Archivio del Tag ‘proporzionale’
-
Sicuri che Matteo Renzi si chiami davvero Matteo Renzi?
Il Cazzaro ha passato la campagna referendaria a promettere che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato dalla politica. Naturalmente non l’ha fatto. Indovinate perché. Vi do un aiutino. Perché è un cazzaro. È rimasto qualcuno che creda ancora alle parole di Matteo Renzi? A questo punto c’è persino da chiedersi se si chiami davvero Matteo Renzi. Invece di rendere conto della disfatta, mercoledì scorso ha liquidato la direzione del suo partito con un surreale comizietto trionfalistico pieno delle sue solite millanterie miste a spiritosaggini da cena aziendale, lasciando basiti i convocati, a cui è stato impedito di controbattere. Dopodiché ha ricominciato immediatamente a intrigare per restare al potere, personalmente come segretario del Pd, e al governo attraverso un suo fedelissimo, Paolo Gentiloni Silveri, rampollo dei Conti Gentiloni Silveri di Filottrano, Cingoli e Macerata, sessantottino pentito, ed ex delfino di Rutelli come Renzi. Quale migliore risposta all’incazzatura popolare che affidare la presidenza del Consiglio a un conte?Esecutore degli stessi mandanti, come pattuito il governo del conte Gentiloni è programmato per essere la fotocopia in bianco e nero di quello del Cazzaro, e durare almeno sei mesi. La scusa ufficiale è che occorrano soprattutto per rifare la legge elettorale. Indovinate un po’. Vi do un altro aiutino. È una cazzata. L’Italicum è una legge ordinaria, per abrogarla basta un voto parlamentare a maggioranza semplice, non c’è bisogno d’aspettare il parere della Consulta, volendo non ci vogliono sei mesi e nemmeno sei giorni. Abrogando l’Italicum, e ripristinando anche alla Camera il cosiddetto Consultellum, il proporzionale risultato dalle modifiche della Consulta al Porcellum, si potrebbe votare subito. Per quanto il Consultellum sia racchio, l’Italicum fa schifo al cazzo, come tutte le cose prodotte dal governo Renzi. È l’ultimo rimasuglio di quella controriforma fascistoide e golpista che abbiamo giustamente appena respinto a calci in culo.L’unico motivo per cui Grillo adesso sembra gradirlo, seppure corretto, è perché pensa di poterci vincere le elezioni. Originariamente confezionato dai renziani apposta per garantire il potere assoluto al loro spocchioso ducetto, l’Italicum s’è invece rivelato di fatto della taglia del M5S di Grillo. E i renziani danno degli incapaci ai grillini. Nei prossimi mesi, con l’aiuto dei berlusconiani più esperti di loro in riformaialate, i renziani cercheranno di scucire l’Italicum e ricucirlo di nuovo su misura del Cazzaro, che nel frattempo dovrà però faticare per non finire divorato dalle formiche carnivore della minoranza Pd che ha cercato di schiacciare per anni, e che ovviamente non vedono l’ora di vendicarsi. Se “Bastonare il Cazzaro che affoga” sarà il loro motto, per una volta avranno qualcosa da insegnarci. Infatti, benché la nostra del No al referendum sia stata una grande, epocale vittoria, finora è soltanto una mezza misura. No alla Cazzariforma, e anche alla sua continuazione con altri mezzi. No half measures.(Alessandra Daniele, “Il Patto Cazzaroni”, da “Carmilla online” dell’11 dicembre 2016).Il Cazzaro ha passato la campagna referendaria a promettere che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato dalla politica. Naturalmente non l’ha fatto. Indovinate perché. Vi do un aiutino. Perché è un cazzaro. È rimasto qualcuno che creda ancora alle parole di Matteo Renzi? A questo punto c’è persino da chiedersi se si chiami davvero Matteo Renzi. Invece di rendere conto della disfatta, mercoledì scorso ha liquidato la direzione del suo partito con un surreale comizietto trionfalistico pieno delle sue solite millanterie miste a spiritosaggini da cena aziendale, lasciando basiti i convocati, a cui è stato impedito di controbattere. Dopodiché ha ricominciato immediatamente a intrigare per restare al potere, personalmente come segretario del Pd, e al governo attraverso un suo fedelissimo, Paolo Gentiloni Silveri, rampollo dei Conti Gentiloni Silveri di Filottrano, Cingoli e Macerata, sessantottino pentito, ed ex delfino di Rutelli come Renzi. Quale migliore risposta all’incazzatura popolare che affidare la presidenza del Consiglio a un conte?
-
Il Gufo: Renzi bollito da Grasso, e il referendum in freezer
Dopo Renzi, Grasso: toccherà a lui “salvare” le banche chiedendo 10-15 miliardi all’Ue, preparando poi gli italiani a subire nuovi “sacrifici necessari” per restituire il prestito al Mes, il famigerato Fondo Salva-Stati. E’ la profezia di “Gufo Boschi” all’indomani della caduta di Renzi. A parlare, su “Megachip”, è lo stesso “profeta” che già il 15 gennaio aveva azzeccato al millimetro l’esito numerico del referendum, con quasi un anno di anticipo: «Nel momento di massima espansione di consensi (elezioni europee 2014), l’area governativa ha raggiunto il 47%; l’area di opposizione, sommata trasversalmente, il 53%. Ora, i sondaggi e il senso comune dicono che l’area governativa fatica a raggiungere il 40% e l’area di opposizione è almeno al 60%. Dunque, in caso di referendum Sì/No, questa polarizzazione indica chiaramente che l’area governativa è già in netto svantaggio, sostanzialmente irrecuperabile». Lo stesso osservatore, sotto pseudonimo, oggi scommette sul presidente dell’organo che Renzi avrebbe rottamato: il Senato. E spiega: «Grasso è forte dell’asse con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, a cui è legato da una lunga e consolidata familiarità ed amicizia, addirittura temprata sul sangue del fratello di Sergio, Piersanti, ucciso a Palermo dalla mafia quando Grasso era sostituto procuratore, il primo ad occuparsi del caso».«Non ci saranno elezioni a breve termine, non prima dell’estate del 2017», si sbilancia “Gufo Boschi” su “Megachip”. «Più probabilmente questa legislatura giungerà alla sua normale conclusione nel 2018, al massimo con qualche mese di anticipo». La legge elettorale che sarà predisposta? «Sarà un proporzionale con sbarramento e premio di governabilità (non di maggioranza) per la lista più votata, o, in ogni caso, una formula elettorale simile a questa». Dal punto di vista politico, significa che «l’unica vera governabilità possibile, nel futuro Parlamento eletto, sarà determinata da una maggioranza relativa del Pd unita all’alleanza con una componente liberal-conservatrice, come l’attuale Forza Italia». Se la maggioranza relativa e il premio fossero ad appannaggio del M5S, «questa forza politica non sarebbe comunque in grado di raggiungere la maggioranza assoluta», né di esprimere un “governo di minoranza”, «che non sarebbe appoggiato da nessuna altra forza politica». Il centro-destra poi «si dividerà tra la sua componente liberal-conservatrice (Fi) e la componente populista-identitaria (Lega e Fratelli d’Italia) ed elettoralmente non potrà in ogni caso esprimere una maggioranza relativa».L’attuale crisi di governo «sarà risolta con la nomina di un esecutivo di tipo “istituzionale” o formula simile», e a Palazzo Chigi finirà «ragionevolmente» proprio Pietro Grasso, cioè «la personalità più adatta per ricompattare l’attuale maggioranza, sia dentro al Pd (non dimentichiamo che Grasso fu candidato da Bersani) rimasto lacerato dalle divisioni sul referendum e dalle rottamazioni, sia al suo esterno, essendo comunque figura rassicurante, uomo prudentissimo, navigato e buono per ogni stagione». Scelta che «potrebbe non dispiacere affatto a Forza Italia, a cui l’attuale maggioranza potrebbe addirittura allargarsi in caso di necessità». Grasso, poi, «non sarebbe disprezzato a sinistra del Pd». In più, «sarebbe ben accolto dal variegato fronte centrista al Senato», raccogliendo anche «la simpatia di diversi fuoriusciti grillini». Primo scoglio dell’ipotetico governo Grasso: «Affrontare, nel breve periodo, una dura crisi determinata dallo sconquasso nel mondo bancario che verrà innescato dal Monte dei Paschi di Siena e aggravato dalla presenza di ulteriori bubboni: le quattro banche territoriali risolte dal “salva-banche” ma non ancora in sicurezza, e le due banche venete che sono ancora zombie. Il rischio-contagio potrebbe minacciare anche ulteriori istituti come Unicredit o Carige o altri».Secondo “Gufo Bischi”, si renderà necessario un intervento statale «forte e risoluto» sulle banche: «Serviranno cioè almeno 10-15 miliardi di euro (meglio ancora se 20-25) per tappare tutti i buchi più urgenti». E con una legge di stabilità già giudicata insufficiente da Bruxelles, è chiaro che mancheranno i fondi per salvare le banche. «L’unica soluzione sarà il ricorso al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), il cosiddetto Salva-Stati (che piuttosto gli Stati li affonda)». Ipotesi che in effetti «comincia già a circolare in questi giorni sui giornali mainstream, con la tempestiva smentita dal Mef», il ministero economia e finanze. «In questi casi, come sosteneva Giulio Andreotti, la smentita equivale a dare la notizia due volte». Domanda chiave: quali garanzie chiederà l’Ue per il suo prestito? «Saranno pesanti, fatte di lacrime e sangue, ma verranno accettate come un “sacrificio necessario”, tanto più che la loro durezza sarà spalmata sul futuro, reiterando l’effetto “rana bollita”», sottoposta cioè e morte lenta, in dosi omeopatiche per attutire la percezione del dolore.E quale sarà, infine, il destino di Renzi? «Il fanfarone fiorentino resterà segretario del suo partito e assumerà per alcuni mesi un profilo più basso», profetizza “Gufo Boschi”. «Dalla primavera-estate comincerà una azione di logoramento verso il governo che lui stesso sostiene per tentare una manovra audace quanto spericolata: vincere il congresso del Pd l’anno venturo e, sfruttando una situazione socio-economica critica, rifarsi una fulminea verginità per ripresentarsi alle elezioni come la fenice del rinnovamento». Ma attenzione: se toccasse a Grasso, l’attuale presidente del Senato (sostenuto dalla maggioranza dei parlamentari, ben decisi a evitare il voto anticipatp) potrebbe giocarsela davvero. Se la situazione socio-economica fosse «almeno accettabile» (ovvero: se il governo in carica «riuscisse a far passare la “narrazione” di aver salvato l’Italia dalla bancarotta causata da altri»), allora «potrebbero essere le baronie interne al suo stesso partito a giubilare il segretario in carica decretandone la fine politica», e riducendo dunque solo a questo – la rottamazione di Renzi – il risultato del referendum che ha così intesamente mobilitato gli italiani.Dopo Renzi, Grasso: toccherà a lui “salvare” le banche chiedendo 10-15 miliardi all’Ue, preparando poi gli italiani a subire nuovi “sacrifici necessari” per restituire il prestito al Mes, il famigerato Fondo Salva-Stati. E’ la profezia di “Gufo Boschi” all’indomani della caduta di Renzi. A parlare, su “Megachip”, è lo stesso “profeta” che già il 15 gennaio aveva azzeccato al millimetro l’esito numerico del referendum, con quasi un anno di anticipo: «Nel momento di massima espansione di consensi (elezioni europee 2014), l’area governativa ha raggiunto il 47%; l’area di opposizione, sommata trasversalmente, il 53%. Ora, i sondaggi e il senso comune dicono che l’area governativa fatica a raggiungere il 40% e l’area di opposizione è almeno al 60%. Dunque, in caso di referendum Sì/No, questa polarizzazione indica chiaramente che l’area governativa è già in netto svantaggio, sostanzialmente irrecuperabile». Lo stesso osservatore, sotto pseudonimo, oggi scommette sul presidente dell’organo che Renzi avrebbe rottamato: il Senato. E spiega: «Grasso è forte dell’asse con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, a cui è legato da una lunga e consolidata familiarità ed amicizia, addirittura temprata sul sangue del fratello di Sergio, Piersanti, ucciso a Palermo dalla mafia quando Grasso era sostituto procuratore, il primo ad occuparsi del caso».
-
Referendum: la super-finanza teme per il suo uomo, Renzi
«Se il referendum controcostituzionale in Italia è più importante della Brexit e se a sostenerlo è il “Wall Street Journal” è proprio il caso di dire che nel nostro paese il gioco si va facendo duro». Lo sostiene Sergio Cararo in un editoriale su “Contropiano”, partendo dal monitoraggio che “Repubblica” ha effettuato sulla stampa inglese: il quadro che emerge non è sorprendente ma decisamente inquietante, scrive Cararo, ricordando il monito di Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, contro le costituzioni “troppo socialiste” dei paesi euromediterranei, senza contare «gli articoli terroristici prima del referendum britannico sulla Brexit». Se la grande stampa anglosassone – dall’“Economist” al “New York Times” – rispecchia la voce del massimo potere finanziario mondiale, dopo «una serie di articoli preoccupati della situazione economica italiana», adesso a far paura è l’incerta sopravvivenza del governo Renzi, con le possibili ripercussioni sull’Unione Europea. E il grande timore, naturalmente, si chiama referendum.Per il “Wall Street Journal”, il voto d’autunno in Italia è «probabilmente più importante del Brexit». Infatti, «i mercati sono concentrati sulla posta in gioco politica del referendum». Una bocciatura degli elettori – altamente probabile, stando ai sondaggi – potrebbe travolgere Renzi. Il vero costo per l’Italia? Il prolungamento della stagnazione economica, col peggioramento del debito pubblico e delle sofferenze bancarie. Se la “Reuters” parla di «stabilità a rischio in Italia», il “New York Times” evidenzia tre possibili scenari negativi connessi al referendum sulla Costituzione. Primo scenario: il referendum viene bocciato, Renzi si dimette, il Senato sopravvive e il sistema elettorale diventa proporzionale, rendendo ancora più difficile capire chi comanda: nuove elezioni, con Camera e Senato potenzialmente in mano a maggioranze diverse, e quindi ingovernabilità assoluta. Oppure: Renzi sopravvive, ma deve accordarsi con Forza Italia sulla legge elettorale, trascurando l’economia e facendo “volare” i 5 Stelle. O ancora, terzo scenario: se Renzi non riesce a risollevare l’economia, il M5S vince nel 2018. O meglio stravince, «vista la debolezza del nuovo Senato».Amche per il “Financial Times” Renzi ha sbagliato a personalizzare il referendum: «Molti italiani coglieranno l’occasione per votare contro», sperando di mandarlo a casa. Unica via d’uscita: Bruxelles deve concedere a Renzi più spazio, allentando la morsa dell’austerity sull’Italia. «Avrà effetto questa campagna di pressione e allarmismo dei giornali legati alle corporations sul referendum di autunno?», si domanda Cararo. «Alla luce di come è andata con la Brexit potrebbe non funzionare. Ma gli inglesi, prima di arrivare al compromesso con la monarchia, almeno la testa di un re l’avevano tagliata. Altrettanto è accaduto in Francia. Si tratta di paesi dove la forza dell’identità del citoyen che ha diritto di decidere sulle sorti del proprio Stato è ancora molto consistente». In Italia invece non siamo andato oltre i referendum, come quello – pur decisivo – del 1946, su monarchia o repubblica. «Facciamo in modo che vada come nel 1946 – auspica “Contropiano” – e che anche questo monarca, peraltro del tutto privo di “investiture divine” o popolari, si tolga dai coglioni».«Se il referendum controcostituzionale in Italia è più importante della Brexit e se a sostenerlo è il “Wall Street Journal” è proprio il caso di dire che nel nostro paese il gioco si va facendo duro». Lo sostiene Sergio Cararo in un editoriale su “Contropiano”, partendo dal monitoraggio che “Repubblica” ha effettuato sulla stampa inglese: il quadro che emerge non è sorprendente ma decisamente inquietante, scrive Cararo, ricordando il monito di Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, contro le costituzioni “troppo socialiste” dei paesi euromediterranei, senza contare «gli articoli terroristici prima del referendum britannico sulla Brexit». Se la grande stampa anglosassone – dall’“Economist” al “New York Times” – rispecchia la voce del massimo potere finanziario mondiale, dopo «una serie di articoli preoccupati della situazione economica italiana», adesso a far paura è l’incerta sopravvivenza del governo Renzi, con le possibili ripercussioni sull’Unione Europea. E il grande timore, naturalmente, si chiama referendum.
-
Giannuli: leggi elettorali su misura per questi gangster
Se una disposizione della Costituzione non stabilisse che i voti e le opinioni espresse nei dibattiti parlamentari godono dell’imperseguibilità penale, i tre quarti di questo Parlamento meriterebbero la detenzione quantomeno per “interessi privati in atti d’ufficio” o “abuso di potere” se non per attentato alla Costituzione. Mi spiego meglio. Le leggi elettorali dovrebbero essere fatte con fini di carattere sistemico, anche perché si immagina che debbano durare nel tempo e non essere cambiate ad ogni votazione: io sono per il sistema proporzionale perché privilegio il principio di rappresentanza rispetto a quello di governabilità, mentre un altro può essere per il maggioritario per considerazioni opposte ed è legittima tanto la mia posizione quanto l’altra, perché non sono pensate per avvantaggiare un partito piuttosto che un altro. Poi i bari ci sono sempre stati e c’è sempre stato qualcuno che ha introdotto questa o quella clausola per avvantaggiare o, all’opposto, danneggiare un particolare competitore.Ad esempio la clausola di sbarramento al 5% del sistema tedesco, in teoria fu fatta per impedire l’eccessiva frammentazione del sistema politico, ma in realtà fu fatta per escludere dal Bundestag il Partito Comunista che aveva intorno al 3%. Allo stesso modo, la clausola N+2 del quoziente Imperiali fu fatta ufficialmente per favorire i piccoli partiti, facilitando l’acquisto di un quoziente necessario per accedere al riparto dei resti, ma, in realtà, determinava un meccanismo di calcolo favorevole ai partiti maggiori per cui la Dc ebbe sempre 20 o 30 seggi in più rispetto a quelli che le sarebbero spettati ed il Pci fra i 10 ed i 15. E potremmo fare mille altri esempi. Ma va detto che mai il proponente di una clausola truffaldina del genere avrebbe proclamato essere quello il suo fine, avrebbe sempre ammantato la sua proposta delle più nobili motivazioni, rispondendo indignato a chi denunciasse i motivi reali. Qui, invece, siamo alla perdita del più elementare senso del pudore: si dichiara apertamente di voler cambiare la legge elettorale perché con questa –appena approvata e mai sperimentata – vince il M5S.La governabilità qui non c’entra, anche perché, quando si è fatto questo aborto di legge elettorale, ci è stato spiegato che i suoi meccanismi erano pensati per fare in modo di sapere, già dalla sera delle elezioni, chi avrebbe governato nel quinquennio successivo. Qui il ragionamento apertis verbis è il seguente: “Noi quella legge la avevamo fatta perché assicurasse la nostra vittoria, ma visto che non è così e che a vincere sono gli altri, noi la cambiamo in modo che vinciamo noi”. Cioè, dei parlamentari che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, dicono apertamente che stanno usando (cioè : abusando) del loro potere per farsi una legge elettorale per proprio uso e consumo. Un atto di disonestà inaudita e per di più candidamente confessato. Poi, giusto per non farsi mancare nulla, il ministro dell’interno Alfano – con decenza parlando – propone, papale papale, di abolire il doppio turno, ripristinare le coalizioni e di far scendere al 35% (o anche meno) la soglia per il premio di maggioranza, cioè di ripristinare pari pari il Porcellum (salvo la fissazione di una quota nominale) dimenticando che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge elettorale proprio per l’eccessivo premio di maggioranza.Ma, si osserverà, qui abbiamo una soglia minima per accedere al premio, cosa che prima non c’era. Solo che, in un sistema politico diviso in tre poli è quasi matematico che uno dei tre superi di un poco il terzo dei voti. D’altra parte, fissare una soglia al 35% per un premio che dia il 54% dei seggi, significa dare un premio di ben il 19% e, se già è discutibile l’attuale 14% (che non ha pari in nessun altro sistema di maggioritario su lista), figuriamoci un premio del 19%. A questo punto, perché non il 25% o il 20% come soglia minima? Cioè mettiamo un numero a caso che, di fatto, garantisca che al primo turno, quello che ha un voto più degli altri fa “asso prende tutto”.Già, ma se poi ci accorgiamo che il M5S diventa partito di maggioranza relativa che si fa? Semplicissimo: cambiamo di nuovo la legge elettorale. Anzi do qualche suggerimento utile: stabilire che il premio viene dato al secondo e non al primo, oppure che c’è il “premio di minoranza” ma anche che i voti del Pd valgono il doppio degli altri. Perché no? Io mi chiedo con quale faccia il Presidente della Repubblica possa controfirmare una legge elettorale nata con questi presupposti e mi chiedo come potrebbe evitare la declaratoria di incostituzionalità la Consulta. Ricordo nuovamente lo stupore del mio amico danese Morten che, di fronte alla candida ammissione di Berlusconi di aver fatto “solo” tre leggi nel suo interesse, disse: “Ha detto proprio così? E non succede niente?!” Già: e non succede niente?!(Aldo Giannuli, “Leggi elettorali, decenza e codice penale”, dal blog di Giannuli del 26 luglio 2016).Se una disposizione della Costituzione non stabilisse che i voti e le opinioni espresse nei dibattiti parlamentari godono dell’imperseguibilità penale, i tre quarti di questo Parlamento meriterebbero la detenzione quantomeno per “interessi privati in atti d’ufficio” o “abuso di potere” se non per attentato alla Costituzione. Mi spiego meglio. Le leggi elettorali dovrebbero essere fatte con fini di carattere sistemico, anche perché si immagina che debbano durare nel tempo e non essere cambiate ad ogni votazione: io sono per il sistema proporzionale perché privilegio il principio di rappresentanza rispetto a quello di governabilità, mentre un altro può essere per il maggioritario per considerazioni opposte ed è legittima tanto la mia posizione quanto l’altra, perché non sono pensate per avvantaggiare un partito piuttosto che un altro. Poi i bari ci sono sempre stati e c’è sempre stato qualcuno che ha introdotto questa o quella clausola per avvantaggiare o, all’opposto, danneggiare un particolare competitore.
-
C’è qualcosa peggio di Renzi? Ma certo: è la sinistra Pd
Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani… C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime. Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo. E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa. Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale. D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.Che poi il referendum si faccia davvero il 6 novembre non sarei così sicuro, soprattutto per il rischio che si sovrapponga la crisi delle banche e magari l’ipotesi spacchettamento torna utile non per essere attuata, ma per fare manfrina fra Cassazione e Corte Costituzionale e guadagnare due o tre mesi di tempo, poi chi vivrà vedrà. In questo quadro fosco di drammi internazionali e di scenari interni assai preoccupanti, la sinistra Pd trova il modo di farci ridere, nostro malgrado, con una proposta elettorale semplicemente indecente. La riforma, presentata da quel raro talento di Speranza, prevede l’elezione dei deputati in 475 collegi uninominali a turno unico e 12 eletti all’estero con sistema proporzionale. Gli altri 143 seggi vengono così assegnati: 90 alla prima lista o coalizione, fino a un totale massimo di 350 deputati; 30 alla seconda lista o coalizione; 23 divisi tra chi supera il 2% e ha meno di 20 eletti.Cioè: eliminiamo il doppio turno perché se no vince Grillo, facciamo i collegi uninominali perché abbiamo più possibilità di battere Grillo, e ci accaparriamo così la maggioranza dei seggi. Poi, come se non bastasse, ci aggiungiamo altri 90 seggi, ma solo sino ad un massimo di 350, badate bene: ben 4 in meno del premio previsto dall’Italicum, 30 li diamo alla seconda lista (sperando che sia la destra e non il M5s) e 23 li distribuiamo come mancia fra quelli che, avendo superato la clausola di sbarramento del 2%, abbiano avuto meno di 20 seggi così una lista che magari ha avuto il 18% ma solo 15 seggi uninominali, piò anche arrivare ad averne 23-24 (una mancia non si nega a nessuno). E se non ci sono liste con più del 2% e meno di 20 seggi? In quel caso i 23 seggi li ridistribuiamo fra le due prime liste, ma se poi la prima lista ha già 350 seggi, li diamo alla seconda, tanto non cambia molto.Cioè un metodo maggioritario con correzione maggioritaria e clausola di sbarramento. L’Italicum è molto meno disrappresentativo: in fondo, quello che avanza da quel che va al vincitore, lo distribuisce proporzionalmente fra tutti quelli che superano la soglia di sbarramento. Naturalmente, questo superbo metodo elettorale che non ha eguali nel mondo (da nessuna parte si somma il maggioritario uninominale, il premio di maggioranza e la clausola di sbarramento, ma con la mancia finale) avrebbe il dono di far superare tutti i dubbi sulla riforma costituzionale e la “sinistra Pd” potrebbe lietamente aiutare Renzi a vincere! E ci vogliono imbrogliare? A Lecce dicono: “Io e te, ad un altro, sì. Tu a me no”. Poi la ciliegina sulla torta: Speranza dice che l’uninominale aiuterebbe a colmare il divario fra eletti ed elettori perché si restituirebbe agli elettori la possibilità di scegliere il rappresentante: come dire che, al ristorante ti presento una lista con un solo piatto e ti dico: “scegli!”. Ma Speranza è cretino o pensa che siano cretini tutti gli altri? Secondo me fa il doppio gioco…Neanche a dirlo il sistema è anche tecnicamente fatto in modo sbagliato, per cui può produrre risultati assolutamente controintuitivi. Ad esempio, assegnare la maggioranza al secondo e non al primo: se una lista, prevalendo di un solo voto per collegio, si accaparra 316 seggi ha già la maggioranza e, anche se il suo concorrente ottiene più voti nazionali, con tutto il premio dei 90 seggi, perde. Oppure può benissimo darsi che per la distribuzione del voto, nessuno abbia la maggioranza assoluta perché la lista A ottiene 200 seggi uninominali, più i 90 del premio (= 290) la lista B altri 200 (+ 30= 230) e gli altri 75 seggi uninominali vadano alla lista C ed ai minori che si prendono anche i 23 seggi di mancia. Risultato: nessuno ha la maggioranza per governare e, per di più abbiamo realizzato il sistema più disrappresentativo del mondo. Un capolavoro di ineguagliata grandezza! Questi della sinistra Pd (che non si capisce a nome di chi parlino e chi rappresentino) sono degli stalinisti andati a male per overdose di opportunismo e se sono “sinistri” lo sono nel senso di “loschi”. Il giorni in cui Renzi li sterminerà sino all’ultimo con ferocia turca, io applaudirò freneticamente. Anche alla disonestà intellettuale occorre mettere un limite, soprattutto quando viene da persone intellettualmente ipodotate.(Aldo Giannuli, estratti da “C’è qualcosa di peggio di Renzi? Sì, la sinistra Pd”, dal blog di Giannuli del 21 luglio 2016).Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani… C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime. Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo. E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa. Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale. D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.
-
L’ambigua grandezza di Pannella, rottamatore neoliberista
Più ombre che luci nella grandezza politica di Marco Pannella, protagonista indiscutibile del settantennio repubblicano. «Il personaggio ha meriti, e non piccoli», premette Aldo Giannuli, «come le battaglia per il divorzio, per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, e più in generale per i diritti civili, per la legalizzazione della cannabis, la denuncia della degenerazione partitocratica, di cui gli va dato atto lealmente». Ma attenzione: Pannella «ha avuto anche colpe somme come il sostegno all’ondata neoliberista, la banalizzazione della politica ridotta a celebrazione del leader (di cui fu il primo assertore) e a virtuosismo comunicativo privo di reali contenuti». E poi «l’allineamento servile agli Usa, le disgustose giravolte fra centrosinistra e centrodestra, sempre alla ricerca di spazi istituzionali», senza contare «le ambiguità sul terreno della lotta alla mafia, dove spesso il garantismo sfociava in una sorta di para-fiancheggiamento». Secondo il politologo dell’ateneo milanese, Pannella «ha espresso una visione della democrazia come competizione fra ristrette élites, sostenute da branchi di acritici attivisti».Nel leader radicale, Giannuli vede «un sostanziale rifiuto della dimensione strategica della politica, surrogata dalla totale delega all’estro momentaneo del leader (massima negazione del principio di democrazia, tanto diretta quanto rappresentativa) e dalla sua abilità nel manipolare le folle». Soprattutto, Pannella «ha colpe imperdonabili sul piano dell’involuzione costituzionale del paese: a lui (e a Occhetto e Segni) dobbiamo il colpo di Stato del 1993, quando la fine del sistema elettorale proporzionale ha aperto la strada allo sventramento della Costituzione e, paradossalmente alla definitiva deriva oligarchica del regime: il Parlamento dei nominati ha la sua premessa logica nella battaglia pannelliana per il maggioritario uninominale». Con questo, Pannella «è stato l’alfiere di un ceto politico senza qualità, l’élite senza merito». E la “questione morale”? «Fu un gran fustigatore dei costumi, durissimo accusatore delle greppie di regime, ma la sua battaglia contro i fondi neri dell’Eni, a metà anni Sessanta, ebbe come sbocco la costituzione della Radoil, titolare di due pompe di benzina generosamente concesse da Cefis e che a lungo provvidero alla sopravvivenza del Pr e sua personale».Quale sia il giudizio che se ne voglia dare, continua Giannuli sul suo blog, Pannella ha attraversato gran parte della storia della Repubblica, con una stagione di notevole fortuna fra gli ultimissimi anni ‘60 e i primi ‘90. «Un ventennio in cui esercitò un ruolo politico il cui peso fu sempre superiore alle magre percentuali elettorali che raccoglieva: e che mai raggiunsero il 4%, con l’eccezione unica ed effimera delle europee 1999». Secondo Giannuli, «molto di quel che è diventato questo paese oggi, nel bene, ma più ancora nella degenerazione e nella decadenza, è dovuto a Pannella: l’Italia è diventata, in parte per la sua opera, un paese più laico, più moderno, ma anche più cinico, più “americanizzato”, più oligarchico, meno industriale e più povero, diciamolo: più squallido». Gli eredi? Personaggi della statura di Rutelli, Giachetti, Della Vedova, Elio Vito. «Un esame storico puntuale e documentato richiederebbe molte pagine», conclude Giannuli. «Si impone un giudizio equilibrato, che rimandiamo a meno frettolosa occasione. Qui ci basta un giudizio breve e sintetico che vede le ombre prevalere sulle luci».Più ombre che luci nella grandezza politica di Marco Pannella, protagonista indiscutibile del settantennio repubblicano. «Il personaggio ha meriti, e non piccoli», premette Aldo Giannuli, «come le battaglia per il divorzio, per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, e più in generale per i diritti civili, per la legalizzazione della cannabis, la denuncia della degenerazione partitocratica, di cui gli va dato atto lealmente». Ma attenzione: Pannella «ha avuto anche colpe somme come il sostegno all’ondata neoliberista, la banalizzazione della politica ridotta a celebrazione del leader (di cui fu il primo assertore) e a virtuosismo comunicativo privo di reali contenuti». E poi «l’allineamento servile agli Usa, le disgustose giravolte fra centrosinistra e centrodestra, sempre alla ricerca di spazi istituzionali», senza contare «le ambiguità sul terreno della lotta alla mafia, dove spesso il garantismo sfociava in una sorta di para-fiancheggiamento». Secondo il politologo dell’ateneo milanese, Pannella «ha espresso una visione della democrazia come competizione fra ristrette élites, sostenute da branchi di acritici attivisti».
-
Luciano Canfora: attacco alla Costituzione, una lunga storia
L’attacco alla Costituzione partì già quasi all’indomani del suo varo. Il 2 agosto 1952 Guido Gonella, all’epoca segretario politico della Democrazia cristiana, chiedeva – in un pubblico comizio – di riformare la Costituzione italiana, entrata in vigore appena tre anni e mezzo prima, il 1 gennaio 1948. Si trattava di un discorso tenuto a Canazei, in Trentino, e la richiesta di riforma mirava – come egli si espresse – a «rafforzare l’autorità dello Stato», ad eliminare cioè quelle «disfunzioni della vita dello Stato che possono avere la loro radice nella stessa Costituzione». E concludeva, sprezzante: «la Costituzione non è il Corano!» (Il nuovo Corriere, Firenze, 3 agosto 1952). Nello stesso intervento, il segretario della Dc, richiamandosi più volte a De Gasperi, chiedeva di modificare la legge elettorale, che – essendo proporzionale – dava all’opposizione (Pci e Psi) una notevole rappresentanza parlamentare. L’idea lanciata allora, in piena estate, era di costituire dei «collegi plurinominali», onde favorire i partiti che si presentassero alle elezioni politiche «apparentati» (Dc e alleati).Come si vede, sin da allora l’attacco alla Costituzione e alla legge elettorale proporzionale (la sola che rispetti l’articolo 48 della Costituzione, che sancisce il «voto uguale») andavano di pari passo. Pochi mesi dopo, alla ripresa dell’attività parlamentare fu posto in essere il progetto di legge elettorale (scritta da Scelba e dall’ex-fascista Tesauro, rettore a Napoli e ormai parlamentare democristiano) che è passata alla storia come «legge truffa». Imposta, contro l’ostruzionismo parlamentare, da un colpo di mano del presidente del senato Meuccio Ruini, quella legge fu bocciata dagli elettori, il cui voto (il 7 giugno 1953) non fece scattare il cospicuo «premio di maggioranza» previsto per i partiti «apparentati». L’istanza di cambiare la Costituzione al fine di dare più potere all’esecutivo divenne poi, per molto tempo, la parola d’ordine della destra, interna ed esterna alla Dc, spalleggiata dal movimento per la «Nuova Repubblica» guidato da Randolfo Pacciardi (repubblicano poi espulso da Pri), postosi in pericolosa vicinanza – nonostante il suo passato antifascista – con i vari movimenti neofascisti, che una «nuova Repubblica» appunto domandavano.La sconfitta della «legge truffa» alle elezioni del 1953 mise per molto tempo fuori gioco le spinte governative in direzione delle due riforme care alla destra: cambiare la Costituzione e cambiare in senso maggioritario la legge elettorale proporzionale. Che infatti resse per altri 40 anni. Quando, all’inizio degli anni Novanta, la sinistra, ansiosa di cancellare il proprio passato, capeggiò il movimento – ormai agevolmente vittorioso – volto ad instaurare una legge elettorale maggioritaria, il colpo principale alla Costituzione era ormai sferrato. Ammoniva allora, inascoltato, Raniero La Valle che cambiare legge elettorale abrogando il principio proporzionale significava già di per sé cambiare la Costituzione. (Basti pensare, del resto, che, con una rappresentanza parlamentare truccata grazie alle leggi maggioritarie, gli articoli della Costituzione che prevedono una maggioranza qualificata per decisioni cruciali perdono significato). Ma la speranza della nuova leadership di sinistra (affossatasi più tardi nella scelta suicida di assumere la generica veste di partito democratico) era di vincere le elezioni al tavolo da gioco. Oggi è il peggior governo che l’ex-sinistra sia stata capace di esprimere a varare, a tappe forzate e a colpi di voti di fiducia, entrambe le riforme: quella della legge elettorale, finalmente resa conforme ad un tavolo da poker, e quella della Costituzione.Ma perché, e in che cosa, la Costituzione varata alla fine del 1947 dà fastidio? Si sa che la destra non l’ha mai deglutita, non solo per principi fondamentali (e in particolare per l’articolo 3) ma anche, e non meno, per quanto essa sancisce sulla prevalenza dell’«utilità sociale» rispetto al diritto di proprietà (agli articoli 41 e 42). Più spiccio di altri, Berlusconi parlava – al tempo suo – della nostra Costituzione come di tipo «sovietico»; il 19 agosto 2010 il “Corriere della Sera” pubblicò un inedito dell’appena scomparso Cossiga in cui il presidente-gladiatore definiva la nostra costituzione come «la nostra Yalta». E sullo stesso giornale il 12 agosto 2003 il solerte Ostellino aveva richiesto la riforma dell’articolo 1 a causa dell’intollerabile – a suo avviso – definizione della Repubblica come «fondata sul lavoro». E dieci anni dopo (23 ottobre 2013) tornava alla carica (ma rimbeccato) chiedendo ancora una volta la modifica del nostro ordinamento: questa volta argomentando «che nella stesura della prima parte della Costituzione – quella sui diritti – ebbe un grande ruolo Palmiro Togliatti, l’uomo che avrebbe voluto fare dell’Italia una democrazia popolare sul modello dell’Urss». Di tali parole non è tanto rimarchevole l’incultura storico-giuridica quanto commovente è il pathos, sia pure mal riposto.Dà fastidio il nesso che la Costituzione, in ogni sua parte, stabilisce tra libertà e giustizia. Dà fastidio – e lo lamentano a voce spiegata i cosiddetti «liberali puri» convinti che finalmente sia giunta la volta buona per il taglio col passato – che la nostra Costituzione sancisca oltre ai diritti politici i diritti sociali. Vorrebbero che questi ultimi venissero confinati nella legislazione ordinaria, onde potersene all’occorrenza sbarazzare a proprio piacimento, come è accaduto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La coniugazione di libertà e giustizia era già nei principi generali della Costituzione della prima Repubblica francese (1793): «La libertà ha la sua regola nella giustizia». Ed è stata poi presente nelle costituzioni – italiana, francese della IV Repubblica, tedesca – sorte dopo la fine del predominio fascista sull’Europa: fine sanguinosa, cui i movimenti di resistenza diedero un contributo che non solo giovò all’azione degli eserciti (alleati e sovietico) ma che connotò politicamente quella vittoria. Nel caso del nostro paese, è ben noto che l’azione politico-militare della Resistenza fu decisiva per impedire che – secondo l’auspicio ad esempio di Churchill – il dopofascismo si risolvesse nel mero ripristino dell’Italia prefascista magari serbando l’istituto monarchico.La grande sfida fu, allora, di attuare un ordinamento, e preparare una prassi, che andassero oltre il fascismo: che cioè tenessero nel debito conto le istanze sociali che il fascismo, pur recependole, aveva però ingabbiato, d’intesa coi ceti proprietari, nel controllo autoritario dello Stato di polizia, e sterilizzato con l’addomesticamento dei sindacati. La sfida che ebbe il fulcro politico-militare nell’insurrezione dell’aprile ‘45 e trovò forma sapiente e durevole nella Costituzione consisteva dunque – andando oltre il fascismo – nel coniugare rivoluzione sociale e democrazia politica. Perciò Calamandrei parlò, plaudendo, di «Costituzione eversiva» (1955), e perciò la vita contrastata di essa fu regolata dai variabili rapporti di forza della lunga «guerra fredda» oltre che dalle capacità soggettive dei protagonisti. C’è un abisso tra Palmiro Togliatti e il clan di Banca Etruria. Va da sé che l’estinguersi dei «socialismi» con la conseguente deriva in senso irrazionalistico-religioso delle periferie interne ed esterne all’Occidente illusoriamente vittorioso hanno travolto il quadro che s’è qui voluto sommariamente delineare. La carenza di statisti capaci e la autoflagellazione della fu sinistra non costituiscono certo il terreno più favorevole alla pur doverosa prosecuzione della lotta.(Luciano Canfora, “Attacco alla Costituzione, una lunga storia”, da “Il Manifesto” del 24 aprile 2015).L’attacco alla Costituzione partì già quasi all’indomani del suo varo. Il 2 agosto 1952 Guido Gonella, all’epoca segretario politico della Democrazia cristiana, chiedeva – in un pubblico comizio – di riformare la Costituzione italiana, entrata in vigore appena tre anni e mezzo prima, il 1 gennaio 1948. Si trattava di un discorso tenuto a Canazei, in Trentino, e la richiesta di riforma mirava – come egli si espresse – a «rafforzare l’autorità dello Stato», ad eliminare cioè quelle «disfunzioni della vita dello Stato che possono avere la loro radice nella stessa Costituzione». E concludeva, sprezzante: «la Costituzione non è il Corano!» (Il nuovo Corriere, Firenze, 3 agosto 1952). Nello stesso intervento, il segretario della Dc, richiamandosi più volte a De Gasperi, chiedeva di modificare la legge elettorale, che – essendo proporzionale – dava all’opposizione (Pci e Psi) una notevole rappresentanza parlamentare. L’idea lanciata allora, in piena estate, era di costituire dei «collegi plurinominali», onde favorire i partiti che si presentassero alle elezioni politiche «apparentati» (Dc e alleati).
-
Porcelli costituzionali, rottamano quel che resta dell’Italia
Pino Cabras li chiama “porcelli costituzionali”, l’ex ministro socialista Rino Formica li avrebbe battezzati “nani e ballerine”: sono gli yesman che mettono mano alle ultime regole rimaste, per liberarsene e lasciare campo libero ai super-padroni del grande business. Molti difensori della Costituzione parlano ancora come trent’anni fa, quando ancora c’erano Craxi e Andreotti, o come in anni più recenti, quelli dei girotondi contro il berlusconismo “eversivo”. Peccato che oggi l’Unione Europea – coi suoi diktat sui bilanci nazionali deprivati del potere di spesa pubblica grazie alla tagliola della moneta unica non più sovrana – scavalchi ampiamente le prerogative della Costituzione, sempre più lettera morta, piegata alla nuova sovranità “straniera” di Bruxelles. Certo, quel che resta della Carta fa ancora paura: fu Jamie Dimon (Jp Morgan) a spiegare che andava rottamata perché troppo garantista, troppo democratica, troppo attenta ai diritti del lavoro. E dunque le ultime picconate spettano a Renzi: «Ecco lo spettacolo assurdo: sono stati eletti con una legge incostituzionale, il Porcellum, e quindi non possono pensare nemmeno alla lontana di rappresentare correttamente il corpo elettorale, né sono legittimati a manomettere la Costituzione. Eppure fanno proprio questo».I renziani «fanno strame della Costituzione muovendosi dentro un orizzonte ristretto, in stanze chiuse e delegittimate, con discussioni e compromessi bizantini», scrive Cabras su “Megachip”. «E ci tocca sentire Maria Elena Boschi mentre dice che il popolo aspetta da 70 anni la riforma della Costituzione (che ha 67 anni)». Al di là dell’anacronismo ignorante, «è la prova definitiva che queste personalità non hanno rispetto alcuno verso una Costituzione che fu scritta usando parole semplici ma con una discussione sottostante molto complessa», un vero e proprio «capolavoro di ponderatissima ingegneria istituzionale». Anni luce, un altro millennio: «Per fare la Costituzione vigente fu eletta in modo proporzionale un’Assemblea Costituente, non un Parlamento di nominati. Al lavoro della Costituente si affiancava una grandiosa opera di alfabetizzazione costituzionale, partita prima dell’elezione dell’assemblea: oltre che esserci un ministero apposito (retto da Pietro Nenni), ogni giorno c’erano trasmissioni radiofoniche grazie alle quali si educavano e si informavano con grande correttezza milioni di cittadini». Sembra di sognare: «I partiti e altre formazioni sociali appassionavano più gente possibile alla scrittura del progetto di Costituzione».Era il personale politico uscito dalle rovine della guerra nazifascista: «Si trattava di personalità di ben altra dirittura e rappresentatività rispetto ai quattro scalzacani che oggi scrivono le “schiforme” in aggiunta all’obbrobrio della legge elettorale Italicum (il Porcellum al cubo)». I deputati della Costituente? Studiavano a fondo gli argomenti: «Giorgio La Pira ebbe l’illuminazione di far tradurre in italiano tutte le Costituzioni del mondo. A tutti i costituenti fu così distribuito un manuale utilissimo: quando prendevano in esame un qualunque tema di rilievo costituzionale, la loro visuale era autenticamente mondiale. Oggi abbiamo Verdini e Serracchiani (quella che ritiene che il presidente del Senato, “essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”) e altri irresponsabili che vogliono sottomettere ogni organo alla maggioranza di governo, come ricorda Gustavo Zagrebelsky». Lo spettacolo degradato della periferia consente comunque di illuminare lo scenario principale, europeo: la rimozione di qualunque residua sovranità nazionale, “pericolosa” perché elettiva e dunque democratica. Decisivo, in questo, il ruolo del centrosinistra europeista e tecnocratico, dagli anni ‘90.Niente di strano, dunque, se oggi «la principale forza che vuole rovesciare la Costituzione è proprio il Pd». E attenzione: «Non solo la maggioranza renziana, ma pure la sua minoranza (gente che si metterebbe a negoziare anche se volessero reintrodurre lo schiavismo)». Aggiunge Cabras: «Sono gli stessi che sin dall’inizio di questa pessima legislatura stavano avallando un processo di revisione costituzionale piduista, quello dei “Saggi” di Napolitano, poi fallito». Se fossimo in una situazione normale, cioè ancora paragonabile a quella del dopoguerra, basata su leggi orientate all’interesse pubblico, a tutela della comunità nazionale dei cittadini, si ragionerebbe così: «La Carta può esser cambiata – ricorda Cabras – ma con prudenza estrema, con studio e cercando largo consenso, non con le urgenze dettate dall’orizzonte di potere che si sta organizzando intorno a Renzi, il primo ministro meno eletto del mondo». Invece siamo “sudditi” di Eurolandia, i bilanci vengono stabiliti lontano dai confini nazionali, e persino quel che resta della sovranità formale – la Costituzione, appunto – viene rottamata in modo sbrigativo, come fosse spazzatura della storia.(Pino Cabras, “I porcelli costituzionali”, da “Megachip” del 26 settembre 2015).Pino Cabras li chiama “porcelli costituzionali”, l’ex ministro socialista Rino Formica li avrebbe battezzati “nani e ballerine”: sono gli yesman che mettono mano alle ultime regole rimaste, per liberarsene e lasciare campo libero ai super-padroni del grande business. Molti difensori della Costituzione parlano ancora come trent’anni fa, quando ancora c’erano Craxi e Andreotti, o come in anni più recenti, quelli dei girotondi contro il berlusconismo “eversivo”. Peccato che oggi l’Unione Europea – coi suoi diktat sui bilanci nazionali deprivati del potere di spesa pubblica grazie alla tagliola della moneta unica non più sovrana – scavalchi ampiamente le prerogative della Costituzione, sempre più lettera morta, piegata alla nuova sovranità “straniera” di Bruxelles. Certo, quel che resta della Carta fa ancora paura: fu Jamie Dimon (Jp Morgan) a spiegare che andava rottamata perché troppo garantista, troppo democratica, troppo attenta ai diritti del lavoro. E dunque le ultime picconate spettano a Renzi: «Ecco lo spettacolo assurdo: sono stati eletti con una legge incostituzionale, il Porcellum, e quindi non possono pensare nemmeno alla lontana di rappresentare correttamente il corpo elettorale, né sono legittimati a manomettere la Costituzione. Eppure fanno proprio questo».
-
Craxi: via noi, il regime violento della finanza vi farà a pezzi
Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione. La privatizzazione è presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca. Una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale. La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza.I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico, sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla.D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico. Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le Commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”. Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra, e adottato da tutti anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio.La montagna ha partorito il topolino. Anzi il topaccio. Se la Prima Repubblica era una fogna, è in questa fogna che, come amministratore pubblico, il signor Prodi si è fatto le ossa. I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti. I criteri con i quali si è oggi alle prese furono adottati in una situazione data, con calcoli e previsioni date. L’andamento di questi anni non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori. La situazione odierna è diversa da quella sperata. Più complessa, più spinosa, più difficile da inquadrare se si vogliono evitare fratture e inaccettabili scompensi sociali. Poiché si tratta di un Trattato, la cui applicazione e portata è di grande importanza per il futuro dell’Europa Comunitaria, come tutti i Trattati può essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali ed alle nuove esigenze di un gran numero ormai di paesi aderenti.Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà. Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione. Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro. La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata. Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali. Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare.(Bettino Craxi, estratti dal libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, ripresi da “Il Blog di Lameduck” il 19 maggio 2015. Il libro, edito da Mondadori nel 2014, cioè 14 anni dopo la morte di Craxi, raccoglie scritti del leader socialista risalenti alla seconda metà degli anni ‘90. Scritti che oggi appaiono assolutamente profetici).Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.
-
Votate chiunque tranne il Pd, vero nemico storico dell’Italia
Probabilmente chi simpatizza per il Pd, una volta letto il titolo, non leggerà il pezzo, indignato. Ma farebbe molto male, perché la lettura potrebbe risultargli utile per capire il clima con il quale il Pd (ma forse il “Partito della Nazione”) dovrà misurarsi sempre più nei prossimi anni e perché. Comunque, fate pure come vi pare, sono abituato a dire quello che penso senza giri di parole. E allora, perché sostengo che il Pd sia il nemico peggiore? Per tre ragioni fondamentali: la politica economica, la politica sociale, la democrazia e la corruzione. Politica economica: il Pd, sin dal suo appoggio al governo Monti di infelice memoria, poi con il governo Letta e ora con il governo Renzi, sta perseguendo una politica fiscale che sarebbe demenziale, se non fosse deliberatamente finalizzata alla svendita del paese. Le aziende grandi e piccole soffocano e muoiono sotto il peso del prelievo fiscale e dei tassi giugulatori delle banche, l’occupazione si assesta a livello drammatici e, pur se di poco, peggiora costantemente, incurante della cosmesi dei conti fatta dal governo.Il Pd è il partito del capitale finanziario straniero che deve liquidare il patrimonio immobiliare degli italiani, per poi fare ugualmente fallimento. E’ il partito che ha svenduto Bankitalia e si appresta a svendere i pezzi nobili di Eni e Finmeccanica. L’Italia è, per colpa del Pd, terreno di caccia dei capitali francesi, americani, cinesi, quatarioti ecc. Peggio non potrebbe fare. La politica sociale non ha bisogno di commenti: il Jobs Act e la recente riforma della scuola fanno quello che la destra berlusconiana non osava neppure immaginare. La democrazia: il Pd – e prima di lui il Pds e i Ds – da venti anni guida l’attacco alla Costituzione, liquidando prima di tutto la legge elettorale proporzionale, che ne era l’architrave, poi intaccandone più pezzi, ora con un disegno organico di sistema costituzionale da repubblica del centro America. Il Partito si è conseguentemente evoluto in “partito del leader”, avendo trovato in Renzi il volenteroso Caudillo.Nel campo della giustizia ha osato anche più di Berlusconi, con una politica punitiva dei magistrati, finalizzata non ad un miglioramento della macchina giudiziaria del nostro paese ma, al contrario ad un suo peggioramento e alla subordinazione del potere giudiziario all’esecutivo. La corruzione: per anni il Pci-Pds-Ds-Pd ha goduto di una sorta di rendita di posizione di “partito della questione morale” che lo ha messo al riparo dalle ondate di protesta e dalle inchieste di una magistratura amica, troppo amica. Il risultato è stato che, al confortevole riparo di questo scudo è crescita una classe politica di lestofanti peggiore di quella del Pdl di triste memoria. Mose, Expo, Mafia Capitale, Cooperative: tutti i maggiori casi più recenti di corruzione hanno visto gli uomini del Pd in prima fila e talvolta esclusivi attori. Ora piovono avvisi di garanzia, ma in troppi fanno ancora finta di niente. Possiamo continuare così?C’è poi un motivo in più, di ordine per così dire “estetico” che mi induce a guardate la Pd come al peggiore di tutti i mali: che la destra faccia il mestiere della destra è giusto che sia così, non mi indigno certo se Salvini fa certe sparate sugli immigrati, sono un suo avversario politico dichiarato e combatto le sue deliranti proposte, allo stesso modo in cui riconosco in Berlusconi un aperto avversario da contrastare senza incertezze, ma il Pd è peggiore perché non è meno di destra degli altri, anzi lo è di più, ma si ammanta di un falso sembiante di sinistra per abbindolare quei babbei che ancora ci credono e lo votano, pensando di sostenere la reliquia del Pci. Svelare il trucco e spezzare l’imbroglio diventa una operazione di pulizia morale, prima ancora che politica. Tutto ciò premesso – e aspettando di essere contestato nel merito delle accuse che muovo al partito di Renzi – non vi sembra che sarebbe molto salutare per il paese un voto che segni una inversione di tendenza, con un iniziale calo elettorale del Pd? Qualcosa che lo avvii alla sconfitta nelle prossime politiche?Per anni abbiamo vissuto sotto l’eterno ricatto del “se-no-vince-la-destra”. Il risultato è stata la fine della sinistra. Non vi sembra l’ora di rigettare il ricatto e colpire la destra peggiore? Io, come si sa, voto M5S: non ve la sentite? Va bene, non votate M5S, votate Sel, ma, se non siete di sinistra, votate Forza Italia (tanto siamo alla fine) e persino Salvini, Fratelli d’Italia (tanto non vanno al di là di una certa soglia e, comunque, siamo ad elezioni amministrative) o chi vi pare (dipende da quanto sono orrendi i vostri gusti). Arrivo a dire persino Alfano o Sc: è un voto perfettamente inutile, ma è innocuo e comunque sono voti sottratti al Pd. E magari, se proprio non sapete chi possa essere il “meno peggio”, disperdete il voto scegliendo la classica lista del fiasco (evitate però cose come Forza Nuova o Casa Pound: non esageriamo!). Tutto, ma puniamo il Pd. E’ probabile che il lettore del Pd non sia arrivato sino a questo punto dell’articolo, vinto dal mal di stomaco: pazienza, come dire: “ce ne faremo una ragione”. Ma agli altri, a chi sente di poter condividere questo punto di vista, chiedo una cosa: segnalate il pezzo agli amici per mail o nei social, fatelo vostro e riprendetene le argomentazioni, non mi interessa neppure essere citato, ma iniziamo insieme una campagna virale contro il Pd.(Aldo Giannuli, “Perché il nemico da battere è il Pd”, dal blog di Giannuli del 10 maggio 2015).Probabilmente chi simpatizza per il Pd, una volta letto il titolo, non leggerà il pezzo, indignato. Ma farebbe molto male, perché la lettura potrebbe risultargli utile per capire il clima con il quale il Pd (ma forse il “Partito della Nazione”) dovrà misurarsi sempre più nei prossimi anni e perché. Comunque, fate pure come vi pare, sono abituato a dire quello che penso senza giri di parole. E allora, perché sostengo che il Pd sia il nemico peggiore? Per tre ragioni fondamentali: la politica economica, la politica sociale, la democrazia e la corruzione. Politica economica: il Pd, sin dal suo appoggio al governo Monti di infelice memoria, poi con il governo Letta e ora con il governo Renzi, sta perseguendo una politica fiscale che sarebbe demenziale, se non fosse deliberatamente finalizzata alla svendita del paese. Le aziende grandi e piccole soffocano e muoiono sotto il peso del prelievo fiscale e dei tassi giugulatori delle banche, l’occupazione si assesta a livello drammatici e, pur se di poco, peggiora costantemente, incurante della cosmesi dei conti fatta dal governo.
-
Robecchi: e bravo Renzi, che ora privatizza pure le elezioni
Fate la prova renzino. Non è difficile e non serve nemmeno un laboratorio, basta il tavolino di un bar. Procuratevi soltanto una mezz’oretta e un devoto seguace del premier, di quelli acritici e ultramoderni, di quelli che sono per la “disintermediazione”, parola difficile che serve a descrivere, senza dirla, una gran voglia di discorsi dal balcone, o da Twitter, davanti a folle osannanti. Fatto? Ecco. Ora chiedetegli se Matteo Renzi, nel suo anno di governo, ha cambiato le cose, se ha fatto le riforme. Ne avrete in cambio un profluvio di argomenti entusiasti. Certo che sì! Matteo (lo chiamano così, è un vezzo moderno) ha fatto in un anno quello che lui (lui il renzino) aspettava da trent’anni (sentito dire anche da chi ne ha venticinque). Le Province, il Jobs Act, la pubblica amministrazione, il Senato… Insomma, avrete, in risposta alla vostra domanda, la granitica certezza dell’interlocutore: Renzi sta cambiando il paese. Ora passate alla seconda domanda: perché serve una legge elettorale come l’Italicum?La risposta sarà altrettanto convinta ed entusiasta: perché con l’attuale legge elettorale si è costretti a barcamenarsi e non si fanno le riforme. Ecco fatto: possiamo fermarci qui, a queste due risposte che sono la sostanza del problema. Punto uno: si fanno finalmente le riforme. Punto due: serve una legge elettorale che permetta di fare le riforme perché così non si riesce. È una contraddizione così palese che non meriterebbe commenti. Se Renzi è così bravo da fare tutte queste riforme anche con il risultato ottenuto da Bersani alle ultime elezioni – che tutti definiscono insufficiente, una “non vittoria” – perché vuole una legge elettorale che premi ancora di più l’esecutivo? Una legge che i migliori costituzionalisti descrivono come “pericolosa”? Il refrain non è nuovo e ha illustri precedenti. Bettino Craxi, da capo del governo, lamentava gli scarsi poteri del capo del governo. Berlusconi uguale. E ora Renzi dice lo stesso.Il disegno, insomma, è sempre quello: dare più poteri all’esecutivo a scapito della democrazia parlamentare o del voto dei cittadini (non si vota più per le Province, non si voterà più per il Senato…). E la motivazione è anche quella più o meno uguale: questo “eccesso di democrazia”, di pesi e contrappesi, impedisce di fare le riforme, cosa che si grida a gran voce proprio mentre si grida forte anche: “Ehi, stiamo facendo le riforme!”. Per corroborare questa tesi si descrive il paese come una palude immobile e putrescente, da cui ci salverà finalmente una nuova legge elettorale che annichilisca ogni opposizione. Insomma, mani libere, più potere e meno contrappesi. È l’identico meccanismo del capitalismo italiano, che per tradizione strepita che ci sono, a fermarne la luminosa marcia, troppi “lacci e lacciuoli”, mentre se avesse le mani totalmente libere, sai la cuccagna!Una filosofia che ha le sue varianti con la cosa pubblica: la si indebolisce con clientelismi e gestioni demenziali, si buttano i soldi dalla finestra, la si rende ingiusta e impresentabile, e poi – ultima e conseguente mossa – si chiede che venga privatizzata, un classico. Ecco, l’Italicum è questo: una privatizzazione. Poi uno pensa alle grandi riforme italiane, quelle vere, tipo il Servizio Sanitario Nazionale, e vede che si facevano, eccome, pure con il bicameralismo perfetto, pure con il proporzionale, con governi che cadevano ogni sei mesi e decine di partiti in Parlamento. Senza Italicum, insomma, e senza rischi per la democrazia.(Alessandro Robecchi, “Renzi ha fatto le riforme! E l’Italicum? Serve per le riforme”, da “Micromega” del 2 aprile 2015).Fate la prova renzino. Non è difficile e non serve nemmeno un laboratorio, basta il tavolino di un bar. Procuratevi soltanto una mezz’oretta e un devoto seguace del premier, di quelli acritici e ultramoderni, di quelli che sono per la “disintermediazione”, parola difficile che serve a descrivere, senza dirla, una gran voglia di discorsi dal balcone, o da Twitter, davanti a folle osannanti. Fatto? Ecco. Ora chiedetegli se Matteo Renzi, nel suo anno di governo, ha cambiato le cose, se ha fatto le riforme. Ne avrete in cambio un profluvio di argomenti entusiasti. Certo che sì! Matteo (lo chiamano così, è un vezzo moderno) ha fatto in un anno quello che lui (lui il renzino) aspettava da trent’anni (sentito dire anche da chi ne ha venticinque). Le Province, il Jobs Act, la pubblica amministrazione, il Senato… Insomma, avrete, in risposta alla vostra domanda, la granitica certezza dell’interlocutore: Renzi sta cambiando il paese. Ora passate alla seconda domanda: perché serve una legge elettorale come l’Italicum?
-
Mattarella al Quirinale, Renzi accolto nel Tempio di Draghi
«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.«Mario Draghi ha aperto le porte del tempio all’aspirante massone Matteo Renzi», scrive Toscano nel blog “Il Moralista”. Toscano è uno stretto collaboratore di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” e autore di “Massoni” (Chiarelettere), inedita rilettura del ‘900 partendo dal ruolo decisivo delle Ur-Lodges, le superlogge internazionali al crocevia del massimo potere mondiale. «Dopo il lungo e nefasto regno di Napolitano – scriveva Toscano alla vigilia del voto per il Quirinale – si intravede all’orizzonte la possibilità che al Colle ci finisca ora un personaggio grigio e oscuro come Sergio Mattarella». Fra tutti i nomi circolati sui quotidiani, «quello di Mattarella è certamente il più modesto e dimesso; così dimesso da far tornare alla mente quella famosa massima democristiana che spiegava come “alcune nomine servano in realtà a rendere strutturalmente vacante la posizione occupata”». Toscano parla di «un mosaico solo in parte visibile». Domanda: chi comanda davvero in Italia? Quali uomini decidono davvero le linee di indirizzo politico «poi pedissequamente recepite da partiti eterodiretti dall’esterno?».Fino a ieri il gioco era abbastanza scoperto, continua Toscano: «Giorgio Napolitano, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” al pari di Mario Draghi, supervisionava il progressivo svuotamento del benessere e della democrazia italiana per assecondare le bramosie speculative del mercato finanziario privato». Esaurito il mandato di Napolitano, «il sistema è costretto a ridisegnare un equilibrio di potere che finga di cambiare tutto per non cambiare nulla». Secondo Toscano, «l’occulto padrone e regista della vita politica italiana è il “venerabilissimo maestro” Mario Draghi, padre dell’austerità in Europa, che tratta l’Italia quasi fosse una sua dependance personale». Il presidente della Bce «esercita il suo potere riservatamente e con discrezione, lasciando che la pubblica opinione si distragga osservando le gesta di tanti figuranti che popolano il Parlamento con lo specifico compito di fare ammuina». Ma, «come ogni Sultano che si rispetti», anche Draghi «ha bisogno di nominare un Gran Visir al quale affidare il disbrigo degli affari correnti». E dunque chi, dopo Napolitano, «interpreterà ora il ruolo di cinghia di trasmissione dei voleri delle potentissime Ur-Lodges frequentate con costrutto dal capo della Bce? Mattarella? Niente affatto».Per Toscano, «il nuovo portavoce e plenipotenziario della massoneria reazionaria in Italia è Matteo Renzi, pronto per essere iniziato presso una delle Ur-Lodge più potenti e perverse del pianeta». Finito il periodo di “tegolatura”, cioè di attesa, l’ex sindaco fiorentino sarebbe oramai «sulla soglia del Tempio». Una volta «divenuto organico alle superlogge», il nuovo Renzi «potrà quindi finalmente rapportarsi direttamente con i “padroni”». Ma attenzione: «Per calarsi compiutamente nei panni di longa manus della massoneria oligarchica, Renzi ha però bisogno che sul Colle venga eletto un uomo incapace di fargli ombra. Un uomo cioè che si limiti a interpretare il ruolo in maniera neutra e notarile, lasciando cioè mano libera ad un premier oramai pienamente riconosciuto e legittimato dai vertici delle istituzioni latomistiche mondiali». Questo schema soddisfa tutti tranne Berlusconi: «Il vecchio re di Arcore è stato bastonato di nuovo da quegli stessi poteri che nel novembre del 2011 lo cacciarono senza complimenti e a calci in culo per fare spazio a Mario Monti con la scusa dello spread». Come aveva più volte preannunciato lo stesso Gioele Magaldi, il Patto del Nazareno «altro non era se non un patto “fra straccioni”, già pubblicamente sconfessato dalla massoneria che conta, per tramite di un articolo vergato tempo fa sul “Corriere della Sera” dal fedele scrivano Ferruccio De Bortoli».«Mattarella è stato indicato da Draghi», scrive Toscano, spiegando che «l’operazione portata a termine con astuzia dal capo della Bce è chiarissima». Il defunto Patto del Nazareno, amplificato ad arte dalla stampa, «univa in realtà due debolezze». Ovvero: «Due parvenu, Renzi e Berlusconi, estranei ai circoli massonici più elitari ed esclusivi, avevano deciso di stipulare un patto potenzialmente in grado di affrancarli in parte dal controllo delle Ur-Lodges più importanti. Tale accordo, che esprimeva come garante un massone casereccio e di basso livello come Denis Verdini, non poteva reggere di fronte all’offensiva di un peso massimo del livello del “venerabile” Draghi. E infatti non ha retto». A Renzi, continua Toscano, del “Nazareno” non è mai importato nulla: «Il nostro spregiudicato Rottamatore ha semplicemente usato il decadente Berlusconi per aumentare il suo potere contrattuale nei confronti dell’aristocrazia massonica sovranazionale. “O fate entrare in Loggia anche me”, questo lo spirito con il quale Renzi ha vissuto lo strumentale abbraccio con il Biscione, “oppure io riabilito il puzzone e comincio a menare fendenti contro l’Europa dei burocrati”». Alla fine, conclude Toscano, Renzi «ha ottenuto con il ricatto quello che voleva: a breve infatti il pinocchietto fiorentino verrà ritualmente iniziato presso una delle Ur-Lodge più influenti del globo terracqueo».Secondo indiscrezioni circolate nell’ambiente massonico, aggiunge ancora Toscano, Renzi potrebbe essere affiliato a breve alla superloggia di destra “Compass-Star Rose” o alla gemella “Pan-Europa”, entrambe caratterizzate dalla presenza di Christine Lagarde, esponente dell’oligarchia neo-aristocratica europea, secondo cui gli Stati dovrebbero prepararsi a tagliare drasticamente le pensioni a causa dell’innalzamento dell’aspettativa di vita degli anziani in Europa. Secondo le esplosive rivelazioni fornite da Magaldi, le superlogge come la “Three Eyes”, la “Pan-Europa” e la “Compass-Star Rose” costituirebbero la “cupola di potere” protagonista della sconfitta storica della sinistra sociale in tutto l’Occidente: dal declino insanguinato dei Kennedy alla fine del glorioso welfare europero, seppellito dal neoliberismo selvaggio e globalizzatore imposto attraverso l’influenza di istituzioni “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale fondata da David Rockefeller. Di qui l’assetto oligarchico dell’Unione Europea e l’imposizione delle “riforme strutturali”, brandite infatti anche da Renzi, con le quali colpire il mondo del lavoro e svuotare lo Stato, a beneficio delle grandi lobby economico-finanziarie.Sergio Mattarella è accolto al Quirinale tra cori di rispettoso consenso: il mainstream gli riconosce estrema sobrietà personale e rigorosa lealtà verso la Costituzione. Riuscirà a opporsi al disegno oligarchico euro-diretto contro l’Italia, nonostante sia stato candidato proprio dagli esecutori nazionali del sabotaggio dell’economia italiana? Il blog “Senza Soste” è pessimista, e parla dell’Italia come di «un paese che si spegne nel silenzio». La carriera di Mattarella si sarebbe sviluppata in modo “coestensivo” rispetto al declino italiano: «Se c’è un nucleo di scelte, tra gli anni ’80 e ’90, che hanno portato questo paese al disastro, Sergio Mattarella, da democristiano e da ministro della Repubblica, le ha condivise tutte». Tra le maggiori ombre, la legge che inaugurò il sistema elettorale maggioritario e la fedeltà atlantica dimostrata nella Guerra del Kosovo, coi bombardamenti sulla Serbia costati tremila vittime inermi. «Nella vicinissima Libia – continua “Senza Soste” – è in corso una guerra civile senza quartiere con una delle fazioni in campo direttamente affiliata all’Isis: in caso di necessità, il decisionismo militare di Mattarella sarebbe già stato testato per lo sforzo bellico». Stessa situazione «a quattro guanciali» per Bce, Ue e Fmi: «Non sarà certo Mattarella a mettere in discussione l’assetto continentale».A pochi giorni dal voto greco, aggiunge “Senza Soste”, «in risposta a quanto avvenuto ad Atene, l’Italia renziana e liberista ha dato quindi la sua risposta alla delegittimazione ellenica della Troika eleggendo un presidente di provata compatibilità con un ordoliberismo sottile quanto feroce». Mentre il paese affonda, «il settennato di Sergio Mattarella si avvia in democristiano torpore», anche grazie a una nomenklatura che riesce sempre a proteggere se stessa dal disastro nel quale sprofonda la nazione. Altrettanto diffidente, sul nuovo capo dello Stato, il blog “Sollevazione”: «C’è chi dice che non sarà solo un passacarte, che Mattarella si farà valere, che farà rispettare la Costituzione. Noi non ci crediamo. Renzi prima di renderlo papabile avrà ottenuto dal Nostro le sue garanzie. Mattarella non solo è stato un uomo chiave democristiano della “Seconda Repubblica”, ne è stato anzi uno degli architetti – la infame legge elettorale che nel decisivo 1993 scardinò il principio proporzionale non a caso porta il suo nome». La sinistra Pd e Sel lo hanno votato sperando che freni l’azione di Renzi? Si illudono: «Nelle prossime settimane si vota sulle “riforme” (leggi scasso) della Costituzione e sulla legge elettorale Italicum. Noi scommettiamo che Mattarella seguirà, pur con un più basso profilo proprio per non fare ombra a Renzi, le orme di chi l’ha preceduto e che non a caso è stato il suo principale sponsor». Perlomeno, il suo sponsor italiano. Se è vero – come scrive Toscano – che il vero sponsor risiede lontano dall’Italia, ben al di sopra del Parlamento di Roma.«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.