Archivio del Tag ‘No’
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Messora: M5S e vincolo di mandato, vergogna totalitaria
«Se sei un parlamentare di un partito e cambi gruppo politico te ne vai a casa. Te ne vai a casa!», tuona Di Maio dal palco, ignorando che la Costituzione (articolo 67) dichiara che ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Diritto che i 5 Stelle vorrebbero abolire: «Una volontà della prima ora di Gianroberto Casaleggio», scrive Claudio Messora, già comunicatore dei grillini, ora in polemica col movimento. Curiosamente, aggiunge, proprio questa modifica alla Costituzione (che dunque non è più sacra e inviolabile) è una delle due proposte di legge più votate dagli iscritti. L’altra è il ripristino delle case chiuse, mentre le proposte serie, come quelle che «mirano all’uscita dall’euro», sono «giudicate inammissibili dallo staff, oppure spariscono dal web». A prima vista, il vincolo di mandato può sembrare “cosa buona e giusta”. «E inizialmente ne ero convinto anch’io», ammette Messora sul suo blog, “ByoBlu”. «Ma lo sembra solo fintantoché pensiamo a Razzi e a Scilipoti, cioè a qualcuno che di sua spontanea volontà abbandona un gruppo parlamentare per “cambiare casacca”».Cosa succede invece se un parlamentare viene espulso dal suo gruppo politico contro la sua volontà? Molti 5 Stelle sono stati cacciati con espulsioni di massa, 20 solo al Senato: «Alcune di queste sono state condotte con procedimenti sommari, privi del più elementare diritto di difesa, argomentate attraverso l’uso di una retorica di parte al fine di nascondere le reali motivazioni dell’espulsione e di ottenere una legittimazione basata su un plebiscito popolare similmente a quanto avveniva durante le fasi dell’annessione al Regno d’Italia o ai tempi del fascismo». Prova ne è che alcuni parlamentari hanno tentato di fare ricorso contro queste decisioni: il “cambiamento di casacca”, per alcuni, «non era certamente voluto, ma subito con dolore». Ma un parlamentare viene messo alla porta perché ha violato le regole, i principi, i valori del gruppo, oppure «viene fatto fuori perché era diventato scomodo, avendo visto quegli stessi principi calpestati proprio da quel gruppo che, per togliersi di mezzo un rompiscatole scomodo, lo espelle?». La legge della maggioranza è un’arma a doppio taglio: «E’ buona finché la maggioranza è buona, ma è cattiva quando ad essere buona è rimasta solo la minoranza».E qui, continua Messora, entra in gioco il “divieto imperativo di mandato”, che è presente in tutte le democrazie tranne il Portogallo, Panama, il Bangladesh e l’India. La forza dell’autonomia del singolo parlamentare? Può sempre ribellarsi al suo governo, al suo partito, se si accorge che è caduto nelle mani di un’oligarchia che opera contro l’interesse collettivo, tradendo l’ispirazione politica iniziale. Che succede se invece al parlamentare non è più consentito il dissenso? Viene espulso, allontanato Parlamento e sostituito con altri parlamentari, più compiacenti: «Si apre la strada, cioè, alla dittatura di pochi». Basta un gruppo dirigente deciso a impossessarsi del vertice del partito. Al contrario, l’assenza di vincolo di mandato garatisce al parlamentare la libertà di agire secondo coscienza, rifiutandosi di votare leggi che gli paiono inaccettabili, a prescidere dal colore politico del governo che le propone. «Una tutela per la democrazia – riconosce Messora – che i padri costituenti avevano introdotto, memori dell’esperienza del fascismo». Misura sulla quale, peraltro, nel 2010 lo stesso Grillo era d’accordissimo. «Chi è eletto risponde ai cittadini, non al suo partito», diceva, citando proprio l’articolo 67 della Costituzione, che esclude il vincolo di mandato.Certo, è una tutela che consente allo “scilipotismo” di manifestarsi, ma è ancora in grado di preservare la forma democratica, continuando a tutelare gli interessi originari in base ai quali il parlamentare era stato eletto, all’occorrenza aderendo o creando un nuovo raggruppamento parlamentare che coincida con quegli stessi valori. Una garanzia che evita di degradare il Parlamento a «ostaggio di un regime totalitario». Oggi più che mai, l’abolizione del vincolo di mandato «accentua il rischio della selezione di una classe dirigente prona ai voleri del padrone, che – per il suo proprio interesse, ovvero per conservare quella poltrona tanto vituperata a parole – accetta l’ubbidienza totale in cambio del mantenimento dello status di parlamentare». Ma a quel punto, aggiunge Messora, «a cosa serve avere un Parlamento se tutti i parlamentari di una intera forza politica sono vittima dello schiaffo di una dirigenza di partito? Tanto varrebbe allora ci fosse un solo parlamentare: il segretario di quello stesso partito, in rappresentanza di tutti, che magari fa le leggi insieme ai soli segretari degli altri partiti. Immaginate cosa avrebbero potuto fare Renzi e Berlusconi, al tempo del Pdl, se in Italia la Costituzione non vietasse il vincolo di mandato: avrebbero sostituito tutti i parlamentari che dissentivano con la loro volontà di riforma del paese, mettendone al loro posto altri pronti a votare sempre e solo sì, magari in cambio di soldi».Due sole persone, massimo tre, avrebbero già cambiato la Costituzione da tempo. E forse, continua Messora, non si sarebbe neanche trovato il numero di parlamentari necessari a chiedere un referendum confermativo, per cui adesso non ci sarebbe nessun tour per spiegare le ragioni del “No”. «Il problema dei cambi di casacca effettivamente c’è, ma non si risolve smantellando le norme costituzionali poste a baluardo dell’avvento dei regimi». Il problema vero? La selezione dei candidati: che dev’essere accurata, non come quella (online) effettuata dal M5S. E poi, una volta eletti, i parlamentari dovrebbero accettare di essere sottoposti a critiche senza sconti, non “perdonati” dai militanti in ogni caso, «quasi che si facesse parte di una famiglia i cui membri vanno difesi anche quando sbagliano». Tocca ai cittadini, innanzitutto, vigilare sugli eletti: stanno facendo il loro dovere, per il bene della nazione? «Se i cittadini sentissero di appartenere a un’unica squadra e la smettessero di dividersi e farsi dividere, secondo la vecchia strategia del “divide et impera” – conlude Messora – allora per la politica e per i demagoghi non ci sarebbe più alcun spazio di manovra, se non quello di essere costretti a perseguire un bene superiore. Il che rappresenta il vero, autentico “vincolo di mandato”».«Se sei un parlamentare di un partito e cambi gruppo politico te ne vai a casa. Te ne vai a casa!», tuona Di Maio dal palco, ignorando che la Costituzione (articolo 67) dichiara che ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Diritto che i 5 Stelle vorrebbero abolire: «Una volontà della prima ora di Gianroberto Casaleggio», scrive Claudio Messora, già comunicatore dei grillini, ora in polemica col movimento. Curiosamente, aggiunge, proprio questa modifica alla Costituzione (che dunque non è più sacra e inviolabile) è una delle due proposte di legge più votate dagli iscritti. L’altra è il ripristino delle case chiuse, mentre le proposte serie, come quelle che «mirano all’uscita dall’euro», sono «giudicate inammissibili dallo staff, oppure spariscono dal web». A prima vista, il vincolo di mandato può sembrare “cosa buona e giusta”. «E inizialmente ne ero convinto anch’io», ammette Messora sul suo blog, “ByoBlu”. «Ma lo sembra solo fintantoché pensiamo a Razzi e a Scilipoti, cioè a qualcuno che di sua spontanea volontà abbandona un gruppo parlamentare per “cambiare casacca”».
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La Germania: il Ttip è morto. Cremaschi: merito del Brexit
La notizia è volata anche sui media mainstream, telegiornali compresi: dopo Donald Trump, anche il numero due del governo tedesco, Sigmar Gabriel, leader dell’Spd che sorregge la super-coalizione (larghe intese) guidata da Angela Merkel, “boccia” senza appello il famigerato Ttip, cioè il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue sviluppato in anni di trattative segrete, condotte a porte chiuse dai responsabili delle principali 1500 lobby statunitensi ed europee, dietro il paravento della Casa Bianca e della Commissione Europea. Trattato che, come trapelato, avrebbe messo fine alle storiche garanzie europee sulla salute, la qualità dell’agricoltura, la sicurezza del cibo e le tutele sul lavoro, autorizzando le multinazionali a “piegare” al loro volere – con pensanti sanzioni – qualsiasi governo si opponesse al loro business. Sarebbe stata la fine dello Stato di diritto, sotto molti aspetti. Ma ora l’incubo sembra dissolversi: «Il governo tedesco dichiara morto il Ttip, grazie alla Brexit», scrive Giorgio Cremaschi, ricordando tra l’altro che il governo Renzi «era il più servile verso il terribile trattato», da approvare a scatola chiusa. Motivo in più per «votare No alla sua controriforma costituzionale».Il vicepremier della Germania Gabriel, socialdemocratico, ha dichiarato che il Ttip non si farà più, scaricando le responsabilità del fallimento del trattato sulle eccessive pretese degli Stati Uniti, per le loro multinazionali, scrive Cremaschi sulla sua pagina Facebook. «La verità è che dopo la Brexit i negoziati per il Ttip non sono neppure cominciati. Doveva esserci una sessione decisiva proprio alla fine di giugno e il nostro ministro Calenda si era sperticato sulla necessità di giungere ad un accordo. Il governo Renzi si era mostrato il più servile, il più colonizzato d’Europa». Francia e Germania invece «avevano già frenato sull’intesa». Ma il precedente accordo tra Canada e Ue, con molti dei contenuti del Ttip, «spingeva comunque verso il disastro». Poi, «per fortuna il popolo britannico ha votato No alla Ue ed è saltato tutto: grazie alla Brexit si sono fermati, a dimostrazione che il voto britannico è stato un grande segnale positivo per la libertà e i diritti dei popoli».Certo non è finita, ammette Cremaschi. Ma «il liberismo sfrenato del Ttip era troppo favorevole agli interessi delle multinazionali Usa: per questo quelle tedesche e francesi alla fine hanno festeggiato il suo fallimento». Ma questo, aggiunge l’ex leader sindacale Fiom, non vuol dire che «le aggressioni al lavoro, allo stato sociale e all’ambiente in Europa finiranno». I poteri economici e finanziari della Ue (e i loro politici di complemento) «continueranno a fare danni finché i popoli europei non li fermeranno». Intanto, però – grazie alla Brexit – «una catastrofe è stata evitata», sintetizza Cremaschi. «Ora dobbiamo evitarne un’altra: la distruzione della nostra Costituzione». Il fronte del Sì al referendum «è fatto dalle stesse forze e interessi che erano favorevoli al Ttip e che avevano demonizzato la Brexit». Sconfiggerli «sarà un passo avanti per l’Italia e l’Europa», visto che «i No dei popoli fanno bene alla democrazia».La notizia è volata anche sui media mainstream, telegiornali compresi: dopo Donald Trump, anche il numero due del governo tedesco, Sigmar Gabriel, leader dell’Spd che sorregge la super-coalizione (larghe intese) guidata da Angela Merkel, “boccia” senza appello il famigerato Ttip, cioè il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue sviluppato in anni di trattative segrete, condotte a porte chiuse dai responsabili delle principali 1500 lobby statunitensi ed europee, dietro il paravento della Casa Bianca e della Commissione Europea. Trattato che, come trapelato, avrebbe messo fine alle storiche garanzie europee sulla salute, la qualità dell’agricoltura, la sicurezza del cibo e le tutele sul lavoro, autorizzando le multinazionali a “piegare” al loro volere – con pensanti sanzioni – qualsiasi governo si opponesse al loro business. Sarebbe stata la fine dello Stato di diritto, sotto molti aspetti. Ma ora l’incubo sembra dissolversi: «Il governo tedesco dichiara morto il Ttip, grazie alla Brexit», scrive Giorgio Cremaschi, ricordando tra l’altro che il governo Renzi «era il più servile verso il terribile trattato», da approvare a scatola chiusa. Motivo in più per «votare No alla sua controriforma costituzionale».
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Panico referendum, Stiglitz: italiani, se votate crolla l’euro
Joseph Stiglitz, già Premio Nobel per l’economia, dichiara che teme una catastrofe per l’Europa, in particolare per quanto riguarda l’Italia: se vincesse il No nel referendum, potrebbe seguirne il crollo dell’euro. Di conseguenza, invita Renzi a “rinunciare al referendum” disdicendo la consultazione popolare. Stiglitz non è un giurista, dice Aldo Giannuli, ma almeno potrebbe informarsi prima di aprir bocca. Il referendum? Non dipende dalla volontà di Renzi, ma dalla Costituzione: che prevede norme precise in caso di revisioni costituzionali. Referendum confermativo obbligatorio, se la riforma della Carta non è approvata dai 2/3 di ciascuna camera, oppure se ne facciano richiesta 500.000 elettori o il 20% dei parlamentari. «E non è scritto da nessuna parte che possa essere revocato, rinviato o anche solo sospeso», tantomeno dal presidente del Consiglio: «Si chiamerebbe colpo di Stato». Se desse retta a Stiglitz, Renzi «potrebbe essere arrestato per attentato alla Costituzione». Ad allarmare però non è l’ignoranza del Nobel americano, ma il pensiero retrostante: «Se c’è pericolo per gli assetti di potere esistenti, e in particolare quelli monetari, si sospendono le garanzie costituzionali e si toglie la parola all’elettorato».Così, infatti, avevano già detto «quei due gioielli del pensiero democratico che rispondono ai nomi di Giorgio Napolitano e Mario Monti». Il popolo «non può esprimersi su cose così complesse per le quali non ha le conoscenze necessarie», perché queste cose «le devono decidere le élite, quelli che sanno». E la sovranità popolare sancita dalla Costituzione? «Be’, è un bell’ornamento che fa la sua figura, ma non è che ci dobbiamo proprio credere!». Per Giannuli, «qui sta venendo a galla il carattere elitario, oligarchico e antidemocratico dell’ideologia liberista, e non c’è più neppure il pudore di far finta di dirsi democratici». Certo, l’uscita di Stiglitz rivela il timore della vittoria del No, che ormai «inizia a diventare panico nei salotti buoni di politica e finanza». Renzi sa di rischiare grosso: in caso di vittoria del No, «a “dimetterlo” ci penserebbe il suo partito (e non penso all’inutile Bersani e al decorativo Cuperlo, ma ai ben più fattivi Franceschini, De Luca, Fassino, Rossi) che cercherebbe di mettere insieme i cocci e non trasformare la sconfitta referendaria in una irrimediabile débacle elettorale», scrive Giannuli.La legislatura potrebbe anche continuare grazie a Mattarella, Franceschini e Berlusconi, che potrebbero dar vita ad un “governo di scopo”. E il peggioramento della situazione economica, insieme a una «opportunissima bocciatura dell’Italicum da parte della Consulta» darebbero uno strepitoso alibi per farlo. Il “verdetto” della Corte Costituzionale è atteso per il 4 ottobre, ma i giudici potrebbero anche prendere tempo sospendere la decisione: «Se conferma l’Italicum, lo scontro sul referendum si radicalizzerebbe diventando l’ultima spiaggia contro il progetto di regime in atto. Se lo bocciasse, anche solo parzialmente, ci sarebbe un effetto di riflesso sul referendum, delegittimando il progetto renziano». Secondo Giannuli, Renzi «tradisce quella stessa paura che leggiamo nelle parole di Stigliz: non sappiamo se per un qualche sondaggio riservato, se per la previsione di una pronuncia sfavorevole della Corte o se per notizie che fanno temere un disastro bancario in ottobre, ma quello che si capisce è che Renzi cerca (invano, direi) di disinnescare la bomba, ritenendo più probabile la vittoria del No». Intanto, «ringraziamo Stiglitz per averci fornito questa ulteriore riprova sulla natura di questo referendum: uno scontro fra democrazia e oligarchia, senza mediazioni possibili: chi vincerà, chiunque esso sia, non farà prigionieri».Joseph Stiglitz, già Premio Nobel per l’economia, dichiara che teme una catastrofe per l’Europa, in particolare per quanto riguarda l’Italia: se vincesse il No nel referendum, potrebbe seguirne il crollo dell’euro. Di conseguenza, invita Renzi a “rinunciare al referendum” disdicendo la consultazione popolare. Stiglitz non è un giurista, dice Aldo Giannuli, ma almeno potrebbe informarsi prima di aprir bocca. Il referendum? Non dipende dalla volontà di Renzi, ma dalla Costituzione: che prevede norme precise in caso di revisioni costituzionali. Referendum confermativo obbligatorio, se la riforma della Carta non è approvata dai 2/3 di ciascuna camera, oppure se ne facciano richiesta 500.000 elettori o il 20% dei parlamentari. «E non è scritto da nessuna parte che possa essere revocato, rinviato o anche solo sospeso», tantomeno dal presidente del Consiglio: «Si chiamerebbe colpo di Stato». Se desse retta a Stiglitz, Renzi «potrebbe essere arrestato per attentato alla Costituzione». Ad allarmare però non è l’ignoranza del Nobel americano, ma il pensiero retrostante: «Se c’è pericolo per gli assetti di potere esistenti, e in particolare quelli monetari, si sospendono le garanzie costituzionali e si toglie la parola all’elettorato».