Archivio del Tag ‘racket’
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Hechich: resistenza, io violerò il coprifuoco della vergogna
Non mi esprimerò sugli altri provvedimenti del nuovo Dpcm che dovrebbe andare in vigore da venerdì. Mi soffermerò solo su uno, che ritengo particolarmente odioso, specialmente se spalmato in tutte le zone d’Italia. Il coprifuoco alle 22. Che senso ha? Il virus, visto che sembrerebbe essere derivato da quello dei pipistrelli, esce solo di notte? E’ un virus vampiro? Ma è per limitare gli assembramenti, dicono. Ma quali assembramenti se bar, ristoranti, locali, tavole calde, discoteche, paninoteche, birrerie e quant’altro sono chiusi da ore? I giovani si ritrovano? Perché, fino alle 22 non riescono a ritrovarsi tra di loro e dopo le 22 sì? Siamo il contrario del virus vampiro? Abbiamo il raptus dell’assembramento dopo le 22 ma alle 20 no? E perché no? Dna o perché tutti, da bravi, dobbiamo prima cenare a casa con le pappardelle fatte dalla mamma? Non basta controllare che non ci siano ’sti assembramenti di giovani con una bottiglia in mano? (ma comprata dove? Torniamo al punto di prima). E la stampa, che sembra regga il gioco del poliziotto buono e quello cattivo, a scrivere che gli “esperti” consigliavano alle 21 ma che Conte, magnanimo, ha concesso le 22. Patetici, stampa a reggere il gioco, e governo. Provvedimento idiota, assurdo, incongruente, e non sarebbe il primo. Certamente.Provvedimento anticostituzionale? Forse. Sicuramente dovrebbe essere votato dal Parlamento o almeno avere la autorevolezza di un decreto legge. Un Dpcm, come è stato già ribadito da giuristi autorevoli, non dovrebbe avere queste prerogative. Ma soprattutto il coprifuoco, perché tale è, ricorda molto i tempi più bui dell’Italia, la guerra, l’occupazione tedesca, i repubblichini – ma non solo: i golpe sudamericani, la caduta di Allende… Beh, giustamente qualcuno potrà obiettare che non siamo a quel punto, non ci sono le odiose repressioni, le torture, le sparizioni; siamo in uno Stato di diritto, in Italia, e nell’Italia odierna non potrebbe mai accadere. Vero, ma purtroppo è già accaduto, pochi anni fa, ma la memoria dell’italiano medio è corta. Ricordatevi di Bolzaneto e della Diaz. In quella tragica notte tutti i diritti democratici, lo stesso habeas corpus sono stati eclissati da una violenza che poi i giornali definirono macelleria messicana. E i responsabili, i dirigenti che lo hanno permesso, hanno fatto carriera poi, non dimentichiamo neanche questo. Ma allora perché questo coprifuoco insensato?L’unica ragione che riesco a vedere (e se qualcuno ne ha di altre valide lo scriva, ma lasciate per cortesia perdere la scemenza dei giovani untori nottambuli) è quella classica per cui dagli albori della storia viene fatto un coprifuoco: la paura della rivolta sociale, la paura della gente stufa di venir presa per i fondelli e di dover subire provvedimenti spesso idioti, stanca di promesse di sostegni economici che si stanno rivelando una farsa, proclami a vuoto non seguiti da fatti, come abitudine di questo governo (ricordate i tutor? Ma niente, rimosso anche questo). Perde la prudenza della classe media adagiata e si riversa nelle strade, questa folla di delusi alla canna del gas. Provvedimento ipocrita, in tal caso, non idiota (o anche ipocrita e nel contempo idiota, ma per altre ragioni). Ne abbiamo già avuto esempio nelle grandi città. Si è vista la reazione di Napoli, dopo che De Luca ci aveva provato. Ma no, la lezione non è servita: e, caparbio, il governo ripeterà quell’errore. Se di errore si tratta, e spero sinceramente sia solo uno dei tanti errori idioti, perché viene il sospetto che il provvedimento sia fatto apposta proprio per provocare una reazione e quindi zittire con una repressione esemplare i manifestanti. Prove generali per assetti futuri? Per vedere fino a quanto la gente è apatica? Tanto, se la gente scenderà in piazza e sarà caricata, la colpa sarà di camorristi, mafiosi, delinquenti comuni, spacciatori, taglieggiatori, ma che pensate? La gente ben vestita, la signora con i capelli bianchi la giovane bionda ben pettinata con la borsa firmata, mica è quella che sembra: sono camorristi, hanno il coraggio di dire.Io vivo in campagna, in un paesino di poche anime. Non ho l’occasione di partecipare a manifestazioni di protesta civile, ma il mio piccolo contributo posso darlo, facendo né più né meno quello che ho sempre fatto: portare fuori il mio cane tra le 11 e mezzanotte. Continuerò a farlo, per le strade di campagna totalmente vuote anche nei giorni normali. Porterò con me la mascherina per educazione, per mettermela se mi fermeranno, per rispetto verso idee diverse. Ma sulla mia passeggiata notturna con il cane non indietreggerò di un millimetro. Se mi fermano, continuerò a farlo, a rifarlo e a rifarlo ancora. Con questo post in pratica mi autodenuncio. Ma se tenteranno di fermarmi, di arrestarmi e di portarmi via, beh, non starò inerte, opporrò resistenza: sì, resistenza RESISTENZA, parola che evoca quegli altri coprifuochi di cui prima abbiamo parlato. Perché quando si passa il limite, bisogna reagire: per non doversi un giorno pentire di non averlo fatto, per non vergognarsi di non aver fatto niente di fronte all’inaridimento della Democrazia. Si inizia anche così la resistenza civile, con un piccolo gesto, come quello di portare fuori il cane per strade di campagna deserte tra le 11 e la mezzanotte.(Roberto Hechich, “Il coprifuoco della vergogna”, 5 novembre 2020. Laureato in geologia ed esperto in comunicazione e pubbliche relazioni, Hechich – direttore del Dipartimento per la Geopolitica e la Difesa del Movimento Roosevelt, di cui coordina il gruppo regionale Friuli–Venezia Giulia – è autore di romanzi e racconti, nonché appassionato studioso di materie geostrategiche).Non mi esprimerò sugli altri provvedimenti del nuovo Dpcm che dovrebbe andare in vigore da venerdì. Mi soffermerò solo su uno, che ritengo particolarmente odioso, specialmente se spalmato in tutte le zone d’Italia. Il coprifuoco alle 22. Che senso ha? Il virus, visto che sembrerebbe essere derivato da quello dei pipistrelli, esce solo di notte? E’ un virus vampiro? Ma è per limitare gli assembramenti, dicono. Ma quali assembramenti se bar, ristoranti, locali, tavole calde, discoteche, paninoteche, birrerie e quant’altro sono chiusi da ore? I giovani si ritrovano? Perché, fino alle 22 non riescono a ritrovarsi tra di loro e dopo le 22 sì? Siamo il contrario del virus vampiro? Abbiamo il raptus dell’assembramento dopo le 22 ma alle 20 no? E perché no? Dna o perché tutti, da bravi, dobbiamo prima cenare a casa con le pappardelle fatte dalla mamma? Non basta controllare che non ci siano ’sti assembramenti di giovani con una bottiglia in mano? (ma comprata dove? Torniamo al punto di prima). E la stampa, che sembra regga il gioco del poliziotto buono e quello cattivo, a scrivere che gli “esperti” consigliavano alle 21 ma che Conte, magnanimo, ha concesso le 22. Patetici, stampa a reggere il gioco, e governo. Provvedimento idiota, assurdo, incongruente, e non sarebbe il primo. Certamente.
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Travaglio: giusto scavare su Berlusconi, mafia e terrorismo
Com’era prevedibile soprattutto da lui, il violento attacco di Renzi alla Procura di Firenze che indaga sull’ipotesi di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ‘92-93 ha scavalcato Salvini, Meloni e i vertici di Forza Italia (molto più prudenti) e suscitato l’entusiasmo del “Giornale” di Sallusti, oltre che le congratulazioni di molti “garantisti” dell’area Pd. Marco Travaglio, sul “Fatto”, spiega perché non sarebbe affatto “assurda” l’iniziativa degli inquirenti toscani contro il Cavaliere. «Forse, a distanza di 26-27 anni», afferma Travaglio, l’ipotesi investigativa «non troverà prove sufficienti per sfociare in un processo». Eppure, alla luce dei fatti accertati, è «pienamente logica, plausibile e coerente» con la storia del rapporto tra Cosa Nostra e la politica berlusconiana. La premessa del direttore del “Fatto” è semplice: crollata la Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite, sia la mafia che il patron di Mediaset vedevano crollare i loro tradizionali partiti di rifemento: «E’ così assurdo pensare che concordassero sull’urgenza di farne uno nuovo che li garantisse entrambi?». D’accordo, ma che c’entra Berlusconi con la mafia? Nella sentenza che lo condanna in via definitiva, la magistratura afferma che Marcello Dell’Utri, dal 1974 al 1992, era stato il «mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa Nostra».Patto? Secondo altri analisti, è possibile che Berlusconi si sia visto costretto a fronteggiare le cosche, dalle quali era stato pesantesente minacciato in senso estorsivo. All’inizio del ‘93, scrive invece Travaglio, i boss mafiosi Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella progettarono il partito autonomista “Sicilia Libera”, per poi scioglierlo a fine anno «per fare campagna elettorale alla neonata Forza Italia». Nel novembre di quell’anno, le agende di Dell’Utri registrano due incontri con Vittorio Mangano, uscito di galera 19 anni dopo l’ingaggio come “fattore” ad Arcore. «Di che parlavano i due? Del partito che Dell’Utri stava creando o – come giura lui – dei problemi di salute di Mangano?». Il 19-20 gennaio del ’94, Giuseppe Graviano, è a Roma: il boss di Brancaccio convoca il suo killer di fiducia, Gaspare Spatuzza (già autore materiale delle bombe in via D’Amelio, via dei Georgofili, via Palestro e alle due basiliche romane) al Bar Doney di via Veneto. Il bar, osserva il direttore del “Fatto”, è proprio «di fronte all’hotel Majestic, dove all’epoca soggiorna Dell’Utri per selezionare i candidati di Forza Italia». Lì – racconterà Spatuzza – il boss gli confida che Berlusconi e Dell’Utri «ci stanno mettendo l’Italia nelle mani», ma occorre il «colpo di grazia», ovvero: l’attentato all’Olimpico di Roma.Perché Spatuzza, pentito sempre puntualmente “riscontrato” a partire dalla confessione su via D’Amelio che spazzò via i depistaggi, dovrebbe inventarsi proprio quella frase? Il 23 gennaio, a due mesi dalle elezioni anticipate – continua Travaglio – Cosa Nostra tenta ma fallisce l’attentato all’Olimpico. «La strage è rinviata a una domenica successiva. Ma il 26 gennaio, col famoso videomessaggio, B. “scende in campo”. Il 27 i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano (dove hanno procurato un lavoro a un loro favoreggiatore che deve seguire il figlio calciatore, dopo un provino nei pulcini del Milan ottenuto grazie all’interessamento di Dell’Utri). Cosa Nostra annulla la strage allo stadio e depone le armi: i boss sparavano da due anni a casaccio, o erano un po’ stanchini, o non volevano disturbare il partito amico?». Vinte le elezioni del ‘94 Berlusconi va al governo «e vara subito il decreto Biondi, con tre norme pro mafia, anticipate da Dell’Utri a Mangano nei loro incontri nella villa di Como», scrive Travaglio. Intanto, anche da premier e dopo tutte le stragi, Berlusconi «continua a pagare 250 milioni di lire ogni sei mesi a Cosa Nostra». Si domanda il direttore del “Fatto”: «La pax mafiosa sta dando i primi frutti, o anche queste sono coincidenze?».Nel 1996 il boss Salvatore Cancemi, già membro della Commissione di Cosa Nostra e ora pentito (il più alto in grado della storia d’Italia), parla di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi. «Lo seguiranno decine di altri collaboratori di giustizia», scrive Travaglio. «Ma, anche fingendo che non esistano, c’è il boss irriducibile Giuseppe Graviano che, intercettato in carcere nel 2016-2017, racconta le stragi al compagno d’ora d’aria come di “una cortesia” chiesta da “Berlusca”». A quanto pare, Cancemi freme d’ira contro Berlusconi perché 25 anni prima, dice, «mi sono seduto con te, mangiato e bevuto», «ti ho portato benessere», e ti invece «hai fatto il traditore», «mi hai pugnalato», «mi stai facendo morire in galera». Conclude Travaglio: perché mai, parlando delle stragi, Cancemi dovrebbe tirare in ballo Berlusconi e infuriarsi per il presunto tradimento, al punto di progettare un ricatto ai suoi danni? «Si annoiava? Voleva divertirsi?». O davvero, invece, Berlusconi e Dell’Utri «nel ‘93-94 gli avevano chiesto e promesso qualcosa?». Per questo, Travaglio invita «Renzi e gli altri mafiologi della mutua» a fornire «la loro versione dei fatti», visto che l’iniziativa giudiziaria su Berlusconi li scandalizza tanto.Com’era prevedibile soprattutto da lui, il violento attacco di Renzi alla Procura di Firenze che indaga sull’ipotesi di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ‘92-93 ha scavalcato Salvini, Meloni e i vertici di Forza Italia (molto più prudenti) e suscitato l’entusiasmo del “Giornale” di Sallusti, oltre che le congratulazioni di molti “garantisti” dell’area Pd. Marco Travaglio, sul “Fatto”, spiega perché non sarebbe affatto “assurda” l’iniziativa degli inquirenti toscani contro il Cavaliere. «Forse, a distanza di 26-27 anni», afferma Travaglio, l’ipotesi investigativa «non troverà prove sufficienti per sfociare in un processo». Eppure, alla luce dei fatti accertati, è «pienamente logica, plausibile e coerente» con la storia del rapporto tra Cosa Nostra e la politica berlusconiana. La premessa del direttore del “Fatto” è semplice: crollata la Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite, sia la mafia che il patron di Mediaset vedevano crollare i loro tradizionali partiti di riferimento: «E’ così assurdo pensare che concordassero sull’urgenza di farne uno nuovo che li garantisse entrambi?». D’accordo, ma che c’entra Berlusconi con la mafia? Nella sentenza che lo condanna in via definitiva, la magistratura afferma che Marcello Dell’Utri, dal 1974 al 1992, era stato il «mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa Nostra».
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Se i grillini capissero quale infamia è stata inflitta a Siri
Gli operatori politici devono tener conto essenzialmente dei loro interessi e della realtà. L’interesse dei capi grillini (le cui mosse in economia sono state molto dannose) è di portare la competizione con la Lega sul piano bella moralità politica e della giustizia per farsi più forti e più belli agli occhi del loro elettorato attuale e potenziale. La realtà di cui tener conto è che l’elettorato, soprattutto quello di riferimento del Movimento 5 Stelle, è sprovveduto ed emotivo, assetato di colpevoli cui imputare un malandare le cui cause vere non può capire. L’operazione ha fatto risalire il Movimento nei sondaggi, e scendere la Lega. Realisticamente, nell’interesse del suo partito, Siri forse si doveva dimettere subito, proprio per tenere conto dei limiti cognitivi ed emotivi della base popolare, la quale, vivendo mentalmente in un mondo immaginario, non vede le ragioni per cui Siri dovrebbe, al contrario, nell’interesse di tutti e della legalità costituzionale (sempre che non vi siano ragioni ulteriori in senso contrario rispetto a quelle rese note sinora) restare al suo posto.Le ragioni sono le seguenti. In primo luogo, Siri, ad oggi non è accusato ma solo indagato; il pubblico ministero non ha ancora esercitato l’azione penale, il giudice delle indagini preliminari non lo ha ancora rinviato a giudizio, e forse verrà addirittura disposta l’archiviazione della sua posizione. Nessun personaggio istituzionale è stato finora rimosso in una tale situazione. In secondo luogo, anche se fosse già imputato, dovrebbe applicarsi la presunzione di non colpevolezza, perché essa è un principio di civiltà giuridica irrinunciabile. In terzo luogo e in generale, il sistema giudiziario italiano non è affidabile perché è tra i meno efficienti al mondo, a livello dell’Africa nera. In quarto luogo, notoriamente il potere giudiziario è in parte politicizzato e non di rado viene strumentalizzato per la lotta partitica soprattutto nell’approssimarsi di elezioni.In quinto luogo, se si dà al pm (che talora agisce per scopi politici) il potere di causare le dimissioni degli eletti dal popolo, si sovverte il principio democratico, subordinandolo alle decisioni insindacabili di un soggetto che non è nemmeno responsabile delle sue azioni, oltre a non avere mandato elettorale. Ciò è peggio di qualsiasi cosa dal punto di vista costituzionale, è peggio persino dal lasciare in una carica istituzionale un personaggio che sia stato definitivamente condannato: è peggio perché è sovversivo del principio fondamentale della democrazia. Se l’elettorato grillino capisse questa cosa elementare, se capisse quindi il carattere illegale e la portata profondamente eversiva della rimozione di Siri, si rivolterebbe contro Giggino ed esigerebbe le dimissioni di Conte, che ha deciso e firmato quella rimozione, assumendosene la responsabilità politica.Quanto sopra vale per i processi in generale, mentre per il caso di Siri in particolare dobbiamo considerare i due procedimenti penali che lo interessano. Il primo è quello in cui ha patteggiato una pena per l’accusa di bancarotta fraudolenta. Il patteggiamento non è una valida ragione perché si dimetta. Infatti, in primo luogo, il patteggiamento non è un’ammissione o un accertamento di reato. In secondo luogo, il motivo per cui Siri ha patteggiato potrebbe essere che, di fatto, i processi per bancarotta fraudolenta in Italia spesso vengono gestiti in modo illegale, ossia ti accusano e ti condannano anche in assenza della prova che tu abbia commesso una distrazione patrimoniale o un qualsiasi altro fatto specifico. Oppure, nei casi in cui vi sono più amministratori della impresa fallita, succede che spesso vengono condannati tutti e senza andare a vedere chi abbia fatto che cosa, applicando una sorta di responsabilità oggettiva-collettiva, e spesso in assenza di prove delle responsabilità personali e dei fatti specifici, in totale violazione del principio di personalità della responsabilità penale, dell’onere della prova e della presunzione di non colpevolezza. Può darsi che Siri fosse innocente e abbia patteggiato per evitare di subire cose simili.L’altro procedimento penale che interessa Siri, quello ancora in fase di indagini preliminari e riguardante supposti rapporti con la criminalità organizzata, ancor meno dovrebbe essere considerato come necessitante le sue dimissioni. Infatti, in primo luogo, la mafia in Italia è stata portata dentro le istituzioni dagli americani durante l’invasione dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, come ricostruiscono numerosi studi storici, e da allora essa fa parte istituzionalmente dello Stato italiano: ci piaccia o no, lo Stato italiano è uno Stato-mafia (come altri). Anzi, da allora le varie mafie, camorre, ‘ndranghete hanno aumentato gradualmente il loro potere economico e politico, il loro controllo sul territorio e su buona parte dei collegi elettorali del Meridione, sì che governare senza un accordo con esse (a livello locale come a Roma) è impossibile; e la pretesa che i governi italiani combattano la criminalità organizzata – quella grande e non quella minore, quella che taglieggia i bottegai o spaccia per strada – è assurda oggettivamente anche se creduta popolarmente e vendibile alle masse elettorali.Ancor più importante: molti studi economici e sociologici evidenziano come, su scala mondiale, la criminalità organizzata è divenuta estremamente potente sul piano politico e addirittura possa soppiantare i governi, girando somme enormi riveniente da traffici illeciti (droga, armi, riciclaggi). Su questa enorme liquidità, che per il 60% circa si ricicla nelle banche statunitensi, si regge la stabilità di interi sistemi bancari del “mondo libero”. In conclusione, lo scandalizzarsi per (l’ipotesi di) contatti tra qualche personaggio politico o istituzionale e ambienti affaristici della criminalità organizzata, è pura ipocrisia o grave ingenuità. Peraltro, via via che si fanno istituzionali, le mafie, pur conservando il loro scopo di profitto e controllo politico, modificano i loro metodi e diventano per così dire civili. La mafia burocratica, la mafia ministeriale, la mafia legislativa, la mafia giudiziaria assomiglia ben poco alla mafia dagli stereotipi, alla mafia della coppola e della lupara; è una mafia in doppiopetto, felpata, che spende molto per legittimarsi e uccide moderatamente, che controlla i mass media, che modella l’opinione pubblica e la sua percezione del mondo, che in sostanza si è assimilata alla gestione normale del potere politico e al suo stile usuale (salvo mantenere modalità vetero-mafiose in campi come l’esazione fiscale nostrana).In fondo, l’organizzazione criminale di tipo mafioso altro non è che una forma molto efficiente, e pertanto vincente, di organizzazione e gestione di interesse e potere. Per questo si afferma e dilaga e soppianta altre istituzioni e controlla i cartelli delle materie prime, dell’informazione, e soprattutto del credito, della moneta, del rating. È una realtà pragmatica, che è errato inquadrare e giudicare limitativamente con categorie giuridiche, morali e emotive, per quanto essa possa essere ripugnante emotivamente e moralmente. Nella sua auto-narrazione, il sistema si professa come fondato su precisi principi: la trasparenza e sincerità, la conformità a etica e legge, la democraticità dell’azione politico-istituzionale. Ma questi principi sono solo la verniciatura della realtà, la quale funziona in modo completamente indipendente da essi. Essi hanno a che fare con la realtà solo nel senso che sbandierarli serve a nasconderla.La violazione delle regole legali e dei principi morali, assieme all’inganno, è funzionale e indispensabile per il profitto e per il potere. Però, nella narrazione per il popolo, il malandare delle cose e le ingiustizie non possono essere attribuiti a questa realtà, perché si disturberebbe il consenso, bensì a capri espiatori (gli ebrei, i comunisti, i fascisti, il nemico di classe, gli infedeli, etc.). Ogni sistema di potere completa la sua propria auto-narrazione aprendo, al proprio interno, uno spazio di dialettica consentita, onde ciascuno possa trovare il colpevole per lui più verosimile per le ingiustizie e per il malandare (il liberismo, il socialismo, l’Europa, gli euroscettici, etc.) e possa aderire a un partito che promette di risolvere i mali sconfiggendo quel colpevole. In questo modo, si produce e mantiene il consenso popolare, detto democrazia.(Marco Della Luna, “Il sacrificio democratico di Siri”, dal blog di Della Luna del 10 maggio 2019).Gli operatori politici devono tener conto essenzialmente dei loro interessi e della realtà. L’interesse dei capi grillini (le cui mosse in economia sono state molto dannose) è di portare la competizione con la Lega sul piano bella moralità politica e della giustizia per farsi più forti e più belli agli occhi del loro elettorato attuale e potenziale. La realtà di cui tener conto è che l’elettorato, soprattutto quello di riferimento del Movimento 5 Stelle, è sprovveduto ed emotivo, assetato di colpevoli cui imputare un malandare le cui cause vere non può capire. L’operazione ha fatto risalire il Movimento nei sondaggi, e scendere la Lega. Realisticamente, nell’interesse del suo partito, Siri forse si doveva dimettere subito, proprio per tenere conto dei limiti cognitivi ed emotivi della base popolare, la quale, vivendo mentalmente in un mondo immaginario, non vede le ragioni per cui Siri dovrebbe, al contrario, nell’interesse di tutti e della legalità costituzionale (sempre che non vi siano ragioni ulteriori in senso contrario rispetto a quelle rese note sinora) restare al suo posto.
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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Amodeo, lettera a Saviano: non racconti la verità sul potere
Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:18 ottobre 2004 omicidio Albino, 29 ottobre 2004 omicidio Secondigliano: scoppia la faida, 5 novembre 2004 carabinieri feriti a Secondigliano, 13 novembre 2004 omicidio Peluso in pizzeria, 21 novembre 2004 ragazza accoltellata a Santa Lucia, 22 novembre 2004 omicidio di piazza Ottocalli, 26 novembre 2004 omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida), 19 dicembre 2004 intervista esclusiva alla vittima dell’agguato. L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del “Roma” riguardava l’omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan. Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli che tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo “Gomorra” e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio. A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2.117,70 euro, di cui netti 1.800 euro (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.Ma andiamo avanti. Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa. Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video-inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia, analizzando i legami tra queste organizzazioni e i politici e tecnici arrivati al governo, dimostrando in maniera documentata che avevano fatto cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un governo democraticamente eletto.Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali, “La Matrix Europea”, è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento – citando le sue parole: «Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità». Il presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema, ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice Isbn se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore. Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su YouTube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni (sì, hai capito bene, 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti, ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi, mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.Pensa che il video più visualizzato sul tuo “Gomorra Channel” ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci, sommando tutti i video caricati sul canale “Gomorra Channel” si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante “Gomorra” sia una serie televisiva, un film al cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto? Sei d’accordo con me che i conti non tornano? Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo, ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.Ecco di chi sei diventato voce. Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv. Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione “In Onda” di Luca Telese su La7 ma è stata la prima e l’ultima volta, perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe, sei un “anti”. Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere. E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti.Gente disposta a tutto, come li definisce un noto filosofo: «Merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale», pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali. Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv. Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera, con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori”, che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei. Perché queste cose non le racconti? Anzi, perché le neghi?Taci, perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.Oltre “Gomorra”, che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo? Tu questi argomenti non li toccherai mai. Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure. Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere. Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante. Per concludere: io non sono un politico, non sono un ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità. Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna. “Robè, vir e fa l’ommmm”.(Francesco Amodeo, lettera aperta a Roberto Saviano pubblicata su “Scenari Economici” il 27 novembre 2018 – “Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?”).Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato e un altro, e quindi tra un articolo e un altro, e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:
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Magaldi: coraggio, e l’Italia non sarà più preda di stranieri
Vietato farsi intimorire dagli spaventapasseri a guardia del bunker europeo, ormai assediato da più parti: un po’ di fegato, e gli ometti del racket finanziario smetteranno di abbaiare. Juncker, Dombrovkis, Moscovici, Oettinger: «I frontman di queste istituzioni europee sono personaggi molto friabili e molto deboli: per fronteggiarli basta avere un po’ di forza, un po’ di dignità e un po’ di schiena diritta». Gioele Magaldi incoraggia il governo Conte: non si lasci intimidire dalle minacce di questi personaggi, peraltro «in scadenza», e per giunta di caratura modesta: «Non è che abbiano grande autorevolezza e prestigio per potersi imporre». Insiste, il presidente del Movimento Roosevelt: «Bisogna rompere il loro paradigma: occorre avere un po’ di coraggio, e poi si scopre, come nella vicenda del Mago di Oz, che la grande magia in realtà è fatta di cartapesta». Soltanto illusionismo, «giocato più sulla paura di chi è soggetto al timore di questa magia che non sulla forza reale di chi, questa magia, la costruisce». Forza e coraggio, dunque, di fronte ai ventilati sfracelli finanziari per il deficit al 2,4%, peraltro già smentiti da Standard & Poor’s, segno di «probabili ripensamenti in corso» nella cabina di regia del potere neoliberista, non più così granitico. «Si tratta di restare sereni e tranquilli», visto che in palio c’è l’Italia: finora, il nostro paese è stato regolarmente depredato, in modo programmatico. Ecco il punto: questo film deve finire.«Bisogna abbandonare lo stile consueto dell’Italia», sottolinea Magaldi nella diretta web-streaming “Magaldi Racconta”, su YouTube, con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «L’Italia – dichiara Magaldi – ha ricevuto un ruolo: quello di essere una preda, pur essendo un paese forte e importante sul piano politico ed economico». Una preda: bottino da saccheggiare. Temi e rivelazioni che lo stesso Magaldi, massone progressista, ha concentrato nel bestseller “Massoni” (Chiarelettere), che svela ad esempio il ruolo della P2 di Gelli come terminale locale della potente superloggia sovranazionale “Three Eyes”, espressione della supermassoneria neo-feudale più reazionaria, incubatrice della globalizzazione universale fondata sulle privatizzazioni, sulla confisca dei diritti democratici e sulla precarizzazione del lavoro. L’Italia? Azzoppata dalla strategia della tensione affidata a operatori come Gladio, poi assaltata con la tabula rasa di Tangentopoli che aprì la strada al superpotere eurocratico. Risultato: declino industriale e svendita dei gioielli di famiglia. «La verità è che è stato disegnato per l’Italia un ruolo subalterno. Nessun altro grande paese sarebbe mai stato trattato così, e questo – aggiunge Magaldi – è stato fatto con la complicità delle classi dirigenti, centrodestra e centrosinistra, di questi ultimi decenni».Adesso, ribadisce il presidente del Movimento Roosevelt, «si tratta di cambiare passo». E naturalmente, aggiunge, «i media e tutta la filiera di cortigiani politici e burocratici continuano a muoversi come se l’Italia fosse ancora un’espressione geografica, più che un’entità statuale democratica e repubblicana, dotata di una sua dignità». Ringhia, l’establishment spiazzato dal governo gialloverde: «Tutti quelli che sono abituati a fare i proconsoli di poteri apolidi e predatori masticano amaro, e tutti i giorni propinano a reti unificate questa canzone stonata sull’Italia, sul governo populista e cialtrone che non vuole rispettare i patti. Ma è una menzogna: i patti verso la democrazia e verso la dignità del popolo – scandisce Magaldi – li hanno violati quelli che hanno spacciato questa pessima costruzione europea per il grande sogno di Altiero Spinelli e di altri illustri europeisti, da Victor Hugo a Mazzini e Garibaldi». Loro, gli usurpatori dell’ipotesi-Europa (in realtà mai nata), oggi prendono nota: persino le grandi testate, ovvero «il mondo finanziario che conta», iniziano a fare dei distinguo, sull’Italia. Dicono: ma chi l’ha detto che questa manovra è inaccettabile? Chi l’ha detto che quelle del governo Conte sono le proposte di una “cicala” che vuole mettere in crisi il risparmio, la tenuta dei conti, il futuro delle nuove generazioni?«E’ un segnale importante – rileva Magaldi – il fatto che queste voci inizino a venire da mondi che si sono troppo spesso allineati al coro globale, intonato al contenimento e quindi anche alla devastazione dell’economia italiana». Wall Street non è unanime nel suo giudizio sull’Italia, il governo Usa si mostra indulgente verso Conte, lo stesso Steve Mnuchin (il ministro del Tesoro di Trump) dichiara che la strada del “deficit spending” è la via maestra, intrapresa anche dagli States. Cattive notizie, insomma, per gli euro-tecnocrati che vorrebbero spegnere sul nascere il timido tentativo dei gialloverdi, la loro piccola insubordinazione sul rigore di bilancio. Peccato, aggiunge Magaldi, che Lega e 5 Stelle si limitino al piccolo cabotaggio sul deficit, rinunciando a fare da battistrada – come Italia – nel chiedere una drastica riforma dell’Unione, basata sulla richiesta di una vera Costituzione Europea, finalmente democratica. Non mancano gli ultra-pessimisti, che ritengono irriformabile l’Ue: «Sono frange comunque minoritarie, a livello di consenso: la maggioranza dei cittadini è delusa dal modo in cui l’Unione è gestita, ma certo resta favorevole all’idea di una integrazione europea». E quelli che vorrebbero farla finita, con Bruxelles? «Secondo me sbagliano, magari in buona fede», dice Magaldi: «Senza accorgersene, fanno il gioco degli avversari: gli uni dicono che l’Ue non può cambiare, gli altri sostengono che non deve cambiare. Risultato: ragionando così, niente cambierà».Magaldi propone un altro approccio: «Andiamo oltre la moderazione del governo Conte, in questa fase». Lo dice «agli amici del governo, alla maggioranza gialloverde» che nel futuro prossimo, alle europee e poi in Italia, dovrà affrontare un quadro politico mutevole. «Io dico: facciamo partire dall’Italia una radicale trasformazione del progetto europeo. Cioè: andiamo verso una Costituzione politica, a fondamento dello stare insieme in Europa. E’ un dogma di fede, l’irriformabilità di un’Unione nata male? Sembra speculare al dogma del potere, che oggi ci ripete che non si può cambiare nulla». L’Europa, Magaldi la ritiene «riformabilissima», gettando a mare «lo spirito compromesso con cui è stata costruita questa Ue, economicistica e tecnocratica». Storia: «I padri di questa costruzione post-democratica sono Jean Monnet e Richard Coudenhove-Kalergi. Monnet era un ex massone progressista, Kalergi un uomo ambivalente che prima ancora della Seconda Guerra Mondiale aveva radunato attorno al progetto paneuropeo personalità anche progressiste, non chiarendo però quale fosse la sua idea di Europa». E poi invece, di concerto con Monnet, proprio Kalergi «ideò e diede avvio a un progetto neo-feudale, quasi una sorta di nuovo Sacro Romano Impero».Un dominio pre-democratico, «dove il potere imperiale fosse nelle mani di alcune oligarchie apolidi, coi loro terminali (come vassalli e valvassori) incarnati in burocrati chiamati a occupare posti non elettivi di gestione della governance». E tutto, a partire dalla costituzione della Ceca (la comunità dell’acciaio e del carbone) è stato svolto in modo unilaterare, economicistico. Spinelli e gli europeisti, invece, volevano «qualcosa di armonioso, da costruire insieme ai cittadini, non al di sopra dei cittadini». Una Costituzione da scrivere insieme, «coinvolgendo la popolazione in consultazioni e referendum su ciascuno degli articoli». Di Costituzione Europea si era parlato ma poi non si è fatto nulla: «Ci sono solo dei trattati, in quella che è una posticcia costruzione continentale dove, mai come adesso, le nazioni sono una contro l’altra armate. E’ veramente una gabbia, dis-utile per l’interesse popolare ma utile per gli oligarchi globali». Rinunciare all’Europa e distruggere tutto per tornare alle nazioni? Falso problema, secondo Magadi: «Che sia globale, europea, nazionale, regionale o locale, la governance non cambia se il paradigma che la ispira non è democratico». Un esempio? I nostri Comuni: «Sono strangolati dal Patto di Stabilità, voluto in sede europea ma discendente da una visione neoliberista che pervade tutte le istituzioni politiche e economiche internazionali più importanti».Proprio il Patto di Stabilità «strangola le possibilità di intervento dei Comuni su un livello che è quello locale». In un mondo «ormai globalizzato perché interconnesso», si può scegliere «che tipo di globalizzazione si vuole». Disconettersi? Impossibile: le economie sono collegate, ogni decisione ha ripercussioni ovunque. «Puoi scegliere però come governarle, queste dinamiche: in nome della finanza e dei mercati, dell’interesse dei pochi a scapito dei moltissimi, oppure con un metodo finalmente democratico». Perché preoccuparsi se la governance è europea, italiana, regionale o cittadina? «Preoccupiamoci che a tutti i livelli vi sia una metodologia democratica», ovvero «che vi sia la primazia della politica sull’economia e sulla finanza, e la primazia della sovranità del popolo su qualunque altra forma di sovranità o di potere privato». Quel che conta, chiosa Magaldi, è che comunque il governo gialloverde abbia almeno manifestato la volontà di invertire la rotta suicida e autolesionistica degli ultimi decenni. Un possibile inizio, si spera, per cominciare a imporre la percezione di un’altra Italia, non più terra di conquista e facile preda, grazie alla complicità del vecchio establishment “collaborazionista”, al servizio di potentati economici stranieri.Vietato farsi intimorire dagli spaventapasseri a guardia dell’euro-bunker, ormai assediato da più parti: un po’ di fegato, e gli ometti del racket finanziario smetteranno di abbaiare. Juncker, Dombrovkis, Moscovici, Oettinger: «I frontman di queste istituzioni europee sono personaggi molto friabili e molto deboli: per fronteggiarli basta avere un po’ di forza, un po’ di dignità e un po’ di schiena diritta». Gioele Magaldi incoraggia il governo Conte: non si lasci intimidire dalle minacce di questi personaggi, peraltro «in scadenza», e per giunta di caratura modesta: «Non è che abbiano grande autorevolezza e prestigio per potersi imporre». Insiste, il presidente del Movimento Roosevelt: «Bisogna rompere il loro paradigma: occorre avere un po’ di coraggio, e poi si scopre, come nella vicenda del Mago di Oz, che la grande magia in realtà è fatta di cartapesta». Soltanto illusionismo, «giocato più sulla paura di chi è soggetto al timore di questa magia che non sulla forza reale di chi, questa magia, la costruisce». Forza e coraggio, dunque, di fronte ai ventilati sfracelli finanziari per il deficit al 2,4%, peraltro già smentiti da Standard & Poor’s, segno di «probabili ripensamenti in corso» nella cabina di regia del potere neoliberista, non più così granitico. «Si tratta di restare sereni e tranquilli», visto che in palio c’è l’Italia: finora, il nostro paese è stato regolarmente depredato, in modo programmatico. Ecco il punto: questo film deve finire.
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Strinati: poesia per Nino Polifroni, l’eroe che rifiutò il racket
«E’ logico che prima o poi un figlio raggiunga il padre sotto molti aspetti. Uno di questi è l’età. In quest’anno siamo coetanei. Lui si è fermato per aspettarmi, io da venti corro per raggiungerlo». Con queste parole, nel 2016, Bruno Polifroni ricordava il ventennale del sacrificio del padre, Antonino Polifroni, assassinato dalla ‘ndrangheta il 30 settembre 1996 a Varapodio, nella piana di Gioia Tauro. Aveva 49 anni. La sua colpa? Essersi rifiutato di pagare il pizzo alle ‘ndrine, denunciando alle forze dell’ordine i signori del racket calabrese. Padre di sei figli e imprenditore edile, fu sottoposto – insieme alla famiglia – a un autentico inferno, fatto di intimidazioni e attentati. Prima di essere “giustiziato” a colpi di lupara mentre viaggiava verso uno dei suoi cantieri, fece in tempo a diventare un simbolo della resistenza, in Calabria, al dominio della criminalità organizzata. In esclusiva per “Libreidee”, il poeta Fabio Strinati gli dedica un commosso ricordo, in versi, sottolineando il valore civile e il tratto umano di un italiano speciale, capace di anteporre il coraggio della dignità alla paura delle feroci ritorsioni alle quali si sarebbe esposto. Nel 1992 – quando ancora si sapeva poco, del potere della ‘ndrangheta – la tensione raggiunse il culmine: Nino Polifroni su preso a fucilate, prima alla guida di un camion e poi sulla porta di casa, rimediando gravi ferite. L’imprenditore non si piegò al terrore, fino al tragico epilogo che lo attendeva, quattro anni più tardi.«Ora che è successo – scrive il figlio, Bruno – posso meditare sulla sua storia da una diversa angolatura: prima d’ora, da figlio cercavo di immaginare il suo punto di vista, da persona ormai matura negli anni, e a come si potesse sentire quando era continuamente vessato dalla ‘ndrangheta. Ora che siamo “coetanei”, ho riavuto poche settimane fa il coraggio di rispolverare documenti e registrazioni del 1992: volevo risentire e studiare le sue reazioni nei momenti più bui, quando era giornalmente minacciato insieme ai suoi figli e qualche delinquente tentava di estorcergli denaro». Aggiunge Bruno: «Ho riascoltato le sue parole, il suo fiatone nel tentare di mantenere la calma, la tensione nel non sapere fare altro per combattere quel nemico invisibile». Li avrebbero presi, i maledetti killer: Bruno Polifroni ne era certo. «Caro papà, hai avuto coraggio e determinazione», scrive. «Senza la tua tenacia, oggi, invece di essere tutti qui a ricordarti ci saremmo occupati solo di vivere una normale giornata di settembre. E spesso ci siamo arrabbiati con te, perché più volte siamo caduti nell’errore di pensare che avremmo preferito fosse così. Ma mentre ti raggiungevo nell’età ho capito che nulla succede per caso e ogni storia ha il proprio significato da mostrare: grazie per averci insegnato a vivere e a farlo da persone libere. Se tu non ti fossi sacrificato per noi, oggi saremmo ancora imprigionati e schiavi di quei delinquenti. Grazie, papà».AD ANTONINO POLIFRONIUomini senza cuorehanno chiuso il tuo sguardoposando un delitto scurosopra la tua animaonesta ed integerrima.Uomini strani d’infima naturahanno spento con violenzai tuoi occhi vitaliimmersi di una luce chiaranutriti di memoriadentro una terra caldae assolata di natura…,ma quel ricordo vivo, densodi un coraggio fertilee di tanta premura che nel tuo pettoancora rintocca l’alba del mattino,mi ricorda il tuo esser fieroche di decoro s’è nutritocome materia di perpetua luceil tuo palpito infinito, smisuratocome un fascio di biluce.(Fabio Strinati)Fabio Strinati (Esanatoglia, 1983) è poeta, artista visivo, compositore e fotografo. È presente in diverse riviste e antologie letterarie. Da ricordare “Il Segnale”, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini, la rivista Fabio Strinati“Sìlarus” fondata da Italo Rocco, e “Osservatorio Letterario – Ferrara e L’Altrove”. È stato inserito da Margherita Laura Volante nel volume “Ti sogno, Terra”, viaggio alla scoperta di Arte Bellezza Scienza e Civiltà, inserito nei “Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche”. Sue poesie sono state tradotte in romeno e in spagnolo. È inoltre il direttore della collana poesia per “Il Foglio Letterario” e cura una rubrica poetica dal nome “Retroscena”, proprio sulla Rivista trimestrale del “Foglio Letterario”. Pubblicazioni: “Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo” (2014); “Un’allodola ai bordi del pozzo” (2015); “Dal proprio nido alla vita” (2016); “Al di sopra di un uomo” e “Periodo di transizione” (2017), “Aforismi scelti Vol.2” e “L’esigenza del silenzio” (2018).«E’ logico che prima o poi un figlio raggiunga il padre sotto molti aspetti. Uno di questi è l’età. In quest’anno siamo coetanei. Lui si è fermato per aspettarmi, io da venti corro per raggiungerlo». Con queste parole, nel 2016, Bruno Polifroni ricordava il ventennale del sacrificio del padre, Antonino Polifroni, assassinato dalla ‘ndrangheta il 30 settembre 1996 a Varapodio, nella piana di Gioia Tauro. Aveva 49 anni. La sua colpa? Essersi rifiutato di pagare il pizzo alle ‘ndrine, denunciando alle forze dell’ordine i signori del racket calabrese. Padre di sei figli e imprenditore edile, fu sottoposto – insieme alla famiglia – a un autentico inferno, fatto di intimidazioni e attentati. Prima di essere “giustiziato” a colpi di lupara mentre viaggiava verso uno dei suoi cantieri, fece in tempo a diventare un simbolo della resistenza, in Calabria, al dominio della criminalità organizzata. In esclusiva per “Libreidee”, il poeta Fabio Strinati gli dedica un commosso ricordo, in versi, sottolineando il valore civile e il tratto umano di un italiano speciale, capace di anteporre il coraggio della dignità alla paura delle feroci ritorsioni alle quali si sarebbe esposto. Nel 1992 – quando ancora si sapeva poco, del potere della ‘ndrangheta – la tensione raggiunse il culmine: Nino Polifroni fu preso a fucilate, prima alla guida di un camion e poi sulla porta di casa, rimediando gravi ferite. L’imprenditore non si piegò al terrore, fino al tragico epilogo che lo attendeva, quattro anni più tardi.
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Pezzi di merda: fenomenologia dell’odio nell’Italia di Salvini
Succede questo: a proclamarsi paladini dell’uomo dalla pelle scura, oggi, sono i killer politici dell’uomo dalla pelle chiara – quelli che gli hanno tolto tutto, in Europa, dopo aver abbondantemente depredato anche l’Africa, trasformandola in una terra desolata da cui scappare. Così i naufraghi salvati in mare da una nave della Guardia Costiera diventano prigionieri, letteralmente torturati dal vero Uomo Nero, il Ministro della Paura che usurpa la poltrona del Viminale. Ha un problema, l’Uomo Nero, anzi due: non può fare quello che vorrebbe, e che ha promesso agli elettori – tagliare le tasse – e in più deve rispondere di un risarcimento colossale imposto al suo partito dal potere giudiziario. Un risarcimento così anomalo, e così enorme, da ridurre praticamente a zero la possibilità di sostenere qualsiasi attività politica, e quindi di continuare a esistere, come partito. Chi ha paura dell’Uomo Nero? La cosiddetta Europa: quella che impedisce che le tasse vengano abbattute, che le pensioni italiane siano dignitosamente rimpinguate, che giunga un reddito provvisorio ai senza-lavoro. Di questo sono ostaggi, i naufraghi della nave Diciotti: di un’ingiustizia infame, compiuta da Bruxelles.Negli ultimi tre anni, si apprende, l’Italia ha accolto la quasi totalità dei 700.000 migranti sbarcati sulle sue coste. Il resto d’Europa non li vuole. Deve tenerseli, per forza, l’Uomo Nero. Al quale però non si concede – in cambio – di abbassare le imposte, alzare le pensioni, distribuire un reddito di cittadinanza. “Pezzi di merda”, li qualifica senza giri di parole il filosofo televisivo Massimo Cacciari – ma attenzione: l’insulto non è affatto rivolto ai mostri dell’Unione Europea, i fanatici del rigore, gli affamatori della Grecia, i devastatori dell’Italia, i predoni delle autostrade che poi crollano. Su quelli, tuttalpiù, sono piovute fumose analisi, formulate in italiano forbito. L’espressione brutalmente gergale è invece indirizzata agli insensibili criminali che osano trattenere un centinaio di africani, giovani adulti, a bordo di un natante della Guardia Costiera ormeggiato in un porto siciliano. Tra i “pezzi di merda” più autorevoli, se non altro per il ruolo istituzionale che riveste, è il vicepremier Di Maio, il primo a esprimere – sotto forma di minaccia aperta, alla buon’ora – la possibilità di sospendere i finanziamenti miliardari che l’Italia è tenuta, dai trattati, a versare alla burocrazia Ue.Mentre i filosofi incendiano le strade, già lastricate di furore e di violenza, di odio squadristico e mediatico contro l’insolente governo che gli italiani – quei farabutti – hanno osato votare e ora sostanzialmente approvano, maledetti loro, uno dei due consoli che reggono l’esecutivo Conte arriva dunque ad avvertire i cosiddetti partner europei: attenzione, la corda potrebbe spezzarsi. Si comincia ventilando l’indicibile – la renitenza contributiva – e così ci si infila su un sentiero che potrebbe portare addirittura là dove fino a ieri sarebbe stato impensabile: lo spettro dell’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, finalmente presentata per quello che è – una cricca di tecnocrati imbroglioni, al soldo della peggiore oligarchia speculativa. Questo è un paese in cui il presidente della Repubblica, parlando con l’allora premier incaricato, lo ha cortesemente (ma irritualmente) invitato a passare a salutare il governatore della Banca d’Italia, l’esimio Ignazio Visco, super-banchiere convinto – al pari del tedesco Günther Oettinger, o del connazionale Carlo Cottarelli – che saranno “i mercati”, in futuro, a “insegnare” agli italiani come votare, pena la scure dello spread, nel caso ripetessero l’errore imperdonabile di premiare gli sciamannati 5 Stelle o, peggio, l’Uomo Nero, cioè l’illuso che voleva il professor Paolo Savona al ministero dell’economia e un principe del giornalismo indipendente come Marcello Foa alla presidenza della Rai.Scherziamo? Siamo impazziti? L’ultima presidente della Rai, Monica Maggioni, è ora presidente della sezione italiana della Commissione Trilaterale, mentre la collega Gruber – quella che ospita frequentemente il noto filosofo, talora affetto da coprolalia – è saldamente ospite dei gagliardi passacarte messi assieme dal conte Étienne Davignon e dall’imperatore David Rockefeller, riuniti per la prima volta nel lontano 1954 all’hotel de Bilderberg a Oosterbeek, in Olanda. Lo stesso Visco, che governa Bankitalia (di proprietà di banche private) è il pupillo di Mario Draghi, che nel 1992 salì a bordo del panfilo Britannia e oggi governa la Bce (di proprietà di banche private). Draghi risulta essere un membro autorevolissimo dello stesso club che annovera tra i suoi eletti il presidente emerito Napolitano e il francese Jacques Attali, l’uomo-ombra di Macron: prontissimo, tramite l’obbediente Tajani, ad attivare il network sotterraneo dimostratosi capace di indurre Berlusconi a venir meno alla parola data a Salvini, sulla nomina di Foa. Tutto è partito dall’Eliseo, cioè dal vertice politico del paese che, oggi anno, depreda 14 Stati africani portandogli via l’equivalente di 500 miliardi di euro, costringendo i loro giovani a imbarcarsi verso le nostre coste.Qualcuno spieghi, ai migranti soccorsi dalla Diciotti, che non possono fidarsi dell’uomo bianco che si finge loro amico. “Timeo Danaos et dona ferentes”: i greci mi fanno paura anche quando portano doni, dice Laocoonte, nell’Eneide, di fronte al Cavallo di Troia appena giunto davanti alle mura della città assediata. Se solo i giornalisti avessero fatto il loro dovere, accusa il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh, in questi anni avremmo avuto meno guerre, meno stragi, meno vittime, perché quasi tutte le guerre, così come l’opaco terrorismo stragista, sono state organizzate a tavolino, dalla stessa élite bugiarda, agitando false prove per demonizzare leader che riteneva scomodi. L’hanno potuto fare, sempre, grazie alla connivente reticenza dei giornali, delle televisioni. Lo stesso si può dire dell’intellighenzia nazionale “embedded”, quella che oggi – tra appelli rabbiosi (e schizzi di sterco) – si permette il lusso di criminalizzare l’Uomo Nero, ignorando deliberatamente i crimini mostruosi dell’oligarchia-fantasma che ha declassato il paese, condannandolo al declino dopo averlo svenduto, pezzo su pezzo, fino a farlo crollare come il ponte di Genova. Un’Italia alla frusta, amputata della sua sovranità e taglieggiata dai finti ragionieri di Bruxelles. Eppure, nel paese a cui la Francia impedisce di eleggere il presidente della televisione di Stato, ci si scaglia selvaggiamente contro il ministro che “sequestra” i migranti su una nave.Il crollo delle dittature è spesso preceduto da violenze inconsulte. In Romania, Nicolae Ceaucescu ordinò alla Securitate di sparare nel mucchio, al primo accenno di ribellione popolare. E il satrapo Siad Barre, a lungo padrone della Somalia grazie anche al provvido sostegno post-coloniale italiano, non esitò a ordinare alla polizia di mitragliare il pubblico dello stadio che aveva osato contestarlo. Si dirà che siamo in Italia, dove vige la legge semiseria della “bolla di componenda”, sintetizzata dal genio letterario di Camilleri: ogni conflitto si trasforma in una tempesta in un bicchier d’acqua, se alla fine tutti si portano a casa la loro fetta di torta. Si dirà che il cosiddetto governo gialloverde, quello dell’Uomo Nero, sta esasperando la crisi dei migranti solo per aprire un fronte alternativo da cui attaccare Bruxelles, cioè il super-potere che gli vieterà di mantenere le promesse fatte agli elettori il 4 marzo, pena il ricatto dell’incursione finanziaria sul costo del debito pubblico di un paese reso vulnerabilissimo, come gli altri dell’Eurozona, dall’assenza di una moneta sovrana con la quale difendersi dal racket della Borsa. Sia come sia, lo spettacolo cui si è costretti ad assistere rivela qualcosa di estremamente inedito: mentre giornali e intellettuali lanciano palle di letame, gli elettori osservano con attenzione le mosse del loro governo, il primo esecutivo – nella storia ingloriosa dell’Ue – completamente sgradito da Bruxelles.Succede questo: a proclamarsi paladini dell’uomo dalla pelle scura, oggi, sono i killer politici dell’uomo dalla pelle chiara – quelli che gli hanno tolto tutto, in Europa, dopo aver abbondantemente depredato anche l’Africa, trasformandola in una terra desolata da cui scappare. Così i naufraghi salvati in mare da una nave della Guardia Costiera italiana diventano prigionieri, letteralmente torturati dal vero Uomo Nero, il Ministro della Paura che usurpa la poltrona del Viminale. Ha un problema, l’Uomo Nero, anzi due: non può fare quello che vorrebbe, e che ha promesso agli elettori – tagliare le tasse – e in più deve rispondere di un risarcimento colossale imposto al suo partito dal potere giudiziario. Un risarcimento così anomalo, e così enorme, da ridurre praticamente a zero la possibilità di sostenere qualsiasi attività politica, e quindi di continuare a esistere, come partito. Chi ha paura dell’Uomo Nero? La cosiddetta Europa: quella che impedisce che le tasse vengano abbattute, che le pensioni italiane siano dignitosamente rimpinguate, che giunga un reddito provvisorio ai senza-lavoro. Di questo sono ostaggi, i naufraghi della nave Diciotti: di un’ingiustizia infame, compiuta da Bruxelles.
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Silenzio stampa sulla droga: la strage non è più di moda
Ci inchiodano per giorni e giorni a parlare di due tredicenni che chiamano sporco negro un immigrato e gli sparano a salve con la scacciacani, o di una capotreno che usa parole sconvenienti per far scendere dal treno zingari molesti senza biglietto e magari con portafogli altrui. O perfino di un barista che espone la foto di Mussolini. Tutto il circo è impegnato nell’impresa: dai clown del Pd ai trapezisti dell’ideologia, dai prestigiatori di notizie ai domatori di bufale, fino alle foche ammaestrate dalla sinistra da passeggio e da corteo. Ma nel frattempo passa inosservato un fenomeno quotidiano grave e preoccupante: lo spaccio e il consumo di droga crescente nel nostro paese, il numero di morti all’anno per overdose e in generale per droga, molti più dei femminicidi e di altre emergenze vere e presunte, il numero record di detenuti per reati connessi alla droga, gli incidenti anche mortali a causa di guidatori in stato di ebbrezza o di allucinazione, la scalata dell’Italia ai primi posti dei consumi e della tossicodipendenza. Quasi trecento all’anno: eran trecento, eran giovani e storti, e sono morti… Cresce l’eroina, per non dire delle droghe sintetiche, ottenute chimicamente, oltre quelle più note.Sono migliaia gli episodi di violenza, di minacce, di ricatti per procacciarsi la “signorina” che scorrono come un fiume quotidiano di sangue e di pazzia, e non ci facciamo più caso. Non c’è giorno che io non senta, magari col passaparola, episodi legati alla droga: infanticidi per alterazione mentale, uccisioni brutali di nonni, genitori, zii che non volevano più finanziare il vizio dei loro nipoti scellerati, aggressioni a donne, ex-conviventi, in stati di allucinazione dovuti alla droga, risse mortali davanti e dentro discoteche tra ragazzi in preda a deliri di droga, e potrei continuare… Certe zone, certi luoghi e certe ore sono off limits in tutte le città italiane perché è in corso la sagra dello spaccio, con relativa brutta umanità al seguito e sciame sismico di violenze e abusi. Si sente ogni tanto, a mezza bocca, notizia di partite di droga sequestrate; ma sono solo una piccola parte e solo il segnale di quale movimento, quale giro colossale vi sia dietro. Di tutto questo arriva poco o nulla alla Fabbrica delle Notizie e ai falsificatori di cui sopra, impegnati a denunciare un solo Male sotto mille vesti, il Razzismo.Perché passa sotto silenzio la droga, o si parla solo di qualche episodio ma senza la grancassa mediatica e intellettuale che ne indaga il fenomeno? Perché nella droga il razzismo o il nazionalismo non c’entra ma emerge piuttosto il suo rovescio, confluiscono due piaghe sconvenienti che si devono tacere: da una parte la manovalanza massiccia di migranti, soprattutto neri, nello spacciare e procurare la droga, dall’altro un modello di società libertaria, radical, trasgressiva, anti-proibizionista, che deriva dai piani alti della nostra società, dal nichilismo diffuso e dal cinismo degli imprenditori di morte. Diciamo che sulla droga s’incontra la libertà psichedelica del “tutto è permesso” di matrice sessantottina dove i diritti sconfinano nei desideri e l’accoglienza illimitata di migranti che, per fame ed estraneità al territorio, sono facilmente reclutabili nel racket. I due fattori, shakerati dall’ideologia radical, disegnano la nuova società verso cui andiamo incontro e che ha perso il senso del limite, personale e territoriale, morale e civile.Masse di espiantati, disperati, privi di tutto a disposizione dei racket e dall’altro masse di consumatori, disperati anch’essi, ma benestanti o comunque in grado di mungere soldi, privi di ogni riferimento. La tratta dei pomodori, lo schiavismo nelle campagne, assume – e giustamente – grande rilievo nei media; la tratta della droga, la vendita di morte, invece va in sordina. I caporali nelle campagne sono una brutta bestia ma impallidiscono in confronto ai caporali della droga e ai loro legami con la criminalità organizzata. Sentite mai parlare di campagne contro la droga, di emergenza droga, di educazione civica contro la droga? Macché, solo razzismo, nazismo, sessismo. L’omertà sulla droga e i mali derivati è una forma di complicità mediatica e politica assai grave. È anche un occultamento di cadavere: muore il senso del limite e della realtà e qui si festeggia il mondo global, senza frontiere tra i popoli, tra il bene e il male, tra il lecito e l’illecito. Un’informazione drogata.(Marcello Veneziani, “Silenzio stampa sulla droga”, dal “Tempo” del 14 agosto 2018; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ci inchiodano per giorni e giorni a parlare di due tredicenni che chiamano sporco negro un immigrato e gli sparano a salve con la scacciacani, o di una capotreno che usa parole sconvenienti per far scendere dal treno zingari molesti senza biglietto e magari con portafogli altrui. O perfino di un barista che espone la foto di Mussolini. Tutto il circo è impegnato nell’impresa: dai clown del Pd ai trapezisti dell’ideologia, dai prestigiatori di notizie ai domatori di bufale, fino alle foche ammaestrate dalla sinistra da passeggio e da corteo. Ma nel frattempo passa inosservato un fenomeno quotidiano grave e preoccupante: lo spaccio e il consumo di droga crescente nel nostro paese, il numero di morti all’anno per overdose e in generale per droga, molti più dei femminicidi e di altre emergenze vere e presunte, il numero record di detenuti per reati connessi alla droga, gli incidenti anche mortali a causa di guidatori in stato di ebbrezza o di allucinazione, la scalata dell’Italia ai primi posti dei consumi e della tossicodipendenza. Quasi trecento all’anno: eran trecento, eran giovani e storti, e sono morti… Cresce l’eroina, per non dire delle droghe sintetiche, ottenute chimicamente, oltre quelle più note.
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L’impresentabile Cottarelli, contro l’Italia che voleva Savona
L’Italia è vistosamente in subbuglio, dopo la decisione del presidente Mattarella di non consentire la nascita del “governo del cambiamento” bloccando – in modo controverso – la nomina di Paolo Savona, ministro designato all’economia. In attesa che si chiarisca il profilo giuridico della decisione, da più parti ampiamente contestata (fino alla possibile richiesta di impeachment nei confronti del capo dello Stato), emerge in mille rivoli un sentimento popolare che si sta rivelando maggioritario: l’amarezza per una decisione percepita come una beffa, uno schiaffo alla cosiddetta sovranità popolare. Eloquente lo stesso discorso del presidente della Repubblica dopo il licenziamento di Giuseppe Conte: impossibile nominare un ministro che rischi di irritare i mercati finanziari privati, da cui ormai dipende la finanza pubblica. A questo è ridotta la sovranità democratica, in nome della quale si chiede ai cittadini di partecipare alle elezioni? Di fatto, il capo dello Stato ha compiuto un’azione che secondo molti osservatori non ha precedenti, imponendosi sui partiti eletti nel bocciare un candidato ministro per le sue idee politiche. E come se nulla fosse accaduto, mentre il paese intero si interroga sul proprio destino, un tecnocrate del Fondo Monetario Internazionale accetta con la massima disinvoltura l’incarico di presidente del Consiglio.
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Prove tecniche di rivoluzione, contro il racket del potere Ue
Rivoluzione o cospirazione? Come crolla, un regime autoritario? In genere a farlo implodere non è direttamente la piazza, ma il dissenso interno, pur tra mille contraddizioni e opache trame manipolatorie. Sembra un copione ricorrente, come nel caso della Libia di Gheddafi rovesciata su iniziativa degli ex alleati di Bengasi – incoraggiati dalla Francia, e comunque reduci da una lunghissima cogestione del potere insieme al Colonnello. A smontare il maggiore “impero rigido” del Novecento, l’Unione Sovietica, è stato Mikhail Gorbaciov: non un outsider, ma un alto dirigente del Kgb. Esattamente come Vladimir Putin, l’uomo che poi la Russia l’ha rimessa insieme pezzo su pezzo. Vuoi provare a “smontare” l’Unione Europea per trasformarla in qualcosa di meglio dell’attuale aborto? Non puoi fare a meno di un “insider” di altissimo livello, di un veterano come Paolo Savona (non a caso temutissimo dagli attuali gestori dell’infernale crisi che tiene in ostaggio l’intera Europa, sotto il ricatto finanziario permanente). Altro dettaglio: quando la storia cambia passo, il vecchio potere sembra improvvisamente antico, paleozoico, surreale. Lo sono le sue parole arcaiche e logore, i suoi slogan polverosi. Balbettano, i potenti, increduli di fronte al baratro che si va aprendo. E balbettano, altrettanto disorientati, i grandi media – quelli che hanno smesso di raccontare il mondo, e quindi hanno subito le sorprese della Brexit, di Trump, del referendum contro Renzi, delle ultime elezioni italiane.Finisce nella bufera, in Italia, il presidente della Repubblica, accusato di non aver saputo resistere – in nome della dignità nazionale – alle midiciali pressioni del grande potere apolide che ha in mano l’Europa. E’ un potere senza patria, industriale e finanziario, neo-aristocratico e segretamente supermassonico. Un potere globalista e ricchissimo, infinitamente più forte – per il momento – delle piccole, residue sovranità nazionali ridotte a elemosinare decimali di deficit e briciole di flessibilità. Un sistema che, per primo, Paolo Barnard ha definito neo-feudale: svuotata la democrazia, piegata o “comprata” l’ex sinistra sindacale dei diritti, i signori del neoliberismo (peggiorato ulteriormente, in Europa, dalla versione ordoliberista teutonica, stolidamente ottocentesca e ottusamente mercantile, sleale e imbrogliona) hanno compiuto una restaurazione storica e drammaticamente spettacolare. Il potere, semplicemente, è tornato nelle mani di un’élite pre-democratica e pre-moderna, di tipo medievale. Gli ordini non si discutono: se il vero potere decreta che uno Stato non può più ricorrere al deficit, la discussione è finita. Pena, lo scatenarsi dei “mercati”. Una logica intimidatoria e brutalmente esplicita, di stampo mafioso. Una sorta di racket, al quale gli Stati ex-sovrani devono sottoporsi, senza che i cittadini-elettori siano mai stati interpellati. Fin qui, il copione di ieri. Quello che oggi sta letteralmente franando.Nelle parole che Sergio Mattarella ha rivolto alla nazione immediatamente dopo il “gran rifiuto” opposto alla nomina di Savona, risuona la visione macro-economica del sistema che il neoliberismo – vera e propria teologia dogmatica – ci ha fatto credere l’unica possibile. Per questo, Mattarella la presenta come ovvia: nel suo pensiero c’è posto per un solo modo di risolvere le crisi, e cioè tagliando il deficit pubblico. Una sola fede, una sola religione: quella che il neoliberismo ha imposto a mano armata, con formidabile efficacia, colonizzando l’immaginario universale – scuole, media, governi, editoria, università. Lo Stato deve dimagrire: non ci sono alternative, diceva Margaret Thatcher nel 1980. Peccato che la cura dimagrante imposta dal vero potere e inaugurata da Mario Monti abbia depresso l’economia al punto da far esplodere quel debito che si pretendeva di abbattere. Sono state colpite famiglie e aziende: meno lavoro, risparmi erosi, meno entrate fiscali. Risultato scontato: si è allargata la forbice tra debito e Pil. Come uscirne? Nell’unico modo possibile: facendo esattamente l’opposto. Investimenti a deficit, quindi più lavoro e più Pil, più entrate fiscali e, alla fine, riduzione proporzionale del debito. E’ semplice, in teoria. Ma sembra impossibile.I peggiori politici che un paese come l’Italia abbia mai avuto – gli eroi della Seconda Repubblica – hanno potuto sgranare impunemente il rosario dei falsi dogmi del neoliberismo. L’hanno fatto sempre, a reti unificate, mai contraddetti né interrogati dalla stampa. Un quarto di secolo si è giocato interamente solo all’interno di una soltanto delle narrazioni possibili, quella del neoliberismo, ulteriormente limitato dai vincoli dell’ordoliberismo europeo. Nessuno s’è mai chiesto come abbia fatto, il Giappone, a vivere benissimo con un debito pubblico al 200% del Pil, senza l’ombra di attacchi speculativi – impossibili, con moneta sovrana e una banca centrale che fa il suo mestiere di prestatore di ultima istanza. Nessuno in fondo si è mai chiesto niente di fondamentale, nell’Italia ipnotizzata per vent’anni dal finto duello tra Prodi e Berlusconi, entrambi al servizio (Prodi più di Berlusconi) del sommo potere neoliberista e privatizzatore. Ora, improvvisamente, il Re si scopre nudo: arriva a bloccare la nomina di un ministro, solo perché sgradita ai boss della finanza che occupano militarmente i palazzi europei. Gli italiani, a loro volta, scoprono che il loro voto è stato perfettamente inutile, e ormai diffidano delle istituzioni: temono che siano state colonizzate da poteri stranieri. C’è gente che queste cose le ha dette e scritte per vent’anni. La novità è che ora sono entrate clamorosamente a far parte dell’agenda politica, grazie a due movimenti eterodossi: uno ex-secessionista, l’altro creato dal nulla sul web.Rivoluzione o cospirazione? Come crolla, un regime autoritario? In genere a farlo implodere non è direttamente la piazza, ma il dissenso interno, pur tra mille contraddizioni e opache trame manipolatorie. Sembra un copione ricorrente, come nel caso della Libia di Gheddafi rovesciata su iniziativa degli ex alleati di Bengasi – incoraggiati dalla Francia, e comunque reduci da una lunghissima cogestione del potere insieme al Colonnello. A smontare il maggiore “impero rigido” del Novecento, l’Unione Sovietica, è stato Mikhail Gorbaciov: non un outsider, ma un alto dirigente del Kgb. Esattamente come Vladimir Putin, l’uomo che poi la Russia l’ha rimessa insieme pezzo su pezzo. Vuoi provare a “smontare” l’Unione Europea per trasformarla in qualcosa di meglio dell’attuale aborto? Non puoi fare a meno di un “insider” di altissimo livello, di un veterano come Paolo Savona (non a caso temutissimo dagli attuali gestori dell’infernale crisi che tiene in ostaggio l’intera Europa, sotto il ricatto finanziario permanente). Altro dettaglio: quando la storia cambia passo, il vecchio potere sembra improvvisamente antico, paleozoico, surreale. Lo sono le sue parole arcaiche e logore, i suoi slogan polverosi. Balbettano, i potenti, increduli di fronte al baratro che si va aprendo. E balbettano, altrettanto disorientati, i grandi media – quelli che hanno smesso di raccontare il mondo, e quindi hanno subito le sorprese della Brexit, di Trump, del referendum contro Renzi, delle ultime elezioni italiane.
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Giannini: il reddito di cittadinanza può far gola alla mafia
Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.Di Maio il candidato premier, Ruocco, Sibilia e Fico sono stati 4 dei 5 membri del vecchio direttorio e sono tutti campani. Mi chiedo come possa essere stato possibile che da questi rappresentanti non siano state previste delle “clausole di salvaguardia” per l’erogazione del RdC nelle aree del paese a forte infiltrazione mafiosa; mi domando se questa gravissima lacuna sia stata frutto di incompetenza o di distrazione (a causa della campagna elettorale). Non critico l’opportunità di un Reddito Minimo Garantito Workfare quale è il RdC (di cui sono promotore dal 2011) ma parte dei 29 miliardi del RdC non possono diventare un business per la criminalità organizzata. Potevano essere previsti diversi tipi di contrappeso: la possibilità per il prefetto di sospendere l’erogazione a tempo indeterminato nelle aree infiltrate; un tetto massimo di prelievo giornaliero e settimanale; l’utilizzo di una carta di credito apposita con cui si possano spendere i 780 euro ma non ritirare banconote. Comprendo che quando tocchiamo grossi interessi della malavita ci si espone a un pericolo ma ho nel cuore le parole della vedova Caponnetto: «Hai i 5 valori di mio marito, non ti far cambiare e mantieni il tuo coraggio»; non esiste una equazione Sud = malavita, ma in molti Comuni del meridione esiste una mentalità “anti Stato” in cui la malavita è vista come lo Stato (io ho vissuto alcuni periodi della mia vita in province campane pur essendo da sempre residente in Toscana).Lo “Stato Camorra” è percepito come la “comunità locale”, come colei che “provvede”, in antitesi ad uno Stato italiano “canaglia”, descritto come invasore, oppressore, responsabile della “depressione” delle aree del Sud. «E’ Stato la Mafia», direbbe Travaglio. Da questa forma di Stato-AntiStato parallelo vengono “forniti” lavori saltuari, a volte derrate alimentari sotto traccia, sostegno economico e “protezione”. Ad essere tagliaggiate sono le imprese; non dubito che sarà così anche per gli aventi diritto al reddito: saranno avvicinate persone che altrimenti sarebbero fuori dal raggio di azione concreto dei gangli mafiosi. La mafia esiste e, in quanto tale, impone ai cittadini la propria sopravvivenza, motivandola come la sopravvivenza di tutti: chiaramente è falso, chiaramente ancora oggi vive di rancori storici verso lo Stato unitario italiano. Esiste una zona grigia sociale da cui nessuno è immune: può accadere a chiunque, perfino durante un singolo pomeriggio, di essere malavitoso per un quarto d’ora per poi tornare a non esserlo: ad esempio fingendo di non sapere con chi si sta prendendo un caffè (obtorto collo) perché magari presente nel gruppo di un amico, ecc. Le persone in queste realtà si conoscono tutte, ed è certo come lo sono “il giorno e la notte” che in questi contesti la frase sarebbe del tipo: «Sei disoccupato? Quanto ti dà lo Stato? 780 euro? Sai che noi siamo lo Stato. Noi dobbiamo proteggere tutti, proteggiamo anche te, tua moglie, ecc. Devi dare una mano anche tu alla Comunità perché noi siamo la tua famiglia, non lo Stato».Possiamo speculare, ipotizzare possano essere 100 euro, 50, 200 euro al mese, ma la mia sensazione è che ciò puntualmente accadrà. Chi si fa promotore della proposta del Reddito di Cittadinanza è il M5S, che nelle regioni del Sud non viene votato granché quando si tengono elezioni locali (dal comunale, al regionale fino al voto europeo) mentre in vista del Reddito di Cittadinanza alle elezioni nazionali (da quello che scrivono su Facebook e dai sondaggi) pare fare il pieno. Temo che solo in parte ciò sia dovuto all’elevato tasso di disoccupazione presente al Sud; credo che la mafia stia favorendo un consenso in questa direzione agendo nella società e che sempre la malavita stia pregustando l’erogazione del Reddito di Cittadinanza. Senza voler creare allarmismo potrebbe accadere, addirittura, che le Regioni che contribuiscono in modo massiccio alle entrate dello Stato, se emergessero i primi scandali, chiederanno a gran voce l’autonomia, mettendo in discussione l’integrità territoriale italiana prevista dalla Costituzione e lasciando il Sud in mano proprio alla peggior forma di Parastato, proprio ai carnefici di Falcone e Borsellino sulla cui fine ancora oggi dubito sia stata fatta pienamente luce.(Marco Giannini, riflessione su “Il potenziale legame tra Reddito di Cittadinanza e Mafie”, pubblicato sa “Libreidee” il 3 marzo 2018. Già attivista del Movimento 5 Stelle, Giannini è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, sottotitolo “Corso di sopravvivenza per chi non sa niente di economia”, edito da Andromeda nel 2015, presentato anche alla Camera. Nel gennaio 2017 Giannini si è distanziato dal movimento fondato da Grillo dopo la tentata adesione del M5S al gruppo ultra-europeista dell’Alde in seno al Parlamento Europeo).Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.