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L’Egitto ’schiera’ i suoi faraoni contro i signori del Covid
Attenti all’Egitto: ora riesuma i suoi antichi faraoni, per far rinascere lo spirito nazionale. E lo fa con una gigantesca kermesse, che rivela due intenti: scrollarsi di dosso un certo globalismo-canaglia, quello che ha imposto il “panico Covid” nella sua agenda, e al tempo stesso “resuscitare” l’antico culto egizio, quello della civiltà delle piramidi ereditata dai Figli delle Stelle, per avvertire quella élite che ancora oggi, segretamente e in modo inconfessabile, sembra devota alle divinità mesopotamiche (Moloch) declinate in modo pericolosamente anti-umano. E’ la lettura che Matt Martini fornisce della grandiosa “Pharaohs’ Golden Parade” andata in scena il 3 aprile al Cairo, per il trasferimento di 22 salme regali, trasportate dal museo egizio della capitale al museo nazionale della civiltà egizia a Giza, proprio all’ombra della Sfinge. Senza nascondere i tratti «anche un po’ kitsch» della “Parata d’oro dei faraoni”, Martini – esperto di orientalistica e co-autore del saggio “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale – avverte: siamo in presenza della volontà (esibita) di far “risorgere” l’Egitto, interpretato come erede di divinità venute dal cielo, “richiamate in servizio” per soccorrere la Terra, caduta in preda agli eccessi del mondialismo più criminale.Una lettura visionaria? Per capire che così non è, basta osservare l’espressione dell’attuale “faraone” in carica, il generale Al-Sisi, appena colpito dall’oscuro, minaccioso blocco del Canale del Suez con l’anomalo incagliamento del cargo Ever Given, riconducibile (nella compagine azionaria degli armatori) al club di Bill Gates e Hillary Clinton. Nelle immagini televisive della “Pharaohs’ Golden Parade”, Al-Sisi ostenta un’espressione inequivocabile: ai suoi occhi, quelle mummie in viaggio sono una sorta di totem nazionale, il cuore sacro dell’Egitto. Attenzione: è un classico, il ricorso alla simbologia (esoterica) da parte del grande potere. Sul suo canale YouTube, Giorgio Di Salvo ha sottolineato le stranezze della cerimonia di insediamento dello stesso Joe Biden: «E’ stata la rappresentazione di un vero e proprio rito di iniziazione, incentrato sulla figura dell’eccentrica Lady Gaga, abbigliata in modo da riprodurre il vestiario e il corredo della Statua della Libertà: non quella famosa, al porto di New York, ma quella che per i massoni americani è la vera Statua della Libertà. Si tratta della statua che sormonta la cupola del Campidoglio, a Washington: la “libertà armata”, che richiama la dea greca Athena».Come se non bastasse, Di Salvo rievoca un’altra cerimonia di insediamento, quella di Emmanuel Macron a Parigi: «Per un attimo (in modo però attentamente studiato) le braccia levate del neo-eletto, sullo sfondo della piramide del Louvre, disegnano alla perfezione la combinazione simbolica costituita da squadra e compasso». Da Napoleone in poi, l’Egitto si è conquistato un posto d’onore, sulle rive della Senna. «Ma mentre i riti massonici di ispirazione egizia sono di origine moderna, nelle terre che vanno dal Nilo all’Eufrate sopravvivono in modo clandestino le ritualità cultuali antiche», precisa lo storico Nicola Bizzi, presente con Matt Martini e Tom Bosco nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, sul canale YouTube di “Border Nights”. Lo stesso Martini cita la religione egizia tuttora praticata da «importanti sceicchi del Cairo», sotto la vernice ufficiale dell’Islam. Dal canto suo, Bizzi conferma che in Iraq «si praticano culti di origine sumerica, al riparo dei circoli Sufi (in teoria, islamici) che ospitavano personalità vicinissime al potere già all’epoca del regime di Saddam Hussein».Curioso che poi lo stesso Saddam sia stato abbattuto dai Bush – padre e figlio – che Gioele Magaldi presenta come fondatori della nefasta superloggia “Hathor Pentalpha”, dedita anche al terrorismo internazionale, avendo arruolato tra le sue fila prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis. C’è chi fa notare il collegamento tra l’acronimo Isis (Islamic State of Iraq and Sirya) e il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor. Iside-Hathor è la vedova di Osiride, nonché la madre di Horus: il trio incarna la “sacra famiglia” dell’antico Egitto faraonico, la “trimurti” fondativa del Nilo. Padre, madre e figlio, a sottolineare una tripartizione “energetica” successivamente reinterpretata in modo difforme dalla Trinità cristiana, rimodellando teologicamente la Tetractis triangolare di Pitagora: figura ricomparsa – in modo clamoroso – nella coreografia della grande Parata dei Faraoni appena proposta al Cairo, nel segno del recupero dell’antica sapienza “pagana”.«La grande kermesse egiziana è stata anche un atto di magia cerimoniale», sostiene Matt Martini a “L’Orizzonte degli Eventi”. «Obiettivo: risvegliare “l’eggregore” nazionale, il genio egizio: una vera e propria evocazione, tramite il ruolo delle mummie solennemente traslate da un museo all’altro, in mezzo ad ali di folla». Le mummie regali egizie, dice Martini, vanno considerate – nelle intenzioni degli organizzatori – come «veri e propri talismani umani: quelle salme sono state preparate ritualmente e trattate come oggetti di culto: per migliaia di anni, hanno ricevuto offerte votive». Dunque, per Martini, «sul piano magico sono strumenti perfetti, per fare da ponte con altre dimensioni». Spiega il saggista: «Si crede che la mummia, se conservata, contenga ancora il Ka del defunto: un’impronta dell’anima. A sua volta, il Ka viene visitato dal Ba, cioè l’anima che sale e scende. Infine, il Ba comunica con l’Akh, lo spirito trasfigurato dell’iniziato (il faraone), che secondo l’antica religione egizia resta in contatto con la dimensione degli Aku, i principi divini, gli Splendenti». In altre parole: un ascensore per il cielo, nel nome dell’Egitto delle piramidi.Martini invita a far caso ai numeri: sono state trasferite 22 salme, precisamente quelle di 18 faraoni e di 4 regine. Tutti regnanti compresi tra la 17esima e la 20esima dinastia. «La 17esima dinastima fu l’ultima del Secondo Periodo Intermedio, quello dominato dal caos, quando l’Egitto fu invaso dagli Hyksos. La dinastia successiva, quella Ramesside, segnò invece la restaurazione del potere faraonico egizio: l’inizio del Nuovo Regno». Anche al Cairo, assicura Martini, il potere gioca con i simboli: è come se il generale Al-Sisi paragonasse se stesso ai faraoni di nome Ramses, rifondatori dell’Egitto dopo le tempeste della storia. L’ultima, in questo caso, si chiama Covid: «Si noti: la mascherina non viene indossata né dai figuranti, spesso assiepati, né dalle migliaia di spettatori che assistono al corteo, stretti l’uno all’altro». Sembra un messaggio diretto ai “signori del coronavirus” e agli stessi vicini israeliani, che hanno trasformato il loro paese in area-test per la vaccinazione di massa. Per inciso: in concomitanza con lo strano incidente di Suez, Al-Sisi ha fatto riaprire (dopo anni) il valico di Rafah, a Gaza: l’unico non controllato da Israele.Oggi l’Egitto è un paese islamico e anche cristiano, ricorda Martini, alludendo all’importante confessione copta. Ma Al-Sisi – aggiunge – come militare impegnato in politica è pur sempre erede del nazionalismo laico, incarnaato dall’ex partito Baath, socialista e panarabo, cresciuto nel mito del grande leader terzomondista Abdel Gamal Nasser, che sfidò Francia, Gran Bretagna e Israele per rivendicare la piena sovranità del suo paese. Non si scherza, con l’Egitto: nel 1956 – quando inglesi e francesi sbarcarono a Porto Said per rovesciare Nasser, che aveva bloccato il Canale di Suez perché la Banca Mondiale non voleva concedere agli egiziani il prestito per erigere la diga di Assuan – l’Unione Sovietica (con il tacito consenso degli Usa) arrivò a minacciare gli invasori anglo-francesi di ricorrere alla bomba atomica, se non avessero lasciato l’Egitto. Finì nell’ignominia – e con il trionfo politico di Nasser – l’ultimo colpo di coda del colonialismo europeo nel Mediterraneo. Poi gli uomini del pararabismo Baath sono stati perseguitati: ucciso Saddam, invasa la Siria di Assad.Abdel Fattah Al-Sisi, in qualche modo erede di Mubarak (già allievo della scuola ufficiali di Mosca) si è imposto nel 2014 incarcerando i Fratelli Musulmani, inizialmente votati dagli egiziani dopo la turbolenta “primavera araba” innescata al Cairo dallo storico discorso incendiario del massone Obama, con l’obiettivo di “resettare” le oligarchie nordafricane non-allineate al potere di Washington (preservando invece le brutali petro-monarchie del Golfo, in primis quella saudita, devotissime al superpotere statunitense). Siamo tuttora in pieno caos: Giulio Regeni, reclutato (a sua insaputa) dall’intelligence britannica tramite una Ong universitaria, è stato barbamente assassinato per ostacolare i nascenti rapporti strategici tra Italia ed Egitto, dopo la scoperta da parte dell’Eni di un immenso giacimento marittimo di gas e petrolio al largo delle coste egiziane. Regeni – scrisse il “Giornale”, citando servizi segreti italiani – fu ucciso da manovalanza del Cairo, ma su ordine inglese, proprio per mettere in imbarazzo Al-Sisi, proprio mentre l’Italia stava chiedendo la protezione militare dell’Egitto, allora influente in Cirenaica, nell’ipotesi di inviare un contingente italiano in Libia.Oggi, Bengasi è passata sotto il controllo della Russia: è avvenuto dopo che, in modo simmetrico, Tripoli è caduta nelle mani della Turchia. Altro volto del caos di oggi è l’insidioso neo-ottomanesimo di Erdogan, supermassone reazionario e illustre membro della spietata “Hathor Pentalpha”, secondo Magaldi. Con un gesto inaudito, che riporta l’Italia al centro della scena in politica estera, Mario Draghi ha definito “un dittatore” il sultano di Ankara. Si tratta di un messaggio in codice – spiega Dario Fabbri, di “Limes” – rivolto agli Usa: Draghi li invita a non sacrificare gli interessi italiani in Libia, dopo che Ergodan ha promesso di aprire il Mar Nero alle portaerei americane (in funzione anti-russa) se lo Zio Sam chiuderà un occhio, anzi due, sulle ambizioni imperiali dei turchi nel Mediterraneo. Dalla parte dell’Italia c’è sicuramente l’Egitto, nuovo Eldorado per l’Eni dopo i problemi sopraggiunti in Libia. Nonostante le proteste per il doloroso caso Regeni, infatti, l’Italia ha appena ceduto al Cairo due fregate Fremm, gioiello della marina militare che l’Egitto immagina di dover impiegare, come arma di dissuasione, anche e soprattutto contro la Turchia di Erdogan.Modernissime fregate lanciamissili, ma non solo: la vera arma di Al-Sisi, a quanto pare, potrebbero essere proprio i venerati faraoni della 18esima dinastia, omaggiati come il Graal dell’Egitto. «Nella “Pharaohs’ Golden Parade” – insiste Matt Martini – si può leggere il ritorno alle origini ancestrali della nazione». Martini è attentissimo ai dettagli: le salme traslate con tutti gli onori sono 22, «come le lettere dell’alfabeto ebraico, che potrebbe derivare dall’alfabeto geroglifico egizio». Il trait d’union, dice l’analista, potrebbe essere stato l’alfabeto proto-sinaitico, una forma linguistica di transizione tra l’egizio geroglifico e gli alfabeti semitici (fenicio e aramaico, fino poi al più recente ebraico biblico). Sempre 22 – aggiunge Martini – erano anche i Nòmoi (i distretti amministrativi) dell’Alto Egitto, che aveva per capitale Tebe, la città della dinastia Ramesside. «Sono numeri non casuali: esprimono un preciso linguaggio, simbolico e operativo: quello di un’operazione di magia cerimoniale, a scopi politici e meta-politici».Indicazioni che Martini trae dall’analisi della grande parata del Cairo. «Allì’inizio, la soprano al centro della scena canta un inno a Iside. Poi, i militari sfilano in un viale illuminato di rosso, che è il colore di Seth e anche degli Hyksos: quindi, è come se i militari egiziani stessero calpestando gli Hyksos, nemici dell’Egitto». Quindi, il cambio di scenografia: «A un certo punto, il viale diventa blu: ed entra in scena una figurante (blu, anch’essa) che incarna Nuit, o Nut, la dea egizia del cielo stellato». Si vede una moltitudine di ancelle agitare un contenitore luminoso: «Qui punti di luce simboleggiano proprio le stelle, con un’allusione precisa: i nostri antenati ancestrali – di cui i faraoni erano i rappresentanti terreni – venivano dal cielo: erano Figli delle Stelle».Al Cairo, la grande parata è conclusa dal corteo dalle mummie, racchiuse nei loro sarcofagi trasportati su carri scenografati in modo un po’ hollywoodiano, per ricordare i mezzi di trasporto di migliaia di anni fa. «Per la religione tradizionale egizia – precisa Martini – le mummie vengono dal Duat, dalla dimensione stellare degli Aku. Questi faraoni non sono comuni mortali: sono tecnicamente delle divinità, non vengono dall’oltretomba infero ma dalla dimensione stellare». Significati sottolineati dalla stessa data scelta per la grandiosa cerimonia: «Il 3 aprile è il 23esimo giorno del mese di Ermuti, dedicato a Iside. Ed è l’ultimo giorno di un ciclo di festività dedicate a Horus, che è il vendicatore di suo padre, e dunque il vendicatore dell’Egitto». Messaggio: «Il potere che ha allestito la parata ha voluto celebrare un atto magico, per il risveglio nazionale dell’Egitto». Si tratta di un’élite che «lavora anche sul piano “sottile” e pratica ancora la teurgia, cioè l’arte di comunicare con le divinità». Non pensiate – assicura Martini – che la cosa sia sfuggita, ai “signori del Covid”: «Queste sono operazioni molto temute, da chi vuole nascondere certe cose». L’oligarchia ostile è avvisata: contro i nemici, ora l’Egitto schiera i suoi faraoni.Attenti all’Egitto: ora riesuma i suoi antichi faraoni, per far rinascere lo spirito nazionale. E lo fa con una gigantesca kermesse, che rivela due intenti: scrollarsi di dosso un certo globalismo-canaglia, quello che ha imposto il “panico Covid” nella sua agenda, e al tempo stesso “resuscitare” l’antico culto egizio, quello della civiltà delle piramidi ereditata dai Figli delle Stelle, per avvertire quella élite che ancora oggi, segretamente e in modo inconfessabile, sembra devota alle divinità mesopotamiche (Moloch) declinate in modo pericolosamente anti-umano. E’ la lettura che Matt Martini fornisce della grandiosa “Pharaohs’ Golden Parade” andata in scena il 3 aprile al Cairo, per il trasferimento di 22 salme regali, trasportate dal museo egizio della capitale al museo nazionale della civiltà egizia a Giza, proprio all’ombra della Sfinge. Senza nascondere i tratti «anche un po’ kitsch» della “Parata d’oro dei faraoni”, Martini – esperto di orientalistica e co-autore del saggio “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale – avverte: siamo in presenza della volontà (esibita) di far “risorgere” l’Egitto, interpretato come erede di divinità venute dal cielo, “richiamate in servizio” per soccorrere la Terra, caduta in preda agli eccessi del mondialismo più criminale.
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Carpeoro: massoni e alieni, un patto siglato nel 1946
Gli ufologi la chiamano “disclosure”, disvelamento, lasciando presagire un calendario in rapida evoluzione, verso imminenti annunci. L’ultimo lo ha firmato John Ratcliffe, capo della direzione nazionale dell’intelligence statunitense sotto Trump: preparatevi a tutto, ha detto qualche giorno fa, perché dal 1° giugno saranno desecretati i documenti sugli avvistamenti Ufo, ora ribattezzati Uap, “unidentified aerial phenomena”. Extraterrestri: ne sanno qualcosa, i massoni? «Alcuni esponenti di importanti superlogge sovranazionali sostengono di essere in contatto con entità aliene», ha detto tempo fa Gioele Magaldi, troncando però subito il discorso: «Non intendo dire di più, per ora». Nel saggio “Massoni”, uscito per Chiarelettere nel 2014, Magaldi sostiene che l’intero potere mondiale sia “sovragestito” dalle Ur-Lodges, organismi massonici internazionali. Chi detiene le leve del pianeta, dunque, come potrebbe non maneggiare anche il dossier che riguarda gli alieni? Un altro massone, Gianfranco Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt fondato da Magaldi, ora si spinge oltre: non solo gli extraterrestri sono tra noi, da sempre, ma interagiscono con l’umanità. E con una certa massoneria (americana) hanno addirittura stretto un accordo, a partire dal 1946.«Io sono assolutamente convinto che le presenze aliene ci siano state sempre, ci saranno e ci sono», premette Carpeoro il 28 marzo 2021, nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, condotta su YouTube da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Domanda: in passato, la massoneria ha saputo di queste presenze? «Sì, certo». E non solo: «E’ stata anche protagonista di qualche tipo di compromesso, negli anni ‘70-80, e anche nel 1946. Compromesso che, per certi aspetti – sottolinea Carpeoro – prevedeva anche una certa collaborazione». Una dichiarazione che richiama immediatamente quella resa nei mesi scorsi dal generale Haim Eshed, docente universitario e per trent’anni a capo della sicurezza aerospaziale di Israele: «Con alcuni alieni collaboriamo stabilmente da decenni, nell’ambito di un’alleanza chiamata Federazione Galattica». Eshed si rende conto dell’esplosività delle sue affermazioni, e infatti precisa: «So bene che, se queste cose le avessi dette anche solo cinque anni fa, mi avrebbero fatto ricoverare». Cos’è cambiato, nel frattempo? Tutto, si potrebbe dire: a cominciare dalle storiche ammissioni della Us Navy.Nell’autunno 2019, la marina militare degli Stati Uniti – per la prima volta nella storia – ha ammesso: i caccia imbarcati sulle nostre portaerei intercettano frequentemente oggetti volanti non identificati. In pratica, Ufo. Più che eloquenti, le immagini diffuse: astronavi inquadrate nel mirino dei jet, tra le esclamazioni di stupore dei piloti. A stretto giro – primavera 2020 – è arrivata la conferma definitiva del Pentagono: è vero, i nostri aerei incontrano spesso i dischi volanti. Ora, dopo le clamorose dichiazioni di Eshed, ecco l’ultima esternazione, quella di Ratcliffe, ripresa dal “Fatto Quotidiano” il 24 marzo: gli Ufo esistono, e dal 1° giugno 2021 tutto il mondo potrà vederli. A “Fox News”, annunciando la desecratazione di materiale top secret, l’ex dirigente dell’intelligence ha spiegato che piloti e satelliti militari americani hanno registrato una mole elevatissima di immagini, ben oltre la quantità di avvistamenti finora segnalata. Stiamo per essere sommersi da una valanga di foto e video? Fin qui, le fonti ufficiali. E l’altro capitolo? Quello dell’interazione tra noi e loro?Rieleggendo alla lettera l’Antico Testamento, riassume Mauro Biglino nel libro-intervista “La Bibbia Nuda”, uscito da pochi giorni, sembra evidente che quei versetti ebraici siano affollati di velivoli, nonché di esseri umani letteralmente prelevati dalle cosiddette “divinità”, che in realtà il testo biblico chiama Elohim. «Presenze assolutamente determinanti, nella storia dell’umanità: noi stessi saremmo stati “fabbricati” proprio da loro, i nostri dominatori, che poi avrebbero esercitato il pieno controllo sui destini umani attraverso i loro intermediari, leader politici e religiosi». Le ipotesi di Biglino sembrano prendere corpo in modo sempre più evidente, se alla parola Elohim (o “divinità”) si sostituisce quell’altra: alieni. Cioè, tecnicamente: diversi e distinti da noi umani. Extraterrestri? O forse, in origine, esponenti di antichissime civiltà terrestri?Lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, propone una tesi estremante suggestiva: l’homo sapiens sarebbe il prodotto dei Titani, “divinità” di origine pleiadiana, insediatesi inizialmente nell’arcipelago atlantico dominato dall’isola-continente di En, poi sommersa dalle acque. In altre parole, l’Atlantide di cui parla Platone: la civiltà atlantidea – primitiva fondatrice della stessa civiltà egizia – secondo Bizzi avrebbe “prodotto” l’Uomo di Cro Magnon, uno dei nostri progenitori preistorici (il ceppo caucasico, corrispondente all’attuale uomo bianco occidentale). Massone, Bizzi è un iniziato appartenente all’antica comunità dei Misteri Eleusini: «Proprio la tradizione eleusina, a cui apparteneva lo stesso John Kennedy – dice Bizzi – sostiene che la Guerra di Troia, rievocata nell’Iliade, sia stata l’ultima battaglia nella guerra (mondiale, prediluviana) tra i Titani e le divinità olimpiche, quelle che da quel momento in poi avrebbero preso il sopravvento, sottoponendo il mondo intero al loro potere, fondato sul più brutale dominio».Alieni buoni e alieni malvagi? Il tema, in qualche modo, lo sfiora anche Carpeoro. Che ci fanno, gli alieni, tra noi? Sono solo osservatori o intervengono nella storia umana, come facevano gli antichi dèi? «Alcuni hanno intenzioni ostili, altri no». Idem: alcuni si limitano a osservarci, altri interagiscono con noi. Nomi? Esempi? «Non voglio dire di più, non sarebbe opportuno», taglia corto il saggista, autore di “Summa Symbolica” e di avvincenti romanzi esoterici sui Rosa+Croce, come “Il volo del pellicano”. Carpeoro era amico personale dell’astronauta Buzz Aldrin, massone e “numero due” della missione Apollo 11 capitanata da Neil Armstrong. Nel documentario “American Moon”, di Massimo Mazzucco, alcuni tra i maggiori fotografi del mondo – da Peter Lindbergh al nostro Oliviero Toscani – dimostrano che le immagini del mitico “allunaggio” del 1969 furono girate in studio: un falso clamoroso. «A me – disse Carpeoro, tempo fa – proprio Aldrin confidò che sulla Luna sbarcarono davvero: solo che incontrarono qualcuno che li convinse a togliere il disturbo immediatamente».C’è chi ipotizza che l’eventuale sceneggiata del 1969 – gli astronauti che saltellano, sotto riflettori (malamente collocati) che tentano di riprodurre la luce del sole – fosse un espediente per non rivelare il vero mezzo con cui gli uomini dell’Apollo 11 possano effettivamente aver raggiunto la Luna. «Nel Libro di Enoch – annota lo stesso Biglino – si racconta che gli esseri umani potevano essere “tirati su”, testualmente, dalle “divinità”». Quanto al nostro satellite naturale, Carpeoro invita a riflettere sul capolavoro musicale dei Pink Floyd, “The dark side of the Moon”: «Pensateci: perché fare un disco così, e per giunta con quella copertina? E poi: qualcuno lo conosce, il “lato oscuro della Luna”, che dalla Terra non si vede?». Altra allusione: è evidente la matrice iniziatica delle conoscenze “esclusive” manifestate dai Pink Floyd, in particolare dal grande Roger Waters.Tornando ai grembiulini, Carpeoro non ha dubbi: «Negli archivi di una certa massoneria ci sono prove, di questa presenza aliena: parlo della massoneria americana». E il nesso tra Ufo e massoneria italiana? «Il rapporto con l’argomento è molto corretto, e privo di compromessi», dice Carpeoro. «Noi abbiamo la fortuna di avere un riferimento, nella ricerca ufologica – Roberto Pinotti – che è un esempio di correttezza, trasparenza e rigore». Pinotti è un personaggio prestigioso, che ha collaborato anche con le autorità militari. Il suo pensiero è noto: i governi non ammetteranno mai di prendere ordini dagli alieni, perché la loro credibilità istituzionale crollerebbe. Storicamente, almeno in epoca contemporanea, il “patto” riguarderebbe innanzitutto gli americani: lo avrebbe sottoscritto nell’immediato dopoguerra il presidente Dwight Einsenhower, che avrebbe avuto contatti diretti con alcuni di loro: nel 2016 lo ha raccontato pubblicamente la pronipote, Laura Einsenhower. Ora sembra che sia scattato una specie di conto alla rovescia: sono in arrivo altre, clamorose ammissioni?Gli ufologi la chiamano “disclosure”, disvelamento, lasciando presagire un calendario in rapida evoluzione, verso imminenti annunci. L’ultimo lo ha firmato John Ratcliffe, capo della direzione nazionale dell’intelligence statunitense sotto Trump: preparatevi a tutto, ha detto qualche giorno fa, perché dal 1° giugno saranno visibili i documenti “declassificati” sugli avvistamenti Ufo, ora ribattezzati Uap, “unidentified aerial phenomena”. Extraterrestri: ne sanno qualcosa, i massoni? «Alcuni esponenti di importanti superlogge sovranazionali sostengono di essere in contatto con entità aliene», ha detto tempo fa Gioele Magaldi, troncando però subito il discorso: «Non intendo dire di più, per ora». Nel saggio “Massoni“, uscito per Chiarelettere nel 2014, Magaldi sostiene che l’intero potere mondiale sia “sovragestito” dalle Ur-Lodges, organismi massonici internazionali. Chi detiene le leve del pianeta, dunque, come potrebbe non maneggiare anche il dossier che riguarda gli alieni? Un altro massone, Gianfranco Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt fondato da Magaldi, ora si spinge oltre: non solo gli extraterrestri sono tra noi, da sempre, ma interagiscono con l’umanità. E con una certa massoneria (americana) hanno addirittura stretto un accordo, a partire dal 1946.
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La fine del mondo, per Severgnini: se Trump viene rieletto
«Se Donald Trump viene rieletto, significa che l’America ha perso la sua speciale innocenza, quella che in tanti ammiravamo, e ha fatto la sua fortuna. Quella che sbuca nei discorsi di Barack Obama e nelle canzoni di Bruce Springsteen, ma era presente anche nell’intuizione di Ronald Reagan o nel decoro coraggioso di John McCain». Parole che Beppe Severgnini, giornalista famosissimo per acuminati bestseller come “Interismi”, ovvero “Il piacere di essere neroazzurri”, ha pubblicato il 1° novembre 2020 sul “Corriere della Sera”, giornale di cui era vicedirettore un certo Federico Fubini, che lo scorso anno ha ammesso di aver nascosto la strage dei bambini in Grecia, provocata dall’austerity, per non compromettere il prestigio dell’Unione Europea. Dalla Luna, o dal pianeta remoto dal quale Severgnini scrive, la Terra è così semplicisticamente infantile da apparire bianca o nera, senza gradazioni cromatiche: i buoni di qua, i cattivi di là. O meglio, il cattivo è uno solo: l’Uomo Nero. Un mostro orribile, che «ha dimostrato la sua inadeguatezza – politica, economica, culturale, morale, psicologica – a ricoprire un ruolo tanto importante».Dalla galassia da cui scrive Severgnini, però, a colpire davvero sono i buoni, presentati come i testimonial di una virtù teoricamente incompatibile con la politica: l’innocenza. Il primo è Barack Obama, Premio Nobel alle Buone Intenzioni: l’uomo che il lunedì firmava ordini di morte, esecuzioni remote affidate ai missili montati sui droni. Obama, il “primo presidente nero” che in otto anni non ha fatto niente per riformare la polizia americana, sradicandone i comportamenti razzisti. E’ il “commander in chief” che nel 2011 ha rivendicato l’uccisione di un anziano, in Pakistan, sostenendo – di fronte al mondo – che si trattasse di Osama Bin Laden: la salma crivellata di colpi, trasportata su una portaerei e poi inabissata in mare, lontano dagli occhi e dai fotografi, dopo un (inesistente) “rito islamico”. L’innocente Obama, il buono: quello che ha scatenato focolai di guerra in mezzo mondo, assediato la Russia e gestito il golpe colorato in Ucraina, innescato le ambigue primavere arabe, promosso l’assassinio di Gheddafi. Sempre lui, Obama, è l’uomo che ha spedito in Siria l’altro grande innocente citato da Severgnini, quel John McCain il cui «decoro coraggioso» evidentemente traspare dalle foto che lo ritraggono in compagnia dei futuri tagliagole dell’Isis, incluso il tristemente famoso Al-Baghdadi, rilasciato poco prima dal centro di detenzione americano per jihadisti.Ai tempi del turbo-neoliberista Ronald Reagan – altro innocente, avvistato dal pianeta di Severgnini – i dissidenti dell’Unione Sovietica guardavano ancora all’America come porto sicuro; all’epoca dell’innocente Obama, invece, un ragazzo di nome Edward Snowden ha dovuto scappare in Russia, dopo aver rivelato lo spionaggio orwelliano di massa eseguito dalla più vasta agenzia statunitense di intelligence, la Nsa. Strana innocenza, quella che si nasconde nella caccia all’uomo. Ma dev’essere proprio difettosa, la visuale, dal pianeta di Severgnini, se è vero che – parlando di America e di musica pop – si vede benissimo la purezza di Bruce Springsteen ma non quella, ancora più lucida, del suo maestro riconosciuto, Bob Dylan, decano di tutti gli aedi contemporanei e autore del brano-monumento (”Murder Most Foul”) in cui si rappresenta precisamente la mitica “perdita dell’innocenza”, il 22 novembre 1963, con lo scioccante omicidio di John Fizgerald Kennedy, macellato a Dallas sotto il naso dell’apparato di sicurezza più efficiente del pianeta. Analogo spettacolo – l’innocenza massacrata in mondovisione, al cospetto di autorità distratte – quando vennero giù le Torri Gemelle: ma non c’è pericolo che le colonne di fumo, insieme al puzzo della menzogna, potessero essere individuate dal telescopio del nerazzurro Servergnini.Dovettero arrossire, i custodi dell’innocenza, quando Colin Powell agitò la sua fialetta di profumo alle Nazioni Unite, o quando le televisioni mostrarono i poveri cormorani inzuppati di petrolio e il pianto della falsa infermiera (in realtà, figlia dell’ambasciatore del Kuwait), in lacrime per la strage dei neonati – mai avvenuta – da parte dei brutali soldati di Saddam. Veri e propri orchi sanguinari: dipinti come untermenschen, sotto-uomini hitleriani, né più né meno come oggi viene presentato il presidente uscente degli Stati Uniti d’America, l’uomo che non si è piegato al “China-virus” e che ha trascorso quattro anni – da vero malvagio qual è – a ritirare truppe, evitare provocazioni, rinunciare a guerre, disinnescare crisi grottesche come quella con la Corea del Nord. «Se Donald Trump viene rieletto, vuol dire che gli Usa hanno scelto di voltare le spalle al pianeta», scrive l’interista astronautico, a cui è riuscita indigesta l’evidente antipatia dell’Uomo Nero per i kapò di Bruxelles, i loro mandanti e la loro sicurezza-colabrodo, in un’Europa trasformata in purgatorio eterno, dove – proprio adesso, guardacaso – si sono rifatti avanti (in Francia, in Austria) i manovali dell’orrore che, qualche anno fa, avevano strettissime relazioni con i gentiluomini siriani e iracheni coi quali si intratteneva amabilmente l’innocente McCain. Bella lezione astronomica, quella impartita ai poveri terrestri: i Trump e i Biden passano, i Severgnini invece restano.(Giorgio Cattaneo, “La fine del mondo, per Servergnini: se Trump viene rieletto”, dal blog del Movimento Roosevelt del 3 novembre 2020).«Se Donald Trump viene rieletto, significa che l’America ha perso la sua speciale innocenza, quella che in tanti ammiravamo, e ha fatto la sua fortuna. Quella che sbuca nei discorsi di Barack Obama e nelle canzoni di Bruce Springsteen, ma era presente anche nell’intuizione di Ronald Reagan o nel decoro coraggioso di John McCain». Parole che Beppe Severgnini, giornalista famosissimo per acuminati bestseller come “Interismi”, ovvero “Il piacere di essere neroazzurri”, ha pubblicato il 1° novembre 2020 sul “Corriere della Sera”, giornale di cui era vicedirettore un certo Federico Fubini, che lo scorso anno ha ammesso di aver nascosto la strage dei bambini in Grecia, provocata dall’austerity, per non compromettere il prestigio dell’Unione Europea. Dalla Luna, o dal pianeta remoto dal quale Severgnini scrive, la Terra è così semplicisticamente infantile da apparire bianca o nera, senza gradazioni cromatiche: i buoni di qua, i cattivi di là. O meglio, il cattivo è uno solo: l’Uomo Nero. Un mostro orribile, che «ha dimostrato la sua inadeguatezza – politica, economica, culturale, morale, psicologica – a ricoprire un ruolo tanto importante».
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Sapelli: ai militari il dopo-Trump. Con Biden, Italia più sola
Trump si è “suicidato” con il Covid, compromettendo la sua rielezione: se perdesse e non volesse lasciare la Casa Bianca, l’America finirebbe in mano ai militari, almeno temporanamente. Poi, una volta insediato, Joe Biden spingerebbe l’Italia verso un nuovo patto con Germania e Francia. Lo sostiene sul “Sussidiario” il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, in un’articolata analisi della situazione, italiana e mondiale, alla vigilia delle presidenziali statunitensi. Premessa importante: negli Usa, gli sfidanti sono d’accordo almeno su un punto, e cioè la necessità di imporre uno stop al dilagare dell’egemonia di Pechino. «Sulla questione cinese l’accordo bipartisan tra democratici e repubblicani è fermo, è convinto: le famiglie e i caucus Clinton-Bush, dioscuri della finanza sregolata, che vedevano e vedono nella leva demografica cinese il punto archetipale delle loro fortune, non sono sconfitte, ma in ritirata: una anabasi che si riscontra ogni giorno, crisi dopo crisi finanziaria, scandalo dopo scandalo». Certo, ammette Sapelli, «le faglie ci sono ancora e sono profonde, tra i due storici partiti Usa: dal problema del welfare a quello fiscale, sino a giungere all’orientamento da tenere in merito ai temi climatici e all’economia circolare». Secondo Sapelli, intanto, Donald Trump «ha infranto ogni limite del decoro istituzionale, con le sue ultime mosse pandemiche che hanno aperto la via al torrente dei negazionisti».Sul fronte democratico, l’indicazione della nomina a possibile vicepresidente di Kamala Harris «ha colmato quello spazio conservatore di centro che – scrive Sapelli – il prode Sanders (che io voterei in Usa, ora e sempre) ha dovuto rendere contendibile ai democratici con il suo ritiro dal campo». Sempre secondo Sapelli, «la sconfitta di Trump si avvia a compiersi». E tutto, «purtroppo», si misurerà «sulla resistenza che potrà e saprà opporre alla nomina del suo successore». Si tratterebbe di una decisione «nefasta», che «rischierebbe di paralizzare non solo gli Usa, ma il mondo intero, con conseguenze devastanti per i rapporti di forza mondiali, favorendo di fatto una Cina sull’orlo della crisi economica e politica, aumentando le possibilità che le forze aggressive che covano nel suo neo-maoismo possano scatenarsi: senza una base economica possono essere devastanti». Da questa paralisi nordamericana, prosegue Sapelli, Xi Jinping trarrebbe nuova forza: in primis all’interno del Pcc, continuando così la sua opera di accentramento dei poteri, «che non fa che creare tutte le basi per una sua prossima caduta». Attenzione agli Usa: è in gioco «la sorveglianza delle possibili frodi e la prevenzione di possibili colpi di mano di ogni genere». Avverte Sapelli: «Se i democratici affideranno ai militari – come si annuncia – la difesa della continuità della democrazia nordamericana, si aprirà una vera fase inedita nella storia mondiale».Per il professore, il Pentagono resta «la “coorte” che meglio ha saputo e sa difendere i valori della Costituzione più bella del mondo: la storia lo dimostra». Ma questa decisione, se si dovesse ricorrere ad essa, «non potrà non avere una conseguenza pesantissima sul prestigio internazionale degli Usa». La superpotenza atlantica in mano ai militari, anche formalmente, in seguito al caos che si teme possa esplodere, in prossimità delle presidenziali? Scenari da incubo, di cui tuttavia si sta parlando con insistenza. In quel caso, conclude Sapelli, «l’Italia sarà sempre più sola, in Europa». Difficile che Biden schieri le portaerei davanti alla Libia, «mentre è certo che riaprirà il dialogo con l’Iran». Ma l’ostacolo è rappresentato dalle potenze saudite del Golfo, dopo l’“Accordo di Abramo” recentemente stipulato a fianco di Israele per cercare di porre fine ai conflitti in Medio Oriente, esautorando i palestinesi dai negoziati. Gli arabi non appoggerebbero la scelta americana di tornare a dialogare con Teheran: «Quell’accordo è dettato dalla volontà di osteggiare l’imperialismo neo–ottomano e il ritorno diplomatico e militare della Russia nel Mediterraneo, quanto il revisionismo assassino iraniano».Quanto alla recente visita di Mike Pompeo in Italia, per Sapelli è stata «deludente», anche perché i legami dell’Italia con la Cina «non nascono solo dal seno dei 5 Stelle». Tutti – accusa Sapelli – cercano di dimenticare che fu il professor Michele Geraci (leghista e docente di un’università cinese) la mente pensante di quel Memorandum con la Cina che ci ha allontanato dagli Usa e dall’Europa (ma non dalla Germania, sottolinea Sapelli, facendo notare che Berlino e Pechino sono capitali politicamente vicinissime). Della Germania, osserva, «abbiamo accompagnato la trasparente scelta anti-atlantica, che durerà sino a quando la Merkel dominerà, con il suo gruppo d’interesse, la vita politica tedesca». Per contro, una parte degli stessi 5 Stelle (causa «l’imprevedibilità delle mucillagini peristaltiche che hanno sostituito le discipline di partito») ha cambiato posizione, «con la fibrillazione di un abile Fraccaro», riallineatosi agli Usa, anche «grazie al lavoro indefesso e mirabile di un ministro come Guerini, che più atlantico non si può trovare». Il titolare della difesa, esponente Pd, ha infatti «stretto un accordo spaziale con gli Usa che è la cosa più importante compiuta da questo governo sia in economia, sia in politica».Nel mentre, aggiunge Sapelli, i tedeschi e i cinesi «stringono un patto di ferro per dominare il porto di Trieste e proseguire nella Via della Seta in Europa, grazie alle mosse del cavallo con le pedine del Pireo e di Trieste a cui seguirà, se non li si ferma, quella di Taranto». Solo un rafforzamento della posizione italiana in Europa, stringendo saldi rapporti sia con la Francia che con la Germania – secondo Sapelli – può attutire l’impatto che la paralisi nordamericana avrà nella situazione geopolitica, «aumentando il grado di isolamento e quindi di sottomissione dell’Italia ai capitalismi estrattivi francesi e tedeschi». Sapelli cita il Risorgimento: l’Italia se la cavò grazie all’abilità di Cavour nel trattare con le potenze europee: «Un dominio occulto e incontrastato è sempre peggiore di un dominio di cui si scrivono le regole». Mentre il profilo costituzionale nordamericano «è posto in forse», l’Italia dovrebbe puntare tutto su un’altra Europa, sostiene Sapelli. «Sia il governo che le opposizioni, sia ciò che rimane di un’opinione pubblica di cui via via si perde il ricordo, debbono levare alta la bandiera di una Costituzione Europea». Ovvero: «Solo lo Stato di diritto europeo ci può salvare». Il gioco di specchi, quello degli attuali euro-nazionalismi, «aiuta i poteri occulti della sudditanza e della menzogna». Peggio: diffonde l’angoscia di non potere essere assistiti che da «una cornucopia che spande, come veleno per lo spirito, un denaro che è emblema dell’assistenzialismo e della malattia dell’ozio e dell’ignavia». Ma così «si distrugge lentamente l’Italia, perché si inquina la sua anima: la sua storia e i suoi popoli non lo meritano».Trump si è “suicidato” con il Covid, compromettendo la sua rielezione: se perdesse e non volesse lasciare la Casa Bianca, l’America finirebbe in mano ai militari, almeno temporanamente. Poi, una volta insediato, Joe Biden spingerebbe l’Italia verso un nuovo patto con Germania e Francia. Lo sostiene sul “Sussidiario” il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, in un’articolata analisi della situazione, italiana e mondiale, alla vigilia delle presidenziali statunitensi. Premessa importante: negli Usa, gli sfidanti sono d’accordo almeno su un punto, e cioè la necessità di imporre uno stop al dilagare dell’egemonia di Pechino. «Sulla questione cinese l’accordo bipartisan tra democratici e repubblicani è fermo, è convinto: le famiglie e i caucus Clinton-Bush, dioscuri della finanza sregolata, che vedevano e vedono nella leva demografica cinese il punto archetipale delle loro fortune, non sono sconfitte, ma in ritirata: una anabasi che si riscontra ogni giorno, crisi dopo crisi finanziaria, scandalo dopo scandalo». Certo, ammette Sapelli, «le faglie ci sono ancora e sono profonde, tra i due storici partiti Usa: dal problema del welfare a quello fiscale, sino a giungere all’orientamento da tenere in merito ai temi climatici e all’economia circolare». Secondo Sapelli, intanto, Donald Trump «ha infranto ogni limite del decoro istituzionale, con le sue ultime mosse pandemiche che hanno aperto la via al torrente dei negazionisti».
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Casca il mondo, l’Italia sparisce. E nessuno dice la verità
“La guerra infinita”, “Il più grande crimine”, “Massoni”. Tre libri – italiani – senza precedenti nel mondo, quando uscirono. Nel primo, edito da Feltrinelli nel 2003, Giulietto Chiesa svelava la drammatica inconsistenza della versione ufficiale sull’11 Settembre, oggi conclamata: i tremila architetti e ingegneri dell’associazione 9/11 Thruth (e i pompieri di New York) dimostrano la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle, certo non abbattute da aerei dirottati. Otto anni dopo, archiviato l’inferno dell’Iraq e neutralizzato il supertestimone Julian Assange, di fronte alla crisi finanziaria globale e alla micidiale austerity europea è stato Paolo Barnard ad afferrare il torno per le corna, con un instant-book diffuso sul web e ora pubblicato da Andromeda: il golpe tecnocratico dell’Eurozona riletto in chiave criminologica, dalle sue premesse (la svendita dell’Italia affidata a Prodi e Draghi) fino all’estrema conseguenza del devastante “economicidio” eseguito da Monti. Infine, nel 2014, è stato il massone progressista Gioele Magaldi ad aggiungere una spiegazione decisiva, facendo luce sul missing link che separa la cronaca dalla verità del potere: il ruolo delle superlogge sovranazionali, presentate per la prima volta con nomi e cognomi.Che fine hanno fatto, questi tre autori che il mainstream continua a ignorare? Due di loro – Chiesa e Magaldi – presidiano canali di informazione critica, mentre il terzo (Barnard) ha abbandonato anche il web, deluso dall’immobilismo italiano: cittadini ipnotizzati da un’offerta politica demenziale o cialtrona, come quella dei 5 Stelle, e “leoni da tastiera” incapaci di strutturarsi in opinione pubblica militante, in grado di impegnarsi politicamente per cambiare qualcosa. Giulietto Chiesa è passato per l’esperimento deludente della “Lista del Popolo” con Antonio Ingroia e ora segue da vicino Vox Italia, la formazione di Diego Fusaro. Soprattutto, anima le trasmissioni web di “Pandora Tv” e quelle nuovissime di “Contro Tv”, emittente fondata con Massimo Mazzucco, il cui esplosivo documentario “11 Settembre, inganno globale” fu trasmesso in prima serata nel 2006 su Canale 5 da “Matrix”, talkshow allora condotto da Mentana. Magaldi, dal canto suo, ha fondato il Movimento Roosevelt, entità trasversale meta-partitica: missione, inoculare il virus del risveglio democratico nei partiti italiani. E’ anche tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, piattaforma politica keynesiana, e partecipa a trasmissioni web-tv sui canali YouTube di “Border Nights” che ospitano lo stesso Mazzucco.A che punto è la notte? Difficile dirlo, data la nebbia che avvolge l’Italia: buio pesto, là fuori. A Palazzo Chigi siede il prestanome Giuseppe Conte, ottimamente relazionato con il Vaticano (nel frattempo divenuto socio di Lapo Elkann tramite il fondo Centurion basato a Malta), mentre le cosiddette Sardine fanno la guerra all’opposizione ignorando le eroiche imprese del governo più imbarazzante di sempre, attorno a cui ronzano statisti del calibro di Renzi, Di Maio e Zingaretti. L’Italia nel frattempo cade a pezzi: il crollo del viadotto Morandi e l’oscena vicenda del Tav Torino-Lione ne emblematizzano il declino, causa morte civile della politica, insieme all’agonia dell’Ilva, all’ignobile silenzio ufficiale sulla rete 5G, alla scandalosa gestione dell’obbligo vaccinale che nel 2019, per la prima volta, ha escluso 130.000 bambini da nidi e asili. Nel frattempo, la Exor di John Elkann si compra “Repubblica” e “L’Espresso”, cede ai francesi il timone dell’ex Fiat e non concede alcuna garanzia sul futuro degli stabilimenti italiani. In compenso ne aprirà uno in Marocco e si prepara a intascare altri 136 milioni di euro, stavolta dal governo Conte (che dichiara guerra al contante e ai micro-evasori, mentre la Fca continua a pagare le tasse in Olanda anziché in Italia).Argomenti caldi, sui media: gli sbarchi dei migranti e il malvagio Salvini. In compenso si lascia credere che il mondo verrà salvato da Greta Thunberg, cioè dai mega-investitori planetari alle spalle della ragazzina, Goldman Sachs e BlackRock in testa, che si apprestano a riverniciare di “green” i fondi-pensione da vendere a centinaia di milioni di persone, una torta da oltre 100 trilioni di dollari. Riassunto delle puntate precedenti? Non disponibile: i media non se ne occupano. Magari pontificano sulle altrui “fake news” sorvolando sulle proprie, ma si sono ben guardati dal recensire “La guerra infinita”, “Il più grande crimine” e “Massoni”, tre volumi risultati preziosissimi per gli italiani desiderosi di capire almeno qualcosa dello smisurato caos nel quale sembra finito il mondo, senza più distinzione tra destra e sinistra, buoni e cattivi, progressisti e conservatori. Si è appena celebrato l’anniversario della caduta del Muro di Berlino: poteva essere l’anno zero, l’avvento dell’epoca di pace sognata da Gorbaciov? Errore: Wall Street si gettò subito sulla Russia per spolparla, mentre alla Cina fu permesso di entrare nel grande giro mondiale del Wto ma in modo selvaggio, senza tutele per gli operai e per l’ambiente. Risultato: globalizzazione feroce e lavoratori occidentali nei guai, alle prese con la sciagura delle delocalizzazioni e la competizione impossibile con prodotti a bassissimo costo.Riassume Barnard: fu l’avvocato Lewis Powell, nel lontano 1971, a dettare il vademecum con cui l’élite “feudale” si sarebbe ripresa il pianeta, privatizzandolo. Con il libraccio “La crisi della democrazia” (di Gianni Agnelli la prefazione all’edizione italiana), la Trilaterale di Kissinger e soci spiegò che “l’eccesso di democrazia” si cura solo tagliando la democrazia. In Europa, gli oligarchi crearono un’Unione Europea concepita come il Sacro Romano Impero, fatta di sudditi da ridurre all’obbedienza. Bersaglio numero uno: gli Stati, pericolosi “competitor” del grande capitale. Vittima illustre: la ricchissima Italia dell’economia mista, supportata dall’Iri. Utili leggende fabbricate dal neoliberismo: il debito pubblico come malattia, come colpa (come se il governo avesse dovuto prima “risparmiare”, per poter poi finanziare le infrastrutture strategiche che permisero all’Italia del boom economico di uscire dall’età della pietra in cui l’aveva sprofondata la guerra fascista). Ora siamo agli sgoccioli: dopo la cura Monti il paese è a pezzi, ma i partiti pensano alle poltrone (e le Sardine a Salvini). Nel frattempo, la guerra – quella che Gorbaciov avrebbe voluto cancellare dalla faccia della Terra – è ridiventata una prassi ordinaria, fisiologica, a cui non si fa più neppure caso. Afghanistan e Iraq, Yemen, Somalia, Libia e Siria. Normalissimo, spararsi addosso per conto terzi: gli americani con le portaerei, i russi con i missili.Spiega Chiesa: l’11 Settembre fu creato a tavolino come casus belli per attuare il Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano redatto dai neocon, i signori del Deep State. Guerra planetaria, per terremotare l’economia e ridare fiato agli Stati Uniti, la superpotenza con il maggior debito estero del globo. A peggiorare ulteriormente il quadro provvede Magaldi: quei signori erano e sono massoni, che militano nelle superlogge reazionarie (che, attenzione: sono diffuse in tutto il pianeta, reclutando politici di ogni grande paese). Riletta così, la geopolitica si riduce a una serie di spaventosi regolamenti di conti, a guerre per bande. L’11 Settembre? E’ stata l’abominevole trovata di una Ur-Lodge terroristica, la Hathor Pentalpha dei Bush, per accelerare – manu militari, con la guerra innescata dal terrorismo “false flag” – questa folle globalizzazione neoliberista e mercantile, questa guerra mondiale dei super-ricchi contro il resto del mondo. I cocci, ovviamente, ci stanno cadendo addosso. C’è il sangue del terrorismo “domestico”, targato Al-Qaeda e poi Isis, e c’è lo sfacelo delle economie nazionali, dove neppure il Pil corrisponde più al benessere medio: più cresce, e più la maggioranza soffre, data la forbice ormai mostruosa tra produttori e rendita finanziaria.Era il 2010 quando Barnard cominciò a diffondere il suo contro-Vangelo sulla dominazione dell’euro, la moneta “privatizzata” per schiavizzare il 99% degli europei. Rimase lettera morta il clamoroso meeeting di economia promosso nel 2012 a Rimini con le migliori menti finaziarie dell’economia keynesiana. Inutile anche il viaggio di Warren Mosler in Italia, i consigli dispensati al governo romano. Tesi elementare: se si recupera sovranità monetaria si può tornare a investire nel mercato interno, battendo la crisi creata dalla globalizzazione. E i media nazionali? Silenzio, su tutta la linea. Non c’è pericolo che ai vari Floris, Formigli e Gruber venga in mente di sfiorare l’argomento: mutismo assoluto, anche ora che persino sua maestà Mario Draghi ha osato evocare la Modern Money Theory di Mosler. Da “La guerra infinita” sono passati 16 anni. Chi ha letto anche “Il più grande crimine”, e poi “Massoni”, si domanderà cosa mai potrà scuotere i dormienti, oggi lobotomizzati da Facebook, Twitter e WhatsApp. Si apre il 2020, e l’oscurità è fittissima. Julian Assange resta in prigione, anche se 80 medici raccomandano che sia ricoverato, essendo in pericolo di vita. L’Italia è in via di estinzione anche in Libia, ma quel che importa sono le regionali in Emilia. Qualcuno spieghi alle Sardine che l’Italia era un grande paese: c’èra giusto bisogno di innocue e appetitose Sardine per finire di divorarlo in santa pace.“La guerra infinita”, “Il più grande crimine”, “Massoni”. Tre libri – italiani – senza precedenti nel mondo, quando uscirono. Nel primo, edito da Feltrinelli nel 2003, Giulietto Chiesa svelava la drammatica inconsistenza della versione ufficiale sull’11 Settembre, oggi conclamata: i tremila architetti e ingegneri dell’associazione 9/11 Thruth (e i pompieri di New York) dimostrano la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle, certo non abbattute da aerei dirottati. Otto anni dopo, archiviato l’inferno dell’Iraq e neutralizzato il supertestimone Julian Assange, di fronte alla crisi finanziaria globale e alla micidiale austerity europea è stato Paolo Barnard ad afferrare il torno per le corna, con un instant-book diffuso sul web e ora pubblicato da Andromeda: il golpe tecnocratico dell’Eurozona riletto in chiave criminologica, dalle sue premesse (la svendita dell’Italia affidata a Prodi e Draghi) fino all’estrema conseguenza del devastante “economicidio” eseguito da Monti. Infine, nel 2014, è stato il massone progressista Gioele Magaldi ad aggiungere una spiegazione decisiva, facendo luce sul missing link che separa la cronaca dalla verità del potere: il ruolo delle superlogge sovranazionali, presentate per la prima volta con nomi e cognomi.
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Tunnel sotto il Baltico: la Cina prenota il tesoro dell’Artico
L’Artico si scioglie e la Cina è già lì: per il grande affare. Lo spiegano, sul “Corriere della Sera”, Milena Gabanelli e Luigi Offeddu. «Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone Tallinn e quella finlandese, Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: 15 miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita». Il colossale investimento, a oltre 6.300 chilometri da Pechino, non è lontano dalla loro “Via della Seta marittimo-terrestre”, che dovrebbe collegare circa 60 paesi di tre continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la “Via Polare della Seta”, che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima. Oggi, per viaggiare da Shangai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via Polare si scende a 33 giorni. La nuova tratta «accorcerà di una settimana anche il viaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto al passaggio attraverso il canale di Panama». Tutto pronto: «Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino».La Cina è pronta a fare il suo gioco, raccontano Gabanelli e Offeddu: da una parte, marcare la sua presenza commerciale, politica e militare nel mondo, e dall’altra sfruttare il sottosuolo dell’Artico. «Parliamo del 20% di tutte le riserve del pianeta: fra cui petrolio, gas, uranio, oro, platino e zinco». Pechino ha già commissionato i rompighiaccio, fra cui – gara appena chiusa – uno atomico da 152 metri con 90 persone di equipaggio (costo previsto: 140 milioni di euro). Sarà il più grande rompighiaccio al mondo e potrà spaccare uno strato ghiacciato spesso un metro e mezzo. La Cina ha iniziato anche i test per “l’Aquila delle nevi”, un aereo progettato per i voli polari, e sta studiando l’impiego di sommergibili in grado di emergere dai ghiacci. Spiega il “Giornale cinese di ricerca navale”, subito monitorato dagli analisti occidentali: «Sebbene il ghiaccio spesso dell’Artico provveda una protezione naturale per i sottomarini, tuttavia costituisce anche un rischio per loro durante il processo di emersione». Segue uno studio dettagliato sulle manovre da eseguire. «Tutte le superpotenze compiono queste ricerche, però la Cina non è uno Stato artico come la Russia o gli Usa». Eppure, aggiungono Gabanelli e Offeddu, nel 2018 si è autodefinita uno “Stato quasi-artico”, irritando il segretario di Stato americano Mike Pompeo, secondo cui «ci sono solo Stati artici e non artici, una terza categoria non esiste».Ma Pechino “tira dritto”, e lo fa soprattutto in Groenlandia, «portaerei naturale di fronte agli Usa e al Canada, dove il riscaldamento del clima sta sciogliendo 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno: un dramma mondiale, che però agevola l’estrazione di ciò che sta sotto». Per questo, osservano Milena Gabanelli e Luigi Offeddu, con le sue compagnie di Stato la Cina ha acquistato o gestisce i 4 più importanti giacimenti minerari della Groenlandia. «All’estremo Nord, nel fiordo di Cjtronen, c’è quello di zinco, gestito al 70% dalla cinese Nfc, considerato il più ricco della Terra. È strategico perché si trova di fronte all’ipotetica “Via Polare della Seta”, quella del passaggio verso Canada e Usa, e perché potrebbe placare la domanda di zinco della Cina, salita del 122% dal 2005 al 2015». Poi c’è il giacimento di rame di Carlsberg, proprietà della Jangxi Copper, colosso di Stato considerato il massimo produttore cinese di rame nel mondo (il suo ex-presidente, intanto, è stato appena condannato a 18 anni per corruzione). Pechino ha inoltre in mano la miniera di ferro di Isua (della General Nice di Hong Kong) e infine Kvanefjeld, nell’estremo Sud: una riserva mai sfruttata di uranio e “terre rare”, cioè i metalli usati per costruire missili, smartphone, batterie e hard-disk.Kvanefjeld, accessibile solo via mare, è proprietà della compagnia australiana Greenland Minerals Energy e al 12,5% della compagnia di Stato cinese Shenghe Resources, considerata la maggiore fornitrice di “terre rare” sui mercati internazionali. Con un investimento da 1,3 miliardi di dollari, documenta il reportage sul “Corriere”, il giacimento potrà fornire una delle più alte produzioni al mondo di “terre rare”. «La quota azionaria della Shenghe è limitata, ma il suo ruolo nel progetto no», spiegano Gabanelli e Offeddu, «perché il prodotto estratto da Kvanefjeld sarà un concentrato di “terre rare” e uranio, i cui elementi dovranno essere processati e separati». E questo «accadrà soprattutto a Xinfeng, in Cina, dove gli stabilimenti sono già in costruzione». Nel progetto c’è anche un nuovo porto, nella baia accanto al giacimento. «La Cina possiede già oltre il 90% di tutte le “terre rare” del mondo, dunque ne controlla i prezzi». E ora, «con quel che arriverà da Kvanefjeld, chiuderà quasi il cerchio». Nei lavori del porto è coinvolto anche il colosso di Stato cinese Cccc, «già messo sulla lista nera della Banca Mondiale per una presunta frode nelle Filippine». I dirigenti della Shenghe, nel gennaio di quest’anno, «hanno formato una joint-venture con compagnie sussidiarie della China National Nuclear Corporation».La sigla del colosso edilizio Cccc, continuano Gabanelli e Offeddu, è riemersa nella gara d’appalto lanciata dal governo groenlandese per tre nuovi aeroporti intercontinentali (a Nuuk, Ilulissat e Qaqortoq) che dovrebbero assicurare all’isola collegamenti diretti con gli Usa e l’Europa. Nel 2018 sei imprese sono state ammesse: l’unica non europea era la Cccc. «Ma la sua offerta ha preoccupato gli Usa (nell’isola c’è la base americana di Thule, che può intercettare i missili in arrivo su Washington) e la Danimarca (che ha un diritto di veto sulle questioni che toccano la sicurezza)». Così, i danesi hanno lanciato all’ultimo momento un’offerta d’oro, «rilevando un terzo della compagnia groenlandese che appaltava la gara», e così la Cccc è stata esclusa. «Ma lo scorso 5 aprile è stata annunciata una nuova gara per il “completamento” delle piste e dei terminal a Nuuk e Ilulissat, altro affare milionario, e i cinesi hanno tentato di rientrare grazie a joint-venture formate con imprese olandesi, canadesi e danesi». Tutto procede: i lavori inizieranno a settembre.Secondo Gabanelli e Offeddu, Pechino ha messo a segno un altro successo nordico, questa volta a Karholl, in Islanda: si tratta dell’osservatorio meteo-astronomico battezzato “Ciao”, acronimo di China-Iceland Joint Arctic Science Observatory, interamente finanziato dai cinesi. Alto tre piani ed esteso su 760 metri quadrati, controlla i cambiamenti climatici, le aurore boreali, i percorsi dei satelliti. E, per inciso, anche lo spazio aereo della Nato. Non è di poco conto, infatti, il risvolto strategico-militare della nuova geopolitica cinese nell’Artico: il vice responsabile del nuovissimo osservatorio è Halldor Johannson, che in Islanda è anche portavoce di Huang Nubo, «il miliardario imprenditore ed ex dirigente del Partito comunista cinese che nel 2012 tentò di comprare per circa 7 milioni di euro 300 chilometri di foreste islandesi, dichiarando di volerne fare un parco naturale e turistico». Anche su quelle foreste – annotano Gabanelli e Offeddu – passavano (e passano) le rotte della Nato, su cui ora “vigilerà” l’indesiderata superpotenza cinese.L’Artico si scioglie e la Cina è già lì: per il grande affare. Lo spiegano, sul “Corriere della Sera”, Milena Gabanelli e Luigi Offeddu. «Le prime prenotazioni on line, 50 euro l’una, sono state vendute subito dopo l’annuncio ufficiale: il più lungo tunnel sottomarino del mondo (100 km) sarà scavato dal 2020 sul fondo del Mar Baltico, fra la capitale estone Tallinn e quella finlandese, Helsinki. Lo scaveranno e pagheranno quasi tutto i cinesi: 15 miliardi di euro, più 100 milioni offerti da un’impresa saudita». Il colossale investimento, a oltre 6.300 chilometri da Pechino, non è lontano dalla loro “Via della Seta marittimo-terrestre”, che dovrebbe collegare circa 60 paesi di tre continenti. Uno dei suoi tratti vitali sarà la “Via Polare della Seta”, che sfrutterà i mari artici sempre più liberi dai ghiacci grazie al riscaldamento del clima. Oggi, per viaggiare da Shangai a Rotterdam attraverso la rotta tradizionale del canale di Suez, bisogna navigare per 48-50 giorni. Con la Via Polare si scende a 33 giorni. La nuova tratta «accorcerà di una settimana anche il viaggio che unisce Atlantico e Pacifico costeggiando Groenlandia, Canada e Alaska, rispetto al passaggio attraverso il canale di Panama». Tutto pronto: «Navi cinesi hanno già collaudato entrambe le rotte. A fine maggio, il vice primo ministro russo Maxim Akimov ha annunciato che anche Mosca potrebbe unirsi al progetto di Pechino».
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Fcas e Tempest, con i nuovi jet l’F-35 diventa archeologia
In occasione del recentissimo Paris Air Show, un modello del Fcas (Future Air Combat System) ha attirato la curiosità dei presenti: si tratta di un caccia di sesta generazione, scrive “L’Antidiplomatico”. Realizzato in collaborazione con tedeschi e spagnoli, il jet militare è di origine prevalentemente francese. E potrebbe essere la controparte europea di qualsiasi aereo (con equipaggio, o senza) dei caccia stealth di quinta generazione, come gli F-22 Raptor americani, gli Su-57 della Russia e ovviamente i più che controversi F-35, che varie forze europee hanno dovuto acquisire per fare un favore agli Usa. «Fcas è costruito attorno a concetti futuristici: configurazione invisibile, missili a lungo raggio e, soprattutto, volo senza equipaggio», spiega “L’Antidiplomatico”. «Come una regina furtiva, il caccia sarà seguito da un seguito di droni che svolgeranno gran parte del lavoro sporco di combattimento e di scouting», assumendo su di sé il peso del fuoco nemico.Nel frattempo, gli Stati Uniti «stanno lavorando sullo stesso concetto con il programma Loyal Wingman e il drone Xq-58, un sosia mini-F-35 che funzionerà con aeromobili con equipaggio come un branco di cani da caccia e il loro padrone». E per non essere superata dai suoi cugini continentali, da cui si sta separando, la Gran Bretagna – che pure ha acquistato alcuni F-35 – sta anch’essa sviluppando il suo caccia di sesta generazione, il Tempest. «Munito di laser, dovrebbe entrare in servizio intorno al 2035». A questo progetto pare voglia prendere parte anche l’Italia. Questi jet avanzati, aggiunge “L’Antidiplomatico”, possono essere dotati di armi avveniristiche. La società europea di difesa Mbda ha presentato alcuni concetti avanzati di missili: «Sciami di alianti lanciati dagli aerei che riescono a sopraffare un bersaglio a cinquanta miglia di distanza, mentre gli aerei con equipaggio sono al sicuro dalla mischia». Non solo: ci sono anche «missili furtivi a bassa quota che dovrebbero bombardare nemici».Finalmente, nei piani euro-atlantici, figurerebbe anche «un missile supersonico, che può abbattere aerei nemici, navi e difese aeree». Il giorno che entrasse in esercizio sarebbe una prima risposta all’attuale supremazia assoluta della Russia, che ha già testato i suoi nuovissimi missili ipersonici, letteralmente “imparabili”, capaci di affondare una portaerei viaggiando anche a dieci volte la velocità del suono. Ne ha dato una spettacolare dimostrazione lo stesso Putin, diffondendo le immagini di questi missili: lanciati da navi da guerra in navigazione nel remotissimo Mar Caspio, sono piovuti addosso ai miliaziani dell’Isis in Siria senza che i sistemi di allertamento Nato potessero far nulla per intercettarli. Scenari che rendono ancora più inutile il costoso F-35, definito “un bidone volante” dallo storico progettista dell’F-16, secondo cui il jet americano a decollo verticale, lento e impacciato, non soppravviverebbe a un duello aereo con un Mig degli anni Sessanta.In occasione del recentissimo Paris Air Show, un modello del Fcas (Future Air Combat System) ha attirato la curiosità dei presenti: si tratta di un caccia di sesta generazione, scrive “L’Antidiplomatico”. Realizzato in collaborazione con tedeschi e spagnoli, il jet militare è di origine prevalentemente francese. E potrebbe essere la controparte europea di qualsiasi aereo (con equipaggio, o senza) dei caccia stealth di quinta generazione, come gli F-22 Raptor americani, gli Su-57 della Russia e ovviamente i più che controversi F-35, che varie forze europee hanno dovuto acquisire per fare un favore agli Usa. «Fcas è costruito attorno a concetti futuristici: configurazione invisibile, missili a lungo raggio e, soprattutto, volo senza equipaggio», spiega “L’Antidiplomatico”. «Come una regina furtiva, il caccia sarà seguito da un seguito di droni che svolgeranno gran parte del lavoro sporco di combattimento e di scouting», assumendo su di sé il peso del fuoco nemico.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
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Kinžal, il super-missile russo che può affondare le portaerei
Si chiama Kinžal (“pugnale” in russo) il nuovissimo missile “imparabile” messo a punto da Mosca: viaggia a 10 volte la velocità del suono, anche se pesa quasi 5 tonnellate, e colpisce obiettivi a duemila chilometri di distanza, consentendo a chi lo scaglia di restare al riparo, fuori tiro. Notizia anticipata all’inzio di marzo da Sergeij Surovikin, capo della forza aerospaziale russa, che in un’intervista ha svelato i principali segreti del nuovo sistema missilistico ipersonico aria-superficie. Il nuovo “Kh-47M2 Kinžal” è stato sviluppato per essere lanciato da un aereo, l’intercettore supersonico Mig-31 opportunamente aggiornato. La nuova arma, scrive “Analisi Difesa”, sito italiano ben informato sulle notizie che provengono dall’industria degli armamenti, «consente al velivolo lanciatore di rimanere a distanza di sicurezza senza entrare nella zona di difesa aerea del nemico (operando dunque in modalità stand-off)». Insieme all’alta velocità, l’elevata potenza dei propulsori del Mig-31 – aggiunge “Analisi Difesa” – consente al super-missile di entrare agevolmente nel primo stadio della velocità alla quota necessaria alla successiva accelerazione ipersonica, che secondo i costruttori verrebbe raggiunta in pochi secondi. Le manovre del missile ad alta velocità, scondo Surovikin, consentirebbero così di violare in modo affidabile tutti i sistemi di difesa antiaerea e antimissile attualmente esistenti o in via di sviluppo.Versione modificata dell’Iskander, missile balistico tattico (superficie-superficie) a corto raggio, capace di una velocità massima di 7.000 chilometri orari ed entrato in servizio nelle forze armate russe nel 2006, il Kinžal è stato presentato dallo stesso Vladimir Putin durante il noto discorso all’Assemblea Federale assieme ad altri quattro tipi di armi strategiche che garantirebbero il vantaggio strategico sugli Stati Uniti. Un video del ministero della difesa mostra l’azione di un Mig-31, probabilmente modificato nella sezione centrale della fusoliera per ospitare il sistema d’arma sperimentale: si vede lo sgancio del missile in volo e il successivo innesco del “booster”, non appena l’aereo si è allontanato. «Le immagini successive, realizzate invece con grafica computerizzata – aggiunge Kinžal – mostrano il profilo di attacco dell’arma: mentre il Mig-31 si allontana dalla zona sensibile, la traiettoria del missile ascende ad una quota superiore per poi lanciarsi in picchiata sui bersagli, non prima di aver combinato delle traiettorie elusive finali: obiettivi mostrati sono unità navali, incluse portaerei». Il Kinžal è lungo 8 metri, ha un diametro di circa un metro e pesa oltre 4 tonnellate, di cui 500-700 chili di testata esplosiva (nucleare o convenzionale). Putin ha confermato che il missile è schierato dallo scorso dicembre negli aeroporti del distretto militare meridionale della Russia.Mentre un gran numero di esperti militari occidentali ha reagito con scetticismo alle dichiarazioni di Putin riguardo alle capacità operative e alle prestazioni del nuovo sistema d’arma, rileva “Analisi Difesa”, di tenore ben diverso sono le valutazioni in Russia. Vladislav Shurygin valuta che siano «necessari almeno 7-10 anni per creare un missile da zero, altri 2-3 anni sono necessari per i test», ma i progettisti del Kinžal hanno fatto tutto questo in soli otto anni poiché lo sviluppo è avvenuto sulla base di un missile già esistente, l’Iskander. Secondo Shurygin, il motivo per cui è stato scelto il Mig-31 come vettore è evidente: l’aereo ha un’elevata potenza di sollevamento, e i possenti motori gli consentono di raggiungere facilmente la velocità supersonica da cui lanciare il missile. «Niente di strano, se consideriamo che già alla fine degli anni ’80 il Mig-31 veniva usato anche per testare le armi anti-satellite». Nonostante le sue capacità uniche, Shurygin definisce il Kinžal un’arma difensiva: «In caso di aggressione colpisce infatti l’infrastruttura criticamente più importante dell’avversario, per prevenire attacchi missilistici da crociera provenienti da navi da guerra». Avverte “Analisi Difesa”: «Benché formalmente impiegabile anche per obiettivi terrestri, fissi o mobili, gli analisti militari si sono affrettati a definire il Kinžal come un missile antinave, studiato appositamente per la neutralizzazione dell’imponente flotta navale statunitense».Si chiama Kinžal (“pugnale” in russo) il nuovissimo missile “imparabile” messo a punto da Mosca: viaggia a 10 volte la velocità del suono, anche se pesa quasi 5 tonnellate, e colpisce obiettivi a duemila chilometri di distanza, consentendo a chi lo scaglia di restare al riparo, fuori tiro. Notizia anticipata all’inzio di marzo da Sergeij Surovikin, capo della forza aerospaziale russa, che in un’intervista ha svelato i principali segreti del nuovo sistema missilistico ipersonico aria-superficie. Il nuovo “Kh-47M2 Kinžal” è stato sviluppato per essere lanciato da un aereo, l’intercettore supersonico Mig-31 opportunamente aggiornato. La nuova arma, scrive “Analisi Difesa”, sito italiano ben informato sulle notizie che provengono dall’industria degli armamenti, «consente al velivolo lanciatore di rimanere a distanza di sicurezza senza entrare nella zona di difesa aerea del nemico (operando dunque in modalità stand-off)». Insieme all’alta velocità, l’elevata potenza dei propulsori del Mig-31 – aggiunge “Analisi Difesa” – consente al super-missile di entrare agevolmente nel primo stadio della velocità alla quota necessaria alla successiva accelerazione ipersonica, che secondo i costruttori verrebbe raggiunta in pochi secondi. Le manovre del missile ad alta velocità, scondo Surovikin, consentirebbero così di violare in modo affidabile tutti i sistemi di difesa antiaerea e antimissile attualmente esistenti o in via di sviluppo.
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Gorbaciov: ho paura. Francesi in Siria con i terroristi Nato
L’ultimo bombardamento sulla Siria, deciso da Donald Trump, «l’ho definito una specie di esercitazione militare in preparazione di qualcosa di molto più serio: è preoccupante». Parola di Mikhail Gorbaciov, al telefono con Giulietto Chiesa. «Adesso arrivano notizie secondo cui un contingente francese sarebbe entrato in territorio siriano, armi e bagagli». Non solo francesi, aggiunge Chiesa, ma anche tedeschi. «Se facciamo la somma, ormai hanno messo piede, e non da ieri, contingenti americani, inglesi, francesi, tedeschi e israeliani». E nel conto, sottolinea Gorbaciov, «bisogna mettere anche gli arabo-sauditi e i turchi, che fanno il loro gioco. Sono tutti là. E ho l’impressione che si stia preparando qualche cosa di grosso, e di molto grave», afferma l’ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace. Conseguenze immediate piuttosto allarmanti, come confermato dall’offensiva militare, mediatica e diplomatica di Israele contro l’Iran, impegnato in Siria accanto ai russi e all’esercito di Damasco. L’Occidente e i suoi alleati non accettano che Mosca abbia sconfitto l’Isis e messo fine alla guerra siriana contro i “terroristi” armati dalla Nato. Se ora gli Usa e i loro vassalli scendono in campo direttamente, come si regolerù Putin?«E’ evidente che la sconfitta dello Stato Islamico, ad opera dei russi, e la situazione che si è creata sul terreno, non piace né a Washington, né a Parigi né Londra», dichiara Gorbaciov. «Adesso agiscono in due direzioni: una diplomatica, come si è visto a Bruxelles nella conferenza che hanno chiamato “Aiutare il futuro della Siria e dell’intera regione” e il cui scopo è quello di mettere fine al processo di Astana», la capitale del Kazakhstan che ha ospitato il vertice russo-turco-iraniano. «Là erano solo Mosca, Ankara e Teheran. Ora vogliono sostituirlo con una gestione, formalmente sotto egida Onu, ma sostanzialmente funzionale a una ripresa del controllo americano sulla crisi siriana. Nello stesso tempo – aggiunge Gorbaciov – stanno cercando di cambiare i rapporti di forza militare sul terreno». La situazione è questa: «Adesso l’Isis, di fatto, non esiste più. L’esercito siriano avanza su tutti i fronti, sostenuto dalla presenza russa sia dall’aria che sul terreno. Lo sostituiscono direttamente le truppe occidentali». In altre parole: truppe occidentali stanno prendendo il posto della loro creatura, l’Isis, sconfitta sul campo. Il rischio di scontro diretto Usa-Russia si va facendo altissimo, sostiene l’uomo che ha posto fine alla guerra fredda.«Vladimir Putin si trova di fronte alla domanda delicatissima su come fermarli», spiega Gorbaciov. «Un conto era avere di fronte l’esercito dello Stato Islamico. Era una finzione, perché sappiamo chi lo sosteneva, ma evitava il contatto diretto con le forze occidentali che erano già sul terreno ma invisibili, sotto forma di servizi segreti. Adesso il rischio è di un confronto militare diretto tra Russia e Stati Uniti, Russia e Francia, Russia e Gran Bretagna». Sono tutti eserciti Nato, quindi un eventuale scontro coinvolgerebbe indirettamente anche l’Italia, finora rimasta fuori dalla mischia benché ancora presente con la missione di peacekeeping in Libano, il paese da cui proviene la milizia sciita Hezbollah schierata in Siria con Assad. Come risponderà Putin al drammatico cambio di marcia dell’Occidente? «Non lo so», ammette Gorbaciov. «Mi pare chiaro che non potrà abbandonare la Siria». Tra l’altro, aggiunge, «la Russia è sul campo per diretta richiesta da parte del governo legittimo di Damasco, mentre tutti gli altri stanno occupando il territorio siriano in aperta violazione di tutte le norme internazionali. Nulla li legittima. È una operazione di aggressione».Tira una brutta aria, «e non riguarda solo la Siria», purtroppo. Gorbaciov ricorda la Nato sta premendo per incorporare l’Ucraina e la Georgia, in aperta violazione delle solenni assicurazioni fatte da George Bush all’epoca della distensione, il disarmo missilistico bilaterale: la Casa Bianca aveva promesso che non avrebbe esteso verso Est il perimetro Nato, a ridosso delle frontiere russe. Nel frattempo, le sanzioni economiche contro Mosca «stanno diventando asfissianti, al punto che siamo ormai nella situazione in cui il ministero del Tesoro americano decide della sorte dell’industria russa dell’alluminio». Sempre secondo Gorbaciov, la “ritirata” dell’industriale russo Oleg Deripashka, che ha perduto la maggioranza azionaria della sua impresa a Londra, «è un segnale di preavviso mandato a Vladimir Putin alla vigilia della inaugurazione del suo quarto mandato». In altre parole, «la “guerra ibrida” è in pieno sviluppo». E stavolta Mikhail Gorbaciov teme che la crisi – particolarmente incancrenita in Siria – possa nascondere esiti pericolosi e inimmaginabili. Tutto è precipitato – dal caso Skripal al bombardamento di Trump – dopo l’annuncio di Putin sui missili “imparabili”, ipersonici, di cui dispone la Russia. L’Occidente terrorista sfiderà il Cremlino a impiegarle, le armi-killer in grado di affondare le portaerei?L’ultimo bombardamento sulla Siria, deciso da Donald Trump, «l’ho definito una specie di esercitazione militare in preparazione di qualcosa di molto più serio: è preoccupante». Parola di Mikhail Gorbaciov, al telefono con Giulietto Chiesa. «Adesso arrivano notizie secondo cui un contingente francese sarebbe entrato in territorio siriano, armi e bagagli». Non solo francesi, aggiunge Chiesa, ma anche tedeschi. «Se facciamo la somma, ormai in Siria hanno messo piede, e non da ieri, contingenti americani, inglesi, francesi, tedeschi e israeliani». E nel conto, sottolinea Gorbaciov, «bisogna mettere anche gli arabo-sauditi e i turchi, che fanno il loro gioco. Sono tutti là. E ho l’impressione che si stia preparando qualche cosa di grosso, e di molto grave», afferma l’ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace. Conseguenze immediate piuttosto allarmanti, come confermato dall’offensiva militare, mediatica e diplomatica di Israele contro l’Iran, impegnato in Siria accanto ai russi e all’esercito di Damasco. L’Occidente e i suoi alleati non accettano che Mosca abbia sconfitto l’Isis e messo fine alla guerra siriana contro i “terroristi” armati dalla Nato. Se ora gli Usa e i loro vassalli scendono in campo direttamente, come si regolerù Putin?
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Raid Usa sulla Siria. Ma quel potere ci teme: deve mentirci
Quanto è pericoloso l’Impero della Menzogna? Quante vittime produce, ogni ora, il sistema orwelliano basato sulle fake news criminali rilanciate a reti unificate, senza le quali non potrebbe essere scagliato nemmeno un missile? La farsa dell’orrore, copione strettamente seguito anche per l’ultimo raid “mirato e limitato” sulla Siria (ben attenti, gli attaccanti, a non sfiorare installazioni russe), dimostra almeno un risvolto positivo: chi preme quei fatali pulsanti ha ancora paura dell’opinione pubblica, se si premura di mentirle con tanto impegno. Lo afferma la giornalista Enrica Perucchietti, con alle spalle saggi sul terrorismo “false flag” e sulla propaganda di regime basata su notizie sistematicamente false: noi spettatori siamo rimasti probabilente gli unici a non sapere quanto contiamo, visto che chi muove portaerei e impiega armi di distruzione di massa si preoccupa innanzitutto di raccontarci il contrario della verità, nel timore che qualcuno di noi si svegli dal letargo televisivo. E’ grazie al nostro sonno se i killer possono oggi presentarsi come giustizieri: gli Stati Uniti, che hanno scagliato decine di missili su obiettivi siriani alla periferia di Damasco, sono gli stessi che hanno trasformato la Siria in un inferno, armando i tagliagole jihadisti che hanno terrorizzato la popolazione, di fatto spingendola a stringersi attorno al regime di Assad, visto certamente come il male minore.Maschere tragiche come la fallimentare Theresa May e il suo comico di corte Boris Johnson, nei guai per il dopo-Brexit, minuettano (tra una menzogna e l’altra) con personaggi come l’inquietante Emmanuel Macron, l’uomo dei Rothschild travestito da giovane rinnovatore, incaricato di demolire il welfare di un paese reduce dal bagno di sangue dell’auto-terrorismo, magicamente cessato dopo la rottamazione di François Hollande. Tutto si tiene? Impossibile dimenticare lo stridente contrasto tra l’elegante sorriso di Barack Obama, a lungo in giro per il mondo con l’aria di essere una divinità scomodata per il bene altrui, e la fogna infestata di ratti nella quale fu fotografato il suo inviato speciale per il Medio Oriente, il senatore John McCain, in amichevole colloquio con i peggiori mozzatori di teste della regione, tra cui il tristemente celebre Abu Bakr Al-Baghdadi. Loro, tutti insieme – Obama, McCain e i colleghi dell’Isis, con la graziosa collaborazione di altri paladini dell’umanità (il turco Erdogan, l’israeliano Netanyahu e i monarchi islamisti dell’Arabia Saudita) – hanno ridotto la laica Siria ad un’apocalisse di macerie. Un girone dantesco di profughi e lutti, su cui oggi, per buon peso, si abbattono anche i missili umanitari americani, inglesi e francesi, con il pretesto dell’ultima strage ipotetica, denunciata (come tutte le altre) senza uno straccio di prova.E proprio lì sta il punto: per scatenare la violenza, c’è stato comunque bisogno del massimo sforzo per propagare notizie false, attraverso il circuito del mainstream televisivo. Se solo i giornalisti avessero continuato a fare il loro mestiere, accusa un fuoriclasse come lo statunitense Seymour Hersh, Premio Pulitzer per le sue scomode corrispondenze di guerra, noi oggi sconteremmo un numero di vittime enormemente ridotto: meno dolore e meno cimiteri, con più giornalisti onesti in circolazione. Sembra un colossale esercizio di ipnosi: il copione è sempre uguale, ma il pubblico non sembra ne accorgersene. Subisce gli eventi, preparati da una narrazione infedele e spesso paradossale fino al ridicolo, invariabilemnte accolta con rassegnato fatalismo. Non contiamo più nulla, si ripete da più parti: il grande potere fa quello che vuole, senza nemmeno considerarci. Non è vero, rileva Enrica Perucchietti: ha bisogno, ogni volta, di parlarci. Ha la necessità di raccontarci storie, di propalarci menzogne. Non lo farebbe, se non avesse paura dell’ipotetico dissenso. Non cambia mai nulla? Neppure questo è vero: di fronte all’eventualità dei raid occidentali sulla Siria e contro la Russia, dall’Italia si sono levate voci significative, come quelle di Salvini e di Bagnai. Non sarebbe accaduto, ieri, quando infuriavano altri analoghi orrori come quello libico. Contano, i politici italiani? Moltissimo, per il pubblico nazionale: insinuano il germe del dubbio, aprono praterie al pensiero autonomo, incrinano il dogma teologico dietro il quale si nascondono i finti giustizieri.L’ultimo casus belli sembra l’ennesimo capolavoro di propaganda. Non si sa neppure se sia avvenuta davvero, la presuna strage siriana di Douma. Provocata da gas nervino o da cloro? Scatenata da chi? A pochi chilometri di distanza, Israele si fa meno problemi: spara e basta, anche alla schiena, colpendo gli inermi manifestanti di Gaza. Carri armati contro bersagli mobili senza difesa, ragazzini in jeans e maglietta. Quindici morti in una sola giornata, 700 feriti anche nel replay, la settimana seguente. La minaccia di Hamas è reale? Quand’anche, esiste una parola come “sproporzione”, che passeggia nella storia tra diverse latitudini. Nel medioevo, la cavalleria occitanica schierata per proteggere i catari, perseguitati dai crociati nel sud della Francia, chiamò “desmisura” la ferocia gratuita dei vincitori. Oggi, in caso di guerra unilaterale, i media rispolverano un lessico novecentesco – l’America, la Francia, l’Inghilterra – come se davvero fossero coivolte intere nazioni, nei crimini “umanitari” di quegli eserciti. Lentamente, si va demistificando la retorica: fiori di saggi svelano che non esiste più una sola politica sovrana, un solo leader che prenda decisioni non dettate dall’oligarchia bancaria e mercantile che ha privatizzato Stati e governi. E ancora e sempre, ogni crimine viene prima annunciato in televisione con il consueto corredo di notizie false, da un potere smisuratamente egemone ma non onnipotente, che ha ancora paura che qualcuno di noi si alzi in pedi e dica: non sono d’accordo, non siete autorizzati ad agire a nome mio.Quanto è pericoloso l’Impero della Menzogna? Quante vittime produce, ogni ora, il sistema orwelliano basato sulle fake news criminali rilanciate a reti unificate, senza le quali non potrebbe essere scagliato nemmeno un missile? La farsa dell’orrore, copione strettamente seguito anche per l’ultimo raid “mirato e limitato” sulla Siria (ben attenti, gli attaccanti, a non sfiorare installazioni russe), dimostra almeno un risvolto positivo: chi preme quei fatali pulsanti ha ancora paura dell’opinione pubblica, se si premura di mentirle con tanto impegno. Lo afferma la giornalista Enrica Perucchietti, con alle spalle saggi sul terrorismo “false flag” e sulla propaganda di regime basata su notizie sistematicamente false: noi spettatori siamo rimasti probabilmente gli unici a non sapere quanto contiamo, visto che chi muove portaerei e impiega armi di distruzione di massa si preoccupa innanzitutto di raccontarci il contrario della verità, nel timore che qualcuno di noi si svegli dal letargo televisivo. E’ grazie al nostro sonno se i killer possono oggi presentarsi come giustizieri: gli Stati Uniti, che hanno scagliato decine di missili su obiettivi siriani alla periferia di Damasco, sono gli stessi che hanno trasformato la Siria in un inferno, armando i tagliagole jihadisti che hanno terrorizzato la popolazione, di fatto spingendola a stringersi attorno al regime di Assad, visto certamente come il male minore.
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Siria, il generale Camporini: molto rumore, ma solo teatro
Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».Intervistato da Gian Micalessin, Camporini non prevede un intervento di grande portata contro la Siria. E soprattutto, non vede alcuna rischio di coinvolgimento del nostro paese: «Non siamo di fronte a un’operazione concordata in sede Nato», sottolinea l’alto ufficiale: «Siamo di fronte ad una azione unilaterale decisa dalla presidenza degli Stati Uniti». In queste ore si parla di aerei Poseidon P8 decollati dalla base di Sigonella. «I Poseidon sono aerei antisommergibile – spiega Camporini – e di certo non parteciperanno a questo tipo di attacchi». Non solo: «Per usare le basi di Aviano o Sigonella, gli americani dovrebbero chiedere l’autorizzazione del nostro governo. E un esecutivo dimissionario come quello del premier Paolo Gentiloni, chiamato soltanto a sbrigare gli affari correnti, non potrebbe concederla». Inoltre, ipotizzare una partecipazione italiana «significherebbe prefigurare un intervento molto più ampio di quello previsto dalla Casa Bianca». Dunque sarebbe un atto solo dimostrativo? «Sì, assolutamente», risponde Camporini. «Non siamo di fronte ad un raid in grado di cambiare la situazione sul terreno. Trump quasi sicuramente si limiterà a dimostrare di aver punito una nazione colpevole di esser andata oltre i limiti».Si parla, però, di un possibile intervento concordato con l’Inghilterra e la Francia: pronte a partecipare all’azione. «La natura dell’operazione dal punto di vista militare non cambierebbe», chiarisce il generale. «Gli inglesi potrebbero utilizzare le basi di Cipro e i francesi degli aerei decollati da una loro portaerei nel Mediterraneo. Potrebbero venir utilizzati dei missili Storm Shadow con un raggio di 560 chilometri utilizzati a suo tempo anche dall’Italia per colpire le installazioni militari di Gheddafi in Libia». Diretti contro quali obbiettivi? «Gli americani preferiranno basi militari per evitare perdite civili collaterali», dice Camporini. «Poi bisogna vedere quanti missili Tomahawk riusciranno a superare le difese dell’antiaerea». Dunque i russi parteciperanno alle operazioni di difesa del territorio siriano? «Su questo ho pochi dubbi», afferma il generale. «I radar e i missili russi garantiranno la copertura delle installazioni militari siriane». C’è il rischio che vengano colpite basi in cui sono presenti militari russi o iraniani? «Non penso siano previsti attacchi rivolti a colpire direttamente personale non siriano». E la reazione russa? «Ritengo che Putin, per quanto abbia minacciato di reagire, preferisca lasciar sfogare gli americani nella consapevolezza che la loro azione non cambierà gli scenari», sostiene Camporini. «Quindi non vedo il rischio di un allargamento dello scontro e tantomeno il rischio di un conflitto mondiale».Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».