Archivio del Tag ‘Rosario Picolla’
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Elezioni da medioevo, vince la religione del debito pubblico
“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.I pricipi sono chiari e anche semplici da comprendere, hanno una loro logica, ma sono fondati su presupposti mistificanti della realtà: “Lo Stato è come una famiglia/azienda, non può spendere più di quello che guadagna”, oppure (soprattutto in Italia): “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”, la celebre metafora della cicala e della formica, oppure ancora, la frase che apre questo articolo, riportata urbi et orbi da politicanti, pennivendoli, intellettualoidi vari ed eventuali. Una questione, dunque, religiosa, come precedentemente anticipato: abbiamo il Dio Mercato, la dottrina (che ha assunto una dimensione sacrale) e i suoi sacerdoti, che professano la fede e offrono sull’altare della divinità le (tante) vittime sacrificali, al fine di alimentare il sistema. Questa dinamica, in atto da più di 40 anni, è andata avanti lentamente ed inesorabilmente, con un’accelerazione improvvisa e preoccupante nel corso dell’ultimo decennio (dalla “crisi dei mutui subprime” in poi). Inoltre, il sistema di “Inquisizione 2.0” condanna tutti coloro che si azzardano a proporre politiche economiche “anti-cicliche” di stampo keynesiano, poiché la spesa a deficit “graverà sulle spalle dei nostri figli”.Il tutto ignorando le grandi lezioni della Storia. Ignorando, anzi, cancellando totalmente, la memoria collettiva relativa alla Grande Depressione (o crisi del ‘29) e tutto il periodo post-bellico – definito Liberal Consensus – in cui partiti di destra, moderati e di sinistra condividevano sostanzialmente le ricette ispiratrici del New Deal di rooseveltiana memoria (e del boom economico successivo), cancellando le teorie di politica economica di Keynes, anzi rendendole addirittura anti-costituzionali in Italia (con la recente approvazione dell’articolo 81 della Costituzione, sul pareggio di bilancio), e cancellando anche il concetto di Welfare State teorizzato da William Beveridge. Cancellando, in ultima analisi, la dimensione umana, in favore di una visione economicistica della società, che ignora volutamente il diritto degli individui a vivere una vita dignitosa e li costringe a fare sacrifici per espiare colpe che non hanno. Ci troviamo, dunque, nell’epoca del Neoliberal Consensus, in cui partiti di destra, moderati e di sinistra (con la condivisione, da parte di questi ultimi, della “Third Way” di Anthony Giddens) condividono lo stesso paradigma.Per “Liberal” si intende quell’ideologia democratica, social-liberale, progressista, attenta alle istanze di giustizia sociale e ai diritti civili e politici di tutti: parola usata per la prima volta, in questi termini, da Franklin Delano Roosevelt, in contrapposizione a “Conservative”. Per “Neoliberal”, invece, si intende “neoliberismo” (non “neoliberalismo”, che non significa nulla ed è frutto di un’errata traduzione dall’inglese), ovvero il “lassez-faire” portato alla sua radicalizzazione: in altre parole, il fondamentalismo del mercato, sotto forma di teologia dogmatica. Il Neoliberal Consensus prevede un consenso comune in merito a una serie di ricette, che possiamo riassumere così: privatizzazioni, austerity, deregulation finanziaria, riduzione della spesa pubblica, Stato minimo, concezione dello Stato paragonato a un’azienda, vera e propria isteria sui conti pubblici e sul debito pubblico e conseguente “feticismo” delle coperture economiche. Dunque, in conclusione, mentre un “contatore del debito pubblico” lampeggia sui maxi-led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, iniziativa di terrorismo psico-economico intrapresa dall’Istituto Bruno Leoni – il quale simpaticamente ci informa anche del fatto che abbiamo 40 mila euro di debito a testa – l’invito è quello di riflettere criticamente sui programmi economici presentati dai vari partiti e di riflettere sulle pressioni mediatiche e internazionali su determinati temi. Riflettere e sforzarsi di capire perché siamo in presenza di questa condivisione paradossale, che assottiglia le differenze tra “destra” e “sinistra” e le implicazioni nei rapporti con l’Unione Europea. Qualsiasi partito decidiate di votare.(Rosario Picolla, “Verso il 4 marzo: Orwell, il Neoliberal Consensus e le scemenze elettorali”, dal blog del Movimento Roosevelt del 1° marzo 2018).“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.
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Scalfari sdogana l’oligarchia e i dogmi dell’élite reazionaria
L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).La democrazia – almeno in via di principio – afferma il diritto da parte di tutti di concorrere per una carica politica (elettorato passivo), così come il diritto di voto universale (elettorato attivo). Le oligarchie, invece, il governo “dei pochi”, non contemplano la partecipazione popolare alle decisioni collettive. Possono essere manifeste, occulte, agiscono dentro e/o fuori dalle strutture preposte all’esercizio del potere e, a seconda dei casi, si basano su un diritto divino di governare le masse (oligarchie religiose: ad es. caste sacerdotali), su uno “status d’ascrizione” (aristocrazie di sangue), sulla gestione della governance economica globale (oligarchie finanziarie: banche d’affari, multinazionali, conglomerati vari), su una gestione burocratica dei processi politico-economici e sociali (oligarchie tecnocratiche: Bce, Commissione Europea) o su una presunta superiorità spirituale (oligarchie iniziatiche: società misteriosofiche/esoteriche varie; in primis la massoneria, in riferimento alle sue declinazioni interne di stampo conservatore, neo-aristocratico e reazionario, lontane dall’ideale democratico-progressista).La questione, poi, si fa ancora più sottile e malefica, se pensiamo che negli ultimi 40 anni in Occidente c’è stato questo tentativo (riuscito, ad oggi) di piegare la democrazia, lasciandola nelle forme ma svuotandola nella sostanza – dopo quello fallito di eliminarla ovunque, anche dal punto di vista formale, con l’esperimento nazifascista – facendola diventare una “oligarchia de facto”. Come? Delegittimando la politica e il ruolo dello Stato e, contemporaneamente, legittimando il mercato; grazie alle sue leggi (domanda-offerta, “mano invisibile”, ecc), una comunità di individui sarebbe in grado di auto-regolarsi, senza il bisogno di un intervento governativo. Idea, questa, che sta alla base di una vera e propria teologia dogmatica – il neoliberismo – intrinsecamente anti-democratica, neo-oligarchica e falsamente liberale. Dunque, nel momento in cui Eugenio Scalfari accomuna i due concetti sopra esposti, non solo dice qualcosa di non vero, ma è anche in malafede.Egli, infatti, cerca – in maniera assai subdola – non tanto e non solo di screditare la democrazia, quanto soprattutto (e qui sta la chiave del discorso) di legittimare – da un punto di vista filosofico – oltre che difendere, l’oligarchia stessa. Che è, in sostanza, la modalità di governo attualmente dominante in Occidente. Almeno finché la democrazia non verrà smantellata anche nelle sue forme. Prima di chiudere, riprendo un attimino la citazione iniziale e vi sottopongo una riflessione: l’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Non sentite anche voi puzza di “teorie trioculari”? Questa citazione non vi ricorda – almeno vagamente – le affermazioni contenute in “The Crisis of Democracy”, famigerato rapporto della Trilateral Commission redatto nel 1975? A me sì.(Rosario Picolla, “Scalfari, l’oligarchia e la democrazia”, dal blog del “Movimento Roosevelt” del 14 ottobre 2016).L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).