Archivio del Tag ‘Repubblica Romana’
-
Magaldi: socialismo liberale, il virus salva-Italia siamo noi
«Siamo piccoli, ma attentamente monitorati: ai piani alti, c’è chi si domanda in che modo contiamo di riuscire nell’impresa, e non manca chi vorrebbe attuare le nostre proposte. Che poi sono le uniche in grado di ribaltare la situazione: perché le nostre idee sono uno scandalo, un’eresia. Un virus benefico, destinato a contaminare finalmente il sistema». Gioele Magaldi sintetizza il concetto in due parole: socialismo liberale. Keynes e Roosevelt, Carlo Rosselli, Olof Palme. I semi migliori del Novecento: l’antidoto contro l’ingiustizia. Dove sono finiti? Dispersi: soffocati dalla sovragestione del neoliberismo globalizzato. Ma oggi, per un movimento d’opinione come quello fondato nel 2015 da Magaldi, rappresentano l’unico salvagente per evitare il naufragio della democrazia, schiacciata dalle possenti oligarchie planetarie che ora speculano anche sul disastro del coronavirus. Il loro piano: mantenere il potere a tutti i costi, anche instaurando una sorta di polizia sanitaria mondiale, pronta a usare il ricatto della paura e il fantasma della depressione economica. Risultato: l’Europa ridotta a nullità politica, capace però di tenere in ostaggio un paese come l’Italia, il cui governo – lasciato senza soldi – non ha la minima idea di come evitare il massacro sociale a orologeria che già si annuncia per l’autunno. «Famiglie e aziende avranno l’acqua alla gola, per effetto del terribile lockdown imposto senza nessun vero paracadute economico».«A Conte faremo una proposta che non potrà rifiutare», annunciò Magaldi tempo fa, tra il serio e il faceto, indossando una maglietta con l’icona di Marlon Brando nei panni del “Padrino”. Ora rilancia: «In settimana, il nostro piano salva-Italia sarà pronto e illustrato anche in un video, sul nuovo canale MrTv». Il succo: proposte ragionevoli, il “minimo sindacale” per evitare il peggio. Attenti: «La nostra non è una provocazione arrogante, tutt’altro: sono iniziative che qualsiasi governo (di centrodestra o centrosinistra, non importa) avrebbe dovuto adottare già durante il lockdown». Un pacchetto di misure «attuabili da subito», che il Movimento Roosevelt guidato da Magaldi insiste nel voler impacchettare sotto forma di “ultimatum”: «Sarà recapitato nei prossimi giorni all’esecutivo, che avrà a disposizione l’intera estate per valutare le nostre proposte. L’ultimatum scadrà in occasione dell’election-day del 20-21 settembre». Giuseppe Conte accoglierà quei consigli? Tanto meglio: «Se saranno soddisfatte le esigenze minime degli italiani – dice Magaldi – ne prenderemo atto e ringrazieremo: in una prospettiva laica come la nostra non ci sono nemici, né antagonisti o pregiudizi».Se Conte e i suoi ministri, «da quei brocchi che hanno mostrato di essere sinora, dimostrassero di diventare dei purosangue, a partire da settembre», allora «mi toglierei il cappello e ne sarei felice, come cittadino italiano e come europeo», assicura il leader “rooseveltiano”. «C’è però la “legittima suspicione” che così non sarà», aggiunge: «E allora, in quel caso si avrà il debutto della Milizia Rooseveltiana il 5 ottobre, nell’anniversario della data fatidica del 1789 in cui le donne della Rivoluzione Francese marciarono su Versailles per chiedere al Re perché mai non volesse sottoscrivere la nuova Costituzione». Milizia Rooseveltiana? Una formazione “marziale” solo a livello teatrale, con uno slogan (”dubitare, disobbedire, osare”) che capovolge ironicamente il mussoliniano “credere, obbedire, combattere”. «Missione: incalzare il governo, in modo nonviolento ma divenendo una vera spina nel fianco: nelle piazze italiane, la Milizia chiederà conto – ogni giorno – dell’eventuale, mancato recepimento del piano salva-Italia».Altra avvertenza: non è un’iniziativa di parte, contro Conte. «Neppure l’opposizione ha brillato», sottolinea Magadi: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia «non hanno strutturato una vera proposta alternativa per il paese». Un consiglio? «Qualcuno di loro dovrebbe andare politicamente in pensione. Altri dovrebbero guardarsi dentro e sviluppare un vero progetto per l’Italia, che oggi non hanno». Ce l’ha Magaldi, il progetto? La sua risposta è scontata: certamente sì. Ma chi è, il presidente del Movimento Roosevelt? Due cose insieme: un intellettuale, e un massone. Laureato in filosofia, appassionato storico, tagliente politologo. E’ ultra-trasparente, il suo impegno nel mondo libero-muratorio: nel suo saggio “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere (bestseller italiano, oscurato dai media), da un lato denuncia le superlogge sovranazionali neo-oligarchiche e il loro sogno di Nuovo Ordine Mondiale neoliberista, “neoaristocratico” e post-democratico, e dall’altro rivendica il ruolo della massoneria settecentesca nella fondazione dell’attuale modernità: suffragio universale, libere elezioni, laicità e Stato di diritto.«La democrazia è un’anomalia della storia: e non ce l’ha portata la cicogna, è il frutto della massoneria rivoluzionaria che riuscì ad abbattere l’Ancien Régime in Europa a partire dalla Francia fino poi a guidare il Risorgimento italiano, dopo aver animato la stessa Rivoluzione Americana». Insiste: «L’architettura istituzionale del mondo in cui viviamo è interamente massonica. Per questo mi domando se siano in grado di fare il loro mestiere i magistrati come Nicola Gratteri, che tendono a criminalizzare la massoneria: si rendono conto che la stessa Costituzione italiana nasce dalle idee ultra-massoniche alla base della primissima Costituzione della Repubblica Romana di Mazzini e di Garibaldi, primo “gran maestro” del Grande Oriente d’Italia?». Discorsi lunari, in un’Italia che associa regolarmente i grembiulini alla P2 di Gelli, o a qualche congrega infiltrata dalla mafia. «Quelle sono conventicole che non contano niente, e lo sanno tutti. Ma fingono di non sapere che i grandi decisori dei nostri tempi – anche italiani, da Monti a Napolitano – appartengono tutti all’aristocrazia massonica internazionale: il mondo delle Ur-Lodges, quello che orienta davvero i destini del pianeta».Ne fa parte lo stesso Magaldi, già “iniziato” alla superloggia “Thomas Paine”, punta di lancia del progressismo novecentesco. Una filiera che ha “allevato” e sostenuto personaggi come Gandhi e Papa Giovanni XXIII, i Kennedy e i Roosevelt, Martin Luther King, Nelson Mandela, Yitzhak Rabin. Sempre di massoneria si tratta, ma di segno opposto. Ed ecco il punto: «Il sistema massonico oligarchico stava perdendo la sua presa sul mondo, lo si è visto con l’inattesa elezione di Donald Trump, fiero avversario del globalismo neoliberista: Trump ha imposto uno stop all’egemonia della Cina, che era e resta la creatura preferita dell’élite massonica reazionaria». Il progetto: efficienza economica, ma senza democrazia. Un modello da esportare in Occidente? «Sicuramente è stato esportato il modello-Wuhan per il coronavirus: massimo rigore e sospensione della libertà. Ed è successo appena dopo che Trump ha inflitto a Xi Jinping l’umiliazione dei dazi». Come dire: è in corso una partita cruciale per le sorti del pianeta, di portata epocale. Da una parte i neoliberisti, che si sono riciclati come gendarmi sociali in nome del Covid, favoloso pretesto per rendere eterna l’austerity degli ultimi decenni. Dall’altra, sono in campo quelli che Magaldi chiama massoni progressisti: avversari del rigore già prima della pandemia, e ora impegnati a evitare che il virus diventi un alibi per seppellire quel che resta della nostra democrazia.Di più: per il fronte in cui Magaldi milita, la crisi pandemica è un’occasione irripetibile. Il collasso indotto dal lockdown rappresenta un assist perfetto, per archiviare il dogma della scarsità – solo immaginaria – e il falso riformismo sulla pelle degli altri (”ce lo chiede l’Europa”). Il Piano-B l’ha esposto Mario Draghi a fine marzo, sul “Financial Times”: tornare a Keynes. Cioè: inondare di miliardi l’economia, senza paura di spendere. Soldi che non si trasformino in debiti: proprio come in tempo di guerra. Ma Draghi non era il sommo custode dell’ordoliberismo europeo in salsa teutonica? Lo era, dice Magaldi, ma nell’ultimo anno ha abbandonato la comitiva. «Il “fratello” Draghi è tornato alle sue origini keynesiane e ha chiesto di essere accolto nel circuito massonico progressista, come anche la “sorella” Christine Lagarde». A muoversi sono pesi massimi del potere economico, come la stessa Kristalina Georgieva del Fmi e Premi Nobel del calibro di Krugman e Stiglitz. Tutti a dire che non è possibile insistere con la “terapia” che ha impoverito l’Europa: vista la gravità della crisi economica indotta dal Covid, bisogna buttare a mare trent’anni di rigore finanziario e metter mano al “bazooka” dell’emissione monetaria illimitata e gratuita, non a debito, pena il collasso del sistema economico.«Ci stiamo accorgendo che nessun denaro verrà dato all’Italia con spirito solidaristico e risolutivo», riassume Magaldi. «Concedere denaro in prestito, vincolato alle solite condizionalità – poco importa che si tratti del Mes o di altro – è inaccettabile, in questa temperie. E se la classe politica europea non è all’altezza, quella italiana rispecchia perfettamente questa mediocrità complessiva». Così almeno la vede Magaldi: «L’Europa è un nano politico, economicamente sempre più problematico (benché ricco, perché eredita posizioni di privilegio). Ma il nanismo politico, geopolitico, diplomatico e militare, nella nuova guerra fredda tra sistema-Cina e sistema-Usa, con in mezzo la Russia a fare da terzo incomodo, non aiuta i futuri sviluppi economici dell’Europa». Lo spettacolo è eloquente: «L’Ue è incapace di darsi un’unità fiscale, evitando il dumping che molti paesi esercitano, ed è incapace di costruire un tessuto socio-economico più equo e lungimirante». E intanto il mondo non ci aspetta: «La Cina ci ha insegnato che un paese molto povero può aumentare in modo significativo il proprio Pil, anno dopo anno, e proiettarsi sullo scenario globale da protagonista neo-imperiale». Domani, tutto potrebbe cambiare. E noi, semplicemente, subiamo gli eventi: «C’è davvero un’assenza di visione, da parte di tutti i leader europei».A soffrire le pene dell’inferno, tanto per cambiare, è in primo luogo l’Italia: «Troppe famiglie, lavoratori, aziende ed esercizi sono ancora appesi a decisioni che non vengono prese. C’è un menare il can per l’aia, del governo e anche delle opposizioni: litigano e cazzeggiano. Gli uni (al governo) sono del tutto inefficaci, ma non è ben chiaro cosa farebbero al loro posto gli altri, che stanno all’opposizione». La verità, dice il presidente “rooseveltiano”, è che l’emergenza coronavirus non è mai cessata: «Ieri c’era un’emergenza sanitaria, e adesso c’è un’emergenza che è economica e sociale. Ce ne accorgeremo proprio a settembre: molti nodi verranno al pettine e ci sarà il baratro, per molti». A partire da settembre, «diventeranno lampanti i disastri che la cattiva gestione e la mancata reazione del governo provocherà, nella società e nell’economia italiana». E il guaio è che i leader europei sembrano ectoplasmi: «Troppi cincischiamenti, al di là dell’azione benemerita di Christine Lagarde, contro ogni previsione (salvo la mia). Per il resto solo parole, passi indietro e traccheggiamenti odiosamente studiati: quando era forte la pressione mediatica sul lockdown e sull’emergenza sanitaria strombazzata, si parlava del dovere dell’Europa di intervenire subito. E invece, di Recovery Fund stiamo ancora soltanto discutendo».Quest’anno il bilancio è molto negativo, sin qui, perché secondo Magaldi si è persa anche la grande opportunità – generata dal coronavirus – per un cambio di paradigma. Obiettivo mancato: archiviare gli ultimi disastrosi decenni di austerity. «La mia previsione però non è catastrofica: io continuo a rilanciare l’ottimismo della volontà, a patto però che diventi anche “ottimismo del fare”». Spiegazioni: «I massoni progressisti operano dietro le quinte, mentre il Movimento Roosevelt opera davanti alle quinte». Ma da solo non basta: «Si decidano a operare tutti i cittadini, aderendo a strumenti di azione politica». Concretezza e realismo: «Bisogna evitare di andare appresso ai soliti piagnoni apocalittici, che parlano di uscire dalla Nato e dall’euro, e magari strizzano l’occhio alla Russia ma odiano gli americani. Tutto questo “pastone” di “alternativi” non ha mai prodotto nulla, in questi anni, e continuerà a non produrre niente. Se si vuole cambiare la situazione, occorre iniziare dalle cose che si possono fare già da domani: e questo è l’unico cammino serio che il Movimento Roosevelt vuole intraprendere».Piccola profezia: «Il Movimento Roosevelt è destinato a crescere, perché la censura che l’ha finora colpito sarà destinata a crollare». Quel giorno, «risulterà che in questi anni si sono avvicendati partitini e partitoni, grandi e piccoli protagonisti, piccole narrazioni, litanie e piagnistei, mentre il Movimento Roosevelt è stato granitico, dal punto di vista ideologico, nel proporre qualcosa che è ancora un’eresia, uno scandalo». Ovvero: «Il socialismo liberale di cui parliamo noi non è quella parodia che ne ha fatto Renzi, e che tuttora ne fanno Calenda e altri, che declinano una forma di neoliberismo “de sinistra”». Magaldi allude al socialismo liberale in versione rooseveltiana, post-keynesiana, rosselliana. «Ci richiamiamo alla migliore tradizione del socialismo democratico, quella di Olof Palme. E’ il socialismo liberale che, in qualche modo, anche l’esecrato e demonizzato Bettino Craxi aveva comunque cercato di introdurre, tra luci e ombre, nella coscienza politica degli italiani». Già, Craxi: «Ebbe indubbie benemerenze, che però vennero stroncate: in Italia, quei socialisti che non erano subalterni ai comunisti erano definiti “social-traditori”. E Craxi era odiato da quella sedicente sinistra che da Pci si trasformò in Pds, poi in Ds, poi in Pd, e che certo non ha operato bene».Secondo Magaldi, «oggi è paradossale che il Pd appartenga al Partito Socialista Europeo, considerando che non c’è più nulla, di socialista, nella politica del Pd». Peraltro, «non c’è più nulla di socialista neppure nel Pse: dovrebbero vergognarsi, i sedicenti socialisti europei, ricordando l’esempio di personaggi come Olof Palme». Non solo: «Dovrebbero vergognarsi i socialdemocratici tedeschi, come anche i socialisti francesi, guardando a cosa si sono ridotti, e a quanto sono subalterni a narrative neoliberiste che in altri tempi sarebbero state definite “di destra conservatrice”. Il loro è un mondo fasullo, capovolto». Il Movimento Roosevelt, al contrario, rivendica un’assoluta e granitica coerenza: «Parliamo di socialismo liberale e democrazia sostanziale, e denunciamo i riti fasulli, vuoti e retorici di una democrazia priva di anima. Abbiamo idee all’avanguardia sull’istruzione, sull’ambiente, sull’energia, sulla difesa, sull’economia, sulla stessa riforma costituzionale dello Stato. Tutti seguono le nostre mosse con attenzione, e si chiedono cosa ne sarà di queste nostre idee forti, che qualcuno vorrebbe attuare. Domani, io credo che questa nostra influenza uscirà alla luce del sole e diventerà pienamente percepibile». Tanto ottimismo è motivato: «Per fortuna, c’è chi – accanto a noi, a livello globale – agisce dietro le quinte e prepara le condizioni più propizie perché le nostre idee possano affermarsi, presso la coscienza del popolo sovrano».Questo, ribadisce Magaldi, deve fare la differenza: «Il Movimento Roosevelt non vuole candidarsi a raccogliere voti alle elezioni, ma vuole influenzare politica e cittadini in modo solare, come una lobby apertamente dichiarata: una lobby della democrazia e del socialismo liberale». La missione: «Contaminare, come un virus benigno, le coscienze e le istituzioni. E vogliamo farlo in Italia, in Europa e nel mondo: per far sì che diventi un imperativo categorico, quello che è scritto nel nostro statuto, cioè la promozione e l’estensione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Il mondo di oggi è pieno di piaghe: «Democrazia assente, diritti calpestati, disuguaglianze mostruose. Oligarchie e teocrazie che dominano, imperterrite, con la loro arroganza». Ci dimentichiamo, ricorda Magaldi, che nel 1948 tutte le nazioni si erano impegnate a promuovere i diritti umani. «Il Movimento Roosevelt è qui per ricordarlo a tutti. E io credo che la sua influenza si misurerà negli anni e resterà nella storia: il giorno in cui certe cose verranno affermate, non si potrà non ricordare che questo è stato, perché a un certo punto il Movimento Roosevelt ha suonato la campana, e ha detto “la ricreazione è finita”».Pensieri visionari? Forse, dando per scontato che ogni avanguardia tende a esplorare orizzonti lunghi. Il monitor italiano, peraltro, s’è incantato su un fermo-immagine: il paese è a terra, e il governo non sa dove trovare i soldi per rianimarlo. «Quei soldi non c’erano nemmeno prima», dice Magaldi, che già un anno fa parlava di «almeno duemila miliardi» per rimettere in sesto infrastrutture, servizi e occupazione. Come trovare quel fiume di soldi, ora che la crisi post-Covid morde gli italiani? Nel solo modo possibile: creandoli dal nulla, come sempre si è fatto di fronte alle grandi crisi. L’Ue non lo consente? Male: perché l’alternativa non esiste. Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, predica da anni il ricorso – temporaneo – all’emissione di moneta parallela, di Stato, spendibile solo in Italia: un toccasana, per resuscitare stipendi e consumi. Chi pensa in grande – da Draghi in giù – sa che un’Unione Europea così conciata non ha futuro: è indispensabile cambiare le regole, gettando a mare la religione del rigore finanziario. Rosselli credeva nel socialismo come ricetta socio-economica bilanciata dalla giustizia sociale. Un altro campione democratico come Olof Palme, autore del rinomato welfare svedese, impegnò lo Stato per salvare aziende traballanti e posti di lavoro.Lo stesso Roosevelt, che ereditò un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione, adottando le ricette di Keynes trasformò gli Stati Uniti nella prima superpotenza mondiale. E noi che facciamo, stiamo ancora a pietire le concessioni usuraie dei signori di Bruxelles, mentre milioni di italiani tra poco non sapranno come arrivare a fine mese? «Per inciso: Rosselli, Palme, Keynes e Roosevelt erano tutti massoni progressisti», precisa Magaldi, come per rimarcare che – se qualcuno oggi li evoca – intende avvertire il pubblico che s’è messo in moto qualcosa di importante, che affonda le sue radici in cent’anni di battaglie per i diritti sociali. «L’essenziale, in un momento come questo, è non cadere nella tentazione del complottismo stupido che demonizza qualsiasi potere, a prescindere: il cospirazionismo apocalittico è l’alleato perfetto della peggior oligarchia, quella che noi democratici vogliamo abbattere». Ecco perché non è il caso di sottilizzare, su Conte e soci: «Se saranno loro, ad accettare il nuovo corso, benissimo. Ridurre la politica a tifo da stadio è una pessima idea: serve solo ad allungare la vita al sistema che ci ha messo di fronte avversari solo apparenti, come Prodi e Berlusconi, di fatto esecutori dei medesimi diktat». Magaldi ne è certo: sarà la durezza della crisi a imporre le scelte giuste. E allora cadranno, di colpo, tutte le storielle che ci hanno finora propinato: dalla criminalizzazione del deficit all’odio tribale che spinge le tifoserie a dilaniarsi l’un l’altra, come i capponi di Renzo destinati a finire in padella.«Siamo piccoli, ma attentamente monitorati: ai piani alti, c’è chi si domanda in che modo contiamo di riuscire nell’impresa, e non manca chi vorrebbe attuare le nostre proposte. Che poi sono le uniche in grado di ribaltare la situazione: perché le nostre idee sono uno scandalo, un’eresia. Un virus benefico, destinato a contaminare finalmente il sistema». Gioele Magaldi sintetizza il concetto in due parole: socialismo liberale. Keynes e Roosevelt, Carlo Rosselli, Olof Palme. I semi migliori del Novecento: l’antidoto contro l’ingiustizia. Dove sono finiti? Dispersi: soffocati dalla sovragestione del neoliberismo globalizzato. Ma oggi, per un movimento d’opinione come quello fondato nel 2015 da Magaldi, rappresentano l’unico salvagente per evitare il naufragio della democrazia, schiacciata dalle possenti oligarchie planetarie che ora speculano anche sul disastro del coronavirus. Il loro piano: mantenere il potere a tutti i costi, anche instaurando una sorta di polizia sanitaria mondiale, pronta a usare il ricatto della paura e il fantasma della depressione economica. Risultato: l’Europa ridotta a nullità politica, capace però di tenere in ostaggio un paese come l’Italia, il cui governo – lasciato senza soldi – non ha la minima idea di come evitare il massacro sociale a orologeria che già si annuncia per l’autunno. «Famiglie e aziende avranno l’acqua alla gola, per effetto del terribile lockdown imposto senza nessun vero paracadute economico».
-
Basta fango: se tutti i partiti si unissero per salvare il paese
Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.Fango e morte per i libici, gli yemeniti, gli stessi europei fatti a pezzi nelle piazze dal sedicente Isis, sotto il naso di polizie distratte. Fango e botte, per buon peso: sprangate in faccia ai manifestanti di Hong Kong e a quelli di Parigi. C’è chi la chiama terza guerra mondiale a rate, a puntate, a geometria variabile. Con tanto sangue, e soprattutto fango, a ogni latitudine. La piccola Italia (non così piccola, ma rimpicciolita dagli stregoni dell’Ue) diventa addirittura microscopica, nella fanghiglia della sua non-politica di ieri e di oggi. Non un partito vero, che pensi al domani: tutto è fermo alle elezioni del giorno dopo. Sondaggi, telegiornali, talkshow. Il non-governo attanagliato dal terrore del voto, l’opposizione che non va oltre l’ovvio disgusto per le non-decisioni dei prestanome che occupano i palazzi. La cosiddetta crisi morde sempre di più: acciaierie in panne e banche sull’orlo del tracollo, viadotti che si schiantano, fabbriche che chiudono, industrie che scappano all’estero per pagare meno (sia il lavoro che le tasse). Politica assente: massima irrisione, la non-protesta delle Sardine. Una beffa grottesca: festicciole e canzoni, al funerale dell’Italia.Uno spettacolo surreale, offerto al mondo che ci guarda, e che osserva la nostra incapacità strutturale di leggere la crisi, di riconoscerne i mandanti e gli esecutori. Attaccano Salvini, i dimostranti ipnotizzati dalla disinformazione: se la prendono con un micro-leader che domani forse non esisterà nemmeno più, e che comunque (questa la sua colpa) non ha ancora fatto assolutamente niente per restituire al paese una visione precisa, nonché una strategia su come uscire dall’oceano di fango nel quale sta affondando. Quel che non si perdona, alla Lega, è di essere l’unico partito a suo modo vitale, legittimato dal consenso? In effetti sembra fuori posto, questa Lega – prontamente assediata dalle inchieste – nell’Italia dell’anonimo e cardinalizio Conte, dell’esanime Zingaretti, della caricatura Renzi, degli zombie un po’ cialtroni che fino a ieri promettevano un mondo a 5 stelle. Altro? Macché. Fango per tutti, a reti unificate, senza sforzarsi di capire perché siamo finiti così in basso. Cos’è il debito pubblico? Cosa sono l’Eurozona, il Mes, la Brexit, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio? Cos’è davvero l’avanzo primario, che da quasi trent’anni fa sì che lo Stato prelevi dai cittadini, sotto forma di tasse, più di quanto il governo non spenda, per gli italiani, in termini di servizi?Economia, questa sconosciuta: deve provvedere Mario Draghi, nientemeno, a suggerire che la via d’uscita può essere dalla parte opposta, rispetto al plumbeo rigorismo della Bce. Proprio lui, Draghi, è come se dicesse: ci si salva facendo l’esatto contrario di quel che ho fatto io, in tutti questi anni, prima al Tesoro e poi a Bankitalia, quindi a Francoforte. Modern Money Theory: emissione illimitata di liquidità, a costo zero. Altro che super-tasse, altro che austerity imposta per volere divino. Deficit positivo: vuol dire soldi da investire, lavoro, consumi, economia (e alla fine, risanamento del bilancio). Il “nuovo” Draghi, keynesiano e sovranitario, potrebbe essere l’eroe perfetto, per le Sardine – per loro, e per chiunque aspiri a recuperare il senso delle cose, il contatto con la realtà (cos’è lo Stato e a cosa serve, come deve funzionare). “Prestatore di ultima istanza”: parole divenute antiche solo qui, in questa Europa nanizzata dall’Ue, dai trattati intangibili che la recintano, deprimendola. Atroce, storicamente, per un continente dove – tra Parigi e Londra – nacque la democrazia moderna, già incubata in modo larvale nel medioevo italiano dei Comuni, e poi evocata tra le barricate della Repubblica Romana. Mazzini e Garibaldi: non volevano forse una democrazia europea, di popoli fratelli? Sappiamo com’è andata: due guerre mondiali. Poi la pace tra le rovine, la ricostruzione, la prodigiosa rinascita nel Belpaese. Fino a quando, lassù, non s’è deciso che potesse bastare, e che dovessimo tornare a soffrire.Modern Money Theory: massima eresia. La sventola Draghi, e nessuno fiata. Nessuno lo intervista, lo interroga, lo incalza. Sarebbe la notizia del secolo, in teoria, in materia finanziaria. Certo, non è merce maneggevole per l’insultificio. Meglio il fango, certo: è tanto più comodo. Nel fango si sguazza un po’ tutti, perché non è difficile trovare il bersaglio adatto, visto il livello dello zoo politico. Sarebbe bello vedere un altro film. Gente che accetta di sedersi allo stesso tavolo, a discutere. Fine del tifo, della gara di rutti. Tema: rimettere insieme i frantumi. Unirsi, con un obbligo: cancellare la lavagna delle prossime elezioni, e mettersi a pensare. Trovare, insieme, il gusto del bicchiere mezzo pieno. Ce ne sarebbe, da studiare. Prima, però, converrebbe archiviare le bandiere. Si fa così, da sempre, quando si vuole la pace. Si mettono da parte i vecchi rancori, le liturgie rituali, le identità solo formali. Destra e sinistra: che senso hanno, oggi? Cos’ha fatto, di buono, il centrodestra di governo? E in cosa si è distinto, il centrosinistra, rispetto ai tagli sociali dell’era berlusconiana? Entrambe le fazioni hanno obbedito a diktat. L’hanno votata insieme, la legge Fornero. Hanno mostrato il medesimo rispetto reverenziale per lo sciagurato Patto di Stabilità, che in capo a dieci anni ha ridotto le strade dei paesi italiani a campi minati, dove si fa lo slalom tra le buche perché il Comune non ha i soldi per l’asfalto.Hanno ragione, le Sardine, a reclamare una diversa estetica, gentile e dialogante. Mancano il bersaglio, certo: sparano all’orso di cartone, senza avvedersi che il luna park è recintato come un lager, dove tutto è proibito. Siamo prigionieri, ecco il punto. Beninteso, prigionieri europei del terzo millennio: privilegiati, senza nessuna guerra in casa da settant’anni. Siamo persino liberi di parlare, di insultarci allegramente, di vomitare fango contro gli orsetti di cartone. Ma è tutto qui, quel che sappiamo fare? Non ci viene il sospetto che le nostre animose divisioni siano l’habitat perfetto, per chi vuole continuare a portarci via tutto? Nei decenni della sovranità relativa, monetaria, l’Italia divenne la quarta potenza industriale del pianeta. E questo, nonostante le sue piaghe: mafia, evasione fiscale di massa, corruzione dilagante della politica. Eppure il paese cresceva, tutti stavano meglio e sapevano che i figli avrebbero avuto ancora più opportunità. Il deficit aveva fatto da motore, e il mastodonte Iri era il volano di un’economia che trascinava migliaia di aziende. Poi hanno fatto a pezzi tutto, dando la colpa a noi: al debito delle cicale, alla mafia, agli evasori, ai politici corrotti.Con queste miserabili menzogne hanno eretto il recinto spinato dell’attuale luna park, su cui sventola la bandierina blu-stellata della cosiddetta Europa. Mafia, evasione, corruzione? Esattamente come prima. La differenza? Non possiamo più spendere. Il risultato è una specie di catastrofe: meno servizi, meno welfare, meno sanità, meno pensioni. Meno soldi, meno consumi, meno futuro, meno tutto. Rigore, tasse, delimitazioni assurde come la suprema frode del famigerato tetto del 3% alla spesa pubblica: pura invenzione di un’ideologia maligna, spacciata per norma scientifica, per legge economica. Balordo imbroglio, grazie al caos organizzato a tradimento. Dopo decenni di cospicue regalie statali, la grande industria se la svigna in Serbia, in Romania e in Polonia, dove le maestranze costano di meno. La Fiat scappa in Olanda, lasciando a secco il fisco del paese che l’ha coperta di miliardi per decenni. E che dire dell’inflessibile Germania? Trucca i suoi conti pubblici, facendo dimagrire il debito di Stato depennando quello delle Regioni e la spesa pensionistica. E noi in piazza, valorosamente, a intonare gli inni dell’antifascismo di un secolo fa, mentre i predoni del 2019 ridono degli italiani, ingenui incorreggibili.Che bello, se qualcuno mettesse in produzione l’altro film: quello che manca. Tutti seduti allo stesso tavolo. Di Maio e Renzi, Salvini e Zingaretti, la Meloni. Conferenza a reti unificate, per dire: signori, c’è un problema. Le regole vanno cambiate. Siamo tutti d’accordo, finalmente. Vogliamo salvare gli italiani, tornare alla democrazia reale dello Stato. Lanciare una democrazia continentale. Far nascere qualcosa che ancora non esiste: una Unione Europea, di gente che si aiuta. Bello e impossibile? Soltanto un sogno, un’utopia? Pure, proprio da lì si parte: sono i sogni a dissipare il fango. Il resto, poi, viene da sé. Di fronte a un orizzonte nuovo, chi mai perderebbe ancora tempo a vomitare insulti? Molto sta nel crederci, all’orizzonte amico. Serve qualcuno che innanzitutto lo disegni, faccia vedere quanto sarebbe attraente, e spieghi anche quali passi, esattamente, sarebbe necessario compiere, verso la meta. Prima, però, deve tornare il sole almeno nei pensieri: per metter fine al fango, alla paura, alla stupidità dell’odio. Sta a noi, la prima mossa: se scoppia la pace, si mette male per gli sfruttatori. Lo sanno bene, i padroni del luna park. Gli unici a non saperlo ancora, a quanto pare, siamo noi?(Giorgio Cattaneo, “Basta fango: se tutti i partiti italiani si unissero, per salvare il paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 dicembre 2019).Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.
-
Quale 25 Aprile e quale Liberazione, nella Colonia Italia?
Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.Insomma, discorsi da Balcone, dalla cui pomposa prosopopea cerimoniale, nel caso specifico del tutto abusiva, immancabilmente esalano i vapori dell’ipocrisia e dell’autorità fondata su chiacchiere e distintivo. E a volte, su felpe e giubbotti, abusivi pure questi. Tutte cose che con i fasti evocati da lontano, sempre senza averne i titoli, abusivamente, hanno il compito di coprire i nefasti del presente e dei presenti. Non ho partecipato ad alcuna celebrazione, ufficiale o ufficiosa, trovandole tutte spurie e inquinate. Dal Quirinale a un’Anpi che condivide con tutte le sinistre la perdita di sé e che si mette ad arzigogolare sull’equivalenza tra nazifascismo e quello che i superrazzisti dell’Impero e delle sue marche definiscono razzismo. Mistificando per tale quello di chi smaschera l’operazione colonialista, detta globalizzazione, ai danni dei dominati del Sud e del Nord. Gli sciagurati sovranisti, identitari, refrattari alla levigatezza dell’uniformato. Seppure lo definiscano tale, non ne fa sicuramente parte Matteo Salvini, sovranista farlocco e sfascia-Italia del “prima gli italiani”, purchè si tratti di trafficoni eolici, trivellatori di terre e mari, sfondatori di valli e montagne, magna magna di ogni genere, cravattai lombardoveneti, insomma tutti i missi dominici dell’Impero.Genìa che è stata decisiva perché i risultati del 25 aprile fossero consegnati nelle mani e nelle borse dei nuovi invasori. Genìa maledetta. E’ stato lo spirito dei tempi coronati dal 25 aprile e subito successivi che ha innalzato l’Italia – dal fascismo squadrista frantumata in giovani obnubilati, popolo plebeizzato e impecoranato, federali in stivali e loro mignotte, intellettualità sedotta, asservita e abbandonata, brutalità ed elementarietà di azione e pensiero (salvo grandi architetti) – ai livelli di un passato come quello dei Leopardi e dei moti ottocenteschi. Che ha prodotto i Fenoglio, Calvino, Pavese, i De Sica, Rossellini, Monicelli, giganti che hanno nanificato, moralmente e culturalmente, tutto quello che è venuto dopo e che formicola a petto in fuori nei Premi Strega e Bancarella. Si può dire, e spiacerà ai nonviolenti, di vocazione o altro, che quello Zeitgeist, così generoso, è uscito dalla canna di un fucile.Da ex-direttore responsabile e inviato di guerra del quotidiano “Lotta Continua” e militante (a lungo latitante) di quell’organizzazione, che contro il fascismo aggiornato del consociativismo di regime, con il suo terrorismo di Stato, pure qualcosa ha fatto, mi permetto, nel mio piccolo e intimo, di ringraziare i partigiani tutti. Formazione di popolo. Più di tutti quelli garibaldini, e rigettare nel buco nero dell’esecrazione gli Alleati, che ai primi hanno sottratto e pervertito la vittoria, poi procedendo a sottrarre e pervertire ciò che di ogni vivente fa quello che è: la sovranità sua, della sua comunità, del suo passato, presente, futuro, nome. Di questo gli antifascisti da terrazzo, antisovranisti del re di Prussia, non sanno e non dicono, bisognosi come sono dei cartonati in camicia nera e saluto romano per occultare il fascismo global-digital-finanziario che li ha reclutati e di cui si sono inoculato il virus. Il che non mi impedisce, sia detto per inciso, di trasecolare a fronte di chi insiste a definire Piazzale Loreto “giustizia di popolo”.Stessa matrice. Oggi si vedono sul palcoscenico della commedia nazionale e occidentale, in grande spolvero, nuovi “antifascisti”. Ce ne sono addirittura di patrocinati da George Soros, che non si fa scrupoli di affiancarli all’altra sua creatura: “Me too”. Come sempre quando il pifferaio riesce a riunire e riconciliare in un’unica truppa ratti e bambini ignari, li si trovano, schiamazzoni e autocertificati, dall’estrema sinistra a quella vera destra che si dice vuoi centrosinistra, vuoi centrodestra. Virgulti, balilla e giovani italiane del Nuovo Ordine Mondiale, puntano quello che in artiglieria viene chiamato “falso scopo” (e il puntamento indiretto verso un obiettivo non individuabile a vista). In parole semplici, additando un chihuahua ringhiante nei bassifondi ideologici urbani, si urla “al lupo, al lupo”, con l’effetto di distogliere la nostra mira dal lupo mannaro vero che tiene al guinzaglio chi urla. (Chiedendo scusa al lupo per la becera metafora fiabesca. E ricordando che il ministro dell’ambiente 5 Stelle, Costa, proibisce di abbattere i lupi, mentre Salvini, forte di mitraglietta, ne autorizza l’abbattimento: fatto che contiene in nuce tutto il significato delle temperie in cui il post-25 aprile, tradito come nemmeno il presunto Giuda il presunto Gesù, ci ha ingabbiato e nelle quali, o i 5 Stelle staccano la spina, o rischiamo il corto circuito e il black out loro e di tutti noi).Il discorso della Liberazione va ripreso ab imis fundamentis. E’ per questo che ho spostato le mie commemorazioni-celebrazioni a due giorni dopo, il 27 maggio del 1937. E il giorno tristissimo della morte di Antonio Gramsci (io c’ero già e ricordo una serie di quaderni di mio padre con sopra, imparai dopo, le immagini, tra altre, di Marinetti, D’Annunzio, Gozzano, Leopardi e Gramsci). Non significa niente, ma sono contento di esserci già stato quando ancora viveva Gramsci. E’ insensato, ma mi pare che così sono in qualche modo contemporaneo e, quindi, più partecipe di quel “popolo” a cui questo sardo degno della sua terra ha ridato un nome, un’identità, un progetto, nel tempo che più lo ha visto conculcato, mistificato, sviato da una storia che era iniziata con Dante, che aveva serpeggiato per secoli e che si era rifatta prorompente con la Repubblica Romana e le altre affini, incancellabili madri dei nostri partigiani. Come Anita Garibaldi, che, sul colle Gianicolo, sparava ai francesi rinnegati, lo è specificamente delle nostre partigiane. E come lo era anche delle brigate femminili alla Comune di Parigi (dove c’erano pure i dai neoborbonici esecrati garibaldini!). Che nessun movimento o gruppo femminista ricorda e onora, preferendo icone tipo Hillary o Boldrini.(Fulvio Grimaldi, “Quale 25 aprile. Quale 27 aprile. Quale liberazione”, dal blog di Grimaldi del 26 aprile 2019).Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.
-
Carne macinata per l’universo: la vera rivoluzione italiana
Sono tornato in via Filippo Buonarroti, sono tornato in via Ferrari, in piazza Garibaldi e dove ho fatto le scuole, in via Ugo Bassi. Qualcuno di voi si ricorda di chi era Filippo Buonarroti? Un anarchico rivoluzionario? No, non era proprio un anarchico, perché allora, quando lui era in vita, l’anarchia non si era ancora compiuta in un qualche pensiero. Ma in tutte le città d’Italia c’è una via intitolata a Filippo Buonarroti. Qualcuno ha avuto la forza, il desiderio di intolargliela. Intorno agli anni ‘20 del 1800, Filippo Buonarroti è stato considerato, dai giornali conservatori di tutta Europa, il più grande rivoluzionario europeo vivente. Filippo Buonarroti ha fatto una cosa che nessun altro uomo ha osato compiere, nella storia dell’umanità. Ha fondato e costituito un paese a totale regime comunista: Oneglia. Lui, come prefetto robesperriano della Rivoluzione Francese, è stato mandato a governare Oneglia – sapete, Oneglia, in fondo alla Liguria, che allora era francese. E lì costituì un paese totalmente comunista, con l’estinzione della proprietà privata e il ricalcolo dei beni, a tutti. Guardate che i paesi che noi chiamiamo comunisti non si sono mai chiamati comunisti, si chiamavano “paesi socialisti verso il comunismo” (verso il baratro, poi). A Oneglia, invece: redistribuzione delle terre e istruzione obbligatoria fino al più alto grado, per tutti. E’ stato un paese comunista che è durato 9 mesi.Poi è arrivato il Direttorio, Robespierre ha fatto la fine che ha fatto, Buonarroti è stato richiamato a Parigi e messo in galera, e chi s’è visto s’è visto. Gli onegliesi, da allora, non si sono mai più ripresi. Perché è stata un’esperienza che ha sconvolto la loro vita, ha rivoluzionato ovviamente le loro vite, e da allora – fino a oggi – votano sempre e solo a destra. E’ dal collegio di Oneglia che è uscito fuori questo fiore della repubblica, il ministro Scajola. Se Buonarroti è ancora vivo, in qualche universo parallelo, forse si rende conto che avrebbe dovuto rivedere un po’ le sue posizioni. Ma il punto è un altro. Il titolo di questa conferenza dovrebbe essere questo: carne macinata per l’universo. E “carne macinata per l’universo” è il giudizio che dà Carlyle – il grande poeta, drammaturgo, uomo di cultura e anche politico, inglese – quando gli chiedono chi fosse Giuseppe Mazzini. Carlyle risponde: «Nessun uomo come Giuseppe Mazzini è, per me, carne macinata per l’universo». Quello che io so, di quello che è stato chiamato Risorgimento, è che ci sono state due generazioni di giovani europei, e in particolare due generazioni di giovani italiani, che hanno speso la loro vita e null’altra ambizione hanno avuto, per la loro vita, se non quella di farsi carne macinata per l’universo.Due generazioni di uomini e di donne che allora non si sono nemmeno poste il problema del sesso, maschile o femminile. E’ una cosa che noi forse non riusciamo a capire. Tutta l’Europa e gran parte del mondo (intendo le Americhe, soprattutto), per cinquant’anni hanno pensato all’Italia, a ciò che noi oggi chiamiamo Italia e che allora si chiamavano “gli Stati del territorio italiano”. E hanno guardato a ciò che accadeva, in quello che adesso è questo paese. Vi hanno guardato con la speranza, il timore, l’angoscia, la promettenza universale di chi pensava e dichiarava, sui giornali consevatori e progressisti, nelle riunioni dei gabinetti dei ministri inglesi o danesi o tedeschi o francesi: ciò che accade in Italia, come disse un giornalista del consevatore “Times”, è «il più grande teatro della storia a cui noi possiamo assistere: ciò che accade in Italia condizionerà la storia d’Europa e del mondo». Questo pensavano l’opinione pubblica, i politici, gli ambasciatori di tutta Europa e delle Americhe, osservando ciò che accadeva in Italia. Era straordinariamente più vasto, più grande e più radicale di ciò che comunque accadeva nel resto d’Europa – in alcune nazioni, almeno: nella Germania baltica, in Ungheria, in Polonia, in Grecia, in Francia. Due generazioni che hanno dedicato la loro vita alla rivoluzione.Ciò che essi chiamavano Risorgimento è stato un continuo susseguirsi di rivoluzioni territoriali. Guardate, ci sono stati moti rivoluzionari e insurrezioni dal 1821 al 1878 (e io sostengo fino al 1884, e poi spiego perché). E’ accaduto in Italia, ma anche nel resto d’Europa: certamente in Grecia, e in Francia fino al 1870. Rivoluzioni in nome di cosa? Quando studiamo il Risorgimento, leggiamo “Risorgimento, uguale: Unità d’Italia”. Ma c’erano quelle due generazioni di rivoluzionari, a vario titolo e in vario modo: Giuseppe Mazzini era un repubblicano, Giuseppe Garibaldi era repubblicano e socialista, Orsini era un anarchico repubblicano, Filippo Buonarroti era comunista, i fratelli Bandiera erano repubblicani e socialisti, Pisacane era forse comunista, chi lo sa. Ma non si davano etichette: avevano un pensiero, ciascuno il suo. Condividevano quel pensiero con altri, lo discutevano. E’ straordinaria la libertà di pensiero e di movimento del pensiero generata nell’incontro di queste due generazioni, in un paese come quello: il paese degli Stati componenti il territorio italiano, in nessuno dei quali era consentita la libertà di espressione.E’ straordinario come in questa servitù, in questa schiavitù, in questi Stati oppressivi (in un modo che la stessa regina Vittoria, conservatrice e reazionaria, considerava vergognoso) si ebbe una diffusione di opinioni e di libero pensiero – una diffusione libera, ricca, forte e, a volte, anche di grande contrasto. Non solo opinioni: opinioni che formano pensiero. Si sono formati dei pensieri che sono rimasti, e che sono stati pensieri costituenti la modernità e la contemporaneità del Novecento. Ciò che le due generazioni di giovani italiani e di giovani europei hanno costruito, dal punto di vista del pensiero, è la base a fondamento del pensiero ottocentesco, novecentesco e, per quanto ne so io, è ancora oggi strumento di valutazione e di comprensione della contemporaneità. La critica che faceva Giuseppe Mazzini al comunismo nel 1852 è una critica che oggi condivido totalmente – io, che vado a dire in giro di essere un anarchico, e che mi sento profondamente legato a un modo del pensiero libertario anarchico. Mazzini dibatte senza diffamare nessuno, senza sporcare il suo pensiero con nessuna menzogna – e questo è importante, perché il pensiero oggi tendiamo sempre a sporcarlo, e non riesco a capire perché. C’è una parola, che io metto assieme a quelle due generazioni di giovani rivoluzionari: uomini e donne casti, di casto pensiero (e vita). Un agire e un pensare privo di malizia, candidamente casto.La prima cosa che Mazzini dice, sul comunismo, è: attenzione, perché l’abolizione delle classi, così come concepita nel pensiero comunista, genererà una nuova classe, e quella nuova classe sarà oppressiva quanto la vecchia classe dei capitalisti, e forse di più. E se non sarà oppressiva dal punto di vista economico, lo sarà dal punto di vista politico e culturale. Questo scriveva, Mazzini. Abbiamo da discutere, su questo. Ma pensate che sia infondata, come critica? Direi che è estremamente moderna, forse. Ma non è questo il punto. Mi piacerebbe raccontare di Mazzini, di Garibaldi. E mi piacerebbe anche raccontare di Carmine Crocco. Era un uomo del Risorgimento, che si è fatto bandito – fuorilegge – perché giustamente trovava intollerabile, insieme a una massa di contadini, di pastori e di artigiani, il fatto di aver sperato con tutta l’anima e con tutto il cuore, dal 1831 (i primi grandi moti siciliani e calabresi), in una rivoluzione sociale che avrebbe finalmente rotto le catene medievali della proprietà privata concepita nel latifondo, e avrebbe dato finalmente un minimo di equità sociale.Due generazioni di siciliani, calabresi e napoletani hanno pensato a questo: hanno pensato di aver finalmente coronato il loro sogno impossibile, quando Garibaldi arriva coi suoi volontari e, per prima cosa, dopo aver preso possesso dei palazzi comunali e di governo, emana ordinanze che riducono le tasse, ridistribuiscono le terre ai senza terra (per quanto possibile, attraverso la riforma catastale) e garantiscono un minimo di istruzione per tutti. Ecco, per prima cosa Garibaldi fa questo. Se ne va a Teano, e lì il Piemonte (Vittorio Emanuele) prende possesso dei territori conquistati dai volontari repubblicani e socialisti di Garibaldi, diventati da mille a sessantamila con i volontari siciliani, calabresi e campani. E nel giro di 6 mesi vengono abolite tutte le ordinanze, intese alla giustizia sociale, alla libertà di espressione e a un minimo di redistribuzione delle terre – tutte abolite. Nel giro di due anni, i territori meridionali dell’Unità d’Italia hanno una tassazione, per le fasce basse della popolazione, che è il doppio della tassazione imposta dai borbonici. Non solo: le popolazioni dell’Italia meridionale si devono pagare le spese dello stato d’assedio, perché in due anni le terre liberate vengono assoggettate alla legge marziale.Questo perché le rivoluzioni, le insurrezioni e le rivolte cominciate nel 1831 per la giustizia sociale continuano, perché la giustizia sociale non c’è. Quando oggi ci poniamo la questione cosiddetta meridionale, vogliamo ricordarci di quelle due generazioni? Generazioni di giovani uomini e giovani donne, che altro non hanno vissuto se non per un po’ di giustizia e di libertà. E sono state distrutte, letteralmente distrutte, dal regno unitario. Carmine Crocco era un bandito – come altri cento, duecento banditi. Ma lo voleva con una forza che è calabrese, contro la quale non c’è niente da fare. Finché tutto non è finito: nell’eccidio, nella violenza, nella strage. Se sfogliate i tomi fotografici della storia d’Italia editi da Einaudi, scoprite che la più grande quantità di documenti fotografici relativi al paese immediatamente post-unitario riguarda le fotografie degli uomini uccisi in Campania, in Basilicata, in Calabria e in Sicilia. Mettevano in posa 10-20 morti ammazzati, e i carabinieri se li fotografavano – fotografavano le teste mozzate. Non solo: prima di fucilarli, li mettevano in posa coi loro schioppi e li fotografavano. C’era molta modernità, nello stato d’assedio. C’era molta intuizione, nella nuova società – nella legge marziale. Carne macinata per l’universo.L’Unità d’Italia? Certo, questi uomini e queste donne pensavano all’Unità d’Italia. Ma cosa significava, per loro, l’Unità d’Italia? Lo dicono, lo hanno scritto. Sapete quante lettere ha scritto, Giuseppe Mazzini, nella sua vita? Nessuno ne ha idea. Pare che fossero almeno 8-900.000, per quello che si sa. Non ne sono rimaste che 70-80.000. Le altre sono state tutte bruciate da chi le riceveva o confiscate dalla polizia, ma soprattutto bruciate, perché chi aveva una lettera di Mazzini veniva arrestato e finiva in galera. Come forse sapete, Giuseppe Mazzini ha vissuto tre quarti della sua vita nascosto, perché perseguito da due, tre, quattro polizie. E’ stato condannato a morte in contumacia. Andate a vedere a Londra dove ha vissuto, in quali case d’appartamento, in quali stanze, quasi sempre con le finestre chiuse o le tende tirate. Alla fine, vecchio, non lo hanno arrestato anche se si sapeva che “forse” era a Pisa, dove ha vissuto gli ultimi mesi prima di morire, nascosto in una casa, potendo uscire solo per dieci minuti, di notte. L’unica cosa che ha chiesto, una settimana prima di morire – e per poterla realizzare sono state spese le energie di 30-40 uomini, suoi amici – è che fosse portato a Firenze, di notte, e che si riuscisse ad aprirgli Santa Croce: prima di morire, Mazzini voleva vedere la tomba di Ugo Foscolo. E Ugo Foscolo è uno di quei ragazzi di quelle due generazioni. Se n’era andato a di casa a 18 anni, per non tornarci più: esule. Ugo Foscolo è uno di loro.L’Unità d’Italia, certo: perché comunque, per tutti, gli ideali rimanevano quelli – libertà, giustizia e solidarietà. Gli Stati territoriali di ciò che oggi chiamiamo Italia erano tutti, direttamente o indirettamente, proprietà e comproprietà di paesi stranieri: la Francia, la Germania, la Spagna. Da secoli, erano così. Ed erano tutti a regime strettamente, rigidamente oppressivo. Nessuno di quei giovani pensava, ragionevolmente, di poter ottenere una vera Costituzione, un vero suffragio universale, un vero piano di giustizia e un vero piano di equità, se non attraverso la cacciata dei regimi stranieri, coloniali, e l’instaurazione di un regno che non poteva appartenere a nessuna delle casate che mantenevano un regime di spietato egoismo dinastico. Questa era l’Italia unita. L’unico modo per raggiungere questo ideale era quello: un anno via l’altro c’erano insurrezioni, sommosse e rivoluzioni. E quando si dice che è stata una minoranza, a volere l’Unità d’Italia, si dice la più grande menzogna – ma si dice anche una verità: perché la gran parte di quei rivoluzionari erano ragazzi, che poi sono diventati uomini. A 18 anni si partiva, sulla strada che avrebbe portato all’esilio, o alla morte.Due generazioni: 1821, i primi segni di rivolta; 1828, le grandi rivolte; 1831, le rivoluzioni al meridione d’Italia, in particolare in Sicilia. Se avete letto un po’ di storia, alle scuole medie, non vi viene in mente una cosa? Tre anni prima, a Vienna, tutti i potenti d’Europa si mettono d’accordo per stabilizzare il continente, in modo tale da assicurare a se stessi la garanzia che quello sarà un sistema di equilibri che durerà in eterno. Al Congresso di Vienna si chiude – per sempre, dicono: definitivamente – un’epoca di rivoluzioni, l’epoca della Rivoluzione Francese, e si instaura il Nuovo Ordine d’Europa, basato su equilibri così stabili che potrà durare in eterno. Questo dicono gli uomini riuniti a Vienna. Tre anni dopo, cominciano i casini. Dieci anni dopo siamo in pieno casino. Trent’anni dopo, in Europa succede una cosa che ricordiamo ancora adesso, volenti o nolenti: succede il ‘48, è successo un Quarantotto. Cioè: nel 1848, nessuno dei principi, nessuna delle illusioni, nessuna delle certezze di Vienna stava ancora in piedi – finito, tutto. Niente, nel ‘48, aveva più senso, di quello che sembrava avere senso in eterno.Io incontro tanta gente, ogni giorno, e vedo sguardi e occhi avviliti, scorati, depressi. E’ lo scoramento di chi dice: non c’è niente da fare, non c’è nessuna possibilità. E io penso a quanto erano tronfi, tranquilli e sicuri i re, gli imperatori, le regine, le troie di regime, i chierici e i cardinali di corte, nel 1818. E come potessero essere frustrati, i reduci della Rivoluzione Francese e quelli di Napoleone (che anche lui i suoi vizi li aveva, in fatto di assolutismo). Ma son bastati pochi anni: cosa vuol dire, “non c’è niente da fare”? Pensate a come poteva essere più oppressivo di oggi, il clima europeo del 1819, ‘20, ‘21 e ‘22. Eppure, già dieci anni dopo, tutta l’Italia e gran parte dell’Europa erano in movimento. Una generazione nata lì – sedicenni, diciassettenni, diciottenni – era già in movimento. E perché questo non può più accadere? Chi lo dice? Loro non avevano contro la televisione, è vero, però avevano altro: avete idea di che lavoro facessero, dal punto di vista “televisivo”, i 300.000 sacerdoti sparsi per l’Italia, nel 1818, 1819 e 1820? Non tutti, certo. Ma pensate a Garibaldi, che in punto di morte disse: fatemi di tutto, ma non mettetemi davanti un prete. Lo scrisse: non fatemi vedere un prete un punto di morte. Eppure, lui doveva la sua vita a un prete.Garibaldi doveva la vita a Don Verità. E conoscete Ugo Bassi? Io ci avevo la scuola, in via Ugo Bassi. Sapete chi era? Era un prete che in Romagna, insieme a Don Verità, aiutò Garibaldi a sfuggire all’accerchiamento delle truppe papali e austriache. Don Verità è riuscito a cavarsela, dopo essersi portato Garibaldi in spalla, per mezza nottata. Bassi non se l’è cavata: è stato fucilato dagli austriaci, per aver aiutato Garibaldi. Certo, se l’Unità d’Italia è quello Stato che, per prima cosa, ha come effetto il raddoppio e la triplicazione degli affitti dei fondi agricoli, che significa mettere alla fame i contadini; se è quello Stato dove i parlamentari che fanno le leggi vengono eletti soltanto dai grandi proprietari terrieri e dell’esigua grande borghesia cittadina, cioè appena l’1,8% dei potenziali aventi diritto al voto; se è l’Italia che stabilisce la legge marziale al meridione contro le sommosse per la terra e aumenta la tassa sul macinato, quella è l’Italia voluta da quei proprietari terrieri. Gli aventi diritto al voto erano quelli: una piccola minoranza, che è diventata la classe dirigente unitaria. Ma l’Unità d’Italia come baluardo, come certezza contro qualunque regime oppressivo e totalitario, come autodeterminazione di un popolo che non c’era ma che andava facendosi, “dagli atrii muscosi, dai fori cadenti”, come unica chance in nome della giustizia, della libertà e dell’equità, ebbene, quell’Italia la voleva la stragrande maggioranza della gente.E la Repubblica Romana? Lo so, al Nord abbiamo dei romani l’impressione di gente, come dire, poco attiva – sbagliato, sbagliatissimo. Andatevi a leggere le corrispondenze dei giornali francesi, americani, inglesi. Andatevi a leggere i rapporti degli ambasciatori, dei viaggiatori, dei turisti che erano a Roma nel ‘49. E’ straordinario, dicono: non avremmo mai creduto che la Repubblica avesse così tanta popolarità tra i ceti inferiori della società. Non avremmo mai immaginato che potesse essere governata in modo così equo e così tollerante. Scrive il “Times”: «Ci dice il nostro primo ministro che Giuseppe Mazzini è un sanguinario rivoluzionario, ma nei suoi atti e nei suoi decreti si trova più tolleranza che nel nostro paese, che pure è democratico dal 1.000 dopo Cristo». La Repubblica Romana era vista da tutta Europa come un esperimento straordinario di autodeterminazione del popolo. C’erano i danesi, che venivano a vedere la Repubblica Romana: volevano capire come poter fare. C’erano gli ungheresi, c’erano i polacchi. Perché c’erano i greci, gli ungheresi e i polacchi a cercare di dare una mano alla Repubblica Romana? Perché avrebbero voluto anche loro poter sviluppare una cosa così incredibile e grandiosa come l’autodeterminazione democratica. Sapete qual è la prima legge emanata dalla Repubblica Romana? La libertà di espressione religiosa. E la sera dell’emanazione della legge, vengono aperte le porte del ghetto ebraico.Quanti traditori ha avuto il Risorgimento? Quanti delatori? Quante spie? Mazzini aveva costantemente due spie alla porta. Metternich affermava di aver speso più soldi per le spie dietro a Mazzini che per i suoi servizi segreti personali. Metternich e Pio IX hanno letto, finché le ha scritte, tutte le lettere d’amore di Mazzini. Oggi ci lamentiamo della privacy, diciamo basta al gossip – ma era Pio IX, che si leggeva le lettere d’amore di Mazzini! E Mazzini ha avuto una sola storia d’amore, nella sua vita. E quella donna, Giuditta, l’avrà incontrata in tutta la sua vita forse dieci volte. Si sono solo scritti lunghe lettere d’amore: lunghe, bellissime, caste lettere d’amore. Giuditta aveva marito, ma allora c’era la rivoluzione. A 18 anni, Pisacane era già in galera per adulterio. E’ straordinario come, nel liberarsi dell’energia, della forza intellettuale, politica, ideale, si liberino anche un sacco di altre energie. Il Sessantotto ha portato questo? Ma c’era già nel Quarantotto, ragazzi. Quante donne hanno abbandonato i loro mariti, per arruolarsi volontarie nella Repubblica Romana o nella spedizione dei Mille? La Della Torre s’era vestita da ammiraglio per andare a Calatafimi (e ha finito la sua vita in manicomio, perché poi tutto è stato “messo via”).Tutto è stato “messo via” perché era intollerabile che potesse essere permesso il sopravvivere di una memoria collettiva – che ci fu. Fino al 1880, i siciliani e i calabresi venivano “sparati” quando cercavano di andarsi a prendere un pezzo di terra da un latifondo. Sapete cosa pensavano? Che Garibaldi sarebbe tornato. E quando Garibaldi morì, nessuno ci credette: perché Garibaldi era il Redentore, e il Redentore non muore. Il Redentore non può abbandonare. Il Redentore torna: questo pensavano. E’ ingenuo. E’ stupido, forse. E’ una follia stupida. Ma guardate, nella leggenda nazionale della Fiandra, che adesso è metà olandese e metà belga – la leggenda di Thyl Ulenspiegel, il contadino che da solo combatte contro il Duca d’Alba, contro la grande oppressione papista, spagnola, delle Fiandre – quest’uomo viene bruciato, alla fine, insieme alla sua donna. Però la leggenda finisce dicendo: ma lui non è morto, tornerà. Ecco, questo è stato spento. Questa memoria è stata spenta. E chi ha fatto l’operazione più geniale è stato certamente Benito Mussolini – che se l’è ripreso, il Risorgimento, per spegnerlo definitivamente. Ma la memoria è stata spenta ancora prima, quando il Regno d’Italia appena unito è stato diviso in due dalla legge marziale.Sapete cos’è la legge marziale? Si può sparare a chiunque. I carabinieri sparavano e tagliavano le teste, poi le mettevano nelle gabbie e le appendevano all’ingresso dei paesi. Certo, teste di banditi e di assassini – tanti lo erano. Quando si fa una rivolta di contadini, bisogna sapere (parafrasando Mao) che i contadini non sanno nemmeno cos’è, un invito a cena. Quanto è stato rubato, di tutto questo? Sapete qual è stata l’attività principale di Giuseppe Mazzini, oltre a scrivere lettere? Quello che ha fatto più a lungo, per tutta la vita, è stato il maestro. Giuseppe Mazzini, carne macinata per l’universo, ha fondato alla fine degli ‘40, in Inghilterra, una scuola popolare per i bambini-schiavi italiani. Negli anni ‘40 dell’800, a Londra, era calcolato che ci fossero migliaia di bambini venduti in Italia – venduti come schiavi – e portati dagli scafisti italiani a Londra, dov’erano trattati da schiavi (tutti morivano prima della maggiore età) e giravano per Londra. Si chiamavano “i bambini dell’organetto”: chiedevano l’elemosina suonando l’organetto. Quando Mazzini apre la sua scuola, tutti gli dicono: non è possibile, non verrà nessuno, quei bambini hanno troppa paura dei loro padroni. Quella scuola verrà incendiata decine di volte, e risorgerà sempre. Uno dei suoi costanti finanziatori è stato Charles Dickens – e chi, se non lui, poteva avere in simpatia una scuola popolare per bambini schiavi?Un mese dopo l’apertura, in quella scuola c’erano 200 bambini. Si reggeva sul volontariato: chiunque avesse titoli, andava a insegnare. Tutte le domeniche, Giuseppe Mazzini – per trent’anni – è andato a insegnare in quella scuola: carne macinata per l’universo. Giuseppe Garibaldi sapete di cosa viveva? Viveva del soldo militare, che prendeva una volta sì e l’altra no. Il suo soldo militare, Garibaldi l’ha speso per la sua follia. Tutti erano uomini folli. La sua follia era poter vivere in un posto dove sentirsi, sempre e comunque, libero. La sua follia era vivere in un posto di granito, battuto dai venti, dove poter far crescere la vigna e il grano e le greggi. Non c’è mai riuscito. Ci ha messo tutto quello che aveva, e non ci è mai riuscito. Andate a Caprera, a vedere com’è possibile. Eppure, mangiava solo di quello che coltivava e di quello che pescava. E sua figlia lo sgridava sempre: perché veniva gente, e a pranzo si mangiava due gamberi crudi sopra un foglio di giornale. Bene, Garibaldi è diventato ricco in fin di vita. E’ diventato ricco perché gli è stato imposto – da Depretis, che era un suo amico: Depretis, il fondatore della vergogna politica nazionale, un uomo tra i più spregevoli della storia nazionale, quello che ha inventato (da primo ministro) il trasformismo – prima, da ragazzo, era un garibaldino. Depretis è andato da Garibaldi a dirgli: per favore, prendi la pensione. Perché Garibaldi non aveva mai voluto la pensione del re. Alla fine l’ha presa, perché il re d’Italia aveva paura di essere svergognato in tutta Europa, perché a Garibaldi stavano pignorando l’isola, per debiti.Il 2 agosto, a Cesenatico, c’è un’esplosione di fuochi d’artificio, ci sono stormi di piade e piadine che a migliaia sorvolano tutto il paese, ripiene di salsiccia, di formaggio e di prosciutto, tra lo scoppiare delle orchestre, della bande musicali e dei fuochi d’artificio. Non è la festa del turista, è la festa della Trafila. La “trafila” è passarsi oggetti di mano in mano, come quando una casa brucia e ci si mette in fila passandosi i secchi d’acqua. Il 2 agosto, in quella piccola comunità di Cesenatico, ci si ricorda di una delle storie più belle, più affascinanti, più ricche e più straordinarie, una delle diecimila meravigliose storie delle rivoluzioni che chiamiamo Risorgimento italiano. Ed è la storia di tutto un popolo, il popolo romagnolo – contrabbandieri fluviali, contadini braccianti, notai, preti (Don Verità e Don Bassi), custodi delle chiuse polesane, cavallari. Tutti: tutto il popolo di Romagna che, per 13 giorni e 13 notti, si è passato di mano in mano Giuseppe Garibaldi, sua moglie Anita e il colonnello Leggero – un sardo che a 12 anni si era arruolato come mozzo in marina e a 16 anni aveva già disertato per andare con Garibaldi, per questo condannato a morte. Era il suo luogotenente: “leggero”, perché era alto un metro e venti. Morirà credo a 90 anni, con una moglie di 60 anni più giovane di lui – perché i garibaldini, sapete…Dicevo, la Trafila: per 13 giorni e 13 notti, Garibaldi, Anita e il “minuto” vengono passati di mano in mano per sfuggire all’accerchiamento dell’esercito papista e austriaco. Garibaldi, 1849: la Repubblica Romana è persa. Lui scappa, ma non torna a casa. Non torna a Montevideo, dove già allora è considerato eroe nazionale. Se ne va a Venezia, perché la Repubblica Veneziana resiste (“sul ponte sventola bandiera bianca”). Ma lì non c’era ancora, la bandiera bianca. E Garibaldi, con la moglie incinta di sei mesi, vuole andare a combattere per la repubblica veneta. A San Marino viene circondato. E’ spacciato? No. Tutto il popolo di Romagna si organizza clandestinamente, e Garibaldi e sua moglie – con una fatica immensa: siamo in pieno agosto – riescono in 13 tappe ad essere portati, di mano in mano, come figli. Tra le tante cose orrende della cultura popolare c’è un catechismo garibaldino. Nel catechismo a un certo punto c’è la domanda: chi è la santissima trinità? La risposta garibaldina è: nella persona di Giuseppe Garibaldi si “sustanziano” il padre della patria, il figlio del popolo, lo spirito della libertà. Portato di mano in mano, come un figlio. Muore Anita – per la sete, la fatica, lo sfinimento. Muore in una capanna, in mezzo al Polesine. Ma negli stessi giorni, in un vallone lucano, tutto il popolo (diretto ancora oggi da Michele Placido) si mette in costume e rappresenta l’ultima grande battaglia – e l’ultima sconfitta – di Carmine Crocco e degli altri briganti (figli del popolo, spirito di libertà) distrutti dall’esercito unitario sabaudo.(Maurizio Maggiani, dichiarazioni rilasciate nell’ambito della conferenza “Risorgimento senza memoria” al Salone del Libro di Torino, 16 maggio 2010. Autore di bestseller come “Il coraggio del pettirosso”, “La regina disadorna” e “Il viaggiatore notturno”, Premio Strega 2005, Maggiani ha scritto “Quello che ancora vive”, dedicato alla memoria garibaldina della Trafila romagnola, mentre opere più recenti come “I figli della Repubblica” e “Il romanzo della nazione” sviluppano personalissime riflessioni sul carattere del popolo italiano).Sono tornato in via Filippo Buonarroti, sono tornato in via Ferrari, in piazza Garibaldi e dove ho fatto le scuole, in via Ugo Bassi. Qualcuno di voi si ricorda di chi era Filippo Buonarroti? Un anarchico rivoluzionario? No, non era proprio un anarchico, perché allora, quando lui era in vita, l’anarchia non si era ancora compiuta in un qualche pensiero. Ma in tutte le città d’Italia c’è una via intitolata a Filippo Buonarroti. Qualcuno ha avuto la forza, il desiderio di intitolargliela. Intorno agli anni ‘20 del 1800, Filippo Buonarroti è stato considerato, dai giornali conservatori di tutta Europa, il più grande rivoluzionario europeo vivente. Filippo Buonarroti ha fatto una cosa che nessun altro uomo ha osato compiere, nella storia dell’umanità. Ha fondato e costituito un paese a totale regime comunista: Oneglia. Lui, come prefetto robesperriano della Rivoluzione Francese, è stato mandato a governare Oneglia – sapete, Oneglia, in fondo alla Liguria, che allora era francese. E lì costituì un paese totalmente comunista, con l’estinzione della proprietà privata e il ricalcolo dei beni, a tutti. Guardate che i paesi che noi chiamiamo comunisti non si sono mai chiamati comunisti, si chiamavano “paesi socialisti verso il comunismo” (verso il baratro, poi). A Oneglia, invece: redistribuzione delle terre e istruzione obbligatoria fino al più alto grado, per tutti. E’ stato un paese comunista che è durato 9 mesi.
-
Lavoro a tutti, per legge: e se lo garantisse la Costituzione?
Tutti al lavoro: per legge. Lo garantisce la Costituzione. Quale? Quella del 1948, largamente inattuata, o – meglio ancora – quella che andrebbe in parte riscritta e aggiornata al 2017, per trasformarla in uno strumento capace di fronteggiare la vera piaga dei nostri tempi? Il mostro ha le sembianze della disoccupazione di massa, alimentata dal neoliberismo sfrenato della globalizzazione più selvaggia e predatoria, privatizzatrice. E’ la peste che ha delocalizzato il lavoro e importato “neo-schiavi” migranti, mettendo ancora più in crisi i lavoratori europei, costretti a salari al ribasso, nell’eclissi generale dei diritti conquistati nei decenni ruggenti del welfare e del benessere. Vogliamo finirla con le chiacchiere e cominciare a fare sul serio? Allora bisogna ripartire proprio da lì, dalla Carta costituzionale. Deve diventare la norma fondamentale attorno a cui rifondare, dalle radici, la comunità nazionale: «Si tratta di costituzionalizzare il diritto al lavoro: cioè fare in modo che la piena occupazione sia garantita, e che quindi nessuno abbia più, costituzionalmente, la possibilità di rimanere senza lavoro, senza reddito e senza dignità».E’ la sfida che lancia il Movimento Roosevelt, impegnato a Roma con un convegno su come rimettere in moto l’anima progressista della Costituzione italiana, sempre celebrata con vuote formule rituali ma di fatto largamente inattuata, ingessata come un totem intoccabile o magari «surrettiziamente insidiata da riforme involutive come quelle proposte da Renzi», e bocciate dal referendum del 2016. «Dobbiamo ragionare in termini di Costituzione come del fulcro della vita civile e politica di un paese», dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”. E non vale solo per l’Italia: «Se noi avessimo avuto una Costituzione Europea passata attraverso il vaglio dei cittadini, quindi non imposta dall’alto ma condivisa, se cioè avessimo una Costituzione politica, l’Europa non sarebbe quella che è: non sarebbe questa cosa matrigna e tecnocratica di pochi burocrati al servizio di interessi privati, con cancellerie europee altrettanto asservite e un Parlamento Europeo che non conta nulla, incapace di farsi carico degli ideali di giustizia sociale e di diffusione della properità e della piena occupazione, nonché della rigenerazione dei territori».La riflessione sulla Costituzione, aggiunge Magaldi, «deve farci capire che in Italia, senza Costituzione democratica pienamente attuata o perfezionata per adempiere a certi bisogni, non si va da nessuna parte». L’affronto più grave alla Costituzione antifascista? L’avervi inserito l’obbligo del pareggio di bilancio – governo Monti, appoggiato da Berlusconi e Bersani. Pareggio di bilancio? Una bestemmia, per un economista come Nino Galloni, dirigente del Movimento Roosevelt, di scuola keynesiana: il debito pubblico (deficit positivo) è esattamente lo strumento-chiave attraverso il quale rilanciare l’economia privata, come dimostra la storia italiana dei decenni del boom, sorretti da un sistema economico misto, pubblico-privato, e dalla sovranità monetaria, quindi con capacità di fare investimenti strategici – quelli che oggi mancano, sanguinosamente, a causa del divieto imposto da Bruxelles. Risultato: il declino evidente del paese, nell’ultimo quarto di secolo. Agitare retoricamente la Costituzione? Così com’è, «in questi 25 anni la Costituzione non è stata capace di garantire l’arresto del declino dell’Italia sul piano economico, civile e politico», dice Magaldi. «E quindi serve una scossa».«Già il solo parlare di riforme, in senso opposto a quello renziano, significa magari galvanizzare la possibile attuazione di quelle parti della Costituzione che sono state sin qui dimenticate», aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, che auspica di poterne discutere con personaggi come Paolo Maddalena e Gustavo Zagrebelsky, ma anche Giorgio Cremaschi e Alfredo D’Attorre, Antonio Ingroia e Ferdinando Imposimato. «Pensiamo che la Costituzione del 2018 possa essere più adatta a calare nel nuovo secolo lo spirito originario di quella del 1948, che a sua volta riprendeva lo spirito di quella della Repubblica Romana». Correva l’anno 1849: sulle barricate c’era un certo Garibaldi, primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia, alla testa di un’avanguardia di massoni progressisti. Obiettivo, oggi: recuperare quello spirito originario, di cui abbiamo un bisogno estremo. Soprattutto di questi tempi, con una politica completamente allo sbando e un Parlamento che, grazie al Rosatellum, dopo le elezioni del 2018 sarà letteralmente ingovernabile, preda di larghe intese e governi di bassissimo profilo.Inutile sperare in quel che resta della sinistra ufficiale, avverte Magaldi, ridotta a «piccolo circolo di nostalgici di una sinistra che non c’è più e che non ci sarà mai più». Le spoglie di Sel, Mdp e Articolo 1, il gruppo del Teatro Brancaccio, Sinistra Italiana, Campo Progressista di Pisapia? «Consiglierei loro di ragionare in termini di rigenerazione della democrazia, non della sinistra – dice Magaldi – perché la democrazia e il progresso non sono né di destra né di sinistra». Vero, alcuni partiti di sinistra hanno fatto grandi battaglie in questo senso, «ma è anche vero che, per sinistra, in Italia si intende tutto quel mondo comunista e post-comunista che nella versione comunista avversava la democrazia e propugnava ideologicamente un mondo post-democratico, mentre nella versione Pds-Ds-Pd è diventata asservita a quella stessa ideologia neoliberista declinata da tutti i partiti di centrodestra», come nel caso del famigerato inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. Destra e sinistra? Conviene «superare questa tassonomia obsoleta». Contrastare il Jobs Act renziano? «Va bene difendere l’articolo 18, ma ancora meglio sarebbe liberare gli imprenditori da lacci e laccioli, e al tempo stesso garantire, per legge, la piena occupazione». Onestamente: «L’Italia è cambiata, servono categorie diverse. E il popolo è afflitto da una decadenza che il ceto politico non è in grado di arrestare».Tutti al lavoro: per legge. Lo garantisce la Costituzione. Quale? Quella del 1948, largamente inattuata, o – meglio ancora – quella che andrebbe in parte riscritta e aggiornata al 2017, per trasformarla in uno strumento capace di fronteggiare la vera piaga dei nostri tempi? Il mostro ha le sembianze della disoccupazione di massa, alimentata dal neoliberismo sfrenato della globalizzazione più selvaggia e predatoria, privatizzatrice. E’ la peste che ha delocalizzato il lavoro e importato “neo-schiavi” migranti, mettendo ancora più in crisi i lavoratori europei, costretti a salari al ribasso, nell’eclissi generale dei diritti conquistati nei decenni ruggenti del welfare e del benessere. Vogliamo finirla con le chiacchiere e cominciare a fare sul serio? Allora bisogna ripartire proprio da lì, dalla Carta costituzionale. Deve diventare la norma fondamentale attorno a cui rifondare, dalle radici, la comunità nazionale: «Si tratta di costituzionalizzare il diritto al lavoro: cioè fare in modo che la piena occupazione sia garantita, e che quindi nessuno abbia più, costituzionalmente, la possibilità di rimanere senza lavoro, senza reddito e senza dignità».