Archivio del Tag ‘Sandro Gozi’
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Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
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Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
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Sapelli: siamo spacciati, a Roma nasce il governo Macron
Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».L’accenno al “ricardismo” richiama “l’economia del granturco” teorizzata dall’inglese David Ricardo e ripresa oggi – in modo paradossale – dall’economia “neoclassica” che ci domina, attraverso l’oligarchia Ue. Tesi: per poter investire, devi prima risparmiare. Era vero nell’800, oggi fa ridere (da quando c’è la moneta “fiat”, illimitata e a costo zero). Ma è il punto cardinale dell’austerity artificiale imposta da Bruxelles, cui ora l’Italia “giallorossa” sembra pronta a piegarsi in modo sconcertante. Dal canto suo, Sapelli è esplicito: «In Italia si insedia il governo Macron. Del resto lo ha annunciato trionfalmente “Repubblica” nel bel mezzo della crisi di governo, il 21 agosto, con una prima pagina memorabile perché scandalosa: “Con l’estrema destra non funziona mai”. Chiediamoci se una cosa del genere può succedere su “Le Monde”». E che dire del tweet di Trump che benedice Conte? «Qualcuno gli ha chiesto di farlo», risponde Sapelli, che precisa: «Intendo: lo ha chiesto al Dipartimento di Stato. Alcuni amici mi hanno detto che la diplomazia americana non ne sapeva nulla». Sarebbe gravissimo, osserva Ferraù. «Non è da meno il G7 di Biarritz», rincara la dose Sapelli. «Si è mai visto un ministro iraniano (Mohammad Javad Zarif) che arriva di soppiatto? La Francia è sempre stata una potenza di mediazione. Certo sono cambiate le modalità».Nel XVIII secolo, riassume il professor Sapelli, la Francia se n’è andata dall’America del Nord perché non ha potuto frenare gli inglesi, limitandosi ad appoggiare gli insorti. Da allora, dice, si è ritirata in Africa. «Ed è all’Africa che bisogna guardare per capire cosa sta succedendo in Europa». Il 7 luglio a Niamey, in Niger, è stato firmato l’accordo di libero scambio (Afcta) tra gli Stati africani. Che cosa comporta? «È la creazione di un mercato comune africano, e l’unica potenza europea egemone in grado di approfittarne è la Francia». Parigi, spiega Sapelli, «intende dominare il Mediterraneo». Concretamente, «vuol dire impossessarsi delle rotte energetiche e di quelle logistiche». Attenzione: è un controllo «che la Francia dividerà con la Cina». Secondo Sapelli, a essersi realizzato è il vecchio disegno del nazionalista Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang, pre-maoista. «Sun Yat-sen era affiliato alla massoneria francese. Sognava una vocazione occidentale della Cina: un disegno che Mao ha soltanto interrotto». E il Conte-bis? «Il nuovo governo Conte, a benedizione francese, si spiega con il fatto che Parigi deve assolutamente governare l’Italia se vuole realizzare il suo progetto espansionistico. Si tratta di un governo a vocazione geopolitica eterodiretta da parte francese».A questo proposito, Ferraù fa giustamente notare il ruolo di Sandro Gozi: alla vigilia della crisi di governo, l’esponente renziano del Pd è diventato consulente di Macron per gli affari europei. «Un arruolamento volontario, che risponde evidentemente a questo compito». E cioè: tradire l’Italia, a favore della Francia. Quindi chi comanda, adesso, a Roma? «Le nuove compagnie di ventura, i parenti odierni degli Sforza, che si vendevano a tutti». Il Movimento 5 Stelle? «E’ la compagnia di ventura più organica, più malleabile e per questo più funzionale agli obiettivi altrui». Quanto durerà, il Governo del Tradimento? «Sono due gli obiettivi che determineranno la sua durata», risponde Sapelli. «Il primo è l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Perché non un Mattarella-bis? L’altro obiettivo è la trasformazione dell’Italia in una piattaforma logistica per l’entrata della Francia in Africa e la svendita di ciò che resta del nostro apparato industriale a Francia, Germania e Cina». E gli Stati Uniti acconsentono? «Gli americani un po’ non capiscono, un po’ sono divisi», sostiene Sapelli. «Trump è sotto scacco per lo stesso motivo di Salvini, per avere aperto alla Russia. In più sono divisi tra la componente Bush-clintoniana, ispirata dal globalismo finanziario esasperato, e quella del gruppo che sostiene Trump».L’Italia ha chiuso, quindi? Siamo finiti, come paese? «L’unica speranza sono le piccole e medie imprese, però devono capire quello che sta accadendo», dice Sapelli. «Soprattutto devono capire che non possono esistere da sole, anche se da sole hanno fatto miracoli». Bisogna che le piccole imprese italiane «si impegnino per salvare un segmento delle grandi imprese e per cambiare la politica economica europea». Una rappresentanza politica ce l’hanno già: è la Lega. «Non hanno ancora afferrato, però, che in questa guerra non si fanno prigionieri». Il Nord, cioè il bacino elettorale di Salvini, produce l’80% del nostro Pil. Impossibile sperare in una proiezione nazionale? «L’Italia avrebbe dovuto fare come Polonia, Bulgaria, Ungheria», dice ancora Sapelli: «Ognuno di questi paesi ha superato le divisioni politiche interne e ha trattato con l’Europa da paese unito. Noi invece abbiamo mancato tutti gli appuntamenti che potevano aiutarci in questa direzione, dal contrasto al terrorismo alla stagflazione. E abbiamo fallito perché l’Italia continua ad essere un paese di compagnie di ventura».Se i 5 Stelle suscitano raccapriccio per il loro scandaloso voltafaccia, come definire il Pd? «Un insieme di cacicchi l’un contro l’altro armati, con una compagnia di ventura egemone, quella di Renzi». Altri pericoli in vista: «M5S e Pd vanno assimilandosi, perché anche nel Pd la base sociale e quella territoriale si vanno estinguendo», ragiona Sapelli. «Zingaretti, invece di sostenere il nuovo governo, avrebbe potuto dedicarsi a una rifondazione territoriale. Non lo farà: e questo sarà la fine, del Pd e sua». Resta solo la Lega, a quanto pare, a tifare Italia. «L’unica speranza è che oltre alle piccole medie imprese intercetti e rappresenti la borghesia nazionale. Il problema della Lega – aggiunge Sapelli – è che non ha un pensiero politico», almeno per ora. Ma la lettura dello scempio in corso resta incompleta, se non si considera l’azione del Papa: «Il Vaticano ha svolto un ruolo fondamentale, che andrà approfondito», precisa Sapelli. «Abbiamo assistito a un ritorno della religione in politica, dissimulato da preoccupazioni sociali e teologiche. Il mio caro vecchio Péguy si rivolta nella tomba», aggiunge il professore, riferendosi allo scrittore francese Charles Péguy, cattolico ma inviso all’alto clero per la sua opposizione all’ingerenza ecclesiastica nell’attività politica. Per Sapelli, nel concorrere alla caduta di Salvini, Bergoglio ha commesso un azzardo: «La Chiesa deve stare attenta – chiosa il professore – perché l’adesione alla società dei diritti potrebbe esserle fatale».Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».
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L’euro-ascesa di Gozi, Signor Nessuno e politico senza voti
«Nella Prima Repubblica, quelli come Sandro Gozi erano detti polli in batteria. Allora, i partiti formavano uomini politici identici, per idee e comportamenti. Poi, arrivò il caos della Seconda Repubblica e il suo esercito starnazzante di sprovveduti. Con il quarantanovenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio si è tornati all’ordine». Con queste parole assai poco lusinghiere, a fine 2017, Giancarlo Perna presentava, su “La Verità”, quel Signor Nessuno che rispondeva al nome di Sadro Gozi, oggi nella bufera come ministro francese, italiano a Parigi arruolato dal nemico numero uno dell’Italia, Emmanuel Macron. «Come i politici del passato, il renziano Gozi è un individuo a orologeria, costruito a tavolino, perfetto in ogni sua parte», scrive Perna. «Ma la fucina che lo ha prodotto non sono i partiti, ormai inesistenti. Bensì le scuole internazionali, l’ideologia europea, l’elitarismo mondialista». In altre parole, «Gozi è un euroclone. Un ayatollah dell’Ue, come lo definiscono diversi suoi colleghi, infiltrato nel Parlamento italiano.Dopo la laurea in legge a Bologna, Gozi ha frequentato a Parigi scienze politiche, seguito corsi di amministrazione qua e là nell’ Ue, superato il concorso diplomatico alla Farnesina, soggiornato a Bruxelles e Strasburgo. François Hollande lo ha insignito nel 2014 della Legion d’Onore. Con la moglie e i figli parla più francese che italiano. Si esprime altrettanto bene in tedesco, inglese e spagnolo. «Se pensa a un amico, non ne ha uno che disti meno di 1.000 chilometri, appartenendo tutti al mondo esclusivo delle caste globaliste», sostiene Perna. Per riassumere: «Sandro è sideralmente diverso dal comune mortale. Nell’ambito però della sua cerchia elegante, è lo stampino dei suoi simili. Il solito fanatico Ue licenziato dalle grandi scuole, dove i corsi sono in inglese, i libri in tedesco e le idee confuse: il pollo in batteria dei tempi nostri. L’unica anomalia di questo classico esemplare di funzionario europeo è che abbia scelto la politica». Deputato per tre legislature, dal 2014 è stato anche al governo: prima con Matteo Renzi, poi con Paolo Gentiloni. «In tutti i casi, è un cavolo a merenda. Volenteroso e piacione ma impantanato nella carriera».Celebre il fiasco dell’Agenzia Europea del Farmaco, che Milano ha perso per un soffio. La pratica era stata affidata proprio a Gozi, che aveva la delega agli affari europei. Nonostante le credenziali meneghine, l’Ema è finita ad Amsterdam, per estrazione a sorte, dopo un voto segreto a parità. Tra parentesi: con la sua legislazione fiscale super-agevolata, proprio l’Olanda è il paese che ha inferto più danni economici all’Italia, di recente, attraendo grandi aziende italiane grazie al dumping fiscale (stranamente tollerato dall’Ue). «Fatta la frittata, tutti se la sono presa con il povero Gozi, incapace di imporre Milano prima di arrivare ai bussolotti, ma lui non si è scomposto», scrive sempre Perna. «L’uomo si piace molto e ha una solida autostima. Pare che contro di noi abbiano votato Spagna, Francia e Germania. La sola certa è la Spagna, cui Gozi ha dedicato l’unico commento: “Era forse memore della sua antica dominazione dei Paesi Bassi”. Una elegante citazione storica come sola espressione di rammarico. Fa molto feluca e dice tanto dell’uomo».Sandro Gozi? E’ uno che sta benissimo nella sua pelle: «Fiero dei suoi studi alla crème, non si mette mai in discussione. Ha l’acriticità dei robot che escono dalle scuole costose e occupano le poltrone Ue. Stessa testa degli Emmanuel Macron, Ena & co. Considerandosi il migliore prodotto nel migliore dei mondi possibili, ne adotta senza riserve idee e repulsioni. È per i ponti contro i muri, la green economy contro il nucleare, la dieta invece dei cenoni, il moto contro l’ozio». Non a caso, «lo sport sta in cima ai suoi valori: è un provetto corridore del Montecitorio Running Club, fondato dall’alfaniano Maurizio Lupi, che riunisce gli onorevoli patiti della maratona di New York. Gozi ne detiene il record parlamentare, sottratto al medesimo Lupi, col tempo di 3h 38′ 53″. È anche provetto nello squash, di cui nel 2003 è stato campione nazionale». Il gioco consiste nel lanciare con la racchetta una palla contro il muro: l’abilità sta nello schivare la palla di ritorno evitando il tramortimento. «Per riuscire nella disciplina, Sandro consiglia su YouTube questa dieta: a colazione cereali, biscotti secchi, caffè e spremuta; pasta o riso a pranzo; carni bianche e verdura bollita a cena. Per tali meriti, è responsabile delle relazioni internazionali per la federazione squash».Atleta è anche la moglie, Emanuela Mafrolla, amante dei cavalli e consigliera federale degli sport equestri. I figli, Federica e Giulio, ancora in età scolastica, si limitano per ora a frequentare lo Chateaubriand, il liceo francese di Roma, di cui la più illustre ex alunna è Marianna Madia, già ministra renziana. «Apparentemente paradossale è che questo snob sia nato (marzo 1968) a Sogliano al Rubicone, culla del formaggio di fossa, sperduto paesotto della Romagna profonda», continua Perna. «Come ha potuto un provinciale per destino, farsi così integralmente cittadino del mondo? Fatale fu Cesena, il capoluogo, dove seguì gli studi e dove ha tuttora residenza. La città era, tradizionalmente, regno – per così dire – dei repubblicani. E al Pri – ahimè, dissolto – aderì il giovanottello preso a benvolere dal suo personaggio più illustre, Oddo Biasini, segretario del partito negli anni Settanta del Novecento. Costui – preside anche delle scuole locali – lo seguì passo passo finché, una volta laureato, raccomandò il pupillo al corregionale Romano Prodi». Gozi e Biasini: «La simbiosi tra il ragazzo e l’anziano protettore repubblicano fu tale da essere somatizzata nelle sopracciglia folte e scure, eguali nell’uno e nell’altro».Dunque, finiti i suoi studi, i giri in Europa per approfondirli e concorsi vari, Gozi si accasò da Prodi, diventato nel frattempo presidente della commissione Ue (1999-2004). Il giovane Sandro ne fu il consigliere per l’intero mandato e, alla scadenza, passò un altro anno a Bruxelles con il successore, José Manuel Barroso. «Fu un bel farsi le ossa nella cuccagna Ue. A quel punto, dimenticate le origini repubblicane, Sandro era ormai stabilmente piazzato a sinistra in quota Prodi. Tornato in Italia, si fece ancora un annetto in Puglia accanto al governatore Nichi Vendola, con la carica di consigliere diplomatico per la vendita di cozze e mitili nei mercati Ue». Nel 2006, finalmente, entrò a Montecitorio con l’Ulivo mettendo fine al suo errare. «Ci arrivò per il rotto della cuffia come deputato del Veneto, solo perché Prodi, eletto anche altrove, gli cedette il seggio». E qui arriviamo al punto cruciale, scrive Perna: «Gozi è un politico senza base elettorale e senza un voto suo che sia uno». Il Pd di Cesena, che sarebbe il suo luogo naturale, «lo considera un estraneo, per formazione e mentalità».Per uscire dall’anonimato, Gozi ha cercato di candidarsi nel 2012 alle primarie Pd per Palazzo Chigi. «Ha dovuto però rinunciare perché non ha trovato le 95 firme necessarie per la presentazione». Fermo a 70, si è così commiserato: «Continuerò a credere che si possa fare politica con pochi soldi, pochi apparati e molte idee». Con sé è sempre benevolo: «Sono di rara onestà, pulizia e trasparenza», si compiacque in altra occasione. «Ma, ripeto – chiosa Perna – non ha un chiodo di estimatore che gli metta la scheda nell’urna». Se la prima volta grazie a Prodi fu eletto in Veneto, regione «di cui aveva sentito parlare dalla nonna», passato con Renzi non è andata meglio. «È stato sempre imposto a elettori ignari anche del suo nome. Nel 2008 in Umbria, nel 2013 in Lombardia. Un felice caso di incasso d’indennità senza avere un datore di lavoro». O meglio: il vero datore di lavoro, probabilmente, stava lassù, nell’Olimpo dell’oligarchia supermassonica europea che ora infatti l’ha fatto ascendere nei palazzi di Parigi grazie all’Eliseo, dove impera (per modo di dire) il Gozi francese, cioè Macron, fedelissimo esecutore del potere-ombra che l’ha fabbricato e candidato, per poi manovrarlo a piacimento. Fino alla massima perversione possibile: reclutare un italiano nel governo francese per far imbestialire il governo italiano.«Nella Prima Repubblica, quelli come Sandro Gozi erano detti polli in batteria. Allora, i partiti formavano uomini politici identici, per idee e comportamenti. Poi, arrivò il caos della Seconda Repubblica e il suo esercito starnazzante di sprovveduti. Con il quarantanovenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio si è tornati all’ordine». Con queste parole assai poco lusinghiere, a fine 2017, Giancarlo Perna presentava, su “La Verità”, quel Signor Nessuno che rispondeva al nome di Sadro Gozi, oggi nella bufera come ministro francese, italiano a Parigi arruolato dal nemico numero uno dell’Italia, Emmanuel Macron. «Come i politici del passato, il renziano Gozi è un individuo a orologeria, costruito a tavolino, perfetto in ogni sua parte», scrive Perna. «Ma la fucina che lo ha prodotto non sono i partiti, ormai inesistenti. Bensì le scuole internazionali, l’ideologia europea, l’elitarismo mondialista». In altre parole, «Gozi è un euroclone. Un ayatollah dell’Ue, come lo definiscono diversi suoi colleghi, infiltrato nel Parlamento italiano.
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Gozi nel governo Macron: un italiano a Parigi, contro l’Italia
«Tra una mia elezione come eurodeputato (di “En Marche”, ndr) e la vittoria dell’Italia ai Mondiali? L’Italia può aspettare». La volontà di entrare nell’organico del partito di governo francese non l’ha mai nascosta, ma dopo aver sbattuto contro la bocciatura per una poltrona al Parlamento Ue, Sandro Gozi entra direttamente nel governo francese al servizio di Emmanuel Macron: l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi Renzi e Gentiloni ricoprirà lo stesso incarico, nell’esecutivo che ha come premier Edouard Philippe. A quanto si è saputo, Gozi (che è anche indagato a San Marino per una presunta consulenza “fantasma” da 220mila euro con l’accusa di amministrazione infedele in concorso) dovrebbe rimanere nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. «L’europarlamentare avrà il compito di monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, operando in stretta collaborazione con il Segretariato generale per gli affari europei francese», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una nomina che ha scatenato le proteste di tutti i principali partiti italiani – tranne il Pd – che in coro hanno chiesto: di chi ha fatto gli interessi, Sandro Gozi, mentre serviva l’Italia?Dura la reazione del grillino Stefano Buffagni, sottosegretario per gli affari regionali: «Che schifo! Ecco da chi eravamo governati fino allo scorso anno, ecco a voi i membri del Pd che fanno la morale a tutti». Leggere di un ex membro del governo Renzi che viene nominato nell’esecutivo del paese che più di ogni altro oggi contesta l’Italia, per Buffagni «è qualcosa di veramente vomitevole e preoccupante». Tra i “successi” di Gozi, l’aver perso l’Agenzia Europea del Farmaco, richiesta da Milano nel 2017. «La domanda sorge quindi spontanea: per chi lavorava allora Gozi? Rappresentava davvero gli interessi dell’Italia o giocava su altri campi per altri paesi? Non c’è il rischio di alto tradimento contro la personalità dello Stato italiano?», si domanda Buffagni. Un altro pentastellato, Pino Cabras, capogruppo nella commissione esteri della Camera, evidenzia il filo rosso che lega la Francia e alcuni esponenti del partito di Zingaretti: «Dopo le schiere di 13 esponenti Pd, da Fassino a Franceschini, passando per Letta e Sala, che negli ultimi sedici anni hanno ricevuto la Legion d’Onore francese, non potendo ricevere una seconda onorificenza per Sandro Gozi è scattata direttamente la nomina a responsabile degli Affari Europei del governo Macron».Quali dossier tra Italia e Francia ha trattato, Gozi, «evidentemente non certo a sfavore degli amici d’Oltralpe», durante il suo mandato governativo con Renzi e Gentiloni? Per Cabras, si tratta di «una una nomina che inquieta, e che desta politicamente più di un sospetto». La pensa così anche Giorgia Meloni: «Voglio sapere perché Emanuel Macron e il governo francese ci tengano a premiare così un signore che, fino a qualche mese fa, avrebbe dovuto fare gli interessi degli italiani». Stessa musica da Matteo Salvini: «Gozi, già sottosegretario agli affari europei con Renzi e Gentiloni, con la benedizione di Macron viene ora nominato, nello stesso ruolo, nel governo francese: immaginate di chi facesse gli interessi questo personaggio quando era nel governo italiano. Pazzesco, questo è il Pd». Tra i dossier “caldi” che vedono contrapposte Italia e Francia, ricorda sempre il “Fatto Quotidiano”, il primo è certamente il rapporto con le diverse fazioni in campo nello scacchiere libico. «Come è noto, mentre l’Italia, già al tempo di Gozi sottosegretario, rappresenta uno dei principali interlocutori del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, oltre che il partner di riferimento per l’Unione Europea, la Francia è uno dei pochi paesi dell’Ue a vantare rapporti privilegiati con la controparte della Cirenaica, con a capo il generale Khalifa Haftar».In un clima di tensione nuovamente alta nel paese nordafricano, con le milizie di Tobruk che da mesi spingono per rovesciare l’esecutivo tripolino, sostenute da alcuni alleati regionali come Arabia Saudita ed Emirati, oltre alla Russia (e almeno in passato, la Francia) un ex membro del governo italiano ora al servizio di Parigi «potrebbe essere a conoscenza di accordi mai resi pubblici stipulati tra Roma e le varie fazioni in campo: Tripoli, Misurata, altre milizie non allineate e lo stesso Haftar, con cui l’Italia sta cercando di intavolare un dialogo per arrivare il prima possibile a un cessate il fuoco». Poi ovviamente c’è il tema migranti: da una parte si chiede all’Italia di accoglierli, mentre la Francia resta libera di respingerli. «L’immigrazione, inoltre, è un tema sul quale Italia e Francia si sono già scontrate negli anni passati: basta ricordare i respingimenti della Gendarmeria d’Oltralpe a Ventimiglia, i fatti di Bardonecchia e un altro respingimento in territorio italiano, in Alta Val Susa».Restando in Libia, quella tra Haftar e al-Sarraj non è solo una lotta per governare il paese, ma «uno scontro tra diverse alleanze internazionali per mettere le mani su giacimenti di petrolio tra i più ricchi e appetibili del mondo», aggiunge il “Fatto”. In questa battaglia sono schierate da una parte l’Eni, dall’altra la Total. «A febbraio 2019, ad esempio, il portavoce dell’Esercito nazionale libico, che fa capo ad Haftar, aveva annunciato la presa del campo petrolifero di Al Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, la cui produzione era bloccata da 2 mesi. Il sito è strategico per l’economia dell’intera Libia e per gli Stati che hanno interessi petroliferi nel paese: gestito dalla società Akakus, joint-venture tra la Noc, la compagnia petrolifera nazionale controllata dal governo di Fayez Al Sarraj, principale interlocutore dell’Italia, la spagnola Repsol, la Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil». Non è tutto: a scaldare i rapporti tra Italia e Francia già durante i governi Pd di cui faceva parte Gozi – continua il giornale di Travaglio – ci sono più controversie tra le grandi multinazionali italiane e francesi, sia pubbliche che private. La prima partita economica è senz’altro quella su Fincantieri-Stx: «Dopo un lungo tira e molla, nel settembre 2017, il governo Gentiloni riuscì a sbloccare l’operazione ottenendo per Fincantieri il 50% di Stx più l’1% in prestito dallo Stato francese. Ma il prestito è sottoposto a verifiche periodiche e il governo francese ha facoltà di chiedere indietro la quota prestata in caso di inadempienza italiana».Nel caso in cui l’1% venga ritirato, Fincantieri può solo decidere di cedere tutto il 50% di Stx a Parigi. «Il governo transalpino ha quindi oggettivamente la possibilità di rendere difficile la vita a Fincantieri che è controllata dal Tesoro via Cassa Depositi e Prestiti». Altre vicende, anche se legate ad affari privati (in cui lo Stato è però già intervenuto in passato) sono quelle relative a Tim-Vivendi e Mediaset-Bolloré. «Nel maggio 2018, ad esempio, il fondo Elliott è riuscito a modificare gli equilibri di potere in Tim grazie al voto favorevole del socio pubblico Cassa Depositi e Prestiti. La vicenda non è piaciuta a Vivendi, estromessa dalla guida del gruppo, e al suo socio di riferimento, Vincent Bolloré, azionista anche di Mediobanca e di Mediaset, in guerra aperta con la famiglia Berlusconi». Sono tanti i dossier che un ex membro di governo potrebbe aver gestito o di cui potrebbe aver sentito parlare. E anche per questo Giorgia Meloni ha annunciato che Fratelli d’Italia ha già depositato un’interrogazione: «Vogliamo sapere quali sono tutti i dossier che Sandro Gozi ha seguito quando era alla presidenza del Consiglio italiano che riguardano anche i francesi. Noi vogliamo sapere che cosa deve Emmanuel Macron a Sandro Gozi».«Tra una mia elezione come eurodeputato (di “En Marche”, ndr) e la vittoria dell’Italia ai Mondiali? L’Italia può aspettare». La volontà di entrare nell’organico del partito di governo francese non l’ha mai nascosta, ma dopo aver sbattuto contro la bocciatura per una poltrona al Parlamento Ue, Sandro Gozi entra direttamente nel governo francese al servizio di Emmanuel Macron: l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi Renzi e Gentiloni ricoprirà lo stesso incarico, nell’esecutivo che ha come premier Edouard Philippe. A quanto si è saputo, Gozi (che è anche indagato a San Marino per una presunta consulenza “fantasma” da 220mila euro con l’accusa di amministrazione infedele in concorso) dovrebbe rimanere nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. «L’europarlamentare avrà il compito di monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, operando in stretta collaborazione con il Segretariato generale per gli affari europei francese», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una nomina che ha scatenato le proteste di tutti i principali partiti italiani – tranne il Pd – che in coro hanno chiesto: di chi ha fatto gli interessi, Sandro Gozi, mentre serviva l’Italia?
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Cottarelli e Macron, il vero partito che rema contro l’Italia
Attenti a Carlo Cottarelli: non lavora per l’Italia, ma per il “partito” trasversale (italiano) che vuole mantenere il nostro paese in crisi perenne. Un avvertimento che, sul “Sussiadiario”, Federico Ferraù rilancia, intervistando il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano. Pur senza essere esplicitamente nominato, l’ex commissario alla spending review del governo Letta – ormai ospite fisso dei maggiori talkshow, incluso il salotto televisivo di Fabio Fazio – è definito “Manciurian candidate”, cioè cavallo di Troia e quinta colonna di poteri esterni al nostro paese. Letteralmente: «Un economista che rilascia interviste da premier in pectore, facendo della riduzione del deficit e del debito il comandamento di una religione secolare». Tutto questo, «in attesa che il patto M5S-Lega si rompa, magari con l’aiuto del Colle», cioè di quel Mattarella che la candidatura Cottarelli l’aveva agitata come minaccia, in alternativa a quella di Conte, subito dopo aver bocciato la proposta di Paolo Savona come ministro dell’economia. Neoliberista, a lungo dirigente del Fmi, Cottarelli è considerato – insieme a Mario Draghi, allora dirigente di Goldman Sachs – uno dei maggiori responsabili della catastrofe abbattuasi sulla Grecia. Da tempo ci prova anche con l’Italia. La sua ricetta? Quella di Monti: deprimere l’economia tagliando il deficit. Agisce da solo, Cottarelli? Niente affatto: si muove in tandem con Emmanuel Macron.Lo stesso Ferraù definisce l’inquilino dell’Eliseo «un antipopulista a vocazione continentale che fa il populista alla bisogna, approfittando del fatto che il suo paese è ancora troppo importante per fallire». Macron e Cottarelli, sottolinea il professor Mangia, fanno parte dello stesso disegno anti-italiano: non ordito “dalla Francia” o “dalla Germania”, bensì da un cartello di poteri economici, che agiscono – inseguendo esclusivamente i propri interessi privatistici – all’insaputa degli stessi francesi e tedeschi. «In realtà – afferma Alessandro Mangia – ad essere vincitore, oggi, in Europa, è soltanto un blocco industriale e finanziario che dall’unificazione europea ha tratto solo vantaggi e ha distribuito gli svantaggi in modo più o meno equo tra i vari paesi d’Europa». Oggi Macron annuncia un’espansione del deficit francese, mentre Cottarelli tuona contro la ventilata (minima) crescita del disavanzo italiano? Niente di strano: quei poteri hanno bisogno che la Francia non crolli, per questo le consentono di sostenere la propria economia con una dose maggiore di debito pubblico. L’Italia, invece, “deve” crollare: a questo servono le prediche a reti unificate di Cottarelli, contro l’aumento della spesa invocato da Di Maio e Salvini per finanziare Flat Tax, pensioni e reddito di cittadinanza. La filosofia di Cottarelli? Quella, fallimentare, del Fmi: se infatti si taglia la spesa produttiva, decresce automaticamente il Pil e l’economia peggiora, aggravando il peso del debito pubblico.Dopo che Macron ha comunicato di voler aumentare il deficit fino al 2,8% per tagliare 25 miliardi di tasse, Di Maio ha detto: «Facciamo anche noi il 2,8% come loro». Domanda: perché l’Italia non può imitare i francesi? «Perché la Francia, nell’assetto attuale d’Europa – spiega Mangia – è un elemento essenziale per la tenuta del sistema di potere che si è instaurato dopo la crisi del 2010-2011». E quindi, chiarisce il professore, le va lasciato margine di manovra. Anche perché, senza la foglia di fico (francese) del famoso “asse franco-tedesco”, sarebbe evidente a tutti chi domina e chi è dominato, in Europa: «E l’Europa si ridurrebbe alla sola Germania e ai suoi sottoposti». In altre parole: in cambio di una parte in commedia, alla Francia viene lasciata maggiore libertà di bilancio. Solo che, «stanti le caratteristiche strutturali della moneta unica», questa maggiore libertà «si traduce in maggior debito e maggior deficit sull’estero». La spesa aggiuntiva francese, argomenta Mangia, viene fatta acquistando beni esteri — cioè tedeschi e italiani — perché costano meno di quelli francesi. Sicché, Macron potrà anche «tirare a campare, politicamente, come ha cercato di fare Hollande con l’esito che sappiamo», ma non farà altro che «aggravare la situazione e accumulare passivi sull’estero».E questo, sottolinea il professore, è esattamente ciò che succede da anni alla Francia, che «dopo sforamenti superiori al 5% (che noi ci sogneremmo) è su una china assai peggiore di quella dell’Italia: solo che non si può dire, se no viene giù tutta la messinscena dell’asse franco-tedesco e non si può più fare la voce grossa con Italia e Spagna». In più, se Bruxelles è di manica larga con Parigi, è anche per sostenere il suo uomo – Macron – ormai inviso al 70% dei francesi. La Francia, ricorda Alessandro Mangia, da oltre 10 anni sfora il tetto del 3% sul rapporto debito-Pil. Il paese è stabilmente in disavanzo commerciale sull’estero. Inoltre «ha un debito pubblico prossimo al 100% con un trend di stabile crescita e un volume superiore a quello italiano». La disoccupazione è stabile al 9% (in Italia è attorno all’11) con una manifattura «ormai secondaria, nel continente». Ancora: la Francia «è in stato d’emergenza dai tempi del Bataclan, e cioè dal novembre 2015, e ne è uscita (a parole) con il trucchetto di trasformare la legislazione d’emergenza in legislazione ordinaria, con quel che ne viene in termini di poteri della polizia su libertà personale e di riunione». Non solo: la Francia «riesce ad avere un governo solo grazie agli artifici di una legge elettorale a doppio turno, fatta apposta per drogare il consenso del vincitore».Come se non bastasse, l’Eliseo «sta cercando di approvare una riforma costituzionale osteggiata persino in quell’Assemblea nazionale dove la maggioranza drogata di “En Marche” dovrebbe essere netta e sicura». A fronte di tutto questo, aggiunge il professor Mancia, come stupirsi del fatto che Macron abbia problemi di popolarità? Tutto sommato, aggiunge, a Macron «sta andando ancora bene», se consideriamo che quel presidente, eletto in quel modo e con quell’esiguo consenso, «si è messo in testa di fare ai lavoratori francesi quello che è stato fatto ai lavoratori italiani dai governi Monti e Renzi in nome di “debito” e “competitività”, senza tener conto del fatto che sciopero generale e resistenza popolare fanno parte del mito repubblicano su cui si regge la Francia». Gli scandaletti come quello che ha coinvolto Macron e la sua guardia del corpo Alexandre Benalla? Un pretesto fisiologico per esprimere la protesta contro le scelte (politiche, non private) del presidente, «in un sistema istituzionale bloccato dalla mancanza di un voto di sfiducia, come è quello presidenziale della V Repubblica», dove «l’unico modo di liberarsi di un presidente è quello di costringerlo alle dimissioni». Mancando la possibilità del voto parlamentare di sfiducia, «poi si finisce con il parlare di stagiste e guardie del corpo come se fossero affari di Stato».Ma la Francia ha comunque due potenti frecce al suo arco: i 500 miliardi di euro che sottrae ogni anno a 14 ex colonie africane, più il fatto di essere rimasta – dopo la Brexit – l’unica potenza nucleare europea. «Nonostante le figuracce rimediate in Siria», afferma Mangia, la Francia è l’unica nazione in Europa a disporre di un deterrente nucleare, Per questo «è essenziale per calciare il barattolo europeo in avanti, parlando di Unione di Difesa, sessant’anni dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa». Tant’è vero che da qualche settimana, in Germania, «si parla di munire la Bundeswehr di armi nucleari tattiche, per non lasciare il monopolio del nucleare alla Francia». Il che, aggiunge Mangia, «dà la misura di quanto le attuali classi politiche europee siano stralunate, fino a diventare visionarie, ipotizzando un futuro indipendente dall’ombrello Usa», come se la Nato non esistesse più. E comunque, «la Francia è l’unico Stato dell’Unione ad avere una proiezione extracontinentale, vuoi per i territori d’oltremare, vuoi per l’aggancio valutario dei paesi subshariani attraverso il sistema del franco Cfa, perfettamente convertibile in euro a condizione che le ex-colonie depositino metà delle loro riserve valutarie in un conto in Francia».E guarda caso, puntualizza il professor Mangia, «stiamo parlando di quegli stessi paesi che da qualche anno ci inondano di profughi che naturalmente scappano da fame e guerra». Che la Francia abbia qualcosa a che fare con quello che viene presentato come un inarrestabile evento naturale che si produce – combinazione – proprio nelle sue ex colonie? «Non possiamo stupirci che, nell’insieme, la Francia abbia ancora un margine di manovra di fronte alla Commissione in tema di bilancio», ribadisce il professore. «A reggere la Francia è la sua proiezione di potenza, non la sua economia, che è messa male almeno quanto la nostra, anche se per ragioni diverse». E che posto ha l’Italia in questo gioco di poteri? «La Francia serve alla Germania, anche se l’unico paese dove può espandersi è ormai soltanto l’Italia, naturalmente con l’attiva collaborazione di buona parte delle nostre élites politiche». Fateci caso, osserva Alessandro Mangia: «Avete mai visto quanti e quali esponenti politici italiani sono stati insigniti della Legion d’onore? E’ impressionante». Tra i nomi più in vista svettano quelli di Massimo D’Alema e Franco Bassanini, Emma Bonino, Piero Fassino e Walter Veltroni, Dario Franceschini, Enrico Letta. E poi il renziano Sandro Gozi, Giovanna Melandri, Roberta Pinotti, Romano Prodi, i sindaci milanesi Giuliano Pisapia e Beppe Sala.«Qualcuno si è mai chiesto – si domanda Mangia – per quali ragioni la Francia dovrebbe conferire quella che, dai tempi di Napoleone, è la massima onorificenza della nazione a una schiera di politici italiani? Solo per spirito europeo?». L’amara verità, aggiunge il professore, è che in questa Europa ci sono paesi «più sovrani degli altri». Il risultato? E’ sotto i nostri occhi: ormai, a votare in massa per i cosiddetti sovranisti, o populisti – in Italia ma anche in Francia, Germania, Austria, Svezia – è quello che fino a dieci anni fa era ancora “ceto medio”, e oggi, «oltre ad essere impoverito, è insultato quotidianamente sui giornali». Viene bollato come “ignorante, incolto e xenofobo”, da quegli stessi media che accolgono come rivelazioni sensazionali le palesi falsità spacciate da Cottarelli, che “vende” come virtù il “risparmio” nei conti pubblici, paragonando il bilancio statale a quello di una famiglia o di un’azienda. «Semplici slogan che non hanno nessun fondamento economico», protesta Alessandro Mangia: «Gli Stati, se sono Stati, non possono essere equiparati a una famiglia per il semplice fatto che, in genere, le famiglie non possono stamparsi il denaro che gli serve per vivere, mantenersi e investire. Gli Stati, se sono davvero Stati, la moneta se la stampano. E il limite è dato da congiuntura economica e andamento generale dell’economia, come è sempre stato in Italia fino al divorzio Tesoro-Bankitalia».Il punto, aggiunge il professore, è che «la moneta unica ha ridotto gli Stati a dover dipendere dai fornitori di moneta, esattamente come le famiglie, e ha trasformato il debito virtuale di uno Stato nel debito reale di una collettività». E’ stato questo il vero passaggio dalla valuta nazionale all’euro: si è ottenuta «la creazione di un debito reale in capo alle collettività nazionali, in cambio di un ribasso temporaneo dei tassi di interesse». Dovremmo “ringraziare” a lungo chi ci ha portati in questa situazione, «che ha ucciso ogni libertà politica». E cioè: ha ucciso «la libertà di scegliere le politiche da praticare con l’esercizio del diritto di voto». Svuotamento della democrazia: «Certo, oggi si può ancora votare – aggiunge Mangia – ma alla fine le scelte possibili sono solo quelle dettate dalle regole europee sul bilancio. E mi sembra che i discorsi di questi giorni sullo “zero virgola” e sulla dialettica Tria-Di Maio ne siano la più perfetta dimostrazione». Ribellarsi a questo falso paradigma, basato sulla mistificazione ideologica del neoliberismo? Facile a dirsi, ma prima bisogna sbarazzarsi del cartello-ombra costituito da potenti connazionali che “remano contro” il nostro paese.«Esiste un partito, che diviene sempre più incalzante – scrive Ferraù, sul “Sussidiario” – per il quale il taglio del debito è divenuta una ricetta trans-economica, un credo, un obbligo morale, un modo di salvare l’Europa e l’Italia attenendosi, senza se e senza ma, alle direttive di Bruxelles e di Berlino». Come potrebbe spuntarla, il governo gialloverde, se il ministro Giovanni Tria appare sempre più nella veste del “pilota automatico”, sulle orme di Mario Draghi? Come ogni ministro del bilancio da Maastricht in poi, cioè dal 1992 – dice il professor Mangia – anche Tria «si trova a dover mediare tra quelle scelte politiche che i cittadini credono ancora di fare, quando vanno a votare, e i vincoli che la Commissione impone al bilancio, interpretando, modulando, calibrando i vincoli formali, dal Patto di Stabilità al Fiscal Compact». Gli interlocutori di Tria? «Non sono solo Di Maio e Salvini, ma la Commissione e gli altri ministri dell’Eurogruppo, che sono lì solo per fare gli interessi dei paesi di provenienza». L’unica domanda è: «Quand’è che noi smetteremo di fare gli interessi degli altri e di produrre – malamente, e con quello che passa il convento, che non è proprio granché – i nostri piccoli “Manchurian candidates”, cui affidare la continuazione di queste politiche? All’orizzonte ne vedo almeno uno», chiosa il professore. Non ne fa il nome, non ce n’è bisogno: per scoprire chi è basta accendere il televisore.Attenti a Carlo Cottarelli: non lavora per l’Italia, ma per il “partito” trasversale (italiano) che vuole mantenere il nostro paese in crisi perenne. Un avvertimento che, sul “Sussiadiario”, Federico Ferraù rilancia, intervistando il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano. Pur senza essere esplicitamente nominato, l’ex commissario alla spending review del governo Letta – ormai ospite fisso dei maggiori talkshow, incluso il salotto televisivo di Fabio Fazio – è definito “Manciurian candidate”, cioè cavallo di Troia e quinta colonna di poteri esterni al nostro paese. Letteralmente: «Un economista che rilascia interviste da premier in pectore, facendo della riduzione del deficit e del debito il comandamento di una religione secolare». Tutto questo, «in attesa che il patto M5S-Lega si rompa, magari con l’aiuto del Colle», cioè di quel Mattarella che la candidatura Cottarelli l’aveva agitata come minaccia, in alternativa a quella di Conte, subito dopo aver bocciato la proposta di Paolo Savona come ministro dell’economia. Neoliberista, a lungo dirigente del Fmi, Cottarelli è considerato – insieme a Mario Draghi, allora dirigente di Goldman Sachs – uno dei maggiori responsabili della catastrofe abbattutasi sulla Grecia. Da tempo ci prova anche con l’Italia. La sua ricetta? Quella di Monti: deprimere l’economia tagliando il deficit. Agisce da solo, Cottarelli? Niente affatto: si muove in tandem con Emmanuel Macron.
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Chi comanda il mondo: ecco il Council on Foreing Relations
Ha un potere immenso, spesso evocato ma mai visibile. E’ il Cfr, Council on Foreign Relations, potentissimo think-tank mondialista fondato negli Usa nel lontano 1921 da John Davis, allora a capo della super-banca Jp Morgan. «Il denaro erogato per la costituzione di questa organizzazione fu fornito dalla famiglia Rockefeller, da Jp Morgan, Bernard Baruch, Otto Kahn, Jacob Schiff, Paul Warburg, le stesse persone coinvolte nella fondazione della Federal Reserve», ricorda “AgoraVox”. Rappresenta il nuovo ordine mondiale pienamente realizzato, quello del business neoliberista, grazie alla globalizzazione universale e ai suoi politici di complemento, tra cui gli italiani Amato e Prodi, D’Alema, Emma Bonino. «Quello del Cfr è un salotto che conta davvero, attraverso il quale, finora inutilmente, Matteo Renzi ha tentato di essere introdotto nel network supermassonico internazionale», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, uscito a fine 2014. «Il Cfr è un salotto tecnicamente paramassonico, cioè fondato da massoni ma aperto a non-massoni, e di chiaro orientamento neo-conservatore e neo-aristocratico».Il Cfr mtte insieme finanza, grande industria, politica, editoria, università, magistrati e militari. In altre parole, “suggerisce” le linee-guida della politica internazionale, sulla base degli studi prodotti dai suoi analisti, finanziati dal super-capitale. Tra gli attuali finanziatori, segnala “AgoraVox”, figurano colossi finanziari come American Express, American Security Bank, Chase Manhattan Bank, e poi McKinsey, Manufacturers Honover Trust, Coopers & Librand, Hill & Knowlton, e – fino al 2011 – anche Lehman Brothers. Accanto ad essi, compaiono più importanti marchi industriali del mondo. Tra questi Coca Cola e Pepsi Cola, Rjr Nabisco (tabacco), le multinazionali del cibo (Cargill, Archer Daniel Midland), il gigante pubblicitario Young & Rubicam, quindi la Itt telecomunicazioni e primattori della farmaceutica (Johnson & Johnson, Glaxo Smithkline Beecham). Senza contare Elf, Mobil ed Exxon (petrolio), Volvo Usa e General Motors, General Electric, Salomon e Levi’s, più l’italiana Finmeccanica.Folta, nel board europeo, la presenza di connazionali: da Giampiero Auletta Armenise della Rothschild Bank a Marta Dassù (Aspen, Aspenia, governi Monti e Letta), passando per Franco Frattini, il renziano Sandro Gozi, la presidente Rai Monica Maggioni, l’europarlamentare Pd Alessia Mosca, Lapo Pistelli (Eni). Ci sono due ambasciatori – Pasquale Salzano (Qatar) e Stefano Sannino (Spagna) – più politici come Lia Quartapelle e il sottosegretario agli esteri Vincenzo Amendola, entrambi del Pd, nonché Marco Margheri (Edison), Nicolò Russo Perez (Compagnia di San Paolo) e Giuseppe Scognamiglio (Unicredit), la finanziera Luisa Todini e Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali. Tra i big europei figurano il francese Pierre Moscovici, “ministro delle finanze” della Commissione Europea, il tedesco Joschka Fischer, già ministro degli esteri e vice di Gerhard Schröder, l’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, il greco George Papandreou (già primo ministro), l’inglese Timothy Garton Ash (Oxford) e due spagnoli, Joaquín Almunia (vicepresidente della Commissione Ue) e l’intramontabile Javier Solana, già “ministro degli esteri” Ue ed ex segretario generale della Nato.«Perchè pochissime persone conoscono il Cfr?», si domanda “AgoraVox”, ricordando che ne hanno fatto parte anche Angela Merkel e Tony Blair, il sovrano svedese Carl Gustav XVI nonché Bill Clinton e Margaret Thatcher, insieme a Mario Draghi, Berlusconi, George W. Bush, Corrado Passera, Gianni Riotta, Giulio Tremonti e Marco Tronchetti Provera. Insieme a strutture istituzionali (Fmi, Banca Mondiale e Bis, Bank of International Settlements) nonché organismi paralleli di vertice, dalla Commissione Trilaterale al Gruppo Bilderberg, il Council on Foreign Relations, al pari del suo corrispettivo inglese (Chatam House, “The Royal Institute of International Affairs) rappresenta il massimo punto d’incontro, in Occidente, tra economia, finanza e politica. Un super-salotto, dove si affronta in anticipo qualsiasi risvolto geopolitico, per poi “indirizzare” in modo preciso i vari leader locali, quelli che poi gli elettori voteranno, giudicandoli in base agli slogan delle loro campagne elettorali nazionali.Ha un potere immenso, spesso evocato ma mai visibile. E’ il Cfr, Council on Foreign Relations, potentissimo think-tank mondialista fondato negli Usa nel lontano 1921 da John Davis, allora a capo della super-banca Jp Morgan. «Il denaro erogato per la costituzione di questa organizzazione fu fornito dalla famiglia Rockefeller, da Jp Morgan, Bernard Baruch, Otto Kahn, Jacob Schiff, Paul Warburg, le stesse persone coinvolte nella fondazione della Federal Reserve», ricorda “AgoraVox”. Rappresenta il nuovo ordine mondiale pienamente realizzato, quello del business neoliberista, grazie alla globalizzazione universale e ai suoi politici di complemento, tra cui gli italiani Amato e Prodi, D’Alema, Emma Bonino. «Quello del Cfr è un salotto che conta davvero, attraverso il quale, finora inutilmente, Matteo Renzi ha tentato di essere introdotto nel network supermassonico internazionale», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, uscito a fine 2014. «Il Cfr è un salotto tecnicamente paramassonico, cioè fondato da massoni ma aperto a non-massoni, e di chiaro orientamento neo-conservatore e neo-aristocratico».