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Con Haftar, la Francia riprova a sfrattare l’Italia dalla Libia
La Francia ci sta riprovando: vorrebbe sfrattare l’Italia dalla Libia, come già tentato da Sarkozy all’epoca dell’omicidio di Gheddafi. La nuova pedina francese si chiama Khalifa Aftar, uomo forte della Cirenaica: l’ordine di marciare su Tripoli è partito dall’Eliseo, dove ora a comandare è Macron. Ma la “guerra lampo” per conquistare la Tripolitania è già fallita. Rischi enormi di guerra civile, ovviamente, ed esplosione del caos. Vie d’uscita? Una sola: pazienti pressioni diplomatiche, per rimettere insieme i cocci di una Libia plausibile, che oggi è il vero campo di battaglia di tutte le potenze che si stanno contendendo l’egemonia sul Mediterraneo. L’analisi è firmata da Renato Farina sul “Sussidiario”. Premessa: bisogna «uscire da una meschina restrizione d’animo (e anima) per cui quelli che conterebbero sarebbero solo gli immediati interessi italiani». Più che mai, in questo caso, le chance dell’Italia «coincidono con il bene di questa parte di mondo, il Mediterraneo, ormai terreno di scontro tra le superpotenze, e il retroterra umano: l’Africa e le sue genti». Sconsigliabile limitarsi al “particulare” nazionale, avverte Farina: per servire davvero l’Italia conviene «alzare lo sguardo», oltre l’immediato orticello (petrolio e gas, Eni e migranti). Come? Fungendo da “ponte” credibile tra mondi diversissimi, oggi sul piede di guerra.«Khalifa Aftar punta ad essere il nuovo Gheddafi», spiega Farina. «Per questo ha preso la rincorsa con le sue troppe mobili per prendersi tutta la Libia». Haftar è partito da Bengasi, capitale della Cirenaica, per occupare la Tripolitania, e sconfiggere «quelli che chiama – non del tutto a torto – “i terroristi”». Sulla carta, a Tripoli siede il governo unitario di tutta la Libia, guidato da Fayez al Serraj. «Costui in effetti è un re travicello, espressione dei Fratelli Musulmani, piazzato dall’Onu e in rapporti di sudditanza con i gruppi islamisti coinvolti con il traffico di migranti, che gli tengono la pistola sulla tempia». Tuttavia, aggiunge Farina, Serraj è anche l’uomo che tutti i recenti governi italiani «hanno accettato, sostenuto, e con cui hanno trattato». Per due ragioni: «Partivano dalle coste della Tripolitania i battelli dei migranti condotti dai trafficanti d’uomini; ed è soprattutto in quel territorio che l’Eni pompa petrolio e gas, e per noi è strategico preservare le forniture d’energia». Il problema? In una Libia frantumata, abbiamo preteso di risolvere le questioni «occupandoci solo dell’ultimo miglio, e da soli». E l’abbiamo fatto «prima con una meritoria opera di salvataggio e accoglienza, poi con una chiusura senza brividi di umanità». In un caso e nell’altro, sostiene Farina, «senza visione geopolitica», ovvero senza la capacità di «mettere al servizio degli ideali la conoscenza del rapporto tra le potenze nella consapevolezza dei fattori in gioco».Certo non è facile, ammette Farina, che però ricorda che l’Italia vanta «un patrimonio storico rappresentato dal filone De Gasperi, Moro, Andreotti, Cossiga, Craxi», ovvero «gente capace di dialogo, uomini che vedevano la collocazione dell’Italia nel Mediterraneo come un’occasione di amicizia e di pace, cerniera positiva tra l’Occidente dalle radici cristiane con il mondo musulmano ed ebraico». Tutto questo è stato dimenticato, osserva Farina. Nella Libia del dopo-Gheddafi ci siamo limitati a «guadagnare legami superficiali e spesso ricattatori di convenienza, senza lungimiranza, con chi capitava e poteva garantirci un minimo di tranquillità sui confini». Secondo Farina, dal 2011 in poi il solo Marco Minniti – ministro dell’interno con Gentiloni, ha «provato a spezzare le catene di un minimalismo pragmatico», cercando di «andare con Tripoli ma oltre Tripoli, non riducendo la politica delle migrazioni al tentativo illusorio di tamponare il flusso». Anziché limitarsi alla gestione del “rubinetto”, Minniti avrebbe cercato di stabilire rapporti di fiducia «sia con le tribù che proteggevano gli schiavisti, sia con i governi che si affacciano sul Sahara». La speranza: «Impiantare sia in Italia sia in Europa la consapevolezza che, se abbandoniamo l’Africa, essa morendo ci ucciderà».Oggi, continua Farina, dinanzi all’azione improvvisa di Haftar, «che manda al diavolo tutte le strette di mano e gli accordi con Serraj», l’Italia è si è scoperta «totalmente sprovveduta e balbettante». Haftar, spiega Farina, non è solo il capo della Cirenaica, il generale legato all’Egitto, all’Arabia Saudita e alla Russia. «Haftar è la Francia», sottolinea Farina: «Non un amico della Francia, ma il suo personale Gheddafi». Tanto per capirci: «Il tentativo di Sarkozy, appoggiato dalla Clinton e da Cameron, di prendere il posto dell’Italia come riferimento economico e strategico di Tripoli, può realizzarsi con la sperata vittoria di Haftar, armato da Parigi con il tramite degli Emirati Arabi Uniti». Solo che la guerra-lampo non ha funzionato. «Haftar credeva di schiantare le milizie legate ai Fratelli Musulmani (finanziate dal Qatar e dalla Turchia) in pochi giorni. Si era comprato l’accordo con molte delle 240 milizie all’opera in Libia. Ma sono accordi beduini, scritti appunto sulla sabbia. E il trionfo non gli è riuscito». La Russia, «che in teoria dovrebbe stare con Haftar, e che ha disegni egemonici sul Mediterraneo in sostituzione degli Usa», di fatto «non ha condiviso l’azione frettolosa del generale, la cui formazione è stata nell’Armata Rossa sovietica». E dal suo l’America, com’era prevedibile, «dinanzi al colpo di mano ha alzato la voce». E così «la Francia ha dovuto adeguarsi, chiedendo ai cirenaici di fermarsi e trattare».Buona cosa, osserva Farina, che aggiunge: il ministro degli esteri del governo gialloverde, Enzo Moavero Milanesi, ha conoscenza delle procedure e credibilità internazionale. Le doti ideali, insomma, per poter essere un ottimo mediatore. «Perché la cosa peggiore di tutte, in ogni senso – scrive Farina – è l’esplodere di una guerra civile, con migliaia di morti». La conseguenza immediata sarebbe «la sua tracimazione in Italia con attentati tramite “foreign fighters”, centomila migranti caricati su canotti e mandati allo sbaraglio». Sempre secondo Farina, «è bene che non si premi l’aggressione di Haftar (e della Francia)». Alla vigilia dell’assemblea di concordia nazionale, organizzata dall’Onu a Ghadames a metà aprile (proprio nel giorno in cui il segretario generale Onu era a Tripoli) Haftar «ha fatto come Brenno, ha messo la sua spada sul piatto della bilancia». Comunque vada a finire, conclude Farina, gli equilibri in Libia sono cambiati a suo favore: e non ci possiamo fare niente. «Ma sarebbe un prezzo accettabile, purché gli si imponga ragionevolezza, si ottenga la pace e un percorso elettorale trasparente, sorvegliato con un preminente impegno dell’Italia». Niente guerra civile, insomma, o interventi armati occidentali. Molto meglio «rendere conveniente la pace», tramite «pressioni diplomatiche consapevoli di forze piccole e grandi, implicate nell’ombra dello scacchiere». Soprattutto: «Alziamo lo sguardo, non chiudiamoci nel nostro orto con il filo spinato. Marciremmo, e pure male».La Francia ci sta riprovando: vorrebbe sfrattare l’Italia dalla Libia, come già tentato da Sarkozy all’epoca dell’omicidio di Gheddafi. La nuova pedina francese si chiama Khalifa Aftar, uomo forte della Cirenaica: l’ordine di marciare su Tripoli è partito dall’Eliseo, dove ora a comandare è Macron. Ma la “guerra lampo” per conquistare la Tripolitania è già fallita. Rischi enormi di guerra civile, ovviamente, ed esplosione del caos. Vie d’uscita? Una sola: pazienti pressioni diplomatiche, per rimettere insieme i cocci di una Libia plausibile, che oggi è il vero campo di battaglia di tutte le potenze che si stanno contendendo l’egemonia sul Mediterraneo. L’analisi è firmata da Renato Farina sul “Sussidiario”. Premessa: bisogna «uscire da una meschina restrizione d’animo (e anima) per cui quelli che conterebbero sarebbero solo gli immediati interessi italiani». Più che mai, in questo caso, le chance dell’Italia «coincidono con il bene di questa parte di mondo, il Mediterraneo, ormai terreno di scontro tra le superpotenze, e il retroterra umano: l’Africa e le sue genti». Sconsigliabile limitarsi al “particulare” nazionale, avverte Farina: per servire davvero l’Italia conviene «alzare lo sguardo», oltre l’immediato orticello (petrolio e gas, Eni e migranti). Come? Fungendo da “ponte” credibile tra mondi diversissimi, oggi sul piede di guerra.
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Si fa scudo dei bambini, la sinistra sconfitta dagli elettori
Ramy e Adam, Greta, Nora, la bambina di dieci anni usata come testimonial contro la legge Pillon, Marius, il bambino protagonista del film “C’è tempo” di Walter Veltroni (che aveva già realizzato un film infantile intitolato “I bambini sanno”); e “La paranza dei bambini”, il film-libro di Roberto Saviano, ma soprattutto i bambini esibiti nei congressi, nelle manifestazioni di piazza del Pd, usati nelle scuole o nei programmi alla Fazio per campagne anti-mafia, cortei anti-razzismo, anti-omofobia, anti-inquinamento, meglio se neri, rom, migranti o disabili. È finita in mano ai ragazzini l’utopia di un mondo migliore. Se vogliono far sbarcare immigrati o sostenere lo ius soli, mostrano le immagini di un bambino, raccontano una storia straziante, come quella del bambino annegato con la pagella cucita sul petto; cercano di far passare gli sbarchi e i flussi migratori tramite il caso pietoso, la storia struggente, la tenerezza a cui è da bestie dire di no. Si fanno scudo dei bambini, li usano come cavalli di Troia. La sinistra italiana sarà abortista, poco incline verso la famiglia naturale e la maternità, propenderà per le coppie omosessuali, strizzando l’occhio agli uteri in affitto, ma da qualche tempo si è data alla puericultura e all’uso dei bambini come testimonial delle sue battaglie o di quelle che vuole strumentalizzare.In quel modo vuol confermare la sua superiorità sul piano morale, civile e sentimentale e la sua sensibilità speciale nei confronti del futuro e delle generazioni che verranno. Vogliono ipotecare il futuro, monopolizzando il pensiero “puerilmente corretto” dei bambini, ritenuto naturaliter di sinistra. Una forma politica di pedofilia, in senso etimologico, s’intende. Certo, l’uso dei bambini fa parte non da oggi del repertorio della politica, per non risalire ai tempi remoti, basti pensare al Novecento: l’uso che ne hanno fatto i presidenti americani, i papi, i sovrani e i regimi totalitari rossi e neri, è stato massiccio e mai casuale. Esibire la carezza di un leader a un bambino, fotografare un quadretto di famiglia, farsi rubare con apparente casualità un’immagine puerile o una scena privata, fa parte da tempo del gergo politico e delle sue strategie di comunicazione. Anche Sandro Pertini, che pure non aveva avuto figli e nipoti, voleva apparire come un nonno che amava i bambini. Pure Sergio Mattarella, appena può, pertineggia. Associare la propria immagine ai bambini rende più affabili e affidabili.Ma ora con l’uso politico-emozionale che ne fa la sinistra, c’è stato un salto di qualità preoccupante: il bimbo non si limita più a rendere tenera e positiva la sfera privata e sentimentale dei leader politici, non serve più allo storytelling ma fa un passo ulteriore. Il bambino viene usato come veicolo, testimonial e portatore diretto di messaggi ideologici e politici, promessa di un mondo nuovo e slancio puro per realizzarlo; esprime la rivolta ideale contro il cinismo dei “grandi” che sono al suo cospetto reazionari, retrivi, cattivisti burberi e barbogi. L’uso politico dell’infanzia è sfacciato e demagogico come mai era accaduto prima. Il bambinismo ormai è una categoria politica. I bambini godono di una franchigia speciale, un sottinteso di genuinità se non di verità che li rende credibili e inconfutabili anche quando esprimono banalissime considerazioni stucchevoli e glassate, ed è evidente che sono ammaestrati.C’è un puer-populismo radical che innaffia con la propaganda piccole creature e le scaglia contro il regno arcigno dei grandi. E se tu adulto ti metti in competizione con loro, sei ridicolo, parti svantaggiato, impacciato, ti chiamano bimbominkia, non puoi criticarli e tantomeno contestarli mentre loro possono farlo con candore e immunità. Ecco dove si è rifugiata l’utopia di un mondo migliore, dove tutti sono fratelli e si danno la mano come all’asilo arcobaleno della propaganda Pace & Benetton, senza distinzione di sesso e di omosesso, di razze, di civiltà; migranti, esuli, residenti. È la parabola della sinistra, dal Palazzo d’Inverno al Giardino d’Infanzia. È la Bimbocrazia, ma per finta.Il bambino è inattaccabile, se provi a farlo squilla il telefono azzurro, ha lo statuto anagrafico d’innocenza, il suo piccolissimo, immaturo passato è privo di scheletrini nell’armadietto. Se provi a ironizzare sul puer come hanno fatto taluni con Greta o Ramy, vieni trattato come pedofobo, stupratore di bambini, senza-cuore.È una distorsione del “sinite parvulos venire ad me” di Gesù Cristo, una riedizione politica del fanciullino di Pascoli, ma anche una forma sottile di pedagogia totalitaria, inclusiva di plagio e sfruttamento di minori. Dietro lo schermo dei bambini è possibile negare il principio di realtà, vellicare i desideri, i sogni, le utopie e perfino i capricci eticamente corretti. Con l’illusione che una fiaccolata, un corteo di ragazzini, uno striscione siano un rimedio alla criminalità organizzata, alle uccisioni, le violenze e le guerre. Ma le preghiere, i sacrifici e i fioretti in uso nel mondo antico erano forse più irrazionali di queste credenze che una fiaccolata, uno slogan gridato in piazza, una marcia della pace possano realmente cambiare il corso delle cose? Entrate nel favoloso mondo della sinistra puerile, quest’universo di nani da giardino, di fatine ed eroine, il soviet dei Puffi come un nuovo comunismo d’infanzia, somministrato nella scuola dell’obbligo. Avanti il prossimo, piccolo eroe.(Marcello Veneziani, “Si fanno scudo dei bambini”, da “La Verità” del 26 marzo 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Ramy e Adam, Greta, Nora, la bambina di dieci anni usata come testimonial contro la legge Pillon, Marius, il bambino protagonista del film “C’è tempo” di Walter Veltroni (che aveva già realizzato un film infantile intitolato “I bambini sanno”); e “La paranza dei bambini”, il film-libro di Roberto Saviano, ma soprattutto i bambini esibiti nei congressi, nelle manifestazioni di piazza del Pd, usati nelle scuole o nei programmi alla Fazio per campagne anti-mafia, cortei anti-razzismo, anti-omofobia, anti-inquinamento, meglio se neri, rom, migranti o disabili. È finita in mano ai ragazzini l’utopia di un mondo migliore. Se vogliono far sbarcare immigrati o sostenere lo ius soli, mostrano le immagini di un bambino, raccontano una storia straziante, come quella del bambino annegato con la pagella cucita sul petto; cercano di far passare gli sbarchi e i flussi migratori tramite il caso pietoso, la storia struggente, la tenerezza a cui è da bestie dire di no. Si fanno scudo dei bambini, li usano come cavalli di Troia. La sinistra italiana sarà abortista, poco incline verso la famiglia naturale e la maternità, propenderà per le coppie omosessuali, strizzando l’occhio agli uteri in affitto, ma da qualche tempo si è data alla puericultura e all’uso dei bambini come testimonial delle sue battaglie o di quelle che vuole strumentalizzare.
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Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S
«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».Il convitato di pietra ha un nome preciso: si chiama supermassoneria reazionaria. «Se i gialloverdi fossero meno ipocriti sulla massoneria, la parte progressista di quel Deep State (che non è un monolite) li potrebbe aiutare», sostiene Gioele Magaldi. «A dire il vero l’ha anche già fatto: la rivolta francese dei Gilet Gialli contro Macron, proprio mentre il governo Conte affrontava Bruxelles sulla questione del deficit, è stato un regalo della massoneria progressista. Regalo di cui, incredibilmente, i gialloverdi non hanno saputo approfittare, per portare a casa almeno il loro iniziale 2,4%», comunque modestamente inferiore al 3% di Maastricht e, a maggior ragione, al 3,5% ora concesso all’Eliseo. Il guaio? «Con un atteggiamento discriminatorio, i 5 Stelle proclamano di non volere massoni tra le loro fila, ignorando che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Peggio: «Il governo Conte pullula di massoni. Per questo, fingere di non saperlo è ipocrisia pura». Tradotto: sacrosanta la denuncia contro il Deep State. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Inoltre: se nello “Stato profondo” ci sono anche massoni contrari al dominio oligarchico, sparare a casaccio sulla massoneria non li invoglia certo a impegnarsi per assistere Di Maio e Salvini, alle prese con i tecnocrati di Bruxelles e i loro terminali italiani, da Bankitalia al Quirinale.Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista internazionale, si candida a fare da “sindacalista”, in appoggio al governo. A una condizione: che i gialloverdi, e in particolare i 5 Stelle, smettano di dicriminare (a parole) i massoni. Dal canto suo, Cabras fornisce una lucida analisi sul vero potere che condiziona pesantemente il governo a partire dalla sua nascita. «Avremmo voluto altri ministri», ammette, alludendo anche al veto opposto da Mattarella alla nomina di Paolo Savona al dicastero strategico dell’economia. «Sappiate che quel potere di firma è decisivo, fa la differenza», sottolinea Cabras, che aggiunge: «Ci sono strutture molto “profonde”, che non possono essere ignorate, e che determinano ancora molto l’orientamento del potere. E non sono strutture facili da scardinare». Magaldi lo chiama “back-office”. Da noi, dice Cabras, «il back-office sta in un edificio molto in alto, a Roma, ed è il punto di equilibrio di tante realtà – che sono corpose, nella vicenda di uno Stato, e probabilmente sono diverse dal modo di pensare abituale della politica. Attenzione, questa cosa esiste in tutti gli Stati del mondo: non penserete che Trump sia il decisore unico, vero?».Pino Cabras prova a difendere l’operato del governo, fin dal primo giorno avversato dai media a reti unificate. Stando ai giornali sarebbe crollato l’export, che invece è cresciuto. Lo spread? La tempesta paventata non s’è vista. «Avevano detto che non sarebbe stato possibile fare una misura come “Quota 100”, che invece ha dato respiro a famiglie e lavoratori». Quanto al “decreto dignità”, «ha cercato di incentivare i contratti a lungo termine, e invece i media mainstream hanno ripetuto che avrebbe causato solo licenziamenti e disastri (e invece sta funzionando bene, lo dice l’Istat)». Il reddito di cittadinanza? Non è la cuccagna promessa in campagna elettorale, «ma almeno è una prima risposta al dilagare della nuova povertà». Troppo poco? Forse, ammette Cabras, ma non si può certo volare alto, con un deficit bloccato al 2%. «Ci hanno fatto davvero la guerra, un mare di pressioni. Hanno cercato di usare ogni possibile “waterboarding”, contro di noi». Lo si è visto: la macchina del fango si è avventata su Di Maio, mentre Salvini è stato accusato di sequestro di persona solo per non aver lasciato sbarcare i migranti della Diciotti, in realtà liberissimi di andarsene dove volevano.«Tra il dire e il fare c’è lo “Stato profondo”, che determina la libertà di decisione su tante cose», insiste Cabras, senza con questo voler accampare alibi. La sua, al contrario, è una denuncia esplicita. Il tema del convegno londinese era l’economia? Benissimo: ma il Piano-B a cui sta lavorando Cabras (moneta completamentare, sotto forma di crediti fiscali scambiabili come forma di pagamento alternativa) rischia di andare per le lunghe. «Eppure – rileva Fabio Zoffi – Lega e 5 Stelle avrebbero i numeri per attuarla in 24 ore, una misura del genere». Certo, ammette Cabras. Ma è impossibile fare i conti senza l’oste. Un esempio clamoroso? «I decreti attuativi per risarcire i risparmiatori truffati dalle banche, con la complicità dei governi precedenti. Stiamo parlando di un miliardo e mezzo di euro, già a bilancio», precisa Cabras. «Bene, quelle carte sono pronte da mesi: stanno su qualche scrivania al ministero delle finanze, ma nessuno le ha ancora firmate». Perché non denunciarli, i boiardi che remano contro, facendo nomi e cognomi? «Ci abbiamo provato, e ricordate cos’è successo? Tutti i media ci hanno dato addosso, facendoci passare per “sfasciacarrozze”». Memorabile la gogna mediatica cui fu sottoposto Rocco Casalino, per aver osato annunciare un “repulisti” nei ministeri.E quello della burocrazia ministeriale, sottolinea Magaldi, è solo lo strato più basso del Deep State: esecutori e passacarte. A monte c’è ben altro, ovviamente: Mattarella arrivò a “invitare” l’incaricato Conte a visitare Bankitalia, cioè il terminale italiano del supermassone Draghi. Pino Cabras, per ora, mostra una certa fiducia verso le elezioni europee in arrivo: spera che contribuiscano a indebolire l’euro-sistema. Ammette, francamente, che Lega e 5 Stelle sono divisi praticamente su tutto: famiglia, legittima difesa, concezione dello Stato, politica estera. «Però siamo uniti nell’impegno a “smontare”, poco alla volta, lo “Stato profondo”». Come? «Conquistando gradualmente alcune “casematte”». A chi rimprovera scarso coraggio ai gialloverdi, Cabras risponde: «Ho rispetto per Di Maio, ha solo 31 anni e ha già affrontato prove tali da far tremare i polsi. Lega e 5 Stelle hanno dimostrato un coraggio di cui non c’era traccia da anni, nella politica italiana». Il nocciolo è questo: «Vogliamo aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, e rimettere l’Italia nelle condizioni di esprimere una politica economica». Il nemico è il Deep State, e siede nei posti-chiave. Di Maio e Salvini lo sanno, e hanno accettato di affrontare una guerra di logoramento. Per Magaldi non basta: serve una sfida frontale, perché la crisi italiana non aspetta. E senza veri risultati, gli elettori si ribelleranno: stanno già “scaricando” i 5 Stelle, e domani potrebbero dire addio allo stesso Salvini, anche se oggi sembra inaffondabile. Lo sembrava anche Renzi, che aveva il 40%.«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».
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Ombre cinesi, in svendita l’Italia del Marchese del Grillo
L’imperatore Xi Jinping è venuto in Italia a dare un’occhiata ai suoi nuovi possedimenti, e tutta la politica nostrana sullo sfondo è apparsa tristemente per quel patetico agitarsi di moschini della merda che è sempre stata. L’Italia è una colonia (colonialista) che passa periodicamente da un padrone all’altro a seconda della convenienza, vera o presunta. I suoi governanti di facciata non sono che passacarte, pataccari, squallidi traffichini interessati solo a concimare il loro orticello di voti, privilegi, tangenti e like, capaci solo di fare la voce grossa con sfrattati e naufraghi, e lanciare qualche monetina (arroventata) dal balcone come il Marchese del Grillo, ridendo di chi s’affanna a raccattarle. Quali sono le regole per chiedere il reddito di cittadinanza questa settimana? Non ha importanza, la settimana prossima cambieranno di nuovo.Il capitalismo di Stato cinese è venuto a comprarsi l’Italia in saldo, però Unione Europea e Stati Uniti non molleranno facilmente la presa. L’asse di Aquisgrana teme particolarmente che la Cina usi l’Italia come backdoor per invadere e controllare tutto il mercato europeo. Gli Usa, che ci spiano, temono particolarmente che i cinesi, spiando noi, possano spiare anche loro che spiano noi. E loro. Entrambi i blocchi occidentali sanno bene che la “belt” della Belt and Road Initiative è concepita per strangolarli. Il governo Grilloverde continuerà a recitare l’Arlecchino servitore di due padroni (anzi quattro, contando anche Putin) finché potrà. Poi finirà cotto al vapore. È particolarmente grottesco (cioè italiano) che il governo che si definisce “sovranista” in realtà non sappia a quale potenza straniera svendersi prima. Chiude i porti ai profughi, li svende ai miliardari: questa maggioranza ci tiene a dimostrare che non è razzista. È classista.Non c’è da meravigliarsi che sempre meno italiani credano alla farsa del contratto Grilloverde, come dimostreranno anche i risultati delle elezioni in Basilicata (Lega 19% e M5S 20%: calcolata l’astensione al 47%, un totale di 2 elettori su 10). Sono comunque ancora troppi. Troppi credono ancora che votare possa servire a qualcosa. La bandiera a cinque stelle che sventola oggi sulla penisola è quella cinese. E Mattarella approva. Se i nuovi padroni d’Italia sostituiranno l’assemblea parlamentare con un teatrino delle ombre e delle sagome di cartone, nessuno s’accorgerà della differenza.(Alessandra Daniele, “Ombre cinesi”, da “Carmilla” del 24 narzo 2019).L’imperatore Xi Jinping è venuto in Italia a dare un’occhiata ai suoi nuovi possedimenti, e tutta la politica nostrana sullo sfondo è apparsa tristemente per quel patetico agitarsi di moschini della merda che è sempre stata. L’Italia è una colonia (colonialista) che passa periodicamente da un padrone all’altro a seconda della convenienza, vera o presunta. I suoi governanti di facciata non sono che passacarte, pataccari, squallidi traffichini interessati solo a concimare il loro orticello di voti, privilegi, tangenti e like, capaci solo di fare la voce grossa con sfrattati e naufraghi, e lanciare qualche monetina (arroventata) dal balcone come il Marchese del Grillo, ridendo di chi s’affanna a raccattarle. Quali sono le regole per chiedere il reddito di cittadinanza questa settimana? Non ha importanza, la settimana prossima cambieranno di nuovo.
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Giannini: ci crediate o no, il governo sta riparando l’Italia
Non sparate sul governo gialloverde: sta facendo molte più di quanto non si veda, specie sui grandi media (tutti schierati all’opposizione). Lo sostiene Marco Giannini, studioso di economia, un tempo vicino ai 5 Stelle. Sbagliano, giornali a televisioni, a descrivere l’azione dell’esecutivo come fallimentare: da una parte fanno leva sullo spread – che non misura l’economia ma solo la speculazione finanziaria, complice la Bce (ai tempi della lira, infatti, lo spread non esisteva) – e dall’altra scaricano lo smottamento industriale su una compagine in carica da meno di un anno. La produzione industriale ha perso il 5,5%: solo un cretino potrebbe non capire che un simile cedimento è dovuto a «questi 8 anni di lunga, controproducente e immotivata austerità», scrive Giannini, in una riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”. Rigore immotivato? Ma certo: perché l’Italia – ricorda Giannini – è in avanzo primario da anni. Cioè: lo Stato intasca, in termini di tasse, più di quanto non spenda, in servizi, per i cittadini. Il famoso debito pubblico? Colpa dei tassi d’interesse. Potrebbero essere normalizzati? Certo: «Servirebbero circa sette anni per “ripulire” il debito da questo aspetto critico», se solo la Bce «operasse come le normali banche centrali». Per contro, l’Italia ha partite correnti invidiabili (ottimo equilibrio import/export). E il governo? Ci crediate e no, insiste Giannini, sta lavorando sodo – checché ne dicano i media, legati a Pd e Forza Italia, spodestati nel 2018.I bersagli preferiti dalla stampa, osserva Giannini, sono Di Maio e Toninelli, “colpevoli” di aver scelto come alleato la Lega e non il Pd, sottomesso a Francia e Germania (secondo uno studio tedesco, il giochetto è già costato 73.000 euro a ogni italiano, in favore di tedeschi e olandesi). Giornali e Tv esaltano i dissidenti 5 Stelle appena si distinguono da Salvini sul tema migranti? C’è puzza di Soros, avverte Giannini. Attaccare Di Maio in quanto succube del leader leghista? Sarebbe stato meglio «attivare i neuroni per creare piani programmatici accattivanti», alle prime avvisaglie di flessione nei consensi. Il vicepremier grillino? «E’ stato un uomo leale con il suo alleato, non certo un suddito: e credo che gli italiani questo lo abbiano capito e apprezzato – dice Giannini – al di là del risultato delle regionali». Quanto al ministro delle infrastrutture, Toninelli «è descritto come un principiante, ma nessuno chiarisce il perché». Se la motivazione sono le gaffe commesse nelle interviste, Giannini ricorda la mitica Gelmini, col suo tunnel per neutrini dal Cern di Ginevra fino al Gran Sasso, per non parlare del “milione di posti di lavoro” di Berlusconi o del leggendario “Enrico stai sereno” rivolto da Renzi al povero Letta. In confronto, Toninelli è un campione di serietà e correttezza.Stiamo ai fatti, raccomanda Giannini: è assai più densa di quello che sembra, l’agenda gialloverde, pur inevitabilmente mediata dai compromessi indispensabili tra Lega e 5 Stelle. Esempio: il reddito di cittadinanza (pur in versione “magra”) è stato comunque approvato, con salario minimo di 5 euro l’ora (cifra bassissima per volere della Lega). «Un po’ poco per il centro-nord dato il costo della vita, forse sufficiente per evitare esclusione sociale per il centro-sud». Se non altro, «le aziende che assumono un soggetto che sta ricevendo il reddito ottengono un bonus fino a 18.000, visto che alleggeriscono lo sforzo profuso dallo Stato». Per Giannini in reddito di cittadinanza «è un provvedimento sacrosanto, una misura anti-ciclica presente non a caso in tutta l’Ue». Troppo misero e troppo normato? Il problema vera si chiama euro, sottolinea Giannini: «L’italiano non vuole la disoccupazione, vuole salari più alti, vuole meno tasse, vuole la crescita, vuole un Rdc più esteso e vuole però anche la moneta unica, che queste conquiste preclude». Come dire: nell’Eurozona, è impossibile pretendere di più. E gli altri partiti? «Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia promettono di abolire il Rdc qualora vincessero le elezioni». Ed è singolare che un sindacato come la Cgil «dopo anni di silenzio di fronte a esodati, austerity, tagli indiscriminati e deflazione salariale» oggi manifesti contrarietà a questo provvedimento «che, giusto o sbagliato, estende i diritti sociali e certo non li restringe».Vogliamo parlare di pensioni di cittadinanza? Se un cittadino ha un assegno inferiore ai 780 euro raggiungerà questo ammontare mensile a patto che abbia una Isee inferiore a 9.360 euro, un patrimonio mobiliare inferiore a 6.000 euro e un patrimonio immobiliare (esclusa la prima casa) inferiore a 30.000 euro. «Dai calcoli Inps sono circa 500.000 le persone interessate al provvedimento». La “Quota 100” era presente nei programmi delle due forze di governo: «E’ stata approvata insieme al reddito di cittadinanza e rappresenta un primo passo concreto per superare la legge Fornero», ricorda Giannini. E sono oltre 100.000 le domande già inviate: tutti «posti di lavoro che si liberano». Salvini voleva la Flat Tax universale? L’ha ottenuta almeno per le partite Iva: aliquota al 15% fino ai 65.000 mila euro. Poi c’è il decreto Inail, con taglio medio del 32% del costo del lavoro (valore: 1,8 miliardi). «Dalla lotta agli sprechi della burocrazia (compreso il numero delle leggi, da ridurre) e della abolizione completa dei finanziamenti all’editoria – aggiunge Giannini – Di Maio ha promesso una ulteriore riduzione del cuneo fiscale, in favore di aziende e lavoratori, e sgravi aggiuntivi per le imprese che assumono». Insomma, le formichine gialloverdi lavorano: è avviato l’iter per ridurre i parlamentari da 945 a 600.Quanto alle pensioni d’oro, chi riceve più di centomila euro l’anno dovrà cedere dal 10 al 20% come contributo di solidarietà. Gli stessi vitalizi dei parlamentari «vengono ricalcolati con il metodo contributivo con un taglio medio del 20%», e il ricavato «dovrebbe riversarsi in un fondo per le pensioni minime» (norma approvata col voto favorevole della sola maggioranza). Quanto alla geopolitica, Giannini apprezza la neutralità dei gialloverdi (specie 5 Stelle) sulla crisi del Venezuela, dove l’Eni ha forti interessi dopo gli accordi col governo Maduro (meglio non ripetere l’autogoal della Libia). Capitolo migranti: gli sbarchi sono calati del 95%. Salvini, leale coi grillini, non ha però espulso nessun clandestino. Tra le novità maggiori, di cui non si parla, secondo Giannini c’è il problema idrogeologico: 11 miliardi di euro in tre anni stanziati per la prevenzione e la messa in sicurezza del territorio. In altre parole, «finalmente usciamo dal medioevo». Volendo, si può parlare anche della legge anticorruzione, che «ha inasprito le pene per i reati di corruzione e ha modificato la prescrizione, rendendola meno “agevole”». Di fatto, «è stata aumentata la trasparenza su fondazioni e donazioni ai partiti».Nota dolente, il rapporto deficit-Pil: il governo ha ceduto a Bruxelles, calando dal 2,4 al 2,04%. Ma attenzione: Pd e Forza Italia avrebbero subito un semplice 0,8% senza battere ciglio. Siamo a un 2% pieno: «Il valore simbolico rappresentato da questo livello è importante – dice Giannini – sebbene non rappresenti la manovra espansiva di cui avremmo bisogno per uscire dalla crisi e per una efficace reindustrializzazione». I “paletti” di Bruxelles, come noto, vietano politiche di questo tipo. «Al contrario di ciò che viene detto dai media, sforando ci si indebita ma si permette all’economia di ripartire (e di rientrare dello sforamento con un surplus in sviluppo)». Purtroppo continua Giannini, la congiuntura mondiale – che vede anche la Germania col segno meno – si riflette sullo Stivale. L’analista già di area 5 Stelle cita anche il decreto sblocca-cantieri, che «renderà più trasparenti le gare d’appalto, semplificando la burocrazia che ne rallenta la realizzazione». Sta inoltre per essere attivato il Fondo Nazionale Innovazione, che rispetto ai precedenti 200 milioni destina un miliardo di euro all’anno per chi apre una startup.Sono infine stati stanziati 45 milioni in 3 anni per la blockchain, tecnologia che segnerà una rivoluzione paragonabile a Internet, «un database in cui verranno registrate transazioni di ogni tipo, che favorirà il flusso di informazioni dal commercio, alla medicina, dall’industria e alla finanza, riducendo la burocrazia». L’impressione generale, conclude Giannini, è che questo governo sia davvero un esecutivo “del fare” e che stia cercando coraggiosamente di impiegare le poche risorse a disposizione nel modo più “performante” e produttivo. «Assistendo ai molti dispositivi messi in gioco su trasparenza, semplificazione, riduzione del carico fiscale sulle imprese ed estensione dei diritti sociali – dice – mi sento di non rilevare un appiattimento sulla Lega da parte del M5S». Sembra tuttavia che questa falsa rappresentazione «sia dovuta in larga parte al frastuono da campagna elettorale di stampa e Tv», oltre che «all’enfatizzazione della questione migratoria rispetto alle questioni socio-economiche e giuslavoriste». Come dire: lasciamoli lavorare. Non hanno ancora risultati smaglianti da esibire, ma di problemi ne stanno risolvendo ogni giorno, e non pochi, grazie a una fatica che il più delle volte non affiora, sui soliti media.Non sparate sul governo gialloverde: sta facendo molte più di quanto non si veda, specie sui grandi media (tutti schierati all’opposizione). Lo sostiene l’antropologo Marco Giannini, studioso di economia, un tempo vicino ai 5 Stelle. Sbagliano, giornali a televisioni, a descrivere l’azione dell’esecutivo come fallimentare: da una parte fanno leva sullo spread – che non misura l’economia ma solo la speculazione finanziaria, complice la Bce (ai tempi della lira, infatti, lo spread non esisteva) – e dall’altra scaricano lo smottamento industriale su una compagine in carica da meno di un anno. La produzione industriale ha perso il 5,5%: solo un cretino potrebbe non capire che un simile cedimento è dovuto a «questi 8 anni di lunga, controproducente e immotivata austerità», scrive Giannini, in una riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”. Rigore immotivato? Ma certo: perché l’Italia – ricorda Giannini – è in avanzo primario da anni. Cioè: lo Stato intasca, in termini di tasse, più di quanto non spenda, in servizi, per i cittadini. Il famoso debito pubblico? Colpa dei tassi d’interesse. Potrebbero essere normalizzati? Certo: «Servirebbero circa sette anni per “ripulire” il debito da questo aspetto critico», se solo la Bce «operasse come le normali banche centrali». Per contro, l’Italia ha partite correnti invidiabili (ottimo equilibrio import/export). E il governo? Ci crediate e no, insiste Giannini, sta lavorando sodo – checché ne dicano i media, legati a Pd e Forza Italia, spodestati nel 2018.
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Chi smaschera il debito ci rimette la vita: Sankara insegna
Sono passati trent’anni anni da quando il presidente rivoluzionario del Burkina Faso, ribattezzato “il Che Guevara africano”, venne ucciso – secondo la ricostruzione ormai ufficiale – dal suo ex braccio destro nonché successore Blaise Campaorè, verosimilmente appoggiato dai francesi e da altre forze internazionali. Come ricorda Ilaria Bifarini nel suo blog, Sankara era divenuto un personaggio «troppo scomodo, per il piano egemonico mondiale messo in atto dai poteri finanziari internazionali attraverso lo strumento del debito». Studiosa di economia (“bocconiana redenta”), nonché autrice di saggi di successo – dalla crisi neoliberista dell’euro a quella dei migranti – Ilaria Bifarini rievoca il celebre “discorso sul debito” tenuto da Sankara nel 1987 ad Addis Abeba all’assemblea dell’Oua, l’Organizzazione per l’Unità Africana. Un’orazione memorabile, «di una forza e di una chiarezza straordinarie», che rappresenta «un appello a tutti i rappresentanti internazionali a considerare le cause e la reale natura del debito, che non è altro che una nuova e ancora più pervasiva forma di schiavitù, quella finanziaria». Lasciateci in pace, disse Sankara: non abbiamo bisogno degli aiuti della Banca Mondiale e del Fmi, di cui gli africani poi diventano prigionieri.«Con una lucidità e una lungimiranza degne di un vero rivoluzionario – scrive Ilaria Bifarini – Sankara anticipa quanto solo ora alcuni economisti hanno trovato il coraggio di proporre». Ovvero: «Annullare il debito, per permettere alla popolazione di continuare a vivere». Disse Sankara: «Loro, i finanziatori, certo non moriranno se noi non ripagheremo il debito, mentre il nostro popolo sì». La soluzione? Incentivare l’economia nazionale fondata sulla produzione diretta di beni, limitando le importazioni. Lo stesso Sankara, ricorda Bifarini, si vantò dell’abito che indossava – una camicia di cotonella, prodotta dagli artigiani burkinabé. Riguardando il video di quello storico discorso, la Bifarini annota: «La platea è sconcertata ma applaude, la forza trascinatrice è quella di un rivoluzionario, la lungimiranza di un visionario». Solo due mesi e mezzo dopo, a soli 37 anni, Sankara verrà assassinato. Era perfettamente cosciente del rischio che correva: «È possibile – disse – che, a causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano “il mio cattivo esempio”, con l’aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all’altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui», aggiunse.Quei semi, sappiatelo, «nessuno potrà mai estirparli: germoglieranno e daranno frutti». Concluse: «Se mi ammazzano, arriveranno migliaia di nuovi Sankara». Purtroppo, osserva Ilaria Bifarini, la sua profezia «si è avverata solo a metà», e i nuovi Sankara «verranno uccisi sul nascere». Proprio a Sankara, il Movimento Roosevelt dedica un importante convegno, in programma il 3 maggio a Milano. Tema: il modello Sankara come antidoto alla crisi dei migranti. In altre parole: restituire piena sovranità all’Africa, in modo da fermare l’esodo dei profughi economici. Nel convegno, la figura di Sankara sarà equiparata a quelle di Carlo Rosselli, martire antifascista e fautore del socialismo liberale, e del premier svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma nel 1986 da un killer tuttora sconosciuto. Olof Palme aveva impegnato lo Stato nel supportare le aziende svedesi in difficoltà, imponendo l’azionariato diffuso tra gli stessi operai, e si era battuto per la libertà dell’Africa protestando – prima di chiunque altro – per la scandalosa detenzione di Nelson Mandela. Come Sankara, Palme sapeva bene a quali risultati avrebbe condotto il neoliberismo coloniale nel continente nero, che costò la vita al giovane presidente del Burkina Faso.Temi di strettissima attualità, come sappiamo, che la stessa Ilaria Bifarini ha sviscerato nel saggio “I coloni dell’austerity”: è proprio l’imperialismo neoliberista a depredare l’Africa, spingendo verso l’Europa i “privilegiati” che possono pagarsi il viaggio della speranza sui barconi. Sono migranti attratti dal miraggio di un’Europa che in realtà non ha più intenzione di accoglierli, alle prese a sua volta con le contorsioni di una crisi più finanziaria che economica, innescata dall’ideologia neoliberista e privatizzatrice che ha inquinato la politica. In che modo? Mettendo fine al socialismo liberale ispirato da Rosselli, di cui proprio il carismatico Olof Palme era il leader più autorevole. Da allora, l’Europa ha cominciato a parlare una sola lingua: quella del Trattato di Maastricht, che ha impoverito gli europei e allineato il vecchio continente allo schema di dominio che – dopo la breve e illusoria parentesi della decolonizzazione – ha finito per schiavizzare l’Africa di Sankara.Sono passati trent’anni anni da quando il presidente rivoluzionario del Burkina Faso, ribattezzato “il Che Guevara africano”, venne ucciso – secondo la ricostruzione ormai ufficiale – dal suo ex braccio destro nonché successore Blaise Campaorè, verosimilmente appoggiato dai francesi e da altre forze internazionali. Come ricorda Ilaria Bifarini nel suo blog, Sankara era divenuto un personaggio «troppo scomodo, per il piano egemonico mondiale messo in atto dai poteri finanziari internazionali attraverso lo strumento del debito». Studiosa di economia (“bocconiana redenta”), nonché autrice di saggi di successo – dalla crisi neoliberista dell’euro a quella dei migranti – Ilaria Bifarini rievoca il celebre “discorso sul debito” tenuto da Sankara nel 1987 ad Addis Abeba all’assemblea dell’Oua, l’Organizzazione per l’Unità Africana. Un’orazione memorabile, «di una forza e di una chiarezza straordinarie», che rappresenta «un appello a tutti i rappresentanti internazionali a considerare le cause e la reale natura del debito, che non è altro che una nuova e ancora più pervasiva forma di schiavitù, quella finanziaria». Lasciateci in pace, disse Sankara: non abbiamo bisogno degli aiuti della Banca Mondiale e del Fmi, di cui gli africani poi diventano prigionieri.
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Niente preservativo: e la Chiesa fabbrica migranti e orrori
Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».Secondo Barnard, nel 2019, «il vero anti-razzista e umanitarista deve guardare in faccia l’africano e l’africana e dirgli di smetterla di figliare come pazzi». Il giornalista punta il dito contro «la perversione mentale chiamata fede cristiana che noi abbiamo esportato e che continuiamo a esportare là, e che fisicamente impedisce ai metodi contraccettivi e all’educazione ai diritti riproduttivi di raggiungere le donne del continente, anche quando sono laiche e consapevoli». In Africa una donna negli anni di fertilità partorisce dai 5 ai 7 figli, in media. L’Onu prevede che, fra 30 anni, più di un miliardo di umani si aggiungerà alla già stipata Africa. «Nonostante i cosiddetti aiuti umanitari – con missionari laici o religiosi, con l’industria delle donazioni e della “caritas cristiana” – il numero totale di poveri estremi nell’Africa Sub-Sahariana è oggi più alto che nel 1981. E di nuovo: l’abnorme tasso di natalità gioca, in questo, un ruolo infernale». Le cause storiche della povertà africana le conosciamo, e sono «il nostro furto delle loro risorse ma anche la loro corruzione». Ma figliare a questo ritmo scriteriato, aggiunge Barnard, «creerebbe disperazione economica anche nella Svizzera delle banche, disintegrerebbe il potere di spesa sociale della Fed degli Stati Uniti».Insiste Barnard: il flusso dei profughi economici che vediamo oggi è solo la minuscola frazione dei fuggitivi africani che riescono ad arrivare in Libia. Ma il 99% dei futuri migranti stanno appena più a Sud, «e sono quelli che arriveranno quando la vera crisi dei migranti esploderà: sono gli africani dell’immenso bacino cattolico». Che fare? Tanto per cominciare, bisognerebbe «distribuire su scala intensiva preservativi agli africani», attraverso «programmi di educazione ai diritti riproduttivi (come evitare gravidanze non volute), in un accordo non solo con i politici, ma con le due maggiori religioni africane, cattolicesimo e Islam». Significherebbe «aiutare a prevenire almeno una notevole fetta di sofferenze umane che negli ultimi 40 anni hanno di molto superato in numeri quelle dell’Olocausto nazista». E di conseguenza, «prevenire la crisi dei migranti». Al contrario, ostacolare la contraccezione in un’Africa già irresponsabilmente riproduttiva «significa pianificare a tavolino uno sterminio, con tragedie incalcolabili, con la destabilizzazione peggiore mai vissuta dall’Europa moderna». Un fenomeno che, fra l’altro, «alimenta la proliferazione dei nuovi fascismi europei».In un’intervista del 1952, ricorda Barnard, il filosofo della scienza Bertrand Russell «non solo predisse il globale dramma delle migrazioni per povertà, ma dettò la ricetta per fermarle, auspicando allo stesso tempo equità economica nell’intero pianeta». Barnard considera Russell «la mente forse più lucida, autorevole e umanitarista del XX secolo». Nodo irrisolto, da allora: il problema demografico e la proibizione cristiana della contraccezione. «Sarà impossibile ridurre la diseguaglianza globale – disse Russell – se non raggiungeremo popolazioni numericamente stabili». Altro pericolo: i poveri oggi possono vedere come vivono i ricchi, cioè noi. «La consapevolezza, da parte di immense masse di poveri, della disparità di ricchezza fra loro e noi, ci porterà pericoli alla pace e calamità», aggiunse Russell. «E’ assolutamente giusto che Africa e Asia ottengano eguaglianza nella ricchezza con l’Occidente. Ma se si vuole evitare che l’Africa e l’Asia travolgano il mondo con immense popolazioni in estrema povertà – concluse il filosofo – esse dovranno però imparare a mantenere popolazioni numericamente stabili. E se non impareranno a controllare questo, allora inevitabilmente perderanno la loro rivendicazione di eguaglianza economica».Cosa si deve aggiungere – dice Barnard – a parole del genere? Furono pronunciate «cinquant’anni prima che chiunque, qui da noi, sentisse parlare di barconi, crisi migranti, neo-razzismo e di Salvini». Profezia lampante: «Il controllo delle nascite, quindi la contraccezione, sono vitali per l’economia e la giustizia globali». La soluzione è proprio la contraccezione, «non la demente astinenza predicata dalla Chiesa». E chi si oppone a questa politica salva-pianeta che mitigherebbe guerre, migrazioni e drammi incalcolabili? «Due fanatici della croce vaticana, Bergoglio e Salvini», scrive Barnard. Per il Vaticano «la contraccezione, in ogni sua forma, è dannazione divina, è perdizione: equivale al peggior sudiciume morale, addirittura all’infanticidio». Non importa se poi la mancata contraccezione miete milioni di vittime: «Conta la croce vaticana, che purtroppo proprio nell’Africa più disperata ha una presa pandemica sui suoi abitanti». Per Barnard, il pontefice romano e il capo leghista «sono disgustosi entrambi», per ipocrisia: il primo contribuisce direttamente alla strage, l’altro campa politicamente sull’esodo. Bergoglio? «Nell’encefalo di milioni di fessi passa come un “francescano” riformatore», come il volto nuovo (decente) della «vomitevole Chiesa storica», cioè «quella dell’opzione per i ricchi e morte ai poveri».Ma per fortuna esiste Wikileaks, continua Barnard: il network di Julian Assange rivela che Papa Francesco intervenne «in un mefitico guazzabuglio di potere» con il cattolico Ordine di Malta, il quale «per un errore di un tal Gran Cancelliere» dell’ordine religioso vaticano, di nome Albrecht Freiherr von Boeselager, «aveva osato finanziare l’uso di contraccettivi per non sovrappopolare l’Africa, e quindi per evitare non solo le infezioni da Aids ma anche per diminuire le crisi dei migranti che finiscono sui barconi». Dai documenti pubblicati da Wikileaks, il Papa si sarebbe «prodigato nel suo decennale doppiogiochismo». Barnard ricorda che Bergoglio «fu pro/anti torturatori argentini, fu pro/anti teologi della liberazione, fu pro/anti-preti pedofili, fu pro/anti Fondo Monetario Internazionale alla gola dei poveri latinoamericani, infatti aiutava una manciata di poveracci ma ostacolava la “socialista” Kirchner». Secondo Wikileaks, se da un lato ha messo sotto scacco la parte più conservatrice del vaticanissimo Ordine di Malta («dopotutto deve figurare come Francesco il progressista, no?»), dall’altro avrebbe imposto «con feroce autoritarismo» la proibizione dei contraccettivi e dei diritti riproduttivi su tutta l’Africa, «con morti per Aids, sovrappopolazione e povertà disperata come conseguenze».Ipocrisia su ipocrisia: non sono certo «i miliardi vaticani investiti in hedge funds o immobili miliardari a pagare per l’accoglienza». Per Barnard, siamo di fronte a «oggettivi crimini contro l’umanità, dettati da una fede religiosa da sempre genocida». Crimini che però «farebbero poca strada, se poi non esistessero vaste masse di complici». Fra queste, «il “popolo del capro espiatorio” in drammatica espansione in Ue, cioè le destre populiste, quelli che “tutto è colpa del migrante, anche il deficit strutturale”». Peggio di loro si comportano le “anime belle”: «Sono l’altro popolo, cioè il “popolo della caritas”, quello che in nome della propria auto-santificazione alimenta l’orrore, abbracciando la croce del genocidio anti-contraccettivo». In patria, i buonisti «lavorano per l’inutile e controproducente industria della “caritas” verso i dannati della Terra», ma spesso «vanno anche a far danni diretti nelle ormai secolari scorribande missionarie vaticane».Si indigna, Barnard: «Se questo “popolo della caritas” dedicasse quella montagna di energie a pretendere dalla politica occidentale soluzioni sistemiche alla povertà e alla sovrappopolazione del mondo, senza neppure spostarsi da casa, se questo avessero fatto da anni invece di sentirsi “buoni” e dare l’obolo o fare il viaggetto santo, noi nel 2019 non avremmo mai sentito parlare di un trionfante Salvini, di barconi, di cadaveri sul fondo del Mediterraneo, di neofascismi in tutto l’Occidente e, soprattutto, la tragedia del Terzo Mondo sarebbe ora solo un brutto ricordo». E invece ecco ogni giorno in televisione «il Santo Signore di tutti gli Ipocriti, con al seguito il vostro beniamino padano che sbraita contro l’invasione dei disperati ma bacia la croce che l’alimenta a tutta forza». Però «mica se la prende con le gabbane, il Matteo: no, solo coi disperati». Ribadisce Barnard: «Priorità per la tragedia migranti: contraccettivi e educazione ai diritti riproduttivi. Ora. Perché mentre ne respingete uno, là se ne creano 10.000».Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».
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Salvini-Diciotti, Magaldi: quando la Lega tifava per i giudici
Ma che razza di democrazia è, quella in cui si affida a un’anomima piattaforma informatica la decisione sulla sorte di un ministro, per giunta alleato di governo? Possibile che i 5 Stelle non riescano a difendere in modo netto Matteo Salvini, senza dover consultare gli iscritti? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, prende atto della preoccupante debolezza politica dei pentastellati: la loro classe dirigente non osa assumersi la piena responsabilità di schierarsi fino in fondo con il leader della Lega, messo alla berlina dalla magistratura per aver ostacolato lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti. Sequestro di persona? Questa l’ipotesi di reato, formulata dai magistrati siciliani. Durissimo, in proposito, un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro: non è possibile sanzionare un politico per un legittimo atto governativo, dice Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «I migranti della Diciotti non erano affatto sequestrati: nessuno impediva loro di dirigersi altrove, Salvini ha solo frenato il loro ingresso in Italia», sostiene Carpeoro, che ipotizza un abuso extra-costituzionale. «Mi auguro – aggiunge – che altri magistrati valutino l’operato dei colleghi che hanno deciso di indagare Salvini».L’avvocato Pierluigi Winkler, altro “rooseveltiano”, fa notare che il sequestro di persona, come reato, dovrebbe avere alle spalle una finalità criminale: e di quale crimine si dovrebbe accusare il governo italiano, in questo caso? Concorda lo stesso Magaldi, a sua volta in diretta web su YouTube con Frabetti: «E’ evidente che Salvini non ha commesso alcun reato, e bene ha fatto il resto del governo – cioè i 5 Stelle e lo stesso Conte – a dichiararsi corresponsabile della decisione di Salvini. Quello che stupisce, semmai – aggiunge Magaldi – è che Di Maio e soci non abbiano trovato il coraggio di prendere la decisione di proteggere Salvini dall’azione giudiziaria, ricorrendo invece alla consultazione online degli iscritti». Democrazia diretta? «Va bene che il popolo dev’essere sovrano. Ma se proponesse una follia? Un gruppo dirigente deve sapersi assumere precise responsabilità, senza rinunciare a dire come la pensa». Pesa, sui 5 Stelle, il recentissimo passato giustizialista: tanti voti sono arrivati al movimento di Grillo proprio grazie alla retorica anti-casta, alla crociata contro i privilegi. Fino al punto da esporre un alleato di governo al rischio di farsi processare – concedendo l’autorizzazione a procedere – solo per aver tenuto fede alla sua linea politica?Gli stessi leghisti, peraltro – ricorda Magaldi – sono reduci della stessa “malattia” dei 5 Stelle: anche loro, guidati da Bossi, agitarono il cappio in Parlamento nella battaglia campale contro i politici corrotti. Invasione di campo, da parte della magistratura? «Negli anni ‘90, gli esponenti forcaioli della Lega Nord erano ben lieti che il pool di Mani Pulite facesse a pezzi i partiti della Prima Repubblica». Beninteso: i reati vanno perseguiti, e i partiti italiani scontavano un tasso elevato di corruzione, oltre all’ipocrisia sul finanziamento pubblico (tollerato, benché irregolare). Per contro, gli stessi magistrati – per decenni – non avevano mai osato mettere sotto accusa ministri e segretari di partito. Il motivo? Geopolitico: l’Italia era troppo importante, come baluardo contro l’impero sovietico. Per consentire ai pm di indagare Craxi c’è stato bisogno del crollo del Muro di Berlino. Magistrati anche valorosi e in totale buona fede, aggiunge Magaldi, sono diventati lo strumento di un gioco pericoloso, costruito per indebolire l’Italia. Un gioco avviato proprio in quegli anni dal separatismo nordista della Lega di Bossi, che – nella sua vulgata – criminalizzò l’intero processo dell’unità nazionale, rappresentando il Risorgimento come una tragica farsa.Suscita malinconia, oggi, riscontrare la singolare consonanza di vedute tra i vetero-leghisti degli anni ‘90 e i propagandisti neo-borbonici, cioè tra il Nord che si ritiene vampirizzato finanziariamente dal Meridione “scansafatiche” e il Sud che, a sua volta, si dichiara vittima dell’imperialismo coloniale nordista, garibaldino e sabaudo. Pura ignoranza della nostra storia, dice Magaldi: impossibile dimenticare che i combattenti meridionali aderirono all’esercito di Garibaldi perché non ne potevano più del regime assolutista dei Borboni, violento e autoritario, privo di Costituzione, fondato sull’arbitrio e sullo sfruttamento schiavistico di milioni di “cafoni” costretti a faticare nei latifondi. Pessima, poi, la gestione post-unitaria dopo la perdita di Cavour, col prevalere degli aspetti più reazionari della pessima monarchia torinese. Ma da qui a rimpiangere la cricca parassitaria del sovrano di Napoli, ne corre. Piuttosto: ci siamo mai domandati perché periodicamente esplodono queste polemiche fondate sulla non-conoscenza della storia?Se voglio colpire un paese, ragiona Magaldi, per prima cosa lo divido, mettendo il Nord contro il Sud. Poi magari uso la magistratura per decapitarne la classe dirigente (nel caso dell’Italia, protagonista di un notevole riscatto economico nei decenni del dopoguerra). In altre parole, la manipolazione produce una specie di harakiri: un paese indifeso, proprio quando i grandi poteri globalizzatori stanno per assalirlo e depredarlo, grazie alle regole truccate della nuova Ue. Fino a ritrovarsi poi con Mario Monti a Palazzo Chigi, spedito a commissariare l’Italia dagli stessi poteri che hanno lavorato, anche con l’aiuto della Lega Nord, per sabotare il Belpaese. Quindi è bene prestare la massima attenzione, se il potere giudiziario si mette contro il potere esecutivo. «Provo una sorta di compassione – ammette Magaldi – per come il Movimento 5 Stelle sta facendo di tutto per dissipare il consenso che aveva raccolto in questi anni. Possiamo anche relativizzare la recente débacle alle regionali abruzzesi, ma come non vedere che l’elettorato contesta ovunque il mancato rispetto delle promesse elettorali?». Pessima idea, quella di rifugiarsi nella piattaforma Rousseau sul caso Salvini-Diciotti: «Se per assurdo gli iscritti decidessero un bel giorno che dobbiamo ripristinare le leggi razziali, i dirigenti 5 Stelle si adeguerebbero?».Ma che razza di democrazia è, quella in cui si affida a un’anonima piattaforma informatica la decisione sulla sorte di un ministro, per giunta alleato di governo? Possibile che i 5 Stelle non riescano a difendere in modo netto Matteo Salvini, senza dover consultare gli iscritti? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, prende atto della preoccupante debolezza politica dei pentastellati: la loro classe dirigente non osa assumersi la piena responsabilità di schierarsi fino in fondo con il leader della Lega, messo alla berlina dalla magistratura per aver ostacolato lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti. Sequestro di persona? Questa l’ipotesi di reato, formulata dai magistrati siciliani. Durissimo, in proposito, un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro: non è possibile sanzionare un politico per un legittimo atto governativo, dice Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «I migranti della Diciotti non erano affatto sequestrati: nessuno impediva loro di dirigersi altrove, Salvini ha solo frenato il loro ingresso in Italia», sostiene Carpeoro, che ipotizza un abuso extra-costituzionale. «Mi auguro – aggiunge – che altri magistrati valutino l’operato dei colleghi che hanno deciso di indagare Salvini».
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Sinistra, magistrati e stampa: ci indicano sempre chi odiare
Sms è il nome in codice di Sinistra Magistrati Stampa, il serpentone trasversale che ci dice cosa dobbiamo pensare, chi dobbiamo condannare e come dobbiamo indignarci. L’Sms ci dice ogni giorno che stiamo vivendo sotto il peggiore dei regimi possibili, nel peggiore dei tempi possibili, sotto il tallone di un criminale in divisa di nome Matteo Salvini che va subito processato. Ma questo film horror mi pare di averlo già visto. E così sono tornato con la memoria all’inizio del presente decennio. La scena era totalmente diversa, i protagonisti pure. Il peggiore dei regimi possibili in quel tempo pessimo era il centro-destra e il tallone del criminale, con alzatacco, era quello di Silvio Berlusconi. Non era diverso l’allarme, l’accanimento, l’odio per un’altra emergenza democratica, un’altra situazione “senza precedenti”. Vivevamo anche allora in “una dittatura sudamericana”, populista e malandrina, eravamo anche allora fuori dall’Europa, dalla Modernità e dalla Democrazia, e naturalmente fuori dalla legalità. Ma non solo. A chi dice oggi che viviamo in un tempo allucinante, in cui tutti i problemi vengono ridotti a uno, gli sbarchi dei migranti, vorrei ricordare qual era il menu di quei giorni.Non si parlava dei problemi reali del paese, di crisi economica ormai scoppiata negli Stati Uniti e destinata a contagiare l’Europa, non si parlava di lavoro, opere pubbliche e sanità, o di mille altre emergenze. No, gli occhi dei media, dei magistrati inquirenti e della sinistra erano interamente riservati alle gesta erotiche del premier in carica nel regno delle Mignotte. Eccolo, è lui, Priapo, re di Troia. Il tema che divideva l’opinione pubblica non era quota 100, i porti chiusi o il reddito di cittadinanza ma se il Cavaliere sapeva che Ruby era minorenne, se c’è stato o no sesso tra i due o con Noemi Letizia, se i festini ad Arcore erano orge oppure no, se pagava o no le case alle olgettine e come si sdebitava con le damine di corte che popolavano Zoccolandia. I temi di politica estera erano sfiorati solo attraverso l’accenno al lettone di Putin, dove si sarebbe consumato il misfatto con la d’Addario, o alla nipote di Mubarak, come fu sontuosamente presentata la giovane marocchina per dissimulare la libidine nella ragion di Stato. L’intrigo nazionale che assorbiva il dibattito pubblico e le conversazioni private era come funzionava la meccanica sessuale del Cavaliere, se si trattava di un sistema a pompa, a gettoni o a pulsante.La narrazione dominante era una favola capovolta, il Nano e le sette Biancaneve. Un paese intero veniva istigato a dimenticare la realtà e i suoi problemi per curarsi d’interessi privati in atti d’ufficio, molto privati, e a dedicarsi esclusivamente al gossip erotico-giudiziario sul premier, per esprimere condanna morale e penale. La politica spariva, tutto veniva ridotto a intercettazioni, toccatine e fotoshop. Moralismo & Puttanate. Con questi precedenti vi chiedete a che punto siamo arrivati? Facendo questi paragoni ritenete che oggi abbiamo toccato il fondo? E quello cos’era, il fondoschiena? Volete dire che occuparsi di migranti, spacciatori o quota 100 sia più infame che occuparsi di tette, culi e bunga bunga? Quanto al leader delinquente, Salvini è solo l’ultimo arrivato per il quale si invocano i giudici e la galera. Chissà per quale maledizione, ma chi si oppone alla sinistra in Italia è per definizione criminale: lo fu Almirante ma anche i partigiani Pacciardi e Sogno, lo fu Craxi ma anche Fanfani, i presidenti Cossiga e prima di lui Leone, lo fu Berlusconi, naturalmente. Smise di esserlo Fini appena si prestò al gioco della sinistra. Ma che sfiga, questa sinistra non ha mai avversari decenti, sono sempre tutti criminali, o meglio lo diventano appena si oppongono alla sinistra medesima.Oggi i grillini offrono generosi motivi di satira, sconcerto e derisione; ma vogliamo dire come ci eravamo ridotti dieci anni fa, a seguire col vivavoce i sospiri nella camera da letto di Berlusconi o a seguire sul maxischermo dal buco della serratura, le imprese erotiche vere o presunte del satiro regnante? Testimonianze, dossier, pacchi di documenti, fiumi di intercettazioni, centinaia di persone assorbite da questo minuzioso lavoro, tutto per sapere se la gnocca c’era stata, se aveva preso e quanto aveva preso. Ecco cos’era l’emergenza democratica, il senso dello Stato (o meglio lo stato dei sensi), insomma il tema politico di quei giorni. Avendo una memoria corta, vivendo ormai totalmente persi nel presente, tendiamo a dimenticare il passato prossimo, non siamo in grado di fare paragoni e ci pare di vivere in chissà quale incubo senza precedenti. Ma se fate un piccolo sforzo, ricordatevi come eravamo combinati, non un secolo fa, ma agli inizi di questo decennio. Non stavamo messi meglio di oggi, credetemi. E per l’Sms eravamo anche allora nel peggiore dei mondi possibili.(Marcello Veneziani, “Un film già visto”, da “La Verità” del 2 febbraio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Sms è il nome in codice di Sinistra Magistrati Stampa, il serpentone trasversale che ci dice cosa dobbiamo pensare, chi dobbiamo condannare e come dobbiamo indignarci. L’Sms ci dice ogni giorno che stiamo vivendo sotto il peggiore dei regimi possibili, nel peggiore dei tempi possibili, sotto il tallone di un criminale in divisa di nome Matteo Salvini che va subito processato. Ma questo film horror mi pare di averlo già visto. E così sono tornato con la memoria all’inizio del presente decennio. La scena era totalmente diversa, i protagonisti pure. Il peggiore dei regimi possibili in quel tempo pessimo era il centro-destra e il tallone del criminale, con alzatacco, era quello di Silvio Berlusconi. Non era diverso l’allarme, l’accanimento, l’odio per un’altra emergenza democratica, un’altra situazione “senza precedenti”. Vivevamo anche allora in “una dittatura sudamericana”, populista e malandrina, eravamo anche allora fuori dall’Europa, dalla Modernità e dalla Democrazia, e naturalmente fuori dalla legalità. Ma non solo. A chi dice oggi che viviamo in un tempo allucinante, in cui tutti i problemi vengono ridotti a uno, gli sbarchi dei migranti, vorrei ricordare qual era il menu di quei giorni.
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Contro Salvini i Tg, Papa Mattarella e il presidente Bergoglio
Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film. Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia. Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo, l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti nazisti, i frullati di storia a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono state le categorie protette.Sulla rivolta dei sindaci populisti – Leoluca Orlando e Giggino de Magistris sono due tribuni della plebe, e nasce populista pure l’ex grillino e neo-furbino Pizzarotti – l’informazione nazionale, la rappresentazione pubblica, è dalla parte loro, vede il mondo coi loro occhi, col loro linguaggio. Il ministro dell’interno è trattato come un esterno, un cocciuto nemico dell’umanità che oppone ai sindaci non una legge votata dal Parlamento ma – dicono molti Tg e rassegne stampa – “un muro”, che è la parola infame nel gergo mediatico-ideologico per bollare tutti i Trump e i trumpettieri del pianeta. Penso ai tempi bui in cui c’era la lottizzazione, il manuale Cencelli, la spartizione. In quel tempo c’era un criterio non detto ma praticato che grosso modo era questo: un terzo degli spazi va al governo, un terzo alla maggioranza che lo sostiene e un terzo all’opposizione. Regola becera ma a suo modo equilibrata, dosaggio chimico in uso soprattutto nell’ammiraglia della Rai che di fatto dava due terzi di rilievo e di ragione a chi governa e un terzo a chi si oppone. Poi arrivò Renzi e riuscì a fare perfino peggio della lottizzazione, tutto venne renzizzato. Ora, sarò un maldestro spettatore ma a me pare che, salvo fatti e sfumature, l’intonazione generale è la stessa di prima, la linea è rimasta quella (si salva un po’ il Tg2).La presenza delle opposizioni in video è ampia e articolata, quella della maggioranza è didascalica e minore. E’ fuori dal racconto. Il dosaggio delle notizie e delle facce a malapena è cambiato perché la realtà di fatto è cambiata: ma la rappresentazione è sempre la stessa. Gli oppositori sono dentro il racconto, i governativi lo interrompono. Figurano come Paolini, il disturbatore dei Tg. Certo, non si cambia dall’oggi al domani. Certo, se cambi i vertici, il personale poi resta sempre lo stesso, la stessa provenienza, lo stesso sindacato, la stessa trafila di carriera e la stessa ideologia. Certo, anche le figure nominate sono più o meno dell’area di prima, non vengono dalla luna, hanno lo stesso pedigrèe catto-vago-sinistrese; ma questo succede se vai al governo sprovvisto di una classe dirigente, tu e il popolo o la rete e in mezzo niente… «Ho preso il Tg e la rete ma non so cosa mettermi addosso». Sulla Tv in generale, è normale poi che devi sciropparti le stesse robe di sempre, le fiction, i programmi preconfezionati e decisi in epoca antecedente. Siamo ancora sotto effetto dei farmaci e delle indigestioni precedenti. D’altra parte per essere realmente alternativo devi avere una tua interpretazione storica, una visione culturale… Se non ce l’hai soccombi, ti limiti a sparare tweet e video.Al governo ci sono i marziani, o meglio i marziani e i saturniani insieme, e invece la rappresentazione del paese è la stessa di prima. Cambia solo l’annuncio dei provvedimenti di governo: ogni giorno una versione diversa delle pensioni, del reddito di cittadinanza, di quota 100 e roba varia. L’effetto comico è che agli occhi dei Tg, perfino il Pd sembra una cosa viva, seria, unita. Quanto a lungo potremo vivere con questo schema bipolare, ma nel senso del disturbo psichiatrico e non dell’alternanza democratica? Quanto potrà durare questa schizofrenia tra la realtà e la rappresentazione? Il governo da una parte, l’egemonia dall’altra. Non è una preoccupazione di ordine elettorale, perché più le fabbriche del pregiudizio stampano moneta falsa più la gente va in direzione opposta. Semmai ci preoccupa proprio l’effetto che producono, la diffidenza della gente verso i media, il disgusto e il fastidio, l’alibi per non leggere, non ascoltare, non documentarsi, tanto è sempre la stessa minestra. Preoccupa un paese dove l’ideologia oscura i fatti e deforma la verità; che non sono mai solo da una parte.(Marcello Veneziani, “Tutto come prima”, da “La Verità” del 4 gennaio 2019: articolo ripreso sul blog di Veneziani).Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film. Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia. Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo, l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti nazisti, i frullati di storia a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono state le categorie protette.
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Salvini e il decreto-migranti: la pacchia è finita, ma per noi
Possiamo entrare nel merito delle questioni, per qualche minuto? Perché la verità è che dovremmo svegliarci tutti, non solo in sindaci ribelli, soprattutto chi ancora oggi pensa che il pugno di ferro di Salvini sia sinonimo di sicurezza sociale. Perché chiunque abbia un minimo di buonsenso dovrebbe avere la lucidità di leggersi il decreto cosiddetto sicurezza e chiedersi se davvero la sua vita migliorerà, discriminando chi sta sotto di lui nella piramide sociale. Perché, come a Lodi con il caso mense, è difficile non vedere le discriminazioni dentro il decreto sicurezza. Negare l’iscrizione all’anagrafe ai richiedenti asilo, per dire, vuol dire negare loro le cure sanitarie e ai loro figli la possibilità di andare a scuola. E cancellare la protezione umanitaria, trasformando dalla sera alla mattina decine di migliaia di persone in clandestini che non possono nemmeno cercare una casa o un lavoro che non sia irregolare. Parliamo di buonsenso, però, ancor prima che di umanità. Perché col decreto sicurezza la pacchia finirà nelle periferie, nei quartieri popolari, non certo nelle Ztl dove abitano i buonisti, i radical chic e pure Matteo Salvini.Meno bambini a scuola, più baby gang nelle strade. Meno persone che curano i loro malanni, più contagi ed epidemie. Meno persone dentro un circuito abitativo e lavorativo legale, più manodopera per caporali e mafie. Dov’è la sicurezza in tutto questo? Dov’è che finisce la pacchia? Davvero pensate che le 50mila persone cui sarà revocata la protezione umanitaria e consegnato un decreto di espulsione se ne torneranno di loro spontanea volontà “a casa loro”? Davvero pensate che ogni richiedente asilo si presenterà ai cancelli dei “centri per il rimpatrio’, sapendo che dovrà passare sei mesi da detenuto? La verità è che nel nome della rabbia accumulata in anni di propaganda xenofoba e securitaria – nonostante i reati in calo, nonostante il crollo degli sbarchi antecedente all’era Salvini – stiamo costruendo un sistema che aumenta i livelli di insicurezza sociale, anziché ridurli. Che mette sotto stress le comunità locali e le periferie, anziché migliorarne le condizioni di vita.Che nel nome dell’ideologia e del consenso di Salvini alle prossime elezioni europee, mette una pressione enorme sulle spalle dei sindaci e degli amministratori, di qualunque colore siano. Peraltro, nel contesto di una legge di bilancio che toglie loro un sacco di soldi. E possono pure farvi schifo Leoluca Orlando, Luigi De Magistris, Dario Nardella, Antonio Decaro, Beppe Sala e tutti gli altri sindaci che si sono schierati contro il decreto sicurezza. Potete pure giudicare strumentale la loro protesta e illegittima la loro minaccia di disobbedienza. Ma vi conviene – per il vostro bene, non certo per la faccia di Salvini o Di Maio – pensare seriamente al merito della questione. Perché, qualunque esse saranno, poi le conseguenze del decreto sicurezza sarete voi, saremo noi, a pagarne il conto.(Francesco Cancellato, “Lettera aperta a chi applaude Salvini: col decreto sicurezza la pacchia è finita per voi”, da “Linkiesta” del 4 gennaio 2019).Possiamo entrare nel merito delle questioni, per qualche minuto? Perché la verità è che dovremmo svegliarci tutti, non solo in sindaci ribelli, soprattutto chi ancora oggi pensa che il pugno di ferro di Salvini sia sinonimo di sicurezza sociale. Perché chiunque abbia un minimo di buonsenso dovrebbe avere la lucidità di leggersi il decreto cosiddetto sicurezza e chiedersi se davvero la sua vita migliorerà, discriminando chi sta sotto di lui nella piramide sociale. Perché, come a Lodi con il caso mense, è difficile non vedere le discriminazioni dentro il decreto sicurezza. Negare l’iscrizione all’anagrafe ai richiedenti asilo, per dire, vuol dire negare loro le cure sanitarie e ai loro figli la possibilità di andare a scuola. E cancellare la protezione umanitaria, trasformando dalla sera alla mattina decine di migliaia di persone in clandestini che non possono nemmeno cercare una casa o un lavoro che non sia irregolare. Parliamo di buonsenso, però, ancor prima che di umanità. Perché col decreto sicurezza la pacchia finirà nelle periferie, nei quartieri popolari, non certo nelle Ztl dove abitano i buonisti, i radical chic e pure Matteo Salvini.
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Jack Folla: italiani mediocri e cialtroni come questi politici
«Rispetto a 20 anni fa oggi non ci sono più argini alla bestialità interiore, ciascuno tende a essere il peggio di quel che è. La generazione che giocava con i mostri da piccola lo è diventata». Giornalista, scrittore e autore tv, Diego Cugia sul finire degli anni Novanta ottenne un grande successo con il programma radiofonico “Alcatraz” e grazie al suo protagonista, Jack Folla, il dj evaso dal braccio della morte. Dietro un’esigenza morale assoluta di onestà, scrive Pasquale Rinaldis sul “Fatto Quotidiano”, attraverso il suo alter ego Jack, Cugia è stato per più d’una generazione «un fratello maggiore, anzi il Morpheus della “pillola rossa o pillola blu”, prima ancora del film Matrix. E invitava, contro le definitive salvezze, al rischio delle scelte, alla responsabilità della vita, alla serietà contro la retorica, alla saggezza contro la violenza». Dopo vent’anni di silenzio, Cugia è tornato con “Il Libro Nero”, con il quale prova a riannodare i fili di un discorso che era rimasto in sospeso. A Rinaldis, lo scrittore confida: la situazione è molto peggiorata. «Vent’anni fa, se avevi un fondo razzista, o se eri una bestia da terza elementare, un po’ te ne vergognavi. Oggi ne sei orgoglioso. Hai tre lauree? Sei un professore, scrivi libri, hai competenza nel tuo settore? Ti accuseranno di essere compromesso col ‘vecchio potere’, colluso con i corrotti, un privilegiato di merda. E questo anche se sei un intellettuale senza soldi e senza lavoro».Silenzio assoluto, oggi, all’uscita del nuovo libro di Cugia. L’autore se l’aspettava, anche perché, dice, non ha fatto il minimo passo perché ne parlassero: «Nessun critico, nessun direttore ha ricevuto da me la classica copia omaggio o una perorazione, una telefonata, un caffè». In questi anni, Cugia aveva ricevuto migliaia di email da parte degli ascoltatori di Jack: “Perché non torni? Dove sei finito?”. Dice Cugia: «Non hanno capito che l’Italia di 20 anni fa era più libera di quella di oggi. Che l’assenza di Jack non è stata una scelta, ma una condanna a vivere senza un microfono. Per raccontare loro come stanno le cose mi sono pubblicato da solo e ho aperto un canale su YouTube». Nell’Italia di oggi «i mediocri hanno vinto, hanno occupato tutto, come profetizzava Jack Folla». Continua Cugia: «Siamo comandati da un esercito di fronti basse, convinte di avere sempre diritto anche se non hanno fatto nulla per meritarsi la poltrona. È una delle più sconvolgenti illusioni ottiche della storia recente. Chi sa è ridotto a tacere, chi non sa sbraita e viene votato. Se questa è democrazia, io sono un ingegnere aerospaziale».C’è un capitolo del “Libro Nero” che s’intitola “La scintilla sacra”. «Inizio raccontando che mio papà mi insegnava da bambino i nomi delle stelle: Vega, Aldebaran, Deneb. Mi sono dimenticato la loro esatta collocazione nel cielo, sono una bestia da terza elementare anch’io, ma non dimenticherò mai la voce di mio padre che tremava dall’emozione e di rispetto per le stelle. Ce l’aveva anche per i vagabondi, gli oppressi e gli uomini fantastici. Quella vibrazione del cuore è l’imprinting, la scintilla sacra». Si domanda Cugia: «Chi contagia di bellezza i nostri giovani? Perché mai dovrebbero rialzare le loro giovani schiene già curve su smartphone tutti uguali? Nel mio piccolo ho fatto tornare Jack Folla per questo. Per donare ciò che ho ricevuto, ‘segnarli’ come io sono stato segnato. Tutti i libri che ho letto li devo a mio padre e alla sua voce che tremava di commozione per le stelle». Riguardo suo lungo esilio mediatico, lo scrittore parla di sé in terza persona: «Chi se ne frega di questo Cugia. Era benestante, ed è diventato un mendicante. Era famosetto e oggi non se lo ricorda quasi nessuno. Ha avuto una fortuna sfacciata, quel tipo: precipitare nel silenzio, nella solitudine, nel nulla. È qui che gli uomini si giocano le grandi partite. Bisogna ringraziare il proprio destino avverso. Non c’è propulsore più potente per slanciarsi verso il cielo». Aggiunge: «La partita la vinci se non ti arrendi mai, se ti rialzi dopo ogni caduta, ogni legnata. È meraviglioso».A Diego Cugia non piace l’habitat psicologico che spiega parte del consenso ai gialloverdi. «Gli italiani – dice – tendono a riconoscersi in massa in ometti autorevoli, in ‘capitani’ di piccolo corso, in ducetti. Credono di irrobustirsi identificandosi in loro. I ducetti li istigano a schierarsi contro qualcuno o qualcosa, li aizzano in tal senso e sdoganano il loro fascismo interiore, una piaga mai risolta. È l’esatto contrario di quello che dovremmo fare per migliorarci. Assumerci la totale responsabilità del mondo in cui viviamo, soprattutto se non abbiamo colpa, e unirci per contribuire a renderlo migliore, pensando ai figli dei nostri figli, e non a noi stessi». Secondo Cugia, «ci vuole una politica spirituale che guardi a fra 50 anni, non a fra mezz’ora cosa diranno i social. Ci vogliono le aquile in politica, io vedo solo tordi». Un appello: «Sveglia, fratelli, o ci faremo comandare dai maiali come nella Fattoria degli Animali di George Orwell». I “vaffa” di grillina memoria? «La storia ci insegna che quei “vaffa” lì tornano indietro: dal balcone di piazza Venezia al finire a testa in giù a piazzale Loreto». Dei 5 Stelle scrive: «Quelli che la scatoletta di tonno ora ce l’hanno in testa come un cappello».Beppe Grillo? «Un grande comico, conosce le masse e sa come esaltarle. Il suo movimento è stato anche salutare, ha dato una spallata al sistema, ha portato tanti giovani in Parlamento, è stato fantastico», dice Cugia. «Ma il potere è una brutta bestia», aggiunge. «Quando ho visto Luigi Di Maio scendere da un taxi col portabiti di Cenci a Campo Marzio, il sarto di Cesare Previti e del generone romano che bazzica in Parlamento, il sogno è finito». E’ furioso, Cugia: «Allearsi con Salvini, accettare la chiusura dei porti, rimangiarsi le promesse fatte in campagna elettorale? Maledetti. Mi avete fatto rimpiangere perfino la Dc e Kossiga che, da ragazzo, scrivevo sui muri con la kappa. Ma soprattutto mi manca l’intelligenza e lo stile di Enrico Berlinguer. Anche se l’ho votato una volta sola a 18 anni, mai stato comunista. Ma quelli erano statisti. Erano pochi già allora, oggi sembra non essercene rimasta traccia. Ma se ne stiamo parlando, vuol dire che, in qualche culla di un paesino sperduto, sta rinascendo un nuovo Antonio Gramsci. Io ci credo». Poi, certo, ci sono Salvini e Trump: «Salvini è un dittatore da operetta, Trump da game show». Un messaggio? «Volare da soli e controvento. Seguite la vostra intuizione, non il branco. E non alzate mai un muro. I muri vanno abbattuti, tutti».«Rispetto a 20 anni fa oggi non ci sono più argini alla bestialità interiore, ciascuno tende a essere il peggio di quel che è. La generazione che giocava con i mostri da piccola lo è diventata». Giornalista, scrittore e autore tv, Diego Cugia sul finire degli anni Novanta ottenne un grande successo con il programma radiofonico “Alcatraz” e grazie al suo protagonista, Jack Folla, il dj evaso dal braccio della morte. Dietro un’esigenza morale assoluta di onestà, scrive Pasquale Rinaldis sul “Fatto Quotidiano”, attraverso il suo alter ego Jack, Cugia è stato per più d’una generazione «un fratello maggiore, anzi il Morpheus della “pillola rossa o pillola blu”, prima ancora del film Matrix. E invitava, contro le definitive salvezze, al rischio delle scelte, alla responsabilità della vita, alla serietà contro la retorica, alla saggezza contro la violenza». Dopo vent’anni di silenzio, Cugia è tornato con “Il Libro Nero”, con il quale prova a riannodare i fili di un discorso che era rimasto in sospeso. A Rinaldis, lo scrittore confida: la situazione è molto peggiorata. «Vent’anni fa, se avevi un fondo razzista, o se eri una bestia da terza elementare, un po’ te ne vergognavi. Oggi ne sei orgoglioso. Hai tre lauree? Sei un professore, scrivi libri, hai competenza nel tuo settore? Ti accuseranno di essere compromesso col ‘vecchio potere’, colluso con i corrotti, un privilegiato di merda. E questo anche se sei un intellettuale senza soldi e senza lavoro».