Archivio del Tag ‘rabbia’
-
Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà
Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.«Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente: «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.«Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.«C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
-
Francia, strage di poliziotti: un “suicidio” ogni quattro giorni
Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.I numeri sono impressionanti, fa notare Mazzucco: «Di fatto nel 2018 vi erano stati 68 fra poliziotti e gendarmi che si erano tolti la vita in Francia. E sono già 44 i loro colleghi che hanno fatto la stessa fine nei primi 6 mesi del 2019. Praticamente uno ogni 4 giorni». Per Mazzucco «sono cifre chiaramente fuori dalla norma, al punto che i due sindacati francesi dei poliziotti hanno chiesto al governo “misure urgenti per fermare questo massacro”». Tra i motivi dei suicidi, i sindacati citano «la fatica accumulata che continua ad affliggere quelli fra noi che sono più vulnerabili in termini di disponibilità di fronte ad un lavoro difficile». Sulla settimana nera delle forze di polizia francesi, “Le Figaro” scrive: il sindacato Alternative Police-Cfdt chiede «azioni concrete» per arginare questo «flagello». “Le Parisien” avverte: alcuni casi sono “sospetti suicidi”, la certezza sulle cause della morte degli agenti arriverà solo con le autopsie. L’associazione Mpc (Mobilitazione di Poliziotti Arrabbiati) scrive su Twitter che è come se fossero state eliminate, da inizio anno, «due brigate di polizia».Ma basta davvero la “fatica accumulata” per un “lavoro difficile” a portate tutte queste persone ad una scelta così drastica? Si domanda Mazzucco: se uno non ce la fa più, non può semplicemente dare le dimissioni e cercarsi un altro lavoro? E quindi: quale può essere la vera causa di un malessere così diffuso e così drammatico nelle forze di polizia francesi? Il primo presunto suicidio (eccellente) tra le forze di polizia francesi fu quello di Helric Fredou, commissario a Limoges, incaricato di indagare sulla strage di Charlie Hebdo. Aveva scoperto che la fidanzata di uno degli attentatori aveva stretti rapporti con un funzionario della Dgse, il servizio segreto nazionale. Il governo Hollande “seppellì” le indagini su Charlie Hebdo – apponendo il segreto di Stato (segreto militare, in questo caso) – quando un magistrato di Parigi, poco convinto del “suicidio” del commissario Fredou, aveva scoperto che il commando terrorista aveva usato dei Kalashnikov di fabbricazione slovacca appena acquistati da funzionari della Dgse presso un mercante d’armi, in Belgio.Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.
-
Formica: Trump e Putin mollano Di Maio e Salvini per l’Ue
Sapete chi è stato a imporre a Di Maio il voltafaccia sul Tav Torino-Lione, che probabilmente segnerà la morte politica dei 5 Stelle? Non tanto Salvini, quanto il vero padrone di casa: gli Stati Uniti. Ma non è che l’inizio: perché la testa di Luigi Di Maio, insieme a quella di Salvini, sarà servita su un piatto d’argento, sia da parte di Washington che di Mosca, per placare la voglia di vendetta dell’Europa, sfidata (solo a parole, per la verità) dal governo gialloverde. A pronosticarlo è Rino Formica, politico socialista della Prima Repubblica e osservatore smaliziato delle due incerte “repubbliche” successive. Secondo Formica neppure il voto potrebbe sanare la crisi. E nulla potrà la terza forza in campo, il fallimentare partito dei “badogliani”. «Ogni contratto ha valore a due condizioni», osserva Formica: «La prima è considerare l’oggetto del contratto, e dunque la situazione da gestire come statica e immobile. In politica è un grave errore, perché le cose si evolvono continuamente». E la seconda? «La seconda è che ad ogni inadempienza contrattuale corrisponde una sanzione». E nel contratto siglato da Lega e M5S «la clausola sanzionatoria è occulta, perché è scaricata su un terzo che non ha colpe: il popolo italiano», dice Formica, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”.«Prescindere dalla situazione in continuo movimento – spiega l’ex ministro craxiano – fa sì che il dibattito avvenga sulle clausole contrattuali prefissate. Ma queste sono continuamente superate, modificate, cancellate dal processo politico in atto. Di per sé già questo sancisce il fallimento del governo gialloverde». Poi, aggiunge Formica, c’è la crisi della clausola sanzionatoria delle inadempienze che stanno emergendo da una parte e dall’altra, dalla Flat Tax alla futura linea Tav Torino-Lione. E il conto «lo paga il paese», sostiene Formica. Andare al voto anticipato? «Avrebbe poco senso, perché non sarebbe risolutivo». Secondo l’ex ministro, «c’è una responsabilità delle forze di opposizione e dei mezzi di informazione», due “giocatori” che «non fanno emergere la crisi del contratto e la clausola occulta». Ci lasci indovinare, ipotizza Ferraù: l’Italia è incattivita e in preda al “fascismo”? Secondo Formica, chi oggi governa il paese «lo ha potato all’esasperazione, additando come cause fattori esogeni: l’immigrazione, l’incertezza sul lavoro, l’Europa, la corruzione, la mancata crescita. Il voto non risolverebbe i problemi – sostiene Formica – perché gli italiani sarebbero chiamati alle urne su argomenti che provocano lacerazioni: le stesse che vediamo nel nostro tessuto sociale».Ammettiamo che Salvini dichiari conclusa l’esperienza di governo e chieda di andare a votare, ragiona Ferraù. A quel punto, il capo dello Stato troverebbe subito un’altra maggioranza disposta a sostenere un governo di transizione? Non è questo il punto, secondo Formica: «Nel governo ci sono tre forze. M5S e Lega sono entrambi lacerati al proprio interno tra governisti e movimentisti. Due componenti interne, trasversali, che tendono alla divaricazione». E la terza forza? «È data dal gruppo dei ministri badogliani: Conte, Tria e Moavero. Hanno capito che la guerra è persa e non sanno più come evitare che l’edificio crolli loro addosso». Eppure, osserva Ferraù, hanno trovato l’accordo con l’Ue nella scorsa legge di bilancio: hanno evitato la procedura di infrazione e ora aspirano a gestire la prossima manovra. «Ma sono risultati che non hanno avuto effetti sul programma di governo», obietta Formica. I 5 Stelle e la Lega, «invece di fare un bilancio serio, trasparente, del primo anno di governo», finora «hanno enfatizzato il proprio contributo, dal contrasto all’immigrazione al reddito di cittadinanza». E adesso? «Si va verso una crisi profonda, segnata dalla rivolta dentro i 5 Stelle, che probabilmente avverrà anche all’interno della Lega, mentre i badogliani dovranno fare i conti con la propria inefficacia».Formica intravede il peggiore degli scenari possibili, per leghisti e grillini: «Sono dell’opinione che la crisi delle due formazioni passerà per la liquidazione dei due leader, Di Maio e Salvini». Motivo: i 5 Stelle e la Lega «hanno perso la battaglia con l’Unione Europea». Strategia fallimentare: «Avevano scommesso, sulla base di due alleanze (con Putin, con Trump o con entrambi), che sarebbero stati capaci di minare la stabilità dell’Europa. Ma l’instabilità dell’Europa non c’è, perché il voto europeo ha visto la vittoria delle forze europeiste. E gli europeisti regoleranno presto i conti con le forze ostili». Redde rationem: «In quel momento il realismo degli Stati Uniti e della Russia sarà favorevole all’iniziativa europea, e per dimostrarlo Washington e Mosca offriranno all’Europa le teste dei rispettivi “servitori” nei singoli paesi». Ma è così scontata l’obbedienza dei 5 Stelle a Washington? Per Formica, il movimento fondato fa Grillo «è un insieme di tante forze contraddittorie, ma la sua parte maggioritaria guardava e guarda al populismo americano».Cartina di tornasole della sottomissione grillina agli Usa, il diktat che secondo Formica i pentastellati avrebbero subito da parte dell’ambasciatore statunitense riguardo alla Torino-Lione: «Sulla Tav, Lewis Eisenberg ha chiamato Di Maio. Non si sono scambiati un cioccolatino… “Questa storia si deve chiudere, toglietevi dalle scatole”, gli ha fatto capire l’ambasciatore». Sicché, il M5S «non potrà più far finta che il contratto è in piedi e ne è solo rinviata l’attuazione. No: il contratto non c’è più». Secondo Formica, si sta avvicinando anche la fine di Salvini. Eppure – fa notare Ferraù – il leader della Lega ha il consenso di quasi il 40% degli italiani. «Per ora», precisa Formica. Ma domani? «Nenni diceva che alla fine ogni fiume risponde alla sua sorgente». E la sorgente della Lega «è il Nord». Cioè: «La vera Lega, elettoralmente parlando, è quella lombardo-veneta». Salvini? «Ha ottenuto il consenso del resto del paese solo in chiave reazionaria. Non durerà». Le prime scosse sismiche, sempre secondo Formica, arriveranno con la prossima legge di bilancio: «A dicembre, gli italiani si accorgeranno che l’inadempienza contrattuale è stata scaricata su di loro». E addio gialloverdi.Sapete chi è stato a imporre a Di Maio il voltafaccia sul Tav Torino-Lione, che probabilmente segnerà la morte politica dei 5 Stelle? Non tanto Salvini, quanto il vero padrone di casa: gli Stati Uniti. Ma non è che l’inizio: perché la testa di Luigi Di Maio, insieme a quella di Salvini, sarà servita su un piatto d’argento, sia da parte di Washington che di Mosca, per placare la voglia di vendetta dell’Europa, sfidata (solo a parole, per la verità) dal governo gialloverde. A pronosticarlo è Rino Formica, politico socialista della Prima Repubblica e osservatore smaliziato delle due incerte “repubbliche” successive. Secondo Formica neppure il voto potrebbe sanare la crisi. E nulla potrà la terza forza in campo, il fallimentare partito dei “badogliani”. «Ogni contratto ha valore a due condizioni», osserva Formica: «La prima è considerare l’oggetto del contratto, e dunque la situazione da gestire come statica e immobile. In politica è un grave errore, perché le cose si evolvono continuamente». E la seconda? «La seconda è che ad ogni inadempienza contrattuale corrisponde una sanzione». E nel contratto siglato da Lega e M5S «la clausola sanzionatoria è occulta, perché è scaricata su un terzo che non ha colpe: il popolo italiano», dice Formica, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”.
-
Tav, Governo del Tradimento: sangue e bugie, addio grillini
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.Il cedimento gialloverde emerge anche dalle parole di Beppe Grillo, secondo cui è illusorio «credere che basti essere al governo, in tandem, per bloccare un processo demenziale come questo». Per Grillo, «significa avere dimenticato che non siamo una repubblica presidenziale oppure una dittatura». Ammette il fondatore, che della battaglia NoTav aveva fatto una sua bandiera: «Sono molto scontento della situazione che si è venuta a creare». Ma non aggiunge altro, preparandosi a “digerire” il clamoroso voltafaccia difendendo Toninelli e Conte, che avrebbero reso «meno disastroso» lo scenario, tenendo testa a Macron. Come dire: scusate, ma finora avevamo scherzato. Vi avevamo promesso che ci saremmo messi di traverso, per fermare il Tav? Erano solo parole: come quelle contro l’obbligo vaccinale, il Tap in Puglia e le trivelle nell’Adriatico. Impossibile, sembra dire Grillo tra le righe, che un governo possa fare davvero gli interessi dei cittadini, e non quelli delle lobby che dominano l’Ue. Se non ci fossimo noi – aggiunge l’ex comico – sarebbe pure peggio. Come dire: non siamo colpevoli, e in ogni caso è inutile illudersi che il sistema possa essere cambiato. Ma non era proprio per questo che erano nati, i 5 Stelle? Difatti: non a caso, il loro consenso sta franando. E il “tradimento” sul Tav, come dice Durbiano, sembra davvero l’inizio della fine: tra poco i 5 Stelle potrebbero non esistere più.Dopo la sortita di Conte, affermano i NoTav, ora tutto è finalmente chiaro: «Come abbiamo sempre sostenuto, dalle parti del governo non abbiamo mai avuto amici». Aggiungono i NoTav: «La manfrina di tutti questi mesi giunge alla parola fine, e il cambiamento tanto promesso dal governo getta anche l’ultima maschera, allineandosi a tutti i precedenti». Formule retoriche, che si ripetono dal 2001 a prescindere dal colore politico dell’esecutivo di turno. Il governo Conte? Sembra aver voluto «cambiare tutto per non cambiare niente». Tante chiacchiere, ma poi – al dunque – il governo gialloverde «è sempre stato ambiguo, negli atti concreti, e questo è il risultato». Non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla? «E’ solo una scusa per mantenere in piedi il governo e le poltrone degli eletti, sacrificando ancora una volta il futuro di molti sull’altare degli interessi politici di pochi». Lo stesso Conte fino a poco tempo fa si era detto convinto che quest’opera non serviva all’Italia. Ora perché ha cambiato idea? E’ stato «fulminato sulla via di Damasco da promesse di finanziamenti europei o da equilibri politici da mantenere?».Recentissima la richiesta di arresto per il direttore della Cmc di Ravenna, general contractor della Torino-Lione, accusato per una storia di corruzione in Kenya. «Un piccolo esempio di cosa abbia scelto il presidente Conte», sottolineano i NoTav: «Altro che interessi degli italiani!». Del resto, aggiunge il movimento valsusino, «abbiamo sempre definito il sistema Tav il bancomat della politica». Cosa cambia, ora? «Per noi assolutamente nulla, perché sono 30 anni che ogni governo fa esattamente come quello attuale: annuncia il sì all’opera e aumenta il debito degli italiani facendo leva su un fantomatico interesse nazionale – che non c’è, e che nessuno dimostrerà mai». Opera inutile: lo dice anche la commissione speciale istituita da Toninelli e coordinata dal professor Marco Ponti. «Conte e il governo che presiede saranno gli ennesimi responsabili di questo scempio ambientale, politico ed economico: dalla Torino Lione la maggioranza del paese non trarrà nessun vantaggio, ma un danno economico e ambientale, che pagheremo tutti».E i 5 Stelle, da sempre NoTav, ora faranno finta di niente, tirando a campare? Bella sceneggiata, quella di «portare il voto in un Parlamento dove l’esito è già scontato, e dove il Movimento 5 Stelle voterebbe contro, tentando di salvarsi la faccia dicendo “siamo coerenti, abbiamo fatto tutto il possibile”». I NoTav annunciano battaglia: «Proseguiremo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile e imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto, mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo paese, che siamo convinti, sta con noi». Nel 2005, quando la polizia sgomberò con inaudita violenza i manifestanti dal presidio di Venaus, di colpo l’Italia scoprì che in valle di Susa c’era un problema – non locale, ma nazionale. «Non si possono imporre le opere pubbliche col manganello», disse Di Pietro. Da allora sono passati quasi 15 anni, e il governo in carica – stavolta rappresentato anche dai 5 Stelle – continua a premere per la grande opera senza la minima trasparenza, cioè evitando ancora una volta di dimostrarne l’utilità. Una storia tristemente italiana, di democrazia calpestata. Con un corollario: l’auto-rottamazione del movimento creato da Grillo.Era nell’aria: il Governo del Tradimento si sarebbe apprestato a rimangiarsi anche l’ultima delle sue promesse. Ovvero: non gettare via miliardi in valle di Susa per il Tav Torino-Lione, senza prima averne verificato l’utilità. La verifica – la prima, nella storia – era arrivata nei mesi scorsi dopo decenni di silenzio da parte dei governi romani, per merito del ministro Danilo Toninelli. Verdetto negativo, firmato dal più autorevole trasportista italiano, il professor Marco Ponti, già docente del Politecnico di Milano e consulente della Banca Mondiale: un’opera faraonica e completamente inutile, perfetto doppione della linea Italia-Francia che già attraversa la valle di Susa, collegando Torino e Lione via Traforo del Fréjus, da poco riammodernato al prezzo di quasi mezzo miliardo di euro per consentire il passaggio di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. Lo sapevano anche i sassi, peraltro: il traffico Italia-Francia è praticamente estinto. Lo chiarisce la Svizzera, delegata dall’Ue a monitorare i trasporti transalpini: l’attuale linea valsusina Torino-Modane-Lione, ormai semideserta e destinata a restare un binario morto anche nei prossimi decenni, potrebbe aumentare del 900% il suo volume di traffico, se solo esistesse almeno il miraggio di merci da trasportare, un giorno.
-
I 5 Stelle con Pd e Berlusconi votano in Ue contro l’Italia
Non sottovalutate quello che è successo l’altro giorno al Parlamento Europeo: è un preavviso di ciò che potrebbe accadere nei prossimi giorni in Italia. «I grillini che votano con l’odiato asse franco-tedesco, col Pd, coi popolari e con Forza Italia, contro la Lega e gli eurocritici, e diventano decisivi per eleggere Ursula von der Leyen, non sono solo un esempio di cialtroneria, uno spettacolo di clown e trasformisti», avverte Marcello Veneziani: «Sono un campanello d’allarme su come si potrà evolvere la situazione nostrana, quali pieghe insospettate potrà prendere». Ragiona Veneziani, su “La Verità”: «Quando un non-partito è in caduta libera nei sondaggi e nei voti, quando sa che la partita di governo che si sta giocando non consente repliche né prove supplementari, insomma quando si deve giocare il tutto per tutto, allora diventa disponibile a ogni operazione». Pur essendo incapace di governare, aggiunge Veneziani, il M5S diventa capace di tutto, pur di restare a galla, tenendo conto di due fattori decisivi, l’inconsistenza politica grillina e il ruolo di Conte, il premier venuto dal nulla. «I grillini – sostiene Veneziani – non hanno un’idea, una visione, una linea», visto che «sono una mucillagine coagulata dalla rabbia che assume le forme del momento, della rete, dei sondaggi più o meno pilotati».Sempre secondo Veneziani, i pentastellati «non hanno una storia ma solo una piattaforma mobile», e tantomeno hanno una cultura, un’etica politica, «se non il puerile abecedario forcaiolo che gli ha fornito qualche travagliato maestrino». Ovvero: «Basta gridare ogni tre per due “cacciamolo”, “processiamolo” o “in galera!” e poi si è a posto per ogni giravolta». A questa ameba proteiforme dei 5 Stelle, aggiunge Veneziani, «aderisce perfettamente un leguleio astuto come il premier professor avvocato Giuseppe Conte, che ha una sola linea di governo: sopravvivere a tutti i costi, galleggiare a qualunque prezzo». E quando gli ricapita? «Lui concorre a trasformare i grillini da bufali scatenati in vitel tonné da servire ai tavoli europei». Visti questi presupposti, «i grillini saranno buoni a nulla ma sono pronti a tutto pur di sopravvivere a Salvini e galleggiare: diventare alleati dei franco-tedeschi e di Berlusconi, del Pd e delle Ong, di Benetton e dei Sì-Tav, della Cina e del Venezuela». Pur di abbattere l’orso Salvini, «che è il loro alleato ma anche il loro carceriere e la loro sanguisuga», sono pronti a «sparagli un missile di fabbricazione franco-tedesca».Per Veneziani – filosofo e politologo, scrittore, saggista e giornalista – è evidente la matrice pirandelliana della politica italiana, «che i grillini ripercorrono come i trasformisti della prima, della seconda repubblica e della vecchia monarchia». Pirandelliana è l’alleanza con la Lega, «che li soffoca e li sostiene», e Salvini «è il loro amico principale e il loro nemico principale». Siamo al relativismo assoluto, al gioco delle parti e delle combinazioni, al paradosso come criterio di scelta e di comprensione. Risultato: «Il rovesciamento continuo dei ruoli, delle parti e degli scopi, l’ignoranza come virtù, la cultura come un demerito, l’odio del proprio paese come collante nazionale». Sicché, «tutti possono allearsi con tutti e con nessuno, recitano a soggetto, restano prigionieri di se stessi prima che della situazione, ciascuno a giorni alterni si accorda e si sottrae all’accordo, stringe mani e poi chiede mani libere. Il criterio è stare fuori, dentro, sopra o sotto il governo, l’Europa o i patti, senza mai coincidere in modo definitivo. Le variabili sono infinite e impazzite. È la Babele allo stato puro». Lo disse Leo Longanesi: la democrazia si replica per assenza di dittatore.«Solo Pirandello può spiegare quello che sta succedendo nel Movimento 5 Stelle tra Dima e Diba, nel Pd coi suoi personaggi in cerca d’autore, con Berlusconi funambolo che abbraccia Toti per soffocarlo, o coi sovranisti senza sovranità». E restano pagine di teatro surreale «la mimica di Berlusconi all’uscita dalle consultazioni con Mattarella o le prediche on the road con la testa roteante dell’Imam Ale Diba, o il rapporto perverso tra Renzi, Zingaretti, Minniti e il loro partito». Per Veneziani, «solo Pirandello può dare una spiegazione illogica a ciò che sta accadendo: tutto è esilarante, come il gas, e come il gas è letale». Sarà che non riusciamo a liberarci del negativo «perché si sono chiuse pure le discariche della politica in cui incenerire i rifiuti accumulati». Ma c’è qualcosa di assurdo e malefico, nell’aria, che non riusciamo a decifrare – e che siamo riusciti a esportare anche in sede europea. «Solo Pirandello ci può aiutare, dategli l’incarico di presiedere l’Authority della Pazzia. E il fatto che sia morto da un sacco di tempo – chiosa Veneziani – rende ancora più pirandelliana la situazione».Non sottovalutate quello che è successo l’altro giorno al Parlamento Europeo: è un preavviso di ciò che potrebbe accadere nei prossimi giorni in Italia. «I grillini che votano con l’odiato asse franco-tedesco, col Pd, coi popolari e con Forza Italia, contro la Lega e gli eurocritici, e diventano decisivi per eleggere Ursula von der Leyen, non sono solo un esempio di cialtroneria, uno spettacolo di clown e trasformisti», avverte Marcello Veneziani: «Sono un campanello d’allarme su come si potrà evolvere la situazione nostrana, quali pieghe insospettate potrà prendere». Ragiona Veneziani, su “La Verità”: «Quando un non-partito è in caduta libera nei sondaggi e nei voti, quando sa che la partita di governo che si sta giocando non consente repliche né prove supplementari, insomma quando si deve giocare il tutto per tutto, allora diventa disponibile a ogni operazione». Pur essendo incapace di governare, aggiunge Veneziani, il M5S diventa capace di tutto, pur di restare a galla, tenendo conto di due fattori decisivi, l’inconsistenza politica grillina e il ruolo di Conte, il premier venuto dal nulla. «I grillini – sostiene Veneziani – non hanno un’idea, una visione, una linea», visto che «sono una mucillagine coagulata dalla rabbia che assume le forme del momento, della rete, dei sondaggi più o meno pilotati».
-
Cucù, i minibot-vudù: così la Germania disinforma i tedeschi
Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?Qui però si ferma il giornalismo, quello di Eckert e di tanti colleghi, anche italiani. Con un’aggravante: neppure stavolta “Die Welt” spiega ai connazionali che la Germania se la gode, in Eurozona, solo grazie a privilegi esclusivi: non rispetta le condizioni-capestro che invece impone agli altri. E’ lo stesso Galloni a riassumere il senso della “vacanza europea” della Germania. Primo: le piccole banche tedesche – solo loro – si permettono il lusso di non rispettare i vincoli del Trattato di Basilea. E quindi continuano di fatto a emettere credito (quindi moneta-debito) verso l’economia reale. Secondo: il governo di Berlino non include nel bilancio la colossale spesa previdenziale: il costo delle pensioni non pesa sul debito nominale dello Stato. Terzo: nel calcolo del debito pubblico non entra neppure l’ingentissima spesa pubblica dei Lander, le Regioni. Se aggiungessimo queste voci – ha ricordato sul “Giornale” un imprenditore italiano come Fabio Zoffi, da anni attivo a Monaco di Baviera – il debito pubblico reale della Germania risulterebbe il 280% del Pil, cioè più del doppio del tanto vituperato debito italiano, per il quale il Belpaese viene sistematicamente messo in croce dai signori di Bruxelles.Se Daniel Eckert chiarisse tutto questo, probabilmente i lettori di “Die Welt” capirebbero perché l’Italia – in affanno, per disperata carenza di liquidità – tenta di giocare anche la carta dei minibot. «Sbaglia, chi pensa che siano l’anticamera dell’uscita dall’euro», sostiene su “ByoBlu” un parlamentare come Pino Cabras, in quota ai 5 Stelle: le forme di moneta parallela servono proprio a rimanere aggrappati alla moneta unica. Acrobazie italiane? Certo, perché l’Italia non gode dei privilegi della Germania e neppure di quelli della Francia, ricorda ancora Galloni, citando il franco Cfa che Parigi impone a 14 ex colonie africane. «Quella è valuta a pieno titolo, perché circola in più paesi, mentre i minibot non avrebbero valore fuori dall’Italia». Mario Draghi teme che possano aggravare il debito pubblico? Galloni lo smentisce anche su questo: «Tecnicamente, sarebbero solo “titoli di pagamento”, a valere su debiti già maturati e contabilizzati dalla pubblica amministrazione». Se poi lo Stato li accettasse come pagamento delle tasse, potrebbero anche essere scambiati come moneta: «Ma sarebbero moneta parallela solo nazionale, senza corso legale fuori dall’Italia, e in più accettabile – come mezzo di pagamento – solo su base fiduciaria, cioè con la possibilità di non accettarla».In altre parole, riassume Galloni: «I minibot sono perfettamente legali, in quanto non violano nessuna delle condizioni richiamate da Draghi: sarebbero illegali se corrispondessero all’emissione di euro o se costituissero uno stock aggiuntivo di debito pubblico, e invece non sono né una cosa né l’altra». La rabbia di Draghi, aggiunge Galloni, deriva semmai dalla piena consapevolezza di non poter intervenire sul vero problema, cioè la distribuzione della liquidità. Infatti, la Bce si occupa solo dell’erogazione complessiva della massa monetaria: «Gli euro emessi da Francoforte finiscono largamente alla finanza anziché all’economia reale, settore di cui ormai fanno parte anche gli Stati, ridotti a elemosinare credito alle banche». Con due eccezioni, appunto: la Germania (cui è permesso di non rispettare le regole Ue) e la Francia, che a sua volta “respira” grazie al franco Cfa: «Si dirà che il Cfa non viola il Trattato di Lisbona perché quello delle ex colonie francesi è un circuito chiuso. Ma se è legale il franco Cfa – chiosa Galloni – allora sono “legalissimi” i minibot italiani, concepiti per tamponare la disperata “fame” di liquidità a cui la Bce non riesce a rimediare. E questo, Draghi lo sa benissimo».Non lo sanno, di sicuro, i lettori tedeschi “informati” da Eckert, allarmatissimo all’idea che Roma vari minibot di piccolo taglio (100 euro) come pagamento di aziende che attendono di essere saldate dallo Stato, e addirittura impiegabili anche per pagare le tasse (e quindi scambiabili, da un contribuente all’altro, come pagamento alternativo agli euro). «Da quel momento in poi, è solo un piccolo passo verso una valuta parallela», scrive Eckert, che evidentemente ignora la differenza fondamentale tra “valuta” (convertibile in oro, in euro o in divise estere) e “moneta parallela” (non convertibile, né spendibile fuori dal paese). Mai e poi mai, i minibot potrebbero essere “valuta parallela”. Eppure, scrive sempre Eckert, è esattamente «quello che potrebbe mirare a fare» quel mascalzone di Matteo Salvini, «leader della Lega di destra». La prova? «Il portavoce economico della Lega, Claudio Borghi, è un acceso sostenitore dei piccoli mostri fiscali». Fantastico: la Germania bara su tutto, dopo aver raso al suolo la Grecia e sabotato l’Italia, ma a produrre i “mostri” è il terribile Claudio Borghi, universalmente noto per essere di gran lunga il più mite e prudente tra gli economisti al lavoro per tentare di tamponare la voragine-Italia creata da questa Europa a trazione franco-tedesca, sfrontatamente autocelebratasi nell’inaudito Trattato di Aquisgrana (che fa a pezzi l’idea stessa di Unione Europea).«Come per gli altri paesi dell’unione monetaria, vale anche per l’Italia: la moneta a corso legale è solamente l’euro», strilla Daniel Eckert, sfoderando accenti criminologici contro gli incorreggibili italiani. Ma sbaglia, anche qui: in base all’articolo 128 del Trattato di Lisbona, l’euro è l’unica moneta a corso legale a livello di valuta (valida anche per l’estero), mentre lo stesso trattato non esclude affatto la creazione di monete parallele, anch’esse “a corso legale”, sebbene solo entro il territorio nazionale. «Se i minibot si diffondessero in tutta l’economia italiana e venissero passati di società in società e di cittadino in cittadino, lo Stato italiano potrebbe farsi il proprio denaro», aggiunge l’ineffabile Eckert, senza domandarsi – di nuovo – perché mai gli italiani dovrebbero ricorrere a questa mossa, che crea loro un sacco di guai diplomatici. «Nel corso del tempo – aggiunge – i nuovi coupon sarebbero negoziati sul mercato e quotati ad un prezzo (presumibilmente inferiore) rispetto all’euro». Per “Die Welt”, «sarebbe l’inizio della strisciante uscita dell’Italia dall’euro». Si possono scrivere stupidaggini di questo tipo, nel 2019, su un grande giornale europeo? Eccome. E succede in quasi tutti i giornali europei, grandi e piccini.Sempre in chiave criminologica, il “detective” Eckert consulta un super-tecnocrate come Thomas Mayer, capo-economista del “Flossbach von Storch Research Institute”. Con i minibot, sostiene Mayer, si può almeno «minacciare di lasciare gradualmente l’euro, se si è costretti dall’Ue a ridurre il deficit». Un altro “guru” interpellato da Eckert, il banchiere Erik Nielsen (capo-economista di Unicredit a Londra), chiarisce che i minibot «non sono l’inizio di una nuova valuta». Ma Eckert non si dà per vinto: «La confusa politica di comunicazione di Roma – scrive – ha contribuito a confondere l’idea potenzialmente significativa di cartolarizzare il debito pubblico, con la dottrina “voodoo” di una valuta parallela». Dopo il thriller, ecco l’horror: i lettori di “Die Welt” apprendono da Eckert che l’abominevole governo italiano pratica pure la stregoneria del voodoo. Aggiunge il giornalista tedesco, come monito: in Grecia, Yanis Varoufakis aveva seguito una strategia simile durante il suo breve mandato come ministro delle finanze. «Alla fine, tuttavia, non è riuscito a prevalere contro la Troika». E certo: Ue, Bce e Fmi hanno disintegrato Atene, riducendo la Grecia a paese del terzo mondo, coi bambini uccisi dall’assenza di medicine negli ospedali. Gran bel risultato.«La Commissione e altri paesi preferirebbero non minacciare una uscita dell’Italia», dice Thomas Mayer, secondo cui «Salvini ha carte migliori oggi, rispetto a Varoufakis nel 2015», riferendosi all’importanza dell’economia italiana rispetto a quella ellenica. L’Italia, riconosce infine lo stesso Eckert, è la terza economia più grande nell’Eurozona dopo Germania e Francia, ma «a differenza di altre economie», il Belpaese, pure membro fondatore della Comunità Europea del 1957, «non ha apparentemente beneficiato dell’appartenenza all’unione monetaria». Evviva. «Soprattutto dopo la crisi finanziaria – aggiunge Eckert – la debolezza degli europei del Sud è divenuta sempre più evidente: l’indice della Borsa di Milano oggi è allo stesso livello di dieci anni fa, e il Dax è più che raddoppiato nello stesso periodo. Mentre altre importanti economie europee possono indebitarsi a tassi d’interesse pari a zero o appena marginali – continua Eckert, sempre senza mai chiedersi il perché – i partecipanti al mercato dei capitali italiani richiedono il 2,6% per i titoli di Stato decennali». E la Grecia ridotta alla fame, che il giornalista definisce «agitata», ora «paga solo leggermente di più, il 2,8%».“Die Welt” ricorda che il debito italiano «è uno dei più alti del mondo», pari a oltre il 130% del Pil. «Secondo le normative dell’Ue, è consentito un massimo del 60%». Bravo Eckert: evita di ricordare che il debito nominale della Germania è attorno all’80% (quindi oltre la soglia Ue). Ma soprattutto: non sa, o finge di non sapere, che il debito pubblico tedesco – quello vero – è oltre il triplo della cifra dichiarata. Su queste basi omertose e omissive, reticenti e quindi disastrosamente fuorvianti, il “professor” Eckert – senza curarsi di informare davvero i lettori tedeschi – si permette di aggiungere che, visto il boom elettorale delle europee, in cui «i populisti di destra hanno raddoppiato la loro percentuale di voti», arrivando a superare il 34%, ora «l’uomo politico della Lega potrebbe impostare le eventuali elezioni anticipate come un voto sull’indipendenza del paese da Bruxelles». Anche qui: per quale motivo, tutto questo dovrebbe accadere? Ma niente da fare: alle domande, Eckert preferisce le risposte: «Da sola, la minaccia di una valuta parallela potrebbe destabilizzare l’Eurozona». Ah, questi italiani: pazzi criminali. «Con un debito totale di 2,3 trilioni di euro, Roma ha un enorme potenziale di minaccia». Brrr, che paura…Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?
-
Galloni a Draghi: i minibot non sono né valuta né debito
Dobbiamo allinearci alle posizioni della Germania per quanto riguarda il funzionamento del sistema bancario. Cioè: le piccole banche devono poter prestare denaro (e quindi creare credito, moneta, liquidità) senza bloccarsi davanti al rating dei parametri di Basilea, che impediscono alle banche stesse di fare quest’operazione. In Germania le piccole banche sono sollevate da quest’obbligo, e quindi la Germania ha anche questa via d’uscita. Non solo: la Germania mantiene la gestione previdenziale fuori dal bilancio dello Stato, così come la spesa pubblica dei Lander. Queste tre circostanze – piccole banche, pensioni e spese delle Regioni – fanno sì che la Germania possa respirare. Anche la Francia respira, ma a scapito degli africani, perché stampa (emette, immette) il franco Cfa: una moneta che è anche una valuta, visto che circola fuori dalla Francia e non è quindi un circuito solo nazionale. Uno potrebbe dire: non viola l’articolo 128 del Trattato di Lisbona, perché la Francia costituisce con le sue ex colonie un circuito chiuso, nell’ambito del quale viene accettato questo mezzo di pagamento (che non va in Germania, né in Italia o in Olanda), e quindi è rispettoso. Ma se è rispettoso il franco Cfa, allora a maggior ragione dovrebbero esserlo i minibot: perché se fossero illegali i minibot, allora il franco Cfa sarebbe “illegalissimo”.
-
Tasse, sicurezza, migranti: il sovranismo non è passeggero
Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.Dall’altro versante ritorna in campo la sinistra con posizioni esattamente opposte ai sovranisti in tema di Europa e di migranti, di bioetica e di sicurezza, di economia e di sovranità. È una forza di netta minoranza, che oscilla tra il 22 e il 28 per cento, se si considera l’intero versante sinistro, inclusa la Bonino, pur con forti insediamenti in alcune città e una vasta ramificazione nei gangli vitali della società e nelle élite: nella scuola e nella cultura, nella magistratura e nella stampa. Sul piano elettorale non è stata particolarmente significativa la rimonta elettorale del Pd. Essere all’opposizione di un governo diviso su tutto e attaccato massicciamente, agitare i mostri del passato, il nazismo e il razzismo, avere dalla propria parte i media e i poteri europei, vedere decomporsi il Movimento 5 Stelle, e vedere crescere “la destra” a un livello che non c’è mai stato, non mi pare un gran risultato per la sinistra. La polarizzazione intorno a Salvini avrebbe dovuto farla crescere molto di più. Ma al di là della contabilità elettorale, il Pd rappresenta un’area, un mondo, una posizione antagonista rispetto al fronte sovranista. Qual è il nemico ideologico del sovranismo? Sul piano negativo è l’antifascismo, sul piano “positivo” è l’ideologia dell’accoglienza. La sinistra in Italia oggi è attestata nella versione secolare del bergoglismo.Non trovano spazio e ruolo, invece, le forze che si pongono al di fuori di questa polarizzazione, dal centrifugo Movimento 5 Stelle al centrista ondivago Forza Italia. Il Movimento 5 Stelle ha funzionato come collettore del dissenso e raccoglitore dei malesseri e dei rancori popolari, ma non funziona come forza di governo e come catalizzatore di opinioni e programmi; non si inserisce con un suo orientamento sui temi decisivi del nostro presente. I grillini sono inconsistenti sul piano dei contenuti e perciò sono alleati con una forza che reputano di destra ma, per differenziarsi, si conformano al trend della sinistra. Lo schema vecchio-nuovo e sistema-antisistema funziona finché non sei al governo. Da parte sua, Berlusconi si è battuto come un leone ma ha confermato il suo declino; del resto non si può puntare su una ristampa anastatica di se stesso, in versione plastificata, e fingere di essere ancora al centro dell’universo, strizzando l’occhio ora al versante populista ora al versante opposto. Fino a ieri si poneva come garante dei sovranisti, oggi come argine contro i medesimi e si apre alla grosse koalition con la sinistra europea. E poi si chiede perché Salvini e Meloni (e tanti elettori) non si fidano di lui…I sovranisti sono cresciuti in mezza Europa, sono primo partito in Francia, in Inghilterra, in Ungheria, in Polonia e in Italia. Ma, come prevedevamo, saranno pure più influenti ma gli assetti europei di potere in sostanza non cambieranno, si estenderanno solo le alleanze. Dunque non ci sarà alcun terremoto a livello europeo. E in Italia? Anche qui non si prevedono terremoti politici ma scosse di assestamento, secondo quando annunciato dagli stessi protagonisti, a cominciare da Salvini. Il baricentro del governo passerà dai grillini ai leghisti e vedremo se questo sarà concretamente praticabile e se potrà perdurare. Non si intravede, per ora, una svolta come quella auspicata dalla Meloni. Accadrà solo se i 5 Stelle sceglieranno la via dell’opposizione, giubilando Di Maio. Insomma, il test europeo colpisce ma non stravolge gli assetti presenti né in Europa né in Italia.Cosa impedisce allora di ritenere che il grande successo della Lega sia passeggero, come è già accaduto in passato ad altri trionfatori delle elezioni europee? Una considerazione: l’onda sovranista tocca temi non passeggeri ma strutturali, destinati a durare nel tempo. E il sovranismo nostrano si collega a un quadro mondiale che va da Trump a Orban, passando per Marine Le Pen e tanti altri leader nazional-populisti vincenti nel mondo, dall’India al Brasile. Dunque saranno pure variabili gli umori dell’elettorato e saranno pure passeggeri i trionfi dei leader, come mostrano le parabole di Renzi, Di Maio, ecc.; ma quei temi, quegli orientamenti, quegli schieramenti delineati indicano tendenze marcate, destinate a durare. Il bipolarismo è rinato nella società civile prima che nella politica, e guai a chi finge di non vederlo. Si vedrà se i leader e le forze in campo saranno all’altezza di rappresentarlo oppure no.(Marcello Veneziani, “Il sovranismo non è un fenomeno passeggero”, da “La Verità” del 29 maggio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.
-
Tav Torino-Lione, la bancarotta italiana dei politici falliti
Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). Non si può dire altrettanto del governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati e ora è ridotto a mendicare clemenza da Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamarebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.Stato confusionale: agli italiani avevano raccontato che la morale fa a pugni con la politica. E in nome di una pretesa moralità (la loro) hanno rottamato la politica (sempre la loro, quella che avevano lasciato intravedere nella vaga tuttologia dei loro non-programmi). Nebbiogeni su ogni cosa, i 5 Stelle: armamenti, vaccini, Europa, economia, grandi opere. Laddove sono stati costretti a esprimersi in modo chiaro – il Tap, gli F-35, l’obbligo vaccinale – si sono rimangiati la parola nel modo più plateale. Salvo ricorrere alla farsa nel caso del loro ultimo cavallo di battaglia, il reddito di cittadinanza, ridotto a caricatura stracciona di qualcosa che un tempo si sarebbe definito welfare. L’ultimo passo verso il baratro attende i 5 Stelle in valle di Susa, dove lo stesso Grillo – dal 2005 in poi – ha coltivato personalmemte, con grande impegno, il seme del Partito degli Onesti, schierandosi contro la maxi-opera più inutile d’Europa. Il ministro Toninelli è stato letteralmente fatto a pezzi – sui media – per aver osato compiere l’azione più sensata possibile: affidare il verdetto sulla fattibilità a una autorevole commissione di tecnici. Una scelta che sarebbe normale, in mondo normale. Un atto eroico, invece, nel caso italiano. Scontato, peraltro, l’esito dell’analisi costi-benefici: la Torino-Lione (costosissima e devastante per l’ambiente) sarebbe una ferrovia completamente inutile.E’ diventato un totem, il progetto Tav Torino-Lione. Se ne parla da più di vent’anni, ma del tunnel Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sull’ipotetica infrastruttura per le merci (perfetto doppione della linea Torino-Lione già esistente, deserta per assenza di merci da trasportare) si sono versati fiumi di parole bugiarde: la più colossale operazione di disinformazione attuata in Italia negli ultimi anni. Lo confermano le recenti elezioni regionali piemontesi, dove proprio il fantasma del Tav valsusino è stato elevato – da tutti i principali attori, centrodestra e centrosinistra, Chiamparino e Zingaretti, Salvini e Meloni – al rango di entità salvifica, pressoché metafisica, nemmeno fosse una sorta di Piano Marshall per il Piemonte. Poche centinaia di addetti, per la sola durata dei cantieri. Un suicidio economico, tranne che per la ristretta filiera degli appalti. Verità a tutti nota, stra-dimostrata da studi autorevolissimi, eppure risolutamente negata. Il maxi-obbrobrio servirebbe solo ad arricchire i suoi costruttori: è stato calcolato che ogni singolo operaio costerebbe un milione di euro, data l’enormità della spesa e l’esiguità del profilo occupazionale. Ma peggio: in vent’anni, i governi a favore dell’opera – di qualsiasi colore – si sono sempre rifiutati di spiegarne l’eventuale utilità. Un silenzio assordante, che non si è interrotto neppure quando la valle di Susa è diventata un problema di ordine pubblico. Nessuna spiegazione, mai, sul perché aprire quei cantieri. Solo slogan, depistaggi, insulti.Insifignicante sul piano strategico ma doloroso sotto l’aspetto finanziario, il progetto Tav Torino-Lione è diventato l’emblema del fallimento italiano: sovranità democratica confiscata con la forza della menzogna. Modelli economici falliti, partiti falliti, politici falliti: al Piemonte (4,3 milioni di abitanti) si continua a raccontare che, senza quella linea ferroviaria – destinata a restare deserta in eterno – la regione precipiterà nella miseria. L’unica forza politica capace di opporsi a questa menzogna orwelliana è stato il Movimento 5 Stelle, che ora però gli elettori piemontesi hanno punito, relegandolo nel recinto umiliante del 13% dei consensi. In pratica – ha concluso Salvini – è stato un referendum sulla Torino-Lione. Si preparano dunque ad avviarla, finalmente, l’inutile follia. Chi resta, a guardia della ragione? Luigi Di Maio, solo lui. Un mini-leader dimezzato, rintronato dalla disfatta, cannibalizzato dall’alleato di governo. In altre parole, inerme. Ma telecomandato, come sempre, da Grillo e Casaleggio. Vista l’attitudine al voltafaccia su qualsiasi impegno, è facile attendersi che i 5 Stelle capitoleranno, infine, anche sul Tav valsusino, imposto dall’oligarchia europea che ha piegato il paese. Il fallimento dell’Italia, a quel punto, raggiungerà la perfezione anche sul piano simbolico. Non ci sono alternative, diceva la Thatcher. Non ce ne sono davvero, se manca un pensiero politico capace di progettare il futuro partendo dalla giustizia sociale.Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). E il governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati, ora è ridotto a mendicare clemenza a Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamerebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.
-
Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
-
Da Bossi in poi, i “guerrieri” li sceglie il potere. E li votiamo
La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.In cosa consiste il progetto della sovragestione? Partiamo dall’89, anche se la storia inizia molto, molto prima. Dopo il crollo del Muro di Berlino lo scenario geopolitico internazionale è mutato e il network dei poteri forti ha favorito ufficialmente, e non più sottotraccia, il vento delle nuove destre, ora tecnofinanziarie, ora populiste, ora di centrodestra, ora di centrosinistra, trasversali e apolidi. In Italia Tangentopoli è stato lo spartiacque tra il vecchio sistema oramai in putrefazione e la nuova classe dirigente, è stata l’occasione di aggiornare il sistema in termini dispotici, seguendo un paradigma liberista neocon, neo-aristocratico, di austerity, di svuotamento dell’apparato statale, di destrutturazione dello Stato Sociale, di impoverimento progressivo delle classi sociali; modello perseguito da tutto l’arco politico costituzionale, trasversalmente e senza distinzioni degne di nota. La Sovragestione del progetto di quella che sarebbe diventata la cosiddetta 2° Repubblica nasce molto prima, già prevista alcuni decenni fa; ed era facile previsione, perché dopo 20 anni di future austerity e di politiche economiche anti-statali, anti-sovraniste, di impoverimento del ceto medio, gli elettori si sarebbero naturalmente spostati negli anni verso contenitori populisti.E infatti, e per tempo, è corsa ai ripari, plasmando fin da subito negli anni ‘80 una forza che sarebbe cresciuta negli anni a venire: la Lega Nord, “pensata” dall’ideologo Miglio in contrapposizione proprio a quello statalismo italico, nata come formazione secessionista, anticipando su scala nazionale quell’Europa su due livelli, oggi cruda realtà, quindi cresciuta in un’ottica ed in una visione anti-sovranista, anti-statale e filogermanica. Quello fu il primo baluardo, il primo virus introdotto nel corpo morente italico. Contemporaneamente, fu la volta di Berlusconi che è stato il primo vero populista vincente e aggiornatore del palinsesto culturale, mentre il Pd si occupò della svendita del Belpaese e di inseguire anch’esso politiche liberiste neocon; fino alla creazione dei 5 Stelle, nati come contenitore moderno e di passaggio del dissenso popolare, oggi in crisi e forse al termine di un percorso che li ha visti utili idioti di una Sovragestione che li ha strumentalizzati, utilizzati e poi scaricati.Trent’anni di malapolitica imposta dalla Sovragestione hanno quindi favorito la pancia e la rabbia dell’elettorato che, anche a suon di propaganda divisoria, basata sulla paura e sull’odio, ha premiato oggi partiti come Lega e Fdi. Nessuna sorpresa, è andato tutto come doveva andare, in maniera assolutamente naturale e pacifica, senza alcuna sbavatura. Prossimo passo sarà quello di alzare finalmente l’asticella del consentito, ovvero l’affermazione sempre più ampia delle nuove destre in Europa e in tutti gli Stati che la compongono, diventando la longa manus di quella Sovragestione che da decenni manovra e favorisce mutazioni genetiche, per implementare politiche repressive, avviare la militarizzazione del territorio e aggiornare il sistema proprio in direzione di quell’Ordine Mondiale globalista che alcuni, forse, si sono scordati esista.Il centrosinistra e il centrodestra sono stati utilizzati in questi anni per implementare politiche liberiste e cambiare i connotati culturali, economici e sociali del paese; oggi il macro-potere della Sovragestione conclude il progetto proprio attraverso gli apparenti nemici di sempre, in realtà le sue inconsapevoli sentinelle, oggi preposte ad aggiornare lo stesso sistema di ieri e a renderlo sempre più elitario, sofisticato e potente. E’ la coda che si ricongiunge con la bocca della serpe, i contenitori del dissenso finto-rivoluzionari creati dalla testa per sostituirla e rendere eterno lo schema del potere. Un po’ come tirare una pietra dalla cima di un monte e lasciare che essa crei l’effetto domino della valanga; così funziona la Sovragestione…(Simone Galgano, “Le affinità elettive della sovragestione”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 27 maggio 2019).La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.
-
Salvini nella ruota del criceto: si agita, ma non otterrà nulla
Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue. Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politica e media italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».Al contrario, la struttura politica, ideologica ed economica europeista – pur perdendo la storica “maggioranza” popolari-socialdemocratici – si è rafforzata, «e questo mette fine ad ogni velleità di Salvini di negoziare alcunchè». Bruxelles, aggiunge Cararo, starebbe infatti considerando di proporre per l’Italia una procedura di infrazione già il prossimo 5 giugno per “debito eccessivo”. «E poi c’è la manovra finanziaria “lacrime e sangue” da decine di miliardi che si tradurrà nella Legge di Stabilità da varare in autunno». Infine i grandi gruppi multinazionali, come Fca e Renault, daranno vita al maggiore produttore dell’automotive, «materializzando uno di quei “campioni europei” evocati nel recente Trattato di Aquisgrana». Sulle eventuali “rodomontate” propagandistiche di Salvini, continua “Contropiano”, pesano da un lato la minaccia dello spread (quello che tolse di mezzo Berlusconi, e che sta già risalendo) e dall’altro gli interessi del “Partito Trasversale del Pil” che, soprattutto tra gli elettori di Salvini nel Nord, «è pronto a tirare per le orecchie il ragazzo se dovesse mettere a rischio l’economia».Insomma, «si ha la netta impressione che Salvini sia come un criceto sulla ruota, ma dentro la gabbia». Ha e dà la sensazione di muoversi, e se avvicini un dito «può dare morsi anche dolorosi (soprattutto sul piano repressivo)», ma sostanzialmente «resta fermo nello stesso punto e chiuso dalla gabbia su ogni lato». Il capo della Lega «ha riportato a casa una parte dei consensi del blocco di destra, con una media tra il 2008 e il 2013 (ma con ben tre milioni di voti in meno rispetto a quell’anno)», includendo in questo blocco anche i voti di Berlusconi, che oggi però «appare più “intrigato” dal blocco europeista che dagli ululati di Salvini e della Meloni». Per Cararo, si tratta di «una sostanziale partita di giro tutta all’interno del blocco reazionario consolidato da decenni e di cui una parte, per un periodo, ha provato ad saggiare l’ipotesi del M5S». Ma, con un bagno di sano realismo, è indispensabile tener conto dell’astensionismo – un oceano: quasi il 44% – che di fatto «dimezza anche le sensazioni stimolate dalle sole percentuali».“Contropiano”, blog vicino a “Potere al Popolo”, fornisce «una diagnosi definitiva sull’inutilità e l’inesistenza della cosiddetta “sinistra”». Osserva Cararo: «Chiunque abbia la lucidità e la tenacia di misurarsi sul terreno della ricostruzione di una ipotesi di classe, ormai sa che tale fattore e il contesto politico-culturale in cui è sopravvissuto non possono che scomparire dal ventaglio di ipotesi da prendere in esame». Sempre secondo Cararo, è l’austerità “europeista” a produrre la destra e ad alimentarla. «E l’impossibilità per chiunque di mettere in campo politiche che migliorino le condizioni di vita delle classi popolari – anzi: l’obbligo feroce a peggiorarle – rende il gioco politico sterile e impotente». Ma in questa impotenza, «le uniche “soluzioni” che diventano possibili sono quelle a “costo zero”», ossia «quelle repressive, che cercano il consenso indicando un nemico di comodo su cui scaricare rabbia e frustrazioni create da altri». Aggiunge Cararo: «E’ l’incubo della scarsità che scatena la caccia a qualcun altro, per ridurre i posti intorno a una tavola sempre più povera».Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue. Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politica e media italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».