finisce per sdoganare ideologie neo-fasciste». All’attacco anche il deputato Nicola Fratoianni, secondo cui siamo di fronte a «malafede, più che ignoranza».Protesta Massimiliano Smeriglio, eurodeputato Pd, a lungo braccio destro di Zingaretti: «Non si può costringere la storia dentro uno schema parlamentare al solo scopo di tirarla da tutte le parti, per poi finire in uno strano ecumenismo». Un altro eurodeputato Pd, Pierfrancesco Majorino, su Facebook parla di «banalizzazioni pericolose». L’equiparazione tra comunismo e nazismo «fa piangere, innanzitutto sul piano storico». Sulle barricate anche l’Anpi: «In un’unica riprovazione – afferma l’associazione partigiani – si accomunano oppressi e oppressori, vittime e carnefici, invasori e liberatori, per di più ignorando lo spaventoso tributo di sangue pagato dai popoli dell’Unione Sovietica (più di 22 milioni di morti) e persino il simbolico evento della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa». Secondo l’Anpi, «davanti al crescente pericolo di nazifascismi, razzismi e nazionalismi, si sceglie una strada di lacerante divisione invece che di responsabile e rigorosa unità».Chissà cosa ne direbbe Primo Levi, se fosse vivo: le pagine di un memoriale come “La tregua” propongono un vivido ritratto della prorompente, caotica vitalità delle truppe sovietiche, consapevoli – a ogni livello – si essersi sacrificate non solo per difendere il territorio russo, ma anche per liberare l’Europa dalla barbarie. Dovunque poi sia andato al governo – ammette lo stesso Barbero, storico popolarissimo in Italia grazie anche alla sua presenza televisiva – il comunismo ha agito in modo inaccettabile, deludendo i suoi stessi sostenitori. Chi tende a dichiararsi al tempo stesso antifascista e anticomunista (liberali e socialisti) sottolinea: esattamente come il nazifascismo, anche il comunismo ha finito sempre per sopprimere la democrazia e imporre un’oligarchia autoritaria e spesso violenta, se non addirittura totalitaria come nel caso dello stalinismo. Avverte però il professor Barbero: attenti, a maneggiare la storia in modo frettoloso. Falce e martello, per centinaia di milioni di esseri umani – in tutto il mondo, e per un secolo e mezzo – hanno rappresentato ideali di fraternità e dignità, pace e giustizia sociale. Per Hitler, al copntrario, l’obiettivo supremo era lo sterminio razzista degli ebrei. Sicuri che sia saggio, gettare tutto questo nello stessa fogna dove la storia ha provveduto a relegare l’aberrante nazismo tedesco?Pessima idea, equiparare il simbolo del comunismo – falce e martello – alla svastica hitleriana. A lanciare l’allarme è lo storico Alessandro Barbero, ospite dell’edizione 2019 del Festival Logos di Roma, il 24 ottobre. La tesi: il fascismo è riconducibile al faccione di Mussolini in Italia e l’orrore nazista della Germania è identificabile in un periodo storico altrettanto circoscritto nel tempo e nello spazio. Al contrario, l’ideale comunista (poi tradito dal regime criminale dell’Urss stalinista) aveva infiammato i cuori di milioni di persone. E’ accaduto in ogni parte del pianeta, nell’arco di 150 anni, da Marx in poi, sulla base di un sogno: un mondo più giusto e migliore, per tutti. Barbero prende così le distanze dall’insidioso documento approvato il 19 settembre dal Parlamento Europeo: il testo condanna il comunismo in quanto sistema politico “totalitario”, equiparandolo al nazifascismo. Con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti, la controversa risoluzione sulla “memoria europea” getta nella spazzatura della storia l’intera esperienza comunista internazionale. Pericolo in vista: «Nella dimensione pratica – riassume “Radio Onda d’Urto” – la risoluzione impegna a eliminare qualunque simbologia presente in Europa relativa al movimento comunista internazionale, dai monumenti ai nomi delle strade».
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Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
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Moscopoli: ‘Report’ evita l’unica domanda che conti davvero
L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.Per “Report”, comunque, va bene così: basta che i telespettatori disprezzino la Lega, senza neppure sapere chi avrebbe cercato di “incastrarla”. Seriamente: anche in seguito a quel polverone il governo italiano è caduto, ma a “Report” non interessa provare a spiegare chi ha spinto i gialloverdi alle dimissioni, e perché. Lo stile della trasmissione, ora condotta da Sigfrido Ranucci, eredita il marchio fuorviante impresso da Milena Gabanelli: fragorosi depistaggi. Mai una vera indagine sul potere (dopo la dipartita di Paolo Barnard) e inchieste aggressive solo nei toni, in apparenza “contro”, ma in realtà perfettamente allineate ai voleri dell’establishment: vedi l’improvvisa liquidazione del populista Antonio Di Pietro, di colpo presentato come gestore inaffidabile dei finanziamenti pubblici del suo partito, nel momento in cui “serviva” travasare l’elettorato dell’Italia dei Valori nell’esordiente Movimento 5 Stelle (altro fumo negli occhi destinato agli elettori “arrabbiati”). L’infaticabile Mottola ha messo insieme una notevole mole di dati, tutti però di secondo piano. Ha acceso i riflettori su un mondo sommerso – il greve retrobottega anche affaristico del fondamentalismo cristiano russo e americano, insospettabilmente interconnesso – ma senza mai collocare le notizie all’interno di un’analisi capace di fornire deduzioni decisive per leggere l’attualità, depurandola dal foklore.Salvini? Avvicinato (quasi molestato) solo e sempre a margine di comizi, tra nugoli di fan in coda per i selfie di rito: in quei momenti, in mezzo alla folla, all’odiato “capitano” è stato chiesto di parlare dei suoi eventuali legami con remoti oligarchi russi. L’unico scopo evidente degli spettacolari “agguati”, in stile “Le Iene”, era trasmettere il seguente messaggio: lo spregevole Salvini evita di rispondere perché sa di essere colpevole e teme la verità. E quale sarebbe, per “Report”, la verità? Con l’aria di inoltrarsi tra le SS di Himmler nel tenebroso maniero di Wewelsburg, le telecamere incalzano i seguaci di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti, in Ciociaria, che secondo i piani doveva diventare il Vaticano del “sovranismo” europeo. Da Frosinone a Mosca, stessa musica: si delizia, “Report”, nel cogliere l’apprezzamento di Salvini nelle parole del filosofo neo-conservatore Alexandr Dugin, ideologo presentato come ispiratore di Putin (e in Italia, esaltato da Diego Fusaro). Dio, patria e famiglia? Ricetta specularmente opposta e complementare, rispetto alla teologia globale neoliberista che dice di voler contrastare.Rifugiandosi nel mitico buon tempo antico, magari quello dello zarismo che spediva in Siberia qualsiasi dissidente, l’attuale sovranismo sembra il binario morto costruito apposta per non democratizzarla mai, la globalizzazione in atto. Mondialismo neoliberale e neo-sovranismo: due facce della stessa medaglia, interpretate da soggetti che in realtà giocano nella stessa squadra e con lo stesso obiettivo, addormentare le coscienze politiche o al massimo deviarle verso falsi bersagli, comodamente sbaraccabili al momento giusto (Di Pietro docet) quando non serviranno più a infervorare gli elettori più sprovveduti. Ma questi probabilmente sono spunti impensabili, per “Report”, che sembra trattare gli spettatori come bambini dell’asilo. Nella fiaba di giornata, il cattivo è Putin. Gli oligarchi euro-atlantici, invece, sono mammolette? Nel fanta-mondo di “Report”, se lo Zar del Cremlino è il Dio del misterioso Savoini (anima nera del bieco Salvini), il capo della Lega è una sorta di enigma: chi è davvero l’Uomo Nero di Pontida? E’ il classico utile idiota, accecato dall’ambizione e quindi comodamente sfruttato dalla micidiale Spectre sovranista, oppure è una specie di genio del male pronto a distruggere la meravigliosa armonia democratica dell’Unione Europea, modello mondiale di felicità?Avvilente il bilancio giornalistico del servizio televisivo: un’ora di speculazione elettorale contro il salvinismo, senza mai neppure domandarsi – nemmeno per sbaglio – chi ha intercettato Savoini a Mosca, e perché, mentre parlava coi petrolieri russi ipotizzando transazioni milionarie (mai avvenute). La prova del nove la fornisce l’impareggiabile Fabio Fazio, lo zerbino di Macron pagato dagli italiani con il canone Rai: com’è possibile, si domanda, che il dossier di “Report” rimanga senza conseguenze? Ma se Fazio fa solo avanspettacolo, sia pure politicamente scorretto perché tendenzioso, in teoria “Report” dovrebbe sentire il dovere di informarli, i cittadini, e quindi farsi l’unica domanda utile per inseguire la notizia: chi ha intercettato Savoini? Sono stati i servizi di Trump, per sbarazzarsi del deludente carrozzone gialloverde? Quelli di Conte, per liberarsi di Salvini? Quelli di Putin, che potrebbe aver “venduto” l’amico Salvini in cambio di qualcos’altro, sullo scacchiere geopolitico? C’è stata una concertazione internazionale incrociata per ottenere il cambio di governo a Roma? La notizia starebbe proprio qui: e invece “Report” galoppa dalla parte opposta, portando a spasso i telespettatori lontanissimo dall’accaduto. Qualcuno ha passato gli audio del Metropol al sito americano “BuzzFeed”. Già, ma chi? E quindi: perché? Inoltre: chi è “BuzzFeed”? Con chi parla? Con chi lavora? Qualcuno lo finanzia?Tra i nuovi fenomeni web, nel confine ambiguo tra giornalismo e intelligence, si è imposto recentemente il “Site” di Rita Katz, un tempo considerata vicina al Mossad israeliano, sempre prontissima a divulgare – in esclusiva – le imprese dell’Isis. Nella famosa serata moscovita in quello che è conosciuto anche come “l’albergo delle spie”, c’era un russo la cui identità non è ancora nota. Al Metropol, si dice, anche i muri hanno orecchie. Chi ha deciso, il 18 ottobre 2018, che la corsa italiana della Lega andava fermata con un possibile ricatto? Se gli italiani si aspettano risposte da “Report”, buonanotte. La polpetta avvelenata proviene ovviamente da qualche 007. Lo scopo: indurre i giornali a colpire, nella direzione indicata. Compito che “Report” esegue pedestremente, obbedendo e facendosi usare senza porsi domande. Non stupisce, peraltro: Barnard, co-fondatore della trasmissione, mise in difficoltà la redazione (allora scomoda, per la Rai) con inchieste taglienti. Memorabili le amnesie di Fassino sulle malefatte della globalizzazione, o la sconcertante confessione di Prodi quand’era a capo della Commissione Ue. Testualmente: come faccio a sapere quali e quante direttive emaniano? Fulminato, Barnard, per un’inchiesta sugli abusi di Big Pharma censurata dalla Gabanelli: se la trasmettiamo, gli disse, ci chiudono. Benissimo, rispose Barnard: lo facciano, daremo battaglia. A finire fuori, invece, fu lui. “Report” ovviamente è rimasto, ma abdicando al suo ruolo originario: l’antica grinta ribelle oggi serve solo a raccontare favole innocue per il potere, e magari – come in questo caso – confezionate direttamente da misteriosi servizi segreti.(Giorgio Cattaneo, “Moscopoli, la fabbrica della paura creata dagli 007: da Report nessuna risposta sul caso montato da chi voleva far cadere il governo italiano”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 ottobre 2019).L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.
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Magaldi: ma il crocifisso a scuola è solo ciarpame fascista
Macché “radici cristiane”: chi vuole il crocifisso nelle scuole «non difende il cristianesimo, ma solo i patti di potere stipulati negli anni Venti da Mussolini per stabilire un’egemonia culturale clerico-fascista sulle nuove generazioni, agendo sulla scuola e sull’educazione». Il massone progressista Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si schiera col neo-ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, che ha messo in dubbio l’opportunità di esporre i crocifissi nelle aule scolastiche. «In Francia, in Belgio e in Germania (con l’eccezione della Baviera) non c’è nessun crocifisso nelle scuole e nei tribunali», ricorda. «E’ una conferma della vera natura della cività occidentale, cui si deve la conquista storica della libertà di religione». Questa, da secoli, è la nostra vera identità: «Ciascuno è libero di professare anche collettivamente la propria fede, senza però che quest’ambito (privato) condizioni la sfera pubblica, che deve restare laica». In realtà, ricorda Magaldi, così era anche in Italia prima del fascismo: «Quella del crocifisso nei luoghi pubblici non è una tradizione secolare, ma un’innovazione introdotta da una legge fascista del 1924».Normativa anomala, quella dei Patti Lateranensi, poi entrata «vergognosamente» anche nella Costituzione del 1948, «grazie all’ipocrisia del leader comunista Togliatti», preoccupato di non allarmare il potere vaticano di allora. Il trascinarsi delle polemiche sull’uso e abuso del simbolo cristiano offre il destro a Magaldi, cattolico convinto, di mettere a fuoco il tema, fuor dagli equivoci, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «Gli analfabeti di ritorno della nostra attuale classe politica, quelli che ogni giorno alimentano l’allarmismo gratuito sul presunto neofascismo di oggi, magari non sanno che, se difendono il crocifisso nelle scuole, non fanno che confermare una scelta imposta da Mussolini». Lo Stato laico e liberale pre-fascista, infatti, non prevedeva l’esposizione in aula del simbolo cristiano. Sicchè, «chi proclama di voler difendere la nostra identità culturale, in realtà dimostra di non conoscere né la nostra storia né la nostra tradizione».Tra gli ipocriti, Magaldi include anche il premier Giuseppe Conte: «Si dice pronto, da cattolico, a garantire “libertà di coscienza” ai medici messi di fronte al drammatico problema dell’eutanasia, eppure è lo stesso Conte che solo ieri rinfacciava a Salvini l’esibizione del crocifisso nei comizi e l’evocazione della “Vergine Maria”». I crocifissi nelle scuole e negli altri edifici pubblici «non appartengono alla tradizione cattolica», ribadisce Magaldi: «Sono stati imposti con leggi del 1924-28 come parte di quel connubio clerico-fascista che rappresenta uno dei momenti più bassi dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia». Massone progressista, Magaldi confessa di aver aderito al cattolicesimo in mondo consapevole, in età adulta. Un’adesione matura e pienamente libera: eppure, ricorda, «la libertà di religione è stata conculcata, per secoli, dalle stesse religioni», che perseguitavano i seguaci di altre fedi. «Non ce l’ha portata lo Spirito Santo, la libertà di culto: l’hanno garantita, semmai, le avanguardie laiche e massoniche che hanno costruito il mondo contemporaneo, che tutela culture diverse».Ecco perché oggi, per la festa di San Petronio, «ha fatto benissimo la curia di Bologna a predisporre, nel menù della popolare sagra gastronomica, anche agnolotti con ripieno a base di pollo, per chi avesse problemi con la carne di maiale». Anche di polemiche sugli agnolotti, infatti, si nutre il gossip politico del 2019. Non che sia scomparsa la mortadella, dai tortellini di San Petronio: la notizia (falsa) è stata veicolata da estremisti. Per Magaldi, «si è trattato di un fraintendimento velenoso e stupido, visto che il ripieno di maiale resterà largamente maggioritario, a Bologna». Gli agnolotti al pollo, semmai, potranno avvicinare alla festa cattolica anche altre culture. Magaldi punta il dito contro «l’ateismo devoto e il tradizionalismo integralista reazionario» di chi contesta l’arcivescovo bolognese Matteo Maria Zuppi, presto cardinale, «esemplare interprete del rinnovamento e delle aperture inclusive intraprese dalla Chiesa di Papa Francesco», nel solco tracciato da prelati come monsignor Vicenzo Paglia, in uno sguardo ecumenico anticipato dalla Comunità di Sant’Egidio e dal dialogo interreligioso intrapreso ad Assisi da un Papa come Wojtyla.«Sulla laicità dello Stato comunque non si scherza», sottolinea Magaldi, ricordando l’islamico Abe Smith che nel 2003 intentò una causa contro lo Stato per rimuovere i crocifissi dai luoghi pubblici. «Non lo faceva in modo laico, ma con una motivazione di parte, islamico-integralista: era offeso dalla presenza dei segni di una religione diversa dalla sua». In seno alla stessa Cei, oggi c’è chi cita il recente monito di un imam: «Non dovete togliere i crocifissi dalle scuole – avrebbe detto il religioso musulmano – perché questo significherebbe abdicare alla vostra tradizione». Appunto, replica Magaldi: «In quel mondo islamico, che non ha ancora conosciuto la laicità, la distinzione tra legge civile laica e legge religiosa (dove infatti la “sharìa” è una commistione teocratica) non ci si capacita di come si possa essere contemporaneamente cristiani e laici». La nostra identità sarebbe messa in pericolo da culture altre? «La nostra tradizione non sta nel fatto di essere cristiani o ebrei: la tradizione occidentale – insiste Magaldi – è quella che stabilisce la laicità dello Stato e la possibilità per tutte le religioni di esprimersi e di essere coltivare dai fedeli, distinguendo però sempre tra la sfera religiosa (che è privata) e la sfera civile e laica (che è pubblica)».E’ la democrazia, la sovranità del popolo, a caratterizzare la civiltà occidentale, ribadisce Magaldi. Cattolico, ma non ipocrita: «Il cristianesimo – riconosce – è stato anche compagno di strada del fascismo e di situazioni pre-moderne con visioni teocratiche della società che nulla hanno da invidiare alle attuali teocrazie islamiche». Dopo l’Illuminismo e le rivoluzioni liberali del Settecento, si è affermato un cristianesimo più aperto, «declinato anche da massoni», che stabilisce «l’importanza e la salvaguardia della religione e della libertà di coscienza, distinguendo l’ambito religioso da quello civile». Chi oggi fa le barricate per i crocifissi nelle aule «è gente che non conosce la storia: parla di tradizioni ma non conosce le proprie». In particolare, «non conosce il retaggio da cui veniamo, e non sa nemmeno perché oggi si può parlare di libertà». Vittorio Sgarbi difende il simbolo del Cristo, come “Dio che si fa uomo” e indica agli uomini la via per il loro riscatto? «Giusto, ma senza scordare che, storicamente, il cristianesimo ha usato il simbolo del Cristo anche per fare i roghi, le persecuzioni, le inquisizioni e le peggiori nefandezze», sottolinea Magaldi: «Negli anni Venti, i fascisti e i clericali dell’Oltretevere non hanno messo il croficisso nelle scuole per significare quello che dice Sgarbi, ma per stabilire un’egemonia politica sui giovani».Macché “radici cristiane”: chi vuole il crocifisso nelle scuole «non difende il cristianesimo, ma solo i patti di potere stipulati negli anni Venti da Mussolini per stabilire un’egemonia culturale clerico-fascista sulle nuove generazioni, agendo sulla scuola e sull’educazione». Il massone progressista Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si schiera col neo-ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, che ha messo in dubbio l’opportunità di esporre i crocifissi nelle aule scolastiche. «In Francia, in Belgio e in Germania (con l’eccezione della Baviera) non c’è nessun crocifisso nelle scuole e nei tribunali», ricorda. «E’ una conferma della vera natura della civiltà occidentale, cui si deve la conquista storica della libertà di religione». Questa, da secoli, è la nostra vera identità: «Ciascuno è libero di professare anche collettivamente la propria fede, senza però che quest’ambito (privato) condizioni la sfera pubblica, che deve restare laica». In realtà, ricorda Magaldi, così era anche in Italia prima del fascismo: «Quella del crocifisso nei luoghi pubblici non è una tradizione secolare, ma un’innovazione introdotta da una legge fascista del 1924».
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Carpeoro: Fusaro (oscurato da Fb) mi ricorda Franco Freda
«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.Decisamemte ardito, il parallelismo tra Fusaro – brillante intellettuale-contro, spesso coccolato dai media mainstraim – e il neofascista Freda, condannato per gli attentati dinamitardi del 1969 e indagato per la strage di piazza Fontana insieme al terrorista Giovanni Ventura e al giornalista Guido Giannettini, agente dei servizi segreti e militante dell’estrema destra negli anni di piombo. Cosa accomunerebbe l’editore Freda, fondatore di Ordine Nuovo, all’antagonista salottiero Fusaro? Forse, par di capire – ascoltando la diretta web-streaming del 22 settembre su YouTube – l’avvocato milanese, nonché saggista e massone progressista, allude al pericolo cui Fusaro potrebbe esporsi: un certo estremismo ideologico, in Italia, è stato puntualmente manipolato dai poteri che orchestrano la sovragestione del consenso, in altri tempi anche alimentando le nebulose ideologiche da cui, nel peggiore dei casi, scaturì anche il terrorismo, spesso controllatro dai servizi deviati. In video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro sembra domandarsi a chi possa essere utile, davvero, il “socialismo nazionale sovranista” agitato da Fusaro, messo in campo formalmente – con Vox Italia – dopo l’uscita di Salvini dal governo.Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, Fusaro è solo uno specchietto per allodole: comodo perché innocuo, come il suo intellettualismo presentato dai media come stravagante e quasi divertente, perfetto per mettere in burletta il tema, serissimo, della perdita di sovranità democratica imposta dall’euro-sistema. Carpeoro invece non esita a scomodare il fantasma di Freda, autore della collana editoriale Ar, che Wikipedia definisce “di ispirazione neofascista, tradizionalista e neonazista”. Strano, poi, che Facebook abbia chiuso le pagine di Vox Italia, poco dopo aver cancellato quelle di CasaPound: un movimento, quello neofascista Simone Di Stefano, che secondo il socialista Carpeoro, «pur essendo politicamente impalpabile, quanto a consistenza numerica, è stato regolarmente strumentalizzato, a prescindere dalle iniziative sociali anche valide che porta avanti». Probabilmente, aggiunge l’avvocato, il quadro si fa meno misterioso se si collega il network di Zuckerberg agli ambienti dell’intelligence. «Quella del giovane fenomeno che si è fatto da sé grazie a un’idea geniale è solo una leggenda», ricorda Carpeoro: «Facebook è una creazione della Cia, spiazzata di fronte all’opinione pubblica americana traumatizzata dall’11 Settembre».Di fronte alla necessità di schedare milioni di americani, il servizio di sicurezza partorì l’escamotage: fare in modo che fossero i cittadini stessi ad auto-schedarsi, con tanto di foto e “amici”. E’ un fatto: Zuckerberg, il manovale dell’operazione, ricevette 30 milioni di dollari da una consociata della holding Cia. «Ci sono passato anch’io, in questa commistione tra Facebook e i servizi segreti», racconta Carpeoro, che nel 2010 si vide chiudere la sua pagina col pretesto di una vignetta sul Papa. Chiese di riavere almeno i contenuti pubblicati, ma glielo negarono: scoprì a sue spese, allora, che il social network è l’unico proprietario dei testi, delle foro e dei video presenti nelle pagine personali. «Denunciai la cosa alla Procura di Milano, ma – scaduti i sei mesi di rito – scoprii che della mia denuncia non c’era giù traccia: era stata fatta sparire». L’avvocato racconta di aver ricevuto ben tre visite, da parte dei servizi italiani: «Mi fecero capire che processare Facebook “non era cosa”». Lui passò al contrattacco: «Come farete – disse – a far sparire 365 denunce, se sporgessi una querela al giorno in tutte le sedi giudiziarie italiane?». Alla fine, ricorda, gli proposero un accordo: avrebbe avuto una nuova pagina, nella quale gli sarebbero stati restituiti tutti i contenuti sottratti. «Accettai, anche se non è giusto».«C’è qualcosa di non democratico, in tutto questo, di non perfettamente legale», ribadisce Carpeoro. In altre parole, «lo Stato protegge precise aree di illegalità, perché fanno comodo al potere». La riprova? «Per aprire il suo locale, il pizzaiolo sotto casa deve firmare scartoffie per sei mesi e poi riceverà la visita della Guardia di Finanza. E invece Amazon, Google e affini aprono mega-servizi dalla sera alla mattina, facendo milioni a palate, e poi non pagano neppure le tasse in Italia». Come se ne esce? «Pretendendo il rispetto della piena legalità». Esempio: «Va bene sgomberare la palazzina illegalmente occupata da CasaPound a Roma, ma perché tollerare che i centri sociali di Milano continuino a occupare analogamente i loro spazi, cioè senza pagare affitto e bollette?». Di fronte al bavaglio imposto da Fecebook, in ogni caso, Carpeoro difende sia CasaPound che Vox Italia: «E’ vero che Facebook è un’azienda privata, ma lo spazio che usa – il web – è pubblico. Ed è ora che questo spazio venga legalmente regolamentato, mettendo fine a questa vergogna».«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.
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Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà
Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.«Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente: «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.«Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.«C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
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“Sciogliere CasaPound? Non per fascismo, ma per mafia”
L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».Nel 1973, continua Giannuli, Ordine Nuovo fu disciolto dopo una sentenza di primo grado che lo indicava come “partito fascista”. «La cosa suscitò molte perplessità in Aldo Moro, che era certamente antifascista ma era un giurista». L’allora ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, come lui stesso ammise, «era cosciente di star facendo una forzatura ma decise ugualmente di farla, come misura politica». Un anno dopo toccò ad Avanguardia Nazionale, il gruppo di Stefano Delle Chiaie, «ma si era in un momento particolare, segnato da frequenti stragi e tentativi di colpo di Stato, ed è piuttosto improbabile – osserva Giannuli – che oggi un ministro dell’interno (anche a prescindere dalle sue idee politiche) possa decidere uno scioglimento dopo una sentenza solo di primo grado». Ammette lo storico: «La natura del reato è piuttosto sfuggente e offre molti appigli alla difesa». Anche se la XII disposizione dice che è vietata la ricostruzione del partito fascista “sotto ogni forma”, «sarebbe necessario ascoltare molte decine di testimoni (fra poliziotti, carabinieri, vittime di aggressioni, esperti)». Giannuli crede alla natura “fascista” di CasaPound sia dubitabile, ma sa che sul caso «si aprirebbe una discussione molto complessa e sicuramente non breve: un percorso di non meno 5 anni».Un consiglio ai firmatari dell’appello contro CasaPound? «Prendete carta bollata e penna ed andate alla Procura della Repubblica di Roma a depositare una denuncia per ricostituzione del partito fascista. Possibilmente firmate tutti la denuncia (presidente dell’Anpi, direttore di “Repubblica”, segretario generale della Cgil, segretario reggente di “Sinistra Italiana”) e curate prima un libro bianco con l’elenco degli episodi, i documenti, le foto, insomma le prove a supporto». Quello che per ora non viene aperto, continua Giannuli, è un procedimento penale a Roma contro l’occupazione irregolare dello stabile che ospita la sede nazionale del movimento guidato da Simone Di Stefano, candidato nel 2018 con un programma politico iper-sociale, apertissimo alle istanze di cui un tempo si sarebbe fatta portavoce la sinistra. Ma Giannuli resta ferocemente critico rispetto a CasaPound, e vorrebbe veder sopprimere il movimento. «Una denuncia a livello centrale, chiedendo di centralizzare tutte le inchieste periferiche – insiste – costringerebbe la magistratura a far qualcosa, magari decidere un’archiviazione di cui assumersi la responsabilità (ma non credo che ci sia un solo magistrato disposto a sfidare l’opinione pubblica in questo modo)».Peraltro, lo stesso Giannuli non ritiene che la strada della presunta “ricostituzione del partito fascista” sia quella più rapida e produttiva. «E non credo che la configurazione di CasaPound come gruppo fascista sia il profilo più esaustivo», ammette. Giannuli però non demorde: spera che contro CasaPound si possa impugnare l’articolo 416 bis, cioè – addirittura – l’associazione a delinquere di stampo mafioso. «In primo luogo – scrive – abbiamo un’impressionante serie di reati certissimi e reiterati: incitamento all’odio razziale, ripetute violenze private, intimidazioni. Ed è evidente – aggiunge – il vincolo associativo che collega i molti casi: sembra palese che non si tratti di azioni scollegate, e che è a CasaPound che esse fanno capo». Associazione a delinquere? Il problema, prosegue Giannuli, è come classificare l’associazione, se semplice o di stampo mafioso. «E qui ci sono diversi elementi da prendere in considerazione: i non infrequenti rapporti con alcuni clan romani, ma soprattutto l’uso del metodo intimidatorio». Sempre Giannuli ricorda che è esattamente sulla considerazione della valenza intimidatoria dei metodi d’azione delle organizzazioni degli imputati (anche in assenza di fatti di sangue) che la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto di poter applicare il 416 bis.L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».
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Niente preservativo: e la Chiesa fabbrica migranti e orrori
Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».Secondo Barnard, nel 2019, «il vero anti-razzista e umanitarista deve guardare in faccia l’africano e l’africana e dirgli di smetterla di figliare come pazzi». Il giornalista punta il dito contro «la perversione mentale chiamata fede cristiana che noi abbiamo esportato e che continuiamo a esportare là, e che fisicamente impedisce ai metodi contraccettivi e all’educazione ai diritti riproduttivi di raggiungere le donne del continente, anche quando sono laiche e consapevoli». In Africa una donna negli anni di fertilità partorisce dai 5 ai 7 figli, in media. L’Onu prevede che, fra 30 anni, più di un miliardo di umani si aggiungerà alla già stipata Africa. «Nonostante i cosiddetti aiuti umanitari – con missionari laici o religiosi, con l’industria delle donazioni e della “caritas cristiana” – il numero totale di poveri estremi nell’Africa Sub-Sahariana è oggi più alto che nel 1981. E di nuovo: l’abnorme tasso di natalità gioca, in questo, un ruolo infernale». Le cause storiche della povertà africana le conosciamo, e sono «il nostro furto delle loro risorse ma anche la loro corruzione». Ma figliare a questo ritmo scriteriato, aggiunge Barnard, «creerebbe disperazione economica anche nella Svizzera delle banche, disintegrerebbe il potere di spesa sociale della Fed degli Stati Uniti».Insiste Barnard: il flusso dei profughi economici che vediamo oggi è solo la minuscola frazione dei fuggitivi africani che riescono ad arrivare in Libia. Ma il 99% dei futuri migranti stanno appena più a Sud, «e sono quelli che arriveranno quando la vera crisi dei migranti esploderà: sono gli africani dell’immenso bacino cattolico». Che fare? Tanto per cominciare, bisognerebbe «distribuire su scala intensiva preservativi agli africani», attraverso «programmi di educazione ai diritti riproduttivi (come evitare gravidanze non volute), in un accordo non solo con i politici, ma con le due maggiori religioni africane, cattolicesimo e Islam». Significherebbe «aiutare a prevenire almeno una notevole fetta di sofferenze umane che negli ultimi 40 anni hanno di molto superato in numeri quelle dell’Olocausto nazista». E di conseguenza, «prevenire la crisi dei migranti». Al contrario, ostacolare la contraccezione in un’Africa già irresponsabilmente riproduttiva «significa pianificare a tavolino uno sterminio, con tragedie incalcolabili, con la destabilizzazione peggiore mai vissuta dall’Europa moderna». Un fenomeno che, fra l’altro, «alimenta la proliferazione dei nuovi fascismi europei».In un’intervista del 1952, ricorda Barnard, il filosofo della scienza Bertrand Russell «non solo predisse il globale dramma delle migrazioni per povertà, ma dettò la ricetta per fermarle, auspicando allo stesso tempo equità economica nell’intero pianeta». Barnard considera Russell «la mente forse più lucida, autorevole e umanitarista del XX secolo». Nodo irrisolto, da allora: il problema demografico e la proibizione cristiana della contraccezione. «Sarà impossibile ridurre la diseguaglianza globale – disse Russell – se non raggiungeremo popolazioni numericamente stabili». Altro pericolo: i poveri oggi possono vedere come vivono i ricchi, cioè noi. «La consapevolezza, da parte di immense masse di poveri, della disparità di ricchezza fra loro e noi, ci porterà pericoli alla pace e calamità», aggiunse Russell. «E’ assolutamente giusto che Africa e Asia ottengano eguaglianza nella ricchezza con l’Occidente. Ma se si vuole evitare che l’Africa e l’Asia travolgano il mondo con immense popolazioni in estrema povertà – concluse il filosofo – esse dovranno però imparare a mantenere popolazioni numericamente stabili. E se non impareranno a controllare questo, allora inevitabilmente perderanno la loro rivendicazione di eguaglianza economica».Cosa si deve aggiungere – dice Barnard – a parole del genere? Furono pronunciate «cinquant’anni prima che chiunque, qui da noi, sentisse parlare di barconi, crisi migranti, neo-razzismo e di Salvini». Profezia lampante: «Il controllo delle nascite, quindi la contraccezione, sono vitali per l’economia e la giustizia globali». La soluzione è proprio la contraccezione, «non la demente astinenza predicata dalla Chiesa». E chi si oppone a questa politica salva-pianeta che mitigherebbe guerre, migrazioni e drammi incalcolabili? «Due fanatici della croce vaticana, Bergoglio e Salvini», scrive Barnard. Per il Vaticano «la contraccezione, in ogni sua forma, è dannazione divina, è perdizione: equivale al peggior sudiciume morale, addirittura all’infanticidio». Non importa se poi la mancata contraccezione miete milioni di vittime: «Conta la croce vaticana, che purtroppo proprio nell’Africa più disperata ha una presa pandemica sui suoi abitanti». Per Barnard, il pontefice romano e il capo leghista «sono disgustosi entrambi», per ipocrisia: il primo contribuisce direttamente alla strage, l’altro campa politicamente sull’esodo. Bergoglio? «Nell’encefalo di milioni di fessi passa come un “francescano” riformatore», come il volto nuovo (decente) della «vomitevole Chiesa storica», cioè «quella dell’opzione per i ricchi e morte ai poveri».Ma per fortuna esiste Wikileaks, continua Barnard: il network di Julian Assange rivela che Papa Francesco intervenne «in un mefitico guazzabuglio di potere» con il cattolico Ordine di Malta, il quale «per un errore di un tal Gran Cancelliere» dell’ordine religioso vaticano, di nome Albrecht Freiherr von Boeselager, «aveva osato finanziare l’uso di contraccettivi per non sovrappopolare l’Africa, e quindi per evitare non solo le infezioni da Aids ma anche per diminuire le crisi dei migranti che finiscono sui barconi». Dai documenti pubblicati da Wikileaks, il Papa si sarebbe «prodigato nel suo decennale doppiogiochismo». Barnard ricorda che Bergoglio «fu pro/anti torturatori argentini, fu pro/anti teologi della liberazione, fu pro/anti-preti pedofili, fu pro/anti Fondo Monetario Internazionale alla gola dei poveri latinoamericani, infatti aiutava una manciata di poveracci ma ostacolava la “socialista” Kirchner». Secondo Wikileaks, se da un lato ha messo sotto scacco la parte più conservatrice del vaticanissimo Ordine di Malta («dopotutto deve figurare come Francesco il progressista, no?»), dall’altro avrebbe imposto «con feroce autoritarismo» la proibizione dei contraccettivi e dei diritti riproduttivi su tutta l’Africa, «con morti per Aids, sovrappopolazione e povertà disperata come conseguenze».Ipocrisia su ipocrisia: non sono certo «i miliardi vaticani investiti in hedge funds o immobili miliardari a pagare per l’accoglienza». Per Barnard, siamo di fronte a «oggettivi crimini contro l’umanità, dettati da una fede religiosa da sempre genocida». Crimini che però «farebbero poca strada, se poi non esistessero vaste masse di complici». Fra queste, «il “popolo del capro espiatorio” in drammatica espansione in Ue, cioè le destre populiste, quelli che “tutto è colpa del migrante, anche il deficit strutturale”». Peggio di loro si comportano le “anime belle”: «Sono l’altro popolo, cioè il “popolo della caritas”, quello che in nome della propria auto-santificazione alimenta l’orrore, abbracciando la croce del genocidio anti-contraccettivo». In patria, i buonisti «lavorano per l’inutile e controproducente industria della “caritas” verso i dannati della Terra», ma spesso «vanno anche a far danni diretti nelle ormai secolari scorribande missionarie vaticane».Si indigna, Barnard: «Se questo “popolo della caritas” dedicasse quella montagna di energie a pretendere dalla politica occidentale soluzioni sistemiche alla povertà e alla sovrappopolazione del mondo, senza neppure spostarsi da casa, se questo avessero fatto da anni invece di sentirsi “buoni” e dare l’obolo o fare il viaggetto santo, noi nel 2019 non avremmo mai sentito parlare di un trionfante Salvini, di barconi, di cadaveri sul fondo del Mediterraneo, di neofascismi in tutto l’Occidente e, soprattutto, la tragedia del Terzo Mondo sarebbe ora solo un brutto ricordo». E invece ecco ogni giorno in televisione «il Santo Signore di tutti gli Ipocriti, con al seguito il vostro beniamino padano che sbraita contro l’invasione dei disperati ma bacia la croce che l’alimenta a tutta forza». Però «mica se la prende con le gabbane, il Matteo: no, solo coi disperati». Ribadisce Barnard: «Priorità per la tragedia migranti: contraccettivi e educazione ai diritti riproduttivi. Ora. Perché mentre ne respingete uno, là se ne creano 10.000».Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».