Archivio del Tag ‘obbligo’
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Zaia: follia 12 vaccini, il Veneto fa ricorso alla Consulta
Finalmente la politica batte un colpo contro il decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Un solo colpo, a dire il vero: silenti tutti gli altri partiti, a parlare è soltanto la Lega Nord. E lo fa attraverso il profilo istituzionale di uno dei suoi esponenti più rispettati, il governatore del Veneto, Luca Zaia: la Regione si mette di traverso e annuncia il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto della ministra Beatrice Lorenzin, che porterebbe da 4 a 12 le vaccinazioni obbligatorie, sotto pena di pesantissime sanzioni: fino a 7.500 euro di multa per i genitori “renitenti”. «Non lo facciamo perché siamo contro i vaccini», chiarisce il presidente del Veneto, prima Regione a sospendere l’obbligo delle immunizzazioni, già nel 2007. «Io non incontro mamme che mi dicono “no, senza se e senza ma”, ma mamme che sono preoccupate dal numero dei vaccini e dall’impossibilità di scegliere un programma vaccinale», spiega Zaia. «Questo decreto va addirittura oltre l’obbligatorietà, con misure coercitive», aggiunge il governatore veneto. Troppi, 12 vaccini: non è in corso nessuna epidemia che li giustifichi. «Questo decreto ha battuto anche il muro del suono: ed è solo roba solo italiana, in nessun altro paese al mondo esiste niente di simile».Così, anche se la posizione della Regione Veneto non è quella di mettere in discussione il vaccino come pratica sanitaria, secondo Zaia «bisogna sicuramente mettere in discussione alcuni aspetti di questo decreto». Non è dunque bastato che, nella versione controfirmata da Mattarella il 7 giugno, sia stato eliminato il riferimento alla possibilità di sospendere la potestà genitoriale a chi non fa vaccinare i bambini. Riveduto e corretto, il decreto ammette che i bambini possano andare a scuola anche solo con una semplice autocertificazione in cui si dichiara che i vaccini sono stati fatti. A Zaia non basta. Dalla sua, ha dati statistici eloquenti: nonostante in Veneto le vaccinazioni non siano obbligatorie, è comunque vaccinato il 92,6% della popolazione infantile. «Questo dimostra che l’obbligo vaccinale non è direttamente proporzionale alle vaccinazioni», insiste Zaia, ricordando che in ben 15 paesi europei l’obbligo non esiste. «Noi non vogliamo che il ricorso sia visto come una posizione contro i vaccini», precisa. «Siamo gli unici ad avere un’anagrafe digitale sul tema, con dati in tempo reale». Quello che Zaia vuole salvaguardare è la trasparenza delle procedure, a garanzia del rapporto di fiducia tra cittadini e istitizioni: non si possono imporre 12 vaccini senza spiegazioni. Per il Veneto, è semplicemente incostituzionale: lede i diritti delle famiglie.Nel frattempo, annota il “Fatto Quotidiano”, il Tar dell’Emilia-Romagna ha rinviato la decisione sui ricorsi di una trentina di famiglie (e del Codacons) contro le norme regionali che dispongono l’obbligo della vaccinazione per la frequentazione degli asili nido. Il pronunciamento del tribunale amministrativo, secondo quanto riferisce la Regione, slitta al 17 ottobre: fino ad allora non viene sospesa la normativa impugnata. Ad aprile, ricorda il giornale, i giudici avevano rinviato la pratica per ricevere dal ministero della salute la relazione sulla divisione di competenze tra ministero stesso, Aifa, Istituto superiore di sanità e Regioni, in ordine all’assenza in commercio del solo vaccino monodose antidifterico. Ma, spiega la Regione, «dopo la decisione del governo di estendere l’obbligo vaccinale a livello nazionale, i quattro vaccini resi obbligatori dalla legge regionale sono tutti disponibili nella dose unica esavalente, che contiene anche pertosse e haemophilus influenzae di tipo B». Il vaccino esavalente è da anni nel mirino degli antivaccinisti. La Lorenzin ha provato a raddoppiare la dose, arrivando a 12. Roma tace, il Veneto no. La parola ora passa alla Consulta.Finalmente la politica batte un colpo contro il decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Un solo colpo, a dire il vero: silenti tutti gli altri partiti, a parlare è soltanto la Lega Nord. E lo fa attraverso il profilo istituzionale di uno dei suoi esponenti più rispettati, il governatore del Veneto, Luca Zaia: la Regione si mette di traverso e annuncia il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto della ministra Beatrice Lorenzin, che porterebbe da 4 a 12 le vaccinazioni obbligatorie, sotto pena di pesantissime sanzioni: fino a 7.500 euro di multa per i genitori “renitenti”. «Non lo facciamo perché siamo contro i vaccini», chiarisce il presidente del Veneto, prima Regione a sospendere l’obbligo delle immunizzazioni, già nel 2007. «Io non incontro mamme che mi dicono “no, senza se e senza ma”, ma mamme che sono preoccupate dal numero dei vaccini e dall’impossibilità di scegliere un programma vaccinale», spiega Zaia. «Questo decreto va addirittura oltre l’obbligatorietà, con misure coercitive», aggiunge il governatore veneto. Troppi, 12 vaccini: non è in corso nessuna epidemia che li giustifichi. «Questo decreto ha battuto anche il muro del suono: ed è solo roba solo italiana, in nessun altro paese al mondo esiste niente di simile».
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Dai 5 Stelle nessuna proposta su come rianimare la sanità
I 5 Stelle, cioè il nulla, anche in tema di sanità: non una parola sui vaccini, nonostante il mostruoso decreto Lorenzin con 12 vaccinazioni obbligatorie, e nessuna ricetta in vista per “guarire” la sanità italiana. «Riteniamo che sia fondamentale investire più risorse», scrivono, sul blog di Beppe Grillo, condannando «quello che hanno fatto gli ultimi governi». Chiedono di «investire in aree della politica sanitaria che finora sono state marginali», come «la prevenzione primaria», che serve «a rimuovere le cause note di malattie», anche originate da inquinamento ambientale. Poi c’è il problema risorse umane, medici e infermieri, «che in questi anni sono stati vittime del blocco delle assunzioni proprio come elemento di politica di austerità che ha creato tantissimi disservizi, sacche di precariato, in alcuni casi addirittura sacche clientelari». Meglio invertore la rotta, dicono i pentastellati: «Bisogna investire risorse in questo settore e bisogna anche prepararsi al fatto che molti medici presto andranno in pensione e avremo un fabbisogno di medici specialisti molto alto».Più posti di lavoro, più turn-over. Ma con che soldi? Non è dato saperlo: lungi dall’assumere una posizione netta e chiara sull’euro, da cui dipende in gran parte l’attuale crisi economica, con ovvi riflessi anche sulla sanità pubblica, i 5 Stelle non hanno finora contestato in modo organico l’euro-regime che impone i tagli alla spesa, né hanno mai avanzato proposte su come allentare la stretta di Bruxelles sul bilancio italiano. Preferiscono parlare di una gestione “più virtuosa” dell’immensa spesa farmaceutica, per «liberare risorse che potevano essere investite in altri settori della sanità pubblica, oppure per ridurre i costi a carico dei cittadini». Sempre e solo rimodulazioni delle voci di spesa, all’interno dello stesso budget “inchiodato” dall’Unione Europea: come già per il “reddito di cittadinanza”, che i 5 Stelle finanzierebbero solo con il “taglio degli sprechi”, anche nel caso della sanità non provano neppure a immaginare un bilancio più consistente, liberato dai laccioli del “patto di stabilità” imposto dall’Ue, e si accontentano di chiedere “più informatica” per smaltire le liste d’attesa negli ospedali.Anche per marcare il loro profilo identitario ecologista, i 5 Stelle segnalano l’importanza di una alimentazione sana nella prevenzione del cancro, ricordando che le ultime ricerche internazionali «le cattive abitudini alimentari sono responsabili di circa 3 tumori su 10», mentre per il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro «tra il 30 e il 40% dei tumori potrebbero essere evitati se solo adottassimo una dieta più sana». Di qui la richiesta di una maggiore educazione alla salute, verso un consumo più consapevole. E da parte dei redattori del documento programmatico – Giulia Grillo, Mirko Busto e Giovanni Endrizzi – non manca un’intemerata contro lo “Stato biscazziere”, che ha incaricato i monopoli di pianificare il gioco azzardo come un’industria di massa che coinvolge ormai 30 milioni di italiani, per poi riconoscere l’azzardopatia come una patologia da curare, salvo imporre ai concessionari non il divieto, ma l’obbligo di pubblicità. «Il boom dell’azzardo – scrivono i tre estensori – è avvenuto per una serie di fattori: la selvaggia liberalizzazione, la crisi economica, che ha spinto molte persone a sfidare la sorte per cercare una soluzione alla perdita di reddito, la massiccia pressione pubblicitaria e l’omissione di basilari controlli sulle ricadute sociali, sanitarie, l’infiltrazione criminale. Il programma del Movimento 5 Stelle vuole cambiare strada». Ma, s’intende, senza disturbare chi comanda davvero.I 5 Stelle, cioè il nulla, anche in tema di sanità: non una parola sui vaccini, nonostante il mostruoso decreto Lorenzin con 12 vaccinazioni obbligatorie, e nessuna ricetta in vista per “guarire” la sanità italiana. «Riteniamo che sia fondamentale investire più risorse», scrivono, sul blog di Beppe Grillo, condannando «quello che hanno fatto gli ultimi governi». Chiedono di «investire in aree della politica sanitaria che finora sono state marginali», come «la prevenzione primaria», che serve «a rimuovere le cause note di malattie», anche originate da inquinamento ambientale. Poi c’è il problema risorse umane, medici e infermieri, «che in questi anni sono stati vittime del blocco delle assunzioni proprio come elemento di politica di austerità che ha creato tantissimi disservizi, sacche di precariato, in alcuni casi addirittura sacche clientelari». Meglio invertire la rotta, dicono i pentastellati: «Bisogna investire risorse in questo settore e bisogna anche prepararsi al fatto che molti medici presto andranno in pensione e avremo un fabbisogno di medici specialisti molto alto».
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Il partito che non c’è: quello che direbbe tutta la verità
«Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli un po’ le unghie». Lo disse Olof Palme, grande leader socialdemocratico europeo, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier della civilissima Svezia, dove aveva imposto l’ingresso diretto dello Stato nell’economia per salvare industrie traballanti, assegnando addirittura ai lavoratori una quota azionaria. «Chi ha ucciso Palme voleva “uccidere” il socialismo in Europa: il leader svedese andava abbattuto per poter poi mettere in piedi un obbrobrio come l’attuale Eurozona», sostiene Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che collega l’omicidio Palme (tuttora senza colpevoli) a un telegramma con il quale Licio Gelli annunciò l’imminente “caduta” della “palma svedese” al parlamentare statunitense Philip Guarino, allora braccio destro del politologo supermassone Michael Ledeen, onnipresente nella politica italiana, tanto che – sempre secondo Carpeoro – affiancò «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». Carpeoro aderisce al Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, già maestro venerabile di una loggia romana del Grande Oriente d’Italia e poi Gran Maestro del Grande Oriente Democratico. Magaldi – sceso in campo a colpi di denunce contro gli abusi di certa massoneria internazionale neoaristocratica e in difesa e promozione della secolare tradizione progressista della libera muratoria – oggi invoca la nascita del “partito che non c’è”.«Chiedetevi come mai ci ritroviamo a domandarci, ogni volta, dov’è finita la politica seria, e perché è scomparsa», ripeteva anni fa Paolo Barnard, ricostruendo – nel saggio “Il più grande crimine” – la genesi dell’Eurozona in chiave economico-finanziaria ma soprattutto criminologica. L’accusa: una élite feudale pre-moderna e pre-democratica, travolta per due secoli dai progressivi successi della democrazia industriale, si sta semplicemente riprendendo tutto: in Europa ha rifondato una sorta di Sacro Romano Impero dove comandano politici non-eletti, a loro volta manovrati da una oligarchia finanziaria che ha imposto una moneta “privatizzata”, l’euro, con l’unico scopo di impoverire le popolazioni, trasferendo ricchezza dal basso verso l’alto. I politici che potevano opporsi sono stati eliminati (come Olof Palme) o più semplicemente “comprati”, cooptati, perché tradissero il loro mandato, il loro elettorato, i loro sindacati di riferimento. Applicarono alla lettera lo storico memorandum di Lewis Powell, adottato dalla Commissione Trilaterale per abbattere la sinistra sociale dei diritti, usando come clava il dogma del neoliberismo: il welfare deve finire, il potere deve tornare in mani neo-feudali come quelle che pilotano l’ordoliberismo germanico.Nel suo libro uscito nel 2014, “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi (che cita spesso Barnard) completa il quadro: i “campioni” dell’attuale élite, dalla Merkel a Draghi, sono tutti supermassoni affiliati a 36 Ur-Lodges internazionali. «Non sono veri massoni», precisa Carpeoro, «visto che hanno tradito i principi progressisti della massoneria». Magaldi preferisce chiamarli contro-iniziati. Ma ricorda che proprio alla libera muratoria si devono le istituzioni-cardine della modernità: democrazia, elezioni, Stato laico, suffragio universale. Il dono della Rivoluzione Francese, ispirata proprio da massoni. «Solo che poi siamo arrivati a Monti, a Napolitano. Anche Renzi ha bussato a quei circoli, ma non gli hanno aperto. In alternativa ci sarebbero i 5 Stelle, ma non hanno ancora spiegato cosa farebbero, una volta al governo». Sicché, torna in campo la suggestione del “partito che non c’è”, ma sarebbe tanto utile se ci fosse. Un partito che, ad esempio, avesse come frontman un economista di primissimo piano come Nino Galloni, allievo del professor Federico Caffè (come lo stesso Draghi, che però si laureò con una tesi sull’insostenibilità di una moneta unica europea). Galloni ha le idee chiarissime: sbattere la porta in faccia all’Ue, se non accetta di rivedere tutti i trattati-capestro, da Maastricht in poi. Un sogno? Certo, per ora sì: è il sogno del “partito che non c’è”.Negli anni ‘80, quando Olof Palme era ancora vivo, una corrente (non populista) scosse l’Europa: quella del movimento ambientalista, che poi crebbe velocemente “grazie” al disastro nucleare di Chernobyl. Nemmeno i Verdi della prima ora intendevano abbattere il capitalismo, ma solo “tagliargli le unghie”, precisamente quelle più “velenose”, in nome della salute di cittadini e lavoratori. Fu una piccola rivoluzione, anche culturale: prima di degradarsi, il movimento costrinse i paesi europei a dotarsi di legislazioni più “verdi”, più attente alla tutela dell’ambiente. Ma a prendere il sopravvento, in Italia, fu il ciclone Tangentopoli, che solo oggi – dopo oltre vent’anni – si vede cosa ha prodotto: da quella colossale “distrazione di massa” venne fuori il nuovo conio dell’Unione Europea, quella che ha ridotto la Grecia a paese del terzo mondo e ha privato l’Italia del 25% della sua produzione industriale, facendo ricomparire ovunque lo spettro della povertà. E i ruggenti 5 Stelle? Molti si sono stupiti del loro silenzio tombale sul decreto-monstre della ministra Lorenzin sui 12 vaccini obbligatori. Non Carpeoro: «L’unica speranza sta nella base dei 5 Stelle, che è fatta di persone pulite. Vedremo se avranno la forza di prevalere sugli attuali vertici, che sono collusi con il potere».Chiedetevi perché non ci sono più i politici di una volta, insiste Barnard. «Un minuto dopo l’istituzione dell’euro – aggiunge Carpeoro – lo stesso Craxi “profetizzò” che sarebbe stato l’inizio della fine, per l’Italia. Con lui, se lo potevano sognare di fare quel tasso di cambio, rispetto alla lira». Galloni, all’epoca, era in trincea: era stato chiamato nientemeno che da Giulio Andreotti, per tentare di limitare i danni attraverso una “guerra” da condurre al coperto, nel palazzo. «Telefonò l’allora cancelliere Kohl – ricorda – per chiedere che fossi rimosso: lottavo, per cercare di impedire la deindustrializzazione dell’Italia». Ma il piano era partito, inesorabilmente, ed era potentissimo. Banche, grande industria, think-tanks, lobby euro-atlantiche, élite franco-tedesche con frotte di politici, tecnocrati ed economisti di complemento. Morti e feriti, alla distanza: rigore, austerity, Monti e Napolitano, la Fornero. Barnard accusa anche D’Alema, uomo-record nelle privatizzazioni, come il suo alleato Romano Prodi, advisor della Goldman Sachs, e personaggi del calibro di Tommaso Padoa Schioppa e dello stesso Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo che chiuse il “bancomat” statale di Bankitalia prima ancora dell’avvento dell’euro, costringendo il paese a dipendere, di colpo, dal credito della finanza privata internazionale, trasformando il debito pubblico in un dramma.Gioele Magaldi segnala che, dal fronte progressista di quella stessa élite neo-massonica, provengono anche segnali di risveglio. Carpeoro “legge” l’inquietudine dell’élite “terrorista” che ora colpisce Londra e Manchester, temendo che il Regno Unito post-Brexit possa smarcarsi dal vertice neocon ultraliberista. Ma se qualcuno ha palpitato per le elezioni francesi, sognando una vittoria “sovranista” di Marine Le Pen, si è dovuto arrendere all’evidenza del supermassone Macron, protetto dal supermassone reazionario Jacques Attali (storico sodale di D’Alema, secondo Barnard). Quanto all’Italia, «rido per non piangere», chiosa Magaldi, tra gli inchini di Gentiloni ai potenti del G7: «I nostri partiti cianciano di legge elettorale “alla tedesca” per ingessare in eterno il sistema con un bell’abbraccio tra Renzi e Berlusconi, che pare piaccia anche a Grillo, dato che porrebbe di fronte alla comoda prospettiva di una nuova stagione di opposizione da “duro e puro”».Tutto ciò, senza una sola parola – da parte di nessuno – su come uscire dalla trappola di questa Ue. Servirebbe, appunto, il “partito che non c’è”. Quelli che ci sono, infatti, servono solo a lasciare l’Italia in letargo, in mezzo alle sue “irrisolvibili” tragedie economiche, che il mainstream si guarda bene dall’approfondire: Barnard (cofondatore di “Report”) è trattato come un appestato, e il libro di Magaldi (decine di migliaia di copie vendute) non ha avuto sinora spazi in tv. Il mainstream preferisce registrare gli slogan di Salvini, fotografare l’anziano Silvio che allatta agnellini, filmare l’ectoplasma di Renzi che si riprende l’ectoplasma del Pd. Il mainstream riesce a stare ancora ad ascoltare persino la controfigura di Bersani che straparla di sinistra dimenticando l’altro Bersani, quello vero, che militarizzò il Parlamento per far votare il pareggio di bilancio imposto dall’élite per tramite dei suoi commissari, Monti e Napolitano. Forse, il “partito che non c’è” è quello degli italiani, che ancora stazionano davanti al televisore godendosi questo spettacolo, mentre altrove i veri capi – gli unici – decidono, ancora e sempre, sulla testa di tutti.«Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli un po’ le unghie». Lo disse Olof Palme, grande leader socialdemocratico europeo, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier della civilissima Svezia, dove aveva imposto l’ingresso diretto dello Stato nell’economia per salvare industrie traballanti, assegnando addirittura ai lavoratori una quota azionaria. «Chi ha ucciso Palme voleva “uccidere” il socialismo in Europa: il leader svedese andava abbattuto per poter poi mettere in piedi un obbrobrio come l’attuale Eurozona», sostiene Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che collega l’omicidio Palme (tuttora senza colpevoli) a un telegramma con il quale Licio Gelli annunciò l’imminente “caduta” della “palma svedese” al parlamentare statunitense Philip Guarino, allora braccio destro del politologo supermassone Michael Ledeen, onnipresente nella politica italiana, tanto che – sempre secondo Carpeoro – affiancò «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». Carpeoro aderisce al Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, già maestro venerabile di una loggia romana del Grande Oriente d’Italia e poi Gran Maestro del Grande Oriente Democratico. Magaldi – sceso in campo a colpi di denunce contro gli abusi di certa massoneria internazionale neoaristocratica e in difesa e promozione della secolare tradizione progressista della libera muratoria – oggi invoca la nascita del “partito che non c’è”.
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“Danni da vaccini? Niente paura, paga il ministro Lorenzin”
«Niente paura, i vaccini sono sicuri. Tant’è vero che, se dovessero sorgere problemi di salute in seguito all’inoculo, ne risponderei personalmente io, Beatrice Lorenzin, il vostro ministro». Scherzi a parte: se la sentirebbe, la Lorenzin, di firmare un documento del genere, rivolto ai milioni di genitori che ora il governo Gentiloni costringe a far super-vaccinare i figli, con ben 12 vaccinazioni obbligatorie (caso unico al mondo), sotto pena di sanzioni pesantissime, fino alla revoca della patria potestà? E’ quello che si domanda Massimo Mazzucco, che ha steso una “lettera aperta al ministro della salute”, nella quale invita la Lorenzin a sottoscrivere una garanzia di assoluta incolumità per i bambini, anche neonati, che – in virtù del clamoroso decreto d’urgenza di Palazzo Chigi – dovranno essere sottoposti a un piano di super-vaccinazione che non ha precedenti nella storia dell’umanità, nonostante le enormi perplessità che, in ambito medico-scientifico, stanno crescendo sui vaccini: molti dei quali appaiono inutili, alcuni probabilmente anche nocivi a causa delle sostanze neuro-tossiche in essi contenuti.«Gentile Ministro Lorenzin», esordisce Mazzucco, «lei condivide, insieme a gran parte dell’accademia scientifica, la posizione che “i vaccini sono sicuri”, e che “non esiste correlazione fra vaccini pediatrici e gravi disordini di tipo neurologico, come ad esempio l’autismo o altre malattie dello sviluppo”». E ora, continua Mazzucco su “Luogo Comune”, sempre rivolgendosi alla Lorenzin, «il suo governo vuole introdurre l’obbligatorietà vaccinale a livello nazionale, triplicando nel contempo il numero dei vaccini obbligatori». E dato che «l’imposizione di un obbligo di questo tipo comporta anche delle responsabilità da parte di chi lo impone», sottolinea Mazzucco, «la invitiamo a dimostrare con i fatti ciò che finora ha sostenuto a parole, firmando pubblicamente la dichiarazione che segue». Eccola: “Io sottoscritta Beatrice Lorenzin, in qualità di ministro della salute della repubblica italiana, mi assumo personalmente ogni reponsabilità che potesse derivare dall’inoculazione vaccinale obbligatoria ad un qualunque bambino italiano, qualora questo bambino dovesse subire dei gravi danni di tipo neurologico, certificati da un tribunale della repubblica italiana, in seguito a tale inoculazione”.In questo modo, continua Mazzucco, «non solo potrà rassicurare tutte le mamme italiane che oggi si preoccupano per la salute dei propri figli, ma potrà anche fugare il diffuso sospetto che l’introduzione dell’obbligo vaccinale (con contemporanea triplicazione del numero minimo) non sia affatto una esigenza di tipo sanitario, ma piuttosto un grosso regalo fatto dal nostro governo alle case farmaceutiche». E a proposito: ogni volta che la ministra ripete pubblicamente che “i vaccini saranno gratuiti”, «si ricordi anche di specificare che saranno certamente gratuiti per chi effettua la vaccinazione, ma che il costo di tali vaccinazioni sarà comunque pagato alle case farmaceutiche dallo Stato italiano, e quindi da tutti noi cittadini», conclude Mazzucco. «Da una parte quindi ci obbligate a vaccinarci, e dall’altra ci obbligate a pagare, con i soldi delle nostre tasse, il conto – triplicato – alle case farmaceutiche».«Niente paura, i vaccini sono sicuri. Tant’è vero che, se dovessero sorgere problemi di salute in seguito all’inoculo, ne risponderei personalmente io, Beatrice Lorenzin, il vostro ministro». Scherzi a parte: se la sentirebbe, la Lorenzin, di firmare un documento del genere, rivolto ai milioni di genitori che ora il governo Gentiloni costringe a far super-vaccinare i figli, con ben 12 vaccinazioni obbligatorie (caso unico al mondo), sotto pena di sanzioni pesantissime, fino alla revoca della patria potestà? E’ quello che si domanda Massimo Mazzucco, che ha steso una “lettera aperta al ministro della salute”, nella quale invita la Lorenzin a sottoscrivere una garanzia di assoluta incolumità per i bambini, anche neonati, che – in virtù del clamoroso decreto d’urgenza di Palazzo Chigi – dovranno essere sottoposti a un piano di super-vaccinazione che non ha precedenti nella storia dell’umanità, nonostante le enormi perplessità che, in ambito medico-scientifico, stanno crescendo sui vaccini: molti dei quali appaiono inutili, alcuni probabilmente anche nocivi a causa delle sostanze neuro-tossiche in essi contenuti.
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Rivolta legale: 12 vaccini imposti da un ministro in vendita
Rivolta legale contro il decreto-mostro che prescrive l’obbligatorietà dei 12 vaccini: lo Stato non ha il diritto di imporre una tale restrizione della libertà, senza dare adeguate spiegazioni. «Spero che il decreto-legge venga boicottato: consiglio i genitori di costituirsi in una o più associazioni, con eserciti di avvocati, per sottrarsi all’eventuale decreto, ove venisse convertito in legge». Obiezione di coscienza, contro i nuovi 12 vaccini obbligatori: a lanciare l’appello è l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, autore di clamorose denunce come quelle contenute nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. «Io non sono un anti-vaccinista», premette: «L’obbligatorietà del vaccino non è uno scandalo». Ma, aggiunge Carpeoro, «l’imposizione deve avere una motivazione: legata al tipo di malattia infettiva, al tipo di ambiente, al tipo di frequentazioni dei soggetti. Se ci sono queste premesse, lo Stato ha il diritto di chiedere l’obbligatorietà. Se non ci sono, lo Stato questo diritto non ce l’ha». Né si stupisce, Carpeoro, dell’improvvisa accelerazione sui vaccini, evidentemente suggerita dai businessman di Big Pharma a Beatrice Lorenzin: «Si sono comprati un ministro in vendita».Secondo Carpeoro, in collegamento web-video con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’attuale titolare del dicastero della salute è un ministro “in vendita”: «Mancava solo che la mettessero nelle vetrine, col prezzo: saldi di fine stagione». E spiega: la Lorenzin nasce con Forza Italia, fedelissima di Berlusconi. «Era la “cocca”, l’allieva di un senatore di Forza Italia piuttosto prestigioso. Poi si schiera con Marcello Pera, ma quando Pera si dissocia da Berlusconi, lei resta con Berlusconi perché preferisce la cuccia calda». Presente nel governo delle “larghe intese” guidato da Enrico Letta, «si sarebbe dovuta dimettere perché l’allora “Popolo delle libertà” si stava spaccando, dissociandosi dal gran governone». Ma la Lorenzin, di fronte alla possibilità di dimettersi da sottosegretario «rimanendo coerente politicamente» ha preferito restare, aderendo al gruppo di Alfano. «E adesso, siccome Alfano fa un po’ i capricci, ha scaricato pure lui. E’ proprio un ministro in vendita, politicamente». E’ in vendita tutto il governo Gentiloni? «No, perché il questo caso l’obbligo dei 12 vaccini sarebbe già passato. E invece, come vediamo, sta incontrando delle difficoltà. Quindi per ora il governo non se lo sono comprato».Carpeoro non si stupisce neppure dell’assordante silenzio della politica: nessun partito, nemmeno i 5 Stelle, sta facendo le barricate. «I vertici dei 5 Stelle sono giustizialisti ma comunque collusi con precisi gruppi di potere», accusa Carpeoro. Per contro, la base dei grillini «è invece è fatta di gente pulita, convinta: al contrario di quella degli altri partiti, che è fatta di gente che chiede il posto per il figlio», al di là di esigue «minoranze in buona fede, vecchi compagni che andavano alle feste dell’Unità». E se i vertici di tutti i partiti non protestano per un’aberrazione come il super-decreto sui vaccini, «magari forse qualcuno si accorgerà, adesso, della mancanza di un uomo come Pannella, capace di cavalcare battaglie scomode». Carpeoro lo ricorda come «un illuminista, un uomo del Settecento», che in più aveva «un rispetto assoluto per la scienza», e quindi «non sarebbe mai stato un anti-vaccinista». Ma, al tempo stesso, «non si farebbe mai fatto imporre per decreto il “dodecavaccino”, mai e poi mai: aveva troppa considerazione della libertà individuale e dei diritti del cittadino». Il guaio dell’Italia? «Si è spaccata tra chi non vuol fare nessun vaccino e chi accetta di farne 50. E nessuno che pretenda di andare a rivedere l’intera filiera: come vengono prodotti i vaccini, che controlli ci sono, come lo Stato può pretenderne l’obbligatorietà».Questo è il punto, per Carpeoro: «Non sono state verificate le premesse, non abbiamo ancora capito in base a quale principio la commissione della sanità abbia scelto questi 12 vaccini: non si capisce niente». E attenzione: «Quando lo Stato limita la libertà individuale ha un obbligo di maggior chiarezza nei confronti dei cittadini. Se mi impone di fare una puntura a mio figlio, mi deve dire tutto. Io non sono contrario alla puntura per principio, ma mi deve spiegare tutto, e mi deve dire anche chi la controlla, la puntura, chi ha controllato quella produzione, altrimenti non ci siamo». Ovvio che i cittadini siano diffidenti: «Viviamo in uno Stato dove hanno messo “monnezza” nel fare le strade, così i ponti stanno crollando». Di qui l’appello ai cittadini, per una battaglia legale: «Servono associazioni che non abbiano una posizione anti-vaccinista, ma che abbiano una posizione rigorosa di verifica e controllo dei presupposti democratici e civili necessari per fare delle imposizioni. Se il fronte non è anti-vaccinista ma li mette spalle al muro sulle reali responsabilità e sui reali obblighi nei confronti dei cittadini, la partita si apre: esistono le corti europee dei diritti dell’uomo, gli organismi internazionali».Per Carpeoro, vanno riviste integralmente le regole: il procedimento amministrativo e la verifica tecnico-sanitaria attraverso cui si stabilisce l’obbligatorietà dei vaccini. «Se lo Stato accerta con correttezza che ci sono presupposti di interesse di igiene pubblica per fare attività di prevenzione su alcuni tipi di malattie, io sono d’accordo sull’obbligatorietà. Ma questo non può essere fatto come è stato fatto finora, non può andare avanti così. E soprattutto, nel momento in cui si limita la libertà del cittadino, la trasparenza e la nitidezza delle procedure dev’essere totale, insieme all’assoluta correttezza della gestione», sottolinea Carpeoro. «Questo è il prezzo del limitare la libertà dei cittadini: se al cittadino limiti la libertà, il motivo glielo devi spiegare in tutti i modi, in tutte le lingue – non glielo devi imporre senza spiegazioni. Altrimenti, tu il diritto di limitare la libertà dei cittadini non ce l’hai: con la scarsa trasparenza, lo perdi». In parallelo, Carpeoro condanna «la coglionaggine di un certo tipo di complottismo, per la quale cominci a gridare contro 6 vaccini e poi te ne ritrovi 12. Perché, se non chiedi cose giuste e precise, chi è in malafede ti risponde raddoppiando l’errore».Che fare? «Chiedere controlli, chiedere che le associazioni dei genitori possano controllare i controllori». E senza cadere nel “negazionismo cieco”, che pretende di liquidare come spazzatura della storia anche vaccini come quelli che hanno debellato malattie come il vaiolo e la poliomielite. «Non si può essere negazionisti: è grazie a loro, se adesso ci troviamo il “dodecavaccino”. Se continuano così ce ne faranno 24, e sempre senza controlli sufficienti, così come purtroppo avviene oggi». Ma per agire con successo, conclude Carpeoro, occorre serietà: «Bisogna che il contrappeso democratico sia serio, perché le cose da buffoni non funzionano. Occorre intelligenza, perché la prima prova dell’esistenza di uno Stato (e di un popolo) sta in questo: quanto lo Stato rispetta i diritti? E quanto il popolo, quando lo Stato non li rispetta, se li fa rispettare legittimamente? Gli Stati funzionano solo se funzionano anche i cittadini. Se i cittadini non funzionano, non funzionano nemmeno gli Stati».Rivolta legale contro il decreto-mostro che prescrive l’obbligatorietà dei 12 vaccini: lo Stato non ha il diritto di imporre una tale restrizione della libertà, senza dare adeguate spiegazioni. «Spero che il decreto-legge venga boicottato: consiglio i genitori di costituirsi in una o più associazioni, con eserciti di avvocati, per sottrarsi all’eventuale decreto, ove venisse convertito in legge». Obiezione di coscienza, contro i nuovi 12 vaccini obbligatori: a lanciare l’appello è l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, autore di clamorose denunce come quelle contenute nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. «Io non sono un anti-vaccinista», premette: «L’obbligatorietà del vaccino non è uno scandalo». Ma, aggiunge Carpeoro, «l’imposizione deve avere una motivazione: legata al tipo di malattia infettiva, al tipo di ambiente, al tipo di frequentazioni dei soggetti. Se ci sono queste premesse, lo Stato ha il diritto di chiedere l’obbligatorietà. Se non ci sono, lo Stato questo diritto non ce l’ha». Né si stupisce, Carpeoro, dell’improvvisa accelerazione sui vaccini, evidentemente suggerita dai businessman di Big Pharma a Beatrice Lorenzin: «Si sono comprati un ministro in vendita».
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Superlavoro e licenziamenti, la Cgil vi condanna al peggio
Con la firma dei contratti del commercio e dei bancari la Cgil, fieramente schierata contro il Jobs Act, lo ha nei fatti sottoscritto, applicato e persino interpretato creativamente. Il contratto del terziario peggiora i due contratti precedenti che la Cgil aveva avuto il coraggio di non sottoscrivere. Si potrebbe fare un elenco di tante piccole e grandi angherie verso i lavoratori che vengono confermate, ma credo basti sottolineare che il lavoro domenicale diventa regola e obbligo. Particolare attenzione è stata poi rivolta alla clausola di flessibilità, che consente all’impresa di obbligare il lavoratore a lavorare 44 ore settimanali per 16 settimane senza neanche pagargli lo straordinario. Con 5 milioni di disoccupati, aumentare l’orario di lavoro è proprio una bella sensibilità sociale, ma c’è di peggio. A livello aziendale o territoriale sarà possibile concordare orari di 48 ore per 24 settimane in un anno. Metà dell’anno si lavorerà con gli orari previsti dalla legge del 1923, senza neppure che sia riconosciuto lo straordinario.La Cgil nel passato si arrabbiò molto con il ministro berlusconiano Sacconi che aveva promosso il regime delle deroghe aziendali ai contratti nazionali. Ora sottoscrive una doppia deroga sugli orari di lavoro, realizzando un altro punto della famosa lettera di Draghi e Trichet, che nel 2011 dettarono ciò che si doveva fare in Italia per obbedire alla Troika. Il Jobs Act prevede il demansionamento, cioè la possibilità per la aziende di degradare i lavoratori. Il contratto del commercio lo permette in via anticipata, cioè si potranno assumere a termine disoccupati con due qualifiche al di sotto della mansione effettivamente svolta. Cosa non si fa pur di dare lavoro, Poletti e i supermercati sono commossi. Naturalmente gli enti bilaterali, cioè gli strumenti del peggiore consociativismo sindacale, e mi fermo qui, vengono rafforzati. Quello di fare enti è l’unico diritto che resta, perché è dei sindacati e non dei lavoratori. Se il contratto del commercio è soprattutto il veicolo di ogni flessibilità a carico di chi lavora, quello dei bancari corre in soccorso di una esigenza di fondo delle imprese, quella di tagliare il personale e ristrutturarsi con meno costi possibili. Uno privilegia la flessibilità in entrata, l’altro quella in uscita, ma la logica è sempre la stessa.Tutti sappiamo che la politica economica dei governi italiani ed europei ha un occhio di particolare riguardo per il sistema bancario, che viene sostenuto in tutti i modi con i nostri soldi. Lo stesso sostegno ai poveri banchieri lo fornisce per la sua parte l’accordo appena sottoscritto. Le banche potranno più serenamente licenziare, perché assumono l’impegno di prendere in considerazione i licenziati per eventuali nuove assunzioni. Hanno il via libera per le terziarizzazioni in tante belle newco, realizzate magari con la fusione di quelle banche popolari scalabili grazie alla riforma di Renzi. Si riducono i costi e il valore delle liquidazioni dei dipendenti così le banche risparmiano, ma per dare un contentino si afferma che i lavoratori dismessi in nuove società continueranno ad avere l’articolo 18. E qui c’è una mela avvelenata, perché con questa clausola il contratto dei bancari riconosce di fatto il rapporto di lavoro a tutele crescenti. Se infatti si esclude di applicarlo ai terziarizzati e solo a quelli, si accetta che sia pienamente applicabile a tutti gli altri che verranno assunti. Come sempre le eccezioni confermano la regola.È questa la realizzazione di quanto il gruppo dirigente della Cgil aveva promesso nelle piazze del 12 dicembre scorso? La lotta al Jobs Act si riduce a individuare le persone esentate dai suoi danni? Questi contratti distruggono bel po’ di diritti in cambio di un aumento di 85 euro lordi distribuiti su diversi anni. Un aumento mensile di 13 euro netti nella busta paga ogni anno non mi pare uno scambio equo rispetto a ciò che i lavoratori restituiscono. In effetti per un dipendente di un grande magazzino e di una banca sarebbe molto più conveniente vedersi prolungare il contratto precedente con zero aumenti, piuttosto che un rinnovo come questo. E infatti sono le aziende che festeggiano gli accordi. Perché allora i grandi sindacati firmano queste porcherie? Semplice, lo fanno per sopravvivere come grandi organizzazioni burocratiche, ma questo loro modo d’agire finisce proprio per rafforzare Renzi e le sue politiche.Non so se Landini si riferisse ad accordi come questi quando ha parlato di crisi sindacale, però non l’ho sentito contestare una frottola che oggi va per la maggiore e che serve a giustificare le politiche di flessibilità e precarietà. In ogni talkshow ad un certo punto c’è chi afferma che la colpa principale delle grandi confederazioni sia quella di difendere i sindacalizzati e non i precari. È falso. Cgil, Cisl e Uil in questi anni hanno firmato accordi che progressivamente hanno ridotto i diritti dei propri rappresentati, e per questo non hanno difeso neanche i precari. Come facevano ad estendere ciò a cui un po’ alla volta rinunciavano? Oggi più che mai il lavoro in tutte le sue forme ha bisogno di organizzarsi in sindacato per difendersi. Ma il sindacato che serve non è certo quello che firma contratti come quelli del commercio e dei bancari. No, quei sindacati che senza un minuto di sciopero firmano la resa e poi affermano di avere vinto fanno solo danno. Per ricostruire i diritti del lavoro ci vogliono organizzazioni e strategie diverse da quelle che ci hanno portato sino al disastro attuale.(Giorgio Cremaschi, “La finta opposizione della Cgil che firma il Jobs Act”, da “Micromega” del 2 aprile 2015).Con la firma dei contratti del commercio e dei bancari la Cgil, fieramente schierata contro il Jobs Act, lo ha nei fatti sottoscritto, applicato e persino interpretato creativamente. Il contratto del terziario peggiora i due contratti precedenti che la Cgil aveva avuto il coraggio di non sottoscrivere. Si potrebbe fare un elenco di tante piccole e grandi angherie verso i lavoratori che vengono confermate, ma credo basti sottolineare che il lavoro domenicale diventa regola e obbligo. Particolare attenzione è stata poi rivolta alla clausola di flessibilità, che consente all’impresa di obbligare il lavoratore a lavorare 44 ore settimanali per 16 settimane senza neanche pagargli lo straordinario. Con 5 milioni di disoccupati, aumentare l’orario di lavoro è proprio una bella sensibilità sociale, ma c’è di peggio. A livello aziendale o territoriale sarà possibile concordare orari di 48 ore per 24 settimane in un anno. Metà dell’anno si lavorerà con gli orari previsti dalla legge del 1923, senza neppure che sia riconosciuto lo straordinario.