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Tredici aquile morte, per il giudice Scalia morto il giorno 13
Tredici aquile americane stranamente trovate morte poco dopo la scomparsa del mitico giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, baluardo dei conservatori ma integerrimo difensore del potere centrale dello Stato federale. Si chiama proprio Federalsburg – nome che sembra evocare il governo federale – la località del Maryland dove sono stati ritrovati i volatili. L’aquila di mare dalla testa bianca, detta anche aquila calva, è il simbolo araldico della nazione. In più le aquile morte sono 13, ed esattamente il giorno 13 (febbraio) si è spento l’alto magistrato, alle soglie degli 80 anni. E’ morto vicino a Shafter, in Texas, dove soggiornava in vista di una battuta di caccia. Animali, dunque: il giudice si apprestava a ucciderne, ma è deceduto prima di poter sparare; in compenso, altri animali – quelle aquile – sono “piovuti dal cielo”, fulminati: non cinque o dieci, ma proprio 13. Ce n’è abbastanza per scatenare la caccia all’ipotetico messaggio segreto contenuto in queste straordinarie “coincidenze”. Maurizio Blondet vi scorge una minaccia rivolta a Donald Trump, temutissimo da super-oligarchi come Soros e Murdoch, schierati con la Clinton. Altri, come Micheal Snyder, temono che la combinazione simbolica possa alludere all’imminente “morte” degli Stati Uniti.In un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, Snyder ricorda che l’aquila dalla testa bianca è l’animale “nazionale” degli Usa, rappresentato sul “Great Seal”, lo stemma ufficiale usato per certificare i documenti del governo federale. Attenzione poi al numero 13, che simboleggia proprio la morte, nel codice esoterico “praticato” dagli ambienti iniziatici di stampo massonico-crowleyano, in cui nomi, date e numeri non sono mai casuali. Tredici è anche il numero di Stati che in origine ratificarono la Costituzione degli Stati Uniti, e il Maryland era uno di questi. Conseguentemente, scrive Snyder, c’è chi suggerisce che la morte di queste 13 aquile sia un segno che la dipartita del giudice della Corte Suprema possa rappresentare l’inizio della fine anche per la Costituzione degli Stati Uniti, se non addirittura «la morte di tutta l’America». La notizia della strana strage di volatili non è sfuggita ai media mainstream: “Nbc News” ricorda che si tratta della più grande moria di aquile calve che mai abbia avuto luogo nel Maryland nel corso degli ultimi trent’anni. Un animale super-protetto: l’uccisione di anche un solo esemplare può essere punita con una multa da centomila dollari.Snyder insiste sulla sinistra ricorrenza numerica: sono 13 le colonie originali americane, così come il numero delle strisce sulla bandiera Usa. In un articolo per “Charisma News”, Ricky Scaparo dettaglia alcuni significati del numero 13 che risalgono all’antichità. Nimrod, il potente cacciatore che si era “posto davanti al Signore” (aveva cercato di prenderne il posto – Genesi 10:9), era il 13° nella linea genealogica di Cam, uno dei tre figli di Noè sopravvissuti al diluvio. Tredici, inoltre, sono i governi creati dagli uomini che, ispirati da Satana, si ribellarono all’Eterno. L’espressione “valle di Hinnom” è citata nella Sacra Scrittura 13 volte: la valle fu teatro dei riti diabolici ispirati al dio pagano Moloch, adorato dai Fenici, che comprendevano il sacrificio di bambini. Nell’Apocalisse (rivelazione), «il drago, simbolo di Satana, viene citato 13 volte». Per San Paolo (“Lettera ai Romani) i peccatori hanno 23 caratteristiche, e la tredicesima li qualifica come “nemici di Dio”.Ma anche il dollaro americano ha il numero 13 incorporato dappertutto, continua Snyder: sono 13 i gradini sulla piramide del “Great Seal”, e sempre 13 le lettere in “Annuit Coeptis”, la frase che sovrasta la scritta “novus ordo seclorum”: unendo le due frasi si ottiene “novus ordo seclorum annuit coeptis”. «Sono molte le ipotesi sulla traduzione di questa frase latina», annota Snyder: «Si va da “un nuovo ordine mondiale arride agli iniziati” a “un nuovo ordine mondiale, la divinità ha acconsentito”, o anche “si annuncia la nascita di un nuovo ordine mondiale”, oppure “una nuova era arride agli iniziati”». Ma non è tutto: sono 13 le strisce sullo scudo posto al di sopra dell’aquila, e ancora 13 le stelle al di sopra dell’aquila. Sono sempre 13 anche le lettere che compongono il motto nazionale americano “E pluribus unum”, cioè “da molti, uno soltanto”. E ancora: sono 13 le frecce nell’artiglio sinistro del volatile araldico. A queste, corrispongono le 13 le foglie e i 13 i frutti sul ramo d’ulivo nell’artiglio destro dell’aquila americana.«Non ho tutte le risposte, ma credo che siamo davanti ad un segnale molto importante per gli Stati Uniti», conclude Snyder. «La situazione era incredibilmente desolante anche prima della morte di Scalia. Il nostro paese sta morendo ogni giorno un po’ di più e i segnali sono ben visibili attorno a noi». C’è di che preoccuparsi? «Credo che dovremo affrontare momenti peggiori di quelli che il paese abbia mai visto fino ad ora». Per Wikipedia, il giudice Scalia era considerato un pilastro dell’ala conservatrice della Corte Suprema. Di origini siciliane, ha sempre aderito alla dottrina dell’interpretazione originaria della Costituzione. A differenza di altri suoi colleghi conservatori, ha mantenuto un punto di vista a favore del potere nazionale e di un esecutivo forte. Scalia, ricorda Roberto Festa sul “Fatto Quotidiano”, era stato nominato da Ronald Reagan nel 1986, primo italo-americano a far parte della Corte. Nato a Trenton nel 1936, cresciuto a New York, aveva iniziato la sua carriera legale nell’amministrazione Nixon.«Secondo Emendamento, finanziamento della politica, commercio, aborti, matrimoni gay, ruolo del potere esecutivo: non c’è campo della giurisprudenza e della società Usa dove Scalia non abbia fatto sentire la sua voce», ricorda il “Fatto”. Scalia era celebre per lo stile caustico di molte sue prese di posizione e sentenze. Contrarissimo al propagarsi dell’ideologia gender: lo scorso giugno, in occasione della legalizzazione dei matrimoni gay, aveva detto che i giudici «hanno preso posizione nella guerra culturale», e previsto effetti disastrosi anche su altre aree della morale e della sessualità. Dotato del gusto per la battuta tagliente, Scalia era un nemico del politically correct. Di recente, aveva dichiarato che gli studenti afroamericani potevano trovare giovamento nel frequentare «università meno prestigiose». Altrettanto importante, ricorda sempre Roberto Festa, è stato il suo ruolo nel 2013, quando la Corte ha scardinato alcune delle norme-chiave della legge che tutela il diritto di voto dei neri. «E centrale è stata la sua voce nella battaglia all’Obamacare e nella sentenza che dà il via libera ai finanziamenti alla politica da parte delle grandi multinazionali».Sempre secondo Festa, la morte improvvisa di Scalia complica seriamente i disegni dei repubblicani, in vista della corsa per la Casa Bianca. Oggi, la Suprema Corte è in assoluta parità: 4 giudici progressisti contro 4 conservatori. Storicamente, la Corte ha contribuito a orientare la società americana in un senso piuttosto che in un altro. «La Warren Court, quella presieduta da Earl Warren tra il 1953 e il 1969, allargò in modo drammatico i diritti civili, sindacali, politici. In anni più recenti, la Corte guidata da William Rehnquist ha invece sostenuto quella “rivoluzione conservatrice” che da Reagan in poi ha toccato gran parte della società». Scalia, sottolinea il “Fatto”, era anche una pedina essenziale nella campagna che gli Stati a guida repubblicana vogliono scatenare alla Corte Suprema per neutralizzare una serie di leggi invise ai repubblicani: la riforma sanitaria, appunto, e poi gli ordini esecutivi di Obama sull’immigrazione, l’aborto, la legge Dodd-Frank che rende più severe le regole per l’industria finanziaria. E ancora, quella che tutela le specie a rischio di estinzione: come l’aquila calva?«Chi è attento a cogliere i “segni” ha messo in relazione la morte delle 13 aquile con la morte del giudice», scrive Maurizio Blondet nel suo blog, «e mai erano state trovate morte d’un colpo 13 aquile calve. Per di più, vicino alla cittadina di nome Federalsburg». Impossibile, per Blondet, non ricordare che gli àuguri traevano segni sul destino di Roma dal volo degli uccelli, aquile o corvi. «Un malaugurio per la Federazione?». Blondet ipotizza che il “messaggio” sia rivolto direttamete all’outsider Donald Trump, che gli oligarchi repubblicani (che hanno perduto Scalia) temono, in quanto non omologato al loro sistema di dominio. Molto prima dell’avvento di Trump, l’Italia sperimentò – con Berlusconi – la comparsa di un nuovo tipo di capo «populista, miliardario e mediatico, che il popolo ha votato in funzione anti-establishment». Del resto, lo stesso Mussolini «anticipò Hitler», e i fascismi europei di quegli anni «furono imitatori di quello italiano». Come sappiamo, «la storia si è ripetuta in forma di farsa», ma Berlusconi «non ha capito quello che la storia voleva da lui». E Trump? Cosa penserà di quelle 13 aquile calve, ritrovate dopo la morte del giudice Scalia il giorno 13?Tredici aquile americane stranamente trovate morte poco dopo la scomparsa del mitico giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, baluardo dei conservatori ma integerrimo difensore del potere centrale dello Stato federale. Si chiama proprio Federalsburg – nome che sembra evocare il governo federale – la località del Maryland dove sono stati ritrovati i volatili. L’aquila di mare dalla testa bianca, detta anche aquila calva, è il simbolo araldico della nazione. In più le aquile morte sono 13, ed esattamente il giorno 13 (febbraio) si è spento l’alto magistrato, alle soglie degli 80 anni. E’ morto vicino a Shafter, in Texas, dove soggiornava in vista di una battuta di caccia. Animali, dunque: il giudice si apprestava a ucciderne, ma è deceduto prima di poter sparare; in compenso, altri animali – quelle aquile – sono “piovuti dal cielo”, fulminati: non cinque o dieci, ma proprio 13. Ce n’è abbastanza per scatenare la caccia all’ipotetico messaggio segreto contenuto in queste straordinarie “coincidenze”. Maurizio Blondet vi scorge una minaccia rivolta a Donald Trump, temutissimo da super-oligarchi come Soros e Murdoch, schierati con la Clinton. Altri, come Micheal Snyder, temono che la combinazione simbolica possa alludere all’imminente “morte” degli Stati Uniti.
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Lannes: scie chimiche, l’Italia viola il divieto firmato Pertini
E’ in atto una guerra ambientale non convenzionale contro la vita di Gaia e delle sue ignare creature. A fronte dell’omertà degli Stati occidentali, Europa in prima linea, a copertura dei bombardamenti elettromagnetici nonché attraverso il rilascio nell’aria di scie chimiche, operati sistematicamente dalla Nato sui centri abitati, ovvero su ordine del governo degli Stati Uniti d’America, con il beneplacito dei governi aderenti al patto atlantico Italia in primis, torno ad evidenziare, come già in passato, le prove ufficiali delle Nazioni Unite e il riscontro diretto nella realtà italiana. La Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod, è il trattato internazionale che proibisce l’uso militare ed ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali. La Convenzione è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978. La Convenzione, approvata dalla Risoluzione 31/72 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1976, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale gli Stati che vi hanno aderito sono 76.L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento. Altro che fantasie o leggende metropolitane: la fantascienza ha superato la realtà. Il complotto a danno dei più, è da parte di chi lo copre o sostiene, non di chi analizza e smaschera questo fenomeno criminale. La Convenzione proibisce l’uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi. Il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura del pianeta Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno. I criteri per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della Convenzione ma nell’Intesa sull’articolo I che, riportando quanto emerso in fase negoziale, esplicita i termini: “esteso” come riferibile ad un’area di diverse centinaia di kilometri quadrati; “duraturo” come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione; “severo” come correlato ad un’azione che provoca danni seri o significativi alla vita umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.Il divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010. La Convenzione non tutela l’ambiente da qualunque danno provocato dalle azioni belliche o ostili ma vieta quelle tecniche offensive che trasformano l’ambiente stesso in un’arma, ascrivibili alle tecniche di manipolazione ambientale. Inoltre, la Convenzione si applica solo in caso di conflitti tra Stati, quindi sono esclusi dall’ambito di applicazione sia l’utilizzo di tali tecniche in caso di guerre interne agli stati sia le sperimentazioni. In caso di violazioni, la Convenzione non prevede una responsabilità diretta ma richiede alle parti di consultarsi e cooperare tra loro. Inoltre, se uno o più Stati sospettano che altre parti stiano violando la Convenzione, sono invitate a sporgere reclamo presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che svolgerà le indagini. Infine, le parti sono invitate a sostenere gli Stati colpiti dai danni provocati da tecniche di manipolazione ambientale.Il funzionamento della Convenzione è quindi di tipo preventivo, teso soprattutto a evitare e minimizzare i danni tramite la cooperazione, la consultazione, il supporto e lo svolgimento di indagini in ogni caso di effettiva o sospetta violazione. La legge 29 novembre 1980, numero 96 (“Ratifica ed esecuzione della convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, con allegato, adottata a New York il 10 dicembre 1976 e aperta alla firma a Ginevra il 18 maggio 1977” – in Gazzetta Ufficiale numero17 del 19-1-1981 – Supplemento ordinario) all’articolo 1 stabilisce che: «Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, con allegato, adottata a New York il 10 dicembre 1976 e aperta alla firma a Ginevra il 18 maggio 1977». Mentre all’articolo 2 recita: «Piena ed intera esecuzione è data alla convenzione di cui all’articolo precedente a decorrere dalla sua entrata in vigore in conformità all’articolo IX della convenzione stessa. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato».Invito pertanto l’attuale presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, in qualità di capo delle forze armate, ad imporre l’immediato arresto delle predette attività belliche segrete su tutto il territorio italiano, nonché a destituire il primo ministro pro tempore Matteo Renzi, complice di questo crimine contro il popolo italiano, e a chiedere un intervento risolutivo a carattere d’urgenza delle Nazioni Unite. Chiedo, infine, alla magistratura italiana, di far rispettare la legge come prescrive la Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti degli esseri umani.(Gianni Lannes, “Scie chimiche: prove Onu”, dal blog “Su la testa” dell’11 novembre 2015).E’ in atto una guerra ambientale non convenzionale contro la vita di Gaia e delle sue ignare creature. A fronte dell’omertà degli Stati occidentali, Europa in prima linea, a copertura dei bombardamenti elettromagnetici nonché attraverso il rilascio nell’aria di scie chimiche, operati sistematicamente dalla Nato sui centri abitati, ovvero su ordine del governo degli Stati Uniti d’America, con il beneplacito dei governi aderenti al patto atlantico Italia in primis, torno ad evidenziare, come già in passato, le prove ufficiali delle Nazioni Unite e il riscontro diretto nella realtà italiana. La Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod, è il trattato internazionale che proibisce l’uso militare ed ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali. La Convenzione è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978. La Convenzione, approvata dalla Risoluzione 31/72 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1976, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale gli Stati che vi hanno aderito sono 76.
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Obama, scie chimiche e la folle scienza genocida di Holdren
Scie chimiche ed ecologismo manicomiale, John Holdren e Barack Obama. In America se ne parla liberamente. Ma, nella colonia Italia, bocche rigorosamente cucite. Ne parla persino il consigliere scientifico di Obama. Da 15 anni negli Stati Uniti, ed anche in Italia, colonia degli Usa a tutti i livelli, vengono effettuate nei cieli irrorazioni di sostanze altamente velenose. Mentre questi apprendisti stregoni provano a cambiare il clima, avvelenano e ammalano la gente che vive in superficie. Da dove sono usciti questi assassini? Da sotto terra? Respirano con polmoni o con branchie? Sono del tutto umani coloro che avvelenano il pianeta e non si preoccupano delle conseguenze? John Holdren non è per niente uno stinco di santo. Ma quanto ad autorevolezza non è certo sguarnito. Parliamo dell’uomo scelto da Obama come Director of the White House Office of Science and Tecnhology Policy. In una pubblica intervista del 15 novembre 2011 ha candidamente ammesso, come nulla fosse, che il governo americano da 15 anni sta irrorando i cieli d’America e d’Europa, specie Italia, viste le tante basi aeree, a favore della geoingegneria e della manipolazione climatica.Irrorazioni cariche di danni e di pericoli, con notevoli influenze sulla qualità delle coltivazioni e della nostra salute. La scienza, la meteoreologia e i media di regime fanno passare queste scie come semplici scie di condensa. Spiegazioni strane e assurde visto che le scie di condensa si formano solo nel 2% dei casi e seguono determinate leggi fisiche, riassumibili in 3 condizioni che sono: quote superiori a 8000 metri, umidità relativa non inferiore al 70%, temperatura non inferiore ai -40°C. Le scie chimiche sono molto lunghe e persistenti, a differenze delle scie di condensa, e permangono nell’aria per molte ore. Gli aerei coinvolti non sono di linea e non portano contrassegni, si incrociano nei voli e non vengono segnalati dai radar. Ricercatori, scienziati e singoli cittadini hanno effettuato analisi chimiche dei terreni, delle polveri e delle acque.Si è accertata la presenza in cielo e sul suolo di bario, alluminio, calcio, potassio, torio, magnesio, quarzo, bario, tutte sostanze atte a coadiuvare la geo-ingegneria e le onde elettromagnetiche emesse dal sistema Haarp, le cui funzioni sono molteplici e alquanto discutibili. Temi scomodi che spesso vengono etichettati come teorie complottiste, o meglio come teorie da complottologhi, ignorate del tutto dai nostri media nazionali, mentre paradossalmente nell’America imperialistica autrice dei misfatti se ne parla come si trattasse di una banale partita di rugby. John Holdren, oltre che maggiore consulente scientifico di Obama, è co-autore di un libro del 1977 dove invoca la formazione di un “regime planetario” dotato di una “forza di polizia mondiale” per far rispettare le misure totalitarie di controllo della popolazione, compresi aborti forzati, programmi di sterilizzazione di massa condotti attraverso cibo e acqua, e altre cose aberranti.I concetti illustrati nel libro di Holdren, “Ecoscience”, del 1977, scritto insieme ai colleghi Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, sono così sconvolgenti che il rapporto Front Page Magazine del febbraio 2009 sul tema è stato respinto come stravagante e imbarazzante. La faccenda è quanto mai premonitrice perché Holdren e i suoi colleghi sono ora in prima linea negli sforzi volti a combattere il “cambiamento climatico” attraverso programmi altrettanto folli incentrati sulla geoingegneria del pianeta. Holdren ha recentemente sostenuto “progetti di geoingegneria su vasta scala volti a raffreddare la Terra”, come “sparare particelle inquinanti in atmosfera per riflettere i raggi del sole”, che come molti hanno sottolineato sta già avvenendo attraverso le “chemtrails” (scie chimiche, per l’appunto).“Ecoscience” parla di una serie di modi in cui la popolazione mondiale potrebbe essere ridotta per la lotta contro ciò che gli autori vedono come la maggiore minaccia per la specie umana, la sovrappopolazione. In ogni caso, le proposte sono formulate con una sobria retorica accademica, ma la raccapricciante consistenza di quello che Holdren ed i suoi co-autori sostengono è chiara. Tali proposte comprendono: 1) Sterilizzazione forzata della popolazione aggiungendo farmaci al cibo e alle acque, 2) Aborti forzati, 3) Stacco forzato dei figli dalle famiglie irregolari, 4) Applicazione delle regole draconiane tipo cinese con pesanti penalizzazioni verso il secondo figlio, 5) Istituzione di una forza di polizia mondiale a sostegno delle misure appena citate.Holdren e i suoi co-autori ritengono che la crisi demografica sia così grave da “mettere a rischio la società”. Arrivano a sostenere che le madri single dovrebbero vedere i loro bambini portati via dal governo, oppure potrebbero essere costrette ad aborti. Speculano su soluzioni inconcepibilmente draconiane per quella che loro avvertono come una crisi di sovrappopolazione. Ma ciò che è particolarmente preoccupante è che Holdren non si è limitato a fare proposte orripilanti tipo strappare bambini dalle braccia delle loro madri e portarli via, o costringere le donne ad avere aborti, che lo vogliano o no. Quello che più scandalizza è il modo compassato, spigliato ed impudente col quale egli presenta le sue schizofreniche soluzioni.Il mondo si scandalizzò per i giochini erotici di Bill Clinton all’interno dello Studio Ovale con la sua segretaria Monica Lewinsky. Giornali e televisioni ne parlarano per mesi e per anni, scandalizzati per delle cose tutto sommato banali. Niente si dice invece su questi abominevoli piani che trasformano la Casa Bianca non più in un innocente postribolo presidenziale, ma in una casa diabolica dove vengono intessute le più aberranti trame contro l’umanità intera. Altro che Khomeini, altro che Kim Jong e Corea del Nord, altro che Saddam e Gheddafi, giustiziati per cose assai meno infami. John Holdren prevede una società in cui il governo impianti una capsula per la sterilizzazione a lungo termine in tutte le ragazze non appena raggiungono la pubertà, che poi devono chiedere il permesso ufficiale di rimuovere temporaneamente la capsula e avere la possibilità di avere una gravidanza in un momento successivo. In alternativa, vuole una società che sterilizzi tutte le donne che hanno due figli. Che tipo di società infernale ha in testa questo losco individuo?Le persone corrette e dignitose, sarebbero lasciate tranquille, continua Holdren, ma coloro che “contribuiscono al deterioramento della coesione sociale” potrebbero essere “costrette ad esercitare la responsabilità riproduttiva”, che potrebbe significare soltanto una cosa, aborto coatto o involontario, sterilizzazione. Che alternativa sarebbe forzare la gente a non avere figli? Possono essere piazzati monitor governativi nelle camere da letto delle persone irresponsabili per garantire l’uso dei preservativi? Porteremo di nuovo la cintura di castità Ma che follia è mai questa? “Deterioramento sociale”? Holdren sta seriamente suggerendo che alcune persone contribuiscono al degrado sociale, più di altri, e quindi dovrebbero essere sterilizzate o costrette ad abortire, per impedire loro di riprodursi? Non è questa eugenetica, pura e semplice? Qui andiamo oltre alle bestialità del dottor Josef Mengele (1911-1979). Esistono gli estremi per ricoverare il professor Holdren in una clinica psichiatrica, con tanto di camicia di forza.Si è squarciato l’ultimo velo. Ci si aspetta che noi cediamo volontariamente la sovranità nazionale a un regime di tipo militar-sanitario che sarà armato e avrà la capacità di agire come una forza di polizia. Polizia internazionale pronta a far rispettare le nuove leggi con le armi. Vaccinazioni obbligatorie, obbligatorio controllo delle nascite, e controllo furibondo di tutte le attività economiche. Il bello è che Holdren non la mette sul piano delle battute ironiche e provocatorie. Sostiene le sue teorie in modo dannatamente serio. Ed è, non dimentichiamolo per un solo attimo, responsabile della scienza e della tecnologia degli Stati Uniti, il paese che ci manovra e ci dirige a bacchetta. «Siamo di fronte a una catastrofe globale, la sovrappopolazione, che deve essere risolta a tutti i costi entro il 2000». Questo scriveva Holdren nel 1977, pensando che fossimo in bilico sull’orlo di una catastrofe globale, e che fosse necessaria l’attuazione di regole fasciste per evitare l’imminente disastro.È importante sottolineare che John Holdren non ha mai preso pubblicamente le distanze da se stesso, da una qualsiasi di queste posizioni, pur avendo avuto 32 anni a disposizione per farlo, da quando il libro è stato pubblicato per la prima volta. Occorre anche sottolineare che queste non sono solo le opinioni di un essere disumano. Sono opinioni che riecheggiano quelle sostenute da numerose altre personalità di spicco della politica americana, del mondo accademico e del movimento ambientalista da decenni. Si consideri il fatto che gente come David Rockefeller, Ted Turner, e Bill Gates, tre uomini che hanno legami con il movimento eugenetista integralista, di recente si sono incontrati con altri miliardari filantropi a New York per discutere di “come la loro ricchezza potrebbe essere utilizzata per rallentare la crescita della popolazione mondiale”, come riportato dal quotidiano londinese “Times”. Ted Turner ha pubblicamente sostenuto scioccanti programmi per la riduzione della popolazione che dovrebbero abbattere la popolazione umana di uno sconcertante 95%. Ha anche chiesto, in stile comunista, la politica del figlio unico da parte dei governi in Occidente.Naturalmente, Turner non segue affatto il suo stesso regolamento su come tutti gli altri devono vivere la loro vita, avendo cinque figli e possedendo non meno di 2 milioni di acri di terra. Nel terzo mondo, Turner ha contribuito letteralmente alla riduzione di miliardi di individui attraverso i programmi delle Nazioni Unite, aprendo la strada a persone del calibro di Bill Gates, di Melinda Gates e di Warren Buffett. Gates padre, top eugenista, è stato a lungo uno dei principali membri del Consiglio di Amministrazione di Planned Parenthood). Rallentare la crescita della popolazione del mondo e migliorarne la salute sono due concetti inconciliabili per l’élite. Elitari come David Rockefeller non hanno alcun interesse a “rallentare la crescita della popolazione mondiale” con metodi naturali. Il loro ordine del giorno è radicato nella pseudo-scienza eugenetica. Essi puntano a un semplice abbattimento dell’eccedenza di popolazione attraverso mezzi draconiani, con tutti i metodi e in tutte le salse possibili ed immaginabili.L’eredità di David Rockefeller non è derivata da una ben intenzionata “filantropica” voglia di migliorare la salute nei paesi del terzo mondo, ma è nata da una spinta Malthusiana per eliminare i poveri e quelli considerati inferiori dal punto di vista razziale, con la giustificazione del darwinismo sociale. Come documentato nel film “Endgame” di Alex Jones, Rockefeller padre, John D. Rockefeller, ha esportato l’eugenetica in Germania dalla sua origine in Gran Bretagna, finanziando l’Istituto Kaiser Wilhelm che poi sarebbe diventato un pilastro centrale dell’ideologia nazista della super razza del Terzo Reich. Dopo la caduta del nazismo, importanti eugenetisti tedeschi sono stati protetti dagli alleati in modo che la parte vincente potesse beneficiare di più della loro “esperienza” nel mondo del dopoguerra. La motivazione per l’attuazione di misure drastiche di controllo della popolazione è cambiata per soddisfare le mode e le tendenze contemporanee. Ciò che una volta era mascherato come preoccupazione per la sovrappopolazione è tornato sotto le spoglie del cambiamento climatico e del movimento per il riscaldamento globale.Quello che non è cambiato è il fatto che nella sua essenza, questo rappresenta nient’altro che l’arcana pseudo-scienza dell’eugenetica prima costruita dagli Stati Uniti e dall’élite britannica alla fine del 19 ° secolo, e poi abbracciata dal leader nazista Adolf Hitler. Nel 21° secolo, il movimento eugenetista ha cambiato identità ancora una volta. Tutto verte sulle emissioni di carbonio e sull’idea l’idea che avere troppi figli o godere di un certo standard di vita stia distruggendo il pianeta attraverso il riscaldamento globale. Si crea così l’alibi e il pretesto per regolare e controllare in modo dittatoriale e disumano ogni aspetto della nostra vita. Il fatto che il principale consulente scientifico del presidente degli Stati Uniti, un uomo con il dito sul polso della politica ambientale, sostenga la sterilizzazione di massa degli attraverso la catena alimentare e la fornitura di acqua è qualcosa di terrificante, degna di futuristico e fantascientifico film horror. Ideologia diabolica vestita da movimento ecologico ed ambientalista. Ambientalista di nome ma criminoso e manicomiale di fatto.Solo portando alla luce gli sconvolgenti piani di controllo sulla popolazione di Holdren possiamo veramente segnalare alle persone gli orrori che l’élite ha previsto per noi attraverso il controllo della popolazione, la sterilizzazione e i genocidi. Programmi di abbattimento che sono già in corso. Un presidente di Stato si valuta attraverso la scelta dei suoi massimi collaboratori. Obama si è distinto non solo andando a pescare nel torbido questo scienziato pazzoide che da noi, anche col peggior parlamento possibile sarebbe stato mandato in casa di cura, ma anche per altre scelte deliranti, come quella dell’avvocato Michael Taylor alla direzione del Food Safety Working Group (Codex Alimentarius americano), un Azzeccagarbugli legato alla Fda e alla Monsanto, come segnalato nella mia tesina “I magna-magna planetari dell’avvocato Taylor” del 10/5/09.(Valdo Vaccaro, estratti da “Scie chimiche ed ecologismo manicomiale, John Holdren e Barack Obama” dal blog di Vaccaro del 12 agosto 2013).Scie chimiche ed ecologismo manicomiale, John Holdren e Barack Obama. In America se ne parla liberamente. Ma, nella colonia Italia, bocche rigorosamente cucite. Ne parla persino il consigliere scientifico di Obama. Da 15 anni negli Stati Uniti, ed anche in Italia, colonia degli Usa a tutti i livelli, vengono effettuate nei cieli irrorazioni di sostanze altamente velenose. Mentre questi apprendisti stregoni provano a cambiare il clima, avvelenano e ammalano la gente che vive in superficie. Da dove sono usciti questi assassini? Da sotto terra? Respirano con polmoni o con branchie? Sono del tutto umani coloro che avvelenano il pianeta e non si preoccupano delle conseguenze? John Holdren non è per niente uno stinco di santo. Ma quanto ad autorevolezza non è certo sguarnito. Parliamo dell’uomo scelto da Obama come Director of the White House Office of Science and Tecnhology Policy. In una pubblica intervista del 15 novembre 2011 ha candidamente ammesso, come nulla fosse, che il governo americano da 15 anni sta irrorando i cieli d’America e d’Europa, specie Italia, viste le tante basi aeree, a favore della geoingegneria e della manipolazione climatica.
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Gli americani frodati dall’élite che mette in pericolo il mondo
Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma. Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata. Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinchè ciò che ciò accadesse. Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la dustruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”. I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.Personalmente ho sempre lavorato a documentare questi crimini nei miei articoli e nei mei libri (pubblicati da Clarity Press). Chiunque creda ancora nella purezza delle intenzioni della politica estera di Washington è semplicemente un caso perso. Russia e Cina adesso hanno forgiato una allenza che è semplicemente troppo forte per Washington. Russia e Cina insieme non consentiranno a Washington nessun ulteriore ingerenza nella loro sicurezza e nei loro interessi nazionali. I paesi che essi ritengono strategicamente importanti saranno protetti dall’alleanza. Mentre il mondo pian piano si sveglia e comprende il male che l’Occidente oggi rappresenta, sempre più paesi cercheranno la protezione di Russia e Cina. L’America, inoltre, sta fallendo sotto il fronte economico. Nei miei articoli ed il mio libro “Il fallimento del capitalismo lassez-faire”, che è stato pubblicato in inglese, cinese, coreano, ceco e tedesco, ho dimostrato come Washington abbia sempre promosso e incoraggiato un processo nel corso del quale i profitti a breve termine di manager e grandi investitori, e Wall Street in senso ampio, svisceravano l’economia reale Usa, delocalizzando la vera produzione, le conoscenze manifatturiere, le tecnologie e annesse posizioni di lavoro qualificato, verso Cina, India ed altri paesi, lasciando l’America con una economia ormai talmente spolpata che la media dei redditi delle famiglie è in costante caduta da anni.Ad oggi il 50% degli americani di 25 anni vivono con genitori o nonni in quanto non riescono a trovare impieghi sufficienti a permettersi una esistenza indipendente. La dura realtà è puntualmente coperta dai media prostituiti Usa, fonte di storielle fantasiose su una fantomatica ripresa economica americana. I fatti reali dell’esistenza sono talmente dissimili da ciò che i media vorrebbero far apparire che non posso che restare perplesso. Avendo insegnato economia, essendo stato editore del “Wall Street Journal” e assistente del segretario per la politica economica del ministero del Tesoro Usa, non posso che essere perplesso dalla corruzione sistematica che governa il settore finanziario, il Tesoro, le agenzie preposte alla regolamentazione finanziaria e la Federal Reserve. Ai miei tempi sarebbero fioccati avvisi di garanzia e sentenze di tribunale contro banchieri e burocrati di alto rango.Nell’America di oggi non esistono mercati finanziari liberi. Tutti i mercati sono manipolati dalla Federal Reserve e dal Tesoro in concerto. Le agenzie di regolamentazione, controllate dalle stesse persone ed entità sulle quali dovrebbero teoricamente vigilare, chiudono un occhio su qualunque cosa, e anche nei rari casi in cui non lo fanno è tutto ugualmente inutile poichè non hanno alcun potere di far rispettare la legge dal momento che gli interessi privati sono sempre, immensamente, più forti delle leggi. Anche le agenzie statistiche del governo sono state corrotte. Manipolazioni sono state messe in atto allo scopo di sottostimare il tasso di inflazione. La bugia non soltanto risparmia a Washington l’onere di reindicizzare i sussidi adeguandoli al costo della vita reale, liberando altri soldi per le infinite guerre, ma specialmente, sottostimando l’inflazione il governo fa apparire dal nulla incrementi del Pil spacciati come reali, contando l’inflazione come crescita reale, allo stesso modo, d’altronde, in cui il governo fa figurare un 5% di disoccupazione escludendo dal computo tutti gli scoraggiati che hanno cercato troppo a lungo e per i quali continuare a cercare rappresenta ormai solo una perdita di tempo.Come mai la quota di disoccupati ufficiale è del 5% ma nessuno riesce a trovare un lavoro? Come fa ad essere del 5% quando la metà delle persone di 25 anni sono costrette a vivere in casa dei parenti perchè non riescono a permettersi una vita indipendente? Come riferisce John Williams di “Shadowfacts”, se il tasso di disoccupazione includesse i cosiddetti “scoraggiati” che non cercano più attivamente impiego (perchè non ci sono lavori da trovare) il tasso di disoccupazione sarebbe al 23%. La Federal Reserve, strumento privato nelle mani di un gruppetto di grosse banche, è riuscita a creare l’illusione di una ripresa economica almeno da giugno 2009 ad oggi, semplicemente stampando migliaia di miliardi di dollari dei quali non un centesimo è confluito ad alimentare l’economia, ma tutti a gonfiare i prezzi delle azioni delle multinazionali. Le gonfiature artificiali dei prezzi di azioni e obbligazioni sono le “prove” di una economia rigogliosa che la stampa finanziaria prostituita continua senza sosta a sciorinare.Quelle pochissime persone di cultura e buon senso rimaste in America, e dico per esperienza diretta che parliamo davvero di pochissime persone, capiscono benissimo che non è mai esistita una ripresa dall’ultima recessione e che, al contrario, una ulteriore recessione è alle porte. John Williams ha evidenziato come la produzione industriale Usa, debitamente parametrata all’inflazione, non ha mai recuperato i livelli del 2008 ed è ben lontana dal picco del 2000, ed è in costante calo. Il consumatore americano è esausto, schiacchiato da debiti contratti e impossibilità a guadagnare di più. L’intera politica economica americana è concentrata sulla tutela costante di qualche banca a New York, non nel salvataggio dell’economia americana. Economisti blasonati e compari di Wall Street liquiderebbero il problema del declino della produzione industriale con il fatto che “l’America ormai è una economia dei servizi”. Gli economisti pretendono che tali servizi siano servizi altamente tecnologici della New Economy, ma la realtà è che camerieri, baristi, commessi part-time e servizi sanitario-inferimieristici hanno rimpiazzato gli impeghi manufatturieri ed ingegneristici e pagano una frazione rispetto a quest’ultimi, cosa che provoca un collasso della domanda aggregata in tutti gli Usa.Se gli economisti neoliberali (cosa che non accade quasi mai pubblicamente) vengono messi spalle al muro e costretti ad ammettere i problemi, si arrampicano sugli specchi cercando il colpevole nella Cina. Non è chiaro se a questo stadio esistano possibilità di rivitalizzare l’economia americana. Rivitalizzarla richiederebbe una ri-regolamentazione del settore finanziario e fare di tutto per riportare a casa i posti di lavoro e la produzione che sono state svendute a paesi d’oltremare. Richiederebbe, come Michael Hudson sa dimostrare nel suo ultimo libro “Killing the Host”, una rivoluzione nelle politiche fiscali che impedirebbe al settore finanziario di appropiarsi in maniera parassitaria dei surplus generati dall’attività economica reale, poi capitalizzandoli in obbligazione debitorie che garantiscono la perpetua percezione di interessi per il settore finanziario. Il governo Usa, controllato com’è da interessi economici tra i più sporchi e immorali, non permetterebbe mai politiche che anche soltanto si azzardino a sfiorare i bonus faraonici dei managers e i profitti di Wall Street.Il capitalismo Usa di oggi basa i suoi profitti sulla vendita dell’economia americana e con essa tutta la gente che ne dipende per il proprio sostentamento. Nell’ America della “libertà e democrazia” il governo e i poteri economici servono interessi che non hanno assolutamente nessun punto di contatto con gli interessi del popolo americano. La svendita in corso è protetta e mascherata da un panopticon propagandistico fornito dagli economisti neoliberali, prostituti finanziari ed editoriali che si guadagnano da vivere solo e soltanto mentendo dalla mattina alla sera. Quando l’America fallirà, a ruota la seguiranno i vassalli di Washington in Europa, Canada, Australia e Giappone. A meno che nella peggiore delle ipotesi Washington non distrugga il mondo con un conflitto nucleare, a quel punto i rapporti mondiali di forza saranno interamente ridefiniti, e l’Occidente corrotto e dissoluto non sarà nient’altro che la parte più insignificante di questo nuovo mondo.(Paul Craig Roberts, “Ventunesimo secolo, un’epoca di frodi”, dal blog di Craig Roberts del 18 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma. Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata. Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinché ciò che ciò accadesse. Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la distruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”. I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.
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Vota il nazista che è in te: gli americani la sanno lunga
Scorciatoie, da Hitler a Donald Trump. Copione identico, per mietere consensi: il nemico è là fuori, e il nostro eroe vigilerà sulla nazione. «Per tutti coloro che temono e odiano con intensità e consapevolezza i musulmani (e la maggior parte delle persone non bianche) Trump può sembrare una persona sensibile: si batte contro l’Uomo Nero e permette agli americani di dormire sogni tranquilli», scrive il blog “InfoShop”. «Decenni di inarrestabile ed efficace propaganda militare hanno seminato i frutti maturi che Trump sta raccogliendo. Nel 2016 scopriremo quante mele marce riuscirà a scovare». Secondo la fonte statunitense, «ogni volta che l’Isis (o qualche gruppo affine) ammazza un americano o qualcuno di uno Stato alleato, la fama di Trump aumenta, con i suoi seguaci che affermano cose del tipo: “Anche se la gente non vuole ascoltarlo perché spesso ciò che dice è provocatorio, lui dice la verità e tiene d’occhio quei musulmani”». Il candidato repubblicano sarà anche imbarazzante, ma certo non è il primo. E una lunga storia, non segreta ma neppure messa in mostra, lega alcuni campioni americani al nazismo: dai boss di Wall Street al trasvolatore Lindbergh, fino al magnate Ford e ai pesi massimi di alcuni tra le maggiori multinazionali.In una singolare panoramica storica proprosta da “Mickey Z” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, il blog “InfoShop” racconta di Fritz Kuhn, un veterano che nella Prima Guerra Mondiale combattè nell’esercito tedesco e il 20 febbraio 1939 arringò al Madison Square Garden 22.000 membri ferventi dell’associazione tedesco-americana «di fianco a un ritratto di George Washington alto 30 piedi, adornato di svastiche nere», e con 1.300 agenti di guardia all’esterno dell’edificio newyorkese. «Kuhn si assicurò un gran numero di fedeli seguaci “spiegando” come sia Lenin che J.P. Morgan fossero ebrei e che il vero nome di Franklin Delano Roosevelt fosse in realtà “Rosenfeld” (altre voci divulgate da Kuhn riguardavano la first lady: si vociferava, per esempio, che Eleanor passò al presidente la gonorrea “contratta da un negro” e che visitò Mosca per imparare “innominabili pratiche sessuali”)». Il proselitismo di Kuhn non passò inosservato al Terzo Reich, che lo aveva invitato alle Olimpiadi del 1936, dove potè incontrare il Führer. Ma non fu il solo filonazista: durante la Grande Depressione, padre Charles Coughlin pregava tutti i giorni per le paure degli americani, e ne parlava a 40 milioni di ascoltatori sintonizzati su 47 stazioni radio. Chiamava “comunista” il leader del partito laburista David Dubinsky, ricorda lo storico Robert Herzstein. «Quando un giornalista del “Boston Globe” chiese a Coughlin di provare questa accusa, venne preso a cinghiate in faccia».Anche se i suoi attacchi xenofobi gli fecero perdere parte dei suoi sostenitori, Coughlin rimase popolare e continuò ad inveire indisturbato contro “gli assassini e gli oppositori di Cristo”, continua “InfoShop”. Nel 1938 ristampò sul suo giornale “Social Justice” il noto trattato antisemita “I protocolli dei savi anziani di Sion”. Per i suoi sforzi, la stampa nazista lo nominò Coughlin “il commentatore radiofonico più potente d’America”. Nel frattempo, l’eroe dell’aria Charles Lindbergh avvicinò moltissimo gli Usa alla Germania nazista: «Quando godeva ancora del prestigio internazionale grazie al suo “Spirit of St. Louis”, Lucky Lindy venne invitato a visitare la Germania nel 1936 “a nome del generale Goering e del ministro dell’aviazione tedesca”. Dopo aver ampiamente pubblicizzato la potenza aerea tedesca, l’aquila solitaria Lindbergh fu onorata da Goering e invitata a partecipare alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Berlino, dove definì Hitler “un uomo di indubbia grandezza” che “aveva fatto molto per i tedeschi” e che rese la Germania “la nazione più interessante del mondo”». Lo storico Kenneth Davis ricorda che Lindbergh divenne un leader del movimento isolazionista “America First”, finanziato da Ford, il cui intento era quello di tenere gli Stati Uniti fuori dal conflitto mondiale. «In uno dei suoi discorsi Lindbergh disse agli ebrei americani di “chiudere il becco” e accusò “la stampa in mano agli ebrei” di spingere gli Stati Uniti verso la guerra».Nei suoi diari, Goebbels ne elogiava le gesta. «L’opinione pubblica negli Usa inizia a vacillare», scriveva il “profeta” di Hitler il 19 aprile 1941. «Gli isolazionisti sono molto attivi. Il colonnello Lindbergh rimane fedele ai suoi ideali con tenacia e coraggio. Un uomo d’onore!». E il 30 aprile 1941: «Lindbergh ha scritto a Roosevelt una lettera molto animata. E’ indubbiamente il più tenace oppositore del presidente». E ancora, l’8 giugno dello stesso anno: «Questi ebrei americani vogliono la guerra. E quando arriverà il tempo, con la guerra ci si strozzeranno. Ho letto una brillante lettera di Lindbergh a tutti gli americani. Spiega agli interventisti come se la caveranno. Stilisticamente magnificente. Quell’uomo ha qualcosa». Dopo che l’America entrò nella Seconda Guerra Mondiale, annota “InfoShop”, Lindbergh cominciò a venire deriso perché si era schierato con i nemici dell’America e l’opinione pubblica gli si rivoltò contro. «L’insegna pubblicitaria luminosa di Lindbergh in cima a un grattacielo di Chicago venne presto rinominata “l’insegna Palmolive”, e la montagna rocciosa del Colorado soprannominata “Picco Lindbergh” venne immediatamente ribattezzata “Picco dell’Aquila Solitaria”. Tuttavia il danno recato alla sua immagine fu contenuto grazie alle sue innumerevoli missioni come pilota nella guerra nel Pacifico. Alla fine la sua reputazione rimase intatta».«Parte della mia bellezza sta nel fatto che sono molto ricco», dice oggi Trump. In realtà, scrove il blog, «i “ricconi” mandavano avanti i loro loschi affari fascisti molto prima che Donald ricevesse il suo primo “piccolo prestito”». Nei decenni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, «fare affari con la Germania di Hitler o l’Italia di Mussolini (o, per delega, con la Spagna di Franco) non creava scalpore ai dirigenti dell’industria, così come al giorno d’oggi non stupisce la vendita di hardware militare all’Arabia Saudita». Il giornalista investigativo Christopher Simpson afferma che «dagli anni Venti, svariati leader di Wall Street e dell’establishment della politica estera Usa mantennero stretti legami con la loro controparte tedesca, attraverso matrimoni combinati o condividendo gli investimenti», che in Germania aumentarono rapidamente dopo l’ascesa al potere di Hitler, incrementando addirittura del 48,5 % tra il 1929 e il 1940. «Alcune delle corporations statunitensi che investirono in Germania durante gli anni Venti furono la Ford, la General Motors, la General Electric, la Standard Oil, la Texaco, la Itt e la Ibm, e tutte miravano al crollo della manodopera e del partito della classe operaia. Numerose di queste aziende continuarono le loro operazioni in Germania durante la guerra, usando a volte la forza lavoro degli schiavi dei campi di concentramento, con pieno appoggio del governo americano».«Ai piloti veniva dato l’ordine di non colpire in Germania le fabbriche di proprietà americana», scrive Michael Parenti. «Così, Colonia venne quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti alleati ma lo stabilimento della Ford, che forniva equipaggiamento militare all’armata nazista, rimase indenne, così i civili tedeschi cominciarono ad usare lo stabilimento come riparo antiaereo». Sullivan e Cromwell, due tra le più potenti imprese legali di Wall Street dagli anni Trenta, «sostennero il fascismo globale». Allen e John Foster Dulles, i due fratelli che erano a capo dell’azienda, «boicottarono nel 1932 il matrimonio della sorella perché lo sposo era ebreo». I fratelli Dulles «fungevano da contatto con la Ig Farben, la ditta che forniva il gas letale usato nelle camere a gas naziste». Prima della guerra, «il fratello maggiore John Foster mandava telegrammi ai suoi clienti tedeschi che cominciavano con il saluto “Heil Hitler” e, nel 1935, negò con superficialità l’idea di una minaccia nazista in un articolo scritto per l’“Atlantic Monthly”». E nel 1939 dichiarò all’Economic Club di New York: «Dobbiamo accogliere e coltivare il desiderio della Nuova Germania di trovare nuove possibilità per le sue iniziative».Il fratello minore, Allen, che nel frattempo aveva incontrato il dittatore tedesco, promosse il concetto post-bellico che le multinazionali erano uno strumento della politica estera americana e, che per questo, dovevano essere immuni dalle legislazioni dei singoli Stati. «Questo concetto venne poi applicato a istituzioni quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio». Nel 1946 i fratelli Dulles ebbero un ruolo di spicco nella fondazione dell’intelligence americana e nel conseguente reclutamento dei criminali di guerra nazisti. Secondo “InfoShop”, però, «il sostenitore del Terzo Reich più simile a Trump fu Henry Ford, il magnate autocratico che disprezzava i sindacati, schiavizzava i suoi lavoratori e licenziava i dipendenti beccati a guidare macchine di altre case automobilistiche». Un antisemita dichiarato, convinto che gli ebrei corrompessero i “gentili” con «sifilide, Hollywood, gioco d’azzardo e jazz». Nel 1918, Ford comprò e diresse la testata “The Dearborn Independent”, «che diventò presto un forum antisemita». Nel loro libro “Chi finanziò Hitler”, James e Suzanne Pool citano il “New York Times”, che nel 1922 sostenne che «a Berlino vi erano voci ampiamente diffuse circa il finanziamento da parte di Henry Ford al movimento nazionalista antisemita di Adolf Hitler a Monaco».Nel suo romanzo su Ford “Il re macinino”, Upton Sinclair afferma che i nazisti ricevettero 40.000 dollari dal magnate per ristampare volantini antisemiti tradotti in tedesco, mentre altri 300.000 dollari vennero inviati a Hitler attraverso un nipote del Kaiser. «Adolf Hitler gli fu sempre grato, tanto da tenere una foto di grandi dimensioni del pioniere dell’automobile sulla sua scrivania». Il Kaiser sosteneva: «Consideriamo Heinrich (sic) Ford il leader del crescente movimento fascista in America». Hitler sperava un giorno di «importare truppe d’assalto negli Stati Uniti per aiutarlo a diventare presidente». Nel 1938, il giorno del suo settantacinquesimo compleanno, a Henry Ford venne conferita la Gran Croce dell’ordine supremo dell’ Aquila Tedesca dal Führer in persona. Fu il primo americano (il secondo fu James Mooney della Gm) e la quarta persona al mondo (tra queste, Mussolini) a ricevere il più grande riconoscimento concesso a cittadini non tedeschi. Conclude “Mickey Z”: «Spero non ci sia bisogno di dimostrare ulteriormente che il fascismo, la xenofobia e la demagogia sono americani quanto una torta di mele geneticamente modificata». Non fa accezione Trump, che «demonizza chi è già stato demonizzato» (i messicani, gli attivisti neri), e vede aumentare i consensi grazie a quel tipo di retorica.Scorciatoie, da Hitler a Donald Trump. Copione identico, per mietere consensi: il nemico è là fuori, e il nostro eroe vigilerà sulla nazione. «Per tutti coloro che temono e odiano con intensità e consapevolezza i musulmani (e la maggior parte delle persone non bianche) Trump può sembrare una persona sensibile: si batte contro l’Uomo Nero e permette agli americani di dormire sogni tranquilli», scrive il blog “InfoShop”. «Decenni di inarrestabile ed efficace propaganda militare hanno seminato i frutti maturi che Trump sta raccogliendo. Nel 2016 scopriremo quante mele marce riuscirà a scovare». Secondo la fonte statunitense, «ogni volta che l’Isis (o qualche gruppo affine) ammazza un americano o qualcuno di uno Stato alleato, la fama di Trump aumenta, con i suoi seguaci che affermano cose del tipo: “Anche se la gente non vuole ascoltarlo perché spesso ciò che dice è provocatorio, lui dice la verità e tiene d’occhio quei musulmani”». Il candidato repubblicano sarà anche imbarazzante, ma certo non è il primo. E una lunga storia, non segreta ma neppure messa in mostra, lega alcuni campioni americani al nazismo: dai boss di Wall Street al trasvolatore Lindbergh, fino al magnate Ford e ai pesi massimi di alcuni tra le maggiori multinazionali.
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Usa, elezioni e soldi: chi si compra il futuro presidente
Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8 novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti. Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100 milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il candidato migliore o quello più foraggiato?In un’analisi pubblicata da “The AntiMedia” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, Anderson denuncia la pratica dilagante del ricorso ai “Super-Pac”, i nuovissimi “comitati di azione politica” costituiti da singoli, aziende e cartelli, con capacità di spesa praticamente illimitata e assolutamente non-trasparente: il candidato non è tenuto a tracciare pubblicamente il denaro ricevuto. «Inutile dire che si tratta di un’elezione in cui la maggior parte dei candidati sono alla ricerca di sostegno da parte dei donatori ricchi invece che dai cittadini che sarebbero chiamati a rappresentare», scrive Anderson. «Ci si sorprenderà nello scoprire chi è stato a donare soldi per il vostro candidato, e come tale contributo possa influenzare le posizioni politiche future». Guida la classifica Jeb Bush, che i sondaggi danno in calo perché “troppo moderato” per gli elettori repubblicani. L’ultimo rampollo della famigerata dinastia presidenziale super-guerrafondaia ha incassato 161 milioni di dollari dalla Golman Sachs, 65 da Neuberger Berman Llc, quasi 44 da Bank of America, 41,5 da Citigroup e quasi 40 da Tenet Healthcare.Secondo i reporter investigativi della Florida, per sostenere Jeb Bush si stanno attivando «signori texani del petrolio, banchieri d’investimento di New York, titolari di aziende sanitarie di Miami e perfino tre ex ambasciatori – due dei quali hanno servito sotto il fratello, l’ex presidente George W. Bush». Totale, 25 contributi da 1 milione di dollari ciascuno. Tre milioni invece sono arrivati da Mike Fernandez, miliardario cubano-americano fondatore di Coral Gables Mbf Healthcare Partners. Poi c’è Hushang Ansary, ambasciatore iraniano negli Stati Uniti dal 1967 al 1969, quindi Richard Kinder, boss della società di oleodotti e gasdotti Kinder Morgan. E Alfred Hoffman, ambasciatore statunitense in Portogallo dal 2005 al 2007, fondatore in Florida della società immobiliare Wci Community. Quindi NextEra Energy, società madre della Florida Power & Light, che fornisce il servizio elettrico a quasi la metà dello Stato. E Julian Robertson Jr., di New York, manager di fondi d’investimento (patrimonio personale di 3,4 miliardi, «ha fatto la sua fortuna investendo in campi da golf e vigneti in Nuova Zelanda»).A parte il corposo sostegno a Jeb, Wall Street pare schierata massicciamente dalla parte di Hillary, finora sempre sostenuta da Citigroup, Goldman Sachs, Dla Piper, Jp Morgan e Morgan Stanley. «Molti dicono che tali alleanze irrevocabilmente la incatenino a suddette istituzioni, rendendola incapace di regnare sopra la corruzione finanziaria di Wall Street», scrive Anderson. Tra gli attuali finanziatori figurano anche Morgan & Morgan, Sullivan & Cromwell, Akin, Gump, Yale University, Latham & Watkins. «E’ anche importante sottolineare che lo studio legale lobbista Akin, Gump, Strauss, Hauer & Feld, che impiega molti dipendenti di Hillary, ha preso le donazioni da due dei più grandi imprenditori delle carceri private, Corrections Corporation of America e Geo Group, con tasse incluse, per un totale di quasi 300.000 dollari». Si chiama “Priority Usa Action” il nuovissimo “Super-Pac” creato per sostenere la Clinton: 25 milioni di dollari in soli tre mesi. I più importanti super-donatori Pac sono George Soros e Steven Spielberg, ma la lista comprende 31 singoli donatori che hanno contribuito più di 200.000 dollari ciascuno. I progressisti contestano alla Clinton il ricorso ai miliardari, ma i sostenitori replicano che non c’è altra strada. Di recente, Hillary ha fatto notizia «abbracciando una tattica per rivelare pubblicamente – cosa che la nuova legge non richiede – i grandi donatori aziendali».Il terzo incomodo, Donald Trump, fa gara a sé: ha ribadito che sarà l’unico finanziatore della sua campagna elettorale e non accetterà donazioni. Secondo “Forbes”, il suo patrimonio ammonta a 4,5 miliardi. Trump assicura che si priverà di 100 milioni per auto-finanziarsi la campagna. Dovrà vedersela innanzitutto col super-finanziato Jeb Bush e gli altri due grandi sfidanti delle primarie, Marco Rubio e Ted Cruz, i cui cognomi ammiccano direttamente all’elettorato “latino”. Sostenuto dai “cubani”, Rubio ha finora raccolto quasi 32 milioni di dollari. Deve ringraziare Goldman Sachs, Steward Health Care, Titan Farms, Florida Cristalli e Oracle. Tra i supporter anche il miliardario Norman Braman e Laura Perlmutter, moglie di Isacco Perlmutter, Ceo di Marvel Entertainment. «La campagna gestita da Rubio è anche dotata di una notevole quantità di “denaro oscuro”», racconta Anderson. «La fonte è una norma su fondi senza scopo di lucro denominata Soluzioni Progettuali Conservatrici, che ha raccolto 15,8 milioni di dollari. Il no-profit, che naturalmente non è tenuto a rivelare i suoi donatori, ha lanciato una massiccia campagna pubblicitaria per attaccare l’accordo coll’Iran del presidente Obama».Altro outsider temibile, anche Ted Cruz ha contestato a Obama l’accordo con l’Iran. In più, si batte per tagliare i fondi a “Planned Parenthood”, i pro-abortisti ufficiali. Tra i suoi sponsor figurano la banca nazionale Woodforest, Morgan Lewis Llp, poi Gibson, Dunn & Crutcher, Pachulski e Stang, la Jennmar Corporation. «La campagna di Ted Cruz ha in realtà quattro “Super-Pac”, tutti finanziati da Robert Mercer, un magnate di Long Island (fondi d’investimento), negazionista del cambiamento climatico», spiega Anderson. «Insieme, hanno raccolto 31 milioni nelle prime quattro settimane della sua campagna». Hanno contribuito la rete politica dei fratelli Koch nonché i miliardari Farris e Dan Wilks, che devono la loro ricchezza al boom del fracking in Texas. Si rivolge invece agli elettori afroamericani il neurochirurgo Ben Carson, l’uomo nuovo dei repubblicani: «Ha sorpreso tutti suggerendo che se George W. Bush avesse iniziato un abbandono del petrolio sulla scia dell’11 Settembre, prendendo l’iniziativa diplomatica piuttosto che quella degli attacchi militari, la nazione poteva essersi evitata una guerra incredibilmente costosa contro il terrore».Con i suoi numeri da sondaggio in aumento, scrive Anderson, molti esperti si chiedono ora se Carson possa essere sfruttato come vicepresidente (di Jeb Bush, ovviamente). Carson è sostenuto da Coca-Cola, West Coast Venture Capital, Trailiner Corp, Ankom Tecnologia, Jea Senior Living. Il “dark money” proviene da “OneVote”, un “Super-Pac” guidato dallo stratega repubblicano Andy Yates, e da un altro cartello, “Run Ben Run”. Recentemente, Carson «ha raddoppiato la retorica anti-musulmana, che sembra aver portato le sue cifre raccolte ancora più in alto, innalzandole a 20 milioni in questo trimestre». Zero trasparenza sui fondi, ma non mancano informazioni indicative: pare che l’84% dei finanziamenti provenga da una folla di micro-donatori, assegni sotto i 500 dollari. Molto differenziato – ed estramamente “etico”, se paragonato agli altri – è il finanziamento di Bernie Sanders, l’unico democratico finora sceso in campo contro la Clinton. Socialista, capace di infiammare i progressisti, è finanziato quasi solo da sindacati, lavoratori, associazioni di categoria. Gli scettici temono che, come Obama, non avrebbe i muscoli necessari a opporsi al vero potere, Wall Street e il complesso militare-industriale.Oltre al libertario indipendente Rand Paul, con appena 3 milioni di dollari in tasca (e quindi ritenuto in procinto di abbandonare la gara), nelle retrovie repubblicane si muovo candidati minori, ancora in corsa, come Chris Christie, data all’1% nei sondaggi eppure forte di un budget di 11 milioni di dollari. Tra i suoi sostenitori figura la Winecup-Gamble, società del Nevada di proprietà dell’ex Ceo di Reebok, Paul Fireman, che ha dato al gruppo un milione di dollari. «Fireman, che vive vicino Boston, prevede un fantasmagorico profitto di 4,6 miliardi dai casinò a Jersey City se gli elettori dello Stato approveranno un emendamento costituzionale per permettere il gioco d’azzardo anche fuori Atlantic City». Altri supporter di Chris Christie sono Stephen Wynn, magnate dei casinò di Las Vegas, Steve Cohen (maganer di hedge funds), l’imperatrice del wrestlig Linda McMahon e la numero uno di Hewlett-Packard, Meg Whitman. Stesso budget (11 milioni) per John Kasich, governatore dell’Ohio, mentre è più povero il portafoglio di Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas (3 milioni), così come quello di Carly Fiorina (1,6 milioni); presidente di Hp ed esponente dell’ultra-destra, la Fiorina è sostenuta dall’ex finanziere d’assalto Tom Perkins nonché da vari campioni della Silicon Valley, come Paul Otellini (già Intel) e Jerry Perenchio (ex Ceo di Univision).«Come potete vedere – conclude Jake Anderson – le elezioni presidenziali 2016 sono, per la maggior parte, una guerra tra donatori aziendali a tutto campo». Secondo l’analista, è importante ricordare che molti di questi “totali” sono già obsoleti, giacchè i team dei candidati possono strategicamente nascondere le quantità donate, grazie alle nuove disposizioni di legge per proteggere la raccolta fondi da qualsiasi legittima curiosità. «Insomma, noi non conosciamo la reale portata del “denaro oscuro”», derivante dal cosiddetto “non profit” e da associazioni imprenditoriali. «Quello che sappiamo è che questa sarà l’elezione più costosa della storia. I fratelli Koch da soli hanno un budget di 889 milioni di dollari. Una volta aggiunto alla spesa prevista dai democratici e dai repubblicani, stiamo parlando di un ticket totale di circa 5 miliardi di dollari».Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8 novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti. Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100 milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il candidato migliore o quello più foraggiato?
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Isis, Cia, Mossad e gli altri gangster al potere con Obama
Perché il mondo dovrebbe preoccuparsi della politica estera americana? La risposta è piuttosto semplice: se morirete mentre siete a casa vostra, se sarete fatti a pezzi insieme alla vostra famiglia, probabilmente sarà stata l’America ad uccidervi. Gli americani sono consapevoli di tutto questo. La maggioranza della popolazione non approva la folle politica estera americana, ma l’“opposizione” costituita dalla destra repubblicana non solo la sostiene, ma crede che Obama non stia ammazzando a sufficienza – e certamente non ovunque sia necessario. Il mondo, di conseguenza, è costretto a vivere e a morire all’ombra della politica di Washington, minacciato dalle spaventose politiche di Obama (che rappresenta, oltretutto, il punto di vista ‘moderato’) e da una dozzina di pazzi che, dietro le quinte, è in attesa sia degli eserciti promessi dagli americani in Africa e in Medio Oriente che dell’imposizione dell’egemonia statunitense in tutta l’Asia – oltre che dell’annientamento nucleare di tutti coloro che osassero disapprovare. E’ davvero questa la situazione? La risposta è un sonoro ‘sì’. E’ un pezzo di storia che si sta ripetendo.Le migliori informazioni che potete trovare là fuori, i dettagliati rapporti investigativi trapelati dal governo degli Stati Uniti, indicano tutti che le vicende del 9/11 furono una congiura internazionale e che, sì, l’Arabia Saudita era pienamente coinvolta. Nel maggio del 2014, quando i documenti prodotti dalla Russia furono pubblicati (peraltro solo da “Veterans Today”, dopo essere stati rifiutati dalla Cnn), nessuno prestò attenzione a quello che non voleva sentirsi dire. Quei documenti facevano riferimento non solo all’Arabia Saudita, ma anche ad una ‘cabala’ costituita da leader politici e finanziari americani, canadesi, israeliani e sudafricani – sostenuta dai gruppi-canaglia presenti nella Cia e nel Pentagono, ma anche dai servizi segreti sauditi e israeliani. In quei documenti non si parlava degli ‘Stati estremisti islamici’ (e nemmeno di Osama Bin Laden), ma si faceva il nome di alcuni personaggi riservati e potenti, come ad esempio ‘Bronfman’ o ‘Netanyahu’. Nessuno si nascondeva nelle caverne, non i veri colpevoli, gli stessi che oggi sostengono l’Isis. Questo gruppo terroristico proviene dalle sale di rappresentanza di Zurigo e Londra, non dai tunnel sotto Mosul.La ragione per cui ancora una volta torniamo su questa vicenda [9/11] è che ‘l’era di Bush’ potrebbe ripetersi. Suo fratello Jeb è uno dei capofila nelle elezioni presidenziali statunitensi. Anche Donald Trump potrebbe essere eletto e, insieme a lui, anche degli altri … ma lavorano tutti per la ‘Koch Brothers’ e per il losco padrone israeliano del gioco d’azzardo, Sheldon Adelson. Sono tutti alla ricerca di una nuova guerra mondiale. Hanno tutti questa cosa in comune, vogliono dichiarare guerra alla Russia. Vogliono che il mondo diventi uno Stato di polizia caratterizzato dalla sorveglianza universale ed auspicano (fatto che si capisce ancor meno) il collasso ambientale che, a sua volta, porterebbe inesorabilmente allo spopolamento del mondo. La ragione per cui sto citando gli eventi del 9/11 ed alcuni fatti largamente provati (l’esplosivo posto sulle ‘tre torri’, l’arresto in tutta New York di personaggi appartenenti al Mossad, il disturbo ed il blocco delle trasmissioni-radio, la ‘fuga’ dal paese delle persone ‘sospette’, i due aerei carichi di sauditi e israeliani etc.), è che quelle vicende si stanno ripetendo.Vengono raggruppate sotto il nome di ‘Isis’, ma si tratta della stessa ‘unione’ fra i servizi segreti israeliani e sauditi che abbiamo visto all’opera il 9/11 – che questa volta coinvolge anche Erdogan. Lavorando a stretto contatto con la Cia ed il Pentagono, ‘l’unione’ comanda le unità dell’Isis, le rifornisce di armi e paga il petrolio in contanti, nell’ambito di ‘quell’enorme commercio’ che è stato provato dalla Russia, ma di cui tutti sapevano da molto tempo. I protagonisti sono sempre gli stessi, che si parli di Isis, di Ucraina, di Boko Haram o di al-Shebab in Kenya e in Africa Orientale, di ‘guerra allargata’ in Afghanistan o di ‘guerra al terrore’ in Europa e negli Stati Uniti. E allora, cos’è che tutto questo ha a che fare con la politica americana e con Barak Obama? Sette anni fa il presidente americano, entrando sulla scena politica, si rivolse al mondo offrendo ai musulmani la ‘pace’ e agli americani una migliore ‘giustizia sociale’ ed una ‘nuova direzione’. In America, la sua politica interna ha portato a dei relativi successi economici – Obama ed il Partito Democratico hanno lottato per i diritti dei lavoratori, per la salute, per l’istruzione e, in generale, per un ritorno dei ‘diritti degli elettori’.Sotto la sua presidenza, tuttavia, gli omicidi commessi dalla polizia sono notevolmente aumentati (o hanno cominciato ad essere denunciati, dopo anni di silenzio. Non sappiamo quale delle due sia l’affermazione giusta), le ‘Primavere Arabe’ hanno portato centinaia di milioni di persone verso il disastro politico (un chiaro ‘disegno’ della Cia) ed infine una nuova ‘Guerra Fredda’, basata sull’ennesimo complotto fra Mossad e Cia, questa volta in Ucraina, incombe spaventosa su di noi. Quelle che sono delle cose un po’ da pazzi (o che almeno sembrano esserlo), sono le mosse che il presidente Obama sta facendo in direzione opposta: l’accordo nucleare con l’Iran e il recente accordo in Siria con la Russia, tanto per citarne due. E così, se da un lato Obama e Kerry sputano le bugie più goffe ed evidenti perseguendo delle palesi politiche genocide (in particolare verso Iran, Siria, Russia e Cina), dobbiamo prendere atto che, poco tempo dopo, si presentano al tavolo delle trattative con iniziative competenti e razionali! Questa è schizofrenia allo stato puro.Ad esempio, non c’è dubbio che la Russia sia stata letteralmente spinta a tracciare una linea di demarcazione in Siria, contro l’aggressione americana. Ma, qualunque cosa si possa dire al riguardo (in particolare sul fatto che Obama non sia riuscito a combattere l’Isis), coloro che sono maggiormente preoccupati per lo Stato Islamico sono gli stessi che hanno contribuito a fondarlo e che continuano a sostenerlo! Chiaramente, non stiamo parlando solo di Israele, Arabia Saudita e Turchia, ma anche della ‘destra’ degli Stati Uniti, di quelle stesse persone che hanno contribuito agli eventi del 9/11 per creare un clima di paura. Infine, come piccola ‘questione a parte’, poniamoci una semplice domanda: qual’é la differenza fra la Nsa (National Security Agency), che intercetta le comunicazioni mondiali, e la ‘Google Corporation’?. La risposta è molto semplice: nessuna. Il presidente Obama, in sette anni, non è riuscito a portare l’America al di fuori del ‘cono d’ombra’. Al contrario, ha spinto il mondo verso una nuova ‘Guerra Fredda’ e precipitato l’Europa in un periodo di follia politica, come non si vedeva dall’agosto del 1914.Ancora oggi sono gli stanchi protagonisti di allora ad esercitare il potere reale: i gangster politici americani, il ‘cartello’ McCain-Romney legato alla famiglia messicana dei Salinas, l’impero Adelson di Macao ed infine i Rothschild-Rockefeller che guidano il ‘Cartello della Federal Reserve’, che a sua volta controlla le valute mondiali e le banche. Questo è ciò a cui oggi stiamo assistendo. Un’America governata dai criminali e dagli scamster [coloro che ingannano gli altri per prendere i loro soldi, ma non solo], dagli interessi dell’industria del petrolio, della difesa, delle assicurazioni, dell’energia nucleare e del carbone, dei cartelli della droga e di alcune potenti famiglie, come quella del gruppo Walton-Walmart. E dietro a tutto questo non c’è l’America in quanto tale, ma un ‘fronte’ sottile che vuol porre la potenza militare [americana] nelle mani della criminalità organizzata globale, più in senso ‘millenario’ che ‘multi-generazionale’.(Gordon Duff, “Il mondo sopravviverà all’ultimo anno di Obama?”, intervento pubblicato da “Neo”, New Eastern Outlook, e “Veterans Today” il 27 dicembre 2015, tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”).Perché il mondo dovrebbe preoccuparsi della politica estera americana? La risposta è piuttosto semplice: se morirete mentre siete a casa vostra, se sarete fatti a pezzi insieme alla vostra famiglia, probabilmente sarà stata l’America ad uccidervi. Gli americani sono consapevoli di tutto questo. La maggioranza della popolazione non approva la folle politica estera americana, ma l’“opposizione” costituita dalla destra repubblicana non solo la sostiene, ma crede che Obama non stia ammazzando a sufficienza – e certamente non ovunque sia necessario. Il mondo, di conseguenza, è costretto a vivere e a morire all’ombra della politica di Washington, minacciato dalle spaventose politiche di Obama (che rappresenta, oltretutto, il punto di vista ‘moderato’) e da una dozzina di pazzi che, dietro le quinte, è in attesa sia degli eserciti promessi dagli americani in Africa e in Medio Oriente che dell’imposizione dell’egemonia statunitense in tutta l’Asia – oltre che dell’annientamento nucleare di tutti coloro che osassero disapprovare. E’ davvero questa la situazione? La risposta è un sonoro ‘sì’. E’ un pezzo di storia che si sta ripetendo.
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Anonymous contro l’Isis (e King Kong contro Godzilla)
“Isis, annuncio video di Anonymous: l’attentato sventato era a Firenze”. Impareggiabile, il “Corriere della Sera”. Un esempio di giornalismo autentico, un modello per tutti quelli del mestiere. Non solo crede all’esistenza di qualcosa che si fa chiamare Anonymous, ma lo adotta seriamente come fonte d’informazione. Ne riporta infatti un comunicato, come fosse vero: «Il 25 dicembre 2015 abbiamo ricevuto una segnalazione relativa ad un profilo Twitter collegato ai vertici dell’Isis dove era in corso una prima comunicazione su un possibile obiettivo italiano, già stabilito e apparentemente pronto per essere colpito. Quel breve messaggio, in quel momento, indicava che Firenze sarebbe stato un obiettivo entro capodanno», dice Anonymous, aggiungendo di «essersi subito attivato per tentare di sventare questo attacco che, comunque, risultato reale o falso, non può essere sottovalutato tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando». Poi la spiegazione di come il gruppo di hacker si sarebbe mosso: «Abbiamo inscenato una “talpa” all’interno dello Stato Islamico sfruttando lo stesso account accreditato e facendo credere che qualche fratello infedele ad Allah avrebbe comunicato agli italiani il “giorno del giudizio di Dio”, così impedendo che questo attacco venisse attuato».Respiriamo di sollievo, Firenze è salva. La minaccia era concretissima, “tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando”. Sulla identità di questi “soggetti”, Anonymous resta sulle sue, e il grande giornalismo del grande giornale italiano non ha la minima curiosità. Sarebbe un’indiscrezione pretendere nomi e cognomi, una mancanza di rispetto: la parola di Anonymous, al “Corriere”, basta. Benché anche Anonymus, a voler sottilizzare, mica sia noto con nomi e cognomi. Non si sa cosa sia, per chi lavori e perché. Ma non sarebbe da giornalisti, poniamo, sospettare che Anonymous non sia altro che un qualche apparato di propaganda, allarmismo e disinformazione – magari emanato dalle stesse centrali che hanno armato, finanziato e addestrato l’Isis o, magari, da una qualunque Rita Katz. No, questi sospetti non sono degni del grande giornalismo del “Corriere”. Li lascia ai complottisti di mezza tacca, perché gli basta la nobile battaglia che Anonymous ha sferrato contro Daesh.Lotta che è lo stesso Anonymous a documentare, e che il “Corriere” riporta come oro colato: «Attacco globale di Anonymous a Isis – A livello globale, l’operazione anti-Isis ha portato, sino ad oggi, all’oscuramento di 15.500 obiettivi, tra account sui social network e siti web legati direttamente alle operazioni o alla propaganda dell’Isis. Ma altri 4.000 account sono nati nelle ore successive: “Il nostro scopo è rallentarli”, sottolinea Anonymous». Sottolinea Anonymous. Sostiene Pereira. La polizia italiana non conferma… Del resto, il vero giornalismo di questi tempi non si stupisce di tanta vaghezza della fonte: Anonymous è vago e sfuggente perché combatte un nemico ancor più vago e sfuggente: l’Isis. No, non l’Isis che ripiega sotto i bombardamenti russi in Siria, e i cui capi a Ramadi vengono evacuati dagli elicotteri Usa. L’Isis che fa chiudere due stazioni ferroviarie a Monaco di Baviera, per un allarme terrorismo che poi è passato; che ha fatto cancellare tutti i festeggiamenti di Capodanno a Bruxelles e a Parigi.Eccome no: a Liegi e nel Brabante la polizia belga ha fatto degli arresti, «pianificavano attentati»; anche se (si rincrescono i media) «non sono stati rinvenuti armi o esplosivi durante le perquisizioni, ma materiale informatico, uniformi di tipo militare e materiale di propaganda dello Stato Islamico sono stati sequestrati e vengono attualmente esaminati». E a Vienna? «500 poliziotti hanno vigilato nel centro storico. A Berlino 900 agenti e 600 vigilantes “a guardia” dello show alla Porta di Brandeburgo»: l’Isis può colpire dovunque. «Negli Stati Uniti l’Fbi ha informato il presidente Barack Obama del rischio di attentati a New York, Washington e Los Angeles durante il veglione di Capodanno». L’Isis ha come campo il mondo. E non solo domina lo spazio, ma può viaggiare nel tempo, all’indietro. A Londra (leggo dai giornali) «cinque estremisti islamici legati ad Al-Qaeda sono stati condannati ieri all’ergastolo per aver organizzato, tra il gennaio 2003 e il marzo 2004, una serie di assalti (fortunatamente sventati) contro un centro commerciale nel Kent, il popolare night club londinese Ministry of Sound e alcune linee elettriche e del gas». Fortunatamente sventati.Ma l’Isis era già lì nel 2003, si chiamava Al-Qaeda, e aveva già la stessa ampiezza globale di azione, già la Terra intera era il suo campo di battaglia. Ha colpito a Londra, a Madrid, a New York, a Bali, a Giacarta, in Somalia… sempre imprendibile ed onnipresente. Adesso è l’Isis. E non avete ancora visto niente: «Per il 2016, l’Isis annuncia decine di migliaia di morti in decine di paesi; attiverà decine di cellule dormienti in vista della battaglia finale»: chi lo dice? Non l’Isis in persona; lo ha rivelato il dottor Theodore Karasik, un ebreo americano che lavora per la tv del Golfo “Al Arabyia” come “analista di geopolitica”, ed «ha molto studiato il comportamento dello Stato Islamico»: quasi quanto Anonymous, se non di più. Cosa aspetta il “Corriere” ad intervistarlo? Anzi, a farne un collaboratore pagato e fisso?Meglio riportare i comunicati di Anonymous che queste notizie dell’Interpol: che uno dei fucili M29 utilizzati da jihadisti massacratori di Parigi proveniva da una ditta situata in Florida, e facente capo a un Ori Zoller, indicato come «un ex membro delle forze speciali israeliane», già noto alle cronache nere per avere, con un mercante di diamanti ebreo di nome Shimon Yelinek, «trafficato in diamanti con Al-Qaeda» (ohibò) nel 2003, nel quadro di una fornitura di armi in Nicaragua: armi contro diamanti. Un classico, documentato da un rapporto della Organizzazione degli Stati Americani (Osa). Nel rapporto, Zoller è citato anche come rappresentante in Guatemala della Israel Military Industries, una compagnia controllata dal governo israeliano. Vero è che l’ex agente del Mossad adesso ha cambiato genere: vende “cyber sorveglianza” ai governi. Un’attività non lontana da quella di Anonymous?Non siamo in grado di rispondere alla domanda. Siamo invece in grado di sapere chi ha scoperto e diffuso il messaggio di Al Baghdadi, il Califfo, un audio di 24 minuti in cui il Califfo minacciava Roma e il Papa, il 26. Il messaggio è stato scoperto ed autenticato dal “Site”, come ha reso noto “Le Monde”. Senza dire che cosa è il “Site” chi è la sua fondatrice, Rita Katz. Certe volte a scavare troppo si scopre che i jihadisti di Parigi sono armati da ebrei, e che erano già noti e stranoti ai servizi di Parigi stessi. E’ meglio invece fare da grancassa all’allarmismo pubblico voluto dai governi: abbiate paura, l’Isis vi sta sul collo! Vi può colpire ovunque! Per fortuna Anonymous sventa gli attentati, la polizia vi protegge, l’esercito fa la guardia, Hollande emana leggi speciali. Vi siete chiesti perché questo megafono? Questo allarmismo pubblico?Se l’è chiesto il filosofo Giorgio Agamben, che intervistato in Francia ha detto: «Il rischio è la deriva verso la creazione di una relazione sistemica verso il terrorismo e lo Stato di emergenza: se lo Stato ha bisogno della paura per legittimarsi, bisogna allora, al limite, produrre il terrore, o almeno non impedire che si produca. Si vedono così paesi perseguire una politica estera che alimenta il terrorismo che bisogna combattere all’interno». Ma naturalmente tutte queste sono speculazioni. Che non interessano al “Corriere”. Perché questa scuola suprema di giornalismo si occupa solo della realtà concreta: Anonymous ha sventato l’ attentato dell’Isis a Firenze. Mattarella, la disoccupazione è causata dall’evasione fiscale. Maciste abbatterà a mani nude il Riscaldamento Globale. Il Pentagono ha comunicato di aver ucciso Charaffe al Moudan, noto pianificatore degli attentati di Parigi, a colpi di missili in Siria. Godzilla s’è risvegliato, ma per fortuna King Kong lo combatte. Quindi l’immancabile vittoria ci appartiene.(Maurizio Blondet, “Anonymous contro Isis, e Godzilla contro King Kong”, dal blog di Blondet del 2 gennaio 2016).“Isis, annuncio video di Anonymous: l’attentato sventato era a Firenze”. Impareggiabile, il “Corriere della Sera”. Un esempio di giornalismo autentico, un modello per tutti quelli del mestiere. Non solo crede all’esistenza di qualcosa che si fa chiamare Anonymous, ma lo adotta seriamente come fonte d’informazione. Ne riporta infatti un comunicato, come fosse vero: «Il 25 dicembre 2015 abbiamo ricevuto una segnalazione relativa ad un profilo Twitter collegato ai vertici dell’Isis dove era in corso una prima comunicazione su un possibile obiettivo italiano, già stabilito e apparentemente pronto per essere colpito. Quel breve messaggio, in quel momento, indicava che Firenze sarebbe stato un obiettivo entro capodanno», dice Anonymous, aggiungendo di «essersi subito attivato per tentare di sventare questo attacco che, comunque, risultato reale o falso, non può essere sottovalutato tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando». Poi la spiegazione di come il gruppo di hacker si sarebbe mosso: «Abbiamo inscenato una “talpa” all’interno dello Stato Islamico sfruttando lo stesso account accreditato e facendo credere che qualche fratello infedele ad Allah avrebbe comunicato agli italiani il “giorno del giudizio di Dio”, così impedendo che questo attacco venisse attuato».
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Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.«La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.Sorta nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush, dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair, l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan, appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a scopo di potere – e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13, nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.La maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come “la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai», aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente la strategia: coinvolgere l’Europa nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001, ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi” come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste, completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei bombardieri di Putin.Non era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa – l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita, dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti (una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».E siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio 2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi. Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi. Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla pentola?».E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.
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Saskia Sassen: è il golpe dei predatori, ci vogliono espellere
La disuguaglianza è inevitabile in sistemi complessi e altamente differenziati, e ci accompagna sin da quando i primi essere umani hanno costruito delle città. Dobbiamo quindi interrogarci sulle condizioni della disuguaglianza: per esempio, dovremmo chiederci quand’è che la disuguaglianza diventa profondamente ingiusta, e quando è accettabile. Anche le economie successive alla seconda guerra mondiale producevano disuguaglianza, ma era una forma di disuguaglianza più o meno ragionevole. Oggi la disuguaglianza, al contrario, è estrema. Il linguaggio sulla “maggiore disuguaglianza”, sulla “maggiore povertà”, sull’aumento dell’incarcerazione, sulla crescita della distruzione ambientale e così via, è insufficiente a individuare il periodo attuale. Ci sono delle rotture in corso. Non si tratta soltanto di un “di più” della stessa cosa. Siamo di fronte a una serie – imponente e diversificata – di espulsioni, una serie che segnala una più profonda trasformazione sistemica, che viene documentata a pezzi, in modo parziale, in studi specialistici diversi, ma che non viene narrata come una dinamica onnicomprensiva che ci sta conducendo in una nuova fase del capitalismo globale, e della distruzione globale.Quella di espulsioni va distinta dalla più comune nozione di “esclusione sociale”: quest’ultima avviene all’interno di un sistema e in questo senso può essere ridimensionata, migliorata, perfino eliminata. Nei sistemi complessi ci sono invece margini sistemici multipli, e le espulsioni attraversano domini e sistemi diversi, dalle prigioni ai campi profughi, dallo sfruttamento finanziario alle distruzioni ambientali. Per come le concepisco io, le espulsioni avvengono nel margine sistemico.Uso il termine “espulsioni” per descrivere una varietà di processi che producono esiti estremi da un lato, e che dall’altro potrebbero essere familiari e ordinari. Tra gli esempi dei processi di espulsione, potrei citare il crescente numero degli indigenti; degli sfollati nei paesi poveri ammassati nei campi profughi formali o informali; dei discriminati e perseguitati nei paesi ricchi depositati nelle prigioni; dei lavoratori i cui corpi sono distrutti dal lavoro e resi superflui a un’età troppo giovane; della popolazione attiva considerata in eccesso che vive nei ghetti e negli slum.Potrei aggiungere le parti della biosfera espulse dal loro spazio vitale a causa delle tecniche estrattive o dell’accaparramento di terre. E insisto sul fatto che il mite linguaggio del “cambiamento climatico” in questo ambito non riesce ad afferrare il fatto che, al livello empirico, esistono vaste distese di terra morta e di acqua morta. Di fronte all’estremo tendiamo a fermarci. È troppo, e troppo sgradevole. Ci mancano i concetti per comprenderlo. Per questo, diventa facilmente il mostruoso. O diviene invisibile, indipendentemente da quanto sia materiale. In “Espulsioni” esamino un ampio raggio di processi che a un certo punto diventano così estremi che il linguaggio familiare del “più” non serve più a spiegarli. Il momento dell’espulsione è il momento in cui una condizione familiare diviene estrema: non si è semplicemente poveri, si è senza casa, affamati, si vive in una baracca. O, per quel che riguarda la terra e l’acqua: come dicevo non è semplicemente degradata, insalubre. É morta, finita.Dovremmo preoccuparci delle “formazioni predatorie”. Sono formazioni complesse, che assemblano una varietà di elementi: élite, capacità sistemiche, mercati, innovazioni tecniche (di mercato e finanziarie) abilitate dai governi. Ci sono per esempio nuovi strumenti legali e contabili, sviluppati nel corso degli anni, che condizionano ciò che oggi ci appare come un contratto legittimo. Ci sono le banche centrali che forniscono quantitative easing: nel caso degli Stati Uniti, 7 bilioni di dollari dei cittadini sono stati messi a disposizione del sistema finanziario internazionale a tassi molto bassi, e poi usati per la speculazione, non per fornire prestiti alle piccole imprese che ne avrebbero disperato bisogno. In questo senso, abbiamo a che fare con zone complesse che assemblano una varietà di elementi, una condizione che eccede il semplice fatto di avere una elite di super-ricchi potenti. Anche se ci liberassimo di tutti i super-ricchi, continueremmo ad avere esiti simili a quelli attuali.Anche i governi sono parte delle formazioni predatorie. Dovremmo archiviare la tesi secondo la quale lo Stato-nazione nel suo complesso è una vittima dei processi di globalizzazione economica. Ed è particolarmente sbagliato quando ci si riferisce al ramo esecutivo dei governi, perché sono i Parlamenti e il ramo legislativo ad aver subito una perdita massiccia di funzioni e potere. Mentre il ramo esecutivo – dunque i presidenti o i primi ministri – hanno ottenuto un particolare, nuovo tipo di potere grazie alla globalizzazione: sono loro a istituire le politiche, ad articolare i trattati commerciali e di investimento che sostengono le corporation. E allo stesso tempo le banche centrali sostengono il sistema finanziario, non i poveri o i piccoli imprenditori.Per lei, la decadenza dell’economia politica del ventesimo secolo inizia negli anni Ottanta del Novecento, benché abbia genealogie spesso più antiche. Alcuni segnali erano evidenti già negli anni Settanta, ma è negli anni Ottanta che l’economia comincia a cambiare rotta, e a restringersi: l’indebolimento dei sindacati, i minori investimenti nelle infrastrutture a beneficio di tutti, incluse quelle per i quartieri e le famiglie meno ricche, l’aumento della concentrazione di potere e ricchezza al vertice, anziché dello sviluppo della classe media. Nel mio libro ho incluso uno schema che mostra come negli anni Ottanta i nostri governi fortemente sviluppati abbiano cominciato a diventare più poveri, mentre nel mondo meno sviluppato, invece di investire nella produzione manifatturiera gli investimenti sono stati dirottati all’estrazione mineraria, al petrolio e ad altri settori primari. Ciò è accaduto per esempio nell’Africa subsahariana, che si era sviluppata negli anni Sessanta e Settanta con il successo dei processi di indipendenza. Questo processo ha prodotto ricchezza per le aziende e per le elite governative corrotte, ma povertà per la popolazione.Questo passaggio da una logica inclusiva a una logica di espulsione segna una vera e propria rottura rispetto alla fase precedente, quella del capitalismo keynesiano del secondo dopoguerra. Negli anni Ottanta c’è stata una rottura radicale, una frattura rispetto al capitalismo keynesiano, la cui logica dominante – nonostante tutti i limiti – era l’inclusione, la riduzione delle tendenze sistemiche alla disuguaglianza, perché il sistema si reggeva sulla produzione e sul consumo di massa, su una logica espansiva dunque. La manifattura di massa, il consumo di massa, la costruzione di case e strade anche per i meno abbienti: tutto ciò è stato ottenuto espandendo lo spazio dell’economia e incorporando le persone nel sistema. Oggi alcuni settori ancora beneficiano di una certa espansione, ma altri settori chiave non ne hanno bisogno, per cui abbiamo una crescita intensa dei profitti totali delle corporation, ma uno spazio economico complessivamente più circoscritto. I profitti delle corporation crescono, ma lo spazio economico si contrae, complessivamente.Il settore del consumo è stato parzialmente distrutto dalla finanziarizzazione dell’economia, che può produrre profitti molto più alti rispetto al settore del consumo. Contestualmente, avviene una ridefinizione de facto dello spazio economico, una contrazione dell’economia, dalla quale viene espulso tutto ciò che (incluse le persone) non è più considerato produttivo secondo i criteri standard. La crescita economica, misurata secondi i criteri convenzionali, è il veleno della nostra epoca. C’è bisogno di economie che rispondano a logiche distributive: più coinvolgono le persone e le realtà territoriali e locali, più le economie ne beneficiano e producono benefici. Oggi avviene il contrario. Ci si libera di tutti i lavoratori sindacalizzati, delle classe media, esclusa dai servizi statali, degli studenti che avrebbero bisogno di università gratuite. La mia tesi è che quando la Germania o il Regno Unito dicono: “la Grecia è il problema, noi siamo a posto”, sbagliano. Le tendenze sono le stesse per tutti questi paesi. La Grecia è soltanto la versione più estrema della stessa tendenza. Nel libro presento un grafico che dimostra in che misura tutte le principali economie dell’Unione Europea, inclusa la Germania, presentino un calo netto, dopo che nel 2008 la crisi è esplosa.La Germania ha un settore manifatturiero forte, che gli ha permesso di recuperare presto. La Grecia ha gli oligarchi che hanno sfruttato il paese, che non pagano le tasse e fondamentalmente non contribuiscono all’economia greca. Le Olimpiadi ne sono l’esempio più evidente. Ma la tendenza è la stessa. La maggior parte degli Stati liberali oggi è in decadenza. Le ragioni sono complesse, e le esamino in dettaglio nel mio libro precedente, “Territorio, autorità, diritti” (Bruno Mondadori, 2008). Le privatizzazioni e la deregolamentazione sono stati fattori cruciali. Un altro fattore è il numero crescente di ricchi e di corporation potenti che pagano sempre meno tasse. La finanziariazzazione dell’economia e il graduale restringimento dei settori economici distributivi come il manifatturiero, è un altro fattore ancora. L’impoverimento delle classi medie, i prezzi più elevati per le case che hanno compromesso la possibilità per i figli di vivere fuori casa, la contrazione del sistema di sostegno sociale organizzato dallo Stato. Sono gli esiti di una logica distorta che ha catturato lo Stato liberale. Agli estremi, gli esiti sono le espulsioni.(Saskia Sassen, estratti dell’intervista “Le nuove logiche del capitalismo predatorio” rilasciata a Giuliano Battiston per “L’Espresso” e ripresa da “Micromega” il 4 novembre 2015. Docente di sociologia alla Columbia University di New York, la Sassen è autrice di “Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale”, Il Mulino, 296 pagine, 25 euro).La disuguaglianza è inevitabile in sistemi complessi e altamente differenziati, e ci accompagna sin da quando i primi essere umani hanno costruito delle città. Dobbiamo quindi interrogarci sulle condizioni della disuguaglianza: per esempio, dovremmo chiederci quand’è che la disuguaglianza diventa profondamente ingiusta, e quando è accettabile. Anche le economie successive alla seconda guerra mondiale producevano disuguaglianza, ma era una forma di disuguaglianza più o meno ragionevole. Oggi la disuguaglianza, al contrario, è estrema. Il linguaggio sulla “maggiore disuguaglianza”, sulla “maggiore povertà”, sull’aumento dell’incarcerazione, sulla crescita della distruzione ambientale e così via, è insufficiente a individuare il periodo attuale. Ci sono delle rotture in corso. Non si tratta soltanto di un “di più” della stessa cosa. Siamo di fronte a una serie – imponente e diversificata – di espulsioni, una serie che segnala una più profonda trasformazione sistemica, che viene documentata a pezzi, in modo parziale, in studi specialistici diversi, ma che non viene narrata come una dinamica onnicomprensiva che ci sta conducendo in una nuova fase del capitalismo globale, e della distruzione globale.
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Volkswagen? Robetta: Gm fece sparire i tram dagli Usa
Emissioni truccate e airbag difettosi: negli ultimi 18 mesi, due dei più grandi produttori di auto al mondo sono stati giudicati responsabili di “complotti di morte”. «Le rivelazioni recenti, tuttavia, non possono competere con gli scandali industriali precedenti», avverte lo scrittore canadese Yves Engler, che punta il dito contro gli infiniti atti di pirateria industriale (e corruzione poltica) per soppiantare il trasporto sostenibile, elettrico, a favore del motore a scoppio. A tener banco, ovviamente, oggi è il caso Volkswagen: l’azienda tedesca è stata colta in flagrante per aver equipaggiato milioni di automobili con sistemi taroccati per la misurazione delle emissioni, “pulite” nel corso dei test ma, durante la guida, con un rilascio di ossido d’azoto 40 volte superiore al limite dichiarato. Così, «migliaia di persone saranno colpite da asma, malattie ai polmoni e altri disturbi». Lo scandalo Volkswagen ricorda quello della General Motors, impegnata a «nascondere i difetti nel meccanismo di accensione dell’airbag in milioni dei suoi veicoli». Gli interruttori difettosi fanno in modo che l’airbag si rompa in caso di incidente: «General Motors riconosce che almeno 124 persone sono morte in conseguenza di un’anomalia, della quale i dirigenti della compagnia erano a conoscenza da anni».In uno scandalo di portata più grande, cinquant’anni fa, ricorda Engler in un post su “Counterpunch” tradotto da “Come Come Chisciotte”, erano emerse informazioni che «coinvolgevano le compagnie di automobili in un complotto, con lo scopo di mantenere la popolazione sotto la coltre di una nebbia tossica». Il “complotto dello smog” è stato rivelato nel 1968, quando il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha archiviato un caso di antitrust contro le “tre grandi”, accusate di collusione nel celare l’installazione di marmitte catalitiche e altre tecnologie per ridurre l’inquinamento. A partire dal 1953, disse il Dipartimento di Giustizia, «i difensori e i co-cospiratori sono stati coinvolti in un accordo e complotto irragionevole per la limitazione della suddetta libera concorrenza e commercio nell’equipaggiamento di controllo delle emissioni inquinanti presente nel motore dei veicoli». Per acquietare le critiche montanti sull’inquinamento dell’aria generato dalle automobili, General Motors, Ford e Chrysler (insieme all’Ama, Automobile Manufacturers Association), trovarono un accordo proprio nel 1953 per la ricerca congiunta sulle tecnologie per ridurre le emissioni inquinanti. «I produttori di automobili hanno asserito che la loro alleanza era determinata dall’interesse per la salute pubblica. Non è stato così».Col passare del tempo, continua Engler, è emersa l’evidenza che le Tre Grandi si erano in realtà unite per rinviare l’installazione dei costosi dispositivi anti-inquinamento. Nel libro “Taken for a Ride”, Jack Doyle scrive che «i produttori di automobili, tramite Ama, hanno complottato non per competere nella ricerca, sviluppo, produzione e installazione dei dispositivi» per il controllo dell’inquinamento. In realtà «hanno fatto, congiuntamente, tutto ciò che era in loro potere per ritardare tale ricerca, sviluppo, produzione e installazione», imbrogliando i consumatori. «Ma lo scandalo di portata ancora più grande, nell’ambito delle automobili, è stato di molto peggiore dell’alleanza dello smog», scrive Engler. «È stato un complotto che ha mutato l’aspetto dei paesaggi urbani in tutto il Nord America». Il capo di General Motors, Alfred Sloan, già nel 1922 aveva creato un gruppo di lavoro con l’incarico di «minare e sostituire il tram elettrico». La prima azione del gruppo fu il lancio di una linea di autobus che, a Los Angeles, arrivava un minuto prima della vettura elettrica. Risultato: la linea dei tram è stata ben presto chiusa. «Al tempo vi erano centinaia di linee tramviarie a Los Angeles, così il caso della chiusura di una di esse non si è rivelato particolarmente degno di nota. Ma ciò è stato foriero di cose a venire».All’inizio degli anni ’20 si assisteva al boom dell’industria tramviaria, ricorda lo scrittore canadese. C’erano 1.200 tra compagnie tramviarie e di treni interurbani, con 29.000 miglia di percorso. Negli anni migliori si superavano i 15 miliardi di passeggeri. Più di mille miglia di percorso per i tram si intersecavano nella sola area di Los Angeles, portando ogni giorno al lavoro la maggior parte delle persone. Ma la concorrenza motorizzata stava crescendo: il numero di auto su strada ha raggiuse quota 20 milioni negli anni ’20. In questo periodo così cruciale nella storia del traffico, «General Motors era intenta nell’eliminazione della concorrenza». Offrì ai politici municipali delle Cadillac gratis, «affinché votassero la condotta della compagnia». Fece pressioni anche sulle banche nelle piccole comunità, «in modo tale da mettere alla fame le compagnie locali che finanziavano i tram». E in seguito fu stato reso disponibile un credito agevolato per le compagnie tramviarie che sostituivano i loro percorsi con autobus di General Motors. Nel 1932, l’azienda fondò l’Ucmt, United Cities Motor Transportation, per l’acquisto di compagnie tramviarie in aree urbane e la loro conversione in linee per autobus. Percorsi rivoluzionati, cavi aerei rimossi. A conversione completata, «la Ucmt ha rivenduto le nuove reti di autobus, a condizione che non venissero riconvertite a tram».Nel relativo anonimato di Galesburg nell’Illinois, continua Engler, la stessa Ucmt fece la sua prima acquisizione di controllo nel 1933. «Muovendosi rapidamente, aveva già smantellato le reti tramviarie in tre centri urbani, prima di ricevere il richiamo ufficiale dell’American Transit Association». Dopo il richiamo ufficiale nel 1935, General Motors sciolse la Ucmt. Ma «non ci è voluto molto prima che le sue attività anti-tram venissero ripristinate e raddoppiate». General Motors e soci «hanno sviluppato un network di organizzazioni per il contatto con la clientela». Nel ‘36, Gm si è unita a Greyhound per formare il gruppo National City Lines; nel 1938 ambedue collaborarono con la Standard Oil della California per creare la Pacific City Lines; nel 1939 altre due compagnie, Phillips Petroleum e Mack Truck, si unirono alla National City Lines. Infine, American City Lines è stata creata nel 1943 per focalizzarsi sulle città più grandi. Più difficile la penetrazione di Gm nelle grandi città: «Nelle aree urbane più grandi le linee dei tram erano spesso di proprietà delle compagnie elettriche, le quali con i guadagni della vendita dell’energia elettrica, hanno potenziato le rotaie».Le compagnie elettriche, spiega Engler, beneficiarono di un accantonamento fiscale che permise loro di assorbire i deficit dei tram, tramite tasse più basse. Ma la cosa non sfuggì agli strateghi di Gm, prontissimi come sempre a premere sui politici per promuovere i propri sacri interessi: «Bloccata da quest’accordo di proprietà dell’elettricità per i tram, all’inizio degli ’30 General Motors ha prodotto una quantità di dossier per il Congresso, sottolineando la mancanza di entrate erariali che ne è risultata». Come prevedibile, «la strategia di General Motors si è rivelata un successo». Il Public Utility Holding Company Act del 1935 «ha reso estremamente difficile per le compagnie energetiche possedere le linee dei tram», e così hanno iniziato a venderle. «Diciotto mesi dopo, General Motors ha fatto a pezzi 90 miglia di rete tramviaria a Manhattan. Dopo aver trasformato con successo il sistema tramviario di New York, General Motors e i suoi amici intimi si sono spostati a Tulsa, Philadelphia, Montgomery, Cedar Rapids, El Paso, Baltimora, Chicago e Los Angeles. Detto fatto, un centinaio di reti elettriche di trasporto in 45 città sono state fatte a pezzi, convertite e rivendute». Verso la metà degli anni ’50, quasi il 90% della struttura elettrica dei tram negli Stati Uniti era stata liquidata.«I difensori di General Motors negano che qualsiasi complotto abbia avuto luogo», scrive Engler. Tuttavia i fatti sono schiaccianti: come ha evidenzato Edwin Black nel libro “Internal Combustion”, General Motors fu condannata dal Dipartimento di Giustizia, dal Senato e dai tribunali «per pratiche anti-trust che erano parte di questo complotto internazionale». In una sezione dell’accusa del 1947 si legge che i difensori furono «coinvolti coscienziosamente e di continuo in un accordo sleale e illecito», nonché «in un complotto per l’acquisizione di un reale interesse finanziario in una parte effettiva delle compagnie che forniscono il servizio di trasporto locale in varie città», per «eliminare ed escludere la concorrenza nella vendita degli autobus, dei derivati del petrolio, dei pneumatici e delle camere d’aria alle compagnie locali di trasporto». Il verdetto fu di colpevolezza. «Tuttavia, la punizione per aver complottato per distruggere un modello di traffico di massa è ammontata a una multa di 5.000 dollari: non certo un deterrente, per una compagnia che vale miliardi di dollari».Emissioni truccate e airbag difettosi: negli ultimi 18 mesi, due dei più grandi produttori di auto al mondo sono stati giudicati responsabili di “complotti di morte”. «Le rivelazioni recenti, tuttavia, non possono competere con gli scandali industriali precedenti», avverte lo scrittore canadese Yves Engler, che punta il dito contro gli infiniti atti di pirateria industriale (e corruzione poltica) per soppiantare il trasporto sostenibile, elettrico, a favore del motore a scoppio. A tener banco, ovviamente, oggi è il caso Volkswagen: l’azienda tedesca è stata colta in flagrante per aver equipaggiato milioni di automobili con sistemi taroccati per la misurazione delle emissioni, “pulite” nel corso dei test ma, durante la guida, con un rilascio di ossido d’azoto 40 volte superiore al limite dichiarato. Così, «migliaia di persone saranno colpite da asma, malattie ai polmoni e altri disturbi». Lo scandalo Volkswagen ricorda quello della General Motors, impegnata a «nascondere i difetti nel meccanismo di accensione dell’airbag in milioni dei suoi veicoli». Gli interruttori difettosi fanno in modo che l’airbag si rompa in caso di incidente: «General Motors riconosce che almeno 124 persone sono morte in conseguenza di un’anomalia, della quale i dirigenti della compagnia erano a conoscenza da anni».
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Volevano suicidare la Russia, odiano Putin che l’ha salvata
Quando la Russia era amica degli Stati Uniti, Pavel Grachev era ministro della difesa, dal 1992 al 1996. Erano gli anni della transizione post sovietica. Il presidente Yeltsin e i suoi giovani riformatori traghettavano un paese lacero e miserabile verso un futuro di libertà stracciona, di occidentalismo predatorio, di privatizzazione da Far West. Una Russia società aperta, che danzava ubriaca sulla fune sopra il baratro. E senza rete di salvataggio. Era, quella, la Russia degli americani. In nessun periodo storico fu Mosca più vezzeggiata, lusingata e accarezzata dall’affabile alleato transatlantico. Nel momento in cui rinunciò a qualunque politica estera, a qualunque sfera di influenza, all’interesse nazionale e alla geopolitica, i sorrisi della politica americana si sprecarono per anni, promettendo ai russi integrazione, sviluppo, benessere. E consegnando invece, tutt’al più, una copia vintage e involgarita delle luci di New York sulle cupole zariste e i condomini khruscioviani lungo la Moscova. Pochi russi ammassavano fortune d’altri tempi sulle ceneri di una superpotenza in saldo. Una generazione di giovani vedeva scomparire l’istruzione, la sanità, la sicurezza di uno stipendio povero ma in grado di assicurare la spesa quotidiana e un tetto.Milioni di ragazze scoprivano che i loro corpi avevano un mercato, per le strade di Mosca invase dai turisti o nelle città d’Europa finalmente accessibili per una schiavitù diversa dalla solita, e più brutale. Gli orfanotrofi traboccavano di creature malnutrite rifiutate da famiglie scomparse e abbandonate da uno Stato in bancarotta. La droga, il collasso dei servizi pubblici e l’anomia sociale mietevano un numero incalcolabile di giovani vittime ai quattro angoli di un impero arrugginito, venduto pezzo per pezzo come metallo di scarto sui mercati mondiali della corruzione e del malaffare. Mosca e San Pietroburgo, di notte, facevano paura. Crimine fuori controllo, omicidi spiccioli ed esecuzioni mafiose in grande stile terrorizzavano città senza più legge, dove la polizia sopravviveva grazie alle mazzette e all’estorsione e i malviventi regnavano come mai i Corleone e i Riina avrebbero potuto sognare nella loro terra. La Russia di Yeltsin non era più orso. Era semmai un elefante mutilato e sanguinante, cui bracconieri indigeni e stranieri somministravano stupefacenti per tenerlo in vita, mentre gli rubavano avorio, organi, e anima.E poi c’era l’esercito. L’istituzione che aveva, sin dalla rivoluzione d’ottobre, rappresentato la gloria e la potenza, il vanto e l’orgoglio, il blasone e il sigillo della leadership mondiale della Russia dei Soviet. Non più Armata Rossa ma Russa, l’esercito era allora sotto la guida di Grachev. Una figura dimenticata ma preziosa, per capire la storia. Non la storia dei summit e delle dichiarazioni diplomatiche, no. La storia di uomini e donne, di carne e di sangue, di vita e di morte. La storia dei russi, contro la storia dei think tank e delle accademie e dei fondi monetari. Era il dicembre 1994 e Grachev aveva dichiarato con boria mediatica che l’esercito russo avrebbe potuto conquistare Grozny in 24 ore con un solo reggimento di paracadutisti. Perché oltre che dissanguata, derelitta e derubata, la Russia di Yeltsin era anche a un passo dalla disintegrazione. Regioni ribelli guidate da delinquenti e corrotti premevano per la secessione da un potere centrale che non aveva più potere, né centralità. E se il corpo rischiava la metastasi, il cancro da cui questo minacciava di diffondersi era la Cecenia.Dicono i pettegolezzi, che sono un po’ anche cronaca, che Grachev avesse dato l’ordine di invadere Grozny di notte, ubriaco. E così la mattina di capodanno del 1995 la capitale caucasica fu svegliata dalle bombe e dai carri armati. Era la prima volta che l’Armata Russa combatteva. E fu un disastro che nemmeno gli analisti più cinici avrebbero previsto. Lungi dall’impiegare un solo battaglione di paracadutisti, Grachev riversò su Grozny tutto quello che aveva. Tank, artiglieria, aviazione. E lungi dall’ottenere la rapida vittoria che aveva promesso, si risvegliò dalla supposta sbronza con le notizie di una catastrofe nazionale. L’Armata Rossa non solo aveva cambiato nome. Non esisteva neanche più. C’era, al suo posto, l’esercito di Yeltsin. Della nuova Russia occidentale, prediletta discepola degli amici d’America. Un’armata brancaleone di ragazzini adolescenti strappati alle famiglie e scaraventati al fronte. Mezzi antiquati e colonne sbandate. Strategie militari da prima guerra mondiale. Se un simbolo della rovina materiale, morale e umana in cui la transizione benedetta dall’America aveva gettato la Russia esiste, questo e’ senz’altro la campagna cecena di Pavel Grachev. D’altronde, l’Armata Russa era la stessa di cui filtravano notizie di soldati ridotti alla fame nelle basi dell’estremo Oriente, o venduti a San Pietroburgo come prostituti a ora per clienti facoltosi, o massacrati nei riti d’iniziazione sfuggiti a qualunque regola e disciplina, o suicidi in massa per sfuggire a violenze e soprusi impuniti.E così in Cecenia, dopo un bilancio di migliaia di soldati uccisi e fatti prigionieri, di una città rasa al suolo e di civili sterminati, il cancro non era stato nemmeno estirpato. E un anno dopo, i ribelli l’avrebbero riconquistata. Grachev perse la faccia. E la Russia con lui. Mentre le madri dei piccoli soldati usati come carne da cannone iniziarono le loro coraggiose manifestazioni pubbliche davanti ai lugubri ministeri moscoviti, che tanto le facevano assomigliare alle danze solitarie delle madri dei desaparecidos sudamericani. E sarebbe stata una ricerca disperata, straziante e inutile, perché dei figli soldati della Russia non v’erano notizie, né sepoltura, né nomi. Scomparsi nel nulla, saltati in aria nei carri sgangherati di Grachev, torturati nelle prigioni improvvisate dei mujaheddin ceceni. Inghiottiti dal drago di un paese allo sfacelo. Che però, allora, era il darling della Casa Bianca. Per questo, oggi, non capiamo Putin. Perché ci rifiutiamo di vedere la storia degli uomini e ci soffermiamo invece sui paper delle accademie. Quelli che ci dicono che Putin è un fascista che sta distruggendo la Russia. Quelli che ci parlano di un paese prigioniero di una nuova tirannia. Quelli che dipingono la Crimea come una nuova Cecoslovacchia e l’Ucraina come la Polonia di Hitler. Quelli che sono, oggi, la copia speculare di ciò che condannano: propaganda.Perché la Russia non è più stracciona, e Putin lentamente l’ha cambiata. Ha ricostruito lo Stato. Non è un modello di democrazia di Westminster, no di certo. Ma esiste, e fa qualcosa. Ha recuperato, legalmente e illegalmente, parte di quell’eredità che l’oligarchia mafiosa aveva comprato alla fiera dell’est, per due soldi. Ha curato i focolai tumorali che minacciavano la sopravvivenza della Federazione. Ha riparato i carri armati, e li ha svuotati degli adolescenti di leva, riempiendoli di soldati professionisti. Ha licenziato la leadership alcolista, e investito in ricerca e sviluppo. Ha riaperto le fabbriche del complesso militare industriale che non è certo la chiave del futuro, ma che è tutto ciò che la Russia aveva e da cui poteva ripartire. E quando il paese ha smesso di presentarsi ai summit internazionali scalzo e rattoppato per supplicare l’America e le sue istituzioni finanziarie di elargire un altro prestito ipotecando in cambio l’interesse nazionale, la Russia di Putin ne ha ripreso in mano il dossier. E ne ha rilette, una dopo l’altra, le pagine dimenticate.La sorpresa della Crimea, per questo motivo, è tale solo per gli ipocriti, gli smemorati, e gli ingenui. La Crimea fu uno degli scogli più insidiosi su cui la transizione post sovietica rischio’ di naufragare, già negli anni ‘90, quando per poco non scatenò una guerra. In Crimea c’erano Sebastopoli e la flotta del Mar Nero. L’intera geopolitica zarista e poi sovietica aveva da sempre cercato lo sbocco verso il Mediterraneo, lo sanno anche i bambini delle medie. Non è certo un’invenzione di Putin. La Crimea è stata sempre la colonna portante dell’interesse nazionale russo. Non è Putin che ha stravolto la storia rivendicandola e riconquistandola. Era stata la debolezza e la disperazione degli anni di Yeltsin a far accettare obtorto collo a Mosca la rinuncia a una penisola che è insieme strategia e letteratura e icona e identità. La perdita della Crimea fu per i russi una dolorosa circostanza storica, mai una scelta coraggiosa.L’aspro confronto tra Obama e Putin è tutto qui. L’elefante tramortito è ritornato orso. E rifiuta le sbarre della gabbia che la Nato nell’ultimo decennio gli ha costruito addosso, a dispetto delle dichiarazioni di amicizia e di rispetto. Il livore di Obama ha così dipinto la Crimea come la prova della cattiveria di Putin, e l’Europa sbadata gli ha creduto. E ora che la Russia interviene su uno scacchiere mediorientale da cui mancava da vent’anni, la Casa Bianca si agita scomposta. Ma vent’anni di egemonia statunitense in Medio Oriente e Nord Africa cosa hanno prodotto? La farsa dell’Iraq e la sua tragedia umana. Lo Stato Islamico e il suo regno di barbarie. Il collasso della Siria e i milioni di profughi e la sua guerra senza sbocco. La fine della Libia. Ed è solo l’inizio di un terremoto che l’America stessa ha scatenato, ma che le è ormai sfuggito di mano. Persino i paesi della regione lo sanno. E oggi iniziano a guardare a Putin più che a Obama, cui rimane la retorica da guerra fredda, l’uso spregiudicato delle sanzioni con la scusa dei diritti umani, e la scelta sconsiderata di perdere la Russia.Putin è un personaggio complesso, ma non è il diavolo. Ha il merito di avere mantenuto la Russia nella storia, in un momento in cui era tutt’altro che scontato. Il giovane ignoto che si insediò sullo scranno degli Zar quando Yeltsin barcollò via con un ultimo brindisi, non verrà giudicato dalla storia per i pettegolezzi su come abbia passato il compleanno e sul costo dell’orologio che porta al polso, temi oggi prediletti da riviste un tempo autorevoli come “Foreign Policy”. Il verdetto è già scritto. E’ nelle immagini che lo mostrano assieme al ministro della difesa Shoigu nelle stanze dei bottoni del suo esercito, da cui la campagna siriana viene coordinata. Sono passati solo due decenni, ma sembrano anni luce dalle gaffe di Yeltsin, e dalla disfatta cecena di Grachev. Se Obama non gradisce, non è per i diritti umani dei russi. Washington ha approfittato della penosa transizione russa per arraffare quanto più spazio geopolitico ha potuto, in Europa, in Medio Oriente, nel Pacifico. E adesso che al Cremlino non siede più un ubriacone cardiopatico, e l’esercito non è più il soldatino di latta di Grachev, l’America, di colpo, ha deposto le lusinghe. E ha perso il sorriso. E minaccia di trascinarci, tutti, in uno scontro frontale con la Russia. Per i suoi interessi, e contro i nostri. Che sono quelli di un’Europa che non si fermi di colpo alla frontiera bielorussa.(Mario Rimini, “Perché l’Occidente non capisce più la Russia. Una lettura critica”, da “Il Foglio” del 9 ottobre 2015).Quando la Russia era amica degli Stati Uniti, Pavel Grachev era ministro della difesa, dal 1992 al 1996. Erano gli anni della transizione post sovietica. Il presidente Yeltsin e i suoi giovani riformatori traghettavano un paese lacero e miserabile verso un futuro di libertà stracciona, di occidentalismo predatorio, di privatizzazione da Far West. Una Russia società aperta, che danzava ubriaca sulla fune sopra il baratro. E senza rete di salvataggio. Era, quella, la Russia degli americani. In nessun periodo storico fu Mosca più vezzeggiata, lusingata e accarezzata dall’affabile alleato transatlantico. Nel momento in cui rinunciò a qualunque politica estera, a qualunque sfera di influenza, all’interesse nazionale e alla geopolitica, i sorrisi della politica americana si sprecarono per anni, promettendo ai russi integrazione, sviluppo, benessere. E consegnando invece, tutt’al più, una copia vintage e involgarita delle luci di New York sulle cupole zariste e i condomini khruscioviani lungo la Moscova. Pochi russi ammassavano fortune d’altri tempi sulle ceneri di una superpotenza in saldo. Una generazione di giovani vedeva scomparire l’istruzione, la sanità, la sicurezza di uno stipendio povero ma in grado di assicurare la spesa quotidiana e un tetto.