Archivio del Tag ‘Piercamillo Davigo’
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Loggia Ungheria: i media tacciono, le toghe insabbiano?
Diciamo la verità: se non fosse stato per Nino Di Matteo che ha rotto il gioco, tutta questa vicenda delle logge segrete, dei pasticci dentro la magistratura, dei veleni, degli imbrogli, e parallelamente le storie strane dell’ex premier Conte, tutte queste cose qui non le avremmo mai sapute. I migliori campioni della Magistratura Intransigente, e i grandi giornalisti, e i grandi giornali di inchiesta, avevano seppellito tutto sotto la sabbia. Shhh, avevano sibilato. Shhh: omertà. Non è così? Figuratevi se a me, che di Di Matteo ho sempre parlato, scritto e pensato tutto il male possibile, non costa molto questa ammissione: però è il vero. Non cancello neanche una frazione delle critiche che da anni rivolgo a Di Matteo, e tuttavia bisogna riconoscergli che ha dimostrato di essere una persona onesta e che rispetta la legge e che non guarda in faccia a nessuno. È strano? Non dovrebbe essere strano. Nel senso che magari una persona normale dai magistrati si aspetta sempre un comportamento come quello di Di Matteo.
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Moncalvo: Loggia Ungheria? Ma la stampa tace su tutto
Per capire in che paese viviamo, basta vedere come sono messi oggi i 5 Stelle: secondo il tribunale di Cagliari, il loro legale rappresentante non è Crimi o qualche altro parlamentare, men che meno Giggino Di Maio (ospite di Boris Johnson agli esclusivi tavoli di Annabelle’s a Mayfair, alla faccia degli italiani) ma è il simpatico avvocato Silvio De Murtas, che ironicamente dice di essere uno che alleva “trenta pecore e qualche maiale”. In qualità di legale rappresentante del movimento fondato da Grillo e Casaleggio, vedremo mai l’avvocato Murtas ospite del Quirinale o della signora Gruber, vera rappresentante del pluralismo giornalistico di questo paese insieme a Scanzi, alla signora Berlinguer e all’eroe nazionale Floris? Cosa pensa, l’avvocato Murtas? Come parla, cosa dice? Faccio una scommessa: sono pronto ad amputarmi il braccio destro, se qualcuno dei nostri anchorman lo inviterà in qualche talkshow, ora che tecnicamente è il nuovo capo dei grillini.Come funziona il sistema mediatico lo capii anni fa, quando a Napoli fui invitato da un editore che intendeva affidarmi la direzione del quotidiano “L’Indipendente”, qualora fosse stato fatto rinascere. Avrei dovuto coabitare con l’allora giovane Gennaro Sangiuliano, ora direttore del Tg2. Con Sangiuliano ebbi un cordiale incontro, al bar. Mi mostrò le prove di un vero e proprio scoop, le foto di Pier Ferdinando Casini – al tempo, non ancora presidente della Camera ma già tra i leader del centrodestra – in compagnia dell’allora fidanzata “clandestina”, la ventenne Azzurra Caltagirone. Sangiuliano scriveva sul “Roma”, storico quotidiano partenopeo. «Cosa aspetti a pubblicare quelle foto?», gli domandai. E lui: «Ma che, sei matto? Io quelle foto non le pubblico: anzi, le ho mandate all’onorevole Casini, per conquistare la sua perenne gratitudine». Al che, finito l’incontro con Sangiuliano, tornai dall’editore, gli raccontai tutto e gli dissi che non avrei mai potuto avere Sangiuliano come vicedirettore. L’editore si mise a ridere: «Ha ragione, Moncalvo».Siamo il paese dei Ferragnez, della professoressa D’Urso e di Enrico Letta, che tace sulla Superlega ma in compenso si inventa una nuova formula per la Coppa Italia. Cioè: non pago delle proposte appena formulate su temi cruciali e irrinunciabili, per gli italiani – dallo ius soli al voto ai sedicenni – ora si mette a parlare anche di calcio, anziché occuparsi di politica. E a proposito: avete mai sentito Letta dire una parola contro Andrea Agnelli, quando gli è venuta la sciagurata idea della Superlega? Quella semmai sarebbe stata una battaglia da fare: tutelare il calcio povero, contro le squadre ricche. Macché: non c’è pericolo che un politico italiano osi criticare un Agnelli, giammai. Quanto al Pd, ormai è un partito esclusivamente romano, dominato da figure come Letta e Bettini. Mettersi a parlare di Coppa Italia? Ma questi sono da trattamento sanitario obbligatorio.Ora siamo alle prese con una curiosissima gara, che vede schierato il fior fiore del giornalismo italiano: “Repubblica”, il “Fatto”, Mentana. La segretaria di Piercamillo Davigo ha trovato sul tavolo un dossier sulla presunta Loggia Ungheria (entità massonica con magistrati, prefetti, comandanti dei carabinieri) e lo ha spedito ad alcuni giornali. E cos’hanno scritto? Niente. E questo, nonostante il plico contenesse le dichiarazioni messe a verbale dall’avvocato Piero Amara, a lungo legale dell’Eni. Di fronte a notizie simili, il giornalista italiano – specie se di alto livello – non fa un tubo. Eppure, era facile verificare: bastava chiedere conferma ad Amara di esser stato effettivamente interrogato, dai magistrati. E invece no: silenzio, dai direttori “tromboni”, che poi magari si vantano di dire “tutta la verità” sulla mafia. Stavolta si sono fatti bagnare il naso da Emiliano Fittipaldi, del quotidiano “Domani” (di De Benedetti) che invece il suo dovere l’ha fatto e la notizia l’ha data.Bella figura, per i presunti depositari della verità: i Mentana, i Travaglio. Mentana ha ammesso: sì, a febbraio gli erano arrivati elementi di questa storia (Amara, i legami tra Acqua Marcia e Conte) ma non vi diede alcun seguito. Capito, come gira il mondo? Tanti anni fa, quando “La7″ era di proprietà di Telecom, quindi di Marco Tronchetti Provera, Gad Lerner – allora in forza alla rete – ricevette un dossier, con anche una videocassetta, che dimostrava un presunto caso di spionaggio, un lavoro commissionato da Telecom a un’agenzia di investigazioni contro un loro concorrente brasiliano. E Gad Lerner cosa ha fatto, di quella busta? Ha verificato se le informazioni del dossier fossero vere? Nossignore: ha richiuso la busta e l’ha consegnata a Tronchetti Provera. Poi, vi chiedete come mai sono stati liquidati con miliardi di lire – lui, Fabio Fazio e altri, che allora erano a “La7″ al tempo di Tronchetti Provera – ora la risposta ce l’avete. Come chiamare, questo? La presa per i fondelli dei lettori, dei telespettatori, del popolo bue.Quando nacque l’Auditel, per truccare gli ascolti a scopo pubblicitario, il patto era tra Gianni Letta (per Mediaset) e Biagio Agnes (direttore generale della Rai). Adesso, a trent’anni di distanza, sempre lui – lo zio di Enrico Letta – ha proposto come nuovo presidente della Rai la figlia di Biagio Agnes, Simona: e questa è la quadratura del cerchio. Siamo il paese in cui Matteo Renzi spiega di aver incontrato a febbraio, in un autogrill, un uomo dei servizi segreti come Marco Mancini, “chiarendo” che Mancini doveva consegnargli i “babbi al cioccolato” (meravigliosi wafer di Cesena) che non era riuscito a recapitagli per Natale. Siamo il paese in cui l’editore deve ritirare dalle librerie “Il sistema”, libro-intervista di Sallusti e Palamara, perché un magistrato – Armando Spataro – ha trovato inappropriati alcuni passaggi che lo riguardano: così si scopre che anche Palamara è un quacquaracquà.Io sono stato vittima di un tentativo di censura preventiva da parte di Jacaranda Falck Caracciolo di Melito, figlia adottiva di Carlo Caracciolo, mentre stavo per dare alle stampe il mio libro “I Caracciolo”. Prima ancora che il libro uscisse, per l’editore Rubbettino, lei e l’avvocato mi scrissero chiedendomi di non farlo uscire, quel libro. Io risposi con un pernacchione, l’editore si rifiutò di pubblicarmi ma il libro uscì lo stesso, da me pubblicato su Amazon. Curioso, poi, scoprire che Jacaranda Falck Caracciolo oggi figura tra i primi azionisti di “Repubblica” e dell’intero gruppo Gedi: posso immaginare quale concezione abbia, del giornalismo, questa signora della censura preventiva, di fronte a cui i suoi giornalisti si appecoronano. Qualcosa del genere deve avvenire a Mediaset: dalla pagina web delle “Iene” è letteralmente sparita un’intera parte che riguardava i voli di Stato della presidente del Senato, Elisabetta Casellati.Un altro libro ormai famoso, quello di Roberto Speranza (”Perché guariremo”), benché sia stato ritirato dalle libreire italiane è però regolarmente acquistabile sul sito francese di Amazon. Possibile che ci dobbiamo pensare noi, ad acquistare il libro facendolo arrivare dalla Francia, per poterlo divulgare? Speranza è al centro delle cronache: possibile che i giornaloni non ne parlino? Lo ha fatto solo il sito “Linkiesta”. E i grandi giornali? La notizia è doppia: il libro lo ha scritto il ministro, ed è stato ritirato dal commercio. Forse ormai si è perso il concetto stesso, di notizia: secondo i giornalisti italiani, la notizia è una cosa che non esiste più, così come la curosità. Sono tutti lì con la D’Urso e con il capo della cupola, cioè Maria De Filippi, che è “il marito” di Maurizio Costanzo. Tornando alla Loggia Ungheria, mi torna in mente una frase di Gianfranco Funari: «Se andiamo a cena noi due, con anche tua moglie e la mia compagna, passiamo una bella serata in allegria. Se invece vanno a cena un magistrato, un ufficiale dei carabinieri, un notaio, un commercialista e un avvocato, non è per fare quattro risate, ma per inchiappettare qualcuno o per fare qualche affare».(Gigi Moncalvo, dichiarazioni rilasciate il 6 maggio 2021 nella trasmissione web-streaming “Silenzio stampa” su “Forme d’Onda”, con Rudy Seery e Stefania Nicoletti).Per capire in che paese viviamo, basta vedere come sono messi oggi i 5 Stelle: secondo il tribunale di Cagliari, il loro legale rappresentante non è Crimi o qualche altro parlamentare, men che meno “Giggino” Di Maio (ospite di Boris Johnson agli esclusivi tavoli di Annabelle’s a Mayfair, alla faccia degli italiani) ma è il simpatico avvocato Silvio Demurtas, che ironicamente dice di essere uno che alleva “trenta pecore e qualche maiale”. In qualità di legale rappresentante del movimento fondato da Grillo e Casaleggio, vedremo mai l’avvocato Demurtas ospite del Quirinale o della signora Gruber, vera rappresentante del pluralismo giornalistico di questo paese insieme a Scanzi, alla signora Berlinguer e all’eroe nazionale Floris? Cosa pensa, l’avvocato Demurtas? Come parla, cosa dice? Faccio una scommessa: sono pronto ad amputarmi il braccio destro, se qualcuno dei nostri anchorman lo inviterà in qualche talkshow, ora che tecnicamente è il nuovo capo dei grillini.
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Salvini pedina anti-Eni, 5 Stelle anti-Italia. Arriverà Cairo?
L’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica. Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila. E in Italia? “La7”, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica. Chi è stato a raccogliere la registrazione al Metropol? Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.Le procure sono sempre al lavoro. Differenze tra ieri e oggi? Nel ’92-94 si trattò di un di un grande disegno internazionale con a capo la centrale del mercatismo mondiale, che era Londra. Adesso la disgregazione dello Stato italiano ha colpito anche la magistratura, come si vede dalla crisi del Csm. Questo comporta una lotta senza esclusione di colpi. Anche il grande capitalismo finanziario, che aveva le sue cuspidi nelle grandi logge scozzesi, adesso è diviso: tutti fanno quello che vogliono, dalle massonerie francesi a quelle tedesche. L’Ue sta implodendo, tutto è molto più complicato da gestire anche per loro. Il problema è che certi gruppi puoi farli salire, agevolandone la presa del potere, ma poi le persone fanno quello che vogliono. Mi riferisco ai 5 Stelle: alcuni sono manovrabili, altri no. E questo crea grandi problemi. Anche se sono stati scelti con cura per il loro compito. Qual era? Continuare il lavoro di Monti. L’esempio più chiaro è sotto gli occhi di tutti: l’accanimento sull’Ilva. Indebolire la seconda potenza industriale europea, già fiaccata dalle privatizzazioni modello Eltsin-Menem-Prodi, fa gola a molti. Non ci vuole un genio per capirlo.Parlo del modello delle privatizzazioni che hanno distrutto i grandi gruppi statali attraverso gli spezzatini finanziari. Eltsin distrusse il patrimonio russo dandone una parte al notabilato vecchio e nuovo, una parte all’ex burocrazia comunista e un’altra parte ai grandi investitori stranieri. Ha fatto scuola. L’Ilva? Siamo arrivati al colpo finale: se chiudono l’Ilva, i 5 Stelle hanno assolto il loro compito. A quel punto, il M5S non serve più. All’Italia invece serve la Lega. Ma qui Salvini paga il suo più grande errore: invece di corteggiare Orbán, avrebbe dovuto dare battaglia al Fiscal Compact dall’interno del Ppe. Finora, Salvini ha dato allo Stato il compito di regolare le migrazioni sottraendole al mercato. Farebbe ancora meglio se di tanto in tanto concedesse di più alla misericordia. Però non basta. La Lega deve elaborare in modo più compiuto una politica economica non ordoliberista e approfondire la sua fisionomia di partito dei produttori. Solo se rappresenta veramente la borghesia nazionale, l’industria e le Pmi, la Lega può rafforzare i suoi legami con gli Usa, evitando di cadere nelle braccia dell’imperialismo cinese e salvando così il paese.Quello che è successo al Metropol va attribuito alla superficialità o a una trappola? Le trappole per funzionare hanno bisogno della leggerezza delle loro vittime. Se vuoi guidare il paese devi avere la consapevolezza che vogliono eliminarti, proprio come un toro alla corrida. Fa bene la Lega a intrattenere rapporti così stretti con la Russia? La domanda è mal posta. Salvini ha ragione a dire che le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Anzi: questo è perfettamente in linea con la vecchia politica estera italiana. La Dc, da posizioni atlantiste, ha sempre parlato con Mosca. Oggi la Russia ha rispolverato la teoria di Primakov, maestro di Lavrov: il ritorno nei mari caldi. Mosca vuole giocare un ruolo euroasiatico di primo piano. Salvini lo ha capito, ma serve una politica estera. In concreto che cosa significa? Il vassallo ha un suo ruolo: può fare cose che non può fare l’imperatore. Gli Usa non possono avere un rapporto scoperto e destabilizzante con la Russia di Putin, ma è evidentemente interesse dell’America tirare la Russia dalla propria parte contro la Cina. L’Italia deve elaborare e difendere il proprio “interesse prevalente”, come avrebbe detto Dino Grandi. Facendo in modo intelligente da ponte, e combattendo isterismi e ideologie.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Salvini è la pedina di un attacco all’Eni”, pubblicata dal “Sussidiario” il 17 luglio 2019, prima che la crisi gialloverde precipitasse).L’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica. Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila. E in Italia? “La7”, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica. Chi è stato a raccogliere la registrazione al Metropol? Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.
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Chi rubava? Chi ha minato il reddito della nostre famiglie?
Lo voglio ribadire per i giovani, perché è vitale per voi sapere questa cosa. Bettino Craxi passa per il grande ladro d’Italia, per la rovina del paese, quando nella realtà i grandi ladri sono oggi e la rovina d’Italia è oggi, e i dati sono incontestabili. Bettino Craxi viene accusato di aver tagliato la scala mobile: era un sistema di indicizzazione dei prezzi all’inflazione che non funzionava, serviva solo a far fare tessere alla Cgil. Fu eliminato e, come vedrete dai dati, l’Italia dei lavoratori ne ha solo guadagnato. Fu accusato di aver dato l’8 per mille al Vaticano quand’era una balla: erano gli italiani che davano l’8 per mille al Vaticano, non Bettino Craxi. Vediamoli, questi dati. Sono cose che oggi non leggerete sui giornali. Una tabella dell’Ocse mostra il risparmio medio delle famiglie su scala internazionale mettendo in paragone i paesi più industrializzati. Ecco, negli anni del socialismo di Bettino Craxi (10 anni), dopo aver speso tutto quello che doveva spendere, ogni famiglia italiana risparmiava in media il 25%. Una cosa incredibile. Poi sono arrivati i politici cosiddetti “puliti”, e nel 2000 il risparmio delle famiglie italiane si è dimezzato. Poi è arrivato l’euro, e il risparmio è stato disintegrato.Oggi siamo al 5%, con l’euro. E la corruzione? Quattrocento indagini per corruzione durante Tangentopoli. Oggi, coi politici nuovi, nell’era dell’euro: 516 indagini per corruzione, sono state registrate (in tempi addirittura minori: 14 anni per Tangentopoli 10 anni dopo l’arrivo dell’euro). Questi sono dati drammatici, che vengono consegnati dal rapporto Res a Piercamillo Davigo nel 2016 davanti al Csm. Allora chi rubava? L’Italia di Craxi rubava, ma molto meno di oggi. E ci ha reso la settima potenza mondiale, con un potere d’acquisto che era dal 30 al 70% superiore a oggi. L’Italia di oggi ruba molto di più, e siamo distrutti economicamente: abbiamo una disoccupazione giovanile mostruosa e una crescita stimata allo 0,2%. Ragazzi, è su questo che dovete ragionare.(Paolo Barnard, video-messaggio su Twitter ripreso da “Come Don Chisciotte” il 14 aprile 2019. Giornalista, Barnard ha lavorato per le maggiori testate italiane, prima di fondare “Report” con Milena Gabanelli. Poi escluso dalla Rai a causa delle sue inchieste scomode su Big Pharma e sulle lobby che manovrano la Commissione Europea, da anni studia l’economia e le dinamiche ordoliberiste che hanno impoverito la popolazione occidentale. E’ del 2011 l’ampio saggio “Il più grande crimine”, che svela come l’élite finanziaria ha progettato l’Unione Europea sulla base del modello neo-feudale, usando l’euro per distruggere la classe media, confiscare la democrazia e demolire i diritti sociali in Europa).Lo voglio ribadire per i giovani, perché è vitale per voi sapere questa cosa. Bettino Craxi passa per il grande ladro d’Italia, per la rovina del paese, quando nella realtà i grandi ladri sono oggi e la rovina d’Italia è oggi, e i dati sono incontestabili. Bettino Craxi viene accusato di aver tagliato la scala mobile: era un sistema di indicizzazione dei prezzi all’inflazione che non funzionava, serviva solo a far fare tessere alla Cgil. Fu eliminato e, come vedrete dai dati, l’Italia dei lavoratori ne ha solo guadagnato. Fu accusato di aver dato l’8 per mille al Vaticano quand’era una balla: erano gli italiani che davano l’8 per mille al Vaticano, non Bettino Craxi. Vediamoli, questi dati. Sono cose che oggi non leggerete sui giornali. Una tabella dell’Ocse mostra il risparmio medio delle famiglie su scala internazionale mettendo a confronto i paesi più industrializzati. Ecco, negli anni del socialismo di Bettino Craxi (10 anni), dopo aver speso tutto quello che doveva spendere, ogni famiglia italiana risparmiava in media il 25%. Una cosa incredibile. Poi sono arrivati i politici cosiddetti “puliti”, e nel 2000 il risparmio delle famiglie italiane si è dimezzato. Poi è arrivato l’euro, e il risparmio è stato disintegrato.
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Avete idea di cos’era l’Italia, quando aveva la Montedison?
Probabilmente ci sarebbero un milione di posti lavoro in più in Italia, se non fosse stata “suicidata” la Montedison di Raul Gardini. Era il primo gruppo industriale privato italiano, ricorda Mitt Dolcino: la Fiat, all’epoca, era ben lontana dalle vette dei grandi gruppi di Stato come Eni, Stet (Telecom), Enel e forse la stessa Sme (agroindustriale). «Oggi che si è insediato il primo governo eletto non a seguito di influenze esterne – inclusa l’ingerenza della magistratura (ossia Tangentopoli) – dobbiamo ragionare freddamente su cosa successe veramente con Raul Gardini», scrive Dolcino su “Scenari Economici”. «La situazione oggi è talmente grave che qui ci giochiamo l’italianità». Infatti non è un caso – aggiunge l’analista – che Montedison alla fine fu conquistata e spolpata proprio dai francesi, guardacaso gli stessi che, secondo il giudice Rosario Priore, attentarono alla sovranità italiana durante “l’incidente” di Ustica, e che oggi «sembrano distribuire la Legion d’Onore ad ogni notabile italiano che va contro gli interessi del Belpaese». Caduto il Muro di Berlino, di fatto, l’Italia perse la protezione degli Usa. «E l’Europa, la stessa che oggi ci bastona, organizzò il banchetto dato dalle privatizzazioni italiane a saldo (con Draghi, che casualmente fece una fulgida carriera, ad organizzare il piano sul Britannia)».
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Veneto e Lombardia: liberi da Roma ma schiavi di Bruxelles
Super-autonomia di Veneto e Lombardia? Già, ma autonomia da cosa? Si sono dimenticati, Zaia e Maroni, di essere “sudditi” dell’Unione Europea? Non vendano facili illusioni, i governatori leghisti del Nord-Est, che oggi cantano vittoria per l’esito dei referendum consultivi indetti per chiedere lo statuto autonomo per le due Regioni: l’Italia non è più un paese sovrano, a prescindere dai margini regionali di autogoverno relativo. «Vogliamo tenerci il 90% delle tasse», annuncia Luca Zaia, forte del quasi-plebiscito appena incassato da quasi sei veneti di dieci. Minore l’affluenza in Lombardia, appena sopra il 38%, ma Maroni considera comunque un successo l’aver portato alle urne tre milioni di lombardi, lasciando capire che il governo Gentiloni sarebbe pronto a concessioni inedite. «Ma siamo sicuri che sia una cosa seria?». Se lo domanda Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, convinto di assistere a una sorta di recita che rischia di assomigliare a una farsa, proprio mentre «accadono cose surreali in Catalogna», dove il confronto tra Barcellona e Madrid appare «ben più gravido di conseguenze immediate», in una situazione nella quale «non si capisce chi abbia sbagliato di più, e chi soffi sul fuoco di chi».La sfida spagnola, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «è una vicenda talmente grossa che va riletta alla luce degli smottamenti più che sospetti che in tutta Europa si stanno verificando, in questo momento davvero cruciale». Di fronte a ciò, l’autonomismo del Lombardo-Veneto appare «stucchevole, strumentalizzabile». E poi: «Qual è la sua dimensione reale? Quali saranno le effettive conseguenze del voto?». Di una cosa, Magaldi è sicuro: «Stiamo perdendo il senso del reale, perché non è certo di più autonomie e statuti speciali che l’Italia ha bisogno». Un tempo, ammette Magaldi, «lo Stato centrale aveva competenze esorbitanti». Ma ora la situazione è completamente cambiata: «Lo Stato ha perso sovranità esattamente come l’ha persa il popolo, non solo in Italia ma in tutta l’Unione Europea: non si capisce più dove sia, oggi, la sovranità». E quindi, sostiene, anziché rifugiarsi nella dimensione regionalistica (e vale anche per Barcellona, probabilmente) sarebbe il caso di affrontare di petto l’intero problema della sciagurata governance europea: quindi non conta tanto «chi ha le prerogative per gestire», quanto «se lo fa nell’interesse della sovranità del popolo» oppure, come avviene ora, «per interessi che con il popolo hanno poco a che vedere».E chi dovrebbe aprirla, la vertenza vera – quella con Bruxelles? La politica, ovviamente: e qui arrivano le dolenti note. Rosatellum alla mano, l’immediato futuro non prospetta nient’altro che personaggi come Minniti o Gentiloni, ovvero «un qualche pesce lesso che vada bene sia per il centrodestra e che per il centrosinistra, verso l’ennesimo governo di bassissimo profilo». Renzi? Non l’ha ancora capito, ma si è auto-affondato: «E’ stato un grande bluff, ha capovolto l’iniziale simpatia in antipatia, che oggi diventa risentimento». Ha venduto una sorta di rivoluzione, ma poi ha partorito solo il Jobs Act, «che ha mostrato la faccia dura della precarizzazione del lavoro», e infine ha abortito una pessima riforma costituzionale. «Nel frattempo l’Italia continua a essere in discesa libera, con una burocrazia sempre asfissiante, una tassazione inverosimile e invereconda. E una disoccupazione crescente». Bilancio nero: «Non vedere questo è la follia di Renzi, e questa follia lo perderà, la discesa sarà rovinosa: non ha più alcuna chance di tornare a Palazzo Chigi».Intorno, comunque, il nulla, tra Salvini che serra i ranghi tornando sotto l’ala dell’inclassificabile Berlusconi, e i 5 Stelle che «non ci hanno ancora spiegato come vorrebbero davvero governare l’Italia». I “cespugli” attorno al Pd? Peggio che andar di notte: «Renzi, quantomeno, non ha sulle spalle le responsabilità di D’Alema, che ha governato male, né quelle di Bersani, incapace di farsi regista di un’alleanza coi 5 Stelle e, prima ancora, colpevole di aver supportato il governo Monti». Magaldi è tra i promotori di un nuovo progetto politico ancora in divenire (il Pdp, Partito Democratico Progressista) ma prende atto del fatto che, in Italia, sembra mancare il lessico fondamentale per voltare davvero pagina. Esempio: fa notizia che rinunci a candidarsi un uomo come Piercamillo Davigo, magistrato della Cassazione e già segretario dell’Anm, bandiera della lotta anti-corruzione dai tempi del pool milanese di Mani Pulite. «Non credo che la corruzione – che i magistrati come lui fanno bene a perseguire – sia il peggiore dei problemi italiani», precisa Magaldi, che aggiunge: «Sulla grande retorica della corruzione è stata distrutta una classe politica che era molto migliore di quella che l’ha sostituita».Nei giorni scorsi, la polemica su Tangentopoli ha vissuto l’ennesima fiammata nello scontro tra il filosofo Diego Fusaro e Antonio Di Pietro: il primo accusa il secondo di esser stato lo strumento di un “golpe bianco” per abbattere la Prima Repubblica, mentre per il leader dell’Italia dei Valori «il problema erano i politici ladri, non i magistrati». Politici che, secondo un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro, andavano comunque tolti di mezzo, ma non certo per ragioni morali: «A decapitare la Prima Repubblica non fu un colpo di Stato, ma un complotto internazionale». Il movente? Si voleva un’Italia completamente indifesa rispetto al progetto oligarchico dell’euro e dell’Unione Europea. Magaldi concorda: «Rispetto a questa traballante e pessima Seconda Repubblica, sarà sempre meglio una classe politica diversa, magari con sacche di corruzione, ma con un progetto chiaro». L’Italia era una potenza industriale tra le prime al mondo, con indicatori tutti in crescita. Poi, negli ultimi 25 anni, il declino. Atto d’inizio: la «macelleria politica fatta da Tangentopoli, con un risultato fallimentare: oggi abbiamo un’altra Repubblica, ugualmente corrotta, ma – a differenza della prima – senza più un progetto sovrano per il paese». E ora, data per persa l’Italia, c’è chi pensa davvero di rifugiarsi tra Brescia e Verona?Super-autonomia di Veneto e Lombardia? Già, ma autonomia da cosa? Si sono dimenticati, Zaia e Maroni, di essere “sudditi” dell’Unione Europea? Non vendano facili illusioni, i governatori leghisti del Nord-Est, che oggi cantano vittoria per l’esito dei referendum consultivi indetti per chiedere lo statuto autonomo per le due Regioni: l’Italia non è più un paese sovrano, a prescindere dai margini regionali di autogoverno relativo. «Vogliamo tenerci il 90% delle tasse», annuncia Luca Zaia, forte del quasi-plebiscito appena incassato da quasi sei veneti di dieci. Minore l’affluenza in Lombardia, appena sopra il 38%, ma Maroni considera comunque un successo l’aver portato alle urne tre milioni di lombardi, lasciando capire che il governo Gentiloni sarebbe pronto a concessioni inedite. «Ma siamo sicuri che sia una cosa seria?». Se lo domanda Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, convinto di assistere a una sorta di recita che rischia di assomigliare a una farsa, proprio mentre «accadono cose surreali in Catalogna», dove il confronto tra Barcellona e Madrid appare «ben più gravido di conseguenze immediate», in una situazione nella quale «non si capisce chi abbia sbagliato di più, e chi soffi sul fuoco di chi».