Archivio del Tag ‘Piano Marshall’
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Virus e vaccino, per arrivare al mondo post-umano di Colao
Stanno cercando in ogni modo di prolungare l’emergenza, paventando rischi maggiori di quelli probabilmente effettivi. Più il tempo passa, più verrà indebolito il nostro sistema economico, il nostro tessuto sociale. Più è distrutto, più è facile rifarlo in un altro modo: con nuovi criteri e nuovi padroni, capaci di comprare più facilmente quello che costerà di meno, o i settori che saranno semi-distrutti. Ci stanno imponendo un’emergenza che sembra infinita: tengono alta la paura del Covid, perché altrimenti non potrebbero più presentarci il vaccino come unica possibile vie d’uscita. Ma c’è dell’altro, ed è anche peggio: mentre il Comitato Tecnico-Scientifico sta usando il virus per distruggere l’economia, la task-force per la ricostruzione (ancora più pericolosa) pensa di sfruttare la crisi per cambiare per sempre l’economia, sottraendola al controllo degli italiani. Cts e task-force sono due “corni” di un unico demone. Il Cts è fatto di scienziati abbondantemente venduti al potere, ed è espresso da organismi internzionali come l’Oms e l’Onu. Per loro l’unica salvezza sarà il “messia” vaccino. Ovviamente, il Cts si guarda bene dal dire che la vera salvezza sta innanzitutto nel rafforzare il proprio sistema immunitario. Suggerimenti e indicazioni, da loro? Zero: la gente deve stare male per poi potersi vaccinare, e vacciandosi stare ancora peggio, e quindi assumere ancora più farmaci. Indovinate per chi lavorano, questi?Poi c’è il secondo “corno”, la task-force di Colao. Lavora per la ripresa? Non è così, faranno altro. L’ha detto lo stesso Colao: «Non si può sprecare una crisi». E’ un’opportunità unica, per cambiare la struttura economico-sociale del paese. Conoscendoli, significa: globalizzarla, meccanizzarla, robotizzarla, dandola ancora più in pasto alla finanza internazionale, sottraendola agli italiani che lavorano, all’iniziativa individuale, e mascherandola persino da Green New Deal e da ottimistica ripresa dopo il Covid. Vittorio Colao sta a Londra, loro si parlano via web. E’ una sorta di nuvola nera, quella che incombe sopra Palazzo Chigi. Gli uomini della task-force parlano ai loro maggiordomi del governo, a questi burattini prestati ai poteri da masse incoscenti di italiani, che li hanno votati (e nel caso di Conte, nemmeno li hanno votati). E allora scopriamola, la pericolosità di questa task-force e del potere vero che rappresenta. Vittorio Colao è un uomo della finanza internazionale. In questo momento è il grande profeta del 5G, della cosiddetta transizione digitale. E’ passato per Morgan Stanley, McKinsey, poi Rcs, poi Omnitel, Vodafone e ora General Atlantic, un mega-fondo da 35 miliardi di dollari che già lavora (con una task-force sua) studiando come intervenire nel tessuto socio-economico della ripresa.Come? Comprando, stravolgendo e finanziando solo chi vuole, nell’ambito dell’imminente programma, una sorta di Piano Marshall nel quale useranno un’economia distrutta dalla crisi per ricostruirla come voglino loro. Vogliono cioè meccanizzarci, tecnologizzarci, verticalizzarci, centralizzarci, mondializzarci. Come dice Colao: «Le peggiori crisi sono quelle che si sprecano». E attenti ai professori della task-force: sembrano italiani, ma sono “amerikani” (con la kappa), allevati nelle grandi università del potere mondiale. Per esempio Enrico Moretti, della Berkeley. Apprezzatissimo da Obama, Moretti vuole una società nella quale le piccole e medie imprese (e il turismo) non siano più al centro. A guidare tutto devono essere solo i colossi connessi all’elettronica, sul modello Seattle-Microsoft. Moretti teorizza la necessità di smontare il tessuto economico e sociale italiano, in cambio di strutture mondiali nelle mani della grande finanza. Poi c’è Marianna Mazzuccato, della London University. Dice: bisogna dare allo Stato, e non più ai privati, la guida della rivoluzione tecnologica. Vuole un dirigismo centralista, che faccia affluire solo a qualcuno i soldi delle nostre tasse, a danno della nostra libera impresa, finora fiorente.A completare il “tridente” dei professori “amerikani” è Raffaella Sadun, economista della Harvard Business School. Sogna manager sempre più abili nella transizione tecnologica dall’umano al post-umano. Poi c’è Roberto Cingolani, che oggi lavora a Leonardo (armamenti). E’ un fisico, esperto in robotizzazione. Accanto a loro c’è Stefano Simontacchi, potentissimo avvocato d’affari: ci sarà bisogno, infatti, di far affluire nei posti giusti il mare di soldi in arrivo. E attenti ancora: nella task-force di Colao ci sono gli uomini del famigerato Club di Roma: Enrico Giovannini, Francesco Starace. Il Club di Roma fu fondato a metà del ‘900 da un potere “nero” come il centro studi della Fiat, attraverso il brillante manager Aurelio Peccei. La sua specialità: usare (o creare) emergenze. C’è la sovrappopolazione? Loro fanno finta che questo sia un problema. C’è il riscaldamento climatico? Idem: fingono che sia un’emergenza. C’è un problema di acqua, nel mondo? Lo fanno diventare un dramma planetario, attraverso il quale si faranno le guerre. Le risorse terrestri sono meno disponibili? Loro raccontano che fra vent’anni saranno esaurite: lo dicevano già negli anni ‘70, e non si sono affatto esaurite.Gli uomini del Club di Roma sfruttano le emergenze per fare strategia della tensione. Per dire poi: serve più controllo, gli Stati non bastano, serve più mondialismo, occorrono strutture internazionali. Sono grandi artefici del mondialismo, e agiscono sempre nello stesso modo: sfruttando le emergenze, o creandole. Sono specialisti, in questo. E quindi perché non dovrebbero buttarsi a pesce nell’emergenza attuale, per dirigere poi la società nella direzione indicata dal loro club, che è da sempre al servizio dei peggiori poteri mondialisti? Questa task-force avrà a disposizione una quantità incredibile di soldi, gestita dai grandi poteri come l’Ue. Una parte è già stata destibnata al Green New Deal, creato grazie alla finta emergenza climatica. Tantissimi soldi, e per fare cosa? Per digitalizzare il mondo e inondarlo di auto elettriche? E perché il Green New Deal non parla di ridurre i campi elettromagnetici? Li vuole anzi aumentare, tra 5G e satelliti. Vogliono meno imprese, meno libertà. E noi saremo incastrati nella ragnatela di un web sempre più pervasivo e invasivo. Bastone e carota: la cupola dei virologi, questa sorta di Papato finto-scientifico, usa il virus come una volta si adoperavano i terroristi per fare strategia della tensione. Obiettivo: portarci alla carota, cioè il vaccino. Che sarà solo il primo passo, verso il mondo disumano per il quale lavorano questi poteri che oggi maneggiano il Covid nel modo che vediamo, disastrando deliberamente l’economia.(Fausto Carotenuto, dichiarazioni rilasciate nel video “Una cupola contro di noi, dove vogliono portaci”, pubblicato su YouTube già nel maggio scorso e ora rilanciato da “Coscienze in Rete”).Stanno cercando in ogni modo di prolungare l’emergenza, paventando rischi maggiori di quelli probabilmente effettivi. Più il tempo passa, più verrà indebolito il nostro sistema economico, il nostro tessuto sociale. Più è distrutto, più è facile rifarlo in un altro modo: con nuovi criteri e nuovi padroni, capaci di comprare più facilmente quello che costerà di meno, o i settori che saranno semi-distrutti. Ci stanno imponendo un’emergenza che sembra infinita: tengono alta la paura del Covid, perché altrimenti non potrebbero più presentarci il vaccino come unica possibile vie d’uscita. Ma c’è dell’altro, ed è anche peggio: mentre il Comitato Tecnico-Scientifico sta usando il virus per distruggere l’economia, la task-force per la ricostruzione (ancora più pericolosa) pensa di sfruttare la crisi per cambiare per sempre l’economia, sottraendola al controllo degli italiani. Cts e task-force sono due “corni” di un unico demone. Il Cts è fatto di scienziati abbondantemente venduti al potere, ed è espresso da organismi internazionali come l’Oms e l’Onu. Per loro l’unica salvezza sarà il “messia” vaccino. Ovviamente, il Cts si guarda bene dal dire che la vera salvezza sta innanzitutto nel rafforzare il proprio sistema immunitario. Suggerimenti e indicazioni, da loro? Zero: la gente deve stare male per poi potersi vaccinare, e vacciandosi stare ancora peggio, e quindi assumere ancora più farmaci. Indovinate per chi lavorano, questi?
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Paltrinieri: l’Italia risorga, sarà lei a battere il Deep State
«Altro che paese a rischio, l’Italia è una corazzata. Come ben detto da Banca d’Italia, fra denaro, titoli e asset fisici, il popolo italiano (non le banche) detiene 10.000 miliardi di euro di risparmi, 4 volte tanto il famigerato debito pubblico. Gli altri paesi sono messi al contrario: debito pubblico più basso ma cittadini super-indebitati. Quindi, per distruggerla bisogna portarla a uno stato di impoverimento pari a quello in cui, durante il regime fascista, la gente andava a donare le fedi per la patria. E l’unica maniera per contrastare questo disegno è rifondare tutto sulla base dell’unico collante esistente, lo spirito cattolico». Non usa mezze misure, Flavio Robert Paltrinieri, italoamericano, una vita da imprenditore e a capo di diverse società nel mondo e anche parte della task-force internazionale che vuole far rinascere la Democrazia Cristiana come una nuova Dc. E ci rivela la malattia e la cura, ovvero il disegno in atto da parte del cosiddetto Deep State e la maniera per smontarlo. Soprattutto, ci rivela che non sono gli Usa il simbolo del mondo libero che va distrutto, ma l’Italia. Ma cos’è, esattamente, il Deep State? E quando è iniziato lo strapotere della finanza internazionale?
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Il disastro del lockdown e i valori dei poeti del vino italiano
Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.Tutto sta a rimboccarsi le maniche, ancora una volta? Lo assicura un genio del marketing come Oscar Farinetti, che in mezzo a quei vigneti è cresciuto. Ha ragione? Solo a metà: giusto attingere all’ottimismo della volontà, mobilitando risorse anche morali per fronteggiare una crisi paurosa, cercando di trasformarla in un’occasione per riconvertire l’economia, premiando il profilo anche ecologico del “food & wine”. Ma forse i conti sarebbe meglio farli con l’oste, cioè con il convitato di pietra della grande depressione: la macroeconomia, questa sconosciuta. Se privatizzi il pianeta, appaltando la politica a piccoli mestieranti locali, puoi scordarti che lo Stato abbia il potere – aiutando, agevolando, detassando – di far decollare l’economia privata. Il visionario patron di Eataly – che ha fatto davvero moltissimo, per far brillare il sistema-Italia nel mondo, e pure in anni difficili – viene da una tradizione socialista: il padre partigiano, poi vicesindaco di Alba. L’Italia che seppe rimboccarsele davvero, le maniche, era quella del dopoguerra: miracolata dal Piano Marshall e poi trainata dall’economia mista alimentata dal colosso Iri, il più grande complesso industriale d’Europa. Un sistema smantellato in modo brutale prima con la “privatizzazione” del debito pubblico e poi con la svendita dei maggiori asset pubblici, strategici per il Made in Italy.Per un capriccio della storia, proprio nel periodo più buio per l’Italia – la grande precarizzazione, le delocalizzazioni selvagge, la folle austerity imposta dall’Ue – ha potuto fiorire, di colpo, il paradiso del vino. Anno dopo anno, i numeri di Vinitaly hanno stracciato ogni record, facendo volare l’intero sistema vinicolo italiano, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, con fenomeni-mostro come il Prosecco e i suoi 800 milioni di bottiglie vendute in tutto il pianeta. La festa sembrava non dovesse finire mai, nelle colline piemontesi – Langhe, Monferrato – ora elevate al rango di patrimonio paesaggistico dell’umanità sotto la tutela delle Nazioni Unite, attraverso l’Unesco. Un volano formidabile: paesini fino a ieri sconosciuti, trasformati all’improvviso in mete internazionali, con un indotto virtuoso e declinato a livello “glocal”, all’insegna della valorizzazione dell’ambiente e della genuinità delle filiere corte. In questo piccolo paradiso, c’è un’area Unesco quasi altrettanto nota – il Roero, sulla riva sinistra del Tanaro proprio di fronte ad Alba e Barbaresco – che di bottiglie ne produce solo 8 milioni, cioè la centesima parte del potenziale di fuoco di Treviso e Valdobbiadene. Un mondo di artigiani: il loro passaporto per gli Stati Uniti si chiama Arneis, un bianco che tradizionalmente era il meno prestigioso, tra i vitigni coltivati su quelle colline.Nomi che hanno fatto storia, nel Piemonte vinicolo – Ceretto, Negro – hanno ripescato l’Arneis dall’oblio contadino, facendone un signor vino, modernissimo, a suo agio sulle migliori tavole di Tokyio e di Los Angeles. E anche l’Arneis – insieme al Barolo – ha contribuito a trasformare il periferico Piemonte, a lungo rassegnato a languire come entroterra dell’universo Fiat, in un attore di primissima grandezza, nel mondo (felicemente globalizzato, in questo caso) delle degustazioni per veri indenditori. Oggi, anche il sistema-Piemonte piange le amare lacrime del maledetto coronavirus: il Monferrato, patria della Barbera, sconta una contrazione delle vendite che viaggia attorno al 40%. Una specie di ecatombe, da cui non si sa come uscire: c’è chi propone addirittura di mandare al macero il vino invenduto per distillarlo e ricavarne alcol, così da recuperare almeno i costi di produzione. Se nelle Langhe del Barolo il grande silenzio della primavera 2020 resterà negli annali come immane sciagura memorabile, forse il piccolo Roero soffre meno: con la sua economia differenziata (agricoltura mista, tanta frutta), è meno dipendente dal turismo internazionale. «Però anche qui la batosta è stata forte: paragonabile alla grandine che, quarant’anni fa, avrebbe fatto saltare la vendemmia, facendoci perdere un anno intero di lavoro, e quindi di entrate vitali per la famiglia».A parlare è Sergio Marchisio, un autentico pioniere: il primo a spumantizzare l’Arneis, il primo a vinificare il Nebbiolo in anfora. Un’azienda modello, certificata biologica, e con un debole per la biodonamica di Rudolf Steiner. Missione: scommettere innanzitutto sul recupero della fertilità naturale del suolo. «Dopo dieci anni il risultato lo senti nel bicchiere, in termini di pienezza e ampiezza di profumi». La sua cantina, a Castellinaldo d’Alba, sembra uno scrigno di silenziosa energia alchemica: nel ventre della terra riposano anfore panciute, contrassegnate dall’effigie del benefico serpente che avvolge l’uovo primordiale. Impatto zero, pannelli fotovoltaici e verdissimi filari che avvolgono l’officina delle delizie. «Certo, la processione dei turisti venuti da lontano si è interrotta anche qui. Ma non per questo ci scoraggiamo: i nostri valori sono più grandi, più forti del coronavirus». A proposito di valori: se c’è qualcosa di eroico, nel sistema-vino che negli ultimi decenni ha tenuto alta nel mondo l’eccellenza italiana, è la sua capacità di offrire bellezza raffinata, worldwide, attingendo con notevole coraggio alla passione, tipica del miglior Made in Italy, nutrito di praticità artigiana. Il paese crollava – Pil, disoccupazione – e le cantine conquistavano il pianeta, imparando l’inglese e sbalordendo pubblico e critica.Una storia che per certi aspetti sembra dar ragione all’incrollabile ottimismo di Farinetti. E che oggi – di fronte alle macerie del lockdown, tra mercati che franano – fa capire quando può essere feroce questo disastro, che è risucito a spiazzare persino gli invincibili, appassionati guerrieri del grande vino italiano. «Personalmente – confessa Sergio Marchisio – a cambiare il mio modo di vivere e di pensare è stata una frase di Steiner: quella in cui invita a riflettere sul fatto che l’uomo, in fondo, è l’unico abitante del pianeta che riesce ad avvelenare il cibo di cui si nutre». Se è per questo, siamo riusciti ad avvelenare l’acqua, i terreni, i cieli. «Esatto. Ecco perché, se le viti hanno nostalgia del sole, anziché usare prodotti chimici le accontento con semplici micro-cristalli di quarzo, minerale specchiante che conserva in sé la memoria della luce e del calore». Filosofi e poeti, tra i filari? Un amico e collega di Marchisio – Paolo Carlo Ghislandi di Cascina I Carpini, maestro del Timorasso (super-bianco dei Colli Tortonesi) – sa che ai suoi filari piace ascoltare la musica classica: Rachmaninov, di preferenza. E cita una poetessa francese, Colette: «Nel regno vetegale, la vite è l’unica che rende intellegibile, all’uomo, il valore della terra». Quando saremo usciti dall’incubo che ci è piovuto addosso, sarà naturale ripensare a loro, i pensatori-contadini che, custodendo le loro verdissime colline, sembrano rinnovare una specie di promessa, prodigiosamente alchemica. Viene che il sospetto che non si tratti solo di vino: come se in qualche modo, in punta di piedi, lavorassero anche per l’armonia dell’universo.(Giorgio Cattaneo, 21 giugno 2020).Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.
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L’insidiosa tecno-cupola di cui Conte è solo il maggiordomo
Ci stiamo finalmente avviando alla fine dell’epidemia, anche se certi poteri vorrebbero prolungarla l’infinito per una serie di motivi. Da una parte ci avviamo alla fine dell’epidemia, dall’altra si apre un periodo che è piuttosto pericoloso – non dal punto di vista epidemico, in particolare, ma pericoloso per la nostra società: perché qualcuno vuole sfruttare gli esiti di questa epidemia per accelerare dei processi che vanno contro di noi. Chi sono e cosa fanno? Una vera e propria cupola è stata messa a dirigere l’Italia, in questa crisi: saltando il Parlamento, saltando le istituzioni, saltando una maggioranza supina, legata ai grandi poteri, contrastata da un un’opposizione che fa finta di contrastarla ma in effetti anche lei difende gli stessi poteri. Tutti hanno in qualche modo contribuito ad affidare il comando delle operazioni ad una sorta di cupola. Il presidente Conte viene accusato di essere un uomo solo al comando, di aver accentrato i poteri. Certo, lui li ha accentrati in quanto maggiordomo di poteri superiori, che non esercita lui: lui sta lì, prende le veline, parla e dice quello che deve dire, e fa quello che gli dicono di fare. Del resto lui non è un politico: è un avvocato, che rappresenta i suoi clienti.Abbiamo già visto che i clienti di Conte sono molto importanti. Lui è il vero e proprio successore di Andreotti, in quanto il potere cardinalizio, il potere curiale che è dietro di lui è esattamente lo stesso, con gli stessi personaggi che hanno appoggiato Andreotti durante tutta la sua carriera. E abbiamo anche detto, in precedenza, che questo è un governo pericolosissimo, perché attrezzato in maniera tale da poter fare delle cose molto forti. Gli uomini che ci sono dentro sono iper-europeisti, iper-collegati al circuito gesuita-massonico. Sono veramente capaci di metterci in condizioni peggiori, ma vediamo perché. Non c’è un uomo solo al comando: c’è un passaparola unico, di un potere che è una sorta di “cloud” che nemmeno si presenta a Palazzo Chigi: in buona parte opera via web. Una cupola di potere, fatta di due corna: proprio come come i demoni. Un corno è il famoso comitato tecnico scientifico, quello fatto dai virologi, dagli scienziati del potere, da quelli che ogni giorno ci hanno imbottito in parte di verità e in parte di panzane terrorizzanti, giocando e manipolando i dati, confondendoli per fare in modo che questa storia non solo fosse una storia seria, nella quale le persone veramente sono morte, ma anche un fatto terrorizzante: una strategia della tensione che non vuole finire.Loro dicono: il virus non finirà, vedrete, sarà un macello. State buoni dentro casa, tutti chiusi, anche quelli che stanno bene e che non rischiano. Una strategia della tensione, per fare in modo che duri il più a lungo possibile, nonostante le curve che stanno calando. Vedrete, dicono, poi ci sarà una seconda ondata e succederà di tutto, dovremo convivere con il virus… In Cina, paese che sta un mese avanti a noi, oggi hanno buttato le mascherine: non sono più obbligatorie e c’è libertà di circolazione. Non si vede perché non dovrebbe essere così anche da noi, tra qualche settimana. Ma questo corno della cupola fa di tutto per lasciarci terrorizzati. “La seconda ondata”… Questo momento cercheranno di farlo durare a lungo, il più a lungo possibile, psicologicamente. Anche se alla fine la crisi sarà passata e l’epidemia sarà finita, loro cercheranno di mandarlo psicologicamente avanti e più a lungo, per arrivare a vaccinarci tutti: perché il vaccino è il loro fine ultimo. Ma non solo come vaccino per il Covid: come idea, come forma-pensiero che il vaccino sia la salvezza. E tutta l’industria farmaceutica va in una direzione in cui i farmaci saranno sempre più i vaccini, per qualsiasi cosa.Ma i vaccini indeboliscono il corpo vitale, quello che si chiama anche “corpo eterico” delle persone: rendono più fragili. In Inghilterra l’hanno detto chiaramente: se siete stati vaccinati contro l’influenza, se avete una certa età, state chiusi in casa almeno 12 settimane, perché è più facile che vi prendiate anche il Covid, visto che il vostro sistema immunitario è indebolito. Questo stesso corno di questa cupola, questo comitato tecnico scientifico fatto di scienziati abbondantemente venduti al potere (e abbondantemente dipendenti dagli elementi internazionali degli organismi mondiali del potere oscuro come l’Oms e l’Onu) raccomanda di vaccinarsi: il Messia Vaccino sarà l’unica salvezza. Ma non dice che la vera salvezza sta nel rafforzare il proprio sistema immunitario. Vi dovrebbero dare suggerimenti, indicazioni in questo senso, e invece no: la gente deve stare male per potersi vaccinare. E vaccinandosi starà ancora peggio, per poter prendere ancora più farmaci. Indovinate questi per chi lavorano, se non per i poteri oscuri e finanziari che dominano l’industria farmaceutica, che ha fatto apposta a indebolire le persone? E indebolendo la parte fisica delle persone c’è anche la possibilità di frenare il risveglio della coscienza. Ma non è finita.L’altro corno della cupola è quello che in questo momento sta per diventare pericolosissimo, più del primo. E’ alla famosa task force fatta per guidare, per fare da consulente nella ripresa economica e sociale dopo il virus, quindi quella che adora dire “queste sono le modalità di apertura, questi i tempi, questi i posti nei quali investire da parte dello Stato, questi i settori da far partire, in questo modo e in quest’altro”. Ci si aspetterebbe una task force fatta di persone interessate a ristabilire la normalità, a riattivare il tessuto economico, il tessuto culturale, sociale, turistico: la piccola e media industria italiana. Riattivare le nostre libertà, quindi, e ridare vita a quello che sta morendo. Ma guardando bene chi sono, semplicemente non è così: faranno altro. E questo è nelle parole di Colao, questo strano individuo che è stato scelto per dirigere questa task force. Le sue parole sono: «Non si può sprecare una crisi». Eh no: questa crisi va usata come opportunità per cambiare. Che cosa? La struttura economica e sociale del paese. Conoscendoli, vedremo perché questo significa globalizzare e meccanizzare l’economia, dandola in pasto ancora di più alla finanza internazionale, dalla quale vengono Colao e company, sottraendola alla gente (sottraendola ai liberi imprenditori, all’iniziativa individuale, e mascherandola persino da Green New Deal e da ottimistica ripresa).Questa task force è un gruppo che vuole stravolgere la società: non la vuole far diventare migliore, la vuol far diventare peggiore. Sì, è proprio un comitato di gran lunga più pericoloso del primo. Colao se ne sta a casa, nel suo ufficio di Londra: nemmeno si presenta a Palazzo Chigi. Gli altri della task force si riuniscono via web: una sorta di nuvola nera sta sopra Palazzo Chigi, e dirige tutto da lì attraverso gli schermi. Un vero e proprio Grande Fratello orwelliano che parla via video ai propri maggiordomi del governo, a questi burattini prestati ai poteri da masse incoscienti di italiani che li hanno votati (e nel caso di Conte, nemmeno votati). Sono ispirati da una nuvola nera che si aggira sopra Palazzo Chigi, progettando per noi un grande futuro: per la ripresa stanno lì a studiare come robotizzarci, come uniformarci, come disumanizzare la società in nome di un paventato benessere economico. Più velocità e più efficienza: ma per fare che cosa? Per condurre anime svuotate di ideali e svuotate di amore reciproco, intente solamente ad essere più efficienti? Essere più efficienti per fare più soldi, per un sistema che vuole soffocare e strangolare esseri uman? Già solo questo dimostra la pericolosità di questa task force, e del potere vero che rappresenta.Per capire meglio, vediamo un po’ chi sono almeno alcuni membri di questa task force. Vittorio Colao, il capo di questo comitato, è un uomo della finanza internazionale. In questo momento è il grande profeta del 5G dappertutto, il profeta della cosiddetta transizione digitale. E’ passato per Morgan Stanley, per la McKinsey, poi è finito in Rcs, poi in Omnitel, poi a Vodafone e ora a General Atlantic. Che cos’è? Un mega-fondo da 35 miliardi di dollari, americano ed europeo, che già lavora con una task force sua. E come? Intende intervenire nel tessuto economico della ripresa comprando, indirizzando e stravolgendo, finanziando chi vuole e non finanziando chi non vuole, partecipando a quello che si sta per avviare (una sorta di Piano Marshall, nel quale useranno un’economia distrutta dalla crisi per ricostruirla come vogliono loro: per meccanizzare, tecnologizzare, verticalizzare c centralizzare). Come dice Vittorio Colao, le peggiori crisi sono quelle che si sprecano. E quindi questo gruppo non è stato fatto per riportarci alla normalità: è stato fatto per portarci alla progressiva, crescente anormalità e disumanizzazione.Vediamo chi altro c’è, nella task force. C’è un gruppettino interessante di professori. Noi diciamo sempre che determinati professori comandano più dei politici, perché lavorano per conto dei poteri oscuri e di manipolazione: perfezionano le strategie di manipolazione che poi vengono imposte ai politici, che sono solamente dei passaparola, degli specchietti per le allodole (e le allodole siamo noi). Qui c’è un singolare trio di “americani” – americani col k, nel senso che sembrano italiani ma sono professori che hanno fatto gli studi e tutta la loro carriera in università americane e inglesi, le università del potere mondiale, quelle dalle quali poi vengono fuori i grandi uomini dei grandi poteri finanziari. Uno di loro è il professor Enrico Moretti, un “americano” apprezzatissimo da Obama, il famoso Nobel per la Pace che faceva le guerre. E che cosa dice, questo Enrico Moretti? Tra le tante cose che lui vuole c’è una società nella quale le piccole e medie imprese e il turismo non siano più al centro, ma lo siano solamente i colossi connessi con l’elettronica, sul modello di Seattle. Con la Microsoft, che lui cita, c’è questo-mega centro di diffusione elettronico verso cui tutti affluiscono.Come a dire che, a questo punto, le piccole e medie imprese si svuotano, e il turismo non ha più molto senso, come posti di lavoro. Ma l’Italia è fatta soprattutto di piccola industria e di turismo: quindi questo signore è uno che teorizza come smontare il tessuto economico e sociale italiano, in cambio di strutture mondialiste centraliste nelle mani della grande finanza. Poi c’è un altro soggetto “americano”, nella task force di Colao: una signora, anche lei col k, che ora insegna alla London University. Si chiama Marianna Mazzucato: è una professoressa esperta di innovazione tecnologica, che significa esperta di stravolgimento della vita e dei valori umani in favore del farci diventare mezze macchine. E cosa dice? Bisogna dare allo Stato, e non più tanto ai privati, il compito di promuovere, finanziare e guidare la ricerca tecnologica e la rivoluzione tecnologica. L’iniziativa privata quindi non va più tanto bene, e allora lei prevede che questa venga oscurata da un dirigismo centralista (italiano, nazionale, europeo o addirittura mondialista) che faccia affluire i soldi delle nostre tasse ai soggetti prescelti dal potere centralista, e per i suoi fini, col risultato di uccidere o condizionare pesantemente la nostra libera impresa, finora fiorente.In questo trio c’è poi un’altra professoressa, Raffaella Sadun, che naturalmente insegna ad Harvard: è un’economista esperta di come fare in modo che i manager diventino sempre più bravi a fare la transizione tecnologica da ciò che è umano, nell’economia, a ciò che è meccanico, elettronico, disumanizzante. E chi altro c’è in questo dream team del potere mondialista che vuole robotizzarci? Uno bravo è il fisico Roberto Cingolani, esperto in robotizzazione. Per ora il suo intervento sociale si svolge al servizio di Leonardo, l’ex Finmeccanica, la più grande industria di armi italiana (la terza in Europa) che con i suoi sistemi d’arma è leader nel meccanizzare la morte della gente. Poi naturalmente serve un “avvocatone” d’affari, come Stefano Simontacchi, che i giornali definiscono l’avvocato più potente d’Italia – già, perché poi bisogna fare in modo che i soldi affluiscano nei posti giusti. E poi, ultimi ma niente affatto ultimi, il comitato è presidiato da membri del famigerato Club di Roma. Due, almeno, i membri presenti. Uno è Enrico Giovannini, membro del comitato esecutivo mondiale del Club di Roma. Un altro è un signore che si chiama Francesco Starace. Ma che cosa rappresentano, loro, in questo comitato?Rappresentano un Club di Roma che fu fondato nella seconda metà del secolo scorso dall’ufficio studi della Fiat (un potere nero, ovviamente) attraverso un manager famoso, molto brillante, che si chiamava Aurelio Peccei. E che cosa fa, questo Club di Roma? E’ specializzato nell’usare (o anche nel creare) le emergenze. Quindi: c’è l’emergenza sovrappopolazione? Loro fanno finta che questo sia un problema. C’è l’emergenza riscaldamento climatico? Loro fanno finta che questo sia un problema. C’è un problema di acqua da qualche parte? Loro lo fanno diventare un problema mondiale, attraverso il quale si faranno le guerre. C’è un po’ di esaurimento di risorse? Loro fanno finta che le risorse dopo vent’anni si siano esaurite. Sfruttano le emergenze per fare strategia della tensione, per dire poi che serve più controllo, gli Stati non sono sufficienti, bisogna fare più mondialismo e creare più strutture mondialiste, bisogna creare strutture dirigiste internazionali. Sono tra quelli che aiutano di più a costruire il potere mondialista disumanizzante che toglie libertà locali, sempre, ogni volta sfruttando le emergenze. E quindi, perché mai non si dovrebbero buttare a pesce nello sfruttamento di questa nuova emergenza, per dirigere poi la società nella direzione che il loro Club ha sempre voluto?Tempo fa abbiamo pubblicato un dossier sui club mondialisti che si basano sul Club di Roma: si può capire esattamente che tipo di potere sia questo, e quanta influenza eserciti sul mondo. E l’influenza viene esercitata soprattutto attraverso gruppi di professori del potere, venduti al potere. Che altro si può dire, di questa task force? Insieme ad altre, analoghe, sicuramente in campo nel mondo, avrà a disposizione una quantità incredibile di soldi, da investire nella direzione voluta. E’ infatti pronta una quantità incredibile di soldi, gestita dai grandi poteri mondialisti come l’Unione Europea, per esempio. Una parte di questi soldi è già stata destinata al Green New Deal. C’è un’emergenza climatica? Allora noi mettiamo un sacco di soldi: per fare che? Per elettrificare il mondo, per le auto elettriche, per digitalizzare – il che non c’entra niente con la salute della Terra, anzi: significa meccanizzazione ulteriore del pianeta. Figurarsi se il Green New Deal raccomanda di ridurre i campi elettromagnetici, macché. Anzi, dice: aumentiamo le macchine elettriche, i satelliti, il 5G. Naturalmente, queste quantità incredibili di soldi nei prossimi ani verranno sfruttate da questi comitati, nella loro direzione tecnologizzante.Il fiume di soldi per la ripartenza post-epidemia non verrà dato alla gente, se non le briciole. Servirà invece a ridurre le piccole e medie imprese, ad affossare la libera impresa e le libertà individuali. Ci vorranno tutti incastrati in un web, in una ragnatela sempre più onnipresente e invasiva fatta di 5G, che poi diventerà 6G, 7G, e poi chissà che cosa. Dovremo resistere. Quello che adottano è il vecchio sistema, antico, del bastone e della carota. Come opera, la cupola? La parte il corno fatta dai virologi, da questa sorta di papato scientifico finto, adopera il virus come una volta si adoperavano i terroristi: per fare strategia della tensione, al di là dell’effettiva serietà del virus. Un virus che ha ucciso persone, certo, ma naturalmente ne sono stati manipolati i dati e gli effetti, per portarci alla carota del vaccino: ci vaccineremo tutti. Quindi, il corno para-scientifico (falsamente scientifico) ci vuole portare a vaccinarci tutti, e non a rafforzarci con le difese immunitarie. L’altro corno, quello dei professori (questa task force disumanizzante) vuole darci questa crisi come opportunità da non perdere per meccanizzare, digitalizzare e alterare negativamente la nostra società. A questo punto stanno cercando in tutti i modi di ritardare la normalizzazione.Tutti e due i comitati lo fanno paventando rischi maggiori di quelli probabilmente effettivi. Il primo corno agisce chiaramente in direzione del vaccino. Ma il suo ruolo è funzionale anche al secondo: perché, più giorni passano, e più il secondo corno si aspetta che venga distrutto, alterato e indebolito il nostro sistema economico. E più sarà distrutto, più sarà facile rifarlo in un altro modo, con nuovi criteri e con nuovi padroni, capaci di comprare più facilmente quello che costerà di meno, in mezzo a settori che saranno semidistrutti. E noi, cosa possiamo fare? Intanto, smetterla di bere supinamente tutto quello che i media ci propinano ogni giorno: guardiamoli pure, ma sapendo che ci stanno mentendo e manipolando. Non cediamo alle lusinghe delle finte facilitazioni, non crediamo alle facce che ci vogliono rassicurare. E aiutiamo anche le persone intorno a noi a rendersi conto di questo: creiamo movimenti di opinione e di resistenza per aiutare il maggior numero possibile di persone a non cadere nella trappola di questa rete web, di questo “nuovo” bacato che ci propongono. Non fidiamoci di nessuno dei messaggi ufficiali, non diamogli il nostro consenso. E non prendiamo nemmeno le parti dei partiti, dell’uno o dell’altro, perché dipendono tutti dagli stessi poteri. Smettiamo di fare i tifosi, tifiamo solamente per il bene, non per le parti.E se ci vogliono schiavizzare “fuori”, facciamo di tutto per rimanere liberi “dentro”, con i nostri ideali, con la nostra coscienza (e “fuori” con le nostre iniziative rivolte al bene, laddove siamo). Facciamo resistenza: resistenza pacifica, gandhiana, fatta della diffusione di ideali, pensieri e sentimenti, e vedrete che conseguiremo un’ulteriore crescita della nostra libertà interiore. E alla fine, anche il potere – anche il peggior potere – non potrà non tenerne conto. Proprio la manifestazione della nostra libertà interiore è sempre stata il limite preciso delle azioni malevole del potere: convinciamocene, è sempre stato così. L’umanità si è sempre conquistata le libertà, la democrazia e i diritti dell’uomo, l’abolizione della schiavitù, la parità tra uomo e donna, il voto. Tutte queste cose le ha conquistate la gente, non ce le ha date il potere. Quindi vuol dire che chi fa la storia umana e il progresso siamo noi, che siamo svegli. Siamo noi che resistiamo, noi che facciamo comitati. In passato abbiamo fatto anche le rivoluzioni, ma questo non è il tempo del sangue: perché le rivoluzioni, l’aggressività e la violenza vengono immediatamente sfruttati dal potere, per imprigionarci meglio. Noi invece continuiamo con la rivoluzione interiore, con la resistenza interiore. Diffondiamo, continuiamo ad agire e pensare per il bene di tutti, laddove siano. Evitiamo di abbatterci, e combattiamo con la nostra coscienza. E vedrete: vinceremo comunque.(Fausto Carotenuto, video-editoriale “Una Cupola contro di noi: dove vogliono portarci?”, da “Coscienze in Rete” del 2 maggio 2020).Ci stiamo finalmente avviando alla fine dell’epidemia, anche se certi poteri vorrebbero prolungarla l’infinito per una serie di motivi. Da una parte ci avviamo alla fine dell’epidemia, dall’altra si apre un periodo che è piuttosto pericoloso – non dal punto di vista epidemico, in particolare, ma pericoloso per la nostra società: perché qualcuno vuole sfruttare gli esiti di questa epidemia per accelerare dei processi che vanno contro di noi. Chi sono e cosa fanno? Una vera e propria cupola è stata messa a dirigere l’Italia, in questa crisi: saltando il Parlamento, saltando le istituzioni, saltando una maggioranza supina, legata ai grandi poteri, contrastata da un un’opposizione che fa finta di contrastarla ma in effetti anche lei difende gli stessi poteri. Tutti hanno in qualche modo contribuito ad affidare il comando delle operazioni ad una sorta di cupola. Il presidente Conte viene accusato di essere un uomo solo al comando, di aver accentrato i poteri. Certo, lui li ha accentrati in quanto maggiordomo di poteri superiori, che non esercita lui: lui sta lì, prende le veline, parla e dice quello che deve dire, e fa quello che gli dicono di fare. Del resto lui non è un politico: è un avvocato, che rappresenta i suoi clienti.
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Gioele Magaldi: non tutti i coronavirus vengono per nuocere
L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.Quanto a Conte, giù la maschera: prima scatena il panico, poi si accorge dei danni anche economici provocati dalla gestione dilettantesca dell’epidemia. Ma attenti: forse, non tutti i coronavirus vengono per nuocere. Lo afferma, provocatoriamente, un osservatore come Gioele Magaldi. Il suo Movimento Roosevelt è nato nel 2015 per tentare di scuotere i partiti, risvegliandoli: non possiamo continuare così, incassando sconfitte e rinunciando a riconquistare il futuro. Capitolo fondamentale, le regole europee: di rigore si muore, e il rigore non è figlio di nessuna saggezza economica. E’ solo delirio ideologico, partorito da menti malate e bugiarde: quelle di un’élite che Magaldi definisce “neoaristocratica”, che ha forgiato il dogma neoliberista (tagliare lo Stato, la spesa pubblica) per depredare interi paesi, privatizzando beni strategici e condannandoli così al declino, come avviene per l’Italia. Nel saggio “Massoni”, edito da Chiarelettere, Magaldi – massone lui stesso, di marca progressista – sostiene che sia interamente massonico il gotha del potere globalista. Dopo la stagione rooseveltiana e keynesiana del benessere diffuso, questo super-potere è stato egemonizzato da un’élite reazionaria, neo-feudale, ispirata anche filosoficamente da dottrine elitarie.A reggere il pianeta sarebbe una sorta di aristocrazia dello spirito, nutrita di teorie come la “sinarchia” ottocentesca del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: solo noi possiamo capire il mondo e dunque governarlo, non certo il popolo bue. Da lì all’attuale “aristocrazia del denaro”, il passo è breve: solo business, in poche mani, dietro le quinte della psico-geopolitica di oggi. Magaldi lo ripete fino alla nausea: smettiamo di ragionare in termini di Occidente, Russia e Cina. Non è più tempo, non serve: i sistemi-paese esistono sempre, anche in termini “imperiali”, ma a decidere sono ormai altri soggetti, che restano in ombra: conventicole trasversali, comitive apolidi, comitati d’affari composti da americani e cinesi, europei e russi. Detengono leve formidabili: finanziarie, militari, di intelligence, mediatiche. Sono loro, a monte, a fare e disfare qualsiasi progetto, dalle crisi economiche alle eroiche imprese dell’Isis. Lo scopo è sempre occulto, i metodi raffinati. Molto più a valle, i media – ormai innocui e reticenti – ripetono la lezioncina del momento. E in fondo alla catena ci siamo noi, sempre a corto di informazioni attendibili. Vale anche per il coronavirus?Mentre giornali e televisioni si guardano bene dall’esplorare spiegazioni eterodosse e magari imbarazzanti, il web si scatena: nel mirino ci sono soprattutto gli Usa, in guerra con la Cina, capaci – in mille modi, teoricamente – di piegare il colosso asiatico. Anche su questo punto, Magaldi si esprime in controtendenza: e se fosse stato lo stesso sistema-Cina ad auto-sabotarsi, con il virus, per mascherare l’attesa frenata economica, comunque in arrivo, restituendo alla nuova superpotenza orientale un volto meno minaccioso, più umano e meritevole di solidarietà internazionale? Per accettare la plausibilità del ragionamento occorre prestare fede alla mole di informazioni che Magaldi dichiara di possedere, custodite in 6.000 pagine di dossier riservati. Antefatto: nel lontano 1980, la superloggia reazionaria “Three Eyes” dominata da Kissinger estende i suoi tentacoli in Cina, promettendo di inserire i cinesi nel grande gioco dell’economia, all’alba della grande gloablizzazione, senza pretendere che, in cambio, la Cina diventi democratica, accetti la presenza di sindacati e limiti l’inquinamento della sua industria.Sono le basi dello storico boom, grazie a cui – una volta entrata nel Wto – la Cina (che sorregge le sue aziende con poderosi aiuti di Stato) sbaraglierà la concorrenza occidentale, imponendo prodotti a basso costo e mettendo in crisi le aziende concorrenti, occidentali, a cui nel frattemo l’élite neoliberista (sempre lei) ha tolto gli auti statali e aumentato a dismisura il carico fiscale, attraverso le politiche di austerity. La Cina, riconosce Magaldi, ha saputo approfittare di questo “regalo” sbalordendo il mondo: ha debellato la povertà in pochissimi anni, dando vita a realizzazioni che sono d’esempio per l’intero pianeta. Ha fatto tutto da sola? No, ovviamente: è stata aiutata, con regole tuccate in partenza. Tecnicamente: concorrenza sleale. Le menti del piano? Occidentali, purtroppo. L’obiettivo: trasformare lo stesso Occidente in una altrettanto gigantesca Cina: cioè un sistema efficientissimo, che produce miliardi, ma senza più diritti democratici. Non ci credete? E’ utile ricordare la violentissima repressione degli studenti di Pechino, che nel 1989 invasero piazza Tienanmen reclamando l’avvento della democrazia, sull’onda dell’entusiasmo per la Perestrojka di Gorbaciov: i carri armati di Deng Xiaoping fecero capire da che parte stesse, l’impenetrabile dirigenza del Celeste Impero, un tempo “rossa”.Magaldi è tra quanti considerano il veleno neoliberista come una sorta di virus: un’arma di distruzione di massa. Dalla Cina, dice, c’è comunque da imparare. Il suo riscatto economico, ovviamente, non poteva prescindere dal ruolo finanziario dello Stato. E vale anche per noi, che ce lo siamo dimenticato: fu il Piano Marshall a far risorgere l’Italia ridotta in macerie. Fu l’Eni di Mattei a farla balzare in vetta alle classifiche. E ancora: fu la politica “socialista” della Prima Repubblica a far volare il made in Italy, mediante poderosi investimenti sociali e infrastrutturali. Con abbondanti lacrime di coccodrillo, una fetta del paese ha appena riabilitato Craxi. Al culmine del suo potere, il leader del Psi osò opporsi alla superpotenza americana durante la crisi di Sigonella, per difendere la sovranità italiana. Oggi, i nostri politici calano le brache al primo stormir di fronde che provenga dai grigi burocrati di Bruxelles. Ieri sapevamo dire di no a Reagan, oggi diciamo di sì al primo Dombrovskis che passa per strada. Eppure, l’Italia era diventata la quinta potenza mondiale proprio grazie al deficit: ospedali, scuole, ferrovie, autostrade. Il gruppo pubblico Iri era il maggior conglomerato industriale d’Europa: era stragetico, per alimentare lo sterminato indotto privato. E’ stato smantellato da Prodi, poi coadiuvato da Draghi per le restanti privatizzazioni all’italiana.Di nuovo: Prodi e Draghi (entrambi supermassoni, secondo Magaldi) si sono limitati ad eseguire ordini. C’era un piano: sabotare l’Italia, potenza scomoda perché forte della sua economia mista, pubblico-privata. Come la Cina di oggi? Sì, ma con una differenza: era un paese democratico, con diritti sociali conquistati al prezzo di dure lotte politiche e sindacali, persino negli anni agitati degli opposti estremismi. Terrorismo e strategia della tensione: tutte operazioni «progettate sempre dalla “Three Eyes” anche attraverso la P2 di Gelli». Ma neppure le bombe erano riuscite a piegare il Belpaese. C’è voluto il crollo del Muro di Berlino, la rottamazione giudiziaria della classe politica della Prima Repubblica, l’avvento dei privatizzatori al governo (D’Alema, Amato, Prodi). Prima ancora: Ciampi aveva aperto la prima gravissima falla, staccando Bankitalia dal Tesoro e impedendo alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato a costo zero. Di colpo, il debito pubblico – risorsa strategica per la crescita – divenne un problema. Poi è stato fatto diventare addirittura una colpa, nella distorsione orwelliana della narrazione economica neoliberista.E adesso eccoci qui, alle prese con il coronavirus e senza i soldi per affrontare l’emergenza. Gli spiccioli di cui parla il governo Conte fanno ridere, dice Magaldi, esattamente come i margini di flessibilità – solo briciole – graziosamente concessi dal potere feudale eurocratico, insediato a Bruxelles senza nessuna investitura popolare. Magaldi, europeista convinto, su questo è chiarissimo: servono gli eurobond, per sostenere i debiti pubblici e archiviare per sempre il fantasma dello spread. L’ha ripetuto anche Christine Lagarde, fino a ieri custode – con Draghi – del rigore europeo. E a proposito di Draghi, che sottobanco contende a Prodi la successione a Mattarella: l’ex cavaliere nero dell’ordoliberismo europeo ora sostiene che bisogna ribaltare il tavolo, mettere fine alla scarsità artificiosa di moneta e, addirittura, esplorare le possibilità offerte dalla Mmt, la liquidità illimitata per sostenere l’economia europea. Per Magaldi, il problema sta nel manico: lo statuto della Bce impone alla banca centrale di tenere bassa l’inflazione. Errore: il primo obiettivo dovrebbe essere la piena occupazione, costi quel che costi (anche perché, oltretutto, l’emissione di moneta oggi non costa nulla). Non è economia, è solo politica. E se quella italiana dorme ancora, chissà che non sia il maledetto coronavirus a svegliarla. Si citofoni alla Disunione Europea, reclamando il dovuto: oggi per l’Italia, domani per tutti. In modo che un giorno, finalmente, una Unione Europea cominci a esistere, per davvero.L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.
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Master Roosevelt: per conoscere i segreti del grande potere
Cani da guardia della democrazia: così amavano lasciarsi definire i veri reporter, all’epoca in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, dalle colonne del “Washington Post”, trascinavano Nixon verso l’impeachment e le dimissioni. Oggi, lo spettacolo è patetico: i mastini di un tempo sono stati rimpiazzati da barboncini scodinzolanti, che non osano avventurarsi oltre il recinto delle notizie ufficialmente autorizzate. Il grande freddo è calato dopo l’opaca tragedia dell’11 Settembre, che segna un drammatico spartiacque tra verità e autocensura. Vale per tutto, anche per la politica: vietato osare. Vent’anni di piombo e di sangue, costellati di guerre protette dalla disinformazione, tra crisi economiche generate dalla finanziarizzazione definitiva dell’economia globalizzata, in mano a poche famiglie potentissime. A prendere il potere, gettando la maschera, è stata un’élite neo-feudale. Obiettivo: saccheggiare il pianeta, svuotando la democrazia anche in Europa. Tutto è perduto? No, se si crede ancora nella sovranità democratica. Lo sostiene Gioele Magaldi, esponente italiano di quella stessa supermassoneria internazionale che, nelle sue forme più regressive, ha privatizzato il globo. La sua tesi: se le superlogge reazionarie hanno messo all’angolo quelle progressiste, protagoniste del boom economico, è ora di impegnarsi a rovesciare il tavolo. Come? Anche sfornando una nuova classe dirigente. Per esempio, con un master come quello ora in partenza, decisamente unico in Italia.Il corso è destinato a italiani disposti a ricevere una formazione speciale, che li metta nelle condizioni di vedersela alla pari con i grandi player dell’attualità. Storia della conoscenza, storia del potere e delle civiltà umane. E poi: economia post-keynesiana e rooseveltiana, finanza etica e conti pubblici, geopolitica. Comunicazione: marketing e pubblicità, giornalismo, media e televisione. Ma anche “scienza, polis e potere”, filosofia politica, ecologia, salute, arte e letteratura, cinema, musica e “affabulazione collettiva”. Sono alcune delle materie del “Master Roosevelt in Scienze della Polis”, al via a fine gennaio: 12 weekend intensivi, tra Roma e Milano, con anche il supporto video per chi non potrà partecipare a tutte le lezioni. «Solo il nostro master – assicurano i promotori – offre insegnamenti teorico-pratici che coprono tutto lo “scibile” contemporaneo». Informazioni preziose per affrontare il buongoverno della cosa pubblica, consapevoli dei propri diritti e doveri, oltre che della propria sovranità di cittadini. «Inoltre – aggiungono gli organizzatori – questo master soddisfa esigenze di conoscenza inter-disciplinare (di natura sia “materiale” che “spirituale”) che nessun’altra alta scuola di formazione può garantire».Basta dare un’occhiata alle docenze proposte. Per esempio: storia, teoria e pratica dei servizi segreti e dell’intelligence pubblica e privata. Oppure: esoterismo, iniziazioni e massoneria. Ancora: introduzione alla Kabbalah. E poi simbologia, ideologie e sistemi di pensiero. Un lavoro in profondità: si parlerà di archetipi psicologici e comportamenti politico-sociali, svelando «i segreti delle energie sottili e delle arti marziali e venusiane». Premessa: è il potere stesso – per chi non l’avesse ancora capito – a padroneggiare queste materie. E il Master Roosevelt è dunque la prima opportunità, offerta a tutti, di esplorare quel mondo elusivo, precluso ai più. Ad affermarlo è lo stesso Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha tolto il velo all’aspetto più segreto dell’establishment: «A muovere anche i massimi oligarchi è una sorta di “aristocrazia dello spirito”, che li induce a ritenersi gli unici depositari dei destini del mondo». Non la pensa così l’autore di “Massoni”, già inziato alla superloggia progressista “Thomas Paine” e ora leader del Grande Oriente Democratico. La sua tesi: «La vera massoneria è costituzionalmente progressista. Storicamente, è stata proprio la “libera muratoria” a produrre le forme della modernità, lo Stato di diritto, la relativa libertà del cittadino non più suddito e la facoltà di auto-governarsi mediante elezioni democratiche, una volta conquistato il suffragio universale».Pietra miliare: la Rivoluzione Francese, con la caduta dell’Ancien Régime. Da allora, lotte e rivolte in tutto il mondo, fino al Risorgimento italiano. Quindi i decenni gloriosi del boom, nell’ultimo dopoguerra: «Era massone Franklin Delano Roosevelt, che volle il Piano Marshall dopo aver sconfitto il nazismo. Era “libera muratrice” sua moglie Eleanor, madrina dei diritti umani. Era massone Keynes, lo stratega del benessere diffuso in Occidente. Ed erano massoni John Rawls e William Beveridge, gli inventori del welfare (concepito per eliminare il gap tra ricchi e poveri)». Nel suo saggio – un vero e proprio bestseller italiano – Magaldi scrive che la leadership culturale e politica delle superlogge progressiste fu sabotata con la violenza alla fine degli anni Sessanta, negli Usa, con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King: i rooseveltiani li avevano scelti, come presidente e vice, per cambiare faccia al mondo. Non è andata così: nel 1973 (proprio l’11 settembre) la superloggia “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller organizzò il golpe in Cile introducendo il neoliberismo con i carri armati. Due anni dopo, la Trilaterale avrebbe spiegato, con il manifesto “La crisi della democrazia”, che era iniziata la grande retromarcia storica: meno diritti, meno pace e meno benessere per tutti. Sulla base di cosa? Di un piano egemonico: la riconquista del pianeta, da parte di un’élite massonica che i sodali di Magaldi definiscono “controiniziata”, avendo rinnegato l’impegno massonico per il progresso democratico dell’umanità.Nel 2011, in televisione, lo stesso Magaldi si espose in prima persona per segnalare la militanza – nella supermassoneria reazionaria – di primattori come Mario Monti, il presidente Napolitano e lo stesso Draghi. Sei mesi dopo l’uscita del suo dirompente saggio (silenziato dai grandi media), Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, un soggetto meta-partitico che si propone di “risvegliare” la politica italiana in modo trasversale, appellandosi a tutti i partiti per il ripristino della democrazia sostanziale nella governance, dominata da un’Ue non democratica. Nel 2019, viste le incertezze deludenti del governo gialloverde, Magaldi (insieme all’economista Nino Galloni, vicepresidente “rooseveltiano”) ha anche aperto il cantiere del “Partito che serve all’Italia”, work in progress politico-programmatico: fine dell’austerity, istruzioni per l’uso. E ora, con il master, si passa direttamente all’attività formativa. Nel corso di un anno, il programma affronta materie vaste e complesse: istituzioni democratiche e meccanismi elettorali, amministrativi e parlamentari, approfondendo anche le leggi ordinarie e quelle costituzionali. E poi relazioni istituzionali pubbliche e private, euro-atlantismo e Nato, area mediterranea e strategie militari globali, storia contemporanea e dinamiche planetarie.Tra le docenze non mancano “polis e disabilità”, rigenerazione urbana e architettura, organizzazione del lavoro, “percezione di sé e osservazione dell’ambiente”. Un impegno a 360 gradi: modelli democratici ed elettorali a confronto. Una bussola precisa: mente, coscienza ed etica, tra politica e società. In altre parole: si tratta di formare super-cittadini, capaci di misurarsi senza timidezza con qualsiasi interlocutore, per arrivare – domani – a irrobustire finalmente una classe politica diversa, più preparata, in grado di tutelare l’Italia nel solo modo che Magaldi e i suoi ritengono possibile, e cioè recuperando la sovranità democratica di concerto con il resto d’Europa e del mondo. Da qualche tempo, lo stesso Magaldi segnala indizi di un possibile cambiamento in corso: «L’élite massonica neoaristiocratica che ha messo in piedi quest’Europa post-democratica sta per cedere, di fronte al disastro socio-economico che ha prodotto: lo dimostrano anche le esternazioni pubbliche e private di un supermassone come Mario Draghi, tra i massimi architetti dell’austerity, che ora si dichiara pronto a tornare sui suoi passi, recuperando la lezione di Keynes e quella personalmente ricevuta dal grande economista italiano Federico Caffè».Durissimo nel denunciare le peggiori malefatte del potere e i suoi aspetti più occulti, Magaldi ha fiducia nel futuro: crede sinceramente che la democrazia sociale sperimentata in Europa nel dopoguerra possa riprendere il suo corso. Ma per sbriciolare il potere degli oligarchi, dice, occorre una nuova generazione di italiani, all’altezza della sfida. Occorre anche gettare nella spazzatura l’ipocrisia che, nel nostro paese, impedisce di riconoscere il ruolo della massoneria, menzionando le logge solo per demonizzarle. E se sono massoni molti dei protagonisti negativi dell’attuale establishment, è meglio acquisire quelle stesse competenze, anche senza entrare in massoneria. Pure questa, in fondo, è tra le missioni del Master Roosevelt: fare in modo che nessuno detenga il monopolio della conoscenza. Avverte Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine” sui misfatti neo-feudali del neoliberismo: ai “mostri” del vero potere, menti raffinatissime e preparatissime, non puoi opporre un branco di politicanti spesso mediocri e ignoranti come quelli italiani. Prima ancora che il servilismo, è la loro incompetenza a trasformarli fatalmente in docili maggiordomi, meri esecutori di decisioni prese altrove.Se siamo ridotti così, con governi-fantasma che prendono ordini da Bruxelles, da una Commissione Europea che è solo la cinghia di trasmissione del volere di potentati privati, secondo Magaldi dipende dagli snodi cruciali della storia recente. Per esempio l’eliminazione del massone progressista Olof Palme, campione del welfare svedese, alla vigilia delle trattative che avrebbero portato al Trattato di Maastricht. Da quel “frame” sciagurato non siamo ancora usciti: ci hanno fatto credere che il debito pubblico sia una colpa, e che lo Stato sia come una famiglia che, se s’indebita, poi deve ripagare tutto (e con gli interessi). Solo nel 2018, sulla base di questi presupposti – a essere sovrani sono i mercati finanziari, non i cittadini – Mattarella impedì a Paolo Savona l’accesso al ministero dell’economia. In quell’occasione, Magaldi chiese le dimissioni del presidente della Repubblica, che definì «un servizievole paramassone». Rispetto all’epoca del governo Monti, l’informazione alternativa ha fatto passi da gigante, grazie al web. E’ cresciuta una forte minoranza, finalmente informata. Fioriscono iniziative, convegni, gruppi. Ma manca ancora un progamma organico per mettere a fuoco il problema in modo esauriente, forgiando autentici esperti. Ed è esattamente a questo che punta il Master Roosevelt, prima scuola italiana che nasce per insegnare a sfidare, domani, questo potere che tiene prigioniero il paese.(L’avvio del Master Roosevelt in Scienze della Polis è previsto per sabato 25 gennaio 2020, ore 9, presso l’Istituto Sant’Orsola di via Livorno 50/a, Roma).Cani da guardia della democrazia: così amavano lasciarsi definire i veri reporter, all’epoca in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, dalle colonne del “Washington Post”, trascinavano Nixon verso l’impeachment e le dimissioni. Oggi, lo spettacolo è patetico: i mastini di un tempo sono stati rimpiazzati da barboncini scodinzolanti, che non osano avventurarsi oltre il recinto delle notizie ufficialmente autorizzate. Il grande freddo è calato dopo l’opaca tragedia dell’11 Settembre, che segna un drammatico spartiacque tra verità e autocensura. Vale per tutto, anche per la politica: vietato osare. Vent’anni di piombo e di sangue, costellati di guerre protette dalla disinformazione, tra crisi economiche generate dalla finanziarizzazione definitiva dell’economia globalizzata, in mano a poche famiglie potentissime. A prendere il potere, gettando la maschera, è stata un’élite neo-feudale. Obiettivo: saccheggiare il pianeta, svuotando la democrazia anche in Europa. Tutto è perduto? No, se si crede ancora nella sovranità democratica. Lo sostiene Gioele Magaldi, esponente italiano di quella stessa supermassoneria internazionale che, nelle sue forme più regressive, ha privatizzato il globo. La sua tesi: se le superlogge reazionarie hanno messo all’angolo quelle progressiste, protagoniste del boom economico, è ora di impegnarsi a rovesciare il tavolo. Come? Anche sfornando una nuova classe dirigente. Per esempio, con un master come quello ora in partenza, decisamente unico in Italia.
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La Cina il mondo lo compra: in Europa, 10 Piani Marshall
Da quando ho approfondito il pensiero di Vladimir Putin cercando di “entrargli nella testa” attraverso l’analisi dei suoi discorsi e delle sue letture personali, non sono pochi quelli che mi scrivono per chiedermi consigli di lettura su libri di strategia. Io rispondo sempre che ne basterebbe solo uno, l’Arte della Guerra di Sun Tzu. Il guaio di questo trattato militare non è solo che è composto di aforismi, ma che la maggior parte delle persone fatica molto ad “adattarlo” alle situazioni contemporanee, alla propria vita quotidiana, all’economia. La richiesta di capirne di più però rimane forte, perchè il compendio del vecchio generale cinese è certificato dagli esperti di strategia che lo avvicinano alla matematica della teoria dei giochi e della ricerca operativa. La chiave più efficace per entrare nel metodo di Sun Tzu però la si trova nella conoscenza della storia, più che nella matematica, e mai andrebbe dimenticato che Sun Tzu era cinese. Proverò a chiarire questi due aspetti, con un unico esempio. Com’è noto, il Novecento è stato il secolo americano e l’attuale establishment aspira a mantenere l’impero a stelle e strisce anche nel nuovo millennio. A minare questi progetti ci sono la Russia, l’India, la Cina, qualcuno dice anche la Germania. Molti commentatori aggiungono però che la Cina, anche se ne ha tutte le potenzialità demografiche e produttive, non è interessata a fare il Capo.Ed è in gran parte vero, l’idea di una leadership mondiale non sembra interessare alla politica cinese. Semplicemente, la Cina sta conquistando il mondo attraverso parametri che non sono di facile comprensione a noi occidentali. La Cina si sta prendendo il mondo, e basta; non è che c’è un piano d’assalto, un muro contro muro o una sfida all’Ok Corral. E lo fa molto lentamente, quasi in modo impercettibile, occupando tutti gli spazi. In questo caso il go e la dama ci aiutano più dei tradizionali giochi con le carte o degli scacchi. Con le carte e con gli scacchi, il più delle volte si usurpa il posto di qualcun altro attraverso un percorso. Nel go – gioco nato proprio in Cina – non accade nulla di tutto questo. Vince chi mette l’avversario nelle condizioni di abbandonare il campo, perché non ha più spazio e tutto è stato occupato. Ecco allora che si spiega molto meglio l’acquisto da parte di compagnie cinesi di terreni in Africa, di luoghi attrezzati per la logistica nelle grandi città europee e di energia. I cinesi arrivano in questi mercati dopo essersi messi d’accordo con i rispettivi governi locali, che riempiono di soldi. Le garanzie sono a prova di bomba, visto che ogni compangia cinese che si muove ha la copertura dello Stato e del partito comunista cinese.Ecco cosa scriveva poche settimane fa il “Sole 24 Ore” sull’argomento: «La Belt & Road Initiative (Bri), ossia la strategia lanciata dalla Cina per la crescita commerciale, che crea una nuova Via della Seta tra Far East ed Europa fa impallidire l’European recovery program ideato negli anni 40 da George Marshall». Con una differenza impressionante, aggiungerei: mentre il Piano Marshall per l’Europa, attualizzato, varrebbe 100 miliardi di dollari, quello cinese supererà i mille miliardi di investimenti. Solo tra il 2015 e il 2017, la Cina ha investito in 8 porti (Haifa, Ashdod, Ambarli, Pireo, Rotterdam, Vado Ligure, Bilbao e Valencia), oltre 3,1 miliardi di euro. E, per quanto riguarda l’Italia, a essere interessati al progetto sono soprattutto gli scali di Genova-Savona e Trieste, indicati come punti d’arrivo privilegiati dei traffici dalla Cina al Mediterraneo, attraverso Suez. E stiamo parlando solo dei porti… Il settore d’investimento privilegiato resta l’energia, con gli interscambi con la Russia. In Africa la Cina non si limita, come scrivono in molti, a comprare terreni, ma realizza opere pubbliche in cambio di favori di tipo politico. In Kenya, ad esempio, i cinesi hanno appena realizzato una ferrovia ad alta velocità. Il punto non è però capire qual è la lista della spesa dei cinesi nel mondo – per quello ci pensa appunto il “Sole 24 Ore” – bensì capire come questa operazione viene effettuata.Avete presente quei film western americani dove i cattivi vogliono comprare il terreno di un’allegra famigliola di cowboys perchè il sottosuolo è pieno di petrolio? I cattivi arrivano, violentano le donne e uccidono il padre di famiglia per costringere i figli, impauriti e oramai in miseria, a svendere quel terreno per una pipa di tabacco. Bene. Questo fanno gli americani, anche al di fuori delle sceneggiature hollywoodiane. Minacciano la Corea del Nord (che vuol dire minacciare la Cina); creano false flag in Ucraina (che equivale ad attaccare la Russia); intervengono in Afganhistan, Iraq e Siria per sottomettere l’area musulmana. I cinesi no. I cinesi si mettono d’accordo con i governatori locali e applicano una politica economica win-win. Si prendono quel che di buono c’è da prendere, ma offrono sempre qualcosa in cambio: soldoni, infrastrutture, know how, eccetera. Lo scopo finale, tuttavia, è sempre quello di vincere la guerra economica, cioè la guerra con gli Stati Uniti. Ci riusciranno? La domanda è mal posta, perché ci sono già riusciti: e senza mostrare stelle da sceriffo, fucili winchester e un inutile ghigno da Mike Tyson. Steve Bannon queste cose le aveva capite alla perfezione, ma gli ordoliberisti no, coi risultati che già si vedono e che si vedranno sempre di più in futuro.(Massimo Bordin, “La Cina non conquisterà il mondo, se lo comprerà – sulla scia di Sun Tzu”, da “Micidial” dell’11 settembre 2017, articolo riproposto alla luce dello sviluppo del protagonismo cinese in Europa. Bordin è autore del saggio “Putin e la filosofia”, acquistabile sempre su “Micidial”).Da quando ho approfondito il pensiero di Vladimir Putin cercando di “entrargli nella testa” attraverso l’analisi dei suoi discorsi e delle sue letture personali, non sono pochi quelli che mi scrivono per chiedermi consigli di lettura su libri di strategia. Io rispondo sempre che ne basterebbe solo uno, l’Arte della Guerra di Sun Tzu. Il guaio di questo trattato militare non è solo che è composto di aforismi, ma che la maggior parte delle persone fatica molto ad “adattarlo” alle situazioni contemporanee, alla propria vita quotidiana, all’economia. La richiesta di capirne di più però rimane forte, perchè il compendio del vecchio generale cinese è certificato dagli esperti di strategia che lo avvicinano alla matematica della teoria dei giochi e della ricerca operativa. La chiave più efficace per entrare nel metodo di Sun Tzu però la si trova nella conoscenza della storia, più che nella matematica, e mai andrebbe dimenticato che Sun Tzu era cinese. Proverò a chiarire questi due aspetti, con un unico esempio. Com’è noto, il Novecento è stato il secolo americano e l’attuale establishment aspira a mantenere l’impero a stelle e strisce anche nel nuovo millennio. A minare questi progetti ci sono la Russia, l’India, la Cina, qualcuno dice anche la Germania. Molti commentatori aggiungono però che la Cina, anche se ne ha tutte le potenzialità demografiche e produttive, non è interessata a fare il Capo.
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L’Italia perde la Fiat, venduta alla Francia. E nessuno fiata
L’Italia perde la sua maggiore azienda, per decenni sorretta dallo Stato: a mangiarsi la Fiat è la Francia di Macron, con il gruppo Psa (Peugeot-Citroen-Opel) di cui il governo francese possiede il 13%. Il Cda di quello che diventerà il quarto produttore automobilistico al mondo, con 50 miliardi di dollari di fatturato, sarà guidato dall’attuale numero uno di Peugeot, Carlos Tavares, lasciando a John Elkann la presidenza del nuovo soggetto industriale. Clamorosa l’assenza totale della politica italiana: gli uomini del Conte-bis si limitano al ruolo di semplici spettatori, e tace anche l’opposizione. Silenzio generale, di fronte alla perdita definitiva del gruppo Fiat, fatto a pezzi nel corso degli anni. Stabilimenti delocalizzati in Polonia, Serbia, Turchia, Brasile, Argentina, India e Cina. E domicilizioni “emigrate” in Gran Bretagna (sede legale), in Lussemburgo (fiscale) e negli Usa (borsistica). E ora, addio anche alla proprietà italiana del marchio, nonostante l’oceano di soldi – agevolazioni sugli stabilimenti, cassa integrazione – versati dai contribuenti italiani per tenere in piedi l’industria torinese. «Al silenzio della politica seguirà quello di giornali e televisioni», avverte Gigi Moncalvo: «Nessuno oserà contestare l’accordo, visto che il gruppo Fiat spende enormi quantità di denaro, in termini pubblicitari, sui media italiani».Autore di scomodi saggi sul potere della maggiore dinastia industriale italiana (“Agnelli segreti”, “I lupi e gli agnelli”), intervenendo nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, Moncalvo sottolinea lo squallore della situazione italiana, di fronte allo “scippo” francese propiziato da «rabbini e grembiulini vicini a John Elkann». Moncalvo, che ha seguito da vicino anche l’ingloriosa saga dell’eredità di Gianni Agnelli, ha scoperto che il grosso del denaro di famiglia è tuttora custodito all’estero, in un caveau all’areoporto di Ginevra, fuori dalla portata del fisco italiano. Sempre Moncalvo racconta che la Fiat, “scomunicata” dagli Usa nel 1945 per gli enormi benefici ottenuti dalle commesse belliche del regime fascista, fu improvvisamente riabilitata (e inserita nel Piano Marshall) grazie ai buoni uffici di Pamela Harriman, nuora di Churchill e buona amica dell’allora giovane Avvocato. A partire proprio dal dopoguerra, però – sostiene Moncalvo – il vero timone della Fiat passò nelle mani di Wall Street. Morto il problematico Edoardo Agnelli, che aveva annunciato la sua intenzione di avere voce in capitolo nel destino della Fiat, il gruppo torinese è stato affidato al ramo familiare Elkann.Scomparso Gianni Agnelli, i suoi storici collaboratori – Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens – hanno fatto in modo, d’intesa con la vedova, che tutto il potere finisse nelle mani dell’allora giovanissimo John Elkann. Due anni dopo, la finanza Usa ha “spedito” a Torino il super-manager bancario Sergio Marchionne, che ha finto di rilanciare gli stabilimenti italiani per poi invece siglare l’accordo con Chrysler e trasferire il cuore del gruppo a Detroit, con il varo del marchio Fca. E oggi, appena un anno dopo la prematura morte di Marchionne, il gruppo formalmente rappresentato da John Elkann sembra voler “sbaraccare” quel che resta della Fiat in Italia, cedendo il controllo dell’ex impero al paese che più sta danneggiando l’Italia, sul piano industriale: la Francia. Secondo gli analisti, segnala il “Fatto Quotidiano”, la volontà francese di restare alla guida del nuovo gruppo sarebbe evidente anche dai numeri dell’operazione. Il gruppo Psa riconosce ai soci Fca un premio da 6,7 miliardi rispetto alle quotazioni di Borsa antecedenti l’inizio delle indiscrezioni sulle nozze. Senza contare che la cifra in questione sarebbe anche al netto del dividendo straordinario di Fca – 5,5 miliardi, di cui di cui 1,6 destinati ad Exor, la cassaforte degli Agnelli – e delle quote di Faurecia e Comau che verranno distribuite ai soci.«Psa sta sostanzialmente comprando Fca», ha spiegato senza mezzi termini la società di consulenza Equita, secondo cui i francesi hanno pagato «un buon premio» agli Elkann e si sono assicurati la “maggioranza” per il controllo del nuovo gruppo. Come ha spiegato a “Bloomberg” Philippe Houchois, analista di “Jefferies”, «Psa sta pagando un premio del 32% per assumere il controllo di Fca». Sottraendo dal gruppo italo-americano i 5,5 miliardi del dividendo straordinario e il valore della quota di Comau (circa 250 milioni di euro), e da quello francese il valore della quota in Faurecia (2,7 miliardi), si arriva a una “capitalizzazione di mercato teorica” di “20 miliardi” per Peugeot e di “13,25 miliardi” per Fca. Sulla base di questi valori e “senza un premio”, agli azionisti di Peugeot sarebbe spettato il 60,15% del nuovo gruppo e a quelli di Fca il 39,85%, anziché il 50% a testa negoziato. Insomma, i conti della “fusione alla pari” non tornano, scrive Fiorina Capozzi sul “Fatto”. Del resto, aggiunge, «a Torino era noto da tempo che gli Elkann avessero intenzione di ridimensionare il peso dell’auto nel patrimonio di famiglia».Non è un mistero neppure che Fca fosse alla ricerca di un partner strategico, come testimonia il tentato “blitz” su Renault, sventato nei mesi scorsi dall’intervento di Macron. Lo Stato francese, socio di Renault, è anche azionista di Psa: segno che «in questo caso, ha fatto bene i suoi conti», chiosa Capozzi. Da parte sua, Moncalvo si domanda che fine faranno, ora, gli operai degli stabilimenti di Cassino, Melfi e Pomigliano d’Arco. Negli ultimi anni la Fiat ha chiuso Termini Imerese e Rivalta, senza contare l’Alfa Romeo di Arese. Nella storica fabbrica torinese di Mirafiori ormi si produce solo il Suv della Maserati, mentre a Cassino le Alfa (Giulia, Giulietta e Stelvio), a Melfi la 500 X e la Jeep Renegade, a Pomigliano la Panda. La Cinquecento è prodotta in Polonia, le grandi Jeep in Brasile e in India, la Tipo in Turchia. Il gruppo oggi avrebbe 130.000 dipendenti, in 119 stabilimenti distribuiti nel mondo. Drammatico, negli ultimi anni, il crollo dei livelli occupazionali italiani. Negli anni Sessanta, Mirafiori dava lavoro a 65.000 operai. Oggi, le poche migliaia di addetti rimasti si limitano all’unica linea attiva, quella della Maserati Levante. Residuo futuro per l’ex Fiat? La famiglia Elkann sembra volersene lavare le mani. D’ora in poi a dettare legge saranno i francesi. E addio al made in Italy nel settore auto.L’Italia perde la sua maggiore azienda, per decenni sorretta dallo Stato: a mangiarsi la Fiat è la Francia di Macron, con il gruppo Psa (Peugeot-Citroen-Opel) di cui il governo francese possiede il 13%. Il Cda di quello che diventerà il quarto produttore automobilistico al mondo, con 50 miliardi di dollari di fatturato, sarà guidato dall’attuale numero uno di Peugeot, Carlos Tavares, lasciando a John Elkann la presidenza del nuovo soggetto industriale. Clamorosa l’assenza totale della politica italiana: gli uomini del Conte-bis si limitano al ruolo di semplici spettatori, e tace anche l’opposizione. Silenzio generale, di fronte alla perdita definitiva del gruppo Fiat, fatto a pezzi nel corso degli anni. Stabilimenti delocalizzati in Polonia, Serbia, Turchia, Brasile, Argentina, India e Cina. E domiciliazioni “emigrate” in Gran Bretagna (sede legale), in Lussemburgo (fiscale) e negli Usa (borsistica). E ora, addio anche alla proprietà italiana del marchio, nonostante l’oceano di soldi – agevolazioni sugli stabilimenti, cassa integrazione – versati dai contribuenti italiani per tenere in piedi l’industria torinese. «Al silenzio della politica seguirà quello di giornali e televisioni», avverte il saggista Gigi Moncalvo: «Nessuno oserà contestare l’accordo, visto che il gruppo Fiat spende enormi quantità di denaro, in termini pubblicitari, sui media italiani».
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Tutti i politici italiani che hanno sempre preso soldi stranieri
In Europa c’è un paese, Metternich avrebbe detto “un’espressione geografica”, che nel XIX secolo ha preso soldi dalle banche inglesi. Lo sostiene lo storico Aldo Mola, quando scrive che «nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi e il monitoraggio costante dell’impresa»; ma lo ha affermato anche il ben più noto Sergio Romano, basandosi su testi di Arrigo Petacco, quando scriveva che «le ragioni dell’atteggiamento britannico furono in parte culturali, in parte strettamente politiche. I liberali inglesi erano favorevoli ai moti nazionali europei. Il loro leader, William Gladstone, scrisse un feroce pamphlet contro il Regno delle due Sicilie. Londra accolse generosamente Mazzini e contribuì a fare di lui un grande personaggio europeo. Il viaggio di Garibaldi a Londra fu un successo e suggerì alle aziende di ceramica dello Staffordshire la costruzione di statuette variopinte del generale che hanno decorato da allora i caminetti delle case del Regno Unito». Certo, direte voi, ma questa è roba vecchia, vecchissima, e che risale all’Ottocento. E poi, che male c’è? Gli inglesi ci hanno aiutato contro i Borbone e contro l’Imperatore d’Austria, e hanno fatto bene. Sì, ma…In Europa c’è un paese che si è fatto finanziare dagli stranieri anche dopo, ad Italia unificata. Il Duce d’Italia, Benito Mussolini, fu finanziato dagli inglesi e dagli americani, e chi lo ha seguito al governo del paese dopo la guerra lo fece in modo anche più esplicito. E’ il caso di un certo Alcide de Gasperi, trentino, che prese un aereo per gli Stati Uniti al fine di ottenere il placet e agevolazioni finanziarie. Poi arrivò il celeberrimo Piano Marshall, un fondo basato sul finanziamento in dollari, la cui “generosità” è oggi ampiamente contestata, dato che la ripresa in Europa “occidentale” si era già avviata da sola e la politica dei prezzi americana fu pilotata per indurre gli europei a vincolarsi al sostegno americano. Non sono nessuno per avvalorare questa linea storiografica; ma, anche volendola rifiutare, al mondo solo gli zulù non ammetterebbero che ci furono finanziamenti all’Italia. E non furono sempre trasparenti come il Piano Marshall. Sereno Freato, stretto collaboratore di Aldo Moro, negli anni Novanta dichiarava ad un giudice: «Mi meraviglio, è la scoperta dell’acqua calda: i finanziamenti del governo Usa alla Democrazia Cristiana ci sono sempre stati! Ho incassato di persona un assegno da 60 milioni dal capo-stazione della Cia a Roma, un assegno destinato alle casse dello scudo crociato nei primi anni ‘60».Vabbè, direte voi, ma questa era la Dc, il partito di maggioranza relativa che doveva combattere una guerra, seppur fredda. Va bene, come osservazione ci sta, peccato che in Europa c’è un paese ove anche le opposizioni si sono fatte finanziare dagli stranieri. E mica tanti anni fa. C’era l’Urss, e quindi parliamo di soli 30 anni or sono. In un libro del 1993 apparso presso Baldini e Castoldi (“L’oro di Mosca”), Gianni Cervetti racconta di essere stato per un certo periodo il procuratore del partito, incaricato di bussare ogni anno alla porta dell’ufficio di un omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva di un busto di marmo (la descrizione è mia) che si chiamava Boris Ponomariov. Cervetti gli rappresentava le esigenze del Pci e, dopo qualche considerazione sull’entità della cifra, incassava un assegno in dollari. La pratica durò sino alla fine degli anni Settanta quando Enrico Berlinguer, allora segretario del partito, decise di mettervi fine. Vi sarebbero stati altri contributi del Pcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica) negli anni successivi, ma destinati al «membro della direzione del Partito comunista italiano compagno Cossutta», e sarebbero serviti ad ammonire il Pci che la definitiva rottura con Mosca avrebbe comportato un rischio di scissione.L’informazione su questi ultimi finanziamenti è in un altro libro, “Oro da Mosca”, di Valerio Riva, pubblicato da Mondadori qualche anno dopo l’apparizione del libro di Cervetti. Dunque, anch’io con questo breve (e parziale) excursus storico ho scoperto l’acqua calda: governi e partiti di “quel paese in Europa” (che si chiama Italia) si sono fatti sempre SEMPRE finanziare dagli stranieri. Ora si scopre che (forse) un altro partito italiano, la Lega, si sarebbe fatto finanziare da stranieri, precisamente da industriali russi. Ricalcando la propagadanda Usa contro Trump, anche in Italia si accendono i riflettori sul Russiagate, nonostante tutti i politici italiani di centro, di destra e di sinistra sempre SEMPRE si siano fatti finanziare dagli stranieri. Chiedo allora agli illustrissimi giuristi che si buttano per terra e si contorcono in preda agli spasmi quando leggono di industriali russi che avrebbero promesso fondi ad un partito filorusso: dove accidenti sta scritto che questa cosa non si possa fare? Siamo forse in guerra con la Russia? Non lo sapevo!Sapevo di italiani in guerra contro la Russia negli anni Quaranta, quando le presero di santa ragione sul Don, ma non sapevo che anche oggi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte avessero messo in piedi un’Armir. perché solo in caso di guerra con la Russia sarebbe scandaloso un finanziamento di russi a politici italiani. Ad inizio 2018 si è completata la transizione dal finanziamento pubblico a quello (quasi) totalmente privato, come previsto dal decreto Letta del 2013. La legge non pone alcun veto al finanziamento da parte di soggetti esteri, se non con alcuni limitati distinguo a partire dall’aprile 2019, quando il governo gialloverde (no, dico… il governo gialloverde!!!), ha ridimensionato questa possibilità limitandola a fondazioni e associazioni. La verità è che, in mancanza di euro, dovrebbero consentirci di ripagare il debito pubblico in bufale: lo avremo ripianato da un pezzo.(Massimo Bordin, “Russiagate, dove diavolo è scritto che non si può?”, dal blog “Micidial” del 23 ottobre 2019).In Europa c’è un paese, Metternich avrebbe detto “un’espressione geografica”, che nel XIX secolo ha preso soldi dalle banche inglesi. Lo sostiene lo storico Aldo Mola, quando scrive che «nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi e il monitoraggio costante dell’impresa»; ma lo ha affermato anche il ben più noto Sergio Romano, basandosi su testi di Arrigo Petacco, quando scriveva che «le ragioni dell’atteggiamento britannico furono in parte culturali, in parte strettamente politiche. I liberali inglesi erano favorevoli ai moti nazionali europei. Il loro leader, William Gladstone, scrisse un feroce pamphlet contro il Regno delle due Sicilie. Londra accolse generosamente Mazzini e contribuì a fare di lui un grande personaggio europeo. Il viaggio di Garibaldi a Londra fu un successo e suggerì alle aziende di ceramica dello Staffordshire la costruzione di statuette variopinte del generale che hanno decorato da allora i caminetti delle case del Regno Unito». Certo, direte voi, ma questa è roba vecchia, vecchissima, e che risale all’Ottocento. E poi, che male c’è? Gli inglesi ci hanno aiutato contro i Borbone e contro l’Imperatore d’Austria, e hanno fatto bene. Sì, ma…
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Crypto-Libra, allarme: deleghiamo il futuro a Zuckerberg?
La Libra – cryptocurrency di Facebook – potrebbe rappresentare un ulteriore attacco alla democrazia e alla sovranità del popolo e dei governi. La Libra potrebbe infatti diventare la prima risorsa monetaria davvero limitata e la sua erogazione sarebbe in mano a privati, senza alcuna responsabilità verso la collettività. Il 17 giugno abbiamo avuto la notizia del lancio della criptovaluta di Facebook: la Libra. Il giorno dopo c’è stata la tanto attesa conferenza stampa in cui Facebook ha presentato il suo progetto al mondo. La Libra si propone di diventare una nuova moneta globale, stabile e sicura. Eppure, in un clima in cui la società vive una involuzione antidemocratica perpetuata a colpi di finanza speculativa, la Libra sembra un ulteriore attacco alla democrazia. Per capire perché la Libra può rappresentare un pericolo dobbiamo fare un paio di salti indietro nel tempo fino al 1929 e alla Grande Depressione negli Stati Uniti, forse peccando di qualche semplificazione. Nel 1929, dopo anni di prosperità, crolla lo stock market americano ed ha inizio la più grande crisi economica del secolo. Nonostante gli “avvertimenti” del mondo della finanza, che metteva in guardia dal fare spesa pubblica a debito, in quanto lo avrebbero dovuto pagare le future generazioni (sic!), nel 1932 viene eletto presidente Usa Franklin Delano Roosevelt.Nel 1933, dichiarando che «l’unica cosa di cui avere paura è la paura stessa» e sfidando il mondo della finanza americano, Roosevelt lancia un grande piano di investimenti pubblici (quindi generando “debito pubblico”) volto a creare occupazione: il New Deal. Il piano funziona e l’economia americana riparte grazie ad un modello di sviluppo che verrà anche ripreso e migliorato, con il Piano Marshall, per il rilancio delle economie europee alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Grazie a questo intervento economico di tipo espansivo, l’economia americana si riprese, tanto da riuscire a sanare il debito iniziale. Nell 1944 ha luogo Bretton Woods. Viene negoziato un nuovo sistema monetario internazionale: 44 nazioni decidono di legare (“pegging”) il valore delle loro valute a quello del dollaro, il quale a sua volta viene legato al prezzo dell’oro. Nel 1971, il presidente americano Nixon, preoccupato dell’ammontare dei dollari in circolazione, slega il dollaro dal valore dell’oro (fine del “gold standard”). Le nazioni diventano così libere di lasciare che i mercati (e non le riserve d’oro nazionali) determinino il valore delle loro valute, e la quantità di moneta erogabile diventa virtualmente illimitata.Dopo il boom economico dei ’50 e dei ’60, negli anni ‘70 in Italia, ad un’alta spinta inflattiva si accompagnano anche un significativo aumento della qualità della vita e una crescente domanda di diritti sociali, civili ed economici. Tra gli anni ’80 e i ’90 inizia la globalizzazione: viene presentata come una grande opportunità per diffondere su scala globale benessere e democrazia, Stato sociale e Stato di diritto. Di fatto, la globalizzazione diviene un processo nel quale vengono deregolamentati i mercati, i flussi di capitali e il mondo della finanza, senza accompagnare alla globalizzazione economico-finanziaria istituzioni giuridiche capaci di regolamentarne le attività, nell’interesse della collettività. In questi anni comincia anche a realizzarsi il cosiddetto modello economico neoliberista. Questo modello diffonde una serie di dogmi, utili a tutelare gli interessi del mondo della finanza. Per evitare la svalutazione dei capitali accumulati, il neoliberismo considera l’inflazione come una cosa negativa; tratta la moneta come risorsa scarsa (se non limitata); ritiene che le banche centrali non debbano essere controllate da poteri politici in quanto questi potrebbero eccedere nell’erogazione della moneta, minandone il valore; ritiene che gli Stati debbano finanziarsi sui mercati, con tassi d’interesse determinati dai mercati stessi; che la moneta debba essere erogata dalla banche centrali con un tasso d’interesse; e relega la politica ad un ruolo subordinato rispetto alla finanza ed all’economia, le quali determinano cosa sia possibile o impossibile fare in base ai capitali disponibili ai governi (capitali finanziati dai mercati).In questo contesto arrivano le criptovalute. Monete private, la cui erogazione viene gestita autonomamente e non certo nell’interesse degli Stati e dei popoli. Finora, queste valute non hanno comportato un grande rischio: piuttosto una opportunità di investimento. La Libra è un’altra cosa. La Libra di Facebook nasce con la forza di una rete che conta 2.4 miliardi di persone in tutto il mondo e l’appoggio di colossi finanziari ed economici privati come Visa, Mastercard, Paypal, Coinbase, Spotify, eBay, Vodafone, Farfetch, Uber, Lyft e molti altri. La Libra ha la forza di cambiare la faccia sia del commercio che della finanza, diventando la vera valuta globale. Che problema c’è? Facebook ha prodotto un bel video che dimostra come questa valuta renderà le transazioni facili e sicure in tutto il mondo. Ma che vuol dire sicure? Sicure per chi? Al momento, Facebook ci tiene a rassicurare mercati, governi e persone, dicendo che il valore della monetà sarà “pegged” (legato) ad un paniere di valute nazionali. Ma cosa succederà se la Libra dovesse diventare, magari proprio grazie alla sua scarsità e globalità, una risorsa più appetibile delle valute legate alle banche centrali?La Libra sembra avere nella sua ‘raison d’etre’la lotta alla volatilità. Vuol dire forse che, in caso di contraccolpi o debolezza delle valute del paniere di riferimento, la Libra potrebbe staccarsi da queste? E nello scenario non troppo distopico in cui la Libra, nel tempo, diventasse una valuta più voluta e accettata delle valute legate alle banche centrali, potrebbe diventare persino una riserva internazionale, nelle mani di un privato? Stiamo per delegare l’economia dei governi, il finanziamento degli Stati e il Welfare State mondiale (lo Stato sociale mondiale) al buon cuore di Zuckerberg? Sono molte le domande e le preoccupazioni che sorgono di fronte alla nascita della Libra. Infatti, se è vero che negli ultimi anni la Dis-Unione Europea ha mostrato di favorire gli interessi di poteri economico-finanziari, rispetto a quelli della collettività, la Libra potrebbe portare il livello di conflitto economico ad un nuovo, imprevedibile livello. Noi del Movimento Roosevelt staremo bene attenti allo sviluppo di questo progetto. Certo, fa ridere come lo Stato italiano non possa fare i minibot, ma un ragazzo di New York di 35 anni abbia la fiducia per lanciare una nuova moneta, privata e globale. C’è molto da fare.(Marco Moiso, “Libra, attacco alla democrazia”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 giugno 2019).La Libra – cryptocurrency di Facebook – potrebbe rappresentare un ulteriore attacco alla democrazia e alla sovranità del popolo e dei governi. La Libra potrebbe infatti diventare la prima risorsa monetaria davvero limitata e la sua erogazione sarebbe in mano a privati, senza alcuna responsabilità verso la collettività. Il 17 giugno abbiamo avuto la notizia del lancio della criptovaluta di Facebook: la Libra. Il giorno dopo c’è stata la tanto attesa conferenza stampa in cui Facebook ha presentato il suo progetto al mondo. La Libra si propone di diventare una nuova moneta globale, stabile e sicura. Eppure, in un clima in cui la società vive una involuzione antidemocratica perpetuata a colpi di finanza speculativa, la Libra sembra un ulteriore attacco alla democrazia. Per capire perché la Libra può rappresentare un pericolo dobbiamo fare un paio di salti indietro nel tempo fino al 1929 e alla Grande Depressione negli Stati Uniti, forse peccando di qualche semplificazione. Nel 1929, dopo anni di prosperità, crolla lo stock market americano ed ha inizio la più grande crisi economica del secolo. Nonostante gli “avvertimenti” del mondo della finanza, che metteva in guardia dal fare spesa pubblica a debito, in quanto lo avrebbero dovuto pagare le future generazioni (sic!), nel 1932 viene eletto presidente Usa Franklin Delano Roosevelt.
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Foster: ora i boss dell’Ue faranno a pezzi l’Italia, ecco come
La lettera di Tria non ha convinto la Commissione Europea, che in un documento di 14 pagine ha attaccato le principali riforme del governo Conte e aperto la strada alla procedura di infrazione per debito eccessivo. Il governo, ricorda Federico Ferraù su “Sussidiario”, ha risposto dicendo di voler rispettare il Patto di Stabilità. «Apparentemente, dunque, i giochi sono ancora aperti: si tratta. Ma è un’illusione, perché il destino dell’Italia è già scritto». Lo ha deciso il club di Stati che contano. Quello che in Italia – e prima, forse, anche altrove – non si è capito è che non c’è politica che tenga, perché l’unica “politica” che vige nell’Ue è l’annientamento di chi vìola le regole, anche se le regole non hanno funzionato. A dirlo è Chris Foster, investitore professionista che ha operato sui mercati internazionali e che ha conosciuto molto da vicino gli ambienti dell’eurocrazia europea. È possibile, gli domanda Ferraù, che la Commissione uscente creda davvero di salvare l’Europa sanzionando chi viola le regole e insistendo sulle ricette di austerity, che sono la causa della vittoria dei populisti nelle urne? «Il piccolo super-club di paesi che controlla il grande “club a 28 Stati” ha le sue ragioni per gestire meglio il potere», dice Foster. «Per il centro-nord Europa, l’Italia da risorsa è diventata un problema da tutti i punti di vista. Meglio distruggerla definitivamente, sia dal punto di vista economico che politico».
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Tav Torino-Lione, la bancarotta italiana dei politici falliti
Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). Non si può dire altrettanto del governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati e ora è ridotto a mendicare clemenza da Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamarebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.Stato confusionale: agli italiani avevano raccontato che la morale fa a pugni con la politica. E in nome di una pretesa moralità (la loro) hanno rottamato la politica (sempre la loro, quella che avevano lasciato intravedere nella vaga tuttologia dei loro non-programmi). Nebbiogeni su ogni cosa, i 5 Stelle: armamenti, vaccini, Europa, economia, grandi opere. Laddove sono stati costretti a esprimersi in modo chiaro – il Tap, gli F-35, l’obbligo vaccinale – si sono rimangiati la parola nel modo più plateale. Salvo ricorrere alla farsa nel caso del loro ultimo cavallo di battaglia, il reddito di cittadinanza, ridotto a caricatura stracciona di qualcosa che un tempo si sarebbe definito welfare. L’ultimo passo verso il baratro attende i 5 Stelle in valle di Susa, dove lo stesso Grillo – dal 2005 in poi – ha coltivato personalmemte, con grande impegno, il seme del Partito degli Onesti, schierandosi contro la maxi-opera più inutile d’Europa. Il ministro Toninelli è stato letteralmente fatto a pezzi – sui media – per aver osato compiere l’azione più sensata possibile: affidare il verdetto sulla fattibilità a una autorevole commissione di tecnici. Una scelta che sarebbe normale, in mondo normale. Un atto eroico, invece, nel caso italiano. Scontato, peraltro, l’esito dell’analisi costi-benefici: la Torino-Lione (costosissima e devastante per l’ambiente) sarebbe una ferrovia completamente inutile.E’ diventato un totem, il progetto Tav Torino-Lione. Se ne parla da più di vent’anni, ma del tunnel Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sull’ipotetica infrastruttura per le merci (perfetto doppione della linea Torino-Lione già esistente, deserta per assenza di merci da trasportare) si sono versati fiumi di parole bugiarde: la più colossale operazione di disinformazione attuata in Italia negli ultimi anni. Lo confermano le recenti elezioni regionali piemontesi, dove proprio il fantasma del Tav valsusino è stato elevato – da tutti i principali attori, centrodestra e centrosinistra, Chiamparino e Zingaretti, Salvini e Meloni – al rango di entità salvifica, pressoché metafisica, nemmeno fosse una sorta di Piano Marshall per il Piemonte. Poche centinaia di addetti, per la sola durata dei cantieri. Un suicidio economico, tranne che per la ristretta filiera degli appalti. Verità a tutti nota, stra-dimostrata da studi autorevolissimi, eppure risolutamente negata. Il maxi-obbrobrio servirebbe solo ad arricchire i suoi costruttori: è stato calcolato che ogni singolo operaio costerebbe un milione di euro, data l’enormità della spesa e l’esiguità del profilo occupazionale. Ma peggio: in vent’anni, i governi a favore dell’opera – di qualsiasi colore – si sono sempre rifiutati di spiegarne l’eventuale utilità. Un silenzio assordante, che non si è interrotto neppure quando la valle di Susa è diventata un problema di ordine pubblico. Nessuna spiegazione, mai, sul perché aprire quei cantieri. Solo slogan, depistaggi, insulti.Insifignicante sul piano strategico ma doloroso sotto l’aspetto finanziario, il progetto Tav Torino-Lione è diventato l’emblema del fallimento italiano: sovranità democratica confiscata con la forza della menzogna. Modelli economici falliti, partiti falliti, politici falliti: al Piemonte (4,3 milioni di abitanti) si continua a raccontare che, senza quella linea ferroviaria – destinata a restare deserta in eterno – la regione precipiterà nella miseria. L’unica forza politica capace di opporsi a questa menzogna orwelliana è stato il Movimento 5 Stelle, che ora però gli elettori piemontesi hanno punito, relegandolo nel recinto umiliante del 13% dei consensi. In pratica – ha concluso Salvini – è stato un referendum sulla Torino-Lione. Si preparano dunque ad avviarla, finalmente, l’inutile follia. Chi resta, a guardia della ragione? Luigi Di Maio, solo lui. Un mini-leader dimezzato, rintronato dalla disfatta, cannibalizzato dall’alleato di governo. In altre parole, inerme. Ma telecomandato, come sempre, da Grillo e Casaleggio. Vista l’attitudine al voltafaccia su qualsiasi impegno, è facile attendersi che i 5 Stelle capitoleranno, infine, anche sul Tav valsusino, imposto dall’oligarchia europea che ha piegato il paese. Il fallimento dell’Italia, a quel punto, raggiungerà la perfezione anche sul piano simbolico. Non ci sono alternative, diceva la Thatcher. Non ce ne sono davvero, se manca un pensiero politico capace di progettare il futuro partendo dalla giustizia sociale.Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). E il governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati, ora è ridotto a mendicare clemenza a Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamerebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.