Archivio del Tag ‘paranoia’
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Quelle strane morti nella campagna elettorale della Clinton
La campagna della Clinton è lastricata di morti sospette: gente che avrebbe potuto parlare contro di lei? In più, Hillary è regolarmente accompagnata da un uomo obeso che sembra il suo assistente medico. In una foto, l’obeso tiene in mano un auto-iniettore di Diazepam: nome commerciale “Valium”, è un farmaco indicato nel trattamento di ansia, insonnia, paranoie, persino allucinazioni e spasmi muscolari di varia gravità, fino alla sclerosi multipla. La candidata democratica, scrive Maurizio Blondet, ha subito un ictus nel 2013, per il quale sembra venga trattata con anticoagulanti. Il web s’è scatenato in diagnosi ipotetiche, che vanno dall’epilessia ad altre malattie neurologiche o cardiovascolari (fino alla sifilide, che avrebbe contratto dal marito). «Spesso la signora è confusa e si abbandona a movimenti spastici del capo; fa fatica a salire una piccola rampa di scale e inciampa spesso; ha talora una tosse convulsa o nervosa: che la candidata abbia problemi di salute che si aggravano, non pare dubbio», anche se i media fingono di non accorgersene. La cosa però non è sfuggita a Donald Trump, che ripete: “low energy”, Hillary è troppo debole per reggere una semplice conferenza stampa. Non ne tiene più da ben 7 mesi, infatti.Letteralmente, continua Blondet nel suo blog, Hillary non fa che dormire. E ha un dottore che la segue continuamente. Si chiama Oladotun Okunola, è un afroamericano corpulento. L’hanno ripreso mentre le mette una mano sulla spalla e le dice: “keep talking”, inizia pure a parlare. Un uomo dei servizi? Quella volta, «la Clinton si è ripresa e ha detto in tono semi-isterico, a voce molto alta, “here we are, I keep talking”, eccoci, ora parlo. Una candidata solo in parte padrona di sé? Ma il peggio, scrive Blondet, è quella che definisce la «inquietante lista di morti attorno alla campagna di Hillary: persone che per qualche motivo potevano rovinargliela». Il primo era l’avvocato Shawn Lucas, incaricato dai sostenitori di Bernie Sanders di querelare Debbie Wasserman Schultz, presidente della Convention democratica, dopo la fuga delle email in cui costei mostrava di favorire Hillary sul candidato Sanders – ragion per cui la Wasserman Schultz ha dovuto dimettersi. Il 2 agosto, l’avvocato Lucas è stato trovato morto nel bagno di casa dalla sua fidanzata. Sulle cause della morte le autorità non hanno dichiarato nulla.Il secondo uomo si chiama Seth Rich. Era direttore del Voter Expansion Data dei democratici. E’ stato ucciso da vari colpi di pistola alla schiena a due passi da casa. L’omicidio, annota Blondet, è avvenuto dopo che Wikileaks aveva spifferato le 20.000 email che provano che il Dnc, la struttura elettorale democratica, stava favorendo Hillary contro Sanders: e Seth Rich, per le sue mansioni, poteva essere lo spifferatore. Per la polizia è stato un tentativo di rapina finito tragicamente. Ma sul corpo della vittima c’erano ancora portafoglio e orologio. C’è poi il caso di Victor Thorn, giornalista, che sulla “American Free Press” (un periodico di destra estremamente ben informato) ha firmato decine di articoli-inchiesta contro il clan Clinton e i suoi segreti più oscuri; tre suoi saggi – una trilogia, “Crowning Clinton: Why Hillary Shouldn’t Be in the White House” – stavano per essere tradotti all’estero. Ma il 1° agosto Thorn è stato trovato morto, anche lui ucciso da un colpo di pistola presso casa. Suicidio, ha decretato la polizia.E poi Joe Montano, presidente del Dnc prima di Debbie Wasserman Schultz. Dopo che Wikileaks a diffuso le 20.000 email dello scandalo – scrive Blondet – Montano è morto improvvisamente il 25 luglio scorso. «Attacco cardiaco, è stato decretato: a 47 anni e nessuna storia di malattie». Infine la lista delle strani morti si completa con John Ashe, già presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: stava per essere sottoposto a un processo per aver accettato mazzette da un ricco cinese, Ng Lap Seng, nel 1996. «Seng aveva fatto donazioni illegali per la rielezione di Bill Clinton; Ashe avrebbe certamente dovuto testimoniare sui legami tra il cinese e i Clinton». E’ morto il 23 giugno scorso, il giorno stesso in cui avrebbe testimoniato. Secondo la polizia, stava sollevando un pesante bilancere da ginnastica ma se l’è fatto cadere addosso, e – sfortuna – l’attrezzo gli ha schiacciato la gola. «Cose che succedono», commenta Blondet, sarcastico. Che aggiunge: ad un comizio di Hillary vicino a Orlando, è apparso al suo fianco Seddique Mateen, il padre di Omar Mateen, protagonista della strage del 12 giugno in quella città. Ai giornalisti che gli hanno domandato come mai fosse al comizio, a soli due mesi dalla tragedia, papà Mateen ha risposto: «Hillary Clinton è buona per gli Stati Uniti, al contrario di Trump che non offre soluzioni».La campagna della Clinton è lastricata di morti sospette: gente che avrebbe potuto parlare contro di lei? In più, Hillary è regolarmente accompagnata da un uomo obeso che sembra il suo assistente medico. In una foto, l’obeso tiene in mano un auto-iniettore di Diazepam: nome commerciale “Valium”, è un farmaco indicato nel trattamento di ansia, insonnia, paranoie, persino allucinazioni e spasmi muscolari di varia gravità, fino alla sclerosi multipla. La candidata democratica, scrive Maurizio Blondet, ha subito un ictus nel 2013, per il quale sembra venga trattata con anticoagulanti. Il web s’è scatenato in diagnosi ipotetiche, che vanno dall’epilessia ad altre malattie neurologiche o cardiovascolari (fino alla sifilide, che avrebbe contratto dal marito). «Spesso la signora è confusa e si abbandona a movimenti spastici del capo; fa fatica a salire una piccola rampa di scale e inciampa spesso; ha talora una tosse convulsa o nervosa: che la candidata abbia problemi di salute che si aggravano, non pare dubbio», anche se i media fingono di non accorgersene. La cosa però non è sfuggita a Donald Trump, che ripete: “low energy”, Hillary è troppo debole per reggere una semplice conferenza stampa. Non ne tiene più da ben 7 mesi, infatti.
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Nazi-medicine, la chemioterapia e gli altri 7 farmaci letali
«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.Pensateci. Non esiste alcuna altra ragione per la quale le aziende farmaceutiche statunitensi dovessero impiegare assassini di massa condannati per occupare le posizioni più alte in Bayer, Basf e Hoechst. Fritz ter Meer, condannato per omicidio di massa, ha scontato solo 5 anni in prigione, dopo i quali è comodamente diventato il presidente del consiglio di sorveglianza della Bayer (sì, quella Bayer che fabbrica i medicinali per bambini nonché la famosa aspirina). Carl Wurster della Basf contribuì a creare il gas Zyklon-B, il potente pesticida utilizzato per giustiziare milioni di ebrei – questo mostro è andato a lavorare sulla chemioterapia, la più grande truffa medica del secolo. Kurt Blome, che partecipò all’uccisione di ebrei tramite “macabri esperimenti”, fu reclutato nel 1951 dalla divisione chimica dell’esercito Usa per lavorare sulla guerra chimica. Capite?In altre parole, i malefici semi di Big Pharma, che la Fda chiama medicina, sono stati piantati inizialmente negli Stati Uniti 65 anni fa. Molti degli “scienziati pazzi” che torturarono esseri umani innocenti durante l’Olocausto sono stati impiegati e promossi dai presidenti americani per spingere con forza la cosiddetta “medicina occidentale”, il cui scopo ultimo è la creazione di malattia e la cura dei suoi sintomi per profitto. Ascoltate bene, amici, perché questi sono gli 8 farmaci più pericolosi sul pianeta Terra. Si chiama “Guerra contro i deboli”.#1. Ssri (Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, ndt) – altamente sperimentali, nessuna prova di sicurezza o efficacia, possono bloccare completamente la serotonina portando a pensieri suicidi e persino ad atti omicidi e suicidi orrendi.#2. Vaccino Mpr (morbillo, parotite, rosolia) – associato ad autismo e ad altri disordini del sistema nervoso centrale e ad una miriade di problemi di salute. Quando il virus vivo del morbillo entra nel corpo, il sistema immunitario è seriamente compromesso, ed altri adiuvanti chimici ed ingredienti geneticamente modificati attaccano l’organismo del bambino causando esiti permanenti e talvolta fatali.#3. Vaccino antinfluenzale – contiene fino a 50.000 parti per miliardo (ppb) di mercurio, oltre a formaldeide, glutammato monosodico (Gms) e alluminio. Può causare interruzioni di gravidanza e aborti spontanei.#4. Antibiotici – distruggono la flora batterica intestinale benefica e quindi indeboliscono gravemente il sistema immunitario. I medici prescrivono antibiotici impropriamente per le infezioni virali peggiorando ulteriormente la situazione!#5. Vaccino anti-Hpv (papillomavirus umano) – noto per mandare le ragazzine in shock anafilattico e coma. Migliaia di famiglie hanno citato in giudizio i produttori per milioni di dollari per danni alla salute cronici e permanenti.#6. Chemioterapia – devasta il sistema immunitario e spesso porta allo sviluppo di nuovi tumori, specialmente del sangue. Gli scienziati nazisti sapevano negli anni ‘50 che la chemioterapia fa regredire solo temporaneamente il cancro, per ripresentarsi con maggior forza in altre parti del corpo! (Anche qui, la medicina occidentale definisce questo un successo).#7. Vaccino antirotavirus “RotaTeq” – il vaccino (orale) estremamente nocivo contiene ceppi virali ivi (G1, G2, G3, G4 e P1), insieme all’altamente tossico polisorbato 80 e siero bovino fetale. Contiene inoltre frammenti di circovirus porcino – un virus che infetta i maiali.#8. Vaccino antipolio (orale e iniettato) – È un fatto nudo e crudo e spaventoso che milioni di americani siano stati inoculati con il cancro contenuto nel vaccino antipolio. Non solo, le versioni orale e nasale del vaccino hanno diffuso la polio in India e lasciato molti bambini paralizzati a vita.Certo, le persone sono paranoiche riguardo alle malattie infettive e per un motivo ben preciso. L’industria medica americana ha esacerbato i peggiori casi registrati, per spaventare a morte tutti quanti affinché si facciano iniettare i loro carcinogeni per “protezione”. Questo è un racket ed è illegale, ma i produttori di vaccini sono immuni alle cause, protetti da un enorme fondo nero e dal loro tribunale segreto. Se voi o vostro figlio venite gravemente danneggiati dai vaccini, non potete citare il produttore del vaccino. Dovrete portare il caso all’Office of Special Masters della U.S. Court of Federal Claims, comunemente definito il segretissimo “Tribunale dei vaccini”. Questo “tribunale” corrotto gestisce un programma di risarcimento senza colpa (sì, avete letto bene), che funziona come tribunale alternativo ai vostri diritti costituzionali. Fu creato fin dal 1986, dopo che le aziende farmaceutiche persero enormi profitti in cause legali di alto profilo dovute a vaccini che avevano causato gravi danni a un certo numero di bambini, i quali ebbero convulsioni e danno cerebrale in seguito al vaccino Dtp (difterite-tetano-pertosse, ndt). Prima ancora di valutare se ingoiare o iniettarvi un’altra volta tossine chimiche chiamate “medicina”, andate almeno da un medico naturopata e scoprite se il vostro problema di salute ha una base alimentare, perché è molto probabile che sia così.(S.D.Welss, “Gli 8 farmaci più pericolosi del pianeta: ne state prendendo qualcuno?”, da “Naturalnews” del 30 giugno 2016, tradotto da Emanuela Lorenzi per “Come Don Chisciotte”).«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.
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Riparare il sistema: noi, prigionieri di illusioni (magiche)
Ci troviamo in una crisi del sistema, che potrebbe farlo cadere, o semplicemente in una ordinaria crisi nel sistema, oppure (peggio ancora) in una crisi progettata e prodotta dal sistema per perfezionarsi e perpetuarsi? E poi: il genere umano può essere portato ad accettare condizioni di vita tali da farlo regredire a livelli subumani, o da farlo estinguere, in modo che si scongiuri il disastro ecologico? Il capitalismo finanziario digitalizzato e globalizzato tende a smaterializzare ogni bene, merce, servizio, anche gli esseri umani, traducendoli in valori finanziari, ciè in simboli, in numeri, e a metterli online per moltiplicare il profitto contabile che esso per sua natura persegue, ignorando tutto il resto. Il cambiamento consisterà nell’essere tradotti in bits, bites e figures? Che altre trasformazioni ci saranno imposte per renderci idonei a questa traduzione? E che ragion d’essere resterà alla nostra vita biologica, dopo che questa smaterializzazione sarà state eseguita?La logica impellente della massimizzazione del profitto, sostiene Marco Della Luna, non ammette limiti nemmeno morali alla mercificazione di ogni cosa esistente o “esistibile” (futures), né ammette diritti inalienabili, quindi una natura umana (giuridica, genomica) intangibile, un uomo portatore di diritti incondizionati, «perché di ciò che è incondizionato non si può fare trading, e ciò di cui non si può far trading non può generare profitto». Convertire il capitalismo per renderlo solidale con l’umanità e l’ambiente? Pura utopia. Nel libro “Neuroschiavi”, scritto con Della Luna, lo psichiatra Paolo Coni scrive: «Sono un grave paranoico e sto da anni pensando di mettere su un piano per assoggettare tutta la popolazione mondiale ai miei voleri». Un decalogo agghiacciante. Primo, «drogare la popolazione con sostanze d’abuso e farmaci». Poi, «diminuire il Qi generale favorendo programmi d’intrattenimento di massa demenziali, “divertendo” attraverso la solleticazione di impulsi primordiali». Bisogna «distruggere ogni riferimento a tradizioni, cultura e religione, sbandierando, per prevenire obiezioni, che mi sto occupando di favorire la “cultura” della popolazione».E bisogna «distruggere la scuola, riempiendola di contenuti “alternativi” che confondono sugli obiettivi da raggiungere e fare screening psicologico-psichiatrici nelle scuole per individuare bambini disturbati da “normalizzare». Poi occorre «rendere insicura la popolazione facendola invadere da masse informi e incontrollate, non integrabili», e al tempo stesso «fare proclami di integrazione e di accoglienza impossibili da gestire e, mentre la popolazione si sente invasa e impaurita, farla sentire ancora più insicura sbandierando l’apertura dei confini indiscriminata». Economia: «Dopo aver fatto assaporare un periodo di benessere economico teso alla spesa incontrollata, con il denaro che ha sostituito i precedenti valori, provocare una “crisi” economica senza fine dove la popolazione fa fatica a tirare avanti e non ha più valori sostitutivi al denaro, che viene a mancare». Tutto questo, mentre si mostra «gente viziata e ricchissima che guadagna stipendi da mille e una notte per tirare due pedate o cantare una canzoncina, o occuparsi del nostro bene pubblico».Bisogna anche «distruggere quel che resta della famiglia, logorata da anni di leggi contrarie ad incentivarla e da un’ideologia del godimento che l’ha minata culturalmente, rendendola un optional arcobalenato». Infine, conviene «introdurre norme sempre più restrittive della libertà di pensiero, in nome della “democrazia”», e naturalmente «distruggere l’identità di genere fino dalle scuole, confondendo le idee su quelle che sono le basi della personalità individuale». Bisogna anche essere rassicuranti, ricorda Della Luna: «Se c’è un problema di cui manca una soluzione, o non parli del problema, o inventi una soluzione bella, desiderabile, confortante e almeno astrattamente possibile, per quanto irrealistica, o non “falsificabile” – ad esempio, una soluzione “spirituale”». La tua ostentata sicurezza sarà manna, per i clienti: «Avranno un bisogno permanente delle tue prestazioni per stare bene, per vincere, temporaneamente, la paura e la frustrazione». Oggi, infatti, «di fronte a problemi molto grandi, gravi e minacciosi, da cui ci si sente sovrastati, si tende ad accettare soluzioni e speranze irrazionali, inverificabili, o anche magico-religiose». Così, ci abbandoniamo a pericolose illusioni, scrive Della Luna in un post che riprende una recente conferenza.«Quando l’uomo si sente insoddisfatto, in pericolo e sfiduciato, anche delle proprie capacità di analisi razionale, tende a rivolgersi all’irrazionale, al pensiero consolatorio, per un aiuto o una speranza o una profezia, per poter pensare e progettare il proprio domani. E tende ad assumere un atteggiamento psicologicamente regressivo, infantile». E quindi, si sogna a occhi aperti: «La prima illusione è che vi siano sistemi stabili, per loro natura durevoli se non permanenti, simili alle macchine, la cui condizione normale è funzionare uniformemente». In realtà non esistono sistemi stabilili, tutto è sempre dinamico: «Lo Stato repubblicano italiano oggi si chiama ancora Stato italiano e ha la medesima bandiera anche se, rispetto a quando fu fondato, è divenuto una cosa qualitativamente diversa, avendo ceduto a enti non nazionali la sovranità monetaria, di bilancio, legislativa, e avendo così perduto quella sovranità e indipendenza senza cui uno Stato non è più tale, quindi avendo addirittura cessato, giuridicamente e politicamente, di essere uno Stato».La seconda illusione, prosegue Della Luna, è che “noi” facciamo le trasformazioni, il cambiamento. «Le trasformazioni, i cambiamenti, avvengono sì per effetto dell’interazione di azioni umane e di processi naturali (ad esempio, i cambiamenti climatici che desertificarono il prima lussureggiante Nordafrica seimila anni fa), ma gli effetti, gli esiti dell’interazione delle azioni dei vari soggetti, generalmente, nel medio e lungo termine, non corrispondono affatto alle intenzioni né alle previsioni degli autori delle azioni. La storia non è una successione di decisioni o azioni di maggioranze». Il discorso “noi siamo il 999 per mille, voi siete l’l”, fatto da “Occupy Wall Street”, non ha funzionato, naturalmente. «La storia ultimamente mostra sempre più il carattere aperto e non predeterminabile della vicenda del mondo. Ciò si deve al fallimento, avvenuto alla prova dei fatti, dei due grandi paradigmi organici di interpretazione della storia, ossia di quello marxista (con la sua previsione di fine del capitalismo e di rivoluzione) e di quello liberal-capitalista (con la sua previsione di crescita costante del benessere e della libertà)».Il terzo grande paradigma, quello cristiano, e in generale quello religioso, non viene mai smentito perché può sempre rinviare il momento della verifica finale. «Pertanto le interpretazioni e le rassicurazioni religiose e magico-religiose tendono ad occupare lo spazio perduto dalle altre interpretazioni e rassicurazioni, quelle empirico-razionali». Poi c’è un nuovo modello previsionale, che Della Luna ha esplorato in libri come “Oligarchia per popoli superflui”, “Neuroschiavi” e “Cimiteuro”, ossia «il modello definibile come tecno-gestionale che chiamo “demotecnia” in analogia a “zootecnia”: un’élite sovranazionale dominante, detenendo il potere politico ed economico, e disponendo di una tecnologia idonea, ha assunto e conduce la gestione dall’alto e dal di fuori della popolazione terrestre in forme e con rapporti analoghi a quelli della zootecnica, grazie appunto al divario incommensurabile di conoscenze e di mezzi tecnologici a disposizione, simile a quello che divide l’allevatore dagli animali allevati, e alla sua capacità di pianificare e agire sottotraccia per raggiungere obiettivi di lungo termini, soprattutto in fatto di modificazione della società e della cultura». La presente crisi economica «è indotta volontariamente, allo scopo di implementare questo sistema di gestione». Per Della Luna, «è un’operazione di ingegneria sociale che mira non tanto al profitto quanto al controllo». Un sistema di dominazione molto forte, «ma non per questo assolutamente stabile o permanente».La terza illusione è quella della giustizia, sostiene Della Luna (che è un avvocato). Un potere giudiziario che abbia la forza e l’interesse per far valere o ristabilire la legalità e i diritti? «Non c’è. Penso gli ingenui benintenzionati che studiano complesse e coraggiose denunce contro le illegalità del sistema e le presentano a qualche Procura della Repubblica, con alte aspettative. Regolarmente, queste iniziative finiscono nel nulla, ossia nelle sabbie giudiziarie». A prescindere dal fatto che i magistrati hanno poteri di intervenire solo su responsabilità singole e non sistemiche, e che non hanno un potere materiale «nemmeno lontanamente paragonabile a quello degli interessi costituiti in potere statuale», sono essi stessi «in amplissima maggioranza fidelizzati al sistema degli interessi, che percepiamo come ingiusto, mediante la concessione di privilegi e prerogative». La loro funzione «è piuttosto quella di mediare tra l’ordinamento reale del potere e dei suoi interessi, da una parte, e la legalità di facciata dall’altro, cercando di tener nascosto il primo e di preservare l’apparenza di legalità agli occhi della popolazione generale».La quarta illusione, prosegue Della Luna, «è quella della magia delle parole, delle formule magico-giuridico che, nella mente di chi ci crede, sarebbero capaci di alterare la realtà delle forze in campo, della potenza materiale, mentre è vero l’inverso, ossia che il diritto viene creato e plasmato dagli interessi e dai loro rapporti di forza materiale». Il diritto inizia dal rispetto del fatto, e non viceversa. «In questa illusione si trovano coloro che pensano di poter ottenere trasformazioni pratiche del mondo (cioè rinunce ai soprusi che i potenti compiono per il loro tornaconto) usando formule, più o meno elaborate, altisonanti o astruse, invocanti la sovranità o l’indipendenza o la rivendicazione di particolari grafie dei nomi». Della Luna considera tutto questo «una forma di pensiero magico, ossia di un pensiero convinto che certe parole e concetti abbiano in sé il potere di modificare direttamente la realtà». Volendo, si tratta di un’illusione «didatticamente benefica, perché avvia alla consapevolezza del problema fondamentale della teoria del diritto e della filosofia politica», e cioè: se e come il diritto si differenzia dalla potenza di fatto, materiale.A quali condizioni lo Stato può avere pretese di sovranità sugli uomini diverse da quelle basate sulla sua forza materiale di minaccia e coercizione? E quali sono i limiti della legittima azione del potere politico sugli esseri umani e sui loro diritti? «Questa è una importantissima tematica, oggetto di studi e di elaborazione da quasi 25 secoli. Mi auguro che chi si interessa alla sovranità cerchi di informarsi su questa materia, onde non trovarsi a prendere lucciole per lanterne e altri facili abbagli, rendendosi ridicolo, quando può dire, invece, cose sensate». Ed eccoci alla quinta illusione, quella ingegneristica, ossia quella dei tecnici e degli studiosi, soprattutto economisti, che hanno analizzato bene la situazione e hanno capito che cosa non va, che cosa non si deve fare, che cosa si deve invece fare, e si aspettano che sia i potenti che la parte pensante del popolo capisca le loro ragioni, quindi metta in atto i loro consigli. «E insistono a propalarli in scritti, convegni, interventi pubblici, tentativi di entrare in qualche partito. Ma ciò che si aspettano non avviene – e la recente storia economica è piena di ottimi moniti e consigli (circa l’euro o la banca universale o la globalizzazione) rimasti puntualmente disattesi».Non cambia, la situazione di fondo, per tre motivi: i migliori consigli «mirano al bene comune e non a quello di chi ha il potere di decidere». Inoltre «il popolo ha la testa altrove, non si interessa, non capisce, se capisce poi dimentica, e in ogni caso non si organizza e non agisce e si appaga di contentini non strutturali che il potere elargisce al momento opportuno». Infine, «i grandi sistemi super-complessi non possono essere riparati ingegneristicamente come le macchine, non solo perché troppo complessi per essere capiti organicamente, ma anche perché contengono chi li vuole riparare e reagiscono alla sua azione». Poi ci sono «illusioni a base economica, soprattutto quella dei mercati liberi ed efficienti (ossia che prevengono o guariscono rapidamente le crisi economiche)», illusione «smascherata dai fatti oggi sotto gli occhi di tutti». E c’è anche «l’illusione opposta, quella statalista, ossia che l’intervento pubblico possa correggere il mercato agendo su di esso; questa illusione è dissolta dall’osservazione che anche lo Stato, persino lo Stato comunista, viene privatizzato, ossia che organizzazioni private si impadroniscono di esso (il Partito, la mafia, il cartello bancario)».Ci troviamo in una crisi del sistema, che potrebbe farlo cadere, o semplicemente in una ordinaria crisi nel sistema, oppure (peggio ancora) in una crisi progettata e prodotta dal sistema per perfezionarsi e perpetuarsi? E poi: il genere umano può essere portato ad accettare condizioni di vita tali da farlo regredire a livelli subumani, o da farlo estinguere, in modo che si scongiuri il disastro ecologico? Il capitalismo finanziario digitalizzato e globalizzato tende a smaterializzare ogni bene, merce, servizio, anche gli esseri umani, traducendoli in valori finanziari, ciè in simboli, in numeri, e a metterli online per moltiplicare il profitto contabile che esso per sua natura persegue, ignorando tutto il resto. Il cambiamento consisterà nell’essere tradotti in bits, bites e figures? Che altre trasformazioni ci saranno imposte per renderci idonei a questa traduzione? E che ragion d’essere resterà alla nostra vita biologica, dopo che questa smaterializzazione sarà state eseguita?
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La gente non vuol capire (ma più che Vespa, poté Travaglio)
La gente non vuole capire. Anche quando porti delle prove documentali precise, anche quando inviti a leggere libri scritti da autori accreditati, la gente non ne vuole sapere lo stesso. Quando ad un certo punto il sistema mi è stato chiaro, ogni tanto mi sono imbattuto, nelle mie ricerche, in alcune verità contrarie a quelle ufficiali. Per almeno tre volte mi è capitato di vedere che delitti palesi e di gente famosa, fatti passare per incidenti e suicidi, non erano tali. La prima cosa che fareste voi quale sarebbe? Io ho chiamato i diretti interessati, i familiari delle vittime. La reazione di rifiuto di costoro, che pure, a loro dire, cercano la verità, mi ha fatto capire che il problema non è solo culturale e processuale. E’ psicologico e sociologico. Perché accettare la realtà è duro e, anche se uno si lamenta delle ingiustizie subite dallo Stato, degli inquinamenti delle indagini, dei depistaggi, è molto più facile accettare la realtà ufficiale e sperare che un giorno tutto torni alla normalità.In questo senso è un esempio mio padre. Pur avendo vissuto accanto a me determinati avvenimenti, pur avendo ricevuto minacce di vario tipo che gli hanno fatto perdere il sonno e la tranquillità per sempre, non accetta l’idea della Rosa Rossa. I miei incidenti sono casuali, nessuno ha mai tentato i uccidermi, quella notte del 2 gennaio in un albergo di Modena, e mi sono semplicemente suggestionato. E così può continuare a votare quelle stesse persone che sono i mandanti delle minacce da lui subite. E se un giorno mi uccideranno, a parte il comprensibile sollievo per la fine di un incubo che incombe nella loro vita, il mio sarà stato senz’altro un incidente. E continuerà a votare le stesse persone. In tal modo sarà ristabilito lo status quo. E finalmente la sua mente troverà pace. Con la mia famiglia non ho più molti rapporti. In particolare con mio padre non ci parliamo più perché ritiene che io sia il problema. Non il sistema io cui viviamo, e la necessità di non voltarsi dall’altra parte. Io.Come meravigliarsi allora se qualcuno legge i miei articoli e poi passa agli insulti, alle derisioni? Invece di porsi il problema e studiare e approfondire, meglio pensare che il problema sia io. E’ più comodo. Si perde meno tempo e non si deve ribaltare convinzioni che oramai sono acquisite da anni. E quando qualche magistrato coraggioso fa un’inchiesta coraggiosa… meglio mandare via lui, piuttosto che parlare dei problemi da questo sollevati. Il problema è chi indaga, mica l’indagato. Il meccanismo è lo stesso in tutti i campi. In conclusione, l’anticomplottista è quella persona intelligente e razionale che ritiene che non siano mai stati individuati i responsabili delle stragi perché i mandanti sono davvero bravi ad occultarsi e a non farsi scoprire (e i nostri poliziotti e magistrati sono dei deficienti). Ritiene che la mafia non può essere sconfitta perché i meridionali sono omertosi. E poi la mafia ha ancora un forte consenso sociale nelle campagne e nei paesi.Ritiene che la politica demenziale della sinistra di questi ultimi decenni è dovuta a scarsa coesione interna, dissidi, ecc. Ritiene che i giornali siano assolutamente uniformati quanto a qualità e quantità di notizie, e quanto alla ripetitività di esse, perché succedono sempre le stesse cose. Ritiene che la Chiesa non prenda posizione contro la guerra, non condanni i guerrafondai, nello Ior nasconda i soldi della mafia mondiale, perché il messaggio di Cristo impone di amare prima di tutto il delinquente e la prostituta; la parabola del figliuol prodigo non dice forse che per il figlio perduto si allestisce il banchetto col vitello grasso? E lei infatti la parabola l’ha presa alla lettera. Ecco perché ad esempio Paolo VI diede delle importanti cariche vaticane a Gelli e Ortolani, gli ideatori della P2. Erano le pecorelle smarrite. Erano i figli perduti e poi ritrovati e quindi gli ha allestito un bel banchetto con le casse dello Ior.Ritiene sia un caso se molti membri che erano nella lista della P2 ora ricoprono cariche importanti, da Berlusconi a Maurizio Costanzo. Ritiene che l’11 Settembre è stato organizzato da uno che vive in una caverna; poi gli aerei hanno centrato il bersaglio, e per puro caso le torri sono venute giù interamente. Dopodichè Bush, avendo a cuore la sua gente, ha deciso di attaccare l’Iraq perché era uno Stato-canaglia, sperando in tal modo di risolvere il problema terroristico, non avvedendosi della leggerissima contraddizione tra il voler combattere il terrorismo (cioè un fenomeno interno) con lo scatenare una guerra (cioè un fenomeno esterno); si sa che le guerre in genere aumentano gli odi e i dissidi, ma si vede che i suoi analisti non arrivano a un simile livello di profondità.Ritiene che la Banca d’Italia è privatizzata e la Bce è fuori dal controllo dei governi perché si sa, il privato è più efficiente del pubblico. Stesso discorso vale per la privatizzazione dell’acqua, del servizio delle esattorie degli enti locali… Meglio darli ai privati. Siamo in un’epoca liberale, che diamine, e basta con questo centralismo statale di tipo comunista! Ritiene che non si facciano leggi serie di riforma dei codici perché i parlamentari non hanno tempo. Sono troppo impegnati a combattere la mafia, il terrorismo, la situazione economica attuale… hanno altre priorità, loro. Le riforme possono aspettare. In realtà l’anticomplottista è due tipi. C’è l’ignorante che non ha mai letto un atto giudiziario, che non ha mai approfondito la cultura massonica, e quindi segue le vicende politiche solo sui giornali ritenendo magari che leggere due o tre quotidiani sia sufficiente per essere informato veramente. E quindi il suo anticomplottismo è sintomo unicamente di chiusura mentale e ignoranza ma non di malafede.E poi c’è l’anticomplottista colto, il giornalista che scrive libri e ci informa su tutte le vicende della vita italiana, lo scrittore. Questo anticomplottista in genere non è deficiente. E’ intelligente, spesso anche tanto, ma è solo in malafede e fa parte del sistema. E il sistema presuppone che chi ne fa parte debba negare i fenomeni che abbiamo elencato. Il complottista invece è quella persona che vede una regia unica dietro tutti questi fatti, una precisa volontà di non perseguire i reati dei colletti bianchi, ma di vessare la povera gente, gli extracomunitari, la gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese. Il complottista arriva addirittura – orrore orrore – a ipotizzare un accordo tra Chiesa Cattolica e poteri massonici…. Davvero una cosa inconcepibile, eretica. Il complottista è quello che crede alle scie chimiche, alla massoneria rosacrociana come regia unica delle mafie e delle varie criminalità mondiali, all’esistenza di un’organizzazione chiamata Rosa Rossa dietro a molti dei delitti che la stampa ci propina come delitti comuni. Talvolta, si sa, alcuni complottisti sfociano nel paranoico, credono agli Ufo, e pure ai rettiliani di Icke.Ma se la scelta è questa… allora preferisco essere paranoico. Meglio paranoico che deficiente. E sono orgoglioso di essere un complottista. Il giorno che andrò in giro a dire le stesse cose che dice Icke non mi preoccuperò più di tanto. Al massimo mi curo con qualche pastiglia di Serenase (un antidelirante). Mi preoccuperei invece se cominciassi a dire le cose che dicono Vespa, Gawronski, Facci, Giordano, Ferrara, ecc. Perchè per questi casi non c’è cura: Sono troppo gravi, e alcuni di loro, forse, sono pure in buona fede. Ma se comincerò a parlare come Travaglio o Santoro, per cortesia uccidetemi. Perché vorrà dire che mi hanno comprato, o mi hanno fatto il lavaggio del cervello col programma Mk-Ultra (che ovviamente a quel punto dirò di non conoscere).Termino il post con una frase tratta da un blog che lessi tempo fa. Il blog è “Tra cielo e terra” di Santaruina. Quello che ho scoperto in questi anni è che il “complottismo” per come lo si intende generalmente, è fenomeno alquanto raro. Vi sono invece numerose persone che ad un certo momento della loro vita scoprono, qual novità, che i governi mentono, scoprono che la storia che si insegna a scuola omette alcuni particolari alquanto importanti, che gli eventi spesso si svolgono in modi molto più complessi di come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale. E’ una questione di ricerca, perché, per quanto possa sembrare strano, documenti e fonti autorevoli che svelano la faccia occulta della storia esistono, sono a disposizione. Basta cercarli.(Paolo Franceschetti, estratto da “Complottismo e anticomplottismo. Icke contro Fede. Con Travaglio in mezzo”, dal blog di Franceschetti del 9 gennaio 2009).La gente non vuole capire. Anche quando porti delle prove documentali precise, anche quando inviti a leggere libri scritti da autori accreditati, la gente non ne vuole sapere lo stesso. Quando ad un certo punto il sistema mi è stato chiaro, ogni tanto mi sono imbattuto, nelle mie ricerche, in alcune verità contrarie a quelle ufficiali. Per almeno tre volte mi è capitato di vedere che delitti palesi e di gente famosa, fatti passare per incidenti e suicidi, non erano tali. La prima cosa che fareste voi quale sarebbe? Io ho chiamato i diretti interessati, i familiari delle vittime. La reazione di rifiuto di costoro, che pure, a loro dire, cercano la verità, mi ha fatto capire che il problema non è solo culturale e processuale. E’ psicologico e sociologico. Perché accettare la realtà è duro e, anche se uno si lamenta delle ingiustizie subite dallo Stato, degli inquinamenti delle indagini, dei depistaggi, è molto più facile accettare la realtà ufficiale e sperare che un giorno tutto torni alla normalità.
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David Bowie a Berlino: beata follia, droga e resurrezione
E’ il giorno di Natale del 1977 a Berlino. Seduti a un tavolo David Bowie e il produttore cinematografico David Hemmings, insieme ad altre persone, partner, figli e amici, come me. In un ristorante appartato della Grunewald, la profonda e scura foresta urbana che delimita i confini occidentali di Berlino, mangiamo e beviamo, anche troppo. Bowie a un certo punto mi regalò una copia della biografia di Fritz Lang, che un giorno mi aiuterà a scrivere un libro su Berlino. In cambio, gli regalai un modellino retrò di astronave giapponese, il dono giusto per qualcuno che vorrebbe essere un… alieno tra le stelle. Alla fine di questa bella serata lo seguii al piano di sotto fino alla grande stanza da bagno in piastrelle di ceramica e davanti agli orinatoi iniziammo a cantare insieme Buddy Holly e una o due strofe di Good Golly Miss Molly di Little Richard. Quando Bowie si trasferì da Los Angeles a Berlino alla fine del 1976, era sull’orlo di un crollo fisico e mentale. In un primo momento, cadde nuovamente nelle vecchie abitudini, girando per la città insieme al suo coinquilino Iggy Pop, bevendo Kopi alla Beer House di Joe, tra grondaie e bar di travestiti e frequentando il Dschungel e l’Unlimited.Una notte, Iggy era seduto sul sedile del passeggero mentre Bowie speronava ripetutamente l’auto di un loro “rivenditore”, per cinque lunghi minuti di follia. Poi s’infilò in un parcheggio sotterraneo di un hotel, guidando in tondo all’impazzata a 70 miglia all’ora, urlando, sopra lo stridio dei pneumatici, che voleva farla finita andando a sbattere contro una parete di cemento. Finché la sua macchina finì il carburante e i due amici si lasciarono andare ad una crisi isterica. Per sconfiggere i suoi demoni, Bowie aveva bisogno di spazio e di stabilità. Sua moglie Angie, ormai un’estranea, queste due cose non poteva dargliele più. Per la maggior parte del tempo lo tenne lontano dal loro figlio Zowie (Duncan Jones), andando a vivere a Londra o in Svizzera. Così, l’assistente di David, Coco Schwab, gli trovò un modesto appartamento al primo piano di un edificio art nouveau a Schoneberg, il quartiere verde di Berlino.Coco – sua devota e vera eroina della carriera di Bowie – gli fece dipengere le pareti di bianco per farne una galleria per le sue immagini scure. Ordinò delle tele nere e pittura a olio. Seduta accanto a lui gli lesse Nietzsche, sotto un ritratto fluorescente dell’autore giapponese Yukio Mishima dipinto da Bowie. Ma soprattutto, lo portò al Brücke Museum ad ammirare i lavori di Kirchner, Kollwitz ed Heckel. Le ruvide e audaci pennellate e l’umore malinconico degli autori espressionisti catturarono in lui il senso dell’effimero e la sua immaginazione. Nella capitale della reinvenzione e grazie alle cure di Coco, Bowie iniziò a fare sempre meno uso di cocaina e allentò le sue psicosi, riuscendo così gradualmente ad abbandonare la vita di eccessi e a diventare un uomo normale. Si vestiva con pantaloni larghi e camicie sciatte, godendosi il totale disinteresse in lui da parte dei berlinesi. Nessuno lo importunava per strada, a differenza di quanto avveniva a Los Angeles, la città delle stelle.Una notte, così per sfizio, salì sul palco di un cabaret per cantare dei brani di Frank Sinatra. Il pubblico non gradì molto e lo invitò a scendere. Evidentemente si aspettavano un altro tipo di spettacolo. Lontano dalle luci della ribalta, riuscì a comporre, a dipingere e, per la prima volta dopo tanti anni, «avvertì una nuova gioia di vivere, un senso di liberazione e guarigione», come disse lui. Capì che il suo scopo non era solo quello di trovare un nuovo modo di fare musica, ma piuttosto di reinventare – o tornare a – se stesso. Trovò il coraggio di buttare via gli oggetti di scena, i costumi e le scenografie che aveva conservato. Nell’estate del 1977, Bowie era in una nuova fase creativa. Insieme al produttore Tony Visconti e all’amico Brian Eno, iniziò a lavorare a un nuovo album. Durante le lunghe sessioni di lavoro non mangiava quasi nulla; all’alba si trascinava verso casa insieme all’amico Brian Eno, mangiava un uovo crudo, dormiva un paio d’ore e poi tornava in studio.All’inizio, una delle prime canzoni che registrò quell’estate era solo un brano strumentale; poi, un giorno, seduto al pianoforte, da solo, Bowie iniziò ad abbozzare un testo: era il brano che poi avrebbe dato il titolo all’album “Heroes”. Visconti attrezzò tre microfoni con delle “porte” elettroniche. Il primo microfono era a venti centimetri da Bowie, il secondo a sei metri di distanza, il terzo a quindici metri, in fondo alla grande sala buia. Le porte elettroniche furono programmate per aprirsi quando Bowie cantava al di sopra di un certo livello di volume, quando la sua voce gradualmente passava da sussurro a grido, utilizzando l’eco naturale della sala. Mentre Visconti lavorava all’audio, Bowie continuava a scrivere i testi. Un giorno Bowie chiese di essere lasciato da solo con i suoi pensieri e con il pianoforte. Visconti uscì dallo studio e s’incamminò su Köthenerstraße andando incontro alla sua ragazza. Dalla sala dell’Hansa Studio, Bowie li vide baciarsi per strada addosso a un muro. Due ore dopo, il testo fu registrato.“Heroes” divenne l’inno rock di Berlino, un audace e ronzante muro di suoni, alimentato da profonde emozioni, scandito da un martellante ritmo metallico, prodotto in parte dallo stesso Visconti colpendo un posacenere nello studio di registrazione. Bowie definì “Heores” e i suoi tre album di Berlino il suo Dna. Da allora è stato più volte considerato uno dei più grandi e originali brani singoli del pop. Ovviamente, nella vita di Bowie, anche a Berlino ci furono alcuni momenti di beata follia. Ad esempio la festa del suo 41° compleanno, insieme a Iggy e Eno, al Lützower Lampe, quando Viola, la tanto amata drag queen sessantenne, fu invitata a sedersi sulle mie ginocchia e sussurrarmi all’orecchio delle canzoni d’amore in tedesco. Quella sera Bowie andò via insieme all’unica “vera” donna della festa…Ero andato a Berlino per lavorare come aiuto regista per “Just a Gigolo”, un film con Bowie e Marlene Dietrich. Essendo gli unici di madrelingua inglese, ovviamente noi quattro – Bowie, Coco, Hemmings ed io – spesso ci ritrovavamo insieme. Passammo diverse sere nell’appartamento di Bowie di Hauptstraße. Registrava brani e demo per noi e per altri, spiegando il modo in cui musicisti e gruppi si uniscono e si lasciano alla ricerca di nuovi obbiettivi creativi, comparando il processo a quello degli espressionisti del Die Brücke, ai Beatles e John Lennon, ai Roxy Music e Brian Eno, al gruppo Blaue Reiter e Kandinsky. Mi introdusse a Brecht, parlò di “quadranti e salti quantici, creazione e processo” – e anche dell’insidiosa offerta di 15 milioni di dollari della Warner Brothers per un musical rock, “Ziggy Stardust”. «Sono un generalista!», mi disse un giorno sul set, nel senso che si sentiva come un uomo del Rinascimento, dotato di diverse abilità, attitudini e mezzi. «E perché allora sei sempre associato al rock’n’roll?», chiesi. «E’ solo una facciata», rispose ridendo.Avanti veloce fino a Earls Court a Londra – ultima location europea del Tour Isolar II. E’ il giugno del 1978 e 18.000 fan fischiano e agitano le braccia. Applaudono, battono i piedi, urlano e chiedono il ritorno di Bowie. Nelle 14 settimane precedenti si era esibito davanti a 1,5 milioni di persone in 43 diverse città. Dietro il palco, lungo un corridoio di cemento, il loro Starman era seduto in silenzio, vestito con un giacca di pelle di serpente e larghi pantaloni bianchi, e guardava “Coronation Street”. Aveva l’abitudine di guardarsi un episodio durante le pause: gli serviva per riprendere fiato, per svuotare la mente con qualcosa di non impegnativo, trattenendo così la stratosferica energia sprigionata nella prima parte del concerto. In quei pochi mesi a Berlino, Bowie è passato dalla tossicodipendenza all’indipendenza, da essere una celebrità paranoica a diventare un messaggero radicale senza maschera che ha voluto dire a tutti, grassi, magri, ricchi e poveri, che siamo bellissimi e che ognuno di noi può essere se stesso.(Rory McLean, “Bowie a Berlino, guidando in un parcheggio a 70 all’ora, gridando di voler farla finita”, dal “Guardian” del 13 gennaio 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).E’ il giorno di Natale del 1977 a Berlino. Seduti a un tavolo David Bowie e il produttore cinematografico David Hemmings, insieme ad altre persone, partner, figli e amici, come me. In un ristorante appartato della Grunewald, la profonda e scura foresta urbana che delimita i confini occidentali di Berlino, mangiamo e beviamo, anche troppo. Bowie a un certo punto mi regalò una copia della biografia di Fritz Lang, che un giorno mi aiuterà a scrivere un libro su Berlino. In cambio, gli regalai un modellino retrò di astronave giapponese, il dono giusto per qualcuno che vorrebbe essere un… alieno tra le stelle. Alla fine di questa bella serata lo seguii al piano di sotto fino alla grande stanza da bagno in piastrelle di ceramica e davanti agli orinatoi iniziammo a cantare insieme Buddy Holly e una o due strofe di Good Golly Miss Molly di Little Richard. Quando Bowie si trasferì da Los Angeles a Berlino alla fine del 1976, era sull’orlo di un crollo fisico e mentale. In un primo momento, cadde nuovamente nelle vecchie abitudini, girando per la città insieme al suo coinquilino Iggy Pop, bevendo Kopi alla Beer House di Joe, tra grondaie e bar di travestiti e frequentando il Dschungel e l’Unlimited.
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Scordatevi sicurezza e privacy, Facebook è in ascolto
Una cosa alla quale siamo diventati tutti troppo abituati è il fatto che la nostra realtà possa venire manipolata per assomigliare a qualcosa di totalmente diverso. Invadere un’altra nazione è un atto di difesa, elezioni corrotte vengono spacciate come democrazia in azione, un numero maggiore di pistole (o armi nucleari) assicurano la pace, il commercio e gli investimenti stranieri aumentano i posti di lavoro a casa. La logica orwelliana è diventata una cosa normale. Ciò che voglio affrontare qui è un altro tipo di manipolazione: il modo in cui Facebook e gli altri social media usano le informazioni che, per la maggior parte inconsapevolmente, gli forniamo – incluse le conversazioni che facciamo nella privacy della nostre case – per pubblicizzare prodotti che non abbiamo richiesto e che quasi certamente non vogliamo, e passare dati al governo. Non sono di sicuro il primo a scoprire questa capacità straordinaria: molti si sono dichiarati sbalorditi e arrabbiati quando si sono resi conto che parole usate nelle conversazioni su Facebook e Twitter, messaggi, location, status, così come quelle usate nelle conversazioni private fra le mura delle proprie case, venivano quasi immediatamente captate e convertite in annunci pubblicitari.Nomini un certo sport, ed ecco che appare la pubblicità di un’agenzia di prenotazione biglietti. Dici che ti piacerebbe guidare una Lexus ed ecco che compare una pubblicità sulla Lexus. Parli di una vacanza e una pubblicità su Facebook ti raccomanda una spiaggia Hawaiana o un piccolo hotel a Parigi che – guarda caso! – avevi appunto nominato ieri! E’ paranoia? Facebook (o Instagram, Google, o Yahoo) è in grado di origliare le nostre conversazioni? Facebook ammette senza tanti problemi che il suo modello di business si basa sui dati che inseriamo o trasmettiamo on-line, che una volta che ci siamo iscritti i dati sostanzialmente diventano proprietà di Facebook, e che – come ha affermato Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook – alla maggior parte delle persone non interessa poi così tanto davvero, della loro privacy. Chiaramente, Facebook & Co. si difendono dicendo che stanno semplicemente rispondendo ai tuoi bisogni e che, se lo desideri, puoi sempre ridurre (ma non eliminare) la quantità di pubblicità, semplicemente selezionando una lista nelle impostazioni di programma. Ma per quanto riguarda il fatto dell’ascolto, Facebook sostiene che l’utente sia l’unico a controllare il microfono, e che, secondo il capo della sicurezza di Facebook, si debba autorizzare Facebook ad attivarlo. Per caso qualcuno si ricorda di una richiesta di autorizzazione?Sembra che si possa disattivare la funzione microfono in Windows o nell’applicazione mobile Facebook sullo smartphone o sul tablet. Ma “off”, significa davvero del tutto “off”? Sembrerebbe di no. L’esperienza mia e di mia moglie dopo aver disattivato il microfono sul suo computer, afferma il contrario. Da notare che le pubblicità sono apparse pochi secondi dopo la nostra conversazione. * Jodi ha fatto un commento sull’attrice Robin Wright Penn. Subito, sono comparse pubblicità su film di Sean Penn.* Abbiammo discusso di magliette per i nipoti. Ecco comparire pubblicità proprio per quelle magliette. * Jodi ha parlato della nostra sfida a Scarabeo, lasciata in sospeso. La pubblicità del gioco Yahtzee è comparsa all’istante. * Jodi stava descrivendo il suo aspetto in relazione alla sua età, per esempio le linee di espressione ed i capelli bianchi, ed è comparsa una pubblicità per la linea “Age Rewind” di Maybelline. E allora uno si chiede, ok, ma spiare non è illegale, un’invasione della privacy?Ci sono state proteste sul larga scala circa lo spionaggio di Facebook sugli smartphone, ma nessuno cambio di policy da parte di Facebook, a quanto ne so. A livello legale, uno studio belga – e tra l’altro, gli europei sono molto più infastiditi e attenti alle manovre sospette di Facebook di quanto non lo siano gli americani – mette in evidenza che il “ritirarsi” dalla pubblicità non è lo stesso che dare consenso informato e diretto. Inoltre, Facebook non chiede il nostro consenso per acquisire dati da altre fonti, per raccogliere dati di localizzazione forniti dagli smartphone, per usare foto o altri dati (come il “like”) inseriti dall’utente. Penso che una corretta interpretazione del report belga e dei chiarimenti più recenti di Facebook sulla sua politica (2015), sia che Facebook può raccogliere ed usare ogni tipo di informazione risultante dall’uso di Facebook da parte dell’utente e dallo strumento utilizzato per accedervi. “Ogni tipo di informazione” significa assolutamente ogni dato l’utente abbia inserito, sia su se stesso che su persone terze, sia comunicato per scritto, a voce, o attraverso immagini. Anche se si decide di chiudere l’account Facebook, tutti i dati forniti restano in suo possesso.E c’è un’ulteriore questione, ancora più dannosa: la raccolta e l’uso dei dati provenienti dai social media da parte delle agenzie governative, in particolare l’ Agenzia per la Sicurezza Nazionale (Nsa). Questa pratica, portata allo scoperto da Edward Snowden, include la partecipazione di Facebook, Apple e numerose altre aziende tecnologiche nel programma Prism della Nsa, per raccogliere dati direttamente dalle aziende piuttosto che semplicemente tramite Internet. L’Unione Europea sta ora contestando questa invasione della privacy. Nel 2000, l’Ue ha accettato la proposta americana di istituire un programma di “Safe Harbor” – Porto Sicuro – per il trasferimento agli Stati Uniti dei dati personali raccolti in Europa da Facebook, Google e Amazon. Quell’accordo è stato rivalutato dall’avvocato generale della Corte di giustizia europea, che ha concluso che esso viola i diritti fondamentali degli europei. L’avvocato generale ritiene che i dati possano «venire utilizzati dalla Nsa e da altre agenzie di sicurezza degli Stati Uniti nel corso di una sorveglianza indiscriminata di massa».La Corte di giustizia europea ha appena confermato tale opinione, e dichiarato non valido il programma “Safe Harbor”. La decisione della Corte di giustizia è che il Safe Harbor «debba essere considerato come qualcosa che compromette l’essenza stessa del diritto fondamentale al rispetto della vita privata». E’ un colpo duro, sebbene non fatale, per Facebook e per gli altri soggetti coinvolti nel trasferimento di dati in Europa. Gli europei hanno fatto pressioni a queste aziende, in particolare a Google e Amazon, anche circa altre questioni, come nel caso della legislazione antitrust. Idealmente, la decisione della Corte di giustizia e la altre azioni europee incoraggeranno gli americani ad organizzare le loro battaglie per una maggiore tutela della privacy ed una maggior trasparenza sul modo in cui i giganti della tecnologia conducono i loro affari. L’invasione della privacy sui social media vi preoccupa, o considerate la perdita della privacy come il prezzo della socializzazione? Come avete gestito la vostra privacy sul vostro computer, smartphone, o tablet? Avete avuto esperienze di “spionaggio” come quelle che ho nominato?(Mel Gurtov, “La distorsione della realtà: Facebook è in ascolto”, da “Counterpunch” del 13 ottobre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Professore emerito di scienze politiche alla Portland State University, Gurtov è editorialista di “Asian Perspective”, trimestrale di politica internazionale, e scrive sul blog “In the Human Interest”).Una cosa alla quale siamo diventati tutti troppo abituati è il fatto che la nostra realtà possa venire manipolata per assomigliare a qualcosa di totalmente diverso. Invadere un’altra nazione è un atto di difesa, elezioni corrotte vengono spacciate come democrazia in azione, un numero maggiore di pistole (o armi nucleari) assicurano la pace, il commercio e gli investimenti stranieri aumentano i posti di lavoro a casa. La logica orwelliana è diventata una cosa normale. Ciò che voglio affrontare qui è un altro tipo di manipolazione: il modo in cui Facebook e gli altri social media usano le informazioni che, per la maggior parte inconsapevolmente, gli forniamo – incluse le conversazioni che facciamo nella privacy della nostre case – per pubblicizzare prodotti che non abbiamo richiesto e che quasi certamente non vogliamo, e passare dati al governo. Non sono di sicuro il primo a scoprire questa capacità straordinaria: molti si sono dichiarati sbalorditi e arrabbiati quando si sono resi conto che parole usate nelle conversazioni su Facebook e Twitter, messaggi, location, status, così come quelle usate nelle conversazioni private fra le mura delle proprie case, venivano quasi immediatamente captate e convertite in annunci pubblicitari.
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Pilger: Obama, il fascista bugiardo che uccide sorridendo
Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer. «I marciatori al passo dell’oca», scrisse lo storico Norman Pollock, «sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente». Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. «Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere», disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ‘30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: «Il sovrano è colui che decide l’eccezione». Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale.Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo. La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il “New York Times” ha descritto il film come «patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura».Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scese in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la Cia ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’Est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti. Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina hanno avuto la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.Il suo apice è stato raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di Stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come “Settore Destro” e “Svoboda”. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della «mafia ebrea di Mosca» e di «altra feccia», tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica. Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di “Svoboda”. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere «dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise». Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia. Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina.Alla recente conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’assistente segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco «ministro per il disfattismo». Era stata la Nuland a progettare il colpo di Stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del “Centro per una Nuova Sicurezza Americana”, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney. I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.Nello stesso momento il regime di Kiev si è avventato ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, hanno bombardato e messo a ferro e fuoco le città. Hanno usato la fame di massa come arma, tagliato l’elettricità, congelato conti bancari, bloccato l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi sono fuggiti oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 soldati russi si stavano «ammassando» ai confini ucraini. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “Stati” autonomi è la reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale. Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese». Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una «tragedia poco chiara», derivante da «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).Il “New York Times” seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il “Wall Street Journal” condannò le vittime stesse titolando: “Incendio mortale in Ucraina probabilmente causato dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro «contegno». Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo di “paria” (preconfezionato in Occidente) giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Ue alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che «l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo». Si trattava di «singoli cittadini», membri di «gruppi armati illegali», ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una «guerra totale» contro la Russia, potenza nucleare.Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq. L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contras, ha scritto di recente: «Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti».«Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella Terza Guerra Mondiale – come ha fatto nella Prima Guerra Mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione». Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: «L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata a indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda di Stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti». Sul “Guardian” del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi”. Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe «alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento»; ma che questo andrebbe bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro, ha rassicurato i suoi lettori che «l’America è equipaggiata meglio».Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. «Saddam Hussein», scrisse, «come Colin Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologiche, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari». Elogiò Blair come «un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista». E nel 2006, scrisse: «Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran». Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue «tormentate incertezze liberali» – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. Il “Guardian”, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F-35, ottimo per la Gran Bretagna”.Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del “Guardian” chiedeva un aumento delle spese militari. Ancora una volta, dietro tutto questo c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente Usa Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina. Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia.Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine. La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.
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Cia e sauditi, la premiata ditta dei tagliatori di teste
Non fanatici, ma mercenari. Traslocati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa. Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington. «Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar. «In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”». Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.Nelle rivelazioni dell’ergastolano Moussaui, scrive Escobar in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, troviamo nientemeno che l’ex capo dell’intelligence saudita, il principe Turki al-Faisal, già grande amico di Osama Bin Laden, insieme un personaggio come il principe Bandar Bin Sultan, detto “Bandar Bush”, già ambasciatore saudita negli Stati Uniti «e mancato sponsorizzatore di jihadisti in Siria». Turki e Bandar sono in compagnia «di un caro amico dei mercati occidentali (e di Rupert Murdoch)», cioè il principe Al-Waleed Bin Talal, e con lui «tutti i maggiori “chierici” wahhabiti dell’Arabia Saudita». In altre parole, «nessuno di loro è nuovo a chi segue fin dai tempi dell’Afghanistan degli anni ’80 le sporche vicende degli jihadisti finanziati dai wahhabiti sauditi». Le informazioni, aggiunge Escobar, assumono maggiore importanza se messe in relazione al prossimo libro di Michael Springmann, ex capo della sezione visti a Jeddah, in Arabia Saudita. In “Visto per al-Qaeda”, svelando «tutti gli sdoganamenti della Cia che hanno sconvolto il mondo», Springmann descrive in dettaglio le mosse dell’armata del terrore messa in piedi dagli Usa.Negli anni ’80, la Cia reclutò e addestrò «agenti musulmani» per contrastare l’invasione sovietica in Afganistan. «Più tardi, la Cia avrebbe spostato questi agenti dall’Afganistan ai Balcani, poi in Iraq, in Libia e in Siria, facendoli viaggiare con visti statunitensi illegali». Questi guerriglieri addestrati dagli Usa «si sarebbero poi riuniti in un’ organizzazione che è sinonimo di terrorismo jihadista: Al-Qaeda». Lo scopo politico di queste rivelazioni, dal punto di vista di Washington, secondo Springmann «è di esercitare pressioni sulla Casa di Saud per continuare a pompare le loro eccedenze petrolifere: i recenti rimbalzi petroliferi stanno provocando l’isterismo a Washington, poiché potrebbero essere il segnale di un ripensamento dei sauditi sulla loro guerra dei prezzi del petrolio contro, prima fra tutti, la Russia». Dunque, verso la metà degli anni ’80, “Al-Qaeda” era solo un database in un computer collegato al dipartimento delle comunicazioni del segretariato della Conferenza Islamica, scrive Escobar. «A quel tempo, quando Osama Bin Laden non era che un agente “delegato” Usa che operava a Peshawar, l’intranet di Al-Qaeda era un ottimo sistema di comunicazione per lo scambio di messaggi in codice tra i guerriglieri».“Al-Qaeda” non era un’organizzazione terrorista – ovvero un esercito islamico – e neanche proprietà privata di Osama Bin Laden. «In seguito, verso la metà degli anni 2000 in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi – il precursore giordano di Isis/Isil/Daesh – stava reclutando giovani militanti-fanatici-arrabbiati, senza un diretto input da parte di Bin Laden. La sua copertura era Aqi (Al-Qaeda in Iraq)». Quindi, continua Escobar, Al-Qaeda era e resta un marchio di successo. «Non è mai stata un’organizzazione; piuttosto era un elemento operativo essenziale di un’agenzia di intelligence. Da qui l’imperativo categorico: Al-Qaeda è essenzialmente una derivazione dell’intelligence saudita». La miglior prova è il ruolo oscuro, fin dall’inizio, del principe Turki, ex direttore generale per lungo tempo del Mukhabarat, l’intelligence della Casa di Saud («ma Turki non parla, e mai lo farà»). L’intelligence turca, per parte sua, «non ha mai creduto al mito dell’“organizzazione” Al-Qaeda». Le rivelazioni di Moussaui, aggiunge Escobar, «diventano davvero esplosive quando si collegano tutti i punti tra l’ideologia politica della Casa di Saud, la piattaforma politica di Al-Qaeda e l’abbozzo ideologico del falso Califfato di Isis/Isil/Daesh. La matrice di tutti questi è il wahhabismo del 19° secolo – e la sua interpretazione/appropriazione medievale dell’Islam. Tutti usano metodi diversi, alcuni più rumorosi di altri, ma tutti hanno lo stesso fine: il proselitismo wahhabita».La differenza fondamentale, secondo Escobar, è che Al-Qaeda e Isis/Isil/Daesh «sono dei rinnegati wahhabiti che intendono, alla fine, prendere il posto della Casa di Saud – fantoccio comandato dall’Occidente – instaurando in modo ancora più intollerante il potere salafita e/o del Califfato». Per cui, «quando questa “bomba” ancora segreta verrà fuori dal vaso di pandora arabico, crolleranno i presupposti che reggono quel dono che viene continuamente elargito dagli Usa, la “Guerra al Terrore” (guerra infinita)». Non è rassicurante nemmeno il nuovo capo della Casa di Saud, il principe Salman, che «negli anni ’90 era uno strenuo sostenitore del salafismo e del Jihad», inclusa la pratica Bin Laden. Più tardi, come governatore di Riyadh, «si distinse nell’avversione più totale verso gli sciiti, che poi si espandeva nell’odio verso l’Iran nel suo complesso – per non parlare poi del suo odio per qualsiasi cosa che lontanamente ricordasse la democrazia all’interno dell’Arabia Saudita». Assurdo aspettarsi che Salman sia un “riformatore”, «come è assurdo aspettarsi che l’amministrazione Obama interrompa una volta per tutte la sua storia d’amore con i suoi “bastardi preferiti” del Golfo Persico».Ma ora, aggiunge Escobar, c’e’ un nuovo elemento chiave: «La Casa di Saud è disperata. Non è un segreto a Riyadh e in tutto il Golfo che il nuovo Re e i suoi consiglieri ammaestrati dall’Occidente stiano letteralmente perdendo la testa. Si ritrovano circondati dall’Iran – che, per giunta, è sul punto di concludere un accordo nucleare con il Grande Satana l’estate prossima». La situazione non è allegra: i sauditi «vedono il falso Califfato di Isis/Isil/Daesh che controlla gran parte del “Siraq” – e con gli occhi già puntati verso la Mecca e Medina. Vedono gli sciiti Houthi pro-Iran che controllano lo Yemen. Vedono gli sciiti della maggioranza in Bahrein repressi con grandi difficoltà dalle forze mercenarie. Vedono disordini sciiti diffusi nelle province orientali dell’Arabia Saudita, dove c’è il petrolio. Sono sparsi in tutto il Medio Oriente ancora in preda alla psicosi “Assad deve andarsene” (mentre lui non va da nessuna parte). Hanno bisogno di finanziare la “junta” militare al potere in Egitto con miliardi di dollari (l’Egitto è al verde). E oltre a tutto questo, si sono bevuti la storia America-contro-Russia, impegnandosi in una guerra dei prezzi del petrolio che sta consumando il loro budget».Non ci sono prove che Salman sia deciso a compiere lo sforzo di cooperare con il governo di maggioranza sciita a Baghdad, né che tenterà di raggiungere un compromesso con Teheran: «Al contrario, regna la paranoia, poiché nel momento in cui l’Iran riaffermasse la sua supremazia nucleare, una volta concluso l’accordo atteso per l’estate prossima, i sauditi si ritroveranno emarginati ideologicamente e politicamente». Soprattutto, conclude Escobar, non ci sono prove che l’amministrazione Obama abbia la capacità di riconsiderare le relazioni coi sauditi. «Ciò che è certo è che il più sporco segreto della “guerra al terrore” resterà off-limits. Tutto il “terrore” che stiamo vivendo, sia quello reale sia quello costruito a tavolino, proviene da un’unica fonte: non è “l’Islam”, ma l’intollerante e demente wahhabismo», irresponsabilmente incoraggiato, organizzato e finanziato con la piena collaborazione della Cia. Stesso film: dalla strage di americani innocenti l’11 Settembre alla ricomparsa dei “tagliatori di teste” in Siria, in Iraq e ora in Libia.Non fanatici, ma mercenari. Dirottati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa. Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington. «Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar. «In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”». Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.
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Giannuli: non credo al Grande Complotto, fuori le prove
Cari complottisti, non esagerate: la «implausibiltà» delle vostre tesi è spesso così clamorosa da costituire il miglior regalo al potere che, «attraverso i suoi manutengoli nei mass media», potrà agevolmente provvedere a «ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”». Storico e politologo, esperto di servizi segreti e trame oscure, il professor Aldo Giannuli avverte il bisogno di mettere in guardia dall’eccesso di dietrologia i lettori del suo blog. Il web è inondato da milioni di informazioni su piste scomode, che il mainstream silenzia accuratamente? Non importa: per Giannuli il problema è la proliferazione incontrollata di tesi non dimostrate. La definisce «una moda», evidentemente preoccupante visto che in Italia «miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5 Stelle, degli ex “Italia dei Valori”, lettori del “Fatto” e del “Manifesto”». La colpa? E’ dell’attuale «processo di spoliticizzazione di massa», che secondo Giannuli «apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi».Eppure, annota il docente dell’ateneo milanese, il «paradigma “complottista”» nasce in ambienti di destra nel XIX secolo, «avendo a bersaglio fisso massoni ed ebrei», in diversi casi accomunati in un’unica congiura. «E’ il mondo cattolico – scrive Giannuli – il primo ventre fecondo di questo indirizzo, che vede la modernità stessa come il frutto della congiura diabolica dei massoni: dalla Rivoluzione Francese all’Unità d’Italia, dall’industrialismo allo sviluppo del capitale finanziario, dal modernismo alla rivoluzione sessuale è tutto il prodotto di essa». Non è difficile, in questo, scorgere l’eredità della Santa Inquisizione, «che spiegava eresie e rivolte con l’intervento del Maligno attraverso infedeli (ebrei in testa), streghe e indemoniati: il “Malleus maleficarum” è un testo di rara chiarezza a questo proposito». A questo filone principale, continua Giannuli, si aggiunse in seguito l’antisemitismo di destra, alimentato dai falsi della polizia politica zarista (i “Protocolli dei Savi di Sion”), poi sfociato nel nazismo. «La crisi del 1929 offrì una formidabile occasione per l’antisemitismo», e infatti si scaricò la catastrofe «sulle spalle della congiura finanziaria ebraica».Infine, ad alimentare e modernizzare l’immaginario complottista, giunse la crescita dello spionaggio dalla Prima Guerra Mondiale in poi: «L’ossessione della spia in agguato crebbe per tutti i decenni centrali del secolo scorso, producendo un genere letterario e cinematografico che contribuì non poco a socializzare le masse a questa “cultura del sospetto”». Secondo Giannuli, «il paradigma complottista è stato preparato in cucine di destra (cattolicesimo tradizionale, antisemitismo nazista, servizi segreti e derivazioni letterarie)», mentre poi «a “sdoganarlo” a sinistra fu lo stalinismo con le sue ossessioni e la sua caccia alle streghe trotzkjiste (manco a dirlo: ebrei anche quelli, come il loro capo)». Finita la guerra, scese in campo la “controinformazione”, con la missione di rompere il silenzio omertoso attorno al potere, partendo dall’analisi critica delle apparenze: «Spesso le apparenze ingannano, soprattutto nei casi più oscuri e drammatici come stragi, assassinii politici, colpi di Stato o scandali finanziari, per cui occorre indagare con spirito critico». E’ quello che si dovrebbe fare sempre, per esempio «su un “suicidio” dietro il quale si nasconde un omicidio». Il punto è, soprattutto nei casi “politici”, «la polizia non è una parte fuori del conflitto, ma un personaggio in commedia, che spesso falsifica, omette, depista, confonde le acque».Nei casi politici, la ricerca del movente politico è un pezzo decisivo dell’indagine. Ma la riflessione critica – secondo la scuola della controinformazione – deve sempre muoversi sul filo della razionalità. «Il fatto che una versione ufficiale “non quadri” logicamente, non significa che si possano dipingere gli scenari più fantasiosi e intimamente incoerenti». Quindi, primo passo: «Una versione falsificata dice solo che le cose non possono essere andate nel modo in cui essa le racconta, ma non ci dice ancora come è andata davvero». In secondo luogo, «l’apparenza va processata logicamente, non rimossa». Se emergono aspetti dubbi, incoerenti o anche spudoratamente falsi, questo «non autorizza a mettere da parte tutto il resto come falso e incoerente: ogni singolo aspetto di quel che ci appare va accolto come vero sino a prova contraria. Si può accettarlo “con beneficio di inventario” ma bisogna comunque accettarlo, perché ci si priverebbe degli elementi su cui lavorare». Infine, occorre distinguere sempre fra prove e indizi, certezze e semplici ipotesi. «L’importante è che la spiegazione “certa” (ovviamente “certa” solo sino a prova contraria che dimostri l’errore) non nasca troppo presto. E qui c’è l’errore classico dei dilettanti: prima formulare la ricostruzione d’insieme e dopo andare cercando prove e indizi a sostegno».A Giannuli non piace che si evochi – o si denunci – l’esistenza di «un vertice mondiale che tutto dirige e regola». Obiezione: «Se ci fosse questa “cupola mondiale” si dovrebbe registrare un quadro mondiale sostanzialmente aconflittuale o al massimo con limitatissimi conflitti periferici, mentre la nostra conoscenza ci indica un mondo attraversato da crescenti conflitti tutt’altro che periferici e una sostanziale assenza di ordine internazionale». Secondo quello che Giannuli definisce teorema “complottista pregiudiziale”, le crisi finanziarie non sono altro che fenomeni intenzionalmente manovrati per impoverire chi è già povero a spese dell’élite. «Può anche darsi che le cose stiano così, ma spetta a chi fa queste affermazioni produrre le prove a sostegno», replica il professore. «Ad esempio: constatare che la crisi ha lasciato come sedimento (almeno sinora) un aumento delle diseguaglianze, con ricchi ancor più ricchi e poveri sempre più poveri, non basta a dimostrare che quell’esito sia stato cercato sin dall’inizio e la crisi appositamente provocata, perché esso potrebbe essere stato solo il prodotto oggettivo, ma non prevedibile, di un processo innescato da altri fattori».Il guaio è che il “complottista pregiudiziale”, per Giannuli, «non avverte normalmente questa esigenza di rigore analitico», perché «obbedisce prima di tutto a uno stato d’animo, l’ansia per i pericoli da cui si sente minacciato, l’angoscia per la sua impotenza di fronte ad un mondo ostile e buio». Il professore si esprime con durezza: «La stupidità è sempre nemica dell’intelligenza e serva del potere», sentenzia. Trascurando il fatto – non proprio irrilevante – che se oggi il dibattito sulle “vere cause” della grande crisi appassiona milioni di persone, lo si deve essenzialmente a tanti “complottisi”, regolarmente denigrati, certamente spaventati da un mondo sempre più spietato e incomprensibile, ma soprattutto scandalizzati dal silenzio assordante del mainstream mediatico, televisivo, editoriale, accademico, politico, sindacale. La grande crisi sta facendo a pezzi l’Europa e quel che resta della pace del mondo. Chi doveva fornire spiegazioni, non l’ha fatto. Se non altro, i “complottisti” ci provano. L’alternativa è il silenzio sordo di un establishment marmoreo, muto anche di fronte alle denunce più serie e circostanziate.Cari complottisti, non esagerate: la «implausibiltà» delle vostre tesi è spesso così clamorosa da costituire il miglior regalo al potere che, «attraverso i suoi manutengoli nei mass media», potrà agevolmente provvedere a «ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”». Storico e politologo, esperto di servizi segreti e trame oscure, il professor Aldo Giannuli avverte il bisogno di mettere in guardia dall’eccesso di dietrologia i lettori del suo blog. Il web è inondato da milioni di informazioni su piste scomode, che il mainstream silenzia accuratamente? Non importa: per Giannuli il problema è la proliferazione incontrollata di tesi non dimostrate. La definisce «una moda», evidentemente preoccupante visto che in Italia «miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5 Stelle, degli ex “Italia dei Valori”, lettori del “Fatto” e del “Manifesto”». La colpa? E’ dell’attuale «processo di spoliticizzazione di massa», che secondo Giannuli «apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi».
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Monbiot: stiamo tutti male, rassegnati all’era della solitudine
Come possiamo definire questo nostro tempo? Non è il tempo dell’informazione: la sconfitta dei movimenti di educazione popolare ha lasciato un vuoto che ora viene colmato da teorie di marketing e ipotesi di complotti. Come l’età della pietra, quella del ferro e quella dello spazio, l’era digitale ci dice molto sui prodotti, ma poco sulla società. L’antropocene, in cui gli esseri umani producono il maggior impatto sulla biosfera, non basta a differenziare questo secolo dai precedenti venti. Qual’ è l’evidente trasformazione sociale che contrassegna il nostro tempo distinguendolo da quelli che lo hanno preceduto? A me appare ovvio: questa è l’Era della Solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che emergesse un’autorità che esercitasse un controllo, eravamo tutti in guerra “l’uno contro l’altro”, non avrebbe potuto fare un errore più grande. Fin dall’inizio eravamo creature sociali, una sorta di api mammifere, che dipendevano completamente le une dalle altre.Gli ominidi dell’Africa orientale non avrebbero potuto sopravvivere da soli neanche una notte. Siamo costituiti, in misura maggiore rispetto a quasi tutte le altre specie, dalla relazione con gli altri. L’epoca in cui stiamo entrando, in cui viviamo separati, non è simile a nessun’altra epoca precedente. Tre mesi fa abbiamo letto che la solitudine è diventata un’epidemia tra i giovani adulti. Ora veniamo a sapere che è un disagio altrettanto grave nelle persone più anziane. Uno studio dell’“Independent Age” rileva che il disturbo grave da solitudine affligge 700.000 uomini e 1 milione 100.000 donne oltre i 50 anni, e si sta sviluppando ad una velocità impressionante. E’ improbabile che l’Ebola uccida così tante persone quante vengono colpite da questo malessere. L’isolamento sociale è una causa di morte precoce potente quanto il fumo di 15 sigarette al giorno; la ricerca rileva che la solitudine è doppiamente mortale dell’obesità. Le forme di demenza, la pressione alta, l’alcolismo e gli infortuni – come anche la depressione, la paranoia, l’ansia e il suicidio – si presentano più frequentemente quando vengono interrotte le relazioni. Non siamo in grado di stare soli.Certo, le fabbriche hanno chiuso, la gente si sposta in auto invece che con i mezzi pubblici, si collega a YouTube invece di andare al cinema. Ma questi cambiamenti non sono sufficienti, da soli, a spiegare la velocità del nostro collasso sociale. A questi cambiamenti strutturali si è accompagnata una sorta di ideologia di negazione della vita, che rafforza ed esalta il nostro isolamento sociale. La guerra dell’uomo contro l’uomo – in altri termini la competizione e l’individualismo – è la religione del nostro tempo, giustificata da una mitologia che inneggia ai combattenti solitari, agli operatori in proprio, agli uomini e donne che si fanno da soli, e vanno avanti da soli. Per la più sociale delle creature, che non può prosperare senza amore, non è disponibile ora qualcosa di simile alla società, ma solo un eroico individualismo. Ciò che conta è vincere. Il resto sono danni collaterali.I ragazzi inglesi non aspirano più a diventare ferrovieri o infermiere, più di un quinto di loro adesso afferma di “volere soltanto diventare ricchi”: per il 40% del campione considerato, le uniche ambizioni sono la ricchezza e la fama. Un’indagine governativa in giugno ha rivelato che la Gran Bretagna è la capitale europea della solitudine. Siamo meno portati degli altri popoli europei ad avere strette amicizie o relazioni con i nostri vicini. Perché sorprenderci, quando siamo pressati da ogni parte a lottare come cani randagi intorno alla spazzatura? Il riflesso di questo cambiamento è la modificazione del nostro linguaggio. Il nostro più feroce insulto è quello di perdente. Non parliamo più di popolo. Ora parliamo di individui. Questo termine così alienante e atomizzante è diventato talmente pervasivo, che persino le organizzazioni assistenziali che cercano di combattere la solitudine lo utilizzano per descrivere quei bipedi che prima erano conosciuti come esseri umani.Raramente completiamo una frase senza usare il termine personale. “Parlando personalmente (per distinguermi dal pupazzo di un ventriloquo), preferisco amici personali piuttosto che la moltitudine impersonale e coloro che personalmente appartengono al genere che non è il mio. Anche se questa è solo una mia personale preferenza, altrimenti detta la mia preferenza”. Una delle tragiche conseguenze della solitudine è che la gente si consola con la televisione: due quinti delle persone anziane affermano che il dio con un solo occhio (il televisore) è la loro principale compagnia. Questa cura fai-da-te peggiora la malattia. Una ricerca di economisti dell’università di Milano indica che la televisione incentiva le aspirazioni competitive. Questo corrobora fortemente il paradosso reddito-felicità: il fatto che, quando i redditi della nazione aumentano, la felicità non aumenta con essi. L’ambizione, che aumenta con il reddito, fa sì che la meta, la completa soddisfazione, retroceda davanti a noi.I ricercatori hanno rilevato che chi guarda a lungo la televisione ricava meno soddisfazione da un certo livello di reddito rispetto a coloro che la guardano poco. La televisione accelera la giostra dell’edonismo, spingendoci a prodigarci ancor di più per poter mantenere lo stesso livello di soddisfazione. Per rendervi conto del perché questo può accadere, dovete solo pensare alle pervasive vendite all’asta che ci sono ogni giorno in Tv, “Dragon’s Den”, “The Apprentice” e le innumerevoli forme di competizione carrieristica che la televisione propone, l’ossessione generalizzata per la fama e la ricchezza, la pervasiva sensazione, nel vedere tutto questo, che la vita sia altrove diversa da dove siete voi. Allora qual’ è la questione? Che cosa ci guadagnamo da questa guerra di tutti contro tutti? La competizione spinge la crescita, ma la crescita alla lunga non ci fa diventare più ricchi. Le cifre rese note in questa settimana mostrano che, mentre le entrate dei direttori di società sono cresciute di oltre un quinto, i salari della forza lavoro complessivamente sono diminuite in termini reali rispetto allo scorso anno.I capi oggi guadagnano – scusate, voglio dire prendono – 120 volte di più della media dei lavoratori a tempo pieno (nel 2000, il rapporto era di 47 volte). E anche se la competizione ci rendesse più ricchi, non ci renderebbe più felici, poiché la soddisfazione prodotta da un aumento del reddito verrebbe pregiudicata dagli effetti della competizione in termini di ambizione. Oggi l’1% al livello più alto possiede il 48% della ricchezza globale, ma nemmeno queste persone sono felici. Un’indagine del Boston College su persone con una ricchezza media di 78 milioni di dollari ha riscontrato che anche loro sono affette da ansia, insoddisfazione e solitudine. Molti di loro hanno confessato di sentirsi finanziariamente insicuri: per sentirsi al sicuro ritenevano di aver bisogno, mediamente, di circa il 25% in più di denaro. (E se lo ottenessero? Senza alcun dubbio avrebbero bisogno di un ulteriore 25%). Una persona dichiarò che non sarebbe stata tranquilla finché non avesse avuto un miliardo di dollari in banca.Per questo abbiamo distrutto la natura, degradato il nostro modo di vivere, sottomesso la nostra libertà e le nostre prospettive di soddisfazione a un edonismo compulsivo, atomizzante e triste, nel quale, dopo aver consumato tutto il resto, incominciamo a depredare noi stessi. Per questo abbiamo distrutto l’essenza dell’umanità: la capacità di relazionarsi. Certo esistono dei palliativi, programmi brillanti e attraenti come “Men in sheds” e “Walking Football”, creati da enti assistenziali per persone anziane e sole. Ma se vogliamo rompere questo cerchio e tornare a stare insieme dobbiamo affrontare il sistema divoratore del mondo e delle persone, in cui ci siamo cacciati. La condizione pre-sociale di Hobbes era un mito. Ma adesso stiamo entrando in una condizione post-sociale che i nostri predecessori non avrebbero creduto possibile. Le nostre vite stanno diventando orribili, brutali e lunghe.(George Monbiot, “L’era della solitudine”, dal blog di Monbiot del 14 dicembre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Come possiamo definire questo nostro tempo? Non è il tempo dell’informazione: la sconfitta dei movimenti di educazione popolare ha lasciato un vuoto che ora viene colmato da teorie di marketing e ipotesi di complotti. Come l’età della pietra, quella del ferro e quella dello spazio, l’era digitale ci dice molto sui prodotti, ma poco sulla società. L’antropocene, in cui gli esseri umani producono il maggior impatto sulla biosfera, non basta a differenziare questo secolo dai precedenti venti. Qual’ è l’evidente trasformazione sociale che contrassegna il nostro tempo distinguendolo da quelli che lo hanno preceduto? A me appare ovvio: questa è l’Era della Solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che emergesse un’autorità che esercitasse un controllo, eravamo tutti in guerra “l’uno contro l’altro”, non avrebbe potuto fare un errore più grande. Fin dall’inizio eravamo creature sociali, una sorta di api mammifere, che dipendevano completamente le une dalle altre.
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Grecia: strage per depressione di massa, made in Germany
La Gabanelli vi intrattiene con sapienza proponendovi un po’ di senso di colpa a buon mercato per le povere oche spiumate? «Bene, avete sofferto tanto: il distrattore ha funzionato», scrive Barbara Tampieri. Ma se volete inorridire veramente – non per la mattanza di oche, ma di esseri umani – c’è un documentario greco che racconta «l’epidemia di depressione che è calata sul paese come un castigo biblico». La terapia-choc, made in Germany, ha provocato «un disastro mentale su larga scala, un genocidio senza sparare un colpo», con la piena complicità della propaganda dei media. «L’ansia, il senso di colpa, quello di vergogna e la disperazione possono essere inoculati a milioni di persone, mentre si opera criminalmente per derubarle della propria ricchezza e gettarle nella disperazione. E’ istigazione collettiva al suicidio. E’ la prova di un crimine contro l’umanità, uno dei più efferati, che però non interessa a nessuno, tanto meno a coloro che vorrebbero esportare, dopo il grande successo in Grecia, la medesima terapia da noi e nel resto dell’Europa di seconda classe. Per liberarsi delle nuove vite indegne di essere vissute. O che hanno vissuto al di là delle proprie possibilità».“La Grecia che si dispera, la Grecia che spera”: tra le testimonianze raccolte nel video pubblicato su Vimeo, oltre a quelle degli operatori psichiatrici dei centri di aiuto che raccontano le cifre della tragedia, l’aumento del 28% dei suicidi e l’impennata della depressione tra la popolazione, «stringono il cuore quelle dei bambini e i loro disegni, con quei soli neri: piccoli già vittime del convincimento che siano stati sì i politici a ridurre le loro famiglie alla fame ma che soprattutto la colpa sia stata di quelle famiglie, di avere “speso troppi soldi”». Eppur, dice un intervistato, «non chiedevamo tutto quel benessere, siamo gente semplice». Scrive la Tampieri su “L’Orizzonte degli Eventi”: «C’è un particolare sadismo in colui che ti toglie la felicità sostenendo che se sei stato felice fino ad ora non ne avresti avuto diritto. C’è un che di pedagogia nera dall’origine inconfondibile in questo senso di colpa inoculato come un veleno in popolazioni talmente solari, per restare in tema, da inventarsi una terapia a base di risate per tentare di sopportare l’angoscia del quotidiano». Uno dei testimoni dice, a un certo punto: «Noi abbiamo il sole. Sono riusciti a farci sentire in colpa per avere il sole».Una donna, il cui stipendio si è ormai dimezzato e non riesce più a pagare il mutuo, esprime la rabbia di chi ha capito chi l’ha ridotta alla disperazione: «La banca avrebbe dovuto sapere che non sarei stata in grado di pagare le rate, avrebbe dovuto saperlo meglio di me». Un uomo racconta di essere invecchiato di vent’anni in poco tempo. Non si suicida, dice, perché non vuole lasciare solo il figlio, un bambino al quale riesce a dare da mangiare solo un piatto di fagioli. Però il padre ha già preparato la corda appesa, e la mostra. «Un popolo intero, quindi, in preda alla depressione, una depressione provocata scientificamente dall’invidia di chi è convinto di non potersi meritare il sole a meno di toglierlo agli altri con la violenza», scrive Tampieri. «Un popolo che sembra purtroppo fin troppo adagiato sul proprio destino, se è vero che pensa di affidarsi come unica speranza al toy boy delle damazze eurofile, quel Tsipras che, sì, poveri greci, ma l’euro non si tocca».«Questo documentario mi ha fatto stare male – scrive ancora Barbara Tampieri – perché la depressione la conosco, è la cosa più terribile che possa capitarti e l’ho avuta addosso per dodici anni. Conosco quel dolore atroce e quell’assoluta disperazione che ti danno le bellissime giornate di cielo terso, quando normalmente dovresti essere felice solo per il fatto di esistere e vedere tutta quella bellezza. Conosco quella vocina insistente che ti dice: “Non hai speranza, davanti a te c’è solo un muro nero oltre al quale c’è il nulla, il futuro non esiste, ammazzati”».E conclude: «Sono paranoica e complottista se penso che in fondo non si abbia alcun interesse a debellare la depressione ma anzi, si voglia non solo perpetuarla ma renderla endemica? Perché un popolo depresso è più facilmente controllabile, può essere sottomesso più alla svelta e difficilmente ti farà una rivoluzione perché, come per i lemming, basterà portarlo in cima al burrone e penserà da sé a suicidarsi. Come in Grecia».La Gabanelli vi intrattiene con sapienza proponendovi un po’ di senso di colpa a buon mercato per le povere oche spiumate? «Bene, avete sofferto tanto: il distrattore ha funzionato», scrive Barbara Tampieri. Ma se volete inorridire veramente – non per la mattanza di oche, ma di esseri umani – c’è un documentario greco che racconta «l’epidemia di depressione che è calata sul paese come un castigo biblico». La terapia-choc, made in Germany, ha provocato «un disastro mentale su larga scala, un genocidio senza sparare un colpo», con la piena complicità della propaganda dei media. «L’ansia, il senso di colpa, quello di vergogna e la disperazione possono essere inoculati a milioni di persone, mentre si opera criminalmente per derubarle della propria ricchezza e gettarle nella disperazione. E’ istigazione collettiva al suicidio. E’ la prova di un crimine contro l’umanità, uno dei più efferati, che però non interessa a nessuno, tanto meno a coloro che vorrebbero esportare, dopo il grande successo in Grecia, la medesima terapia da noi e nel resto dell’Europa di seconda classe. Per liberarsi delle nuove vite indegne di essere vissute. O che hanno vissuto al di là delle proprie possibilità».
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Oggi teorie cospirative, domani verità: lo dice la storia
Forse, la prima vera operazione “false flag” dell’epoca moderna fu “l’incidente di Gleiwitz”, provocato dai nazisti nel 1939 vicino alla frontiera orientale: indossate le uniformi dell’esercito polacco, unità delle SS attaccarono una stazione radio tedesca per poi dare la colpa alla Polonia. Durante il blitz, le SS trasmisero un breve messaggio di propaganda in polacco. Poi uccisero dei prigionieri di un campo di concentramento vestiti con uniformi polacche e li lasciarono sulla scena, per far apparire l’incidente come un atto di aggressione progettato da Varsavia. Il giorno successivo, quando la Germania invase il paese confinante dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale, Hitler citò l’episodio come uno dei pretesti. Nove giorni prima dell’incidente, Hitler aveva detto ai suoi generali: «Provvederò a un casus belli per la propaganda. La sua credibilità non ha importanza. Al vincitore non verrà chiesto se ha detto la verità». Anche se il termine “teoria del complotto” è diventato un dispregiativo usato contro chiunque metta in discussione la versione ufficiale degli eventi, innumerevoli esempi in tutta la storia delle cospirazioni hanno confermato i peggiori sospetti.«L’idea che i governi e le agenzie di intelligence svolgano atti di terrorismo sotto falsa bandiera è stata a lungo derisa dai media del sistema come una teoria della cospirazione, nonostante ci sia una pletora di casi storicamente documentati». Paul Joseph Watson e Alex Jones ne citano almeno dieci, famosi o famosissimi. Come l’Operarazione Ajax, che nel 1953 rovesciò il governo di Mohammed Mossadeq in Iran. La Cia ha ammesso il proprio ruolo nel golpe solo dopo mezzo secolo, nel 2013. Bilancio dell’attività terroristica: almeno 300 civili uccisi. Altra clamorosa “false flag”, lo scontro navale dell’estate del 1964 nel Golfo del Tonchino, che fornì il pretesto per la guerra del Vietnam. Peccato che nessuno sparò mai un solo colpo di cannone contro la flotta statunitense. Eppure, il 4 agosto 1964, il presidente Lyndon Johnson andò in televisione e disse al paese che il Vietnam del Nord aveva attaccato delle navi americane: «I ripetuti atti di violenza contro le forze armate degli Stati Uniti devono ricevere una risposta», dichiarò.Il Congresso approvò subito la Risoluzione del Golfo del Tonchino, che fornì a Johnson l’autorità per condurre operazioni militari contro il Vietnam del Nord. Nel 1969, oltre 500.000 soldati stavano già combattendo nel sud-est asiatico. «Johnson e il suo segretario alla difesa, Robert McNamara, avevano ingannato il Congresso e il popolo americano», scrivono Watson e Jones in un post su “Infowars”, tradotto da “Come Don Chisciotte”. «In realtà, il Vietnam del Nord non aveva attaccato la Uss Maddox, come il Pentagono aveva sostenuto, e la “prova inequivocabile” di un “non provocato” secondo attacco contro la nave da guerra degli Stati Uniti era uno stratagemma». Interamente all’insegna della “false flag” fu l’Operazione Gladio, cioè «il terrore sponsorizzato dallo Stato e imputato alla sinistra». In piena guerra fredda, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Cia e la britannica Mi6 collaborarono assieme alla Nato nell’Operazione Gladio per creare un esercito clandestino, o “stay behind”, al fine di combattere il comunismo nel caso di una invasione sovietica dell’Europa occidentale. Ben presto, però, la rete difensiva anti-Urss si trasformò in un esercito terrorista incaricato di intimidire l’opinione pubblica dell’Europa occidentale.«Gladio – precisano Watson e Jones – trascese rapidamente la sua missione originaria e divenne una rete terroristica segreta composta da milizie di destra, elementi della criminalità organizzata, agenti provocatori e unità militari segrete». Le forze armate “stay behind” erano attive in Francia, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Germania, e Svizzera. La “strategia della tensione”, quella che straziò l’Italia per due decenni, «venne progettata per far figurare i gruppi politici di sinistra europei come terroristici e per spaventare la popolazione, inducendola così a votare per governi autoritari». Dalla bomba di piazza Fontana a quella dell’Italicus, dai misteri del sequestro Moro (eseguito dalle Brigate Rosse ma “assistito” da una rete invisibile di protezione, anche all’insaputa degli stessi brigatisti), fino alla strage della stazione di Bologna: un retroterra torbido, popolato da servizi segreti molto opachi, infiltrati da organismi come la P2 di Licio Gelli, potente loggia massonica “deviata”, in collaborazione con gruppi neofascisti (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale), impiegati come manovalanza per le stragi. In ultima analisi, rilevano Watson e Jones, l’Operazione Gladio «ha causato la morte di centinaia di persone in tutta Europa». Secondo Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista di Gladio all’ergastolo per l’assassinio di un poliziotto, la ragione di “stay behind” era semplice: l’organizzazione era stata progettata «per costringere la gente, i cittadini italiani, a pretendere dallo Stato maggiore sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e gli attentati che restano impuniti, perché lo Stato non può condannare se stesso o dichiararsi responsabile di quanto è accaduto».Alla guerra segreta contro il regime comunista di Fidel Castro a Cuba appartiene invece l’Operazione Northwood: nell’ambito dell’Operazione Mangusta della Cia, «lo stato maggiore Usa propose all’unanimità di realizzare azioni terroristiche sponsorizzate dallo Stato all’interno degli Stati Uniti». Il piano, aggiungono Watson e Jones, «prevedeva l’abbattimento di aerei americani dirottati, l’affondamento di navi americane e l’uccisione di cittadini americani, a colpi di arma da fuoco, per le strade di Washington». Lo scandaloso piano «includeva anche lo scenario di un disastro alla Nasa, che prevedeva la morte dell’astronauta John Glenn». Il presidente John Fitzgerald Kennedy, ancora vacillante dopo l’imbarazzante fallimento della Cia per l’invasione di Cuba alla Baia dei Porci, «respinse il piano nel marzo del 1962». E pochi mesi dopo, lo stesso Kennedy «negò all’autore del piano, il generale Lyman Lemnitzer, un secondo mandato come militare di rango più alto della nazione». Poco dopo, nel novembre del 1963, Kennedy fu assassinato a Dallas, in Texas.Si chiama invece “Fast and Furious” l’operazione in cui «il governo Obama ha fornito armi ai signori messicani della droga con l’apparente scopo di seguirne le tracce al fine di distruggere le gang». Secondo Watson e Jones, «era in realtà parte di un piano cospirativo per demonizzare il secondo emendamento», cioè il diritto del cittadino americano di portare armi. I documenti ottenuti da “Cbs News” nel dicembre 2011 dimostrano che gli agenti speciali dell’Atf avevano discusso su come avrebbero potuto collegare le armi coinvolte nelle violenze in Messico ai negozianti di armi degli Stati Uniti, al fine di far approvare normative più restrittive sul controllo delle armi. Una fonte della polizia ha detto a “Cbs News” che le email indicano che l’Atf ha “montato” il caso, come parte di una manovra politica: «È come se l’Atf avesse creato o incrementato il problema, in modo da poter essere proprio lei a fornire la soluzione». Quanto alla droga, i narcos non sono solo messicani o colombiani: la stessa Cia «è stata implicata in operazioni di traffico di droga in tutto il mondo, anche a livello nazionale, in particolare durante l’affare Iran-Contras».«Con la benedizione della Cia», i miliziani che dall’Honduras contrastavano i guerriglieri di dinistra del Salvador e del Nicaragua «contrabbandarono negli Stati Uniti cocaina che venne poi distribuita come droga di prima qualità a Los Angeles, e i cui profitti furono poi versati ai Contras». Michael Ruppert, allora agente della polizia di Los Angeles, ha anche testimoniato di aveva assistito al traffico di droga della Cia. «I boss della droga messicani, come Jesus Vicente Zambada Niebla, hanno perfino dichiarato pubblicamente di esser stati ingaggiati dal governo Usa per operazioni di traffico di droga». Per Watson e Jones, «c’è un voluminoso corpo di prove che conferma che la Cia e i giganti bancari degli Stati Uniti sono i maggiori players in un commercio mondiale di droga del valore di centinaia di miliardi di dollari l’anno», come confermano anche le informazioni pubblicate da svariati osservatori, tra cui Gary Webb, su autorevoli blog d’inchiesta come “Prison Planet”. Banchieri e droga? Sì, e anche sigarette: secondo la Bbc, le aziende americane del tabacco sono state “prese con le mani nel sacco” nell’ingegnerizzare deliberatamente le “bionde”, additivandole con prodotti chimici che ne incrementano artificialmente la dipendenza. Per Clive Bates, direttore di “Ash” (Action on Smoking and Health), la scoperta ha messo alla luce «uno scandalo in cui le aziende del tabacco deliberatamente utilizzano additivi per rendere i loro dannosi prodotti ancora peggiori».Poi c’è lo sterminato capitolo dello spionaggio, fino alla sorveglianza di massa dell’National Security Agency. «Negli anni ‘90, quando gli attivisti anti-sorveglianza e i personaggi dei media stavano mettendo in guardia sulla vasta operazione di spionaggio della Nsa, vennero trattati come teorici paranoici della cospirazione», riordano Watson e Jones. «Ben più di un decennio prima delle rivelazioni di Snowden», l’agenzia di intelligence «era impegnata a intercettare e registrare tutte le comunicazioni elettroniche di tutto il mondo nel quadro del programma “Echelon”». Sorveglianza globale: “Echelon” era in grado di intercettare «ogni chiamata internazionale via telefono, fa, e-mail o trasmissione radio del pianeta». Nel 1999, il governo australiano ha ammesso di farvi parte, assieme a Stati Uniti e Gran Bretagna. In cabina di regia, già allora, c’era la Nsa. Un dossier del Parlamento Europeo risalente al 2001 afferma: «In Europa, tutte le comunicazioni e-mail, telefono e fax sono regolarmente intercettate», dall’agenzia smascherata da Snowden.Vastissimo, infine, il capitolo delle morti in apparenza accidentali. Non è solo cinema: nell’arsenale degli 007, anche il “dardo invisibile” che provoca l’infarto cardiaco. Ne parlò il Senato degli Usa già nel 1975, durante una testimonianza sulle attività illegali della Cia: «Fu rivelato che l’agenzia aveva sviluppato un’arma a dardi che causa un attacco di cuore». Nella prima udienza televisiva, svolta nella sala Caucus del Senato, intervenne Frank Church, senatore dell’Idaho e presidente della commissione d’inchiesta sul caso Watergate. «Church mostrò una pistola a dardi velenosi della Cia, rivelando così che la commissione era venuta a conoscenza del fatto che l’agenzia aveva violato un ordine presidenziale diretto, conservando uno stock di tossine di molluschi che sarebbe stato sufficiente a uccidere migliaia di persone», come conferma ancora oggi una pagina web del sito ufficiale del Senato statunitense. Il veleno penetra nel sangue e provoca l’arresto cardiaco. Al massimo, la vittima percepisce il fastidio di una puntura di zanzara. Veleno micidiale e invisibile: tutto ciò che resta è un puntino rosso sulla pelle. «Una volta che il danno è fatto, il veleno denatura rapidamente, in modo che nell’autopsia è molto improbabile rilevare che l’infarto è stato provocato da qualcosa di diverso da cause naturali».Forse, la prima vera operazione “false flag” dell’epoca moderna fu “l’incidente di Gleiwitz”, provocato dai nazisti nel 1939 vicino alla frontiera orientale: indossate le uniformi dell’esercito polacco, unità delle SS attaccarono una stazione radio tedesca per poi dare la colpa alla Polonia. Durante il blitz, le SS trasmisero un breve messaggio di propaganda in polacco. Poi uccisero dei prigionieri di un campo di concentramento vestiti con uniformi polacche e li lasciarono sulla scena, per far apparire l’incidente come un atto di aggressione progettato da Varsavia. Il giorno successivo, quando la Germania invase il paese confinante dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale, Hitler citò l’episodio come uno dei pretesti. Nove giorni prima dell’incidente, Hitler aveva detto ai suoi generali: «Provvederò a un casus belli per la propaganda. La sua credibilità non ha importanza. Al vincitore non verrà chiesto se ha detto la verità». Anche se il termine “teoria del complotto” è diventato un dispregiativo usato contro chiunque metta in discussione la versione ufficiale degli eventi, innumerevoli esempi in tutta la storia delle cospirazioni hanno confermato i peggiori sospetti.