Archivio del Tag ‘Piaggio’
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Addio made in Italy: agli stranieri tutti i nostri marchi storici
Fiorucci, Versace e i gelati Motta. Negli ultimi anni sono state diverse le aziende del Made in Italy a essere rilevate da compagnie straniere. Il marchio italiano piace a tutti e a far gola non sono solo le marche di moda, ma tutti i settori. Dall’alimentare all’energia, i migliori “pezzi” italiani vengono arpionati e trascinati in acque straniere. Facciamo il punto su tutti i gioielli tricolore “perduti”. Alta Moda e Lusso – Uno dei brand più in voga tra gli anni ’70 e gli anni ’90 è Fiorucci, fondata a Milano da Elio Fiorucci nel 1967. Nel 1990 viene rilevata dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento con diversi marchi di proprietà e licenza, poi dalla Itochu Corporation e infine dagli inglesi di Schaeffer. Le collezioni di Krizia sono invece passate a Marisfrolg Fashion Co. Non solo moda. Alle aziende straniere piacciono molto anche gli yacht. Quelli Ferretti sono di proprietà di Shandong Heavy Industry-Weichai Group. Grande scorpacciata per il fondo francese Kering, che ha acquistato Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni e Richard Ginori.Dal 2012, la maison Valentino è nelle mani di Mayhoola Investments mentre Ferrè è passato nelle mani del Paris Group di Dubai. Anche La Rinascente appartiene alla compagnia thailandese Central Group of Companies. Tra i casi che ha tenuto alta l’attenzione degli italiani c’è quello di Versace, il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per la bellezza di 2 miliardi di dollari. L’altro grande colosso francese della moda, Lvmh, è diventato proprietario di Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci e Bulgari. La giapponese Itochu Corporation ha fatto suoi altri marchi italiani come Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè, Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino SpA. Quasi tutte queste aziende sono state poi rivendute sempre ad aziende straniere. Anche l’Italia, seppur non con la stessa voracità, ha però acquistato un’azienda francese, la Moncler, che dal 2003 è di proprietà dell’italiano Remo Ruffini.Cibo – Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono di Lactalis, acquirente della Parmalat nel luglio del 2011, mentre gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono passati nel 1993 alla Unilever, che poi li ha ceduti nel 2008 alla spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Friol. Anche l’Eridania Italia, società leader nel settore zucchero italiano, è passata poi in mani francesi. La Birra Peroni, comprendente i marchi Peroni e Nastro Azzurro, è stata fagocitata dal colosso giapponese Asahi Breweries, mentre la Star, proprietaria di diversi marchi come Pummarò, Sogni d’oro, GranRagù Star, è stata acquistata dalla spagnola Gallina Blanca del Gruppo Agrolimen. Finanza – Anche in termini economici e finanziari, sono molte le società straniere che stanno fagocitando quelle italiane. Nel 2006, il gruppo Bnp Paribas acquisisce Bnl. Nel 2007, Crédit Agricole prende il controllo delle banche Cariparma e Banca Popolare FriulAdria. Sempre nello stesso anno, Generali accetta l’offerta di Groupama per l’acquisto del 100% di Nuova Tirrena per 1,25 miliardi di euro.Anche Unicredit ha venduto Pioneer ad Amundi per un valore di 3,5 miliardi di euro. Industria – Nell’industria, Italcementi è stata acquisita da HeidelbergCement. A Pirelli invece tocca andare in Cina. ChemChina è infatti il nuovo socio. A settembre 2016 la francese Suez ha acquisito parte di Acea mentre Magneti Marelli passa ai giapponesi di Calsonic Kansei. Energia – In campo energetico, Edison ha piegato la bandiera tricolore a favore di un’altra: quella francese. Trasporti – Nell’industria dei treni, il made in Italy non esiste più. La Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom. AnsaldoBreda è stata invece venduta alla giapponese Hitachi da parte di Finmeccanica. Non è diverso per gli aerei, Etihad ha acquisito per tre anni Alitalia mentre la Piaggio Aerospace è dal 2014 in mano agli arabi di Mubadala. Per Lamborghini, invece, la nuova casa è in Germania dove il padrone di casa è il Gruppo tedesco Volkswagen.(”Addio al Made in Italy: tutte le aziende italiane diventate straniere”, da “TgCom24″ del 14 luglio 2020; articolo realizzato in collaborazione con il master biennale in giornalismo della Iulm, contenuto a cura di Ilaria Quattrone).Fiorucci, Versace e i gelati Motta. Negli ultimi anni sono state diverse le aziende del Made in Italy a essere rilevate da compagnie straniere. Il marchio italiano piace a tutti e a far gola non sono solo le marche di moda, ma tutti i settori. Dall’alimentare all’energia, i migliori “pezzi” italiani vengono arpionati e trascinati in acque straniere. Facciamo il punto su tutti i gioielli tricolore “perduti”. Alta Moda e Lusso – Uno dei brand più in voga tra gli anni ’70 e gli anni ’90 è Fiorucci, fondata a Milano da Elio Fiorucci nel 1967. Nel 1990 viene rilevata dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento con diversi marchi di proprietà e licenza, poi dalla Itochu Corporation e infine dagli inglesi di Schaeffer. Le collezioni di Krizia sono invece passate a Marisfrolg Fashion Co. Non solo moda. Alle aziende straniere piacciono molto anche gli yacht. Quelli Ferretti sono di proprietà di Shandong Heavy Industry-Weichai Group. Grande scorpacciata per il fondo francese Kering, che ha acquistato Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni e Richard Ginori.
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Salvate il soldato Trenta: quelle armi sono vitali per l’Italia
«Per favore, salvate il soldato Trenta. E spiegate a Di Maio che la ministra della difesa sta cercando di acquistare gli armamenti indispensabili per rendere credibile la presenza dell’Italia sulla scena euro-mediterranea». Parola di Roberto Hechich, specialista del Movimento Roosevelt in materia di geopolitica. Elisabetta Trenta? Un’ottima scelta, da parte dei 5 Stelle: è competente e proviene dal settore difesa. L’oggetto del contendere? Il bilancio stesso del ministero, che il vicepremier grillino vorrebbe far dimagrire in modo imprudente. Pomo della discordia, il finanziamento negato per l’acquisto di velivoli e sistemi d’arma: lo sviluppo del missile italiano Camm-Er e quello del drone P2hh della Piaggio, più l’acquisto di altri esemplari dell’elicottero Nh90. Se lo stop al drone Piaggio può essere giustificato (l’Italia è impegnata anche nel progetto-doppione EuroMale), secondo Hechich non così è per gli altri due progetti. Il Camm-Er, missile a corto-medio raggio, è un’arma contraerea e antimissile installata sulle navi, nei porti, negli aeroporti e avamposti all’estero e nei siti strategici, andando a sostituirne altri oramai obsolescenti sistemi Spada e Aspide. «Serve quindi per difendere le basi militari italiane dislocate all’estero, le navi italiane che transitano al largo di coste non sicure o che incrociano navi potenzialmente avversarie».Anche se la maggior parte dell’opinione pubblica e molti politici non se ne rendono conto, sostiene Hechich, la situazione nel Mediterraneo andrà incontro a un rapido degrado col pericolo di conflitti violenti: «Secondo alcune analisi, il rischio di venirne coinvolti varia tra il 5 e il 35%». Proprio in questi giorni è stata diffusa la notizia (non ancora confermata) della fornitura, da parte della Russia, di avanzatissimi missili Kalibr alle milizie libiche di Haftar. Si parla della costruzione di due basi russe nella zona, sotto la copertura di truppe mercenarie del Gruppo Wagner, russo. «I russi hanno smentito, ma una qualche forma di presenza di loro truppe, anche se non così consistente, pare essere confermata». Non è che ci si possa aspettare un attacco russo, «ma la proliferazione di queste armi tra gruppi non statali accresce notevolmente il rischio di un loro lancio, o di un più probabile ricatto di un lancio, e il rischio si accentua ancora di più se c’è la percezione che dall’altra parte non ci siano difese adeguate». Sempre secondo Hechich, il mancato acquisto dei Camm-Er «ci obbligherebbe prima o poi a comperare missili dalle caratteristiche simili tra i nostri concorrenti commerciali, cioè Francia, Regno Unito o Usa, con l’aggravante di incidere sulla bilancia commerciale e di non essere proprietari delle tecnologie, senza dimenticare l’impatto sui valori occupazionali e sul Pil».Sempre a parere dell’analista, il mancato acquisto dei nuovi missili andrebbe anche a incidere sulla possibilità italiana di affiancarsi ai britannici (il Camm-Er è una nostra variante di un missile anglo-italiano) per lo sviluppo del nuovo caccia da superiorità aerea Tempest, destinato a sostituire gli attuali Eurofighter Typhoon. «E visto che l’analogo programma franco-tedesco è blindato, ci costringerebbe ad avere un ruolo subalterno a questi due paesi, tagliandoci fuori da ogni sviluppo industriale tecnologicamente avanzato nel settore, con deleterie ricadute sulle nostre capacità tecnologiche, industriali e di sviluppo economico». Oltretutto, insiste Hechich, la programmazione della politica di difesa necessita di anni, per non dire decenni. Non si improvvisa, e non si riesce a crearla quando c’è un pericolo diretto e la necessità diventa impellente. Da non dimenticare poi le cifre: «L’unico modo attualmente per sostituire il Camm-Er con un missile dalle capacità similari, e parzialmente prodotto in casa, sarebbe quello di riprendere la produzione degli Aster 15. Peccato che questo missile costi il doppio e necessiti di spazio doppio rispetto al Camm-Er».Lo stesso Camm-Er costerebbe all’incirca 500 milioni di euro spalmati in dieci anni, mentre il reddito di cittadinanza (del tutto condivisibile, per Hechich) costa diversi miliardi di euro all’anno. «Il gioco vale la candela? Potrebbe nel futuro la nostra Marina ritrovarsi in difficoltà a causa del mancato sviluppo del Camm-Er o nessuno ci lancerebbe missili?». Sempre Hechich ricorda tre episodi avvenuti nel recente passato: nel 1986 il lancio (controverso) di missili libici verso Lampedusa, nel 2011 il lancio fuori bersaglio di un missile dalla costa libica verso la fregata italiana Bersagliere, e soprattutto l’abbattimento di un G222 in missione umanitaria sui cieli della Bosnia da parte di due missili di fabbricazione sovietica (forse lanciati da forze irregolari croato-bosniache) e la conseguente morte dei quattro membri dell’equipaggio, che sarebbe stata evitata «se fossero stati presenti sistemi di contromisure – non ancora installate, appunto, per problemi di bilancio».L’altro programma a partecipazione italiana che dovrebbe venir sospeso è quello dell’elicottero Nh90, soprattutto nella versione Sh, destinata alla Marina. Parte di questi elicotteri sarebbe dovuta essere consegnata nella versione anti-sommergibile. L’elicottero è uno dei migliori sistemi per difendersi dalle minacce sottomarine, oltre che un mezzo di salvataggio, soccorso e collegamento. La Marina, che aveva trascurato questo aspetto, sta cercando di correre ai ripari, ma le serve tempo. «La mancata consegna di questo mezzo non fa che accentuare questo gap, senza tener conto dei danni sul piano economico e sui livelli occupazionali». Per Hechich, c’è da sperare che il paventato blocco di ordini sia veramente solo temporaneo. «Oltretutto i supposti, immediati risparmi sarebbero in gran parte vanificati dalle penali previste sui contratti già deliberati». Per intanto Leonardo, uno dei principali costruttori dell’elicottero, sta perdendo in Borsa. «Quindi ben si spiegherebbero le lacrime di rabbia all’uscita della Trenta dalla riunione con Di Maio, come citano alcune fonti».Non è tutto: Hechich ricorda anche la questione degli F35, nonché i continui rinvii sulla decisione riguardo opere pubbliche e investimenti in vari settori industriali. Nel Def gli investimenti sono scarsi, e indiscrezioni di stampa «paventano una vendita di industrie pubbliche altamente strategiche, efficienti e renumerative, come Leonardo e Fincantieri». Si tratta di «aziende ad altissima tecnologia, che caratterizzano e rendono prestigioso il settore della grande industria italiana». Abbandonate dallo Stato, diverrebbero «facile preda degli appetiti fagocitatori francesi». Tutto questo, osserva Hechich, lascia più di qualche sospetto sulle reali capacità e competenze dell’attuale ministro dello sviluppo economico. Non erano i D’Alema a svendere aziende come Telecom, capaci di darci indipendenza strategica e tecnologica? «Curioso quindi che un governo detto “sovranista” adotti gli stessi metodi di governi “neoliberisti”, svendendo la nostra sovranità tecnologica in un settore strategico, uno dei pochissimi che ancora ci rimangono».Secondo il leghista Raffaele Volpi, sottosegretario alla difesa, il comparto industriale aerospaziale e della difesa fattura più di 14 miliardi di euro all’anno, pari allo 0,8% del nostro Pil. Tendenzialmente in crescita, è fonte di ricerca e innovazione. «Il settore della difesa – ricorda Volpi – dà occupazione ad oltre 44.000 persone, che salgono a più di 110.000 se si considerano anche indotto e altri impatti indiretti». Non solo: «Le aziende pagano tasse allo Stato per non meno di 4,5 miliardi; perciò, trattare le spese militari come uno spreco di risorse non ha senso». Tutto questo, aggiunge Volpi, senza considerare l’export. Dettaglio non trascurabile, poi, «la sicurezza che deriva al nostro paese dall’essere difeso e dal poter partecipare con credibilità e autorevolezza ad alleanze con altri Stati in una fase storica caratterizzata da diffusa instabilità e pericolo di conflitti». Ogni euro speso per i programmi industriali della difesa, sottolinea Hechich, porta un ritorno di un fattore di circa 2,5. Non è che l’inesperienza di Di Maio lo porti a sottovalutare questi aspetti? Per cui, conclude Hechic: «Vi prego, per chi ne ha la possibilità: salvate il soldato Trenta».«Per favore, salvate il soldato Trenta. E spiegate a Di Maio che la ministra della difesa sta cercando di acquistare gli armamenti indispensabili per rendere credibile la presenza dell’Italia sulla scena euro-mediterranea». Parola di Roberto Hechich, specialista del Movimento Roosevelt in materia di geopolitica. Elisabetta Trenta? Un’ottima scelta, da parte dei 5 Stelle: è competente e proviene dal settore difesa. L’oggetto del contendere? Il bilancio stesso del ministero, che il vicepremier grillino vorrebbe far dimagrire in modo imprudente. Pomo della discordia, il finanziamento negato per l’acquisto di velivoli e sistemi d’arma: lo sviluppo del missile italiano Camm-Er e quello del drone P2hh della Piaggio, più l’acquisto di altri esemplari dell’elicottero Nh90. Se lo stop al drone Piaggio può essere giustificato (l’Italia è impegnata anche nel progetto-doppione EuroMale), secondo Hechich non così è per gli altri due progetti. Il Camm-Er, missile a corto-medio raggio, è un’arma contraerea e antimissile installata sulle navi, nei porti, negli aeroporti e avamposti all’estero e nei siti strategici, andando a sostituirne altri oramai obsolescenti sistemi Spada e Aspide. «Serve quindi per difendere le basi militari italiane dislocate all’estero, le navi italiane che transitano al largo di coste non sicure o che incrociano navi potenzialmente avversarie».