Archivio del Tag ‘sarin’
-
Conflitto mondiale in arrivo? Meyssan: no, è solo teatro
E’ ufficiale: non si capisce più niente, della pericolosa tensione che sta scuotendo il mondo, con epicentro – tanto per cambiare – il Medio Oriente. Sul “Giornale”, Marcello Foa si allarma seriamente: Donald Trump avrebbe appena mobilitato 150.000 riservisti: «Per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? In Corea del Nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, offre (da mesi) una lettura diversa: quella di Trump, «membro della cordata anti-Bush», sarebbe sempre stata soltanto una tragica farsa, che rivela la guerra interna, ai piani alti, tra gli oligarchi del pianeta: «Sanno che le risorse energetiche stanno finendo, quindi sgomitano per conquistarsi un posto in prima fila da cui sperano di attuare un Piano-B, ciascuno il suo». E, a proposito di “teatro”, dalla Siria un reporter come Thierry Meyssan avverte: l’offensiva anti-siriana, e quindi anti-russa, è solo apparente, affidata a missili “di cartone”, appositamente fuori bersaglio.Se sul suolo siriano sono potuti cadere 59 Tomahawk, scrive Meyssan su “Megachip”, è solo perché Mosca ha “spento” le batterie degli S-400, i suoi missili anti-missile, consentendo cioè a Trump di compiere la sua “performance teatrale”, che rappresenta un disperato tentativo di recuperare consenso interno, dopo i recenti rovesci. Non la pensa così Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan, che – in campagna elettorale – difese la dignità delle istanze di Trump (la distensione con la Russia) denunciando il bellicismo “politically correct” della Clinton, strumento dei “falchi” neocon. Per Craig Roberts, quella di Trump non è cosmesi tattica: si tratta di una svolta vera e propria, che dimostrerebbe la resa del neopresidente all’establishment di Washington, quello che lavora per il “regime change” anche a Mosca, dove spera di rovesciare Putin, che è sotto assedio da anni: la guerra in Siria, quella in Ucraina, le sanzioni alla Russia. Meyssan, al contrario, sostiene che la partita non è ancora chiusa: le «troppe, strane incongruenze» dell’affaire siriano dimostrerebbero che il gruppo di Trump, sottobanco, sta giocando una sfida doppia: cercare di tener buoni i neocon, con concessioni di facciata per salvare la sua poltrona (e forse la sua stessa vita), e sparigliare le carte mettendo in crisi, alla fine, il “partito dell’Isis”, che ha il cervello a Washington e i tentacoli in Medio Oriente.Secondo Meyssan, Trump non ha «improvvisamente cambiato bandiera». Al contrario, asarebbe in corso una complessa pretattica. Lo dimostrerebbero svariati indizi. Tanto per cominciare, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’argomento di un attacco chimico perpetrato da Damasco non era sostenuto dal rappresentante del segretario generale, che infatti ha sottolineto «l’impossibilità, in questa fase, di sapere come questo attacco avrebbe potuto aver luogo». L’unica fonte sono gli “Elmetti Bianchi”, «vale a dire un gruppo di Al Qaeda a cui l’M16 britannico sovrintende ai fini della sua propaganda». Inoltre, aggiunge Meyssan, «tutti gli esperti militari sottolineano che i gas da combattimento devono essere dispersi tramite tiri d’obice e mai, assolutamente mai, tramite bombardamenti aerei». L’attacco americano alla base siriana? «Si è caratterizzato per la sua brutalità apparente: i 59 missili Bgm-109 Tomahawk avevano una capacità combinata equivalente a quasi il doppio della bomba atomica di Hiroshima. Tuttavia, l’attacco è stato anche caratterizzato dalla sua inefficienza: sebbene vi siano stati dei martiri caduti nel tentativo di spegnere un incendio, i danni sono risultati essere così poco importanti che la base funzionava nuovamente già all’indomani».Per Meyssan, è inevitabile constatare sia il fatto questa operazione «è solo una messa in scena: in questo caso, possiamo capire meglio il fatto che la difesa aerea russa non abbia reagito». Ciò implica che «i missili anti-missile S-400, il cui funzionamento è automatico, sono stati disattivati volontariamente in anticipo». Motivazione? «Tutto è accaduto come se la Casa Bianca avesse immaginato uno stratagemma inteso a condurre i suoi alleati in una guerra contro gli utilizzatori di armi chimiche, vale a dire contro i jihadisti. Infatti, fino ad oggi, secondo le Nazioni Unite, i soli casi documentati di uso di tali armi in Siria e in Iraq sono stati attribuiti a loro». Nel corso degli ultimi tre mesi, continua Meyssan, gli Stati Uniti hanno rotto con la politica del repubblicano George Bush Jr. (che firmò la dichiarazione di guerra del “Syrian Accountablity Act”) e di Barack Obama (che sostenne le “primavere arabe”, ossia la riedizione della “Grande rivolta araba del 1916”, organizzata dai britannici). «Tuttavia – aggiunge Meyssan – Donald Trump non era riuscito a convincere i suoi alleati, in particolare tedeschi, britannici e francesi». E ora, «saltando su quel che sembra essere un cambiamento radicale nella politica Usa, Londra ha fatto molte dichiarazioni contro la Siria, la Russia e l’Iran. E il suo ministro degli esteri, Boris Johnson, ha cancellato la sua visita a Mosca».Ma attenzione, ragiona Meyssan: «Se Washington ha cambiato la sua politica, per quale motivo il segretario di Stato Rex Tillerson ha tuttavia confermato la sua visita a Mosca? E perché dunque il presidente Xi Jinping, che si trovava a essere ospite del suo omologo statunitense durante il bombardamento di Chayrat, ha reagito in modo così molle, laddove il suo paese ha fatto uso per ben 6 volte del suo diritto di veto al fine di proteggere la Siria al Consiglio di sicurezza?». Non solo. «In mezzo a questo unanimismo oratorio e a queste incongruenze di fatto – osserva Meyssan – il vice consigliere del presidente Trump, Sebastian Gorka, moltiplica i messaggi che vanno in direzione contraria. Assicura che la Casa Bianca considera sempre il presidente Assad come legittimo e i jihadisti come il nemico». Gorka, spiega Meyssan, «è uno stretto amico del generale Michael T. Flynn che aveva concepito il piano di Trump contro i jihadisti in generale e Daesh in particolare». Come dire: non fatevi incantare dal “teatro” in corso: la verità è molto lontana dalla versione che campeggia nelle prime pagine. All’Onu, la Bolivia ha persino formulato il sospetto che l’attacco coi gas, in Siria, non sia neppure avvenuto. Tempo fa, la Russia esibì la sua potenza missilistica con il lancio di missili Kalibr, supersonici e “invisibili”: partiti da navi nel remoto Mar Caspio, centrarono al millimero tutti gli obiettivi. Il 7 aprile, dal vicinissimo Mediterraneo, gli Usa hanno sparato 59 Tomahawk su una base aerea, senza nemmeno danneggiarne la pista. Strano, no?E’ ufficiale: non si capisce più niente, della pericolosa tensione che sta scuotendo il mondo, con epicentro – tanto per cambiare – il Medio Oriente. Sul “Giornale”, Marcello Foa si allarma seriamente: Donald Trump avrebbe appena mobilitato 150.000 riservisti: «Per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? In Corea del Nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, offre (da mesi) una lettura diversa: quella di Trump, «membro della cordata anti-Bush», sarebbe sempre stata soltanto una tragica farsa, che rivela la guerra interna, ai piani alti, tra gli oligarchi del pianeta: «Sanno che le risorse energetiche stanno finendo, quindi sgomitano per conquistarsi un posto in prima fila da cui sperano di attuare un Piano-B, ciascuno il suo». E, a proposito di “teatro”, dalla Siria un reporter come Thierry Meyssan avverte: l’offensiva anti-siriana, e quindi anti-russa, è solo apparente, affidata a missili “di cartone”, appositamente fuori bersaglio.
-
Buoni e Cattivi, la fiaba della guerra per il Fatto Quotidiano
«Uno spettro si aggira in Medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire». A scrivere è Leonardo Coen, sul “Fatto Quotidiano”, all’indomani del raid missilistico ordinato da Trump sulla base area siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbero decollati aerei con bombe al gas Sarin destinate a far strage della popolazione di Idlib. Non ci sono ancora prove certe: per il “Fatto Quotidiano” non è importante? Poi, continua Coen, «ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra». Suggestivo parallelismo: il giornalista del “Fatto” paragona nientemeno che Adolf Hitler, fondatore del nazismo e capo dell’allora maggior potenza militare europea, al presidente di un piccolo paese mediorientale come la Siria, che – come è a tutti noto (tranne che al “Fatto Quotidiano”?) – da cinque anni tenta di sopravvivere all’assalto di sanguinarie milizie terroriste finanziate e protette dall’Occidente.Cina ed Europa, i “convitati di pietra”, secondo Coen «si accontentano di formali condanne appellandosi ai diritti umani». Mosca e Washington? «Per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale». Voilà: il presidente (eletto) diventa “dittatore”, naturalmente a capo di un “regime criminale”: nulla a che vedere con gli altri regimi, amici dell’Occidente, notoriamente campioni in tema di diritti umani: Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e via inorridendo. Ma forse non è il caso di ricordarlo ai lettori del “Fatto”. Meglio il perfido Bashar Assad, che «per la Russia, è un alleato che la scredita e la impiomba». E per l’America, è «l’occasione buona per ricollocarsi in Medio Oriente, e dimostrare che non si è abbassata la guardia». Ricollocarsi in Medio Oriente? Viene da chiedersi dove fosse, Leonardo Coen, quando si scatenavano le “rivoluzioni colorate” in tutti i paesi arabi dopo lo storico discorso di Obama al Cairo. Dov’era, Coen, quando gli americani spianavano la Libia e facevano scannare Gheddafi? Non l’hanno vista, alla redazione del “Fatto”, la foto-ricordo di John McCain in Siria, in intimità con il “califfo” Al-Baghdadi?La narrazione che il “Fatto” offre in questo caso sembra di tipo lunare, genere fantasy. «Così, Trump minaccia. E agisce. Putin minaccia, ma non può agire. Entrambi, giocano una mano di poker: per capire chi bluffa di più. Il magnate americano rischia il salto nel buio. Putin sventola il pericolo del suo “ombrello” militare in Siria. La flotta del Mar Nero è in preallarme. Quella del Baltico, pure. I missili di Kaliningrad, l’enclave russa tra Polonia e Lituania – cioè in piena Unione Europea – sono puntati sulle capitali del Vecchio Continente. L’Alleanza Atlantica è già in allerta». E’ tutto vero, naturalmente. Ma è come spiegare la pioggia senza citare le nuvole. Primo round: nel 2013 gli Usa cercano di far cadere Assad per poter poi minacciare direttamente l’Iran, ma Putin glielo impedisce schierando la flotta russa a difesa della Siria. Secondo round: Washington “risponde” organizzando il golpe in Ucraina con l’intento di sfrattare Mosca dal Mar Nero, ma – di nuovo – Putin riesce a tenersi la Crimea. Terzo round: furioso per le sconfitte a catena, Obama dispone un mostruoso dispiegamento militare in Est Europa a ridosso della frontiera russa, senza precedenti nella storia recente. Al che, ai russi non resta – come contromossa difensiva – che la base missilistica di Kalilingrad. Missili russi puntati sull’Europa? Mai quanto quelli che l’America ha puntato contro la Russia, trasformando la Romania in una rampa di lancio. Possibile che ai lettori del “Fatto” non interessi?«In verità», continua Coen, «Trump ha riscoperto – o meglio, il Pentagono – il ruolo di gendarme globale degli Stati Uniti». Trump, il Pentagono: i Buoni. E Putin, il Cattivo? «E’ rimasto platealmente vittima delle sue ambizioni imperiali», scrive Coen, come se, evidentemente, le uniche “ambizioni imperiali” ammissibili – e davvero imperiali, lontane mille miglia dalle proprie frontiere – fossero quelle americane. Il presidente russo è rimasto addirittura «invischiato nelle complesse trame che ha tessuto per riassegnare al suo paese il ruolo di superpotenza perduto dopo la caduta del Muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’Unione Sovietica». Non si premura di rammentare ai suoi lettori, il giornalista del “Fatto”, che – prima di mettere il naso fuori dalla Russia – Putin ha dovuto innanzitutto spegnere l’incendio della Cecenia, acceso dalla Cia, e poi quello dell’Ossezia del Sud, devastata dalla Georgia su mandato di George W. Bush. Due focolai micidiali: uno nella Federazione Russa, l’altro sulla porta di casa. Succedeva nel 2008: non così tanto tempo fa, specie se si hanno a cuore le fatali vicende del lontano 1938.“Il Fatto”, però, non è prodigo di spiegazioni. Sembra preferire il racconto lineare, unilaterale e semplificato, rassicurante. «In apparenza, dunque, l’imprevedibile Donald ha cambiato di colpo tattica nei confronti dell’amico Vladimir. E ha ritirato la mano tesa, che tanto aveva turbato i sonni dei patrioti Usa». I missili di Trump, continua Coen, «hanno sparigliato le carte della grande partita internazionale: il mondo si è diviso in due, come ai tempi della Guerra Fredda. “Sostegno totale” degli alleati degli Stati Uniti. Condanna dei suoi avversari. Le cancellerie hanno rispolverato il lessico dei blocchi contrapposti». Leonardo Coen sembra pefettamente al corrente dell’accaduto: «Assad, insistono i russi, è innocente (per forza: sono loro che l’armano e lo proteggono). I gas, una balla. I russi negano l’evidenza e le testimonianze: tutto il mondo ha visto gli effetti del gas. E questo li ha moralmente isolati». Ecco, infatti: tutto il mondo ha visto gli effetti dei gas, ma nessuno al mondo, per ora, può provare che li abbia sganciati Assad. Solo che, a quanto pare, l’identità del vero killer non è importante. Nemmeno se, come già accadde nel 2013, poi si scoprisse che l’assassino non è “il dittatore”, ma i suoi avversari?«Certo – concede Coen – la politica e la guerra se ne fregano dell’etica e della morale. Ma al tempo dell’informazione istantanea e globale, la menzogna tanto può essere utile – vedi in caso di elezioni – quanto può diventare micidiale, con le immagini cruente ed atroci dei bimbi sarinizzati». Vero, anche questo: tutto dipende però da chi la impugna, “la menzogna”. Quanto al «nuovo repentino cambio d’atteggiamento di Trump», anche su questo Leonardo Coen ha le idee chiarissime: il presidente americano «ha dovuto arrendersi allo stato delle cose: gli interessi geopolitici Usa non collimano con quelli russi». Perlomeno, «non fin quando al Cremlino ci sarà il clan putiniano, nemico della libertà d’opinione, e il potere resterà saldo in mano agli ex uomini del Kgb». E così l’album dei Cattivi è al completo. E se i russi – quasi 150 milioni di persone – sostengono all’85% un capoclan del Kgb, significa semplicemente che sono cretini? Centocinquanta milioni di cretini?Ma non è tutto: Coen informa i suoi lettori che «Trump ha cozzato contro il mondo reale: quello dei fatti, non delle verità truccate dal suo guru Stephen Bannon, ed ex direttore del sito dell’ultradestra suprematista Breitbart News, messo (finalmente) in un angolo». Bannon, altro membro d’onore del club dei Cattivi, era – per inciso – lo stratega della distensione con Mosca: via lui, infatti, ecco i missili (buoni, ovviamente). Ma, “sistemato” Bannon, l’offensiva (giornalistica) nei confronti di Putin non è ancora esaurita: «Pensava di essere il più astuto del reame, di poter contare per quel che riguardava la Siria di una certa libertà di manovra, forte anche del fatto che in Occidente c’erano movimenti estremisti anti-Ue a lui favorevoli. Invece – scrive Coen – è rimasto intrappolato dalla sua sicumera». Ben gli sta: «I gas che hanno ammazzato decine di bimbi a Khan Sheikhoun hanno dissipato in pochi minuti il paziente lavorìo militare e diplomatico del presidente russo». Non solo: «Persino il nuovo alleato turco Erdogan lo ha clamorosamente contraddetto, invocando addirittura la collera di Allah per l’ignobile azione attribuita ad Assad, o a qualche suo generale, il che non cambia la sostanza». Erdogan, cioè la Turchia (Nato) che ha protetto l’Isis nell’invasione della Siria: nemmeno questo ai lettori interessa?In più, Coen esibisce altre granitiche certezze sul bombardamento con i gas: «Gli americani avevano acquisito le prove – stavolta non inventate da Bush e Blair come al tempo della guerra in Iraq ma documentate dai satelliti – che l’attacco chimico proveniva da un aereo siriano». Le prove, ecco: ma dove sono? Ok, le hanno “acquisite gli americani”. Come le altre volte, in Siria e in Iraq? No, stavolta sono prove vere, “documentate dai satelliti”. Garantisce il “Fatto Quotidiano”. Che si diverte, ancora, a spese di Putin: mentre i Buoni “acquisivano le prove”, dunque, «lo zar si affannava a dire che si trattava di “fake news”, di balle». Chiosa Coen: «Beffardo contrappasso, l’ex tenente colonnello del Kgb che denuncia la disinformatija americana…». E ancora: «Assad è il responsabile di tutto ciò». Chi lo sostiene? Lo dicono «all’unisono» Hollande e la Merkel. Una garanzia: Hollande ha silenziato le indagini su Charlie Hebdo imponendo il segreto militare, dopo che erano emersi collegamenti tra il commando dell’Isis e i servizi francesi, mentre la Merkel, risultata coinvolta nel golpe neonazista di Kiev, ha approvato il piano Obama per militarizzare le frontiere europee con la Russia.«I missili Usa – scrive ancora Coen – sono “un avvertimento”, e pure una forma di “condanna” del “regime criminale” di Assad». La situazione: «Con Washington stanno Arabia Saudita e Giappone, Israele offre il suo “totale” sostegno, sperando che “questo messaggio forte” possa essere inteso da Teheran e da Pyongyang, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu», campione del mondo in carica riguardo all’uso di armi di distruzione di massa sulla popolazione civile, il fosforo bianco sganciato su Gaza (oltre 1.300 morti, secondo l’Onu, inclusi donne e bambini). E la Turchia, cioè la base logistica settentrionale dell’operazione-Isis contro Damasco? «Ankara vorrebbe una zona “d’esclusione aerea” in Siria, considera che i missili siano stati una buona medicina». Meglio tornare al lessico calcistico: «Il Pentagono ha battuto il Cremlino? La “punizione” americana per la strage provocata dall’attacco chimico che ha un valore soprattutto dimostrativo, trova consenso nella pubblica opinione statunitense e anche in quella mondiale, scossa dall’atrocità del tiranno di Damasco. Assad si è scavato la fossa». Vinceranno i Buoni, è ovvio. E buonanotte, a tutti i lettori. Sogni d’oro.«Uno spettro si aggira in Medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire». A scrivere è Leonardo Coen, sul “Fatto Quotidiano”, all’indomani del raid missilistico ordinato da Trump sulla base area siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbero decollati aerei con bombe al gas Sarin destinate a far strage della popolazione di Idlib. Non ci sono ancora prove certe: per il “Fatto Quotidiano” non è importante? Poi, continua Coen, «ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra». Suggestivo parallelismo: il giornalista del “Fatto” paragona nientemeno che Adolf Hitler, fondatore del nazismo e capo dell’allora maggior potenza militare europea, al presidente di un piccolo paese mediorientale come la Siria, che – come è a tutti noto (tranne che al “Fatto Quotidiano”?) – da cinque anni tenta di sopravvivere all’assalto di sanguinarie milizie terroriste finanziate e protette dall’Occidente.
-
Craig Roberts: Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?
«Trump si è arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump – afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». Questo è il «bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico: data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington».Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha messo in guardia la Russia: è scattata l’operazione per rimuovere Assad, e purtroppo Trump è d’accordo, continua Craig Roberts. Conseguenza: «La rimozione di Assad permette a Washington di imporre un altro burattino americano su popoli musulmani». Obiettivo sostanziale:«Rimuovere un altro governo arabo con una politica indipendente da Washington, per eliminare un altro governo che si oppone al furto di Israele della Palestina». Per Tillerson, storico patron della Exxon, far cadere il governo siriano significa anche «tagliare il gas russo destinato all’Europa con un gasdotto controllato degli Stati Uniti, che dal Qatar raggiunga l’Europa attraverso la Siria». Brutte notizie per Mosca, che – combattendo seriamente contro l’Isis – sperava davvero, con Trump, di raggiungere una partnership con Washington attraverso uno sforzo comune contro il terrorismo. Speranze che Craig Roberts oggi definisce «del tutto irrealistiche». Un’idea addirittura «ridicola», visto che «il terrorismo è l’arma di Washington». Un’accusa frontale, dunque: sono gli Usa i mandanti diretti dell’Isis, accusa l’ex stratega di Reagan.Una volta messa fuori gioco la Russia, continua Craig Roberts, «il terrorismo verrà poi diretto contro l’Iran su larga scala». E quando l’Iran dovesse a sua volta cadere, sempre il terrorismo “amico” della Cia, quello che oggi è targato Isis, «inizierà a lavorare sulla Federazione Russa e con la provincia cinese che confina con il Kazakhstan». Possibile? Senz’altro: «Washington ha già dato alla Russia un assaggio del terrorismo sostenuto dagli Usa in Cecenia. E il più è deve ancora arrivare». Craig Roberts rimprovera ai russi una sorta di fatale ingenuità: speravano, davvero in Donald Trump. Per questo, sostiene, hanno evitato di stravincere, dopo aver conquistato il cruciale ovest della Siria, paese che oggi è invece, ancora, a rischio di spartizione, dopo la brutale defenestrazione di Assad. I russi, «ipnotizzati dal sogno di cooperare con Washington, hanno messo la Siria (e se stessi) in una posizione difficile». Avevano «sorpreso il mondo», accettando di difendere la Siria dall’Isis, e allora «Washington era impotente». In pochi mesi, l’intervento russo ha sbaragliato l’Isis. «Poi, all’improvviso, Putin si è fermato: ha annunciato il ritiro, affermando, come Bush sulla portaerei: missione compiuta».Ma la missione non era compiuta, sottolinea Craig Roberts: la Russia è stata costretta a tornare in campo, «nella vana convinzione che Washington si sarebbe messa finalmente a collaborare con la Russia per eliminare l’ultima roccaforte Isis». Al contrario, invece, «gli Stati Uniti hanno inviato forze militari per bloccare i progressi russi sulla scena siriana». Il ministro degli esteri Lavrov ha protestato, ma – ancora una volta – la Russia «non ha usato il suo potere superiore sulla scena per battere le forze americane e portare a termine il conflitto». Ora Washington dà “avvertimenti” a Mosca, a suon di missili: riuscirà il Cremlino a capire che può scordarsi ogni cooperazione e, semmai, prenotarsi per un ruolo di vassallo? Si avvicina una trappola pericolosa, continua Craig Roberts: «La Russia non permetterà a Washington di rimuovere Assad», ma a Mosca esiste una “quinta colonna” «che è alleata con l’Occidente». Per Putin e l’indipendenza della Russia come potenza sovrana, si tratta del pericolo più insidioso, tale da metter fine al ruolo di Mosca come attore euroasiatico capace di imporre stabilità geopolitica, a cavallo dei due continenti.Collaboratori infedeli: spesso si è accennato, in quei termini, al gruppo che fa capo all’ex presidente Dmitrij Medvedev. Questa “quinta colonna”, sostiene Craig Roberts, «insisterà dicendo che la Russia potrà finalmente ottenere la collaborazione di Washington solo se “sacrificherà” Assad». Sarebbe un suicidio: l’acquiescenza di Putin «distruggerebbe l’immagine del potere russo», e sarebbe utilizzata «per privare la Russia di valuta estera dalle vendite di gas naturale verso l’Europa». Putin ha detto che la Russia non può fidarsi di Washington? «Si tratta di una deduzione corretta dai fatti», conclude Craig Roberts. E quindi, perché mai la Russia dovrebbe cedere, in cambio del miraggio della mitica cooperazione con Washington, cioè con il potere che sostiene sottobanco i terroristi dell’Isis? «La cooperazione ha un solo significato: significa arrendersi a Washington». Per il grande analista americano, Putin ha “ripulito” la Russia solo in parte: «Il paese rimane pieno di agenti americani, ed è straordinario vedere quanto poco, i media russi, capiscono il pericolo nel quale la Russia si trova». E dunque: «Sarà Putin il prossimo a cadere vittima dell’establishment di Washington, come è appena accaduto a Trump?».«Trump si è arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump – afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». Questo è il «bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico: data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington».
-
Foa: c’era una volta Trump, si è arreso ai padroni di Obama
Verrebbe da dire: c’era una volta Trump. C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi, esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin. Non fatevi ingannare dal rumore mediatico degli ultimi mesi: a disturbare l’establishment americano e quello Stato Profondo (Deep State) che in realtà governa l’America e che accomuna repubblicani e democratici, non era solo la persona di Donald Trump, quanto, soprattutto le sue idee, quel progetto di America. Quanto avvenuto la notte scorsa in Siria segna un cambiamento radicale nello spirito e nelle intenzioni di Trump. Cinque mesi di campagna martellante contro il presidente eletto hanno prodotto, evidentemente, gli effetti auspicati.E non mi riferisco solo alle manifestazioni di piazza, all’opposizione isterica della stampa, alle sentenze dei giudici (a proposito: ricordate l’articolo di Kupchan? Era profetico). Trump non è stato capace di resistere al boicottaggio che proveniva dall’interno delle istituzioni e dall’apparato dell’intelligence e della difesa. E chissà a quali altre pressioni e minacce. Si è lasciato avvinghiare, inghiottire da quel mondo che prometteva di combattere. Tutto in appena due mesi e mezzo dal giorno del suo insediamento. L’errore più grande lo ha commesso quando ha accettato che uno dei suoi consiglieri più fidati, Flynn, si dimettesse. Un commentatore acuto e davvero indipendente quale Paul Craig Roberts lo aveva capito subito: quel cedimento era devastante, perché spaccava il fronte dei fedelissimi ma soprattutto perché rompeva la posizione di Trump sul “caso Russia”, che poteva diventare così un caso nazionale. Della serie: se Flynn si dimetteva c’era qualcosa da nascondere. E allora via con le pressioni. Ancora oggi mancano prove concrete sulle ipotetiche collusioni con Mosca per condizionare il voto, ma il “Deep State” lo ha fatto diventare il Caso Nazionale con toni maccartisti, paventando persino un impeachment nell’arco di qualche mese. Un impeachment sul nulla, ma questo era secondario.Flynn era la mente della nuova politica estera e di sicurezza dell’amministrazione Trump. Un’amministrazione che si è via via riempita di ministri, consiglieri ed esperti appartenenti alla vecchia guardia. All’inizio quelle nomine, poco coerenti, parevano una concessione obbligata al partito repubblicano che controlla il Congresso, nella supposizione che le redini sarebbero rimaste nelle mani del presidente. Ma si è rivelata una falsa speranza. E quando, l’altro ieri, l’altro suo più fedele collaboratore, lo stratega politico Bannon è stato estromesso dal Consiglio di sicurezza nazionale, l’accerchiamento si è concluso. Il segretario di Stato Tillermann si è rapidamente allineato all’establishment e ora a guidare la politica estera e di difesa, a consigliare il presidente, sono gli esperti della Washington di sempre. E si vede: la distensione con il Cremlino appare sempre più lontana; anzi, proprio i ministri della nuova amministrazione alimentano la retorica antirussa con le stesse argomentazioni e lo stesso tono di Obama.Il Trump di qualche mese fa avrebbe preteso la verità sull’uso del gas in Siria, quello di oggi, invece, ha proclamato – senza ombra di dubbio – che molte linee rosse erano state superate. Proprio come Obama nel 2013. Peccato che allora, in seguito, si scoprì che a usare il Sarin erano stati i “ribelli” moderati per far cadere la colpa su Assad e provocare l’intervento della Nato. Sarin la cui consegna sarebbe stata autorizzata da Hillary Clinton. Ed è molto verosimile che anche la strage dell’altro giorno sia stata provocata dai “ribelli” per fornire agli Stati Uniti un pretesto per intervenire. Solo che nel 2013 Obama si fermò all’ultimo minuto, il Trump di oggi no. Ha fatto tutto in fretta, senza riscontri oggettivi sulle responsabilità di Assad, evidentemente mal consigliato (o consigliato benissimo, dipende dai punti di vista). Intanto l’Isis e i fondamentalisti islamici che combattono Assad ringraziano: la distruzione della base siriana avrà un solo effetto concreto, quello di indebolire l’esercito siriano e dunque di rimettere in discussione una vittoria che sembra certa. E’ così che si combatte lo Stato Islamico?Non ci prendano in giro: così lo si favorisce, perché l’obiettivo di Washington è il cambio di regime a Damasco anche a costo di vedere trionfare in Siria il peggior integralismo islamico. Non è un caso che a salutare l’interventismo della Casa Bianca siano stati proprio Hillary Clinton e John McCain. L’impressione è che l’agenda Trump sia già stata sconfessata a beneficio di quella irresponsabile e interventista portata avanti negli ultimi 15 anni dai neoconservatori. Se ciò fosse vero, significherebbe che Trump è stato “normalizzato”. E per la pace nel mondo sarebbe una pessima notizia. Resta una sola flebile speranza: che si tratti di un riposizionamento transitorio e non di una resa. Che l’uomo sia capace di riscattarsi. Ma probabilmente, a questo punto, più che una speranza è un’illusione.(Marcello Foa, “Attenti, hanno normalizzato Trump”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 aprile 2017).Verrebbe da dire: c’era una volta Trump. C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi, esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin. Non fatevi ingannare dal rumore mediatico degli ultimi mesi: a disturbare l’establishment americano e quello Stato Profondo (Deep State) che in realtà governa l’America e che accomuna repubblicani e democratici, non era solo la persona di Donald Trump, quanto, soprattutto le sue idee, quel progetto di America. Quanto avvenuto la notte scorsa in Siria segna un cambiamento radicale nello spirito e nelle intenzioni di Trump. Cinque mesi di campagna martellante contro il presidente eletto hanno prodotto, evidentemente, gli effetti auspicati.
-
Trump disperato bombarda Assad, ma le vittime siamo noi
Cinquantanove missili Tomahawk contro la base aerea siriana da cui l’Occidente sostiene, senza alcuna prova, che sia partito l’attacco col gas Sarin che il 4 aprile ha ucciso un’ottantina di civili nella città di Idlib. Ancora una volta, annota Giampiero Venturi sul newmagazine “Difesa Online”, l’unica fonte è lo screditatissimo “Osservatorio siriano per i diritti umani”, noto per sfornare “fake news” da un minuscolo ufficio di Coventry, nel Regno Unito, gestito da una sola persona, in contatto con l’intelligence occidentale che, da ormai cinque anni, sta manipolando forze sul terreno siriano per tentare di rovesciare il governo di Bashar Assad. Sulla vicenda dell’attacco con i gas pesa il terribile precedente del 2013, quando Obama fu a un passo dal bombardamento, dopo aver incolpato da Siria per l’attacco chimico a Ghouta, alla periferia di Damasco, che poi l’Onu chiarì che fu scatenato dai miliziani ostili ad Assad. Stavolta, la Casa Bianca non ha atteso indagini e (dopo aver avvertito i russi) il 7 aprile ha bombardato la base di Ash Shayrat, uccidendo militari siriani. Autorevoli analisti americani, come Paul Craig Roberts, già da tempo avvertono che Donald Trump sarebbe caduto nelle mani dell’establishment neocon, cresciuto con Bush ma rimasto saldamente al potere con Obama e la Clinton: è il partito della guerra, che vive di armamenti e maxi-finanziamenti all’intelligence, per i quali è necessario un “nemico” che giustifichi la spesa.La mossa americana sembra originata dalla lucida disperazione di Trump, completamente isolato sul piano della politica interna: demonizzato dalla potentissima lobby Obama-Clinton, incalzato dalle false notizie sui presunti rapporti privilegiati con Mosca e costretto persino a rimangiarsi la solenne promessa di smontare la riforma sanitaria Obamacare. Trump ha l’aria di essere in un vicolo cieco: per cercare di tenere a bada il vero potere, non esita a ricorrere ai missili: non più solo una minaccia, ma ormai un fatto, destinato a intimidire anche la Corea del Nord e l’Iran, paese impegnato – insieme ai russi e ai libanesi di Hezbollah – a sostenere anche militarmente il regime di Assad, contro il quale cospirano incessantemente la Turchia, Israele, gli Emirati come il Qatar e l’Arabia Saudita, con azioni clandestine e illegali – armamento ai miliziani, protezione tattica e logistica – sotto la supervisione della Nato, che ha garantito la supremazia dell’Isis fino all’intervento dell’aviazione russa disposto da Vladimir Putin. L’attacco coi gas, destinato a rovinare Assad preparando il blitz missilistico – secondo lo stesso Venturi aveva due obbiettivi: rimuovere dall’opinione pubblica internazionale l’impatto del devastante attentato terroristico inferto alla Russia a San Pietroburgo e seppellire l’immagine del governo Assad, che – con l’aiuto di Mosca – in Siria sta ormai vincendo la guerra contro i terroristi armati dall’Occidente.Un conferma indiretta dell’entità reale del pericolo viene dai media mainstream, che continuano – in coro – a raccontare il contrario della verità. Nessuno dei grandi giornali e dei maggiori network televisivi ricostruisce l’origine della crisi siriana, emblematizzata da una foto eloquente: quella del senatore John McCain, inviato speciale di Obama, ripreso in Siria in compagnia del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis, stranamente scarcerato dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, nel 2009. Da allora, il progetto Isis – perfettamente funzionale al “partito della guerra” – ha infettato l’intero Medio Oriente, fino alla Libia, da cui partirono armi chimiche destinate alla “resistenza” siriana per ordine di Hillary Clinton. Contro questo establishment “nero”, Donald Trump giocò una parte importante della sua campagna elettorale: più che Assad mi preoccupa l’Isis, disse. Ma oggi i missili li ha scagliati contro Assad, non contro l’Isis, ben sapendo che non sono gli amici di Assad, ma quelli dell’Isis, a minacciare il suo futuro alla Casa Bianca.A questi “amici”, Trump ha gettato un osso decisivo, il generale Michael Flynn, considerato una “colomba”, fautore della distensione con la Russia, sacrificato per tentare di placare il “partito della guerra”. Errore fatale, secondo Craig Roberts: è un po’ come illudersi di potersi sbarazzare della mafia pagando il pizzo; se cedi anche una sola volta, vieni percepito come “debole” e verrai assediato fino alla capitolazione. In alternativa, sempre secondo questo ragionamento, Trump potrebbe “salvarsi” nel modo più semplice: allineandosi completamente ai neocon e preparandosi ad eseguire i loro diktat. Per esempio, con una grandinata di missili Tomahawk sulla testa dei siriani, sapendo benissimo che non c’è nessuna prova che siano stati loro a colpire la popolazione di Idlib con i gas. Gli osservatori indipendenti più scettici su Trump l’avevano detto quasi subito: il neopresidente non ha la stoffa per difendersi dal nemico interno, in un sistema che appare irrimediabilmente inquinato. Lo dimostra l’esito delle primarie dei democratici: aveva vinto Sanders, ma a è stato tolto di mezzo ricorrendo a brogli. Il “partito della guerra” puntava su Hillary Clinton. Ha perso, ma non sa perdere. E così “costringe” alla guerra Trump. Oggi contro Assad, domani contro Putin, cioè l’uomo che ha demolito l’Isis in Siria, infliggendo una sconfitta bruciante al “partito della guerra”. Siamo tutti in pericolo? A quanto pare, sì: dai media è letteralmente scomparsa la verità, che – come è noto – è la prima vittima di qualsiasi guerra. La cattiva notizia è che quella in corso, fondata sulla menzogna sistematica, è una guerra innanzitutto contro di noi.Cinquantanove missili Tomahawk contro la base aerea siriana da cui l’Occidente sostiene, senza alcuna prova, che sia partito l’attacco col gas Sarin che il 4 aprile ha ucciso un’ottantina di civili nella città di Idlib. Ancora una volta, annota Giampiero Venturi sul newmagazine “Difesa Online”, l’unica fonte è lo screditatissimo “Osservatorio siriano per i diritti umani”, noto per sfornare “fake news” da un minuscolo ufficio di Coventry, nel Regno Unito, gestito da una sola persona, in contatto con l’intelligence occidentale che, da ormai cinque anni, sta manipolando forze sul terreno siriano per tentare di rovesciare il governo di Bashar Assad. Sulla vicenda dell’attacco con i gas pesa il terribile precedente del 2013, quando Obama fu a un passo dal bombardamento, dopo aver incolpato da Siria per l’attacco chimico a Ghouta, alla periferia di Damasco, che poi l’Onu chiarì che fu scatenato dai miliziani ostili ad Assad. Stavolta, la Casa Bianca non ha atteso indagini e (dopo aver avvertito i russi) il 7 aprile ha bombardato la base di Ash Shayrat, uccidendo militari siriani. Autorevoli analisti americani, come Paul Craig Roberts, già da tempo avvertono che Donald Trump sarebbe caduto nelle mani dell’establishment neocon, cresciuto con Bush ma rimasto saldamente al potere con Obama e la Clinton: è il partito della guerra, che vive di armamenti e maxi-finanziamenti all’intelligence, per i quali è necessario un “nemico” che giustifichi la spesa.
-
Gli Usa truccano gli F-18 da aerei russi, false flag in arrivo?
Vuoi vedere che “si travestono da russi” per combinare qualche disastro, utile a incolpare Mosca? Il precedente, spaventoso, è quello dell’attacco con gas leatali a Ghouta, periferia di Damasco: un massacro, condotto da jihadisti armati dall’Occidente ma a lungo attribuito all’esercito siriano, nell’estate 2013. Corollario: il conto alla rovescia per il bombardamento Nato, fermato in extremis dalla fermezza di Putin che schierò la flotta del Mar Nero davanti alla Siria, mentre il Papa organizzò una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare l’escalation. Ora ci risiamo? C’è chi lo sospetta. Un giornalista canadese, Christian Borys, ha postato su Facebook alcune foto decisamente strane: caccia americani F-18 “truccati” da Sukhoi-27 russi. Stessa, identica livrea bianco-azzurra. «Addestramento standard», precisa il reporter, «però interessante». Eccome. Specie dopo il recente bombardamento americano che ha colpito “per errore” le postazioni dell’esercito siriano, provocando un’ottantina di morti tra i soldati di Damasco e facendo precipitare la situazione in zona pericolo: il Cremlino ha annunciato che d’ora il poi la Russia abbatterà qualsiasi velivolo minacci le truppe siriane impegnate contro l’Isis.A volte, scrive Maurizio Blondet sul suo blog, l’Us Air Force dipinge i suoi aerei dei colori “nemici” per abituare i suoi piloti durante delle simulazioni. Ma il fatto è che si è diffusa (anche sulla Cnn) una conversazione del ministro degli esteri John Kerry, il primo ottobre, captata nei locali della delegazione olandese all’Onu, a margine della assemblea plenaria. Kerry parla con non meglio identificati esponenti della “resistenza” siriana, e dice loro, esasperato: ho perso ogni argomento per poter utilizzare la forza militare americana contro Assad. Parla, evidentemente, di una discussione che si è tenuta nella cerchia presidenziale, dove sostiene di essere stato messo in minoranza: «Io ho sostenuto l’uso della forza. Sono quello che ha annunciato che stavamo per attaccare Assad», riferisce ai suoi interlocutori siriani, probabilmente pensando al “conto alla rovescia” innescatosi dopo l’attacco “false flag” del 2013 con le armi chimiche. «Abbiamo un Congresso che non autorizzerebbe», continua Kerry. E spiega che in Siria “loro”, i russi, «sono stati invitati, noi no». Sicchè, «la sola ragione che ci è rimasta per volare sulla Siria è che stiamo dando la caccia all’Isis. Se andassimo a dar la caccia ad Assad, dovremmo liquidarne tutta la difesa aerea, e non abbiamo la giustificazione legale per far questo».Ma quel che la Cnn ha taciuto, rileva Blondet, è che l’intercettazione continua. Al minuto 11.18, l’interprete traduce dall’arabo all’inglese le frasi di uno dei ribelli, che si ritiene essere Raed Saleh, il rappresentante dei cosiddetti Elmetti Bianchi – quelli che “documentano” il “martirio di Aleppo” a fianco dei jihadisti sul terreno. «La Russia bombarda i civili siriani, i mercati e anche noi, la protezione civile», dice Kerry. Poi domanda: «Avete dei video degli aerei che attaccano? Possiamo avere i video che i nostri agenti hanno chiesto?». Precisa un collaboratore di Kerry: «Dei video autentici degli aerei stessi, ecco quel che ci occorre». Video di aerei russi, o che sembrino russi? Sembrano le premesse per un drammatico remake dell’attacco con il Sarin, che – come chiarì l’indagine di Carla del Ponte, la magistrata svizzera incaricata dall’Onu – fu dovuto a ordigni «forniti dai servizi segreti turchi a una delle tante bande di “ribelli” al soldo dell’Occidente e delle petromonarchie». Lo riconobbe persino la Bbc, ricorda Blondet. Ma adesso Kerry chiede ai “suoi” jihadisti siriani video di aerei russi che commettono atrocità.«Che gli occidentali siano alla disperata ricerca di un pretesto per aiutare i loro terroristi, che stanno cedendo sotto l’offensiva russo-siriana e iraniana, ce l’ha mostrato un altro episodio», racconta Blondet. Il 28 settembre, la missione di Parigi all’Onu ha lanciato l’allarme: due ospedali ad Aleppo Est sono stati bombardati. Un Tweet e una foto di edifici distrutti. «La palese menzogna è stata immediatamente ripresa da Kerry, in dichiarazione congiunta con il collega ministro francese Jean Marc Ayrault». Colpa dei russi, ovviamente. Solo che «nessuno dei gruppi d’opposizione (non erano stati istruiti prima) ha confermato la tragica notizia», nemmeno il notorio Osservatorio Siriano sui Diritti Umani, gestito dal Regno Unito da un solo “investigatore”, un oppositore di Assad, si basa su contatti telefonici. «Sicchè nella conferenza stampa seguente, il portavoce del Dipartimento di Stato, tempestato da un giornalista non asservito, non ha confermato, anzi ha ammesso che può essersi trattato di “un onesto errore” da parte di Kerry».Dunque non erano russi, gli aerei su Aleppo? E non c’è nemmeno una prova che quegli ospedali siano stati davvero colpiti? Conclusione di Blondet: «Forse, dipingere i caccia Usa coi colori dei bombardieri russi è “standard exercise”. Ma se avviene un bombardamento da parte di aerei azzurrini nelle prossime ore, su un bersaglio di civili indifesi, bambini e donne, vi abbiamo documentato i preparativi di un “false flag”». Peraltro, sarebbe solo una delle tante operazioni “false flag” di cui la storia dell’interventismo americano è piena. «E magari, avvertire in anticipo contribuisce a sventarla». Non c’è pericolo, comunque, che queste notizie si affaccino al telegiornale: «Qualcuno avverta la Botteri: ci sono intercettazioni più scottanti dei discorsi grassocci di Trump sulle donne». Che ne dice, l’inviata Rai negli Usa, «di mandare il servizio di Kerry che parla coi “siriani” e vuole dei video “veri” di aerei russi che bombardano civili?».Vuoi vedere che “si travestono da russi” per combinare qualche disastro, utile a incolpare Mosca? Il precedente, spaventoso, è quello dell’attacco con gas leatali a Ghouta, periferia di Damasco: un massacro, condotto da jihadisti armati dall’Occidente ma a lungo attribuito all’esercito siriano, nell’estate 2013. Corollario: il conto alla rovescia per il bombardamento Nato, fermato in extremis dalla fermezza di Putin che schierò la flotta del Mar Nero davanti alla Siria, mentre il Papa organizzò una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare l’escalation. Ora ci risiamo? C’è chi lo sospetta. Un giornalista canadese, Christian Borys, ha postato su Twitter alcune foto decisamente strane: caccia americani F-18 “truccati” da Sukhoi-27 russi. Stessa, identica livrea bianco-azzurra. «Addestramento standard», precisa il reporter, «però interessante». Eccome. Specie dopo il recente bombardamento americano che ha colpito “per errore” le postazioni dell’esercito siriano, provocando un’ottantina di morti tra i soldati di Damasco e facendo precipitare la situazione in zona pericolo: il Cremlino ha annunciato che d’ora il poi la Russia abbatterà qualsiasi velivolo minacci le truppe siriane impegnate contro l’Isis.
-
Perso l’Isis, gli Usa puntano sui curdi per restare in Siria
Persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, ora gli Usa puntano sui curdi, fino a ieri massacrati dai jihadisti dell’Isis protetti da Erdogan. Per lo Zio Sam, che ha perso il primo round ed è entrato in rotta anche con la Turchia, i combattenti del Kurdistan siriano – che hanno aiutato Assad a respingere l’Isis, assistiti dai russi – ora per Washington diventano la possibile “mossa del cavallo”, grazie alla promessa di una repubblica indipendente che Damasco non può garantire, e che getterebbe nel panico la Turchia. «Buttata la maschera, l’America minaccia militarmente Siria e Russia», avverte Maurizio Blondet: «Ammette di avere sul territorio siriano commandos e truppe americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no-fly zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente». Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Iraq e Siria, è esplicito: «Abbiamo informato i russi di cosa siamo pronti a fare: ci difenderemo se minacciati».E’ l’ennesima prova del vero volto della guerra siriana, dove l’Occidente ha sfruttato le prime proteste contro Assad, sul modello della “primavera araba”, per incunearsi in Siria – cioè a ridosso dell’Iran – con feroci milizie islamiste, finanziate e protette da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, nonché Arabia Saudita e Qatar, con il supporto occulto di Israele e lo sfrontato appoggio logistico della Turchia. Il modello operativo: lo stesso della Libia, da cui sono stati fatti affluire molti reparti impiegati contro Gheddafi. Variante: in Siria, dopo la prima versione della guerriglia, targata “Esercito Siriano Libero”, si è passati direttamente al regime terroristico dell’Isis, fino all’impiego di armi di distruzione di massa come il gas Sarin impiegato nella strage di civili alla periferia di Damasco nel settembre 2013. Sviluppi che hanno consentito a Putin di intervenire direttamente, coi bombardieri installati sul suolo siriano. Da qui l’abbattimento del Sukhoi-24 ad opera di un F-16 turco e, pochi mesi dopo, il fallito golpe ad Ankara che ha ribaltato i giochi: oggi, infatti, lo stesso Erdogan stringe la mano a Putin e annuncia che la Turchia si farà garante dell’integrità territoriale della Siria, cioè il paese che proprio i turchi – più di ogni altro – hanno contribuito a devastare, attraverso le armate dell’Isis.Il punto-chiave della svolta, riassume Blondet, sono i combattimenti ora in corso nel nord, ad Hasakah, tra le truppe siriane e la milizia curda dell’Ypg, spalleggiata da centinaia di commandos americani. Una situazione come quella di Aleppo, ma rovesciata: l’esercito siriano occupa la città, ma è circondato dalle milizie curde. Lo Ypg ha intimato ai “regolari” di abbandonare Hasakah, dove l’esercito di Assad è il solo protettore della grossa minoranza cristiana (assira), che teme di dover subire una pulizia etnica se i curdi avessero la meglio. Secondo Blondet, Hasakah potrebbe diventare una delle città del futuro Stato curdo, secondo un programma ben collaudato: “sfratto” delle minoranze e «plebiscito per l’appartenenza allo Stato curdo prossimo venturo, garantito da Usa e Sion». La milizia curda «è assistita dagli americani con la scusa che “combatte lo Stato Islamico” – che nella zona non c’è: combatte invece l’armata legittima di Damasco». I giochi si sono fatti pericolosi quando l’aviazione siriana – intervenuta per aprire vie di rifornimento al suo esercito assediato – ha quasi colpito i militari americani che sostengono l’assedio curdo.Gli aerei di Assad, scrive Blondet, hanno bombardato le posizioni Ypg: nel corso della missione aerea – accusa il Pentagono – poco è mancato che le truppe americane venissero colpite. Reazione immediata: caccia F-22 sono stati lanciati all’inseguimento dei bombardieri siriani. «Il Pentagono ha accusato Mosca, che ha risposto di non entrarci nel bombardamento di Hasakah». Ma, invece di appianare la situazione, «gli americani si sono impegnati in una gravissima escalation, di fatto minacciando di abbattere gli aerei che sorvolano Hasakah, russi o siriani che siano». In base al diritto internazionale, continua Blondet, non c’è alcuna base legale alla presenza di forze armate Usa in Siria. «Per questo, quando l’Air Force (dice) di aver cercato di contattare le forze siriane che stavano colpendo i militari americani sul terreno, Damasco ha ignorato il richiamo – altrimenti sarebbe stato ammettere che gli Usa sono un nemico occupante. Per tutta risposta, il Pentagono – invece di sloggiare le sue truppe da Hasakah, ne ha rafforzato il contingente».L’enormità della situazione, aggiunge Blondet, è stata rilevata dal giornalista tedesco Thomas Wiegold, che ha twittato: “Come? Ora gli Usa praticano il divieto di operare alle forze di un paese sul suo territorio?”. «Il punto è che il voltafaccia di Erdoğan ha messo in grave pericolo la promessa fatta da Usa e Israele ai curdi, di ritagliare per loro uno Stato indipendente (e loro satellite) nella zona tra Turchia, Siria, Iraq e Iran», osserva ancora Blondet. «Erdoğan si è recentemente pronunciato, in inaudita coordinazione con Teheran per “il mantenimento dell’integrità territoriale della Siria”, di cui quindi Turchia e Iran si fanno garanti (insieme ai russi e a Pechino): quindi nessuno smembramento della Siria per linee etniche e religiose; capendo finalmente che la Turchia, dal progetto, ha solo da perdere – un terzo del suo territorio, abitato dai curdi». Lo ha ripetuto qualche giorno fa il nuovo primo ministro turco Yildirim: «Nei prossimi sei mesi giocheremo un ruolo più attivo in Siria, voglio dire non permetteremo che la Siria sia divisa secondo linee etniche: ci assicureremo che il suo governo non sia basato su etnie».Il fatto è che l’anno scorso, i rappresentanti della regione curda (già autonoma sotto la Costituzione siriana) hanno elevato un annuncio di federalizzazione: annuncio unilaterale, non concordato e incostituzionale – su aperta istigazione statunitense. Gli Usa hanno fornito ai secessionisti «addestramento, armi, munizioni e 350 milioni di dollari “per combattere l’Isis”». La traduzione di Blondet: «Ormai è chiaro che, per i neocon che hanno occupato la politica estera Usa, i trattati internazionali sono stracci di carta: la forza è la sola “ragione”», inlcusa la pulizia etnica. «Oltretutto, i folli sentono l’urgenza frenetica di contrastare i successi di Mosca nell’area, di “far pagare un prezzo a Putin e ad Assad”; recuperare il danno inferto ai loro progetti da Erdoğan e vendicarsi di lui». A questo servirebbe la promessa fatta ai curdi, che lottano da decenni – soprattutto in Iraq e in Turchia – per il loro diritto a esistere, come popolo. Washington oggi ne impugna la causa, in modo evidentemente strumentale. E pericoloso: dietro alla Siria ci sono Mosca, Teheran e Pechino. «L’orribile attentato di Gaziantep, che ha sterminato più di cinquanta curdi partecipanti al matrimonio di un capoccia locale, capo del partito curdo rappresentato ad Ankara, si deve situare in questo quadro», conclude Blondet. «Naturalmente Erdoğan ha accusato l’Isis (ha imparato dagli americani); i curdi presenti hanno accusato Erdoğan. Non senza ragione, credo. Nella gara all’escalation irresponsabile, i neocon non sono i soli».Persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, ora gli Usa puntano sui curdi, fino a ieri massacrati dai jihadisti dell’Isis protetti da Erdogan. Per lo Zio Sam, che ha perso il primo round ed è entrato in rotta anche con la Turchia, i combattenti del Kurdistan siriano – che hanno aiutato Assad a respingere l’Isis, assistiti dai russi – ora per Washington diventano la possibile “mossa del cavallo”, grazie alla promessa di una repubblica indipendente che Damasco non può garantire, e che getterebbe nel panico la Turchia. «Buttata la maschera, l’America minaccia militarmente Siria e Russia», avverte Maurizio Blondet: «Ammette di avere sul territorio siriano commandos e truppe americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no-fly zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente». Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Iraq e Siria, è esplicito: «Abbiamo informato i russi di cosa siamo pronti a fare: ci difenderemo se minacciati».
-
Isis, cioè turchi e sauditi: guerra in Siria per un gasdotto
Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.Lo scrive Darius Shahtahmasebi, in un post ripreso da “Zero Hedge” e rilanciato da “Voci dall’Estero” per illuminare le clamorose falle della narrazione ufficiale sulla guerra in Siria. Una notizia decisamente irrintracciabile, su giornali e televisioni, è il tasso di popolarità di Bashar Assad: «Dall’inizio del conflitto nel 2011 – scrove Shahtahmasebi – Assad ha sempre mantenuto il sostegno della maggioranza del suo popolo. Le elezioni del 2014 – dove Assad ha ottenuto una vittoria schiacciante, e osservatori internazionali hanno dichiarato che non ci sono stati brogli – è la prova del fatto che, sebbene Assad sia stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, continua a mantenere un’ampia popolarità presso il popolo siriano». Obama, dal canto suo, ha vinto le elezioni del 2012 con una maggioranza di appena il 53,6%, e con solo 129 milioni di cittadini recatisi alle urne. «Questo significa che circa 189,8 miliori di americani non hanno votato Obama». Il suo attuale tasso di approvazione è quindi attorno al 50%, inferiore a quello del “dittatore” Assad.Un’autentica barzelletta, continua Shahtahmasebi su “TheAntiMedia.org”, riguarda la famosa “opposizione moderata”: se mai c’è stata, non esiste più. «Il cosiddetto Libero Esercito Siriano sostenuto dall’Occidente è dominato da anni dalle forze estremiste. Gli Usa lo sanno già, eppure hanno continuato a sostenere l’opposizione siriana. Il “New York Times” nel 2012 ha riportato che la maggior parte degli armamenti spediti in Siria finivano nelle mani degli jihadisti». Un report riservato della Dia prediceva l’ascesa dell’Isis nel 2012: «Se la situazione si dipana – recitava testualmente il documento – è possibile che si stabilisca un principato Salafita, sia esso dichiarato o meno, nella Siria orientale. Questo è esattamente ciò che vogliono attualmente le forze dell’opposizione, per isolare il regime siriano». Inoltre, una testimonianza di un comandante del Libero Esercito Siriano mostra non solo l’ammissione che i suoi combattenti partecipano regolarmente ad azioni congiunte con al-Nusra (il braccio siriano di Al-Qaeda), ma anche che lui stesso spera di vedere la Siria governata dalla legge della Sharia.Altra super-montatura, quella dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’agosto 2013, che rischiò di innescare bombardamenti Nato: tra gli altri, un giornalista Premio Pulitzer come Seymour Hersh dimostrò che l’intelligence Usa era perfettamente al corrente dell’uso del gas Sarin da parte dei “ribelli”. Darius Shahtahmasebi ricorda che lo stesso generale Wesley Clark rivelò che, all’indomani dell’11 Settembre, il Pentagono aveva sviluppato un piano per rovesciare, in cinque anni, i governi di sette paesi: oltre alla Siria l’Iraq (invaso nel 2003), il Libano (attaccato da Israele nel 2006), la Libia (distrutta nel 2011), la Somalia (oggi sorvolata dai droni Usa) e il Sudan, smembrato nel 2011 al termine di una sanguinosa guerra civile. Nell’elenco degli Stati da abbattere era compreso anche l’Iran, che con la Siria ha un accordo di reciproca difesa stipulato nel 2005. Gioco pericoloso: con l’Iran sono schierate Russia e Cina. E l’intervento militare russo in Siria «dimostra che queste non sono vane minacce: il loro impegno ha seguito le loro parole».I media raccontano che l’Isis è nato in Siria? Sbagliato: il Califfato è nato come conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq, dice Shahtahmasebi. Prima, l’Isis era noto come “Al-Qaeda in Iraq”, ed è diventato importante in seguito all’invasione Nato del 2003. «È ben noto che non c’era alcuna traccia tangibile di Al-Qaeda in Iraq prima di quella invasione, e per un motivo ben preciso: quando Paul Bremer ricevette il ruolo di inviato presidenziale in Iraq nel maggio 2003, dissolse le forze di polizia e l’esercito. Bremer licenziò quasi 400.000 uomini in servizio, tra cui ufficiali militari di alto rango che avevano combattuto nella guerra Iran-Iraq negli anni ’80. Questi ufficiali oggi detengono importanti posizioni all’interno dell’Isis. Se non fosse stato per l’azione statunitense, l’Isis probabilmente non sarebbe mai esistito». I suoi tagliagole oggi «sono diventati fondamentali nel programma occidentale di rovesciamento dei regimi in Libia e in Siria. Quando i vari gruppi iracheni e siriani affiliati ad al-Qaeda si sono uniti lungo il confine siriano nel 2014, ci siamo trovati con il gruppo terroristico che conosciamo oggi».Oltre al ruolo della Turchia di Erdogan nel fornire assistenza di ogni genere all’Isis in Siria, c’è poi un altro fondamentale retroscena: «Turchia, Qatar e Arabia Saudita volevano costruire un gasdotto lungo la Siria, ma Assad ha rifiutato». Ed ecco i guai. La storia comincia nel 2009, quando il Qatar propose di costruire una conduttura lungo la Siria e la Turchia per esportare il gas saudita, scrive Shahtahmasebi. «Assad rifiutò la proposta e formò al contrario un accordo con l’Iran e l’Iraq per costruire una conduttura verso il mercato europeo, che avrebbe tagliato fuori Turchia, Arabia Saudita e Qatar». Da allora, prosegue “TheAntiMedia.org”, questi paesi sono diventati forti sostenitori dell’opposizione siriana che voleva rovesciare Assad. «Complessivamente, hanno investito miliardi di dollari, prestato armamenti, incoraggiato la diffusione del fanatismo ideologico e hanno permesso il passaggio dei combattenti lungo i propri confini». Grazie alla resistenza di Assad sostenuto da Putin, la conduttura Iran-Iraq «rafforzerà l’influenza iraniana nella regione e minerà il suo rivale, l’Arabia Saudita, l’altro grande produttore Opec. Se avrà la capacità di trasportare gas verso l’Europa senza dover passare per gli alleati di Washington, l’Iran guadagnerà potere contrattuale e potrà negoziare accordi di escludano completamente gli Usa e il dollaro». Un mare di soldi: e questo, più di qualunque altro argomento, aiuta a capire meglio lo strano accanimento contro il governo di Damasco.Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.
-
Il golpe mediatico di Hillary, nostra signora della guerra
«Tecnicamente non è un colpo di Stato, certo, ma gli somiglia tanto». Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton, scrive Pino Cabras, è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: «Le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni». Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie Usa, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders. «Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente».Perciò, aggiunge Cabras su “Zero Consensus”, le “cose fatte” le han volute fare loro: «Hanno proclamato la nomination in anticipo, hanno dettato la grande notizia al sistema mediatico mettendo a tacere il resto, e al diavolo gli elettori democratici». Non c’è che dire, «un bell’assaggio di quel che sarebbe una presidenza in mano alla candidata preferita da Wall Street e dai superfalchi neoconservatori». Cabras mette in evidenza la titolazione di “Repubblica”, attorno al report di Federico Rampini: “Usa, Hillary vince la nomination. Prima donna, momento storico. Sarà la candidata democratica alla Casa Bianca”. A ancora: “Figlie, potete diventare tutto, anche presidente”. Dulcis in fundo, anche la chiosa del presidente uscente: “Obama chiede a Sanders di ritirarsi e unire il partito”.In questo quadro, osserva Cabras, il coro dei media occidentali non trova di meglio che esaltarsi per la “prima volta di una nomination di una donna”. «C’è da capire la valenza del simbolo, ma Hillary non è un simbolo: è un individuo specifico, una personalità politica concretamente distinguibile per i suoi comportamenti, già sperimentata nel suo ruolo di Segretaria di Stato, quando ha preso decisioni politiche che hanno acceso nuove guerre». Le risate della Clinton alla notizia dell’uccisione di Gheddafi, il “traffico di jihadisti” dalla Libia alla Siria, con corredo di armi chimiche. «Il caos che ha voluto creare ha ucciso donne: innocenti e a migliaia», conclude Cabras. «Potrebbero diventare milioni, se potesse applicare le sue idee sul Medio Oriente e sul rapporto fra Europa e Russia».«Tecnicamente non è un colpo di Stato, certo, ma gli somiglia tanto». Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton, scrive Pino Cabras, è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: «Le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni». Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie Usa, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders. «Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente».
-
Hersh: da Hillary Clinton il gas Sarin per la strage in Siria
Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.Ne parla ora sul sito “Free Thought Project” un veterano dei marines, Matt Agorist, già operatore di intelligence nella Nsa. I preliminari: un accordo, risalente al 2012, tra Barack Obama, Turchia, Qatar e Arabia Saudita «per imbastire un attacco con gas sarin e darne la colpa ad Assad», scrive “Voci dall’Estero”. «Tutte le prove punterebbero in una direzione: i precursori chimici del gas sarin sarebbero venuti dalla Libia, il sarin sarebbe stato “fatto in casa” e la colpa gettata sul governo siriano come pretesto perché gli Stati Uniti potessero finanziare e addestrare direttamente i ribelli siriani, come desideravano i sauditi intenzionati a rovesciare Assad. Responsabile della montatura, l’allora segretario di Stato Usa e attuale candidata alla presidenza per i Democrat, Hillary Clinton». Da quando gli Stati Uniti finanziano questi “ribelli moderati”, ricorda Agorist, sono state uccise più di 250.000 persone, cui si aggiungono oltre 7 milioni e mezzo di siriani sfollati all’interno del loro paese e altri 4 milioni di siriani fuggiti all’estero. «Tutta questa morte e distruzione portata da un sadico esercito di ribelli finanziati e armati dal governo degli Stati Uniti era basata – è quello che ora ci viene detto – su una completa montatura».Seymour Hersh, giornalista Premio Pulitzer, ha rivelato che l’amministrazione Obama ha falsamente accusato il governo di Bashar Assad per l’attacco con gas sarin. Obama stava cercando di usarlo come scusa per invadere la Siria. Come spiega Eric Zuesse in “Strategic Culture”, Hersh indica un rapporto dell’intelligence britannica che sosteneva che il sarin non veniva dalle scorte di Assad. «I finanziamenti venivano dalla Turchia, e parimenti dall’Arabia Saudita e dal Qatar; la Cia, con il sostegno del Mi6, aveva l’incarico di prendere armi dagli arsenali di Gheddafi in Libia». Molteplici rapporti indipendenti, continua Agorist, sostengono che la Libia di Gheddafi possedeva tali scorte, mentre il Consolato degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, controllava una “via di fuga” per le armi confiscate al regime di Gheddafi, verso la Siria attraverso la Turchia. «Anche se Hersch non ha specificamente detto che “la Clinton ha trasportato il gas”, l’ha implicata direttamente in questa “via di fuga” delle armi delle quale il gas sarin faceva parte».Riguardo al coinvolgimento della Clinton, Hersh cita l’ambasciatore americano Christopher Stevens, morto nell’assalto dell’ambasciata Bengasi: era al corrente della “via dei ratti” per trasferire tagliagole e armi letali in Siria, ed è impensabile che non ne avesse informato il suo “capo”, cioè Hillary. Lo conferma il giornalista investigativo Christof Lehmann, che ha scoperto prove che coinvolgono il capo di stato maggiore Martin Dempsey, il direttore della Cia John Brennan e il governo saudita. Alla Clinton, poi, non mancherebbero precedenti: secondo il “Free Thought Project”, «ha legami con i cartelli criminali internazionali che hanno finanziato lei e suo marito per decenni». Oltre 5 milioni di dollari, poi, sarebbero stati versati alla Fondazione Clinton dall’Arabia Saudita. Il grande movente della guerra contro la Siria? «La costruzione di un oleodotto per il petrolio dei Saud attraverso la Siria verso il più grande mercato del petrolio, l’Europa». Al primo golpe della Cia, nel dopoguerra, risposero colpi di Stato siriani, fino all’ascesa al potere di Hafez Assad, il padre di Bashar, nel 1970. Risultato: «L’oleodotto trans-arabico a lungo pianificato dai Saud non è ancora stato costruito. E la famiglia reale saudita, che possiede la più grande azienda mondiale di petrolio, l’Aramco, non vuole più aspettare».Obama, aggiunge Matt Agorist, è il primo presidente degli Stati Uniti ad aver seriamente tentato di svolgere il loro tanto desiderato “cambio di regime” in Siria, in modo da consentire la costruzione attraverso la Siria non solo dell’oleodotto trans-arabico dei Saud, ma anche del gasdotto Qatar-Turchia che la famiglia reale Thani (amica dei Saud), che possiede il Qatar, vuole che sia costruita lì. Gli Stati Uniti sono alleati con la famiglia Saud (e con i loro amici, le famiglie reali del Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Oman). La Russia, invece, è alleata con i leader della Siria – così come in precedenza lo era stata con Mossadeq in Iran, Arbenz in Guatemala, Allende in Cile, Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia e Yanukovich in Ucraina. Tutti rovesciati con successo dagli Stati Uniti, ad eccezione del partito Baath in Siria, quello degli Assad. Per abbatterlo, dunque, gli Usa hanno autorizzato anche l’uso di armi chimiche. E la persona che ha pronunciato il fatidico sì, secondo Hersh, era la Clinton: la donna che adesso sfida il “cattivone” Trump per la Casa Bianca.Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.
-
Lo 007 confessa: la Turchia dietro la strage di Bruxelles
I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.«Le forze popolari curde che combattono in Siria hanno oggi [24 marzo] catturato un alto funzionario dei servizi segreti turchi che, “sottoposto ad interrogatorio”, ha coinvolto il presidente Erdogan», scrive “Veterans Today” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «A Veterans Today – aggiunge Nahed Al Husaini – è stato dato accesso alle confessioni registrate che hanno rivelato il ruolo del Mit (Milli Istihbarat Teskilati, l’intelligence turca) nelle esplosioni di Bruxelles ed i piani per effettuare ulteriori attacchi in Europa. Il “funzionario sospetto” ha confessato il suo ruolo nella pianificazione – a Raqqah – dell’attacco di Bruxelles, in collaborazione con l’Isis». L’informazione che ha portato alla cattura del funzionario, scrive “Veterans Today”, deriva da un’intercettazione effettuata dai russi: le forze di Mosca non sarebbero state direttamente coinvolte nell’operazione, ma si presume che unità di “Spetsnaz”, i corpi speciali russi, potrebbero essere state messe a disposizione dei curdi, come supporto.Secondo le affermazioni estorte al funzionario catturato, i servizi segreti turchi gestirebbero un centro di pianificazione operativa collocato in un complesso sotterraneo di Raqqah, la “capitale” del Califfato in Siria. «Il centro, costruito al di sotto di un impianto di atletica, contiene scorte di armi chimiche e biologiche, tra le quali il gas sarin, il virus per l’influenza suina e tonnellate di materiali per la produzione di altri tipi di gas», scrive ancora Nahed Al Husaini. «Gli Stati Uniti, coordinandosi con l’unità siriana “Tigre”, colpirono quel complesso nell’ottobre del 2014, nell’ambito di una di quella mezza dozzina di operazioni altamente segrete effettuate congiuntamente. L’operazione portò alla cattura di alcuni ufficiali del Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia». “Veterans Today” dichiara di aver ricevuto un resoconto dell’interrogatorio da Haissam Bou Said, segretario generale del Desi, Dipartimento sicurezza e informazioni per l’Europa, secondo cui «dietro agli orribili attentati suicidi c’è proprio il Mit».Sempre secondo questa fonte, «alcune cellule terroristiche turche erano state impiantate anni fa in Europa, in collaborazione con un’infrastruttura del crimine organizzato attiva nel traffico degli esseri umani e della droga, al lavoro con gruppi israeliani e sauditi per effettuare attacchi terroristici “false flag”», cioè “sotto falsa bandiera”, secondo il copione (italiano) della “strategia della tensione”. Il presidente turco Erdogan, sempre secondo la fonte di “Veterans Today”, avrebbe introdotto le cellule terroristiche addestrate dal Mit «nascondendole all’interno del flusso di profughi, attentamente orchestrato, per poi indirizzarle presso le comunità della criminalità turca, con sede in Germania, Belgio e Olanda». Per l’intelligence Usa, «da oltre un decennio la criminalità organizzata turca è concentrata a Monaco di Baviera, che è il “ground zero” per gli attacchi terroristici che dovrebbero colpire gli Stati Uniti alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali».Da anni, il presidente turco è al centro di crescenti polemiche, anche per via del giro di vite autoritario sulla stampa nazionale, che ha portato giornalisti in carcere. Contestato da più parti anche la violenza della repressione interna affidata alla polizia, Erdogan ha tentato di coinvolgere la Nato nello scontro con la Russia, con l’abbattimento del jet di Mosca. Ma non è tutto: nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi scrive che lo stesso Erdogan è affiliato alla superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush. Si tratta di un club super-massonico internazionale definiti “del sangue e della vendetta”, di cui farebbero parte anche Tony Blair, inventore del falso storico delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, e il francese Sarkozy, protagonista della guerra in Libia contro Gheddafi. La “Hathor Pentalpha” avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel maxi-attentato dell’11 Settembre, per poi lasciare la propria “firma” anche nell’Isis, acronimo che richiama la dea egizia Iside, chiamata anche Hathor.I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.
-
Giallo Neruda, il poeta “ucciso dalla Cia con iniezione letale”
Pablo Neruda ucciso con un’inizione letale, per impedirgli di diventare, all’estero, il leader dell’opposizione cilena al regime di Pinochet, dopo il golpe organizzato dalla Cia con la regia del super-massone Henry Kissinger, fondatore della Commissione Trilaterale. «Si riapre l’inchiesta sulla morte di Pablo Neruda, il poeta cileno Premio Nobel per la Letteratura morto il 23 settembre del 1973, dodici giorni dopo il golpe militare che mise fine al governo di Salvador Allende», scrive il “Fatto Quotidiano”. Si tratta della seconda inchiesta sulla vicenda, ma questa volta il governo cileno sarà parte in causa, attraverso il programma per i diritti umani del ministero degli interni. La riapertura del caso è stata chiesta dal Partito Comunista cileno, al quale era iscritto Neruda, e dai nipoti del poeta, per far sottoporre i suoi resti a nuovi esami e stabilire se effettivamente è morto di cancro, come indicato sul suo certificato di morte, o se è stato ucciso mentre si trovava nella clinica Santa Maria di Santiago.Nel suo blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes si spinge oltre, spiegando che il governo cileno ha inoltrato una rogatoria agli Stati Uniti «per farsi consegnare l’assassino di Pablo Neruda, tale Michael Townley». Il giudice Manuel Carroza aveva ordinato infruttuosamente, nel 2013, di rintracciare e identificare il presunto killer del grande poeta, che vivrebbe sotto falso nome negli Usa, «addirittura sotto il programma di protezione testimoni dell’Fbi in una località segreta». Neruda non era in fin di vita, continua Lannes, nonostante fosse gravemente malato. Il dittatore Pinochet «avrebbe ordinato ad un sicario, appunto un agente segreto della Cia, di accelerarne la morte con una non ben definita “iniezione allo stomaco”, secondo le parole di Neruda stesso all’autista», Manuel Araya, che raccontò che «un medico era entrato e gli aveva praticato l’iniezione». Il giorno dopo le sue condizioni peggiorarono improvvisamente e Neruda morì, prima della partenza per il nuovo esilio, in Messico, da dove avrebbe potuto usare il suo enorme prestigio internazionale per denunciare il golpe.Il governo cileno, continua Lannes, ha istituito presso il dipartimento per i diritti umani, due commissioni scientifiche che nel novembre 2015 hanno redatto un documento in cui si legge che è probabile che Neruda non sia morto «a causa del cancro alla prostata di cui soffriva», e che «risulta chiaramente possibile e altamente probabile l’intervento di terzi». In altri termini, a Neruda «fu applicata un’iniezione o gli fu somministrato qualcosa per via orale che ha fatto precipitare la sua prognosi in appena sei ore». Si tratta della prima volta che lo Stato cileno smentisce la causa di morte dichiarata dal governo di Pinochet nel 1973, osserva Lannes. Gli esami tossicologici effettuati nel 2013 hanno dato risultati negativi, scrive il “Fatto”, ma questa volta non ci cercheranno tossine, bensì altri “agenti esterni” che potrebbero essere stati iniettati, come insulina o Tramadol (un oppiode antidolorifico), provocando un attacco cardiaco al poeta. Sì, potrebbe esser stato ucciso, spiega Francisco Ugas, responsabile dell’area dei diritti umani nel ministero degli interni cileno, e il caso «potrebbe costituire un crimine di lesa umanità».Secondo la versione dell’autista di Neruda, il poeta non si sarebbe recato in quella clinica per motivi di salute, ma per aspettare un volo del governo messicano per fuggire in esilio. Ma, una volta nella clinica, gli avrebbero fatto un’inizione letale, di Dipirone (un analgesico) e Amidone (farmaco simile alla morfina) secondo le testimonianze di medici e infermieri. Anche la moglie, scrive Lannes, testimoniò dell’allarme di Neruda per la misteriosa iniezione: mentre Matilde Urrutia era in viaggio con Araya verso Isla Negra per recuperare le ultime cose prima di partire per il Messico, verso le ore 16 ricevettero una telefonata di Neruda dall’ospedale. Il poeta chiese di tornare indietro perché era molto preoccupato, poiché «mentre dormiva nella sua camera della clinica alcune persone erano entrate e gli avevano iniettato qualcosa nell’addome». Disse che «si sentiva male», secondo le parole riportate da Araya. Quando l’autista e la moglie arrivarono a Santiago, trovarono Neruda in preda alla febbre e con segni di arrossamento dove gli era stata praticata l’iniezione.Anche l’infermiera di Neruda, citando voci di corridoio della clinica, sostiene la tesi dell’omicidio. Lannes ricostruisce le ultime ore del poeta: Araya esce dalla clinica alle ore 19, per andare a comprare un medicinale in una farmacia periferica, ma l’auto viene intercettata dai militari, che lo fermano e lo trattengono. Poche ore dopo, alle 22 circa, Neruda viene dichiarato morto dai medici della clinica. La moglie di Neruda rimane nel centro sanitario, mentre Araya viene arrestato e torturato per dieci giorni nel campo di concentramento dell’Estadio Nacional de Chile; ritenendo di non essere creduto, decide di parlare solo nel 2005, dopo la clamorosa scoperta dell’omicidio dell’ex presidente cileno Eduardo Frei Montalva, ucciso nel 1982, dopo le “cure” ricevute. Frei morì per un’infezione post-operatoria, ma un ex 007 cileno – Michael Townley, sempre lui – rivelò che Frei era stato avvelenato con una tossina prodotta in laboratori militari (probabilmente una tossina botulinica, tallio e iprite, che distrugge il sistema immunitario).Lo stesso Townley, aggiunge Lannes, Townley affermò che sostanze come il gas sarin furono usate «in alcuni omicidi politici fatti passare per suicidi o morti naturali», insieme ad alcune tossine come quella botulinic. Nel corpo dell’ex presidente Frei «furono trovati residui di tallio e gas mostarda, usato come arma chimica». Difficili da rilevare sono anche il polonio-210, iniezioni di aria che causano embolia, overdose di morfina. «Nel maggio 2015 – scrive ancora Lannes – un team spagnolo ha annunciato il ritrovamento di proteine anomale nelle ossa di Neruda, non riferibili a farmaci, alcune legate al cancro e altre a un’infezione improvvisa e assai rapida da “staphylococcus aureus”. Anche se infezioni di questo genere sono possibili in pazienti gravemente malati, «un’esplosione batterica così veloce dopo il ricovero e la suddetta iniezione, tale da portare Neruda alla morte in poche ore, potrebbe far sospettare un intervento esterno per favorire l’infezione, come la detta iprite le cui tracce scompaiono dopo pochi anni».Pablo Neruda ucciso con un’inizione letale, per impedirgli di diventare, all’estero, il leader dell’opposizione cilena al regime di Pinochet, dopo il golpe organizzato dalla Cia con la regia del super-massone Henry Kissinger, fondatore della Commissione Trilaterale. «Si riapre l’inchiesta sulla morte di Pablo Neruda, il poeta cileno Premio Nobel per la Letteratura morto il 23 settembre del 1973, dodici giorni dopo il golpe militare che mise fine al governo di Salvador Allende», scrive il “Fatto Quotidiano”. Si tratta della seconda inchiesta sulla vicenda, ma questa volta il governo cileno sarà parte in causa, attraverso il programma per i diritti umani del ministero degli interni. La riapertura del caso è stata chiesta dal Partito Comunista cileno, al quale era iscritto Neruda, e dai nipoti del poeta, per far sottoporre i suoi resti a nuovi esami e stabilire se effettivamente è morto di cancro, come indicato sul suo certificato di morte, o se è stato ucciso mentre si trovava nella clinica Santa Maria di Santiago.